n.5 settembre-ottobre 2013
anno 91
www.missionaridafrica.org
Zambia
Missione Zambesi Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.
Somalia
A caccia di pirati
Ghana
La cittĂ della boxe
Etiopia
L’ospedale volante
Africa
Generazione XXL
A. Semplici
Dialoghi sull’Africa
e n o i z i d e 3a
Un weekend di incontri per capire, conoscere e confrontarsi
Claudio Agostoni, giornalista a Radio Popolare Marco Aime, antropologo Valentina Furlanetto, giornalista a Radio 24 Francoise Kankindi, Ass. Bene Rwanda Elisa Kidanè, missionaria e giornalista
Geneviève Makaping, giornalista e antropologa Raffaele Masto, scrittore e giornalista Marco Pastonesi, giornalista a La Gazzetta dello Sport Alberto Salza, antropologo Pietro Veronese, giornalista a la Repubblica Quando: sabato 23 e domenica 24 novembre 2013 Dove: redazione Africa, Treviglio (BG) Quota di partecipazione: 200 euro, studenti 150 euro Numero partecipanti: 30 Info: animazione@padribianchi.it 334.2440655 www.missionaridafrica.org I primi 8 iscritti possono fruire dell’ospitalità, semplice ma gratuita, offerta dai missionari Padri Bianchi
LIONS CLUB – TREVIGLIO HOST
editoriale
di Raffaele Masto
Compromesso impossibile L’
Egitto è la dimostrazione di quanto il popolo, spesso, sia lontano dalla politica. Quasi certamente una buona parte della cosiddetta gente comune è stanca di quanto sta succedendo: precarietà, manifestazioni, scontri, violenze. Non solo: di solito la gente comune è molto più capace dei politici di vivere insieme. Intendo dire che la grande maggioranza musulmana dell’Egitto non avrebbe mai bruciato le decine di chiese cristiane del Paese. A rigor del vero, in certi luoghi i musulmani hanno aiutato i cristiani a difendere chiese e altre istituzioni. Intendo dire ancora che i musulmani più praticanti non disdegnano di vivere a contatto con giovani che invece vogliono più laicità, come avviene in qualunque società dove la tradizione cerca di resistere al “nuovo” che avanza. Eppure, su queste contraddizioni, l’Egitto è saltato letteralmente per aria, precipitando in una
violenza che è l’espressione di un impossibile compromesso tra i politici, quelli interni e quelli esterni al Paese.
I due campi L’impossibile compromesso, a livello politico, è quello tra chi vuole una società laica, con una religione non invadente, e chi invece aspira a uno Stato confessionale. Questi ultimi possono contare su un’organizzazione come i Fratelli Musulmani che, nel dopo-Mubarak, hanno formato un partito politico, il Partito Libertà e Giustizia, di cui Morsi era il capo prima di essere eletto Presidente. Illegali ma tollerati ai tempi di Mubarak, i Fratelli Musulmani si fanno forti di una diffusa attività caritativa e di beneficenza che ha procurato loro milioni di seguaci, complice anche la crisi economica che in Egitto ha picchiato duro. Quelli che invece aspirano a una società laica hanno una
rappresentanza politica indebolita dalla frammentazione in una molteplicità di partiti. Sanno benissimo cosa non vogliono, ma fanno fatica ad avere un progetto, un programma. E dei leader all’altezza. Quando questi fautori di una società laica hanno vinto (prima contro Mubarak e poi contro Morsi) lo hanno fatto perché l’esercito ha ritenuto oggettivamente utile una loro vittoria.
L’esercito Già, l’esercito! Un esercito con privilegi inaccettabili, pur rappresentando certamente la stabilità politica. I generali che, peraltro, già nell’era Mubarak erano i veri gestori del Paese, sono intervenuti per salvaguardare i propri privilegi. Anche se bisogna ammettere che sono dalla parte del popolo, della gente normale, la maggioranza cioè, e che non sono interessati a governare. Purtroppo, le scene di repressione che abbiamo visto in tivù fan-
no dei generali una sorta di mostro sanguinario con il quale è impossibile schierarsi.
Leader illuminati In realtà il problema dell’Egitto - come di molti Paesi arabi lacerati da tensioni interne - è che avrebbe bisogno di politici illuminati, di leader che abbiano a cuore le sorti del loro popolo e che per questo motivo sappiano muovere leve e toccare nervi sensibili per far nascere dalla società il cambiamento; di leader che sappiano contare sui buoni sentimenti che di solito, come dicevamo all’inizio, risiedono negli animi del popolo, della gente comune, più capace di accettare compromessi di quanto lo siano i politici navigati o, peggio ancora, cinici e opportunisti. L’Egitto ci dimostra, ancora una volta, che, a soffiare sulle divisioni del popolo e a sfruttarle, si possono provocare disastri dai quali poi è difficile uscire. • africa · numero 5 · 2013
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sommario
lo scatto 24. Rabbia e repressione
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Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) EditorE
Prov. Ital. della Soc. dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi dirEttorE rEsponsabilE
Alberto Rovelli
dirEttorE EditorialE
Paolo Costantini CoordinatorE
Marco Trovato wEbmastEr
Paolo Costantini amministrazionE
Bruno Paganelli
promozionE E UffiCio stampa
Matteo Merletto
progEtto grafiCo E rEalizzazionE
Elisabetta Delfini
dirEzionE, rEdazionE E amministrazionE
Cas. Post. 61 - V.le Merisio 17 24047 Treviglio (BG) tel. 0363 44726 - fax 0363 48198 africa@padribianchi.it www.missionaridafrica.org http://issuu.com/africa/docs
copertina
40 Africa XXL
di Alessandro Gandolfi
attualità
3 4 A caccia di pirati 10 Basta con la paura 14 Odissea Nuba 17 Sogno il Sudafrica di Mandela 18 Pastori in fuga Africanews
a cura della redazione di Sergio Ramazzotti
di N. Cherigui e S. Wassenaar di Francesco Cavalli di Lorella Beretta
foto
Copertina Alessandro Gandolfi/ ParalleloZero Si ringrazia Olycom CoordinamEnto E stampa
Jona - Paderno Dugnano
Periodico bimestrale - Anno 91 ettmbre-ottobre 2013, n° 5
Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).
di C. Six e G. Dubourthoumieu
società
26 Oculisti con le ali 32 L’uomo che sussurra ai cavalli 34 «Good Morning Congo!» di Fabrice Dimier di Marco Trovato
di D. Bellocchio e M. Gualazzini
libri e musica
africa rivista
@africarivista
Egitto
38. Strage silenziosa Kenya
50. Sole nero Kenya
cultura
52 Per diventare adulti 56 La Puntina d’Oro 58 Rivive il villaggio degli artisti
di Peter Harwood e Carl De Souza di Emanuela Zuccalà e Loris Savino di Paola Marelli
sport
60 La città della boxe di Bruno Zanzottera
viaggi
66 Sull’isola di Napoleone di Enrico Casale
chiesa
68 Missione Zambesi 74 Notizie in breve togu na 76 vita nostra 77
di M. Trovato e B. Zanzottera A cura di Anna Pozzi
a cura della redazione
a cura della redazione
48 Libri e musica
di P.M. Mazzola e C. Agostoni
COME RICEVERE AFRICA per l’Italia:
Contributo minimo consigliato 30 euro annuali da indirizzare a: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) viale Merisio, 17 - 24047 Treviglio (BG) CCP n.67865782 oppure bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda Missionari d’Africa Padri Bianchi IBAN: IT 93 T 08899 53640 000 000 00 1315
per la Svizzera:
Ord.: Fr 35 - Sost.: Fr 45 Africanum - Rte de la Vignettaz 57 CH - 1700 Fribourg CCP 60/106/4
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news
a cura della redazione
Africanews, brevi dal continente 3 Mauritania, vietato il partito anti-schiavi
1 Somalia, emergenza sanitaria Dopo 22 anni di servizio, Medici Senza Frontiere ha deciso di chiudere tutte le sue attività in Somalia, a causa degli attacchi permanenti e della mancanza di tutela ai suoi operatori umanitari. Intanto nel Paese è scoppiata un’epidemia di poliomielite che ha già contagiato molti bambini.
2 Zimbabwe, Mugabe sfida il mondo Il governo dello Zimbabwe ha firmato un accordo con l’Iran per la vendita di uranio, in violazione delle sanzioni internazionali che colpiscono entrambi i Paesi. Lo Zimbabwe è guidato dallo Zanu-Pf, il partito del Presidente Robert Mugabe (89 anni, al potere dal 1987 e al suo settimo mandato), che lo scorso 31 luglio ha vinto le elezioni con il 60,87% dei voti. L’ennesima vittoria elettorale permette a Mugabe di cambiare la Costituzione e sfidare l’Occidente.
In Mauritania il Ministero dell’interno ha negato il riconoscimento ufficiale del Partito radicale per una azione globale, formazione politica dichiaratamente contro la schiavitù, fenomeno largamente tollerato nel Paese.
4 RD Congo, bambini in fuga Più della metà dei 66mila congolesi fuggiti dalle recenti violenze nell’est del RD Congo e giunti nel vicino Uganda, sono bambini e minorenni. Molti sono scappati per paura di essere arruolati con la forza in una delle formazioni guerrigliere che operano nella regione.
due anni di forti turbolenze cominciate con la dichiarazione di secessione dei Tuareg del Nord, continuate poi con l’occupazione della regione da parte delle forze jihadiste, e con l’intervento militare francese.
6 Madagascar, un’isola in crisi Economia agonizzante e malcontento diffuso sulla grande isola, paralizzata da cinque anni di crisi politica e colpi di stato. Il 23 agosto dovrebbero tenersi le elezioni politiche e presidenziali con le contestate candidature di Andry
Rajoelina (l’attuale uomo forte), Didier Ratsirika (ex Presidente) e della moglie del suo successore, Lalao Ravalomanana.
7 Guinea Conakry, violenze etniche Permane una situazione di forte tensione in Guinea Conakry dopo un’esplosione di violenza etnica che ha fatto registrare almeno cento morti. Protagonisti delle violenze: i Guerzé, cristiano-animisti, e i Konianké, a maggioranza musulmana. Fonti: Bbc, Jeune Afrique, Misna, Reuters
5 Mali, aria nuova a Bamako? Il neo Presidente Ibrahim Boubacar Kéïta (chiamato popolarmente IBK), vincitore delle elezioni del 15 agosto scorso, ha promesso di riportare la pace e la stabilità nel Mali, dopo
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Ruanda Swaziland Guinea Camerun Etiopia Mauritania Guinea Bissau
(parlamentari) (parlamentari) (legislative) (legislative) (presidenziali) (parlamentari) (presidenziali)
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attualità
testo e foto di Sergio Ramazzotti/Parallelozero
A caccia di pirati
In pattugliamento coi nostri soldati nel golfo di Aden infestato dai bucanieri somali 4
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attualità Il tratto di mare tra Somalia e Yemen è sorvegliato da una flottiglia della Nato che ha il compito di contrastare il crescente fenomeno della pirateria. Siamo saliti a bordo di una nave da guerra italiana.
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a un lato la difesa: la nave si chiama Bersagliere, è una fregata della Marina militare italiana, 188 gli uomini di equipaggio, 113 i metri di lunghezza, impressionante la potenza di fuoco (cannoni, missili e mitragliatori), controllata da una centrale da guerra elettronica di ultima generazione. Dall’altro lato la minaccia: un dhow, il barcone da trasporto in legno diffuso in tutto l’oceano Indiano, costruito a mano come mille anni fa da un maestro d’ascia somalo, sospinto da un motore diesel arrugginito smontato da un camion, a bordo dei rampini d’arrembaggio legati a corde di canapa, qualche vetusto fucile, nel migliore dei casi un lanciagranate, viveri e acqua potabile ridotti all’osso e l’equipaggio composto da una mezza dozzina di uomini cui resta ben poco da perdere: i pirati del terzo millennio. È l’essenza dell’operazione Ocean Shield, lanciata dalla Nato nell’agosto del 2009 per contrastare, con l’impiego di 5 navi da guerra e un sommergibile in pattugliamento nelle acque del Corno d’Africa, il fenomeno sempre più virulento della pirateria che ha origine sulle coste somale, 6
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e che negli ultimi anni ha causato danni devastanti (intorno ai 16 miliardi di dollari complessivi, secondo un rapporto commissionato dal Congresso statunitense) alla navigazione mercantile e al commercio globale. Di fronte a queste cifre, è chiara la necessità di una missione come Ocean Shield, imponente (costa circa 350 milioni di dollari l’anno) ma imprescindibile.
Tecniche di arrembaggio Ma chi sono i pirati somali? La maggior parte sono giovani, in genere tra i venti e i trent’anni, e provengono dalle frange della popolazione meno istruite e più povere. I pirati operano in bande composte di quattro-sei persone, comandate, armate e organizzate dai “boss”. I finanziatori (coloro che acquistano i barchini, le armi e tutto il necessario per lanciare gli attacchi) in genere sono nascosti nell’entroterra, e si limitano a investire il
La nave italiana è munita di elicotteri con mitragliatori pesanti, 24 missili antiaerei e un cannone in grado di polverizzare un bersaglio a oltre 100 chilometri
attualità
testo di Nadjet Cherigui foto di Steven Wassenaar/LightMediation
A Tunisi cresce il numero di donne che dichiarano di aver subito stupri e abusi sessuali da parte di poliziotti. Un fenomeno esploso con l’avvento al potere del partito islamista. Le loro denunce cadono spesso nel vuoto
Basta con
Tunisia, parlano le vittime di «molestatori e
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iriam, 27 anni, ha un fisico esile e fragile, lo sguardo schivo. Per farsi forza deve aggrapparsi al fidanzato Ahmed, quasi due metri di affetto: l’unica colonna che l’ha sostenuta in questi mesi difficili. «L’incubo è iniziato la notte del 3 settembre», inizia a raccontare con un soffio di voce. Dopo una romantica serata in un ristorante di Tunisi, Ahmed e Miriam stavano
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tornando a casa in auto, quando la polizia li ha fermati in una zona piuttosto isolata di un sobborgo della capitale. «Sembrava un controllo di routine, ma ben presto si è rivelato un vero e proprio calvario». Due agenti di polizia hanno violentano ripetutamente la donna nella loro auto, mentre un terzo poliziotto ha ammanettato il fidanzato, cercando di estorcergli del denaro. Mi-
riam racconta senza una lacrima quell’inferno durato più di un’ora: «Mi hanno violentata quattro volte sul sedile posteriore dell’auto. Avevano pianificato tutto. Sono assolutamente convinta che quei tre farabutti in divisa fossero degli stupratori seriali».
Sul banco degli imputati A un certo punto Ahmed è riuscito a liberarsi e ad interrompere la violenza.
C’è stata una colluttazione, urla, spintoni, pugni. «Siamo riusciti a fuggire, ci siamo precipitati alla più vicina stazione di polizia per denunciare quanto era accaduto», ricorda Ahmed. «Ma in poco tempo siamo incredibilmente finiti sul banco degli imputati: accusati di essere stati sorpresi dai tre poliziotti mentre amoreggiavamo in macchina, costretti a difenderci in un tribunale
la paura
stupratori in divisa» Ogni volta che vedo un posto di blocco della polizia comincio a tremare. Non mi fido più a viaggiare sola in auto
dall’assurda accusa di immoralità e indecenza pubblica». «Non potevo credere che la realtà venisse ribaltata contro di noi», aggiunge Miriam. «Mi sentivo violentata ancora nella mia dignità… Sono stata picchiata, insultata, minacciata. Anziché considerarmi una vittima, lo Stato mi ha perseguitata. Ma non ho più paura. Sono determinata ad andare fino
a isina ,vittim n tu a n n o el Una d carnale n te a z n le io v di volan 012. è al maggio 2 to : ''Sono s ta ta au tti della sua sei poliz io ho a d ta ta violen co. Li to di bloc ta ta s o p n u in o s i . Ma son esi di denuncia t m ta a due a n n a d n o io e c r oltragg e p e n io prig ne '' . diffamaz io
in fondo: questi poliziotti devono essere puniti. Voglio continuare a lottare: non solo per me stessa,
ma anche per tutte le donne che hanno subito abusi e non hanno avuto la forza o la possibilità di parlare». africa · numero 5 · 2013
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attualità Khouloud Drid i, 20 anni, lavora in un n egoz io di vestiti nel cen tro di Tunisi. ''I poliz io tti m i fermano p er strada accusa ndomi di tener e un abbigliamen to indecen te . Per in timorirm i mi obbligano a fornirgli il mio numero di cellulare ''.
rrache , Saïda Ga delle vittime di sa ficio avvoca tes ali ,nell 'uf u s s e s e z violen ssocia tion A n ia is n . della Tu ic Women t a r c o m e con of D le s trade r e p o in za ''Camm ritta , sen lti e d a n ie h c la s e da insu ir r o im t in farmi i '' . sprezzan t i t n e m m co
Nessuno avrebbe mai potuto punirli perché nessuno avrebbe mai creduto alla denuncia di una donna contro uomini dello Stato Non voglio il velo Saïda Garrache è la combattiva avvocatessa di Miriam. «Il nostro processo - dice - farà puntare i riflettori dei media su una piaga sociale che riguarda tantissime donne tunisine. A migliaia restano vittime ogni anno di violenze, intimidazioni e comportamenti osceni. La polizia è complice di questo sistema. E la situazione è peggiorata con l’arrivo al potere degli islamisti». Khouloud Dridi, vent’anni, non ha paura di mostrare in pubblico le forme del suo corpo: indossa magliette attillate e canottiere occi-
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dentali, non rinuncia ad una profonda scollatura… «Cerco di non cedere alla paura, nonostante il clima oscurantista: in giro vedo sguardi di riprovazione, sento commenti sprezzanti e insulti gratuiti», racconta. «Da quando il partito islamico Ennahda ha vinto le elezioni, i poliziotti si sentono legittimati a molestare e intimorire le donne. E ci accusano paradossalmente di tenere un comportamento indecente. Ma io voglio restare libera di vestirmi come meglio credo, senza essere costretta a nascondermi sotto un velo».
Falsa testimonianza Warda, 34 anni, imprenditrice bella ed elegante, è
attualità
a cura della redazione
foto di Francesco Cavalli
Odissea N
Sudan, bombe e fame: il dramma di un popolo
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uba
senza pace
Raid aerei, agguati e rappresaglie. Nel silenzio prosegue la guerra infinita tra l’esercito di Khartoum e i gruppi ribelli del Kordofan meridionale. A farne le spese, i nobili e fieri abitanti dei monti Nuba
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iecheggiano ancora i rumori delle armi in Sudan. Il Kordofan meridionale subisce ogni giorno raid aerei, agguati e rappresaglie ad opera delle milizie governative. Nell’indifferenza del mondo, l’esercito sudanese sgancia bombe e proiettili d’artiglieria pesante sulle postazioni dei guerriglieri dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan-Nord (SplmN), che rispondono a colpi di kalashnikov e mortai.
Fuga dalle bombe
A pagare il prezzo più alto, come spesso accade, sono i civili nuba, circa un milione di persone, già duramente colpiti dalla sanguinosa guerra civile del Sudan (1983-2005). I combattimenti sono ripresi nel luglio 2011 in coincidenza con la nascita del nuovo Stato indipendente del Sud Sudan. Dai confini del nuovo stato è rimasta esclusa la zona dei monti Nuba. «Dal luglio del 2011 il Presidente sudanese Omar el-Bashir ha scatenato una nuova guerra non dichiarata contro i Nuba, colpevoli di non accettare la sua politica accentratrice e islamizzatrice», racconta padre Kizito Sesana, missionario comboniano, profondo conoscitore dei monti Nuba e delle sue genti. «I piccoli villaggi dei Nuba sono stati bombardati indiscriminatamente. Gli abitanti si sono rifugiati sulle montagne, riparandosi nelle grotte, e le terre fertili della pianura che erano già state disso-
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attualità
testo di Lorella Beretta - capeiteasy.com
Ex attivista antiapartheid, 65 anni, Mamphela Ramphele ha fondato un partito per battere lo screditato Anc. Colpevole di aver tradito il programma di Nelson Mandela
Sogno il Sudafrica di Mandela C’
è la condanna dell’attuale governo «basato sulla corruzione e l’arricchimento personale». C’è la preoccupazione per il Sudafrica. Ma c’è anche un preciso calcolo politico dietro la discesa in campo di Mamphela Ramphele. L’ex attivista del Black consciousness movement, medico e compagna dell’icona antiapartheid Steve Biko (ucciso nel 1977), nei giorni critici per la salute di Nelson Mandela ha lanciato il suo partito: Agang, “costruiamo” in lingua seshoto.
IL SOGNO TRADITO Manca meno di un anno alle presidenziali, ma Ramphele, 65 anni, un passato da direttore operativo della Banca mondiale e da presidente della compagnia mineraria Gold Fields, ha invitato i sudafricani a «costruire il Paese dei nostri sogni», quello immaginato da Mandela. Perché la realtà è un incubo. Più della metà della popolazione vive con meno di 40 euro al mese, un quinto è malata di aids, la disoccupazione giovanile è al 45%... L’istruzione nelle township e nelle aree rurali è affidata a insegnanti impreparati, tanto che agli studenti neri sono richiesti risultati
inferiori (è sufficiente che ottengano un voto pari al 30% rispetto agli altri). «Viaggereste su un aereo che ha solo il 30% degli strumenti tecnici?» ha chiesto Ramphele. La dottoressa ha le carte in regola per sottrarre voti al presidente Jacob Zuma, sempre che l’African national congress (Anc) lo ricandidi, viste le 700 denunce per estorsione a suo carico. Ramphele può soprattutto contare sul colore della pelle, che in Sudafrica ha sempre peso. Il principale partito di opposizione, Democratic alliance (Da), è invece ancora considerato espressione della minoranza bianca.
ognuna con le proprie storie e i propri obiettivi, appare un sapiente gioco di squadra per indebolire l’Anc. Ramphele ha incassato l’appoggio di Desmond Tutu, l’arcivescovo emerito premio Nobel per la pace, e si sta concentrando nelle aree dove l’Anc è più forte. Non punta solo a riscattare l’eredità tradita di Mandela, vuole vincere affidando la comunicazione al Benenson strategy group, regista della prima campagna elettorale del presidente Barack Obama. • laberettina.blogspot.com
AMICA DI MBECKI E TUTU Alla sua leader, Helen Zille, non è servito circondarsi di figure di spicco nere e coloured. La Democratic alliance sta crescendo nei consensi, ma la distanza dall’Anc (il «partito nero») è di almeno 40 punti percentuali. Nei mesi scorsi Zille e Ramphele si sono incontrate spesso: all’ordine del giorno, la costituzione di un’unica forza d’opposizione, i Democratic. Al tavolo sedeva spesso anche l’ex presidente Thabo Mbeki, acerrimo nemico di Zuma. La decisione di correre da sole,
Anche il giovane leader sudafricano Julius Malema, espulso per insubordinazione dall'Anc, ha fondato un nuovo partito in vista delle prossime elezioni politiche: Economic Freedom Fighters (EFF), Combattenti per la libertà economica. Punta sui consensi dei delusi dal partito di Mandela, al potere dal 1994.
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attualità
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Pastori
testo di Caroline Six tradotto da Silvana Leone
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foto di Gwenn Dubourthoumieu
in fuga
Nella regione del lago Turkana si moltiplicano le violenze fra tribù rivali
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astoni in pugno e kalashnikov a tracolla, i pastori turkana avanzano nella savana in una nuvola di polvere con centinaia di vacche, capre e pecore. Sui muli e i dromedari trasportano borracce, tegami, poche vettovaglie. Non stanno migrando verso pascoli più generosi. Sono in fuga dall’attacco
Attacchi e razzie A pochi chilometri dalla frontiera con il Sud Sudan, a Nanam, l’incursione armata è stata condotta da un gruppo di Toposa, una tribù pastorale vicina, che ha l’abitudine di sconfinare con i propri greggi nei pascoli più verdi del Kenya. Nell’accampamento abbandonato dei Turkana,
Nelle sperdute savane al confine tra Kenya, Etiopia, Uganda e Sud Sudan, i pastori nomadi si contendono a colpi di armi da fuoco i pascoli e le sorgenti d’acqua. E la siccità acuisce le guerre tribali di una tribù sud-sudanese. Una donna inveisce contro una pattuglia di poliziotti keniani: «Che cosa aspettate a intervenire? Chi ci difende?». Agita in aria il suo bastone. «Ho perso tutto: i miei asini, i miei capretti, le mie pentole… Non ho più nulla».
un giovane mandriano tenta ancora di radunare due o tre capretti, perduti in mezzo alle tende squarciate: «Erano almeno 300 uomini inferociti. Abbiamo lottato per tutto il giorno, ci siamo arresi perché non avevamo più proiettili. Un mio amico è morto, africa · numero 5 · 2013
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attualità
Il prezzo delle armi Nel Nord del Kenya anche i Pokot e i Turkana, due etnie di pastori seminomadi, sono in guerra per contendersi i pascoli e le esigue fonti d’acqua della regione. Il controllo delle sorgenti e dei pozzi è affidato a giovani armati con fucili automatici. La polizia non riesce a confiscare armi e munizioni che affluiscono in grandi quantità da Uganda, Etiopia e Sud Sudan. Un singolo proiettile costa l’equivalente di quaranta centesimi di euro, un intero caricatore una manciata di euro. Un kalashnikov di seconda mano al mercato nero vale circa 50 euro, uno nuovo dieci volte tanto. Oppure cinque vacche. I mercanti di armi scambiano spesso i loro prodotti con dei capi di bestiame. (Alain Buu) 20
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due sono feriti». Un colpo di fucile riecheggia nell’aria, poi il secondo. I Toposa sono a poca distanza e sembrano determinati a occupare queste terre. La polizia keniana fugge a gran velocità. «Non siamo equipaggiati per fronteggiare l’attacco, chiederemo rinforzi a Nairobi», si giustifica uno degli agenti. Le ricorrenti siccità che si accaniscono sulle zone aride dell’Africa orientale esasperano i conflitti cronici tra le comunità pastorali della regione. I pascoli e le sorgenti d’acqua scarseggiano. Lo spazio vitale diventa un territorio da conquistare. Le diverse tribù che si contendono gli spazi, tradizionalmente rivali, moltiplicano gli attacchi per tentare di imporre la propria supremazia.
Troppe armi Seduto sul suo piccolo sgabello intagliato, il Turkana Natoo Lore parla con
Scene di guerre tribali: fughe, accampamenti saccheggiati, pastori feriti. Nella regione del Turkana si comincia a combattere all’età di dieci-dodici anni. Le razzie sono un costante motivo di tensione tra le comunità
voce sommessa: «Ho perso 100 capre negli ultimi due mesi. Ci resta poco per sopravvivere». L’alimentazione dei Turkana è a base di latte e sangue del bestiame. In alcuni periodi dell’anno, la dieta è arricchita con frutti selvatici e farina di sorgo. Ma durante la stagione secca le persone patiscono la fame. E i più deboli muoiono per malnutrizione. «Perdiamo soprattutto i bambini e gli anziani: una vergogna per la nostra comunità», lamenta Lodoe, un capoclan di Naporoto. «Più della metà della popolazione del distretto dipen-
egitto
lo scatto
testo di Raffaele Masto
foto di Mosaab El-Shamy /Afp
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n uomo piange su uno dei tanti corpi deposti in un obitorio la sera del 14 agosto, giorno in cui l’esercito egiziano ha messo in atto lo sgombero dei due più grandi sit-in dei sostenitori del deposto presidente Mohamed Morsi. I morti in quella giornata, solo al Cairo, sono stati almeno 120, secondo giornalisti indipendenti che hanno documentato quelle drammatiche ore. La sanguinosa repressione delle Forze di Sicurezza si è concentrata nelle due grandi piazze della capitale egiziana - Rabaa al-Adawiya e AlNahda - che stavano diventando il simbolo dell’opposizione guidata dai Fratelli Musulmani. In queste piazze erano accampate migliaia di persone, anche intere famiglie con donne e bambini che, nonostante la minaccia concreta di un attacco, erano stati portati sul luogo dove avrebbe potuto scatenarsi (come poi è avvenuto) una vera e propria battaglia. •
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testo e foto di Fabrice Dimier/LightMediation
Oculisti 26
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In Etiopia i medici oculisti scarseggiano e quasi tre milioni di persone soffrono di seri problemi alla vista. A curare gli occhi sono i dottori e gli infermieri del Flying Eye Hospital
con le ali
Etiopia, arriva l’ospedale oftalmico volante africa · numero 5 · 2013
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ll’aeroporto di Addis Abeba è atterrato un ospedale oculistico. La notizia si è diffusa in tutta la città e ora ai piedi della scaletta del DC-10 parcheggiato sulla pista si è formata una lunga coda di persone bisognose di cure. Mentre un’infermiera etiope accoglie i pazienti stabilendo la priorità delle visite, l’équipe medica di Orbis prepara le sale operatorie alloggiate sull’aereo. Orbis (www. orbis.org) è una ong americana che collabora da tempo con il ministero della Salute etiopico. Periodicamente realizza delle missioni di cooperazione sanitaria volando su Addis Abeba. Ad attendere il suo ospedale oftalmico ci sono centinaia di persone non vedenti o ipovedenti che hanno necessità di essere operate. L’Etiopia dispone di un solo oculista per un milione di abitanti. La carenza di assistenza sanitaria espone la popolazione a serie malattie agli occhi, come la cataratta, il glaucoma, il tracoma, l’oncocercosi… Gli effetti sono devastanti: 1,2 milioni di etiopi sono ciechi e più di 2,8 milioni soffrono di problemi alla vista. L’1,6% della popolazione è affetto da un handicap visivo. Le persone accorse all’aeroporto di Addis Abeba hanno tutte problemi di vista e sperano di poter essere guariti dai «medici bianchi venuti dal cielo».
Ospedale hi-tech I dottori Frederick e Lehman - due chirurghi
specializzati negli interventi di cataratta - esaminano accuratamente le cartelle cliniche di ciascuno ed effettuano gli ultimi esami diagnostici prima di entrare in sala operatoria. Nell’arco di tre settimane - tanto l’ospedale volante americano si protrarrà nella capitale d’Etiopia - faranno riacquistare la vista a un centinaio di persone. Il team sanitario di Orbis è composto da una ventina di professionisti di quindici nazionalità diverse - medici, infermieri, tecnici di laboratorio - che operano in ogni parte del mondo. Ad affiancare i dipendenti dell’ospedale ci sono sempre dei volontari che impiegano parte del loro tempo libero, in genere le vacanze estive. Georges, infermiere volontario inglese, è alla sua prima missione e osserva a bocca aperta e occhi sgranati le apparecchiature iper-tecnologiche allestite sull’aereo. «Tutte macchine all’avanguardia in grado di funzionare in ogni condizione ambientale». All’interno della cabina passeggeri sono stati ricavati diversi spazi funzionali: una sala d’attesa dotata di quaranta posti a sedere, la camere coi letti per i degenti, le sale operatorie, un salotto per le riunioni, l’ambulatorio, la sala di formazione per anestesisti e tecnici laser…
Formazione I pazienti vengono fatti imbarcare a piccoli gruppi. Oggi sono in programma otto operazioni. Heather,
la caposala, accoglie le persone a bordo e le conduce negli ambulatori a loro assegnati perché possano essere preparati per l’intervento. Georges si mette al lavoro in sala operatoria preparando i ferri che verranno usati dal chirurgo. Nel frattempo, Jacqueline, infermiera australiana con 15 anni di esperienza alle
spalle sul Flying Eye Hospital, istruisce un’infermiera etiope nella sala di sterilizzazione. «In molte aree di questo vasto Paese mancano le cure elementari e la popolazione vive in condizioni igieniche precarie. Dobbiamo scongiurare il pericolo di un’infezione post-operatoria. Per questo è fondamentale africa · numero 5 · 2013
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società
testo di Marco Trovato foto Afp
L’uomo che sussurra ai cavalli
Dalle baracche agli ippodromi: la favola di Enos Mafokate
Cresciuto in una township ai tempi dell’apartheid, ha coltivato la passione per l’equitazione tra mille difficoltà, riuscendo a conquistare le Olimpiadi. Oggi insegna a cavalcare ai giovani di Soweto
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a prima volta che ha accarezzato un cavallo era un bambino. «All’inizio degli anni Cinquanta la mia famiglia si era spostata da poco a Rivonia, un sobborgo di Johannesburg, e io avevo trovato un impiego estivo 32
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in una fattoria locale gestita da un tale John Walker: per racimolare qualche moneta di mancia tenevo d’occhio i purosangue dei bianchi che venivano a fare pic-nic in campagna», ricorda Enos Mafokate, 67 anni. «Ero cresciuto tra le baracche di
lamiera della township di Alexandra e prima di allora non avevo mai visto animali così belli: me ne innamorai subito».
Più forte dell’apartheid In breve tempo Enos divenne amico del figlio del proprietario della fattoria, con cui condivideva la passione per i puledri: «Lui era bianco, io nero: la legge del regime segregazionista non permetteva di coltivare relazioni di amicizia interrazziali, ma il nostro rapporto era più
forte dell’apartheid». All’età di quindici anni trovò un impiego come maniscalco nella stalla del Woodmead Golf Course, luogo di ritrovo riservato ai ricchi afrikaner. La sua serietà e tenacia non passarono inosservati. Nel 1961 Enos venne assunto come stalliere da un’importante scuola di cavallerizzi. «Un giorno i padroni mi offrirono la possibilità di provare a cavalcare. Poco dopo mi iscrissero a una competizione equestre di salto con gli ostacoli per
società
testo di Daniele Bellocchio foto di Marco Gualazzini
«Good Morn Akilimali Saleh, quindici anni, è un baby reporter radiofonico. Trasmette ogni settimana da Goma, capoluogo della provincia del Nord Kivu, facendo sentire la voce dei bambini congolesi
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re, due, uno: «Bonjour à tous les amis de Paroles sur les enfants, je suis Akilimali Saleh...». Ogni giovedì sulle frequenze di Radio Comico Fm, a Goma, nell’epicentro del Nord Kivu, va in onda un programma che parla di diritti dei bambini e storie di infanzia. La singolarità? Che a condurre questa trasmissione, nella regione orientale della RD Congo, dove da vent’anni imperversa una guerra civile per il possesso del sottosuolo, è un ragazzino di soli quindici anni: Akilimali Saleh. Una storia, quella del giovane reporter, fatta di giornalismo, passione, rischi e senso di giustizia, in uno Stato dove i sogni e le speranze vengono annichiliti dal perdurare del conflitto tra il gruppo rivoluzionario degli M23 e l’esercito lealista. E così, se da una parte proseguono i combattimenti tra i ribelli guidati dal generale Makenga e i governativi, i colloqui di pace falliscono e nuove ondate di morte e violenza si palesano all’orizzonte, dall’altra c’è chi tiene viva la speranza del domani. Radio Comico Fm, un acronimo che significa Radio Communité Islamique du Congo. La stazione dell’emittente è posizionata sul tetto di una pompa di benzina, nella via principale di Goma. Una
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ing Congo!禄
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società
una regione senza pace Sono tornati a riecheggiare i rumori delle armi nel Nord Kivu. Dopo dieci mesi di tregua, nonostante i molteplici accordi di pace siglati a più riprese, lo scorso luglio sono ripresi violenti combattimenti tra le Forze armate regolari del Congo (Fardc) e i ribelli del Movimento del 23 marzo (M23), un gruppo di soldati congolesi (in maggioranza di etnia tutsi) che hanno disertato nell’aprile del 2012. A complicare la situazione ci sono i miliziani hutu delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda che seminano il terrore nei villaggi. Le vittime civili dalla ripresa degli scontri armati si contano a centinaia, gli sfollati superano il milione. Il conflitto va inquadrato nella lotta per il controllo del sottosuolo di una regione ricchissima di risorse minerarie (stagno, tantalio e tungsteno, minerali necessari alla produzione di apparecchi elettronici come computer, cellulari e telecamere). Da mesi Kinshasa e l’Onu denunciano il coinvolgimento diretto del Ruanda e dell’Uganda nella nascita dell’M23 e nella ripresa delle ostilità che destabilizzano l’est della RD Congo (Rdc). casetta coperta di lamiera e tutta avvolta da fili e cavi: la sede di una radio povera che però riesce ad avere oltre 30mila ascoltatori. Akilimali è lì dentro, seduto, che ripassa il proprio servizio, pronto ad andare in onda. È un adolescente con il viso da bambino, ma la vita e le esperienze di un adulto. Ha incominciato ad andare a scuola a soli quattro anni; con voti brillanti e in anticipo rispetto ai suoi coetanei, ora sta già pensando all’università. «Mi sono avvicinato al giornalismo per passione e perché credo che questo mestiere e l’informazione possano aiutare moltissimo». Così spiega la sua decisione di andare alla ricerca di storie e denunciarle davanti ad un microfono: «Fornisco consigli ai bambini, perché evitino la via della microcriminalità, e lancio appelli alle famiglie, perché si facciano carico dei figli e non si verifichino più casi da abbandono». 36
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kenya
lo scatto
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testo di Laetitia Dumont
Foto di Simon Maina/Afp
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lao Ming, ex stella del basket Nba, osserva la carcassa di un elefante ucciso dai cacciatori di frodo nella Samburu National Reserve, 350 chilometri dalla capitale Nairobi. Yao Ming, 33 anni, 229 centimetri di altezza, è un gigante buono: ritiratosi dai campi della pallacanestro nel 2011, dedica il suo tempo libero a promuovere iniziative benefiche a sostegno dell’infanzia e dell’ambiente. In Kenya si è recato per girare un documentario, The End of Wild, finalizzato a far conoscere al grande pubblico i drammatici risvolti del bracconaggio. Secondo un recente studio condotto da esperti naturalisti, la popolazione degli elefanti nei Paesi dell’Africa centrale e orientale si è ridotta di circa due terzi negli ultimi dieci anni a causa della caccia illegale. E proprio la Cina è la principale destinazione del traffico clandestino dell’avorio. •
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Strage
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copertina
testo e foto di Alessandro Gandolfi/Parallelozero
Africa
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Il Kenya scopre il problema dell’obesità infantile 40
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Poco movimento, cibi grassi e bibite gassate in eccesso. Perfino a Nairobi i bambini sovrappeso stanno diventando un fenomeno sociale allarmante. È un effetto perverso dello sviluppo
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ui in Kenya - esordisce Vincent Onywera - l’obesità cresce ogni giorno di più. Secondo un nostro studio, nelle zone urbane il 17% delle studentesse e il 7% degli studenti fra i 9 e gli 11 anni mostrano segni di obesità. Le ragazze sono in numero maggiore perché stanno più spesso in casa, ma per entrambi il rischio di diabete e di artriti precoci è alto». Vincent Onywera è direttore del Centre for International Programmes and Collaboration alla Kenyatta University di Nairobi, ed è stato il primo in Kenya a occuparsi di obesità infantile. «Questo argomento mi ha sempre interessato: un’abitudine presa in tenera età seguirà i bambini fino all’età adulta. Sa una cosa? Noi keniani un tempo eravamo bravi in diverse discipline olimpiche, oggi stiamo perdendo il nostro primato. Ed è anche colpa della nostra alimentazione». Il professor Vincent è al computer, sta leggendo una email arrivata dalla Russia dieci minuti prima: lo hanno invitato a Mosca a parlare dell’obesità in Africa. «A Nairobi - continua - sta crescendo il mercato delle attrezzature da palestra. Perché ci stiamo occidentalizzando, affidiamo i nostri figli ai videogiochi, usiamo troppo l’auto e mangiamo cibo spazzatura. Un cibo che qui è considerato buono e prestigioso».
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copertina
Bimbi in palestra Nel mondo i bambini sovrappeso sotto i cinque anni sono oltre 42 milioni. Secondo l’Organizzazione mondiale della salute (Oms) l’obesità infantile è una delle sfide più grandi che la sanità pubblica dovrà affrontare nel XXI secolo, e la questione oggi colpisce soprattutto i Paesi a basso e medio reddito: di quei 42 milioni, ben 35 vivono in Paesi in via di sviluppo. «Vieni domattina alla Kids Gymnastics, al terzo piano del Lavington Green Center. Etienne arriverà verso le dieci». Patrick Owuor ha quarant’anni, vive a Nairobi ed è il primo in Kenya ad avere aperto una palestra riservata ai bambini: 42
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libri
di Pier Maria Mazzola
Il cacciatore di larve
Le radici nella sabbia
Cristianesimo: Pentecostali
Monsignor Ferrazzetta
Il Corno d’Africa
Un agente dei servizi segreti in pensione sente impellere da dentro una vocazione di scrittore. Non ha mai letto un romanzo in vita sua, ma non si scoraggia e si mette alla scuola dello scrittore di grido della sua città. Tenta di carpirgli, con disarmante ingenuità e ammirevole ostinazione, i riti e i segreti che faranno diventare anche lui un grande autore - e far dimenticare il suo ingombrante passato di spione. Siamo a Khartoum (anche se la città non è particolarmente riconoscibile) e il libro contiene in tono di commedia, oltre al finale a sorpresa, una satira sociale e politica che non poteva mancare in un’opera di questo tipo. Lettura molto piacevole. Finalista al Premio internazionale della fiction araba 2011, è il secondo titolo sudanese in edizione italiana.
Nel rieditare questo suo fortunato titolo, l’antropologo-narratore non aggiorna le pagine scritte all’epoca tra Mali e Burkina Faso. Si trattava infatti, già allora, di un’operazione-verità, in cui Aime comunicava il fascino che l’Africa esercitava su di lui, sottolineando aspetti che fanno a pugni con l’immaginario stereotipato del “turista”, che sul terreno può anche sperimentare delusione davanti a popolazioni “inquinate” dalla modernità. Oggi l’autore aggiunge solo una corposa postfazione, per mettere in evidenza alcune delle mutazioni più rilevanti osservabili quattordici anni dopo. C’è malinconia per certi interventi, per esempio paesaggistici, di marca occidentale; c’è ancora e sempre ammirazione per popoli che continuano a reinventarsi in dialettica con la (post)modernità.
«Oggi, quella pentecostale è una grande famiglia spirituale, composta solo in minoranza da bianchi, più concentrata nelle aree urbane che in quelle rurali, composta più da donne che da uomini, con una marcata presenza giovanile, collocata nei Paesi in via di sviluppo più che nel primo mondo, più povera che benestante». È uno dei passaggi di questa “mappa” - densa, concisa e chiara - del fenomeno religioso più clamoroso del XX secolo. Se i pentecostalismi hanno origini americane, è a sud il loro presente e futuro. Non solo America Latina o Corea del Sud, ma anche Africa. Alle caratteristiche del fenomeno nel continente (specialmente in Kenya, Ghana e Nigeria) sono dedicate diverse pagine di questo lavoro, praticamente unico nel suo genere.
Francescano, primo vescovo della GuineaBissau, Ferrazzetta (1924-1999) è stato un protagonista della storia della ex colonia portoghese. Ha mediato tra le fazioni in lotta nella guerra civile. È morto, senza vederne la fine, dopo oltre 40 anni di eroica dedizione ai lebbrosi, ai poveri, alla Chiesa locale. Questo ritratto mette in luce le sue straordinarie doti morali e cristiane.
Uno sguardo approfondito - che unisce chiarezza a precisione - su un’area del continente estremamente peculiare, e in particolare su Eritrea, Etiopia, Somalia. L’autore, che ci aveva già offerto un bello studio su Somalia. Le ragioni storiche del conflitto (Altravista 2008), aiuta il lettore seguendo una scansione cronologica ed esplicitando la chiave di lettura: per lui il conflitto (e il confine) è quella che rimane la più adeguata. Come suggerisce, infatti, nelle conclusioni, qui «i processi di costruzione degli Stati si sono in gran parte basati su una reciproca competizione» all’insegna di «una mutua e costante contesa militare». Egemonia regionale e «interessi» degli «interlocutori globali» sono fattori essenziali in questa strategica protuberanza d’Africa.
Nottetempo 2013, pp. 193, 14,50 euro
Edt 2013, pp. 181, 12 euro
Emi 2013, pp. 159, 12 euro
di Amir Tag Elsir
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di Marco Aime
di Paolo Naso
di Matteo Guglielmo
a cura di Filomeno Lopes
Il Mulino 2013, pp. 190, 13 euro
PERCHÉ POCHI
Come mai sono rari i titoli africani in Italia? La risposta è nella domanda: se le vendite di questa nicchia di letteratura andassero bene, gli editori non si farebbero pregare. C’è poi la perdurante crisi. Il libro rimane la “merce” che fornisce l’utile più basso a ogni anello della catena produttiva, dall’autore al libraio passando per editrice, tipografia, ecc. Certo ci sono i Saviano e i Dan Brown. Ma quelli non fanno… testo.
Il Mulino 2013, pp. 190, 13 euro
musica
di Claudio Agostoni
MIss PerFuMAdo CesAriA evorA
Se si vuole avere una basica discografia di musica africana è tassativo includerci almeno un album di Cesária Évora, la regina scalza dell’arcipelago di Capo Verde. Se non ne possedete nemmeno uno potreste regalarvi l’edizione de luxe di Miss Perfumado. Edito per festeggiare i vent’anni dalla sua pubblicazione, è uno dei capolavori di Cesária, Cize per gli amici. E Cize è una delle trenta tracce di questo doppio cd (l’album originale opportunamente rimasterizzato e un secondo, composto da 17 chicche pescate da un repertorio sterminato) pregno di nostalgiche morne e di coladeras vischiose e profumate. Ci sono capolavori senza tempo come Angola (scritta da Ramiro Mendes) e Sodade, la quintessenza nostalgica della musica capoverdiana. Mentre tra le chicche meritano una segnalazione Mar Azul e la piano bar version di Nova Sintra.
LALAny
roberto isAÍAs
Se su LinkedIn trovate il profilo professionale di tale Roberto Isaías, lasciate perdere. È solo un suo omonimo equadoregno. Il nostro Isaías, quello vero, arriva dal Mozambico e sulla sua carta d’identità, alla voce professione, c’è scritto “compositore, produttore e cantante”. Fondatore del gruppo Kappa Dech, affianca da sempre l’attività artistica all’impegno sociale (è tra i promotori dell’Ocpa, acronimo dell’Osservatorio delle politiche culturali in Africa). Il disco è di qualche anno fa, ma merita di essere riscoperto perché è un lavoro capace di costruire un ponte tra i ritmi mozambicani e la musica brasiliana (non a caso tra i fan di Isaías, c’è un certo Gilberto Gil). Un ponte dove passano star internazionali come Marcus Miller e un grande bassista come Artur Maia…
nAtIve sun
blitz the AMbAssAdor
Se oggi la colonna sonora dell’Africa urbana è l’hip hop non c’è da stupirsi: è solo un came back. La conferma arriva da Samuel Bazawule, in arte Blitz the Ambassador, un rapper di successo negli States. Non è un figlio dei ghetti delle metropoli a stelle e strisce. È nato in Ghana, ad Accra, e musicalmente si è svezzato slalomeggiando tra afro-beat, highlife, jazz e suoni Motown. La sua vita è cambiata quando il fratello maggiore gli fece scoprire It Takes A Nation Of Millions To Hold Us Back dei Public Enemy. Trasferitosi negli Stati Uniti per frequentare il college, Blitz iniziò ad autoprodursi i primi tapes. Nel 2009 esce Stereo Type, il suo primo cd, a cui segue questo Native Sun. Due lavori con un’idea precisa: reinventare l’hip hop a sua immagine e somiglianza, portandoci dentro l’Africa e i suoi strumenti.
Un fIlm mUsICalE da nOn PERdERE
Nei quartieri di Kinshasa, nelle piazze dei quartieri più popolari, si esibisce riscuotendo un discreto successo un’orchestra sinfonica che vanta un repertorio che passa da Carl Orff (l’autore dei Carmina Burana) a Beethoven. È l’Orchestre Symphonique Kimbanguiste ed è la protagonista del documentario di Claus Wischmann e Martin Baer in uscito in Germania il 14 settembre: Kinshasa Simphony. www.kinshasa-symphony.com
Una PaROla da ImPaRaRE Il karindula è un genere musicale nato a Lubumbashi, una città mineraria del Katanga, nel sud est della RD Congo. Una musica basata su uno strumento che porta lo stesso nome: un enorme banjo che ha come cassa un barile di petrolio (su cui si siede il musicista) su cui viene tesa una pelle di capra. Il suono spazia dalla riproposizione di tradizionali ritmi bemba e luba al reggae. Su Youtube potete vedere il video di una Karindula Session.
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lo scatto
testo di Marco Trovato foto di Simon Maina/Afp
sole nero 50
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kenya
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re abitanti di Kibera, il maggiore slum di Nairobi, osservano un’eclissi solare. Il prossimo 3 novembre questo raro fenomeno astronomico sarà visibile in gran parte del continente africano (e solo parzialmente nel sud dell’Italia). Il cerchio incandescente del sole sarà completamente oscurato per circa un minuto dal cono d’ombra creato dalla Luna. Nella fase massima dell’eclissi il giorno diventerà notte. L’eccezionale evento inizierà in Liberia e Sierra Leone, transiterà per una decina di nazioni dell’Africa occidentale e centrale per concludersi in Uganda, Kenya, Etiopia e Somalia. I tour operator hanno messo in vendita viaggi speciali per i turisti interessati a non perdersi lo spettacolo mentre nei supermercati della capitali africani è già iniziata la corsa per accaparrarsi occhiali da saldatore e speciali schermi protettivi. •
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testo di Peter Harwood
foto di Carl De Souza/Afp
Per diventare 52
adulti
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In Sudafrica ogni anno ventimila ragazzi di etnia xhosa si sottopongono al rito tradizionale della circoncisione che segna il passaggio all’età adulta. Ma decine di giovani muoiono dopo essersi sottoposti alla cerimonia
«U
n colpo di pistola nelle vene» così Nelson Mandela ricordava nella sua biografia il giorno in cui subì la circoncisione rituale del popolo xhosa. «La cerimonia ebbe inizio a mezzogiorno», raccontava il leader sudafricano. «Ci ordinarono di metterci in fila in uno slargo vicino al fiume. Eravamo avvolti in una coperta rituale. Quando, con un rullo di tamburi, la cerimonia ebbe inizio, ci fecero stendere la coperta sul terreno e ognuno di noi vi si sedette con le gambe protese in avanti. Il momento cruciale era vicino. Non era più possibile tornare indietro. Mostrare segni di debolezza sarebbe stato un disonore. La circoncisione è una prova di coraggio e di stoicismo; non si usano anestetici: un uomo deve soffrire in silenzio. Sulla destra, con la coda dell’occhio, vidi un uomo magro e anziano uscire da una tenda e inginocchiarsi davanti al primo ragazzo. Tra la folla serpeggiò agi-
tazione, e io rabbrividii leggermente comprendendo che il rito stava per iniziare. Ad un certo punto il vecchio si inginocchiò davanti a me. Lo guardai dritto negli occhi. Il suo viso era pallido. La mani si muovevano così velocemente da sembrare guidate da una forza sovraumana. Senza dire una parola mi prese il prepurzio, lo trasse verso di sé e, con un unico movimento, calò la zavaglia. Mi parve che del fuoco si riversasse nelle vene; il dolore fu così forte che affondai il mento nel petto. Molti secondi passarono prima che mi ricordassi di lanciare il grido che mi avevano insegnato: Ndiyindoda!, Sono un uomo!».
Strage silenziosa Ancora oggi, ogni primavera tra le colline del Transkei, una regione grande quanto la Svizzera incuneata nel cuore del Sudafrica, migliaia di ragazzi xhosa celebrano il passaggio fondamentale all’età adulta con la circoncisioafrica · numero 5 · 2013
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cultura
Ragazzi xhosa si preparano per sottoporsi alla cerimonia della circoncisione, nei pressi di Qunu. Dopo essersi purificati nelle fredde acque di un fiume, camminano verso l’anziano che officerà il rito, indossando come unico indumento una coperta rituale. Alla conclusione della cerimonia, nel cuore della notte, i ragazzi seppelliranno i prepuzi nella savana, affinché nessun mago possa impadronirsene per usarli a scopi malvagi. Conosciuta fin dai tempi degli antichi egizi, la circoncisione è praticata in Africa per motivi culturali e religiosi
Celebrità xhosa
ne. È una cerimonia che affonda le sue radici nella notte dei tempi, il momento più importante nella vita di ogni Xhosa. Solo dopo questo rituale è possibile sposarsi, mettere su casa, lavorare nei campi e partecipare alle decisioni della comunità. Gli adolescenti attendono con trepidazione il grande giorno. Ma tal-
volta questo evento festoso si trasforma in un dramma. Ogni anno decine di giovani tra i 13 e i 21 anni perdono la vita durante il rituale. Nel 2013 le vittime sono state un cinquantina, nel 2012 ventisette, l’anno prima trentatré... Nell’arco degli ultimi quindici anni il bilancio dei morti supera quota 200.
Diffusi nella parte sudorientale del Sudafrica, gli Xhosa sono un gruppo etnico di origine bantu, il secondo per numero nel Paese dopo gli Zulu. Secondo la loro religione tradizionale, attorno al Dio della creazione, uDali o Tixo, si sviluppa un complesso olimpo di spiriti, benevoli e malevoli. Il rapporto fra lo Xhosa e il divino è mediato dai sacerdoti, i sangoma, depositari della magia e maestri di divinazione. Nelson Mandela è un celebre Xhosa. Altri personaggi famosi appartenenti a questa etnia sono Stephen Biko, Miriam Makeba, Thabo Mbeki, Desmond Tutu, Chris Hani, Oliver Tambo e Walter Sisulu: politici, artisti e attivisti accomunati da una vita consacrata all’impegno civile e alla lotta contro il regime dell’apartheid.
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cultura
testo di Emanuela Zuccalà foto di Loris Savino
In una polverosa bottega di Nouakchott sono conservati centinaia di dischi introvabili che hanno fatto la storia della musica. Ma il suo proprietario non ha la minima intenzione di venderli ai collezionisti
La Puntina d’Oro Visita all'ultimo negozio di dischi della Mauritania
«N
on conosce te Malouma?». L’omino in camicia marrone è scandalizzato. Estrae un vinile dalla pila sul pavimento, aziona il giradischi, assapora il fruscio della puntina. Nella stanzetta rosa si diffonde una voce femminile dal timbro blues su melodie saheliane. «Non conoscere Malouma in Mauritania è come ignorare Adriano Celentano in Italia», sentenzia Ahmed Vall indicando una vecchia copia di Disco Dance, l’album di Celentano del 1977, in bella mostra tra un disco dei Cock Robin e la colonna sonora di Grease.
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Il regno di Ahmed è fatto così: caotico, africano e cosmopolita insieme. Un puzzle di vinili, alcuni rarissimi, tra nomi internazionali e collezioni dall’Africa occidentale. Un viaggio schizofrenico da Fela Kuti ai Pink Floyd, dal soukous a James Brown, dal reggae giamaicano alla rumba congolese. Si chiama Saphir d’Or (“Puntina d’Oro”, quella del giradischi, ovviamente), il negozio di dischi di Ahmed Vall, ed è l’unico rimasto in tutta la Mauritania. Una porticina in lamiera su un vialone polveroso nel centro di Nouakchott, tra un ristorante e
una rivendita di televisori. Un luogo di ritrovo per la gente del quartiere Medina 3, che qui viene a bere tè alla menta, a parlare di calcio, a godere della musica e delle doti affabulatorie del proprietario.
Vietato vendere Ahmed Vall ha 54 anni ed è originario del deserto a sudest. Negli anni Settanta si è trasferito nella capitale, faceva il tassista e nel tempo libero praticava la passione per la musica in un Paese che all’epoca godeva di una scena vibrante. «C’erano discoteche, negozi di dischi, e i concerti dell’Orchestra Nazionale
erano affollati», racconta. «La gente andava pazza per il soul americano e per le orchestre senegalesi e ivoriane. Io facevo il dj, organizzavo serate anche per il Rotary Club, negli hotel e nelle piazze. Giravo con la mia valigia piena di dischi e facevo ballare fino al mattino. Negli anni Ottanta è finito tutto». Ahmed non sa spiegare perché: forse per la crescente povertà nel Paese, o per i conflitti etnici tra la popolazione bianca e quella nera durante la ventennale presidenza di Sid’Ahmed Taya. O per la progressiva islamizzazione della società mau-
cultura
testo di Paola Marelli foto Afp
Rivive il villaggio
Costa d’Avorio, dopo la guerra torna in attività Musica, danza, teatro e moda. Da oltre 25 anni un villaggio alle porte di Abidjan ospita centinaia di giovani provenienti da tutta l’Africa che ambiscono a percorrere la carriera artistica…
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e strade del successo passano da Abidjan. Di questo sono convinti le centinaia di giovani africani diplomatisi al villaggio Ki-Yi che sorge alle porte della capitale economica della Costa d’Avorio. Dal 1985 questa prestigiosa accademia d’arte panafricana attira da ogni parte
del continente schiere di ragazze e ragazzi che sognano di lavorare nel mondo dello spettacolo. L’idea di consacrare un intero villaggio all’insegnamento della musica, della danza e del teatro è venuta in gioventù alla celebre artista Werewere Liking, un’intellettuale eclettica e poliedrica di origini ca-
merunesi, stabilitasi ad Abidjan nel 1978. «Il villaggio - ricorda la scrittrice, drammaturga, attrice, cantante… - fu creato con l’obiettivo di valorizzare le nostre culture ancestrali, contaminarle e arricchirle tra loro, e trasmetterle a tutti quei giovani desiderosi di affermarsi in campo artistico a livello interna-
La difficile stagione ivoriana Nell’aprile del 2011, con la proclamazione a Presidente di Alassane Ouattara, la Costa d’Avorio ha formalmente chiuso una guerra civile durata dieci anni. Ma nel Paese (un tempo potenza economica dell’Africa, leader nell’esportazione di cacao, caffè e legname) permane ancora un clima di forte insicurezza. La causa è da una parte la gran quantità di armi ancora in circolazione, e dall’altra una
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grave crisi economica che ha fatto lievitare i prezzi, facendo esplodere il numero di furti, saccheggi e rapine. Inoltre molti sostenitori dell’ex presidente Laurent Gbabo (incarcerato dalla Corte Internazionale dell’Aja con l’accusa di crimini di guerra) non si sono rassegnati alla sconfitta e danno vita a proteste e manifestazioni spesso violente. (R. Masto)
zionale». Da oltre 25 anni il Ki-Yi Village tiene corsi di formazione, produce spettacoli di successo, fa ricerca e sperimentazione all’avanguardia. Soprattutto sforna giovani talenti nell’ambito della musica, della danza e del teatro e della moda.
Ai fasti di un tempo Sotto la direzione artistica di Werewere Liking e di sua sorella Nserel Njock, da sempre attive per la diffusione della cultura, decine di studenti di diverse etnie e nazionalità - provenienti in particolare dai Paesi francofoni - frequentano ogni giorno laboratori di recitazione, canto, poesia e percussioni, condividendo spazi e attività come una grande famiglia. Il villaggio si autofinanzia
degli artisti
lo storico Ki-Yi Village
A Colpo d’oCChio
con i concerti e gli spettacoli dei suoi artisti veterani - riuniti nel gruppo Ki-Yi Mbock - che tengono tour internazionali molto quotati. «Abbiamo vissuto momenti molto difficili durante la guerra civile che ha sconvolto il Paese», confessa Werewere Liking. Le attività della scuola hanno subito una fase di stallo, il villaggio è precipitato sulle soglie della bancarotta. Gli effetti della crisi non sono ancora superati. «Del centinaio di artisti di una volta ne restano una trentina e le finanze non sono ancora solide», spiega Landry Louhoba, insegnante di danza, che ha ripreso da pochi mesi i suoi corsi. «Ma sono ottimista: il peggio è alle spalle… Il villaggio degli artisti tornerà ai fasti di un tempo». •
Popolazione. 23 milioni Età media. 20 anni Lingua. francese Religioni. musulmani 39%, cristiane 33%, tradizionali 28% Città principali. Abidjan (sede del Governo) e Yamoussoukro (capitale) Presidente. Alassane Dramane Ouattara Economia. cacao, caffè, legname, petrolio, cotone, banane, ananas, olio di palma, pesce.
CINEMA 3D Cinema di Abidjan presi d’assalto per il primo film d’animazione in 3D della storia della Costa D’Avorio, Pokou, principessa Ashanti. Racconta di un’antica leggenda locale che ha come per protagonista Abla Pokou, regina africana che nel XVIII secolo salvò il suo popolo dalla guerra guidandolo dal Ghana verso la Costa d’Avorio dove fondò l’etnia Baoulé. Personaggi, ambientazione ed effetti speciali sono stati realizzati al computer da una dozzina di tecnici ivoriani, tutti autodidatti. Il lungometraggio, costato circa 150mila euro, ha già incassato cinque volte tanto. www.afrikatoon.com(R. Masto)
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sport
testo e foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero
Nel quartiere di Bukom, antico suburbio della capitale del Ghana, sono nati e cresciuti i migliori campioni africani dei guantoni. E ancora oggi i giovani qui si allenano in decine di palestre e ring ricavati tra le baracche di lamiera
La città della boxe 60
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no degli Stati africani con i tassi di crescita economica più alti del continente è il Ghana. La sua democrazia sembra solida e la sua capitale Accra si sta velocemente trasformando in una grande metropoli congestionata di traffico e palazzi che spuntano come funghi, scardinando le vecchie abitazioni che vengono abbattute senza troppi rimpianti. Ma una piccola parte della città ha mantenuto intatta la tipica fisionomia di un villaggio di pescatori. Il suo nome è Old Accra, ma gli abitanti la conoscono come Ga Mashie, dal nome della popolazione che si stabilì su queste coste alcuni secoli fa: i Ga, appunto. Qui la vita si svolge in gran parte all’esterno delle case, con banchetti di venditori delle merci più svariate e… quadrati di legno e cemento che ospitano ogni giorno decine di incontri di pugilato.
La leggenda invisibile Lo sport che tutti i giovani di Ga Mashie vogliono fare non è il calcio, come altrove, ma la boxe. «Vuoi incontrare Azumah Nelson? Non puoi. Lui è una leggenda vivente, non puoi incontrare una leggenda. Al massimo puoi sentire la sua voce al telefono». Così si esprime Eben Martey, il giovane allenatore di una palestra ricavata nel cortile di una scuola elementare, dove il ring è un semplice
Ghana, reportage dal sobborgo di Accra che sforna i più forti pugili d’Africa
quadrato disegnato sul selciato. Subito dopo compone un numero telefonico. All’altro capo del filo una voce profonda conferma di non avere tempo per un incontro a quattr’occhi e la linea particolarmente disturbata rende difficile anche una semplice intervista telefonica. Eben mi guarda soddisfatto e dice: «Vedi, non si può incontrare una leggenda». Azumah Nelson, tre volte campione del mondo dei pesi piuma e super-piuma, è considerato il più grande pugile prodotto dal continente africano ed è nato nel quartiere di Bukom, vera anima pulsante del pugilato di Ga Mashie.
Polvere e sudore Ma non è l’unico. Altri pugili nati e cresciuti qui si sono laureati campioni del mondo. È il caso di Joshua Clottey o Ike “Bazooka” Quartey, il più giovane di 27 fratelli nati da 5 madri diverse e da un unico padre, che fu campione mondiale dei pesi welter. Il volto di “Bazooka” campeggia dipinto sui muri di alcune delle 27 palestre tuttora in attività a Bukom. Con lui frasi del tipo No pain no gain (“Senza dolore non si vince”) o Hard at training! Easy in the ring (“Duro in allenamento, tranquillo sul ring”) incitano i ragazzi che incrociano i guantoni in gran numero sin dalla più tenera età. Tutte le palestre di Old Accra, nonostante nomi africa · numero 5 · 2013
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viaggi
testo di Enrico Casale
Sull’isola di Napoleone Alla riscoperta di uno storico approdo nel bel mezzo dell’Atlantico
Situata al largo delle coste occidentali dell’Africa, Sant’Elena è una delle più remote isole del mondo. La sua fama è legata all’esilio dell’imperatore francese. Ma la sua solitudine estrema è destinata a rompersi…
«E
Benché non appartenga ufficialmente al continente africano, Sant’Elena si può raggiungere via mare dal Sudafrica a bordo di una storica nave della Royal Mail, oppure a bordo dei mercantili in partenza dal porto angolano di Lobito che fanno rotta per il Sudamerica
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i fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro…». Era il 5 maggio 1821 e Napoleone Bonaparte moriva solo, abbandonato da tutti, in un’isola sperduta dell’oceano Atlantico. Talmente sperduta che la notizia della sua scomparsa arrivò in Europa solo il 16 luglio. E proprio quel giorno Alessandro Manzoni scrisse di getto la sua ode in onore all’ex imperatore. Quell’isola è Sant’Elena e ancor oggi, al tempo di internet e delle comunicazioni satellitari, una notizia come quella della morte del grande condottiero francese impiegherebbe
giorni a raggiungere l’Africa e da lì l’Europa. Perché, nonostante tutto, Sant’Elena è ancora uno dei luoghi più sperduti della Terra.
Approdo strategico Situata a 1900 chilometri dalla costa dell’Angola e a circa 3000 da quella del Brasile, Sant’Elena è un’isola di origine vulcanica. A scoprirla per caso fu, nel 1502, il navigatore galiziano João da Nova. L’approdo si rivelò una buona base per i marinai perché ricco di vegetazione e di acqua dolce. Ben presto divenne terra contesa da portoghesi, spagnoli, olandesi e britannici. Nel 1659 venne
chiese
testo di Marco Trovato foto di Marco Trovato e Bruno Zanzottera
Missione In visita alle sperdute missioni cattoliche del Barotseland
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Nelle remote pianure alluvionali dello Zambesi, al confine tra Zambia e Angola, le suore comboniane devono convivere con la solitudine e le difficoltà di annunciare il Vangelo in un vasto territorio sconvolto da periodiche inondazioni
L
e acque sonnacchiose dello Zambesi serpeggiano nelle vaste pianure alluvionali del Barotseland, antico regno africano esteso alle estreme propaggini occidentali dello Zambia. «Siamo fortunati: la stagione delle piogge è in ritardo», sorride suor Kasumi, comboniana di origini peruviane che si è offerta di accompagnarci a Kalabo, la più sperduta delle missioni cattoliche, vicinissima alla frontiera con l’Angola. La suora ha lo sguardo concentrato sul nastro di polvere bianca, fine come borotalco, che minaccia di inghiottire il nostro fuoristrada. «Presto sarà impossibile percorrere questa pista e le consorelle di Kalabo resteranno isolate per molti mesi».
Isolate dalle acque
Gli operai cinesi che stanno costruendo la nuova strada di asfalto non faranno in tempo a terminare i lavori. Con l’arrivo dei temporali lo Zambesi diventerà scuro e limaccioso e si gonfierà fino a rompere gli argini. «Le inondazioni aggraveranno i problemi sanitari», avverte suor Ruth Tuitoek, infermiera comboniana impegnata nell’ospedale governativo di Kalabo. «Qui la gente muore di malaria, infezioni respiratorie, dissenteria. L’Aids è una piaga devastante. Mancano dottori e medicine… E quando resteremo isolati in mezzo all’acqua, tutto diventerà dannatamente più difficile». Il fiume arriverà a lambire la missione di Kalabo. «Saremo assediate da serpenti e coccodrilli», sospira suor Daria Gabardi, 75 anni, lombarda, in Zambia dal 1980. «Dovremo muoverci con le canoe e attendere fiduciose la fine delle piogge, in primavera, quando lo Zambesi tornerà a ritirarsi lasciando dietro di sé un’immensa palude fangosa».
Zambesi
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chiese
Suor Kasumi, comboniana di origini peruviane, in una cappella rurale. Pagina precedente: Suora Daria Gabardi, 75 anni, lombarda, apre il cancello della missione di Kalabo
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Spiriti ancestrali «Il Barotseland è il cuore caldo e umido dell’Africa», sorride padre James Connolly, il volto imperlato dal sudore, vicario generale della diocesi di Mongu. «I
primi missionari giunsero nella regione alla fine dell’Ottocento con l’obiettivo di convertire la popolazione al cristianesimo. Furono ben accolti. Ma non riuscirono a estirpa-
re credenze e tradizioni tramandate da secoli». La gente che abita queste polverose lande continua a credere nelle divinità del pantheon tradizionale, rende omaggio agli spiriti
Nero o “di colore”?
nella nostra società un significato spregiativo. Quindi non è semplice districarsi. Le parole, a volte, non aiutano. Il dibattito è aperto: mi piacerebbe sapere cosa ne pensano i lettori di Africa. Il direttore
SOS dal Burundi Piccola nota polemica. Agli africani non piace definirsi “di colore” , ma “neri” ed hanno ragione. Attenzione all’uso delle parole! Rosanna Conti, via mail Neri o “di colore”: qual è l’espressione “politicamente corretta”? Il ministro Kyenge, lo scorso giugno, ha dichiarato: «Sono nera, non di colore, e ne vado fiera». A voler essere rigorosi gli africani non sono affatto neri (come noi occidentali non possiamo definirci “bianchi”). Semmai il termine corretto per indicarli sarebbe “negri” (la negritudine è stato un movimento letterario, culturale e politico che si proponeva di affrancare gli africani dal complesso di inferiorità imposto dai colonizzatori). Ma il termine negro, col tempo, ha acquisito
Sono un sacerdote, vi scrivo dal Burundi. Vorrei lanciare un appello tramite le pagine di Africa per aiutare delle giovani donne della mia parrocchia, fuggite dalla guerra che sta devastando l’est del Congo. Si tratta di ragazze, spesso minorenni, che hanno dovuto subire violenze terribili perpetrate da banditi e guerriglieri. Il progetto Giustizia e Pace che ho ideato mira a far conoscere i drammi di queste donne e difendere le ragazze che sono rimaste vittime di abusi. Costo preventivato: 5.450 euro. Maggiori informazioni: donfederico1957@yahoo.co.uk don Federico Kyalumba Diocesi di Uvira
Eroi e criminali chiese
testo di Marco Trovato
«Non sono un eroe» Incontro con padre Mario Falconi, missionario coraggioso in Ruanda
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na coltre di nuvole grigie ha inghiottito le colline del Ruanda. La stagione delle piogge è arrivata in anticipo. I primi temporali hanno trasformato le piste in torrenti in piena. Non è stato facile raggiungere la remota missione di Muhura, nei pressi del confine ugandese, 120 chilometri a nord della capitale Kigali. Il fuoristrada arrancava sulle salite, scivolava sulle pietraie, sprofondava nella fanghiglia. «Temevo che non ce l’aveste fatta a giungere fin quassù», ci accoglie padre Mario Falconi, settant’anni, fisico asciutto e slanciato, avvolto in una lunga tunica bianca. «Siete arrivati giusto in tempo per il pranzo: accomodatevi a tavola, così potremo parlare».
responsabili di fatti gravissimi e indifendibili. Il direttore
Due pesi due misure? lo scatto
Situazione esplosiva
Durante il genocidio del 1994, costato un milione di vittime, un missionario bergamasco riuscì a salvare tremila persone dai machete dei carnefici. «Ancora oggi fatico a credere di essere riuscito a sopravvivere a quei giorni infernali» 68
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Questo missionario barnabita, nato in un paesino della provincia di Bergamo e trasferitosi quarant’anni fa nel cuore dell’Africa, ha una storia importante da raccontare: una storia personale che s’intreccia con quella di migliaia di altre persone. Ascoltiamo il suo racconto sotto una tettoia in lamiera percossa da scrosci rabbiosi. «Pioveva a dirotto anche in quella dannata primavera della 1994», ricorda il sacerdote, capelli brizzolati, naso aquilino, il volto solcato dalle rughe, occhiali enormi che riflettono lampi di luce. «Ero arrivato da poco in Ruanda, dopo diciott’anni di missione nell’Est del Congo. Qui trovai una situazione politica e sociale molto tesa».
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Ho visto il vostro articolo Non sono un eroe su padre Mario Falconi, il missionario italiano che durante il genocidio del 1994 in Ruanda salvò 3mila persone dai machete dei carnefici. Ma perché non ricordate anche i sacerdoti cattolici che scapparono o chiusero gli occhi di fronte all’eccidio, o peggio parteciparono attivamente ai massacri? Domenique Igihozo, via mail Gentile signor Igihozo, se invece “di vedere” l’articolo su padre Falconi avesse fatto anche lo sforzo di leggerlo, si sarebbe accorto che non c’è stata da parte nostra alcuna lacuna, né tantomeno alcuna censura. A pagina 73 abbiamo titolato Eroi e criminali in tonaca un testo piuttosto articolato in cui ricordiamo sacerdoti e gerarchi della Chiesa ruandese che nella primavera del 1994 si resero
contro la casta testo di Nzioka Museru foto di Tony Karumba/Afp
kenya
lettere
a cura della redazione
Bruno Zanzottera/Parallelozero
togu na - la casa della parola
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Non generalizziamo signora Scotti. I politici (italiani e africani) non sono tutti uguali: non tutti meritano di essere additati come corrotti, incapaci, avidi o impresentabili. E non tutti i mezzi di informazione sono uguali. Il direttore
Ritorna il campionato di calcio coi suoi problemi irrisolti. Che cosa dovrebbero fare i giocatori bersagliati dai cori razzisti negli stadi? 5% Uscire dal campo per protesta 15% Mostrarsi indifferenti 65% Esigere la sospensione della partita 15% Andare a giocare in un Paese più civile
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Ho visto (Contro la Casta - Africa 4/2013) che vi accanite senza troppi riguardi contro la classe politica africana - avida, corrotta, incapace... Giusto, bravi. Ma perché non vedo lo stessa severità nei media italiani nel giudicare la nostra impresentabile cricca di politicanti? Due pesi, due misure? Forse prima di giudicare l’Africa dovremmo guardare a noi stessi. E farci un esame di coscienza. Viviana Scotti, Milano
sondaggio PaReRi RaCColti sulla Pagina FaCebook di aFRiCa
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anifestanti kenioti prendono a calci un maiale di cartapesta imbrattato di sangue: è l’insolita protesta anti-casta andata in scena nelle scorse settimane davanti al Parlamento di Nairobi, la capitale del Kenya. Centinaia di persone sono scese in piazza per contestare la decisione dei deputati locali - già tra i più pagati al mondo - di aumentarsi lo stipendio, portandolo a circa 8mila euro al mese (oltre 100 volte superiore al salario medio di un lavoratore). Ai cortei hanno partecipato anche decine di veri suini liberati dai dimostranti nelle strade della città. «I maialini simboleggiano l’ingordigia dei nostri politici», ha spiegato Boniface Mwangi, leader del gruppo Occupy Parliament che è finito in manette insieme a dozzine di altri manifestanti. •
africa rivista
n. 5 settembre . ottobre 2013 www.missionaridafrica.org
Tra i neri del Brasile
Padri Bianchi in una “nazione arcobaleno” La decennale presenza dei Padri Bianchi, Missionari d’Africa, a fianco delle popolazioni più povere ed emarginate del grande Paese latinoamericano Il bairro Federação, a pochi passi dalle spiagge e dai rinomati hotel per turisti, è un quartiere popolare e tranquillo. Qui si trova una delle due case dei Padri Bianchi in città e in tutto il Paese. È su Salvador, capitale dello Stato di Bahia e capitale culturale dei negros brasiliani, che i missionari hanno deciso di concentrare la loro attività pastorale. «Il cuore africano del Brasile è la Bahia e di questa, Salvador», lo conferma padre Hubert Roy, 84 anni, belga, che con padre Angelo Lee si occupa oggi della pastorale a Federação. Padre Hubert è arrivato in Brasile per la prima volta nel 1984, anno indicato dagli storici come quello che segna l’inizio del lento passaggio alla democrazia, dalla dittatura instauratasi 20 anni prima. Statua di Zumbi dos Quella dei Padri Bianchi è quinPalmares (1655-1695), di una presenza attiva da quasi 30 anni. La città ideale per una sorta di Spartaco fare missione è sembrata da brasiliano. Eroe della subito Salvador, ma per l’eresistenza negra ai piscopato brasiliano non era colonizzatori, fu il un’ipotesi possibile. Dopo leader del Quilombo varie ricerche, l’unica diocesi de Palmares, la prima a rispondere fu Curitiba, caRepubblica democratica pitale nello stato di Paraná, brasiliana (1602-1694)
testo di Sara Milanese foto di Matteo Merletto stato ricco e bianco, meta, soprattutto nel secolo scorso, di immigrati europei: tedeschi, italiani, polacchi, ucraini. Don Pedro Fedalto, vescovo di Curitiba, si rivelò aperto a una dimensione universale della Chiesa e accolse i missionari con l’obiettivo di aprire i brasiliani al mondo intero, e in particolare a quello africano.
La missione di Pinhais
Per i primi due anni la pastorale dei Padri Bianchi si concentra in città, «poi con il vescovo ausiliario, che aveva apprezzato molto il nostro stile e il nostro lavoro, abbiamo cercato un luogo migliore dove iniziare una parrocchia. Così ci siamo trasferiti a Pinhais». Inserito nella regione metropolitana di Curitiba, Pinhais è il più piccolo per estensione dei circa 400 comuni dello stato di Paraná. Ma è anche tra i 15 municipi più densamente popolati. «La gioia più grande di quegli anni è stata quella di immergerci nel contatto con le persone. Con padre Jacques, nei primi anni siamo riusciti a costruire 7 cappelle, partendo da vere e proprie capanne di paglia!» Nella decade degli anni ‘90 Pinhais conosce un veloce sviluppo economico e commerciale, tanto da rientrare, nell’anno 2000, nella classifica dei 100 migliori municipi del Brasile. Qui, come altrove in Brasile, sono ben evidenti le disuguaglianze sociali: benchè la popolazione sia a maggioranza bianca, anche in Paraná è presente da secoli una nutrita comunità afrodiscendente, e lo testimonia la presenza di oltre 100 quilombos (accampamenti di ex schiavi africani, ndr) su tutto il territorio paranemense. Gli afro-
padri bianchi . missionari d’africa
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PROGETTI ATTIVI da AMICI DEI PADRI BIANCHI - ONLUS Progetto 04-10 Mali Chiesa di Masina
Referente: padre Alberto Rovelli
Progetto 05-10 Mali Formazione dei catechisti
Referente: padre Arvedo Godina
Progetto 07-10 Borse di Studio Aiutare i seminaristi Padri Bianchi Referente: padre Luigi Morell
Progetto 09-10 Mozambico Adotta un bambino
Referente: padre Claudio Zuccala
Progetto 01-11 RD Congo Centro nutrizionale e acquedotto Referente: padre Italo Iotti
Progetto 04-11 Mali Un dispensario a Gao
Referente: padre Alberto Rovelli
un popolo religioso «I brasiliani sono un popolo religioso, con una forte spiritualità e alla ricerca del sacro, atteggiamento che li spinge verso queste nuove Chiese. Dopo un passato di forte impegno sociale, oggi la Chiesa cattolica in Brasile insiste maggiormente sul culto e le pratiche religiose, affidando ai movimenti carismatici la sua missione evangelizzatrice. La scelta di Rio come sede della Giornata Mondiale della Gioventù ha di certo risposto anche al bisogno di affermare la presenza della Chiesa cattolica in Brasile e in tutta l’America latina». padre Angelo Lee clero locale nel 2009: «Lo abbiamo deciso in accordo con il vescovo locale, che mi ha concesso di rimanere a Pinhais per collaborare con i preti diocesani fino alla fine del 2012. Dopo un periodo trascorso in Europa ad occuparmi della mia salute, sono a Salvador dai primi di giugno.»
Il futuro della Chiesa: i giovani Una delle priorità per la congregazione oggi sono i giovani: «Come ha detto anche l’arcivescovo di Rio nel discorso di accoglienza di Francesco per la Giornata Mondiale della Gioventù, dobbiamo ascoltare questi giovani, quelli che sono scesi nelle strade le scorse settimane, quelli che hanno accolto la croce della GMG durante tutto questo anno, che hanno pregato per questo incontro» conclude padre Hubert. Sono stati tanti i motivi che hanno portato in piazza i giovani brasiliani lo scorso giugno: corruzione, spreco di denaro pubblico, mancanza di servizi sanitari, sistema scolastico carente... l’aumento del prezzo del biglietto dell’autobus è stata solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. A Salvador però, i giovani in piazza hanno manifestato anche contro le discriminazioni razziali: nel carcere locale ci sono quasi esclusivamente detenuti negros; i quartieri più popolari, dove la presenza di afrodiscendenti è maggiore, sono quelli anche più carenti di servizi; la polizia non si fa scrupolo di calpestare i diritti dei senza fissa dimora, quasi tutti neri. La sfida del nuovo movimento di protesta di Salvador è ora quella di riuscire a coinvolgere anche la parte della città più ricca. Così da far diventare veramente il Brasile una “Nazione arcobaleno”.
Progetto 13-11 Kenya A scuola grazie a suor Agata Referente: padre Luigi Morell
Progetto 14-12 RD Congo Con i giovani di Goma
Referente: padre Giovanni Marchetti
Progetto 15-12 Mali Lotta contro la carestia
Referente: padre Vittorio Bonfanti
Progetto 18-2013 Ghana Una moto per Tom Zendaagagn
Referente: padre Richard K. Baawobr Per ogni invio, si prega di precisare sempre la destinazione del vostro dono (numero progetto, sante messe, rivista, offerte, ecc) ed il vostro cognome e nome
Le donazioni (assegni, bonifici e versamenti) sono detraibili e vanno intestate a: amici dei Padri Bianchi - onLUs ccP: n. 9754036 iBan: it32 e076 0111 1000 0000 9754 036 credito cooperativo di treviglio Bg iBan: it73 H088 9953 6420 0000 0172 789 Paypal: http://www.missionaridafrica. org/progetti/ info: 0363 44726 - africa@padribianchi.it
padri bianchi . missionari d’africa
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«Grazie Signore»
Le ultime parole di un Missionario Padre Ugo Ceccon ci ha lasciati proprio mentre siamo in chiusura di questo numero di Africa. Se ne è andato all’età di 83 anni, circondato dai suoi confratelli, dai sacerdoti che lo hanno conosciuto e da tante, tantissime persone che hanno avuto modo di incontrarlo e apprezzarlo. Se ne è andato il 14 agosto scorso, dopo aver ricevuto l’unzione di malati dalle mani di suo fratello padre Mariano. Volendo condividere con i nostri lettori la serenità e la fiducia che padre Ugo ha saputo diffondere attorno a sé, pubblichiamo un estratto di una sua Lettera di commiato, scritta il 26 dicembre 2006. Gli fa eco l’ultimo saluto rivoltogli da suo fratello Mariano, nella chiesa della Pieve a Castelfranco Veneto, alla fine delle esequie, lunedì 19 agosto.
Lettera di commiato
Stamattina ho rifatto il mio testamento spirituale. Desidero completarlo con una parola di saluto a quanti mi hanno incontrato nella mia vita, ricordando innanzitutto la mia famiglia, i Padri Bianchi, le comunità d’Africa e d’Italia dove ho vissuto e i tanti amici che ho sempre sentito vicino e
infine la comunità che mi ha accolto al mio ritorno dall’Africa. La parola che ora mi viene spontanea ma che sempre ha accompagnato la mia vita, è un immenso GRAZIE! Mi sono sempre considerato fortunato nella vita e ho sempre gustato la gioia che considero vera: la gioia di sentirsi amato e impegnato ad amare. So che questo lo devo soprattutto al Signore che non mi è mai mancato. Ma so di doverlo anche alla mia famiglia, alla parrocchia, ai miei educatori e, in verità, a tutti coloro che sono diventati la mia grande famiglia. Ricordo la paura che mi colse in prossimità del sacerdozio. Ero allora a Thibar (in Algeria, ndr) e non mi sentivo capace di essere sacerdote e missionario. Ma fui incoraggiato a fare fiducia nel Signore. E sempre sono stato grato al Signore che mi aveva chiamato. Penso di essere sempre stato cosciente dei miei limiti e, dal mio ritorno dall’Africa, nel giugno 2004, mi pare di avere accettato serenamente l’impoverimento che accompagna l’età e la minor salute. A quanti mi ricorderanno, chiedo l’aiuto della loro preghiera e la certezza che abbraccio tutti nel Signore.
A TREVIGLIO Il XXXV raduno degli ex alunni dei Padri Bianchi avrà luogo il 29 settembre 2013, ultima domenica di settembre, a Treviglio, presso la casa dei Padri Bianchi. Potete inviare fin d’ora le vostre adesioni a: Rizzi Agostino agostino.rizzi@virgilio.it tel. 339 834 95 71
padre Paolo
paolo@padribianchi.it tel. 0363 44726 fax 0363 48198
Oppure per lettera a Redazione Africa, XXXV Raduno Cas. Post. 61, Viale Merisio 17, 24047 TREVIGLIO BG
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a cura della redazione
Nato a Solagna (Vi) nel 1930 e ordinato sacerdote nel 1954, padre Ugo ha servito la Chiesa missionaria per 35 anni in RD Congo e per 25 in Italia
Mi piace dire un grazie particolare a Maria, madre di Gesù, madre mia e madre di tutti, per il suo amore. Grazie ancora. Padre Ugo Ceccon, sacerdote missionario dei Padri Bianchi
Il saluto del fratello
Mi sono sempre chiesto come sia nata la mia vocazione... Certo, essa viene prima di tutto dal Signore. Ma per chiamarmi il Signore si è servito di mio fratello Ugo. In famiglia, Ugo mi voleva bene e io gli volevo bene, e quando entrò dai Padri Bianchi sul suo esempio ho voluto anch’io diventare missionario. La mamma avrebbe voluto che entrassi in seminario diocesano per seguirmi poi in una parrocchia. Il papà mi disse: «Se il Signore ti chiama, vai! E come abbiamo aiutato Ugo, aiuteremo anche te». Ed è così che anch’io sono entrato nel seminario dei Padri Bianchi per prepararmi a essere missionario in Africa. Laggiù in missione, Ugo ha sempre voluto aiutarmi. Di lui ho sempre ammirato la sua capacità di adattarsi ai compiti più diversi che svolgeva con tutta la sua forza, mettendosi anche in pericolo di morte. Grazie Ugo per l’amore e l’esempio che mi hai sempre dimostrato. Riposa in pace.
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africa · numero 4 · 2009
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