Africa 05 2017

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AFRICA N. 5 SETTEMBRE-OTTOBRE 2017 - ANNO 96

RIVISTA BIMESTRALE

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MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Sud Sudan

Liberia

Libia

Uganda

la grande fuga

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.

caos senza fine

la musica cambia calcio in prigione

NELLA TERRA DI DIO


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Dialoghi sull’ AFRICA

MISSIONE • CULTURA

A Milano un week-end di incontri per capire, conoscere e confrontarsi Sabato 18 e Domenica

19 Novembre WORKSHOP

Venerdì 17 Novembre SEMINARIO ECONOMIA E SVILUPPO

Quota di partecipazione: 220 e - studenti 170 e

con: Marco Aime, Stefano Allievi, Maurizio Ambrosini, Pietro Bartolo,

20 e di sconto a chi si iscrive entro il 30 settembre

Daniele Bellocchio, Enrico Casale,

I primi iscritti potranno usufruire dell’ospitalità gratuita offerta dai missionari Padri Bianchi a Treviglio, o del pernottamento scontato in hotel a Milano

Martino Ghielmi, Suor Rita Giaretta,

Luis Devin, Cleophas Adrien Dioma, Marco Gualazzini, Modou Gueye, Germana Lavagna, Raffaele Masto, Pier Maria Mazzola, John Mpaliza, Emanuele Nenna, Enzo Nucci, Blessing Okoedion, Guido Olimpio, Riccardo Petrella, Anna Pozzi, Mario Raffaelli, Yvan Sagnet, Madi Sakande, Alberto Salza, Eustache T. Kakisingi, Efrem Tresoldi, Jean-Léonard Touadi, Marco Trovato, Itala Vivan, Massimo Zaurrini in collaborazione con

Programma e informazioni:

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Sommario SETTEMBRE - OTOBRE 2017, N° 5

COPERTINA Nella patria di Dio

42

3

di Pier Maria Mazzola

EDITORIALE Dove Dio è di casa di Marco Trovato

ATTUALITÀ

AFRICA

4

PRIMA PAGINA

5

PRIMO PIANO di Martino Ghielmi

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PANORAMA di Enrico Casale

8

La grande fuga dal Sud Sudan

MISSIONE • CULTURA

Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo

di Raffaele Masto

C’era una volta la Libia

14

di Lorenzo Simoncelli

di Raffaele Masto

20

Liberia, la musica cambia

Plinio il Vecchio (I secolo d.C.)

26

«Io non ho paura»

DIRETTORE RESPONSABILE

30 LO SCATT O

di Valentina G. Milani e Marco Garofalo

di Enrico Casale

Paradiso nascosto

di Martin Zwick / Visum / Luz

Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE

Marco Trovato

SOCIETÀ

WEB

32

Senegal. Baobab Fruit Company

Enrico Casale (news) Raffaele Masto (blog)

36

Cartoline da Nairobi

PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA

38

Folli matrimoni nigeriani

AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

50

VIAGGI Il fascino segreto del Burkina Faso

Paolo Costantini

e Anthony Pappone

Matteo Merletto

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

di Marco Garofalo

di Daniele Tamagni di Marco Trovato

Claudia Brambilla

54

CULTURA La “sala da ballo” dei nostri avi

EDITORE

56

CULTURA Il fotografo errante

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi PUBBLICITÀ

segreteria@africarivista.it FOTO

Si ringrazia Parallelozero In copertina: Robin Hammond / Noor / Luz Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand

58 60

di Alberto Salza

di Kodjo Sena

di Marco Trovato

CULTURA La Repubblica di Kalakuta

di Daniele Bellocchio

SPORT Uganda, il pallone dietro le sbarre

di Agu Odoemene

e Frédéric Noy 66

RELIGIONE Dottoressa tra le sabbie di Enrico Casale

70

RELIGIONE L’enigma del Corano

di Pier Maria Mazzola

STAMPA

Jona - Paderno Dugnano, Milano

INVETRINA

Periodico bimestrale - Anno 96 settembre - ottobre 2017, n° 5 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48

72

Eventi a cura della redazione

SEDE

73

Arte e Glamour di Stefania Ragusa

74

Vado in Africa

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Sapori

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Solidarietà

Viale Merisio, 17 - C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 info@africarivista.it www.africarivista.it Africa Rivista @africarivista @africarivista africa rivista UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

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Libri

di Irene Fornasiero di Valentina G. Milani

di Pier Maria Mazzola

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Musica

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Film

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Viaggi

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di Martino Ghielmi

di Claudio Agostoni

di Simona Cella di Marco Trovato

Web di Giusy Baioni

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Bazar di Sara Milanese

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Posta

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In omaggio ai nuovi abbonati di

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L’Africa spiegata da un grande storico e uomo di cultura

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Dove Dio è di casa In Ruanda ho visto una donna scampata al genocidio intonare una straziante nenia di preghiera nella chiesa crivellata di colpi dov’era stata sterminata la sua famiglia. In Congo ho visto un uomo inginocchiato sulla tomba del suo bambino, bruciato vivo sotto l’accusa di stregoneria lanciata da membri della sua stessa comunità. In Togo ho visto un prete vodù con gli occhi iniettati di sangue azzannare al collo una capra per un sacrificio. In Etiopia ho visto fedeli pregare tutta la notte con litanie ipnotiche fino allo sfinimento, mentre altri battevano la testa contro i muri in segno di espiazione. In Guinea-Bissau ho visto un missionario cattolico rendere omaggio agli spiriti delle isole Bijagos dinanzi a un altare pieno di feticci. In Mali ho visto un gruppo di musulmani uscire dalla moschea e recarsi in riva al Niger per implorare il dio del fiume che rompesse la siccità. In Sudan ho visto i sufi ripetere invocazioni e versetti coranici come mantra e ruotare vorticosamente fino alla trance. In Camerun ho visto un medico ospedaliero chiedere aiuto agli antenati per guarire una malattia incurabile. In Eritrea ho visto cristiani in estasi davanti a un baobab miracoloso. In Uganda ho visto preti brandire crocifissi come spade per cacciare il demonio. In Africa ho visto innumerevoli gesti di fede: alcuni mi hanno colpito, altri emozionato, altri ancora turbato, indignato oppure sconvolto. Ho cercato di capire, interpretare, ma ho dovuto arrendermi. La razionalità non sa spiegare i misteri accettati da un credente. E in Africa

tutti paiono affidare il proprio destino a un’entità trascendente, rivolgendo invocazioni a divinità o spiriti misericordiosi. La nostra nuova mostra fotografica In God’s Country (“Nella patria di Dio”) è dedicata al complesso – talora controverso – panorama religioso africano. Le immagini che pubblichiamo in anteprima in questo numero della rivista mostrano battesimi, funerali, esorcismi, celebrazioni di massa e intime preghiere; immortalano gesti antichi, sguardi magnetici, riti solenni; sembrano sprigionare un’energia immensa (talora manipolata e distruttiva) che attraversa l’intera Africa. Come ha ricordato il giornalista Pietro Veronese, questo «è un continente di credenti. Dove la fede – nella vita, nel domani, negli spiriti degli antenati e nella volontà di Dio – è più forte, più accettata, più condivisa che ovunque altrove». Più volte mi sono trovato a osservare, affascinato e intimorito, questa forza invisibile che dà senso e ordine alla vita di tanta gente. E, di fronte ai drammi e ai tormenti di cui sono stato testimone, mi sono sorpreso a invidiare i credenti, capaci di mostrare una serenità che io, animo irrequieto e dubbioso, non possiedo. Una volta, in uno slum di Luanda incontrai un uomo a cui le ruspe avevano appena abbattuto la baracca in cui viveva con uno stuolo di bimbi. Tra l’ammasso di lamiere e cartoni lerci andava alla ricerca della sua Bibbia. «Non posso farne a meno – disse –, viviamo nella patria di Dio». Marco Trovato

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 35 € · formato digitale (pdf) 25 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 45 Chf · rivista cartacea (Estero) 50 € · rivista cartacea+digitale (Italia): 45 € · rivista cartacea+digitale (Svizzera): 55 Chf · rivista cartacea+digitale (Estero) 60 € · Africa + Nigrizia 55 € (anziché 67 €)

Si può pagare tramite: · Bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT93 T088 9953 6400 0000 0001 315 · Versamento postale su C.C.P. n. 67865782

I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

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Beneficiario: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) C.P. 61 – 24047 Treviglio BG

Per informazioni: segreteria@africarivista.it


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NEWSMasto di Raffaele NEWS

L’ULTIMO MILIARDO La classifica della ricchezza mondiale rivela i paradossi e le ingiustizie dell’economia. Nell’Africa subsahariana le imprese occidentali fanno affari d’oro, mentre la gran parte della popolazione locale vive in povertà

I numeri parlano. E quando sono affiancati ad altri dati reali sono ancora più eloquenti. È il caso di una tabella pubblicata da Forbes che evidenzia le prime cento economie mondiali in termini di Pil. Tra queste, 37 sono multinazionali e 63 sono nazioni. Naturalmente i primi quattro in classifica sono, nell’ordine, Stati Uniti, Cina, Giappone e Germania. Seguono, fino al 27° posto, le principali potenze mondiali europee, asiatiche, arabe, oltre ad Australia e Brasile. Dal 27° posto in poi, però, è tutto un alternarsi di Paesi emergenti e multinazionali. FUORI CLASSIFICA È un bel racconto del mondo, del nostro mondo, nel quale la potenza si misura, oltre che dalla forza militare, dalla capacità di produrre ricchezza. Per la prima volta l’economia batte la politica: ci sono imprese private che sono enormemente più potenti di molti Paesi. Certamente di tutti i Paesi africani, esclusi il Sudafrica, che è piazzato al 33° posto, la Nigeria, 43°, e l’Angola, 86°. Tutti gli altri, eccezion fatta per tre Paesi nordafricani – Egitto, Algeria e Marocco –, non compaiono tra i primi cento, sono nella seconda parte della classifica, fanno parte del cosiddetto “ultimo miliardo”, quella fetta di SUDAFRICA

A luglio l’Unesco ha inserito il paesaggio culturale dei ‡Khomani nella lista dei luoghi Patrimonio dell’umanità. Questo deserto sabbioso, al confine di Botswana e Namibia, ha tracce di presenza umana dall’età della pietra ed è abitato dai nomadi San (boscimani), di cui i ‡Khomani fanno parte, che hanno sviluppato una straordinaria conoscenza etnobotanica. L’Unesco ha premiato anche la città di Asmara (Eritrea) e il sito di Mbanza Kongo (Angola).

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popolazione mondiale considerata irrimediabilmente povera. Ma c’è un altro dato che vale la pena sottolineare. Oltre alla statunitense Walmart, gigante della vendita al dettaglio e prima multinazionale a comparire nella classifica, al 28° posto, vengono, subito dopo, tre imprese petrolifere: Shell, ExxonMobil e la cinese Sinopec. Tutte ampiamente presenti in Africa e tutte ampiamente prime, nella classifica, non solo dei due principali Paesi petroliferi del continente, le citate Nigeria e Angola, ma drasticamente prima degli altri, ormai numerosi, Paesi petroliferi africani come Congo-Brazzaville, Gabon, Sudan, Sud Sudan, Mozambico, la piccola Guinea Equatoriale e alcuni produttori minori. NUMERI FUORVIANTI A vedere questa classifica si direbbe che il greggio arricchisce di più le multinazionali (Bp, Total, Eni, Chevron), e i Paesi cui queste fanno riferimento, piuttosto che le nazioni che il petrolio lo detengono (anche per colpa delle élite politiche, corrotte, incapaci di usare queste risorse per promuovere lo sviluppo). E ciò avviene in un momento in cui il costo del barile è praticaGHANA

Si è svolta dal 14 al 20 agosto la settima edizione del Chale Wote Street Art Festival, uno dei più interessanti eventi artistici d’Africa, che si svolge ogni anno nello storico e popolare quartiere della capitale Accra, James Town. Cinquecento artisti provenienti da ogni parte del continente hanno animato la kermesse che unisce musica e moda, arte e performance sportive all’insegna della creatività e della stravaganza.


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mente dimezzato rispetto a dieci anni fa. Ci sono Paesi come il Mozambico o la Somalia nei quali si sa da tempo dell’esistenza di imponenti riserve di petrolio e gas, il cui sfruttamento viene considerato antieconomico per gli alti investimenti richiesti. Il problema, in definitiva, è che l’Africa viene ancora considerata una fonte di energia fossile e i grandi flussi di denaro arrivano nel continente per prospezioni, estrazione e commercializzazione di petrolio e gas naturale. Gli alti livelli di crescita registrati in alcuni Paesi africani rischiano di essere drogati da queste attività. Se fossero reali indicatori di crescita economica dovrebbero produrre distribuzione della ricchezza, potere d’acquisto locale, domanda interna, nascita di imprese. Invece rischiano di ribadire il ruolo di “serbatoio” di materie prime (di petrolio in particolare) dell’Africa, e non di un “mercato”. I numeri sono eloquenti: il 95% delle multinazionali hanno sede nel cosiddetto Nord del mondo. Delle prime duecento, 66 sono in Nord America, 62 in Europa, 62 in Asia, 6 in Sud America, 4 in Oceania. In Africa, nessuna.

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Il petrolio fa la fortuna delle multinazionali del greggio. Ma non promuove lo sviluppo dei Paesi esportatori

CENTRAFRICA

Escalation di violenza. La situazione si sta deteriorando nonostante gli accordi di pace firmati il 19 giugno a Roma, che avrebbero dovuto garantire il cessate il fuoco tra il governo del presidente Touadéra e 13 gruppi ribelli armati (nella foto, tre miliziani). Dal martoriato Paese, dove è in corso da cinque anni una guerra civile, filtrano notizie di violenti combattimenti con centinaia di morti e decine di migliaia di sfollati.

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primo piano

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Afroitaliani in pista e lentezze della politica

Gloria Hooper (nata a Villafranca), Yassin Bouih (Reggio Emilia), Eseosa Desalu (Cremona), Raphaela Lukudo (Caserta), Kevin Ojiaku (Ivrea), Maria Benedicta Chigbolu (Roma), Daisy Osakue (Torino). Nomi che rimandano al continente africano accanto a luoghi di nascita italianissimi. Questa è la realtà della nazionale di atletica leggera. La “Regina degli Sport” è un laboratorio sociale. Ogni gara è un’occasione per trasformare l’aggressività in competizione, prima di tutto contro sé stessi. E non c’è passaporto che tenga: il cronometro scandisce i tempi in maniera oggettiva. Il tempo sembra invece essersi fermato al secolo scorso per la politica italiana. La vergognosa gazzarra in Senato durante il dibattito per riformare la legge sulla cittadinanza è emblematica. Lo ius soli esiste già: dal 1992 un cittadino straniero può diventare italiano dopo dieci anni di residenza. Perché negare questo diritto a giovani nati e cresciuti in Italia, costretti ad aspettare la maggiore età? Si parla di oltre ottocentomila ragazzi, i cui progetti sono vincolati al fatidico rinnovo del permesso di soggiorno. L’Italia è già multietnica e multiculturale: basta fare un giro tra i banchi di scuola, nei cantieri, nelle università, per accorgersene. Essere italiani non significa solo avere una gloriosa tradizione alle spalle ma costruire il Paese di domani. Alla politica l’onere di aprire gli occhi e smetterla di giocare con l’ignoranza dell’opinione pubblica. Martino Ghielmi

ZIMBABWE

Offensiva dei bracconieri nei parchi naturali di una delle poche nazioni ad avere una popolazione relativamente stabile di elefanti della savana. Decine gli attacchi dei cacciatori registrati negli ultimi tre mesi. Il commercio di avorio, bandito nel 1989, ha fatto crollare in due secoli la popolazione dei pachidermi in Africa da 28 milioni a 350.000 esemplari. E il numero scende dell’8% l’anno.

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ATTUALITÀ di Lorenzo Simoncelli

La grande fuga dal Sud Sudan

8 africa · 5 · 2017 Ashraf Shazly / Afp


REPORTAGE DAI CAMPI PROFUGHI DELL’UGANDA SETTENTRIONALE, CHE SI GONFIANO DI SUD-SUDANESI FUGGITI ALLA GUERRA CIVILE

Due donne all’ingresso del campo profughi di Attash, nei pressi di Nyala, presidiato dai caschi blu dell’Onu. Fallite le trattative di pace in Sud Sudan, alla comunità internazionale non resta che occuparsi delle decine di migliaia di sfollati

Ogni giorno, tremila persone stremate attraversano il confine in cerca di un rifugio in Uganda. Sono soprattutto donne e bambini sfuggiti ai massacri compiuti tanto dai ribelli come dai soldati dell’esercito Frontiera di Tsertenya-Palabek. Da una parte il Sud Sudan, dall’altra l’Uganda. Inferno e purgatorio divisi da una fettuccia di plastica tesa tra due bastoni conficcati nella terra arsa dal sole dell’Equatore. Una sbarra immaginaria che segna il fine corsa di camioncini sgangherati con a bordo decine di profughi sud-sudanesi in fuga da guerra e fame. Dal luglio del 2016, in un climax ascendente, sono ripresi gli scontri tra l’esercito regolare, ex Spla (Sudan People Liberation Army, rinominato South Sudan Defence Forces dal presidente Salva Kiir), rinominato South Sudan Defence Forces dal presidente Salva Kiir, e l’Spla-Io, partito-milizia guidato dal sempre più debole ex vicepresidente Riek Machar, confinato in Sudafrica. Un conflitto civile che lacera il Sud Sudan dal 2013, con oltre 50.000 morti già accertati e che, dopo la rottura dell’accordo di pace del 2015, sembra essersi cristallizzato. L’ex generale Thomas Cirillo ha costituito un nuovo fronte di ribelli: il National Salvation Front (Nsf). L’onnipotente Paul Malong, comandante dell’esercito, è stato epurato dal presidente Kiir. Faide di

palazzo e dentro l’esercito che scuotono di continuo i già fragili equilibri. Il cuore a metà In questo punto del confine transitano tantissimi bambini. Molti di loro non sono accompagnati perché i genitori sono stati uccisi negli scontri. Sono di etnia acioli, scappano dai villaggi dello Stato di Equatoria, la zona meridionale del Paese che comprende la capitale Juba. Circa tremila persone, ogni giorno, passano la porosa frontiera che divide il Sud Sudan dall’Uganda, trasformando quest’ultimo nello Stato con il più alto numero di rifugiati in Africa. La soglia del milione di profughi è stata già superata e l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) ha dovuto aprire nuovi campi nel nord dell’Uganda, come quello di Palabek nel distretto di Lamwo. Quelli di Bidi Bidi e Palorinya si sono trasformati da luoghi di sosta provvisoria a città-limbo di oltre 300.000 persone. Scendono dai camioncini con le poche forze rimaste dopo giorni di cammino nella savana. Portano con sé quei pochi oggetti simbolo di chi è stato costretto a una fuga non africa · 5 · 2017 9


SENZA PACE

2011, luglio. Dopo oltre cinquant’anni di conflitto, due guerre SUD SUDAN civili e milioni di morti, il Sud Sudan (cristiano o di religione tradizionale) ha votato per la secessione dal Nord (arabo e musulmano) e nasce ufficialmente la Repubblica del Sud Sudan, il 54° Paese dell’Africa: la nazione più giovane del mondo. Malakal Bentiu 2013, luglio. Il presidente Salva Kiir, 62 anni, di etnia dinka, destituisce il suo vice Riek Machar, 61 anni, di etnia nuer, accuWau sandolo di avere complottato contro di lui. Dopo il siluramento, Rumbek Machar annuncia di voler correre alle presidenziali del 2015. Bor 2013, dicembre. Le truppe fedeli a Kiir si scontrano a Juba con SUD SUDAN i commilitoni legati, per etnia, a Machar. Oltre 500 morti, 800 JUBA Yumbe i feriti. Inizia la guerra civile. Torit Adjumani A 2015, gennaio. Dopo settimane di negoziati, governativi e ribelli TENY E S T R Palorinya fedeli a Machar firmano ad Addis Abeba, nella sede dell’Unione K Arua E B PA L A Africana, il cessate il fuoco. Ma l’accordo non regge. Koboko Bidi Bidi 2016, luglio. Una nuova ondata di violenze scoppia a Juba e UGANDA nelle regioni periferiche, provocando la fuga di decine di migliaia di sfollati. La siccità aggrava la crisi umanitaria. Riek Machar UGANDA Kiryandongo si rifugia in Sudafrica, ma i suoi sostenitori armati danno battaglia ai soldati del presidente Salva Kiir, assieme ai miliziani del National Salvation Front ed ex membri dell’Spla guidati da Pagan Amum, già storico segretario generale del movimento. 2017, settembre. Quasi due milioni di sfollati e 5,5 milioni di persone a rischio fame: sono i numeri impietosi della crisi in Sud Sudan, un Paese ricco di petrolio ma sprofondato nel baratro. (Marco Trovato) pianificata. Un materasso, delle taniche d’acqua, qualche gallina, persino una bicicletta. In fila ordinata si dirigono verso un albero che forma un grande cono d’ombra, l’unico rifugio dalla canicola asfissiante. Spossati, si siedono a terra. Il cuore è diviso a metà: da una parte la disperazione di aver lasciato alle spalle, forse per sempre, le proprie case; dall’altra la consapevolezza di essere prossimi a una vita complessa, ma pacifica. Racconti dall’inferno Inizia la registrazione. Nome, cognome e impronte digitali prese su un vecchio cuscinetto a inchiostro blu. I bambini ricevono da un’agenzia umanitaria appaltata dall’Unhcr biscotti proteici; 10 africa · 5 · 2017

le donne, sapone e assorbenti. Grace, una madre di 32 anni, senza marito e con sei figli al seguito, apre avidamente con i denti l’involucro di biscotti. Il più piccolo dei suoi figli ha la pancia vuota, non mangia da giorni e reclama. «Veniamo da Torit. I ribelli hanno ucciso mio fratello e i miei zii, la mia famiglia è stata decimata. Se fossimo rimasti, i prossimi saremmo stati noi. La notte è impossibile dormire per il rumore degli spari, la mattina, quando ti svegli, a terra trovi solo cadaveri. Ormai la gente preferisce vivere in foresta piuttosto che nella propria casa. Negli ultimi mesi abbiamo mangiato solo erba, non c’è cibo, siamo stremati. In Uganda speriamo di poter stare al sicuro e che i miei

figli possano mangiare e andare a scuola». Disperazione e speranza fluiscono nelle parole di Grace. Un’estenuante attesa consumata ascoltando racconti simili, in cui le decine di profughi si immedesimano. Passano le ore, una luna color champagne fa capolino, si accendono dei piccoli focolai per illuminare la notte che avanza. È l’ultima in Sud Sudan. Domani arriveranno dei pullman noleggiati dalle Nazioni Unite e inizierà il trasferimento ai campi profughi dell’Uganda. Prima notte di pace Quello di Palabek-Lamwo si vede a qualche chilometro di distanza. Un’enorme distesa di tende bianche marchiate con il logo azzurro dell’Unhcr

contrasta la lussureggiante vegetazione e la terra rossa. È l’ultimo nato, ancora in costruzione. Riceverà fino a 50.000 rifugiati, ma per metà è già completo. L’esercito ugandese lo controlla da vicino per evitare che entrino armi all’interno. Lo schema per la ricezione degli “ospiti” è consolidato. Precedenza ai bambini e alle persone in grave stato di malnutrizione. Sono la maggioranza e vengono trasferiti nell’ospedale da campo della struttura. La prassi prevede vaccinazioni per evitare la diffusione di epidemie, e sondini nasogastrici per riabilitare più rapidamente corpi ridotti pelle e ossa. Gli altri si mettono in fila per ricevere il primo pasto. Intanto, una volta effettuata la registrazione, a ognuno viene



ATTUALITÀ di Raffaele Masto – foto di Mahmud Turkia / Afp

C’era una volta la Libia


DOPO LA CADUTA DI GHEDDAFI IL PAESE NORDAFRICANO È PRECIPITATO NEL CAOS. OGGI SI TENTA DI EVITARE LA DISINTEGRAZIONE

Gli sforzi della diplomazia occidentale per riportare la pace al di là del Mediterraneo non hanno finora sortito risultati apprezzabili. La Libia è lacerata da scontri tra milizie, divisioni politiche e tribali, infiltrazioni jihadiste, traffici di armi e di uomini Il rischio di una “Somalia” a ridosso dei confini meridionali dell’Europa è un’ipotesi sempre più concreta. E sempre più preoccupante. Soprattutto per l’Italia. In Libia ormai si combatte dappertutto, anche a Tripoli, che sembra essere addirittura la città più bellicosa, attraversata da attentati, combattimenti diretti tra milizie rivali, spartizione dei quartieri, bombardamenti, tentativi di putsch. Secondo alcune stime (indicative, tanto la situazione è fluida), si calcola che a Tripoli ci siano 41 milizie. Paese diviso Basterebbe questo per intuire quale ginepraio sia

oggi questo Paese. E l’insicurezza che regna a Tripoli è solo un aspetto della crisi libica. Il caos è più profondo e si irradia nelle altre città, anche oltre i confini, nei Paesi vicini e non solo, dai quali, per molti versi, trova alimento. Sulla Libia si appuntano enormi interessi regionali – maghrebini, mediterranei, europei – e il loro intreccio produce una situazione estremamente complessa e dinamica. Due le principali forze che si fronteggiano: da una parte, il cosiddetto Parlamento di Tobruk, che può contare sulla principale forza armata del Paese, quella del generale Haftar, che detiene buona parte degli

Soldati fedeli al governo libico di unità nazionale, sostenuto dall’Onu, durante la liberazione della città costiera di Sirte dai miliziani del cosiddetto Stato Islamico, lo scorso inverno ▶ Un militare ispeziona un edificio distrutto alla periferia di Bengasi africa · 5· 2017 15



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ATTUALITÀ testo di Valentina G. Milani – foto di Marco Garofalo

Liberia, la musica cambia

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africa · 5 · 2017


NELLA PICCOLA E MARTORIATA NAZIONE DELL’AFRICA OCCIDENTALE I MUSICISTI HIPCO DANNO VOCE ALLA VOGLIA DI CAMBIAMENTO

Due lunghe guerre civili, seguite dall’epidemia di ebola. La Liberia ha una storia tormentata. E la sua classe dirigente è accusata di corruzione e malgoverno. Alla vigilia di elezioni cruciali, i giovani fanno sentire la loro rabbia… «Stand up, stand up for integrity!». Le esortazioni di Amaze e Peaches rianimano le sale in rovina del Ducor Palace Hotel, il grande albergo a 5 stelle di Monrovia abbandonato negli anni Ottanta. Sulla terrazza del fatiscente stabile affacciato sulla capitale della Liberia, i due cantanti hipco stanno registrando il videoclip di Integrity, la loro canzone scritta in vista delle elezioni del prossimo ottobre. Il messaggio? Votate persone rette, integre: «Alzatevi! In piedi per l’integrità! Cantate per l’onestà». La brezza muove la bandiera liberiana issata sul set mentre tecnici e videomaker si danno da fare con telecamere e microfoni. «Guardate… Quella laggiù è la baraccopoli di West Point, un inferno di lamiera da settantamila persone», fa notare Amaze, 29 anni, che, quando non canta, studia economia all’università. «I politici al potere si dimostrano inca-

◀ Peaches e Amaze, due dei più famosi artisti “hipco” di Monrovia, fotografati al Miami Beach Resort, frequentato da famiglie liberiane durante il week-end

paci o corrotti, mentre il Paese va a rotoli. Disoccupazione, povertà assoluta, servizi inesistenti. La gente non ne può più». Alziamo la voce Devastata da due guerre civili (1989-1995 e 19992003), sfiancata dall’epidemia di ebola nel 2014, la Liberia fatica a riprendersi. A Monrovia i poveri si ammassano negli slum o nel grande cimitero centrale, diventato un riparo per i senzatetto. Fin dall’alba uomini, donne e bambini setacciano le discariche alla ricerca di cibo. Alti muri di cemento e filo spinato proteggono i bunker di decine di ong incaricate di risollevare il Paese. I loro uffici, dotati di generatori di corrente, sono gli unici a funzionare durante i frequenti blackout. Il sottosuolo è ricco di ferro, oro e diamanti. Ma le casse dello Stato sono vuote, il debito estero è tornato a livelli allarmanti, l’inflazione galoppa. Durante la pandemia di ebola, decine di imprese han dovuto chiudere i battenti, le campagne sono state abbandonate, il commercio con l’estero azzerato. Almeno 240 milioni di dollari sono stati bruciati, secondo la Banca africa · 5 ·2017

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▲ Johathan Koffa, più conosciuto come Takun J, il più acclamato musicista hipco, nel suo pub nel centro di Monrovia. Migliaia di giovani lo acclamano come un eroe, un santo, un liberatore. Alle elezioni amministrative dello scorso luglio è stato eletto rappresentante del distretto 8 dove vive

LIBERIA

mondiale. Serviranno, come minimo, cinque anni per tornare alla normalità. Il malcontento è diffuso e la colpa della crisi viene fatta ricadere sui leader politici. «La presidente Ellen Johnson Sirleaf, in cui avevamo riposto tante speranze, ci ha deluso,

Superficie 111.540 km² (Italia: 301.340) Popolazione 4,8 milioni ab. Densità 49 ab./km² (Italia: 201) Capitale Monrovia (1,2 milioni ab.) Capo di Stato Ellen Johnson Sirleaf Moneta Dollaro liberiano Lingue inglese (ufficiale); 31 lingue locali, in prevalenza dei gruppi mande e kru Etnie Kissi, Kru, Krumen, Mande, Mandingo Religioni cristianesimo (66%, in maggioranza protestanti), islam (15%), religioni tradizionali (19%) Speranza di vita 62 anni Indice di sviluppo umano 0,427 (167°/188) 22 africa · 5 · 2017

non ha fatto nulla per migliorare la vita della gente – commenta Amaze –. E, considerato che il principale candidato dell’opposizione è George Weah, l’ex calciatore… be’, è evidente che il livello della nostra rappresentanza politica non è all’altezza delle sfide. L’unica via di salvezza sta nei giovani, che aspirano a un futuro diverso. È giunto il momento di alzare la voce». Rabbia e speranza A scuotere le coscienze ci pensano decine di musicisti e band hipco. Questo genere musicale ispirato all’hip hop si è sviluppato durante le due guerre civili e oggi è parte integrante della cultura liberiana. Segno distintivo dei suoi artisti è il colloquial,

▶ L’ora dell’intervallo in una scuola di Monrovia. Il 70% dei liberiani ha meno di 25 anni e la popolazione cresce ogni anno del 3% ▶ Clienti del pub 146 di Monrovia, principale luogo di ritrovo della comunità hipco. Qui ogni sera si esibiscono musicisti affermati e band emergenti ▶ La bandiera liberiana sventola sulla terrazza del Ducor Palace Hotel, usato dai musicisti “hipco” come location dove girare i loro videoclip. Qui, negli anni Sessanta, si tenevano ricevimenti e feste sontuose cui partecipavano uomini d’affari e politici ▶ Giovani surfisti a Robertsport, la città costiera considerata un paradiso per chi ama scivolare sull’acqua e cavalcare le onde dell’oceano ▶ Un concerto nei sobborghi di Monrovia. I giovani musicisti hipco provano a scuotere la società afflitta dai problemi economici



ATTUALITÀ di Enrico Casale

INCONTRO CON

«Io non ho paura»

YVAN SAGNET, IL RACCOGLITORE DI POMODORI CHE SI È RIBELLATO AI CAPORALI

◀ Shukri Said vive in Italia da quasi venticinque anni. In televisione ha recitato nei panni di una carabiniera nella settima serie di Don Matteo. Oggi cura il blog Primavera africana sul sito del quotidiano La Repubblica

DEL SALENTO


È arrivato dal Camerun con una borsa di studio e tanti sogni da realizzare. È finito a lavorare come uno schiavo nei campi di “oro rosso”. Ha guidato la prima rivolta dei migranti nelle campagne pugliesi. E oggi accusa la grande distribuzione Ha detto no alle violenze e alle prevaricazioni. Si è ribellato al caporalato che sfrutta gli africani come schiavi nelle campagne. Yvan Sagnet è un immigrato camerunese che ha tenuto la testa alta. Non si è piegato e ha denunciato gli sfruttatori. Ha avuto coraggio e la sua battaglia, nonostante continue minacce, ha portato risultati insperati: l’approvazione di una legge contro il caporalato, un’altra contro gli imprenditori che sfruttano gli immigrati, indagini della magistratura, interventi delle istituzioni. «La guerra è ancora lunga, ma i risultati iniziano ad arrivare», commenta Sagnet, che pochi mesi fa è stato nominato, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana,

◀ Jean Pierre Yvan Sagnet, 31 anni, è nato a Douala in Camerun e oggi vive tra Roma e Torino, dove alterna il lavoro di sindacalista a quello di ingegnere. È stato il leader del primo sciopero dei braccianti stranieri in Italia, durato oltre un mese, nell’estate del 2011, nelle campagne di Nardò, in provincia di Lecce

un’onorificenza prestigiosa conferitagli «per il suo contributo all’emersione e al contrasto dello sfruttamento dei lavoratori agricoli». Sogno spezzato Un quotidiano lo ha chiamato “il Mandela dei braccianti”, un’espressione quanto mai lontana dalla vicenda personale che lo ha portato sotto i riflettori. Yvan Sagnet è arrivato in Italia nel 2008. «Ero attratto dal Belpaese, che avevo cominciato a conoscere seguendo le partite di calcio in televisione – racconta –. A Douala, dove vivevo, avevo preso lezioni di italiano con l’intenzione di partire alla prima occasione. Una volta diplomato, grazie a una borsa di studio, Yvan decide di iscriversi alla facoltà di Ingegneria delle telecomunicazioni presso il Politecnico di Torino. «Quando partii per l’Italia, immaginavo che la mia nuova vita sarebbe stata pulita e semplice come le nuvole che vedevo scorrere sotto l’aereo. Ma ero molto lontano dalla verità». Gli studi a Torino costano e lui non ha abbastanza denaro. Alcuni amici gli suggeriscono di andare

a Nardò, nel Salento, dove cercano braccianti per la raccolta dei pomodori. È il 2011 e la realtà che si trova davanti in Puglia è terribile. Centinaia di braccianti dormono nei campi, senza la possibilità di lavarsi e mangiare decentemente. I più fortunati riposano poche ore in masserie sovraffollate. Sono i caporali a dettare i ritmi del lavoro. La mattina li prendono e li portano nei campi, dove lavorano per quindici ore chini sotto il sole. La retribuzione è di 3,50 euro per ogni cassone di 350 chili riempito. E di quella misera paga al lavoratore rimane poco, perché il caporale si prende i soldi del trasporto e dei magri pasti. Alcuni lavoratori non ce la fanno e muoiono nei campi. Minacciato di morte «A un certo punto – ricorda Yvan – i caporali ci hanno chiesto un doppio lavoro. Avremmo dovuto scegliere i pomodori più belli. Era troppo: strappare la pianta, scrollarla e riempire il cassone dopo la selezione. Abbiamo chiesto 7 euro. Ce ne hanno offerti 4,50. Ci siamo rifiutati». Nel 2011 scoppia così la rivolta. I lavoratori

▲ Il primo libro di Yvan Sagnet: Ama il tuo sogno (Fandango, 2012). Nel 2015 ha scritto con Leonardo Palmisano Ghetto Italia (Fandango)

immigrati incrociano le braccia. La protesta dilaga. Prima aderiscono in 10, poi in 40, infine il 70 per cento degli stagionali di Nardò. Yvan guida il movimento, diventa il leader del primo sciopero di braccianti stranieri in Italia, che paralizza il settore agricolo. La protesta, sostenuta anche dal sindacato Flai Cgil, dura più di un mese e ha successo. Le istituzioni locali, dopo anni di apatia, si fanno carico del trasporto dei braccianti al lavoro, togliendo una fonte di guadagno ai caporali. Iniziano anche le prime indagini della magistratura sulla rete di sfruttatori (che gode di numerose connivenze politiche). Un successo che Yvan paga caro. Le minacce che inizia a ricevere sono sempre più gravi: «Un caporale è venuto a dirmi: “Ti uccido con le mie mani”. Per fortuna è intervenuta la polizia». La lotta continua Yvan non si ferma. Torna a Torino – dove nel 2013 africa · 5 · 2017 27



IN GOD’S COUNTRY LA FEDE DELL’AFRICA IMMORTALATA DAI GRANDI FOTOREPORTER

un progetto di

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

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AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

NOLEGGIA LA NUOVA MOSTRA L’anima profonda dell’Africa fotografata dai grandi reporter Un vibrante racconto per immagini sulla spiritualità

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di un continente che non perde mai la fede.

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SOCIETÀ testo e foto di Daniele Tamagni

Cartoline da Nairobi È uno dei pittori africani più celebrati dalla critica internazionale. I suoi quadri (contesi da collezioni e prestigiose gallerie d’arte) raccontano le contraddizioni di Nairobi e denunciano la corruzione e l’avidità dei potenti

36 africa · 5 · 2017

L’ARTISTA KENIANO MICHAEL SOI ILLUSTRA STORIE DI VITA QUOTIDIANA IN UNA METROPOLI VIVACE E CONTROVERSA



SOCIETÀ di Marco Trovato

Folli matrimoni nigeriani

38 africa · numero 4 · 2017 Ed Kashi / VII / Luz


A LAGOS I FIDANZATI FANNO A GARA A ORGANIZZARE LO SPOSALIZIO PIÙ SONTUOSO. E FANNO CRESCERE LA FLORIDA INDUSTRIA DELLE NOZZE

Ricevimenti per centinaia di invitati, abiti tempestati di pietre preziose, arrivi in chiesa a bordo di yacht o elicottero, piogge di banconote sugli sposi. In Nigeria i matrimoni sono sempre esagerati e hanno spesso risvolti surreali Limousine e Cadillac non tirano più. Adesso va di moda atterrare con l’elicottero sul sagrato della chiesa. Oppure sbarcare con uno yacht a Elegushi Beach e celebrare il rito nuziale tra le palme, a piedi nudi sulla sabbia, con il fruscio delle onde del mare sullo sfondo, senza rinunciare all’abito tempestato di Swarovski. I nigeriani che convolano a nozze fanno a gara a ostentare il lusso più sfrenato. E la competizione si è fatta ancora più serrata con l’avvento di internet. Oggi ci sono blog specializzati – come Nigeria Wedding o Bella Naija – che hanno milioni di follower e che pubblicano su Instagram le foto delle cerimonie. La platea del web commenta, apprezza, critica, vota il matrimonio migliore. Il prestigio personale si contende a suon di “like”. Le famiglie danno fondo ai risparmi pur di organizzare una cerimonia sontuosa, fanno il possibile per stupire, meravigliare, lasciare gli invitati a bocca aperta… A qualsiasi prezzo. «A Lagos il matrimonio ha sempre una doppia funzione: sigilla una promessa d’amore e certifica pubblicamente il benessere economico degli sposi», spiega Greace Abisade di

WedExpo, la più importante fiera nigeriana del settore. La multimilionaria industria delle nozze non conosce crisi e prospera malgrado il crollo del prezzo del petrolio che ha messo in ginocchio l’economia nigeriana. Commenta Abisade: «La gente è disposta a fare sacrifici su tutto – risparmia su spesa quotidiana, passatempi e vacanze – ma per il gran giorno non vuole rinunciare allo sfarzo più sfrenato». Regali per gli ospiti Per salire all’altare, una coppia di fidanzati deve preventivare una spesa minima di tre milioni di naira (circa novemila euro), ma spesso la cifra necessaria a festeggiare le nozze decuplica e può raggiungere anche i 50 milioni di naira. Nel conto è incluso tutto quanto serve a rendere speciale il giorno del fatidico sì: i fiori e gli addobbi per la chiesa, l’offerta per il pastore o il sacerdote, l’affitto della dimora per il ricevimento di nozze, il pranzo per almeno duecento persone, gli abiti degli sposi e dei loro famigliari più stretti, il fotografo e il cameraman per le riprese con il drone, il cantante per l’accompagnamento musiafrica · 5 ·2017

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cale, i fuochi d’artificio e… i regali per gli invitati. Sì, l’upper class nigeriana usa così: non bastano confetti o bomboniere. Prima di accomiatarsi dagli ospiti della festa, gli sposi distribuiscono pacchi e sacchetti contenenti doni di vario tipo e valore, come prodotti per la pulizia della casa, piccoli elettrodomestici, talvolta persino dei notebook: dipende dalla disponibilità economica delle famiglie dei neo-coniugi… E da quanto queste sono disposte a investire per lasciare un ricordo indelebile a parenti e conoscenti. Eccessi La cerimonia nuziale è una kermesse esagerata che coinvolge un gran numero di professionisti qualificati: cuochi, truccatori, parrucchieri, sarti, camerieri, cerimonieri, scenografi, decoratori, musicisti, buttafuori, artificieri… Il gran regista dell’evento è il wedding planner, che ha il compito di organizzare nei minimi particolari “il giorno più bello e importante della vita”. Tocca a lui occuparsi di tutto: dagli inviti al rinfresco, dagli addobbi all’intrattenimento, dalla scelta dell’abito alle fedi nuziali, fino al viaggio di nozze. «Personalizziamo la festa in base ai gusti e al budget degli sposi», spiega Ngozi Rume Otogbolu, uno dei più quotati wedding planner di Lagos, cachet personale da un milione di naira (tremila euro) a matrimonio. «Il nostro compito è rendere possibile anche la richiesta più eccentrica e incredibile». C’è chi vuole 40 africa · 5 · 2017

scambiarsi gli anelli sotto una cascata di bolle di sapone e chi si accontenta di tagliare una torta alta due metri. C’è chi richiede l’accompagnamento musicale di un celebre rapper e chi desidera avere tra gli invitati una star del cinema o un fuoriclasse del pallone (tutti remunerati con ingaggi da capogiro). Arcobaleno di colori Gli impegni della fase prematrimoniale – la presentazione ai futuri suoceri e l’accordo sulla dote che sancisce il fidanzamento – sono regolati dalle granitiche usanze della tradizione, mentre la cerimonia nuziale vera e propria (specie quella cristiana) è ispirata ai moderni costumi occidentali. Con alcune importanti particolarità. Il look delle damigelle in Nigeria viene scelto dalla madre della sposa (sua figlia sarà l’unica donna a vestire di bianco). Che si tratti di tailleur eleganti o di gonne gonfie come tulipani, la cosa più importante è il colore degli abiti. Messi al bando i toni pastello, i colori prediletti sono il verde brillante, l’azzurro lapislazzulo, il giallo canarino, il rosso ciliegia: tinte vivaci da accordare scrupolosamente coi bouquet dei fiori e con i drappi avviluppati sulla testa delle donne. Le uniche tonalità sobrie ai ricevimenti nuziali sono quelle degli abiti gessati indossati dai testimoni dello sposo: bianchi o neri. L’effetto generale è un arcobaleno smodato, dove non c’è spazio per la sobrietà. Per averne conferma basta



COPERTINA di Pier Maria Mazzola

Nella patria di Dio ALLELUIA! AMEN Il raduno annuale, a Lagos, della Redeemed Christian Church of God, “megachiesa” pentecostale nigeriana

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Robin Hammond / Noor / Luz


Vi mostriamo in anteprima alcune immagini della nostra nuova mostra In God’s Country sulla spiritualità dell’Africa. Un palpitante viaggio fotografico condotto da grandi reporter tra credenze secolari, nuove liturgie, rituali segreti, cerimonie solenni, sincretismi religiosi e pericolosi fondamentalismi.

Protagonisti degli scatti sono preti, imam, autoproclamati profeti, sacerdoti tradizionali… E, soprattutto, un miliardo di credenti. Un racconto per immagini e parole sull’anima profonda di un continente che, anche nei momenti più bui, non perde mai la fede.

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◀ ECCO UNO CHE CONOSCE LA NOSTRA VITA Sacra rappresentazione del Venerdì Santo alla parrocchia cattolica di St. Dominic di Yaba, Lagos (Nigeria). Evocazioni della Passione si ripetono un po’ dappertutto nel continente. I patimenti di Cristo sono una delle ragioni del suo “successo” duraturo presso tanti africani, che spontaneamente s’identificano con lui Pius Utomi Ekpei / Afp

LA MONTAGNA SACRA ▶ Pastore masai in raccoglimento sul vulcano Ol Doinyo Lengai (“Montagna di Dio” in lingua maa), l’unico attivo nell’Africa orientale. Nel suo cratere si ritiene presente la divinità, e qui ci si reca periodicamente per lanciarle offerte tra le fenditure della caldera Bruno Zanzottera

◀ SANGUE E SPIRITI In un villaggio mozambicano, una curandeira presiede al trattamento di un uomo con problemi di salute mentale. Questa è la fase del bagno con sangue di capra, con cui – unitamente a “preghiere” e ad altre fasi del rituale – fa intervenire nel paziente gli spiriti, da lei individuati, in grado di guarirlo Vlad Sokhin / Agentur Focus / Luz

IN GOD’S COUNTRY

IN GOD’S COUNTRY LA FEDE DELL’AFRICA IMMORTALATA DAI GRANDI FOTOREPORTER

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

PER VEDERE E NOLEGGIARE LA MOSTRA Cinquanta fotografie firmate dai migliori reporter internazionali. Un racconto per immagini e parole sulla spiritualità profonda di un continente che, anche nei momenti più bui, non perde mai la fede. La nuova mostra fotografica In God’s Country – curata da Pier Maria Mazzola e Marco Trovato con la collaborazione di Marco Garofalo – sarà inaugurata a Brescia in occasione del Festival della Missione (12/15 Ottobre – festivalmissione.it). Dal 7 al 19 novembre sarà esposta allo Spazio ViaFarini di Milano (Fabbrica del Vapore – viafarini.org). A partire dal 15 Dicembre sarà disponibile per esposizioni in tutta Italia.

Noleggio da 400 € – spedizioni comprese. Prenotazioni: info@africarivista.it - Tel. 0363 44726 - cell. 334 2440655. Anteprima e calendario esposizioni su www.africarivista.it/mostre


VIAGGI testo di Alberto Salza – foto di Anthony Pappone

Il fascino segreto del Burkina Faso


VIAGGIO ALLA SCOPERTA DI UNA TERRA ABITATA DA POPOLI FIERI E RICCA DI CULTURE SORPRENDENTI

Un antropologo esorta a osservare il paesaggio del Sahel con occhi nuovi. Svela i significati profondi che si celano dietro a maschere, feticci, danze, abitazioni e oggetti rituali. E invita a scoprire assieme a lui i prodigi invisibili dell’Africa In Africa occidentale il territorio è come una persona, e il viaggiatore sfiora la sua pelle, penetra nelle sue cavità, ne avverte il battito del cuore e i sommovimenti degli organi interni, ne accarezza i capelli. Per i Tuareg, il Sahara è un gigante disteso sul dorso. La testa è a sud, con la capigliatura a formare le foreste pluviali dell’Africa Nera. I piedi, allungati a nord, sono le vette dell’Atlante marocchino. Ha organi interni, il gigante: talvolta ne escono gli umori, acque improbabili, petrolio. Gli uomini raccolgono le sue preziose secrezioni: il sale, i minerali di superficie. Il ventre è costituito dalle distese

centrali, dove le dune si alternano alle oasi, come pori sulla pelle. Il titano ha cicli biologici che provocano il vento e il palpito della sabbia, il calore delle rocce e la condensa della rugiada nelle caverne. Case decorate In questa visione antropomorfa del mondo, anche le genti del Burkina Faso vedono cose “invisibili” che sfuggono agli occhi degli occidentali. Perché qui, nel cuore del Sahel, una cosa è molte cose e assume sembianze (e significati) profonde: le sinuosità delle case nel villaggio di Tiébélé, costruite e abitate dai Kassena, appaiono come corpi femminili, cuti decorate con l’henné e il khol (la pittura appartiene alle donne, che l’applicano alle case come un cosmetico) che si aprono in anfratti di buio: il disegno triangolare della zucca rotta appare all’improvviso come il simbolo del sesso femminile.

◀ Durante le feste rituali nei villaggi si materializzano le maschere che simboleggiano gli spiriti degli antenati e della natura. “Burkina Faso” significa: “Terra degli uomini integri” africa · 5 ·2017

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Wikipedia

Marco Trovato

le danze. Le maschere del Burkina Faso hanno oggi associazioni che derivano dalle più arcaiche società segrete, e i loro passi (le

maschere debbono danzare, non restare appese a un muro) regolano il ritmo delle percussioni (non viceversa) e del fluire del tempo.

È così che invecchia il Burkina Faso, rinascendo a ogni mascherata. Ormai è una persona postmoderna. Basta vedere, a Boromo,

Les Grandes Personnes, mascheroni a marionetta derivati da antiche forme di rappresentazione, ma ispirati verso la modernità.

IN VIAGGIO CON L’ANTROPOLOGO

Dieci giorni nel Sahel (2-10 dicembre), accolti dalla popolazione del Burkina Faso. Accompagnati da una guida d’eccezione, Alberto Salza, tra i maggiori studiosi di culture africane. È il programma del viaggio esclusivo proposto dalla rivista Africa ai suoi lettori: un tour tra la città di Bobo-Dioulasso, con la sua imponente moschea di terra, il villaggio troglodita di Niansogoni costruito su una falesia, i picchi di Sindou (bizzarre formazioni frutto dell’erosione), i paesi dei Kassena con le tipiche case-fortezza finemente decorate, e tante altre località, dove Salza svelerà significati di usanze, sculture, feticci, danze, maschere. Un Paese accogliente e ricco di fascino, in compagnia di un grande studioso e divulgatore, avendo così il privilegio di viaggiare con chi l’Africa la conosce davvero. Quota: 2.150 euro, volo compreso. Posti limitati. www.africarivista.it – viaggi@africarivista.it tel. 349 3027584

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CULTURA di Marco Trovato

Il fotografo errante

OMAGGIO AL COMPIANTO OUMAR LY, TALENTO SENEGALESE DELLA FOTOGRAFIA, AUTORE

Per cinquant’anni ha viaggiato con il suo studio ambulante tra le sabbie del deserto e le acque del fiume Senegal, per immortalare gli abitanti dei villaggi più sperduti. I suoi scatti in bianco e nero sono una testimonianza straordinaria di un mondo a lungo inesplorato e ormai scomparso Ci ha lasciato in eredità duecento metri di pellicola in bianco e nero, circa cinquemila scatti, custoditi e arrotolati in bottiglie di vetro accatastate in un vecchio magazzino. Sono stati questi improbabili scrigni artigianali a preservare dalla sabbia (ma non dal micidiale calore dei tropici) l’archivio personale di Oumar Ly, fotografo ambulante senegalese, scomparso il 29 febbraio 2016 all’età di 73 anni. Uno dei più grandi (e meno conosciuti) fotografi d’Africa.

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Autodidatta di talento Nato nei primi anni Quaranta a Podor, sulle rive del fiume Senegal, figlio di un marabutto, Oumar Ly scopre giovanissimo la passione per la fotografia. A quindici anni decide di investire i guadagni del suo lavoro di fruttivendolo nell’acquisto a rate di una piccola Kodak esposta in una vetrina di Saint-Louis. «Era compatta, luccicante, esclusiva… Me ne innamorai all’istante», confesserà in seguito. Oumar inizia da autodi-

DI PREGIATI RITRATTI

datta: invia per posta a sviluppare i primi negativi, osserva i risultati e cerca di migliorare la tecnica. Ben presto impara a inquadrare e a mettere a fuoco, col tempo scopre come sfruttare il diaframma per regolare la profondità di campo, e come ottenere le luci e le ombre giuste con una corretta esposizione. Ha talento, fermezza, uno stile rigoroso. Decide di specializzarsi nei ritratti. All’inizio degli anni Sessanta apre il suo Thiofy Studio a Podor. Il lavoro

SENZA TEMPO

non manca: all’indomani dell’indipendenza dalla Francia, le autorità sene◀ Oumar Ly ha impresso su pellicola l’immagine di un’Africa allegra, genuina, lontana anni luce dell’esotismo e dal sensazionalismo ricercato da tanti fotografi occidentali L’intera vita di Oumar Ly (Senegal, 1943-2016) è stata consacrata alla fotografia. Fin da giovanissimo, con la sua reflex ha immortalato gli abitanti di solitarie regioni del Sahel, tramandandoci testimonianze iconografiche di eccezionale valore storico



ATTUALITÀ testo di Agu Odoemene – foto di Frédéric Noy / Cosmos / Luz

Uganda, il pallone dietro le sbarre

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DALL’ORA D’ARIA ALL’ORA DI CALCIO: IN UNA PRIGIONE

Nel carcere di massima sicurezza di Luzira, alcuni dei più temibili criminali ugandesi si sfidano in una competizione calcistica che regala sempre grandi emozioni e inaspettati colpi di scena

DI KAMPALA VA IN SCENA IL CAMPIONATO DEI DETENUTI

Le scommesse vengono raccolte durante l’ora d’aria, di nascosto, perché in teoria sarebbero vietate. I bookmaker puntano tutto sulla vittoria finale del Manchester United, che viene offerta a 1,2, mentre l’ipotetico successo del Liverpool viene quotato a 3,5. Barcellona e Juventus sono considerate due outsider, fuori dai giochi. Ma le previsioni della vigilia non sono così attendibili perché il campionato di calcio di Luzira riserva inaspettati colpi di scena. «I giocatori più forti vengono contesi dalle squadre fino a poco prima del fischio d’inizio – racconta un allibratore –. A volte un calciatore decide di cambiare team, e passare nelle fila degli avversari, solo perché gli hanno promesso una razione di cibo più ricca… Il calciomercato, qui dentro, non si misura in milioni di euro, ma in scodelle di porridge e polenta». Pessima fama Luzira è un carcere di massima sicurezza situato ◀ I detenuti assistono alle partite ai bordi del campo. Indossano tute di due colori: giallo canarino per chi è stato condannato con pene inferiori ai vent’anni di reclusione, arancione per chi ha commesso delitti più gravi

alla periferia della capitale ugandese, Kampala. Fu costruito negli anni Venti del secolo scorso dai coloni, quando questa parte dell’Africa era un protettorato britannico. Per lungo tempo il suo nome è stato associato a un terrificante luogo di punizione: qui i prigionieri venivano sottoposti a umiliazioni, sevizie e torture. Le condizioni carcerarie peggiorarono dopo l’indipendenza conquistata nel 1962, in particolare sotto la dittatura di Idi Amin, durante la quale i dissidenti venivano prima arrestati e poi fatti sparire nel nulla. Solo alla fine degli anni Novanta le autorità penitenziarie introdussero una serie di misure che nel corso degli ultimi vent’anni hanno migliorato sensibilmente la qualità del regime carcerario. «Sono stati adeguati gli spazi per tutelare le condizioni psico-fisiche dei detenuti – spiega Wilson Magomu, responsabile della sorveglianza –. Soprattutto, è stato bandito ogni genere di abuso da parte degli agenti di guardia, come l’uso preventivo della violenza, che in passato aveva prodotto tensioni e favorito lo scoppio di sommosse». africa · 5 · 2017 61


▲ I secondini presidiano l'ingresso del carcere e controllano la situazione sul campo da gioco ▶ Le squadre di Manchester e Liverpool fanno l’ingresso in campo. L’arbitro non potrà usare la classica moneta per far scegliere ai giocatori tra “palla o campo”: in prigione non è consentito introdurre soldi ▼ È tutto pronto per dare inizio alla partita più attesa del campionato: il derby tra Liverpool e Manchester, le due squadre più popolari del carcere

Clima disteso Oggi Luzira è diventata una prigione modello. Benché sia spesso sovraffollata (accoglie fino a settemila reclusi: oltre quattro volte la capienza massima per cui è stata progettata), e malgrado ospiti alcuni dei peggiori criminali dell’Uganda, essa garantisce diritti individuali e standard di vita impensabili in gran parte delle galere africane. 62 africa · 5 · 2017

«Offriamo e chiediamo rispetto – chiarisce Magomu –. I detenuti qui vengono “responsabilizzati”, ovvero coinvolti nella gestione e nell’organizzazione dello spazio e del tempo». L’obiettivo della direzione penitenziaria è combattere l’apatia, valorizzare al meglio il periodo detentivo, creare un clima disteso e collaborativo. Ciò permette di contenere il rapporto tra sorveglianti e prigionieri (il venti per cento in meno della media europea) e al contempo offre risultati

incoraggianti sul lungo periodo: il tasso di recidiva, ovvero di quanti tornano a delinquere dopo essere scarcerati, è inferiore al 30 per cento (in Italia supera il 60 per cento). Fascino british A Luzira – grazie anche alla collaborazione di ong, Chiese, agenzie umanitarie – sono stati avviati numerosi programmi finalizzati alla riabilitazione sociale dei carcerati: percorsi educativi (dall’alfabetizzazione all’università) e

ricreativi (corsi di teatro, musica, pittura, scultura), stage formativi, opportunità di integrazione lavorativa, attività atletiche e competizioni agonistiche. Il campionato di calcio è il fiore all’occhiello tra le manifestazioni sportive organizzate all’interno delle mura carcerarie. Si svolge regolarmente oramai da quindici anni in un settore del penitenziario noto come “Boma A”: qui si trova l’unico campo da gioco della prigione, un rettangolo di terra battuta, con poca erba



RELIGIONE testo di Enrico Casale – foto di Meyer / Tendance Floue / Luz

Dottoressa tra le sabbie


SCELTE CORAGGIOSE: DECIDERE A 45 ANNI DI ESSERE MEDICO PER I TUAREG DEL MALI

Tra i mille modi di essere missionari c’è quello di Anne-Marie Salomon. Suora, dopo anni di insegnamento in Francia, quasi alla mezza età rispolvera il suo vecchio sogno d’infanzia e diventa medico per dedicarsi ai nomadi del Sahara In Francia le hanno tributato le onorificenze più prestigiose: la Legion d’onore, il Premio della cooperazione francese come il Gran premio per l’azione umanitaria del quotidiano Le Figaro. Ma il riconoscimento più importante Anne-Marie Salomon l’ha ricevuto dai nomadi del Mali a cui ha consacrato la vita. «Tra quelle genti ho lasciato il mio cuore e una piccola clinica», racconta con umiltà. «Grazie a loro ho realizzato ciò che volevo fare nella mia vita». Lei inseguiva il suo sogno di bambina: diventare suora e medico e aiutare chi ne avesse bisogno. Un sogno che è riuscita a realizzare a Gossi, nel Sahel, dove ha costruito un ospedale, dispensari e scuole. Strutture che, dopo il forzato rimpatrio, funzionano con personale del luogo. «Sei un dono di Dio. Ti aiuterò» Nata nel 1934 in Bretagna, fin da bambina Anne-Marie sente il richiamo della vita religiosa. A 21 anni opta per le Suore della Retraite, uno storico istitu◀ Suor Anne-Marie accudisce un neonato nel piccolo ospedale che ha fondato nel 1984 tra i nomadi tuareg, nel nord del Mali

to locale. Le superiore le chiedono di dedicarsi all’educazione, e lei per tredici anni insegna matematica e fisica. Anne-Marie, però, è una sognatrice. Sente che il suo posto non è in Francia ma in missione. In Africa. Con una certa insistenza chiede di poter studiare medicina. Dopo qualche titubanza, le superiore accettano. A 45 anni torna così sui banchi di scuola. Nel suo corso di studi è previsto uno stage. Sceglie di farlo in Mali, a Gossi. È il 1984 e la sua vita cambia. «Quando sono arrivata – ricorda oggi –, mi sono trovata davanti una massa di nomadi che cercavano scampo dalla siccità che colpiva il Nord. Erano poverissimi e disperati. Avevano perso tutto. Volevo aiutarli». I nomadi parlano lingue che Anne-Marie non conosce. Ha la fortuna di incontrare Mohamed Ag Oumalha, detto Zig. È un Tuareg, musulmano devoto. Quando la vede le dice: «Sei un dono di Dio. Ti aiuterò». Zig accetta di farle da traduttore e diventa anche il suo braccio destro. Anne-Marie deve rientrare in Francia per la laurea, ma ritorna subito dopo in Mali, dove si trova immersa in una delle periodiche rivolte africa · 5 · 2017 67



Il Festival è un’iniziativa promossa da Fondazione Missio, Conferenza Istituti Missionari Italiani, Diocesi di Brescia.

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info@africarivista.it fax 0363 48198 C.P. 61 - Viale Merisio, 17 24047 Treviglio BG

a cura della redazione

IMMAGINI KILLER Dopo l’ennesima pubblicità vergognosa che mostra bambini sporchi e agonizzanti – trasmessa in continuazione da Rainews 24 – realizzata da Save The Children, propongo di boicottare questa onlus che calpesta in continuazione la dignità e la privacy dei minori africani. Basta con questo sensazionalismo/ pietismo: l’Africa non ha bisogno di questo genere di solidarietà. Propongo di sostenere solo le onlus e le ong che rispettano le norme di condotta indicate dalla campagna “Anche le immagini uccidono”, per l’uso etico delle immagini nella raccolta fondi. ancheleimmaginiuccidono.org Richard Kisimba, Napoli

RUANDA, SENSO DI COLPA Il presidente ruandese Paul Kagame, al potere da ventitré anni, ha istaurato un regime liberticida. La conferma arriva dal dettagliato report reso pubblico di recente da Human Right Watch che ha documentato esecuzioni extragiudiziali e attacchi a esponenti dell’opposizione, attivisti e giornalisti indipendenti. La cosa più scandalosa, a mio avviso, è il silenzio dell’Occidente, in particolare delle cancellerie europee. Il motivo è evidente: l’élite politica tutsi sfrutta il senso di colpa dell’Europa – che si rese complice del genocidio del 1994 – per autoassolversi o, meglio, per continuare a portare avanti la sua repressione… Un po’ come ha fatto Israele, dopo

l’Olocausto, nei confronti dei palestinesi. Alessia Milesi, Bergamo E LO IUS SOLI? L’ennesimo rinvio della discussione e dell'approvazione della cosiddetta legge sullo ius soli è uno schiaffo alle centinaia di migliaia di figli di immigrati che, come il sottoscritto, sono nati e cresciuti in Italia. Il testo, approvato alla camera nell'ottobre del 2015, è bloccato da due anni nelle sabbie mobili del Senato, per l’opposizione di larga parte dei partiti di centro e di destra. Per squallidi calcoli politici, di opportunismo o, meglio, per mancanza di coraggio e di visione del futuro, la maggioranza al governo ha deciso di negarci la cittadi-

nanza. Siamo invisibili, dei fantasmi per lo Stato, indegni di essere chiamati italiani. Provo rabbia e vergogna per questo Paese. Fatima Benhassi, Roma PER MEDICI E INFERMIERI Sono aperte le iscrizioni al corso di malattie tropicali e medicina internazionale organizzato dalla onlus Medicus Mundi Italia. Le lezioni si terranno a Brescia, dal 6 al 24 novembre, e saranno articolate in tre moduli di una settimana ciascuna, che tratteranno i seguenti argomenti: salute globale, le grandi endemie tropicali e il laboratorio di base, medicina delle migrazioni. Per maggiori informazioni: medicusmundi.it Tel. 030 3752517.

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Malattia, grazia e cura in Africa Mostra fotografica di Massimiliano Troiani

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MISSIONARI D’AFRICA Notizie e progetti dei padri bianchi italiani e svizzeri N. 3 SETTEMBRE-OTTOBRE 2017 - ANNO 96

AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS

WWW.MISSIONARIDAFRICA.ORG

a cura di Enrico Casale

MISSIONARI D’AFRICA

«LA VITA COMUNITARIA SIA ESEMPIO DI CONVIVENZA»

ALLEGATO REDAZIONALE

Padre Ignatius Anipu: «Il fondatore dei Padri Bianchi chiedeva che i religiosi vivessero in una dimensione interculturale e si accettassero. Un modello per la Chiesa e per la società moderna» In un mondo portato alla violenza, ai conflitti e alle divisioni, la vita comunitaria può diventare un esempio per una convivenza pacifica e armoniosa. E i Padri Bianchi, facendo leva sulla loro storia e sulle loro tradizioni, potrebbero e dovrebbero diventare un modello in questo senso. Ad affermarlo è Ignatius Anipu, assistente generale dei Missionari d’Africa, in un editoriale pubblicato sul periodico della congregazione Petit Echo. «Il cardinale Lavigerie [il fondatore della Società] voleva che i Padri Bianchi avessero non solo una dimensione internazionale, ma anche interculturale e fossero un’organizzazione religiosa composta da persone in grado di manifestare l’universalità del Vangelo». Anche il Capitolo generale 2016 ha confermato che i Missionari d’Africa sono «una Società missionaria con uno spirito di famiglia». Ciò però richiede uno sforzo enorme, per gli stessi Padri Bianchi. È necessario bypassare gli stereotipi, i pregiudizi, i sistemi di (falsi) valori, le difficoltà di linguaggio, tendenze nazionaliste o, addirittura, xenofobe. «Queste difficoltà non sono insormontabili – continua Anipu – e

possono essere superate con uno spirito di apertura e dialogo […] Le comunità saranno un modello che testimonieranno i valori evangelici nel nostro mondo». In particolare, dovranno riflettere la capacità di vedere nel fratello «uno dei nostri» e quindi di condividere con lui le gioie e le sofferenze. Bisognerà essere in grado di aprire le porte ai fratelli «portando ciascuno il fardello dell’altro». «Non ci sono comunità perfette – afferma Anipu – perché la via comunitaria è un processo continuo che esige la partecipazione di ciascun membro». In questo modo,

però, la Società dei Missionari d’Africa può diventare un esempio di convivenza in un mondo conflittuale. «Credevamo che attraverso la globalizzazione il nostro mondo potesse diventare un villaggio globale – conclude Anipu –. Ciò non è avvenuto. La mondializzazione non è riuscita a eliminare le differenze culturali che continuano a influenzare le identità individuali. Noi dobbiamo proseguire sulla strada tracciata dal nostro fondatore e accogliere l’invito di papa Francesco che ci ha esortati, come consacrati, a diventare “esperti in comunione”».


2017, ANNO DI GIUBILEI PER I PADRI BIANCHI Ecco i nomi e le storie dei Padri Bianchi che quest’anno hanno raggiunto l’anniversario della loro ordinazione sacerdotale. Record per padre Mattedi ordinato nel lontano 1952

Cinque dei festeggiati presenti a Treviglio. Da sinistra a destra: P. Gustavo, p. Gamulani, p. Vittorio, p. Paolo e p. Giuseppe Mattedi tornato in Tanzania e poi in Malawi. Dal 1989 è in Nord America, prima in Canada e poi negli Stati Uniti, per lavorare nei settori dell’animazione vocazionale e missionaria. Dal 2011 è in Italia.

65 anni Giuseppe Mattedi Bolzanino di nascita, torinese di adozione, dopo la formazione in Italia e Tunisia, lavora al seminario minore di Treviglio e poi è inviato in Ruanda. Lì rimane 25 anni e, dopo un breve rientro in Italia, vi ritorna nel 1991. Nel 1994, anno del genocidio, è costretto a lasciare il Paese, ma va ad assistere i rifugiati in Tanzania e Burundi. Nel 1997 torna però in Ruanda dove rimane fino al 2006 quando rientra definitivamente in Italia. 55 anni Godina Arvedo Nato a Milano, padre Godina ha studiato in Italia e Tunisia. Ordinato sacerdote, dopo gli studi in missiologia è partito per il Mali. Da allora il suo destino non si è più separato da quel-

lo del Paese africano. Qui ha lavorato in parrocchia, come economo e come direttore del centro catechistico. Incarico che svolge tuttora. 45 anni Gustavo Bertelli Bresciano, dopo l’ordinazione sacerdotale ha lavorato come missionario Fidei Donum in Burundi. Entrato dai Padri Bianchi, opera per due periodi nella Rd Congo. La guerra del 1996 lo ha costretto a rientrare in Italia. Problemi di salute gli hanno impedito di rientrare in Africa. Ora, in Italia, risiede a Treviglio. Gamulani Abdon Nato in Malawi nel 1943, ha studiato in Gran Bretagna per poi essere inviato in Tanzania. Dopo una pausa per gli studi all’Università Gregoriana è

Giuseppe Lucchetta Trevigiano, dopo gli studi in Italia e Francia, ha lavorato in Ruanda dal 1972 al 1993. Il genocidio lo costringe a rifugiarsi in Rd Congo, ma ritorna in Ruanda dove rimane a lavorare nel centro spirituale di Mbare. E, ancora oggi, nonostante la salute malferma, il suo impegno non è cessato. Michele Vezzoli Bresciano, si è formato in Gran Bretagna per poi partire missionario in Uganda, Zambia e Rd Congo dove ha lavorato nella formazione dei candidati Padri Bianchi. Padre Michele ha anche un’esperienza nelle Filippine dove ha lavorato nel settore dell’animazione. Dal 2015 è tornato nella Rd Congo. 40 anni Vittorio Bonfanti Nato a Vaprio d’Adda, si è formato in Svizzera, Canada e Gran Bretagna. Dopo l’ordinazione sacerdotale ha fatto una lunga esperienza in Mali in diversi settori. Per due volte è stato direttore della rivista Africa; oggi è impegnato in Sicilia nell’accoglienza dei migranti.


MISSIONARIO E GIORNALISTA LA DOPPIA VOCAZIONE DI PAOLO Padre Costantini ha festeggiato i 50 anni di sacerdozio. Una vita trascorsa tra l’Africa e il giornalismo all’insegna del dialogo e dell’amicizia

Per tutti è Paolo. Non padre Paolo. Né monsignor Paolo. Ma dargli del tu non è una mancanza di rispetto. È un modo per dimostrargli amicizia. E lui lo accetta volentieri. È una confidenza che lo avvicina ai confratelli e a chi gli lavora accanto nella redazione di Africa e che dice molto a che sa esserti vicino nei momenti complessi della vita. Sembra incredibile che una persona così semplice, da ragazzino sognasse di diventare vescovo. Oggi ci ride su: «Sognavo di essere vescovo, e il barbiere del paese mi prendeva in giro: “Sì, vescovo con le candele al naso”. Perché all’epoca, noi bambini avevamo tutti i moccoli al naso». Entrato in seminario, le cose cambiano. Lì incontra molti missionari che gli parlano di mondi lontani. E lui inizia a sognare foreste, fiumi, deserti: «Ma il rettore ci metteva in guardia contro queste “tentazioni del diavolo che vi distolgono dalla vocazione sacerdotale”». Il seme della missione però è piantato. E inizia a dare i suoi frutti quando in seminario arriva padre Minotti. «Era un Padre Bianco – osserva Paolo –, ma non ci parlò di Padri Bianchi, Africa, leoni, stregoni; ci parlò invece della missione della Chiesa: non puoi dirti cristiano se non parli di Gesù. E ci sedusse». Dal seminario di Reggio Emilia, passa al noviziato in Francia. «Lì gli insegnanti ci responsabilizzavano molto – ricorda –. Un valore importante per un missionario che deve sempre sapere agire con responsabilità e impegno anche quando è solo. Ma ci trasmettevano anche il senso

della comunità, dei confratelli sempre pronti a sostenerti nei momenti difficili». Paolo fa un’esperienza di un anno in Algeria. Ordinato sacerdote, dopo quattro anni in Italia, vola in Congo Kinshasa dove rimane 15 anni lavorando nelle parrocchie e nelle scuole del Sud Kivu. Tornato in Europa, assieme ad attività di animazione giovanile, scopre il giornalismo.

Nel 1985, diventa direttore di Africa e poi, nel 1989, lavora in Belgio come direttore dell’Africa News Bulletin – Anb-Bia, un servizio di informazione sull’Africa, realizzato in francese e inglese dai Padri Bianchi. Terminata l’esperienza in Belgio, torna in Italia. Di nuovo ad Africa. Direttore, amministratore. Ma, soprattutto, amico di tutti. E per tutti, Paolo.


OTTOBRE: MESE DELLA MISSIONE PAPA FRANCESCO: «LA CHIESA O È MISSIONARIA O NON È» Nel Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2017, il pontefice chiede a tutti i credenti di impegnarsi nell’annuncio Vangelo: «Un compito che non riguarda solo i missionari»

«La missione […] è uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo». Nel suo «Messaggio per la Giornata missionaria mondiale 2017», papa Francesco cita la Evangelii Gaudium (La gioia del Vangelo) per spiegare il senso della missione. Che non è solo la missione ad gentes, cioè quella tra i popoli lontani e non cristiani, ma «un pellegrinaggio attraverso i vari deserti della vita, attraverso le varie esperienze di fame e sete, di verità e giustizia. La missione della Chiesa ispira una esperienza di continuo esilio, per far sentire all’uomo assetato di infinito la sua condizione di esule in cammino». La missione quindi non è un compito

riservato solo ad alcuni eletti, i missionari appunto, ma un impegno che riguarda tutta la Chiesa. «La Chiesa è missionaria per natura – continua papa Francesco – se non lo fosse non sarebbe più la Chiesa di Cristo, ma un’associazione tra molte altre, che ben presto finirebbe con l’esaurire il proprio scopo e scomparire». Secondo il pontefice, la missione è destinata a tutti gli uomini di buona volontà ed è fondata sul «potere trasformante del Vangelo». Quindi, ottobre, il mese missionario, è sì un modo per ricordare coloro che hanno dedicato la vita all’evangelizzazione, ma è anche un impegno che riguarda tutti i credenti che devono essere testimoni dei valori evangelici. «Possiamo pensare – osserva papa Bergoglio – a tante, in-

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numerevoli testimonianze di come il Vangelo aiuta a superare le chiusure, i conflitti, il razzismo, il tribalismo, promuovendo dovunque e tra tutti la riconciliazione, la fraternità e la condivisione». Il messaggio è rivolto particolarmente ai giovani. «Sono molti – dice il papa, citando la Evangelii Gaudium – i giovani che offrono il loro aiuto solidale di fronte ai mali del mondo e intraprendono varie forme di militanza e di volontariato […]. Che bello che i giovani siano “viandanti della fede”, felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra». Come fare concretamente? I modi sono tanti. Puoi partecipare alla missione con la preghiera. Oppure interessandoti e informandoti sui problemi della missione: per esempio leggendo la rivista Africa o altre riviste missionarie oppure partecipando al Festival della missione in programma a Brescia del 12 al 15 ottobre. O, ancora, aiutando finanziariamente con offerte per le missioni, intenzioni di Sante Mese e/o sostenendo alcuni progetti. Le vie della missione, come quelle del Signore, sono infinite.

Vuoi conoscere e sostenere i progetti dei Padri Bianchi? A pagina 77 della rivista Africa troverai la lista di tutti i progetti in corso e i dettagli su come puoi contribuire.


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