L’Africa di Edo
Quest’Africa, insieme tanto varia e tanto monotona, poiché è vasta e agisce su larga scala, l’abbiamo abbastanza osservata, abbastanza respirata, sentita, ascoltata, toccata? Ah! Ce n’è per i cinque sensi, senza contare gli altri che la fisiologia ancora ignora; ma chi ne è consapevole, chi se va, attraverso questi paesaggi sconfinati, gli occhi ben aperti, le orecchie all’erta, le narici frementi, le mani pronte ad accarezzare la sericità di un seme, il velluto di una foglia…? Chi sa ancora ammirare, stupirsi, ringraziare, in una parola: vivere? Théodore Monod
Africa - Missione e cultura Rivista dei Missionari d’Africa / Padri Bianchi Progetto grafico e stampa: Jona-Paderno Dugnano © 2007 Immagine di copertina: Senegal. Dakar Nella Medina
Edoardo Di Muro nasce a Cuneo nel 1945. Fa il guardacaccia nelle sue valli – così come farà il ranger nel Parco della Comoé, in Costa d’Avorio. Marinaio, sbarca un giorno del ‘73 a Lagos, in Nigeria, si allontana dal porto e allunga il passo fino al Burkina Faso (all’epoca Alto Volta) e poi giù in Angola, e poi Sudafrica, e Senegal… Rimane nell’Africa subsahariana per un quarto di secolo, percorrendola in tutte le direzioni, trovandovi l’inferno e il paradiso, sfidando guerre o curvandosi sulla zappa. Crea batik nell’isola di Gorée e illustra dizionari per i ragazzi in Etiopia. Soprattutto, Edo disegna, disegna sempre. Il pennino della sua Rotring cava poesia dal sudore quotidiano di un continente.
L’Africa di Edo Litografie di Edoardo di Muro
Etiopia. Addis Abeba Il quartiere Arat Kilo
In Namibia c’è la Costa degli Scheletri: quelli di numerose navi incagliate a nord di Swakopmund. Ma di carcasse è punteggiato tutto il litorale d’Africa, da Beira, in Mozambico, alla Mauritania. La coesistenza di quattro etnie caratterizza la Mauritania. Mentre Peul, Soninke e Wolof sono neri, la componente “maura” ha una duplice dimensione: da una parte i bianchi Beidane (“beduini”), dall’altra i neri Harratin (schiavi affrancati, secondo il diritto tradizionale) e anche Abid (non affrancati), comunque di cultura e lingua araba.
Relitto nei pressi del mercato del pesce. Donne beidane (maure) e peul
Guinea. Conakry Sidecar sovietici nei pressi della famigerata prigione di Camp Boiro
Erano là, graziosi, senz’anima Stesi per sempre sulla loro terra La terra d’Africa stringendo il cielo e la terra Dei loro antenati Con un ultimo caldo bacio I bambini di Soweto. Camara Kaba 41
In memoria di uno dei più feroci massacri dell’apartheid, 16 giugno 1976. Camara Kaba 41, della Guinea-Conacry, è un superstite di Camp Boiro, il carcere destinato agli oppositori di Sékou Touré
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Sudafrica. Durban L’antica tipografia di Gandhi nel quartiere Bhambayi
Kenya. Nairobi La moschea Jamia Sunni
Fu in Sudafrica, dove visse 29 anni, che il Mahatma Gandhi scoprì la discriminazione razziale e cominciò a elaborare la sua teoria (e pratica) della nonviolenza, in forma clamorosa a partire dal 1906. Nel 1894 aveva fondato il Natal Indian Congress e, nel 1903, un settimanale, Indian Opinion, stampato nella tipografia International Printing Press di Phoenix (oggi Bhambayi). 12
Con un po’ di pazienza e di fortuna, potete trovare – su libri, tra le foto di viaggio o su internet – immagini dei medesimi luoghi interpretati da Di Muro. Noi abbiamo trovato l’Hotel Palmerston di Durban, per esempio, e la ex tipografia Gandhi. Anche la moschea Jamia Sunni di Nairobi e la “Saudita” di Nouakchott. Siate sinceri: quale tra le due, la foto e la litografia di Edo, vi sembra più “vera”?... 13
Costa d’Avorio. Abidjan Il mercato di Adjamé
Il mercato si anima a poco a poco nel mattino, fino a diventare una massa compatta di corpi nella quale si penetra a fatica. Se c’è un luogo dove la metafora del “bagno di folla” si concretizza, è questo. Si abbandona in fretta il nostro asettico fastidio per il contatto con gli altri: ci si spinge, ci si sfrega, ci si annusa. Qualcuno ti chiama per mostrarti la merce, altri si propongono come guida, tutti ti salutano. Se si chiudono gli occhi, si sente un brusio spezzettato che sembra salire all’infinito. Sotto le tettoie, accanto ai prodotti tradizionali si vendono bigiotterie, secchi, ciotole, bacinelle, barattoli usati, bottiglie usate, recipienti usati, tutto in plastica. Il riciclaggio qui è una necessità scontata, non una scelta di vita. Marco Aime
La vita qui non è proprio come altrove, visto che qui il Natale non conosce inverno, e le foglie rosse non sono dell’autunno. Ma è forse ancor più forte che altrove nel mondo, con centinaia di migliaia di punti e linee sottili e solidali che disegnano, come l’avessero veramente compreso, il mistero di queste società africane in cui l’uomo non possiede granché, al di fuori di questo genio che ha di inventarsi quotidianamente quel che gli serve per ridere, e così mantenersi in vita. Francis Bebey
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Sudafrica. Durban Mercato dei feticci vicino al Victoria Market
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Guinea. Conakry Il mercato “Niger”
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Sudafrica. Durban L’Hotel Palmerston
Il Lantern Bar è all’interno dello spartano Palmerston Hotel. Il bar è piuttosto ampio, basso e debolmente illuminato. Ha l’aria di una locanda urbana, ma senza charme rustico. La musica è alta, e la clientela è formata da giovani neri. L’angolo tra le vie Gillespie e Palmer ospita un buon numero di bar. Probabilmente nessuno vi porterebbe la famiglia, ma se avete bisogno di bere un bicchiere in compagnia (a qualunque ora della notte o del giorno), o di fare una partita a biliardo, allora è il posto che fa per voi. Wcities, guida di viaggi online
Di Muro apprende e adatta ai suoi disegni il metodo degli antichi scultori africani: ingrandire certi dettagli del soggetto invitando l’occhio dell’osservatore a invertire il normale corso della sua azione, passando dai dettagli in rilievo al piano d’insieme. Piero Dadone
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Mauritania. Chinguetti Moschea e biblioteca. Madre e figli harratin
«La conoscenza è una ricchezza che non impoverisce colui che ne possiede un po’». Così sulla porta di una delle biblioteche (erano 24 nei tempi dello splendore) di Chinguetti, la settima città santa dell’Islam. Centomila volumi manoscritti, 20
custoditi in antiche biblioteche di Mauritania e Mali, ischiano la disintegrazione per le precarie condizioni di conservazione. Benché si tratti di un «patrimonio dell’umanità» classificato dall’Unesco. 21
Etiopia. Debre Libanos Valle di Marabete
Debre Libanos, luogo del grande monastero ortodosso fondato dal santo Tecle Haymanot nel XIII secolo. Debre Libanos, pagina come poche altre oscura del più efferato colonialismo italiano – e teatro del martirio di duemila religiosi. «È titolo di giusto orgoglio per me aver avuto la forza d’animo di applicare un provvedimento che fece tremare le viscere di tutto il clero, dall’Abuna all’ultimo prete o monaco, che da quel momento capirono la necessità di desistere dal loro atteggiamento di ostilità a nostro riguardo, se non volevano essere radicalmente distrutti» (gen. Rodolfo Graziani, 1937)… 22
Etiopia. Debre Libanos Monaco copto
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I termini di matatu a Nairobi, dala dala a Dar es Salaam, duruni a Bamako, woro-woro ad Abidjan, cent-cent a Brazzaville e chapa 100 in Mozambico sono basati sul prezzo praticato quando questo tipo di servizio iniziò. La velocità del veicolo è riflessa nel nome di car rapide di Dakar, di kimalu malu a Kinshasa o di zemidjan a Cotonou; mentre l’età e mancanza di comfort e sicurezza è indicata da alakabons a Conakry, congelés a Douala e Yaoundé, gbakas ad Abidjan e mammy wagons a Lagos. Tipicamente sono dei pick-up adattati, o dei minibus o minivan, capaci di caricare fino a 36 passeggeri secondo vari gradi di affollamento, le condizioni della strada e l’ora del giorno. La crescita di questi trasporti privati è inversamente proporzionale alla crisi del trasporto pubblico. Ad Abidjan, per esempio, mentre la compagnia pubblica, con 1179 corriere nel 1989 se ne ritrovava 500 nel 2000, gli gbakas sono passati, nello stesso lasso di tempo, da 733 a 3000, e gli woro-woros da 1000 a 5000. Approssimativamente nello stesso periodo, a Nairobi la Kenya Bus Services ha mantenuto grosso modo la stessa flotta (circa 240 automezzi) – ma la popolazione è salita nel frattempo da 1,3 milioni a 2,2; il numero dei matatu è cresciuto invece da 3000 nel 1985 a 9894 nel 2000 (senza distinguere tra quelli a 25 e quelli a 18 posti a sedere).
Senegal Fermata del bus tra M’bao e Dakar
Richard Stren per la Banca Mondiale 24
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Che importa se l’arena è anche minuscola? Non sono necessari spazi olimpionici per queste straordinarie piroette controllate al centimetro, questi tallonamenti frenetici scanditi dal fischietto o dalla percussione sorda dei tamburi, o dal miagolio lamentoso di una chitarra a tre corde o ancora dall’ingranaggio sonoro e trionfante del balafon. Di quando in quando, le ragazze del gruppo passano ad asciugare il viso delle migliori danzatrici e dei migliori musicisti – un modo di rendere loro omaggio. Negli intervalli si approfitta anche per incollare loro sulla fronte una moneta (che tiene bene, quando il sudore è polveroso).
La festa in città è anche, al tempo stesso, una sorta di rivincita sulla città, sulle frustrazioni e gli obblighi che essa impone: gli oscuri, gli umiliati della settimana, anche i semplici di spirito, non divengono qui gli eroi di qualche minuto o di qualche passo di danza, in accordo con la vita, in piena parità con tutti? L’insignificante scribacchino di un ministero o la guardia di un magazzino si rivela a volte animatore impareggiabile o acrobata virtuoso. La festa non è, dalla notte dei tempi, e per definizione, sfogo, oblio, ringiovanimento? Philippe David
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Senegal. Dakar Sabar (danza wolof)
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Guinea. Dixin Il porto dove arrivava la legna di mangrovia raccolta sulle isole antistanti
Edoardo, uomo di verità, preferisce mostrare l’Africa “interiore”, della quale condivide il destino. Sembène Ousmane
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Tutti i miei disegni sono fatti così. Sul posto. Vado a spasso con la cartellina sotto il braccio. Agli angoli di strada dove trovo qualcosa di interessante mi fermo, e faccio lo schizzo a matita. Velocemente, perché in Africa è difficile disegnare: arrivano tutti!… La reazione in generale è ottima, perché vedono che cosa sto facendo. Non è come la fotografia che… click!, e non vedi più niente. Cominciano ad avvicinarsi i bambini, poi la gente… Io lascio che guardino, e continuo a disegnare. L’unico problema è che dopo un po’ chiudono il cerchio attorno a me e io non vedo più il soggetto. Allora ogni tanto bisogna gridare. Però è imperdibile il fatto che le persone possano veder nascere i miei disegni, e che in tanti si mostrino così interessati… E i bambini vorrebbero imparare. Poi, a casa, con calma, con la china vado dietro al disegno fatto. Con la china, non hai diritto all’errore. Edoardo Di Muro
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Gli immigrati in Italia nel 2005 hanno dato al Pil un contributo pari al 6,1% del totale. Il loro apporto ha impedito che il Paese soffrisse due pesanti recessioni negli anni recenti. Senza il contributo del loro lavoro il reddito prodotto sarebbe sceso sia nel 2002 (-0,1% in termini reali) sia nel 2003 (-0,6%) sia, soprattutto, nel 2005 (-0,9%). Ma il primo e principale beneficio è demografico. Senza l’arrivo di un esercito di stranieri la popolazione sarebbe in costante calo. Il Sole-24 Ore, 11/12/06
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Immigrazione
Si ringraziano: per la collaborazione all’allestimento della mostra www.ManiAltriSguardi.com, lo Studio Editoriale Giorgio Montolli di Verona, Adriano Pedroni e Marco Nava, Treviglio (Bg) Reproscan Orio al Serio (Bg)