Africa 02 2017

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AFRICA N. 2 MARZO-APRILE 2017 - ANNO 96

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La Pasqua dei senegalesi


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Africa Raffaele Masto Editrice Tam 2016 160 pagine

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Il racconto di un grande reporter

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Sommario MARZO - APRILE 2017, N° 2

COPERTINA 40

Happy Birthday, Ghana

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di Antonella Sinopoli e Gabriele Cecconi

EDITORIALE Accogliere conviene

di Marco Trovato

ATTUALITÀ

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo

4

PRIMA PAGINA

6

PANORAMA

8

Sud Sudan. La lunga notte di Juba di Raffaele Masto

di Raffaele Masto

di Enrico Casale

12

Incubi nigeriani

16

Il marchio dei Masai

di Daniele Bellocchio e Marco Gualazzini di Enrico Casale e Sven Torfinn

18

Donne illuminate

Plinio il Vecchio (I secolo d.C.)

20

Olio di palma, la parola alla difesa

DIRETTORE RESPONSABILE

25

Amnesty: «Africa senza diritti»

26

Ghepardi, l’ultima corsa

Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE

Marco Trovato

28 LO SCATT O

WEB

Enrico Casale (news) Raffaele Masto (blog) PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA

di Jasmine Ayodele e Dieter Telemans di Marco Trovato

di Agu Odoemene

di Kodjio Sena

RD Congo. Turbanti blu

SOCIETÀ

Matteo Merletto

30

Senegal. La fabbrica del cuoio

AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

34

Angola. Le supermodelle di Luanda

38

Seychelles. Il Carnevale dei Carnevali

Paolo Costantini PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Claudia Brambilla EDITORE

di C. Naidoo e A. McConnell

di Marco Trovato e Irene Fornasiero di Joyceline Duarte di Bruno Zanzottera

MUSICA «I nostri ritmi di un’Italia diversa» di Claudio Agostoni 52 LO SCATT O Somalia. L’intervallo di Matthew Taylor e Tom Pilston

48

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi

PUBBLICITÀ

54

CULTURA Mozambico. Cacciatori di topi

segreteria@africarivista.it

di A. Salza e V. Sokhin

58

CULTURA Chi è intelligente capirà

Si ringrazia Parallelozero In copertina: Gabriele Cecconi Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand

62

CULTURA L’insegnamento di Calchi Novati di Mario Giro

64

SPORT Liberia. Sulla cresta dell’onda

STAMPA

70

RELIGIONE La Pasqua dei senegalesi in Italia

FOTO

Jona - Paderno Dugnano, Milano Periodico bimestrale - Anno 96 gennaio - febbraio 2017, n° 1 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 SEDE

Viale Merisio, 17 - C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 info@africarivista.it www.africarivista.it Africa Rivista @africarivista @africarivista africa rivista UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

76 RELIGIONE

Il potere di una firma

di V. G. Milani e M. Garofalo di S. Cella e S. Sapia

di Enrico Casale

INVETRINA

78

Eventi

79

Arte e Glamour

80

Sapori

81

Solidarietà

82

Libri

83

Musica

83

Film

84

Viaggi

86

Web

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di Pier Maria Mazzola e Marco Aime

di Stefania Ragusa

di Irene Fornasiero di Valentina G. Milani

di Pier Maria Mazzola di Claudio Agostoni

di Simona Cella di Marco Trovato

di Giusy Baioni

Bazar

88

a cura della redazione

Posta

di Sara Milanese

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i seminAri di

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

FOTOGRAFARE L’IMMATERIALE Seminario fotografico-antropologico dedicato all’Africa rivolto a chiunque voglia indagare il mondo africano con sguardo originale

MILANO SABATO 8 E DOMENICA 9 APRILE 2017 A cura di

STI! ULTIMI PO

Alberto Salza

Antropologo, scrittore e divulgatore scientifico

Bruno Zanzottera Fotografo specializzato in reportage di viaggio QUOTA DI PARTECIPAZIONE

180 euro 150 euro per gli abbonati alla rivista Africa Posti limitati In collaborazione con

Programma e informazioni:

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Accogliere conviene In Europa ci ostiniamo a interrogarci su come frenare l’arrivo dei migranti. Ma la domanda che dovremmo porci è un’altra: possiamo noi fare a meno di loro? Gli studi demografici ci ricordano che il “vecchio (mai come oggi) continente” ha un tasso di natalità ai minimi storici e necessita di ingressi costanti di nuove persone per compensare la riduzione della popolazione attiva. Lo confermano i recenti rapporti di Banca d’Italia, Istat, Eurostat… Analizzando dati come questi, Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna, professori all’Università di Padova, hanno calcolato che il nostro Paese avrebbe bisogno di 325.000 lavoratori stranieri l’anno per i due prossimi decenni: braccia (persone) che non vanno affatto a scapito dell’occupazione degli italiani, come dimostrano nel loro libro Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione (Laterza, 2016). Un rapporto curato dai Radicali italiani, Governance delle politiche migratorie tra lavoro e inclusione sociale, parla dell’esigenza di 157.000 nuovi ingressi annui. L’ordine di grandezza è comunque chiaro. Va ricordato che nel 2016, anno record degli sbarchi, sono arrivati in 181.000, di cui pochi avevano intenzione di stabilirsi in Italia. Già oggi, interi comparti produttivi stanno in piedi grazie alla manovalanza immigrata (scandalosamente sottopagata): nella fattorie della Bassa Padana, dove si produce il 40% del latte nazionale, sono i Sikh a sostenere l’attività zootecnica. Di origine africana sono gran parte dei braccianti che assicurano la raccolta dei pomodori in Puglia, degli agrumi in Sicilia, delle mele in Trentino… “Extracomunitaria” è la maggioranza dei corrieri che curano le spedizioni dell’e-commerce. Non solo. In Italia ci sono

un milione e mezzo di assistenti familiari – le “badanti” – cui abbiamo affidato la cura dei nostri cari: si tratta di un sistema socio-assistenziale parallelo a quello dello Stato, gestito per la quasi totalità da donne straniere… Se non ci fossero loro, il nostro welfare collasserebbe. Sul piano meramente economico, sebbene agli immigrati siano in genere riservate le mansioni meno qualificate e retribuite, rifiutate dagli italiani, il loro contributo alla crescita della ricchezza nazionale vale un tesoretto: oltre 8 punti di Pil. La Commissione Bilancio della Camera ha certificato che lo scorso anno le entrate fiscali derivanti da cittadini stranieri ammontavano a 13,7 miliardi di euro, a fronte di costi sociali sostenuti per loro di 10,4 miliardi circa: le cifre del governo, dunque, dicono che l’immigrazione porta nelle casse dello Stato 3,3 miliardi di euro di saldo positivo. C’è poi l’Inps. Ha spiegato il suo presidente, Tito Boeri: «Gli immigrati versano ogni anno 8 miliardi di contributi sociali e ne ricevono 3 in termini di pensioni e altre prestazioni sociali, con un saldo netto, per l’Istituto di previdenza, di circa 5 miliardi». Accogliere e aiutare chi fugge da guerre, terrorismo, dittature e povertà dovrebbe essere, anzitutto, un dovere etico. Ma per contrastare la retorica imperante dei populisti disinformati – che usano toni allarmistici e gridano allo scandalo per i costi dell’accoglienza – i buoni sentimenti, lo sappiamo, non bastano. Ricordiamo allora, ancora una volta, le cifre che svelano una realtà incontestabile: il nostro futuro dipende (anche) dagli immigrati. Marco Trovato

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 35 € · formato digitale (pdf) 25 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 45 Chf · rivista cartacea (Estero) 50 € · rivista cartacea+digitale (Italia): 45 € · rivista cartacea+digitale (Svizzera): 55 Chf · rivista cartacea+digitale (Estero) 60 €

Si può pagare tramite: · Bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT93 T088 9953 6400 0000 0001 315 · Versamento postale su C.C.P. n. 67865782

I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

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Beneficiario: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) C.P. 61 – 24047 Treviglio BG

Per informazioni: segreteria@africarivista.it


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LIBIA, CAOS ALLE PORTE DI CASA L’Italia punta a rafforzare il potere di Tripoli per frenare i flussi migratori. Ma il governo di unità nazionale voluto dall’Onu non riesce a controllare il territorio infestato da milizie armate e gruppi jihadisti. E c’è chi trama per portare la Libia alla frantumazione Per l’Italia la soluzione della questione immigrazione passa dal fatto di avere accordi con Tripoli per il blocco e il rimpatrio dei migranti. Il nostro governo punta a fare della Libia un baluardo per frenare i “viaggi della speranza” nel Mediterraneo (come la Turchia nell’Egeo), ma anche una sorta di “pattumiera” che consenta di “smaltire” con l’espulsione tutti coloro che non hanno diritto ad asilo politico o ad altre forme di protezione. ROMA CI RIPROVA Il ministro dell’Interno italiano Marco Minniti, dopo aver riabilitato la controversa e fallimentare strategia dei Cie (Centri di identificazione ed espulsione), ha stretto un accordo con il governo di unità nazionale libico di Fayez al-Serraj, teso a garantire il controllo delle frontiere e il contrasto al traffico di esseri umani. Il patto prevede da parte italiana il versamento di ingenti aiuti economici, logistici e militari, in cambio del continuo pattugliamento della costa per impedire ai migranti di partire. Già cinque anni fa, l’allora ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri siglò con Tripoli un accordo simile: Roma si era impegnata ad addestrare la polizia e la guardia costiera libica e a costruire infrastrutture per ospitare/rinchiudere i migranti intercettati in mare o in partenza dalle coste africane. L’accordo, all'epoca, era stato GAMBIA

Svolta democratica a Banjul. Il nuovo presidente del Gambia, Adama Barrow (nella foto) si è insediato a Banjul dopo l’uscita di scena, lo scorso 21 gennaio, del dittatore Yahya Jammeh – sconfitto clamorosamente alle elezioni di dicembre, dopo 22 anni di potere assoluto – costretto a rifugiarsi in esilio in Guinea Equatoriale, su pressione dell’intervento militare e diplomatico dell’Ecowas (l’Unione degli Stati dell’Africa Occidentale). Afp

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NEWSMasto di Raffaele NEWS

aspramente criticato dalle organizzazioni per i diritti umani, che denunciavano la detenzione arbitraria dei migranti, maltrattamenti e torture da parte delle autorità libiche. Persino la Corte europea dei diritti dell’uomo condannò il nostro Paese per la politica dei respingimenti in alto mare, in spregio alle norme internazionali per il diritto di asilo. Le critiche, più che giuste, e l’instabilità della Libia fecero naufragare tutto. Ma Roma ci riprova. GOVERNO FRAGILE Per mostrare tutta la sua determinazione, il governo italiano ha riaperto la propria ambasciata a Tripoli (la prima e finora unica sede diplomatica occidentale nel Paese), malgrado l’evidente mancanza delle minime condizioni di sicurezza e stabilità. Anche uno sprovveduto oggi non può far altro che constatare che la Libia è un Paese “fallito” e che il “nostro” alleato, il premier Fayez al-Serraj, controlla a malapena alcune province della Tripolitania (la regione di Tripoli e Misurata): il suo governo, voluto dall’Onu, sostenuto da Stati Uniti e Unione europea, appare agli occhi di molti libici “illegittimo”, in quanto “imposto” e “protetto” dall’Occidente. Di certo appare agli occhi degli osservatori un governo estremamente vulnerabile: nel corso delle ultime settimane ha subìto molteplici attentati intimidatori e persino un tentativo di golpe da parte degli islamisti. La Libia è oggi funestata da gruppi armati, milizie fondamentaliste, organizzazioni criminali che approfittano della fragilità del potere centrale per contendersi il controllo dei commerci più sporchi (migranti, armi, droga). INTERESSI CONTRAPPOSTI Nel caos della guerra civile, naturalmente, si celano le mire contrapposte di nazioni straniere (tutte interessate, BENIN

Un rituale vodù sulla spiaggia di Ouidah, durante la Festa del Vodù, che ogni anno a gennaio ospita migliaia di turisti e di fedeli. Il vodù è una religione praticata da circa 60 milioni di fedeli nel mondo. In Benin costituisce l’invisibile architrave della società: una fede granitica e complessa, incentrata sulla devozione a di divinità invisibili, che dà senso e ordine alla vita della popolazione locale. B.Zanzottera


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Italia compresa, ai pozzi petroliferi che si celano sotto il deserto). La Russia di Putin, per esempio, si è schierata con i rivali di al-Sarraj, cioè con il governo laico e nazionalista di Tobruk e con il generale Khalifa Haftar, le cui milizie oggi controllano buona parte della Cirenaica. Dalla stessa parte c’è in modo palese l’Egitto del generale al-Sisi e, in modo evidente anche se non dichiarato, la Francia, che, come noto, dal 2011, cioè da quando si fece la guerra contro Gheddafi, punta ad un nuovo status quo in Libia. È evidente, dunque, che la Libia odierna sono almeno tre Paesi diversi: la Tripolitania, la Cirenaica e il profondo Fezzan che per il momento sta a guardare per decidere, in seguito, da che parte schierarsi. L’Italia ha tutto l’interesse a pacificare e stabilizzare l’ex regno di Gheddafi; ma la pace e la democrazia non si impongono, si compongono. E oggi non tutti i libici apprezzano l’interventismo di Roma. Il generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Cirenaica, che non nasconde la sua aspirazione a controllare anche Tripoli, ha minacciato l’Italia: «Dovrebbe evitare di interferire negli affari interni della Libia». E nel governo di Tobruk c’è chi ha equiparato l’apertura della nostra ambasciata a una «occupazione straniera». In questa situazione di instabilità, è ovvio che gli accordi sull’immigrazione stretti dal nostro governo sono destinati a naufragare, come già accaduto in passato.

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COSTA D’AVORIO

Manifestazioni violente, strade bloccate, ammutinamenti. A metà gennaio, la Costa d’Avorio è stata scossa da un’ondata di proteste antigovernative che ha visto protagonisti militari, gendarmi, poliziotti e doganieri scesi in piazza per chiedere aumenti salariali. Le proteste dei soldati hanno gettato un’ombra sulla reale stabilità di una nazione che si è resa protagonista in questi anni di una promettente ripresa economica. Afp

GABON

I “Leoni indomabili” del Camerun hanno conquistato (dopo quindici anni di digiuno) la Coppa d’Africa disputatasi nei mesi gennaio e febbraio in Gabon. La nazionale camerunense si è aggiudicata per la quinta volta il prestigioso trofeo, battendo in finale per 2 a 1 i “Faraoni” dell’Egitto (che restano fermi a 7 titoli continentali), al termine di un torneo incerto ed equilibrato fino all’ultimo, fatto di agonismo, emozioni, tatticismo e prodezze.

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Minacce agli italiani: «Non interferite nei nostri affari interni»

TANZANIA

Un branco di gnu nelle praterie del Parco Nazionale del Serengeti, nel nord della Tanzania. Ogni anno, in primavera, seguendo il ciclo delle piogge, si rinnova lo straordinario spettacolo della Grande Migrazione: milioni di erbivori si spostano nella pianura sconfinata in cerca di nuovi pascoli. Con le loro feci e smuovendo il terreno con gli zoccoli, questi animali contribuiscono al rinnovamento annuale del manto erboso. twoandahalfbackpacks

NIGERIA

Il dramma dei piccoli profughi dell’Africa rappresentato da un’installazione fotografica di Patrick Willocq, fotoreporter francese che ha vissuto per sette anni nella Repubblica democratica del Congo. Questa opera è stata esposta al Lagos Photo Festival, una delle più importanti rassegne fotografiche del continente, che raduna ogni anno nella capitale economica della Nigeria i migliori talenti africani dell’obiettivo.

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NEWS a cura di Enrico Casale NEWS

spiegato lo scrittore nigeriano – costruisce muri nella mente delle persone». Monique Mukaruriza, sindaca di Kigali, la città ruandese nominata dall’Onu miglior capitale africana in termini di sicurezza e sviluppo.

Paul Biya, presidente del Camerun dal 1982, ha inasprito la repressione contro la minoranza anglofona, che chiede più diritti.

TUNISIA, ARANCE AMARE Produzione record di arance in Tunisia (500.000 tonnellate). Metà del raccolto rischia però di essere distrutto, dato che solo il 10% è esportato e il mercato interno ristagna.

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WEB, TRE PAESI AL COMANDO

ca ad avere una linea ferroviaria ad alta velocità. Avrà un costo di 1,8 miliardi di euro e collegherà Tangeri a Casablanca in due ore. MORTO IL SUPERPOLIGAMO

Seychelles, Marocco e Sudafrica sono i Paesi africani in cui il Web è più diffuso, raggiungendo oltre il 50% della popolazione. In fondo alla lista, Eritrea, Burundi, Somalia e Guinea. AUTOSCUOLA IN ROSA

È morto all’età di 93 anni Mohammed Bello Abubakar. Predicatore nigeriano, è entrato nel Guinness dei Primati per aver sposato 86 donne (ma lui sosteneva 130) e aver avuto 170 figli. MALARIA, ALLARME RESISTENZE

un quinto dei colleghi bianchi (445.000 rand). SOYINKA VS TRUMP

SUDAFRICA, ANCORA DISCRIMINAZIONI In Sudafrica resiste l’apartheid economica. Secondo l’Ufficio nazionale di statistica, i cittadini sudafricani neri guadagnano mediamente 93.000 rand l’anno (circa 7.000 euro):

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In Egitto ha aperto un’autoscuola tutta al femminile. L’obiettivo è incentivare donne e ragazze a imparare a guidare, ma anche a conoscere la meccanica delle vetture. MAROCCO AD ALTA VELOCITÀ Entro il 2018, il Marocco sarà il primo Paese d’Afri-

Wole Soyinka, primo Nobel africano per la Letteratura, ha distrutto la sua green card, il permesso di soggiorno permanente Usa, in segno di protesta contro Trump. «Il presidente statunitense – ha

La malaria è diventata resistente ai principali farmaci in uso. L’allarme è stato lanciato dai sanitari britannici dopo che, per la prima volta, non sono riusciti a debellare il plasmodio in pazienti provenienti da Uganda, Angola e Liberia. CORRUZIONE, PROMOSSI E BOCCIATI Secondo Transparency International, nel 2016 So-


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LA FRASE

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È bello il giorno in cui si rientra a casa

malia, Sud Sudan e Libia sono stati i Paesi africani con il più elevato livello di corruzione. Esempi positivi: Ghana, Capo Verde e São Tomé e Príncipe. I PIÙ POTENTI D’AFRICA Il presidente egiziano alSisi e il magnate nigeriano Dangote sono tra gli uomini più potenti del

Mohammed VI, re del Marocco, in merito al ritorno del suo Paese nell’Unione africana (da cui fuoriuscì nel 1984 in segno di protesta per il riconoscimento del Sahara Occidentale) pianeta. Ad affermarlo, la rivista Forbes, che li ha inseriti nella classifica delle 100 personalità mondiali più influenti.

SOMALIA, SERVONO RINFORZI

KENYA, UN ALTRO MURO

È iniziata la costruzione della barriera, 683 chilometri a lavori ultimati, che separerà fisicamente il Kenya dalla Somalia. Nelle intenzioni del governo di Nairobi proteggerà il Paese dalle infiltrazioni dei miliziani somali.

nel continente. Il bruco – che è già stato individuato in Zimbabwe, Malawi, Mozambico e Zambia – devasta in particolare i campi di mais, mettendo a rischio la sicurezza alimentare. La Fao ha convocato un meeting di emergenza.

Alla missione militare dell’Unione africana in Somalia servono 9000 uomini. Il ritiro di alcuni contingenti e la realtà di un esercito somalo impreparato rischiano, senza rinforzi, di minare l’azione di contrasto alle milizie islamiche. MAIS A RISCHIO Un insetto esotico minaccia i raccolti in Africa. Le larve di una farfalla originaria delle Americhe si stanno diffondendo rapidamente

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È il numero di monarchie esistenti in Africa: Lesotho, Marocco e Swaziland (quest’ultimo è retto da un sovrano assoluto).

AFRICA è sempre più SOCIAL MISSIONE • CULTURA

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Il continente vero sempre a portata di mano


ATTUALITÀ di Raffaele Masto

La lunga notte di Juba

8 africa · 2 · 2017 Albert González Farran / Afp


VIOLENZE, INSTABILITÀ E CRISI UMANITARIE: NON C’È PACE PER LA PIÙ GIOVANE NAZIONE D’AFRICA

Pattugliamento di militari della missione Onu nella regione di Abyei, al confine tra Sudan e Sud Sudan, contesa dai governanti di Juba e Khartoum per la sua ricchezza petrolifera: un altro fronte caldo che alimenta l’instabilità in questa martoriata parte d’Africa

Solo sei anni fa il mondo salutava la nascita della Repubblica del Sud Sudan, al termine di una lunga e sanguinosa guerra d’indipendenza. Ma le speranze si sono perse in un nuovo conflitto “tribale” alimentato dalla bramosia di potere Per vedere gli effetti della guerra civile sud-sudanese non c’è nemmeno bisogno di uscire da Juba, la capitale. In questa città sono racchiuse tutte le drammatiche conseguenze che un conflitto così assurdo produce: ci sono gli scheletri dei palazzi mai finiti di costruire, ci sono i mercati con i prezzi alle stelle, falciati da un’inflazione che, alla fine dell’anno scorso, aveva superato l’850%, c’è il coprifuoco e ci sono i muri sbrecciati dai colpi di mortaio dell’ultimo scontro, quello di circa un anno fa, nato da un accordo di pace mediato dall’Unione africana che aveva fatto ritornare a Juba, armato fino ai denti e protetto da migliaia di guerriglieri nuer, l’ex vicepresidente Riek Machar. L’intesa saltò e in città, per qualche ora, ci fu un’esplosione concentrata della guerra che si combatteva nell’intero Paese. La guerra non ha margini di mediazione per diversi motivi, di natura politica ed economica. Difficile trovare un compromesso con due leader che prima della guerra ricoprivano le due massime cariche dello Stato. Cosa si può loro offrire di più?

Città ferita Nonostante tutti gli avvenimenti di questi tre anni di guerra civile, Juba è rimasta come i primi giorni di quel traumatico 11 dicembre del 2014, quando il presidente Salva Kiir accusò il suo ex vice Riek Machar di stare per realizzare un colpo di Stato. L’accusa fece scattare la guerra e in città si scatenò l’inferno. Da allora, la capitale della più giovane nazione d’Africa appare come traumatizzata, lenta, incredula. Anche il grande fiume Nilo, che la attraversa, sembra quasi attonito, sorpreso dagli eventi che erano sì attesi, secondo molti osservatori, ma che nessuno pensava si potessero davvero realizzare. Sulle sue acque volteggiano miriadi di falchi che si lasciano trasportare dal vento. Fulminei, come lo furono gli uomini di Salva Kiir, ogni tanto si gettano in picchiata sulle acque per catturare qualche incauto pesce che nuota a filo d’acqua per poi riprendere rapidi quota. Ma Juba porta una cicatrice ben più grave di quel primo giorno di guerra: nel grande compound dell’Onu sono ammassate quarantamila persone, africa · 2 · 2017 9


SUD SUDAN

Vittime innocenti Così, ammassati in pochi chilometri quadrati, questi uomini, queste donne e soprattutto questi bambini sono praticamente il simbolo di una guerra as-

▼ Bimbi sud-sudanesi giocano sulla carcassa di un aereo da guerra distrutto nei pressi di Juba. Le fragile speranza che la pace possa perdurare in questa martoriata nazione è appesa a un esile filo

Carl De Souza / Afp

10 africa · 2 · 2017

Raga

Aweil

Bentiu

surda, che non ha margini di mediazione e che, stando così le cose, potrebbe continuare per sempre. Di fatto, a Juba c’è una città nella città e una delle due è abitata da prigionieri che hanno bisogno di tutto, di un’assistenza totale. Visitare questa città di detenuti è un’esperienza unica: filo spinato, alti muri, rifugi di fortuna e bambini dappertutto. I bambini sono un altro dei simboli di questa guerra. L’Unicef ha denunciato che la guerra in Sud Sudan ha il record di minori arruolati per combattere. Le cifre dell’agenzia dell’Onu sono confermati da un

Malakal

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JUBA

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quasi tutte di etnia nuer. Non possono uscire, perché a Juba la popolazione è quasi esclusivamente dell’etnia nemica, i Dinka, e li farebbero a pezzi.

Sudan di Abyei

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Superficie 619.745 km² (Italia: 301.340) Popolazione 13 milioni ab. Densità 21 ab./km² (Italia: 201) Capitale Juba (500.000 ab.) Capo di Stato Salva Kiir Mayardit Moneta sterlina sud-sudanese Lingue inglese, arabo, circa 60 delle relative etnie Etnie principali Dinka, Nuer, Shilluk, Acholi, Lotuhu Religioni fedi tradizionali 50%, cristiani 40% (in maggioranza cattolici), musulmani 10% Speranza di vita 55 anni

Yei

Boma Torit

testimone d’eccezione, padre Daniele Moschetti, missionario comboniano che vive a Juba: «Nel solo 2016 almeno 1300 bambini sono stati reclutati. In totale, dal 2013, i minori mandati a combattere in questa guerra sono almeno 17.000». Numeri senz’altro aggiornati per difetto, perché la vastità del Sud Sudan e i numerosi fronti di guerra non consentono di avere cifre precise. Petrolio conteso In gioco – oltre al controllo del Nilo, che attraversa da sud a nord l’intera nazione e rende Panos / Luz

fertili immensi terreni e pascoli – c’è soprattutto il greggio. Il Sud Sudan è in realtà una bolla di petrolio incastrata in mezzo all’Africa. Perché questa risorsa venga sfruttata ci vogliono oleodotti e terminali. Prima della secessione del Sud c’era Port Sudan, ma oggi questo terminale è di proprietà dell’ex nemico del Nord, che sarebbe ben felice di metterlo a disposizione, ovviamente dietro lucrosi pedaggi portuali. Ma il greggio sud-sudanese è ambito anche da tutte quelle potenze arabe e orientali che hanno investito sul terminale di Lamu, tra Somalia e Kenya. Salva Kiir e Riek Machar hanno già stretto promesse con gli uni e con gli altri in cambio di finanziamenti e sostegno politico. A rendere ancora più fragile la situazione politica e militare è il perdurare delle tensioni alla frontiera settentrionale con il Sudan – eredità di una guerra durata vent’anni e che ha causato due milioni di morti. Nel 2011, i governanti di Khartoum e di Juba hanno lasciato in sospeso la definizio-



ATTUALITÀ testo di Daniele Bellocchio – foto di Marco Gualazzini

Incubi nigeriani La Grande Moschea di Maiduguri, capitale dello Stato nigeriano del Borno. In questa città del Nordest della Nigeria nel 2002 un leader islamico locale, Mohammed Yusuf, fondò Boko Haram

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ATTUALITÀ testo di Enrico Casale – foto di Sven Torfinn / Panos / Luz

Il marchio Centinaia di aziende in tutto il mondo utilizzano il nome “masai” per promuovere prodotti di successo, dalle auto di lusso alle calzature griffate, fino alle penne stilografiche. Ora il celebre popolo di Kenya e Tanzania spera di godere di una parte dei profitti I Masai hanno detto basta. Per troppi anni centinaia di aziende di tutto il mondo hanno utilizzato il loro nome per vendere prodotti, dai ricambi per le automobili ai servizi legali, dalle scarpe alle penne stilografiche. E, malgrado gli enormi profitti ottenuti, nessuno ha versato loro un centesimo per ottenere il copyright. Ma ora i nobili pastori delle savane che vivono in Kenya e Tanzania hanno deciso di frenare lo sfruttamento commerciale della loro identità etnica e di farsi pagare il copyright. Paladino tribale Il successo di questa impresa porterebbe almeno dieci milioni di euro l’anno nelle casse della comunità, una somma che potrebbe far uscire la popolazione dalla spirale della povertà. A sostenere il loro sforzo è Ron Leyton, un uomo d’affari neozelandese con un’esperienza trentennale nel settore della proprietà intellettuale, che, alcuni anni fa, ha creato la Light Years Ip, un’organizzazione non profit che vuole sensibi16 africa · 2 · 2017

lizzare le popolazioni dei Paesi in via di sviluppo sui temi del copyright e dei marchi commerciali. I Masai non sono i primi a tentare un’operazione simile. Negli scorsi anni i Navajo, tribù di nativi americani, hanno citato un noto brand di moda, Urban Outfitters, per ottenere i diritti sullo sfruttamento del loro nome. I Maori hanno ottenuto il copyright sullo sfruttamento della loro immagine dalla Nuova Zelanda. Gli Adivasi (tribali indiani) hanno strappato i diritti sul marchio che utilizzava il loro nome per commercializzare erbe medicinali. Business globale Il caso dei Masai – emblemi di fierezza, eleganza e coraggio – però ha una portata globale. Secondo Ron Leyton, sono almeno un migliaio le aziende ▶ Il manager neozelandese Ron Layton, esperto di marchi commerciali, copyright e brevetti, a colloquio con due leader del popolo masai in Tanzania

L’ATTIVISTA NEOZELANDESE RON LEYTON RIVENDICA IL COPYRIGHT PER I PASTORI-GUERRIERI, «SFRUTTATI DA MARKETING E PUBBLICITÀ»


dei Masai che nel mondo utilizzano il brand “Masai” per promuovere business di successo. Tra queste, la Jaguar Land Rover che, nel 2003, ha prodotto due versioni limitate del fuoristrada Freelander chiamate Masai e Masai Mara.

O Louis Vuitton, che nel 2012 ha presentato una collezione di abiti che includeva sciarpe e maglie con i colori degli shuka, gli abiti tradizionali masai. La celebre azienda di moda francese è stata poi imitata da Calvin Klein,

Ralph Lauren, Diane von Fürstenberg, che hanno prodotto lenzuola, pantaloni, cuscini utilizzando il nome dell’etnia africana. Di recente hanno avuto successo le scarpe sportive Masai Barefoot Technology, famose per la suola

ricurva ispirata alla pianta dei piedi dei pastori africani. I Masai hanno anche ispirato la Delta, ditta italiana specializzata in stilografiche di lusso, che nel 2003 ha commercializzato la Masai, penna stilografica della linea “Indigenous people”. Attorno al tavolo «Solo negli ultimi dieci anni, sei grandi compagnie hanno goduto di un giro d’affari di oltre 100 milioni di dollari l’anno grazie all’utilizzo del brand “Masai”», spiega Ron Leyton. Che aggiunge: «Se i pastori-guerrieri africani si riappropriassero dei diritti sul loro nome, potrebbe contare su almeno dieci milioni annui per le royalties, ovvero il 10 per cento dei profitti ricavati dai prodotti “masai”. Una ricchezza che potrebbe cambiare le condizioni di vita delle comunità». Il 70 per cento dei Masai in effetti vive in condizioni di estrema povertà, nonostante le entrate garantite dall’industria turistica legata ai parchi del Serengeti (Tanzania) e Masai Mara (Kenya). «È giunta l’ora di cambiare le cose – tuona Leyton, che ha già attivato un pool di agguerriti avvocati –: le grandi aziende che sfruttano il nome dei Masai presto dovranno sedersi intorno al tavolo e discutere di come remunerare i loro diritti». africa · 2 · 2017 17


ATTUALITÀ di Marco Trovato

Olio di palma, la parola alla difesa

20 africa · 2 · 2017


IN EUROPA È OGGI DEMONIZZATO, MA DI QUESTO OLIO

Attorno all’olio di palma si è acceso un vivace dibattito che disorienta i consumatori. Fa male alla salute, oppure no? È davvero nocivo per l’ambiente, o sono accuse infondate?

L’AFRICA SI NUTRE DA SEMPRE. PROVIAMO A FARE CHIAREZZA

Mezzo miliardo di persone, il 70% degli abitanti dell’Africa subsahariana, utilizzano ogni giorno l’olio di palma per cucinare. Nessuno studioso si era mai preoccupato di capire se fosse un alimento nocivo per la salute di una popolazione così vasta. I primi studi scientifici sono stati condotti alla fine degli anni Novanta, quando la grande industria alimentare ha iniziato a utilizzare in maniera diffusa il prodotto per la frittura e per la conservazione degli alimenti confezionati (biscotti, merendine, gelati, cioccolato, zuppe e così via). A quel punto, in Oc-

◀ Una donna nigeriana intenta alla spremitura dei frutti da cui si ricava l’olio di palma. Circa il 40% della produzione globale di questo olio è ottenuto dai piccoli produttori, che effettuano manualmente la lavorazione ▼ L’olio di palma è utilizzato come alimento umano da oltre cinquemila anni. Se ne hanno testimonianze già dai tempi degli Egizi

Bayo Omoboriowo

cidente si è cominciato a interrogarsi sulla sicurezza dell’olio di palma. Le proprietà che lo rendono conveniente a livello industriale sono numerose: è incolore, insapore, altamente versatile, facilmente digeribile, resiste all’ossidazione, possiede una forte resistenza alla temperatura e al sole, migliora la consistenza e la durata dei cibi. Soprattutto, costa poco. Sotto accusa Meno chiari sono gli eventuali effetti indesiderati o nocivi sull’uomo e sull’ambiente: la questione è fonte di ricerche e di controversie che agitano imprenditori, ricercatori, consumatori ed ecologisti. Taluni demonizzano l’olio di palma – e tra loro ci sono qualificati professionisti – perché innalzerebbe il colesterolo e favorirebbe l’insorgenza di disturbi cardiovascolari. Inoltre, secondo un recente studio dell’Efa (l’autorità europea per la sicurezza alimentare), la sua raffinazione genererebbe sostanze

africa · 2 · 2017 21


Business Times

FD Business

Hotli Simanjuntak

Business Times

▲ Piantagione di palma da olio. Questa pianta fornisce il primo raccolto dopo 30 mesi e ogni esemplare garantisce una produzione di 4-5 tonnellate di olio all’anno, per 25 anni ▲ I frutti della palma, raggruppati in grappoli, hanno un nocciolo duro e una polpa morbida composta per il 65% di olio. Sono rapidamente deperibili, motivo per cui vanno lavorati subito dopo il raccolto

Kris Pannecoucke / Panos Pictures / Luz

◀ Lavoratori in una fabbrica di olio di palma nella Repubblica democratica del Congo ◀ La devastazione di una porzione di foresta per fare spazio a nuove piantagioni. La produzione di olio di palma crescerà almeno del 40% da qui al 2050, quando la popolazione mondiale supererà i 9 miliardi di persone

Wbur

▶ Si innaffiano giovani piante di quella che diverrà la più grande piantagione di palma da olio dell’Africa, nella Rd Congo, di proprietà dell’azienda canadese Feronia 22 africa · 2 · 2017

cancerogene e potenzialmente tossiche per l’organismo. Sotto accusa è finita anche la coltivazione intensiva delle palme da olio che nuocerebbe all’ecosistema. Sui social network è dilagata una campagna di boicottaggio che ha spinto alcuni gruppi industriali a evidenziare in pubblicità e confezioni la dicitura “Senza olio di palma”. La catena di distribuzione delle Coop ha deciso di bandire il prodotto dai propri scaffali. Terrorismo alimentare? Eppure c’è chi ne difende l’impiego e ne esalta le proprietà benefiche, a cominciare dall’alto contenuto di vitamina E e di sostanze antiossidanti. Come la Ferrero, che lo utilizza per produrre la



SOCIETÀ testo di Marco Trovato – foto di Irene Fornasiero

La fabbrica del cuoio

DAI MACELLI ALLE BOUTIQUE, VISITA ALLA CONCERIA ITALIANA DI DAKAR CHE RIFORNISCE L’ALTA MODA. E NON SOLO


I colossi dell’abbigliamento e delle calzature si procurano il pellame nell’azienda guidata da Massimiliano Banfi, che ha lasciato Milano per lavorare in Senegal. «Il futuro è qui», dice convinto. E invita altri imprenditori a investire in Africa «Quando sento al telegiornale le dichiarazioni di alcuni nostri politici, mi prende lo sconforto: accecati dagli stereotipi e in cerca di facili consensi, parlano dell’Africa sempre come un problema, senza accorgersi che questo continente, con la sua popolazione giovane proiettata nel futuro e le sue crescenti classi medie, rappresenta un’enorme ricchezza e una preziosa opportunità». Massimiliano Banfi, imprenditore quarantenne di origini milanesi, è un fiume in piena. Da ventitré anni vive e lavora in Senegal. Ha lasciato l’Italia senza grossi rimpianti. «Ho portato con me del buon caffè, abbandonando volentieri la nebbia». Ci accoglie nel suo ufficio alla periferia di Dakar mentre a Roma infuria l’ennesima polemica sulla cosiddetta “emergenza immigrazione”. «Io davvero non capisco – scuote la testa e sorride amaro –. Dicono che il Senegal sia tra le principali nazioni di provenienza dei migranti che sbarcano a Lampedusa... E pensano di fermare l’emorragia di giovani in fuga da queste terre sigillando le nostre frontiere. Non ci riusciranno. Impossibile arre-

stare la voglia di riscatto di tanti ragazzi e ragazze. Piuttosto, perché non invitano gli imprenditori a investire qui, per creare posti di lavoro, ricchezza, stabilità? Le opportunità di successo non mancano, e io ne sono la prova vivente». Senza crisi Banfi è il direttore generale della Sénégal Tannières, azienda fondata una ventina di anni fa da suo padre Livio, diventata la più importante conceria del Paese. Un’impresa da 12 milioni di euro di fatturato all’anno. «Siamo partiti con trentacinque dipendenti e una capacità produttiva di tremila capi al giorno. Oggi abbiamo centosettanta operai che lavorano diecimila capi al giorno. Gli affari vanno a gonfie vele. Fatichiamo a stare dietro agli ordini». Il mercato mondiale delle pelli non conosce crisi, grazie alla costante richiesta di materia prima da parte delle industrie dell’arredamento (poltrone, divani, sedie), delle auto (sedili e rivestimenti interni), dell’abbigliamento (giacche, scarpe, cinture, borse). A contendersi la torta che vale ogni anno decine

di miliardi di euro sono Cina, India, Brasile e la stessa Italia, le cui celebri concerie artigianali sono concentrate in tre distretti produttivi regionali: in Veneto, Toscana e Campania. Scarti preziosi L’Africa risponde come può alla concorrenza dei colossi: Uganda, Etiopia, Nigeria, Sudan e Zambia hanno vietato l’esportazione delle pelli grezze al fine di potenziare l’industria conciaria locale. Il Senegal non ha attuato politiche protezionistiche. «Siamo gli unici a esportare pelli lavorate da Dakar», fa presente Banfi. Cinesi, indiani e pachistani preferiscono riempire container di pellame grezzo e lavorarlo in Asia. «Ma così facendo non aiutano lo sviluppo di questo Paese. Noi invece creiamo posti di lavoro, garantiamo salari equi e diritti sindacali… Considerando anche l’indotto, contribuiamo a sostenere economicamente migliaia di famiglie africane». Un tempo, la gran parte dei resti degli animali scuoiati nei mattatoi senegalesi veniva gettata nella spazzatura. Un vero peccato (e un grosso

▲ Massimiliano Banfi, quarantenne di origini milanesi, mostra delle pelli lavorate nella sua fabbrica di Dakar

problema ambientale e sanitario), se pensiamo che oltre il 90% delle pelli usate nel settore della moda proviene da animali destinati all’uso alimentare. La Sénégal Tannières ha nobilitato il pellame locale, trasformandolo da potenziale rifiuto a materia prima per manufatti di alto valore commerciale. Attenzione all’ambiente «Ritiriamo decine di tonnellate di pelli di montoni, capre, vitelli e agnelli provenienti dai macelli di ogni regione del Senegal, ma anche di Mauritania, Mali e Burkina Faso», chiarisce Banfi. «Esportiamo il 100% dei nostri prodotti. E siamo tra i fornitori delle grandi griffe del lusso», aggiunge con un punta di orgoglio. «Facciamo del nostro meglio per supplire alla mancanza di macelli equipaggiati e di allevamenti moderni che penalizza la qualità del pellame». Il processo di concia è piuttosto laborioso. Per rendersene conto basta visitare i reparti della fabbrica dove avafrica · 2 · 2017 31



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Le supermodelle di Luanda

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Victoria’s Secret

Maria Borges, modella angolana di 24 anni, è considerata l’erede naturale di Naomi Campbell


LE BELLEZZE ANGOLANE CONQUISTANO LE PASSARELLE DEL PRÊT-À-PORTER

Way Model Management

Sharam Diniz è nata nel 1991, quando a Luanda imperversava ancora la sanguinosa guerra civile

Le top model Maria Borges e Sharam Diniz, celebrate e ricercate da stilisti e fotografi, sono le icone viventi di una nazione ambiziosa, con un passato difficile alle spalle e tanta voglia di riscatto. E le loro biografie lo dimostrano In principio ci fu Leila Lopes, classe 1986, studentessa di economia all’Università di Benguela. Nel 2010 vinse un concorso di bellezza a Luanda e si qualificò per le selezioni di Miss Universo. L’anno dopo sbaragliò centinaia di concorrenti di ogni nazionalità e venne incoronata “la più bella del mondo”. Fu in quel momento che i grandi media internazionali si accorsero dell’esistenza di un Paese africano chiamato Angola, ex colonia portoghese, uscito nel 2002 da una sanguinosa guerra civile. Oggi Leila Lopes ha trent’anni. È ancora una donna bellissima e in splendida forma, ma ha smesso di calcare le passerelle: si occupa della sua famiglia ed è impegnata sul fronte della solidarietà (promuove programmi sociali a favore di bimbi svantaggiati, sieropositivi e anziani). Fucina di bellezze «Ma il trionfo planetario di Leila ha lasciato un segno indelebile», fa presente Karina Barbosa, fondatrice della più prestigiosa agenzia di modelle di Luanda, Step Models. «Grazie al suo successo, in tanti hanno capito che l’Angola non produce so-

lo diamanti e petrolio, ma anche ragazze stupende: predestinate a conquistare il mondo della moda». C’è da crederle, a giudicare dal numero di indossatrici angolane assoldate dalle più importanti griffe per le collezioni haute couture e prêt-à-porter. Le stelle nascenti delle sfilate si chiamano Elsa Mussengue, Ludvania Almeida, Vaumara Rebelo, Amilna Estévão. Ma le protagoniste assolute delle Fashion Week che si tengono in questo periodo nella capitali della moda sono due top model, Maria Borges e Sharam Diniz, celebrate e ricercate da stilisti e fotografi. Sono le icone viventi di una nazione ambiziosa, con un passato difficile alle spalle e tanta voglia di riscatto. Grinta e coraggio «Crescere in Angola è stata dura», ha confessato a Vogue Maria Borges, nata a Luanda nel 1992, dieci anni prima della fine della guerra civile. «Ho perso mia madre quando ero molto giovane. E mio padre non faceva parte della mia vita. Per fortuna la mia sorella maggiore, che aveva 15 anni quando è morta nostra madre, ha avuto la forza e la deterafrica · 2 ·2017

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«MI SCARTATE PERCHÉ NERA?»

«Ci dispiace, ma c’è già una modella nera». Con queste parole Deddeh Howard, 27 anni, studentessa, blogger e modella di origine liberiana, è stata più volte scartata per campagne pubblicitarie o servizi fotografici. Stanca di sentirsi ripetere la solita frase, la modella ha deciso di farsi ritrarre dal suo fidanzato e fotografo Raffael Dickreuter, in diverse campagne pubblicitarie, al posto di famose modelle bianche come Kate Moss, Gigi Hadid o Gisele Bündchen. È nato così il progetto Black Mirror, i cui provocatori scatti sono stati pubblicati da Deddeh Howard sul suo profilo Instagram (@secretofdd).

minazione di crescere me e mio fratello. Non sarò mai in grado di ripagarla per tutto quello che ha fatto per me. Per questo ho sempre un atteggiamento positivo verso qualsiasi opportunità che mi viene data. Mi ha anche insegnato a restituire al mio Paese natale». Scoperta a 18 anni durante l’annuale edizione dell’Elite Model Look, Maria Borges è stata nominata dalla rivista Forbes top model rivelazione del 2013, anno in cui è stata arruolata da Riccardo Tisci per l’esclu-

siva maison francese Givenchy. A novembre dello stesso anno ha calcato per la prima volta il pink carpet di Victoria’s Secret, noto brand di lingerie americano, di cui è diventata una presenza fissa. Nel 2015 ha fatto notizia scegliendo di sfilare coi suoi capelli afro naturali, corti e ricci: un gesto che volutamente ha dato visibilità alla ribellione di tante donne nere ai modelli estetici occidentali che impongono chiome lunghe, lisce e laccate (v. box a pag. 37).

Voglia di luce Anche Sharam Diniz, classe 1991, ostenta con orgoglio una spiccata identità angolana, benché abbia vissuto a lungo in Portogallo. La sua carriera è iniziata a Luanda, dove ha cominciato a sfilare quando aveva 17 anni. Nel 2013 è stata eletta Miglior Modella ai Golden Globes. Ha posato per svariate copertine, ritratta dai migliori fotografi di moda, e ha partecipato al Victoria’s Secret Fashion Show. Nel 2015 è stata il volto per una campagna pubblicita-

ria di Chanel. Dopo aver conquistato le passerelle di New York, Parigi e Milano, ha deciso di lanciare una propria linea di abbigliamento, Naara, creata in collaborazione con il brand Rbs, con cui ha dimostrato di saper abbinare in maniera inedita gli splendidi tessuti africani. «Volevo creare una collezione che fosse in grado di parlare ai giovani e di interpretare il loro senso di ambizione – ha spiegato –. La nazione da cui provengo ha conosciuto l’abisso della guerra, ma oggi i figli usciti dalle macerie di quel terribile conflitto sono desiderosi di scrivere un nuovo futuro di speranza. Per questo i miei abiti hanno colori luminosi». Fascino e cervello Pur tra mille difficoltà – metà popolazione vive ancora in grande povertà per colpa di una classe politica avida e corrotta – l’Angola è tornata a sorridere (anche per il rialzo del prezzo del petrolio, principale voce dell’export). I diciottenni di oggi sono nati sul finire della guerra, ma hanno vissuto la risurrezione del

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Il Carnevale

MASCHERE, CLOWN E GIOCOLIERI DI TUTTO

Ogni anno, a metà aprile, nel minuscolo arcipelago dell’Oceano Indiano approdano centinaia di costumi e personaggi burleschi di ogni nazionalità e tradizione. Per dare vita al più strabiliante dei carnevali In quasi tutto il mondo il carnevale si festeggia con maggior fervore la settimana prima della Quaresima (il nome di questi giorni di divertimento e follia deriva dal latino carnem levare, “eliminare la carne”, in riferimento al banchetto che precede-

va il periodo di digiuno e penitenza in preparazione alla Pasqua). Ma il calendario delle Seychelles – la più piccola e meno popolosa nazione d’Africa – è tutto particolare, come il suo carnevale che qui si celebra ogni anno a metà aprile.

Festa contagiosa La festa prende il nome di Carnaval de Victoria, dalla capitale dell’arcipelago sospeso nelle acque turchesi dell’Oceano Indiano. A dire il vero, le Seychelles non vantano una propria tradizione carnevalesca: alcuni anni

IL MONDO SI DANNO APPUNTAMENTO ALLE SEYCHELLES fa, il ministero del turismo locale ha pensato di organizzare il “Carnevale dei Carnevali”, invitando delegazioni da tutto il mondo a intervenire con i propri costumi e le proprie maschere tradizionali. Se l’idea può sembrare una semplice trovata com-


dei Carnevali

merciale, mettendo in calendario un evento in un periodo di bassa stagione turistica, nella realtà il carnevale di Victoria si è trasformato in una grande kermesse a cui gli isolani partecipano attivamente con tutto il loro entusiasmo e la loro fantasia. Panda al sole Per le vie di Victoria sfilano allegri cortei di figuranti di ogni nazionalità: ballerine brasiliane al fianco di guerrieri indone-

siani, giocolieri vietnamiti e musicisti sudafricani. Procaci vivandiere tedesche sono al seguito di stoiche ragazzine cinesi impellicciate in costumi da panda con temperature che superano i trenta gradi centigradi. Improbabili abitanti di Notting Hill sfoggiano i loro costumi sontuosi a bordo di mezzi fantasmagorici, seguiti da clown, acrobati e mangiatori di fuoco mauriziani. L’allegra parata si arricchisce con maschere arti-

gianali confezionate dagli abitanti locali che, a migliaia, fanno a gara per farsi fotografare insieme ai personaggi carnevaleschi. Il tutto si svolge in un’atmosfera gioiosa e autentica, che termina la sera nei parchi cittadini, tra danze improvvisate e grandi bevute di birra. Il giorno successivo tutto torna alla normalità e del carnevale non sembra rimanere nessuna traccia. Almeno fino al prossimo anno. africa · 2 · 2017 39


COPERTINA testo di Antonella Sinopoli – foto di Gabriele Cecconi

Happy Birthday, Ghana Una coppia di giovani si fotografa davanti al mausoleo di Kwame Nkrumah (1909-1972), l’indimenticato padre nobile del Ghana, Paese che a marzo celebra il sessantesimo anniversario dell'indipendenza. Dal 1988 il Ghana gode di un clima politico stabile e democratico

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COMPIE SESSANT’ANNI LA PRIMA NAZIONE AFRICANA A CONQUISTARE L’INDIPENDENZA. PROIETTATA NEL FUTURO

È considerato un modello di sviluppo e democrazia, un esempio virtuoso di stabilità e coesione sociale. Di certo, tra successi e fallimenti, fra fragilità e contraddizioni, il Ghana è il luogo simbolo del Rinascimento africano Il paesaggio di Accra cambia in continuazione. Due mesi di lontananza, e rimani stordito dalle novità: un cantiere stradale che è già una sopraelevata congestionata dal traffico, nuovi e lussuosi edifici che svettano nel cielo, centri commerciali appena inaugurati e già pieni di gente. Dappertutto spuntano grandi magazzini e negozi di marche europee che sanno di trovare in questo Paese africano un mercato in espansione. La classe medio-alta non invidia nulla agli “espatriati”, gli occidentali che vivono qui. Il potere d’acquisto per gli uni e per gli altri è ormai allo stesso livello. Il biglietto da visita del Ghana è una capitale brulicante di gente frenetica, in marcia verso il futuro. Ma l’aria di fiducia si respira in tutte le principali città: a cominciare da Kumasi, snodo cruciale per i traffici commerciali interni; Tema, il cui porto è tra i più grandi e attivi del continente; e Takoradi, che ha la fortuna di trovarsi sulla linea delle piattaforme petrolifere offshore. Promesse e speranze È stata proprio la scoperta del petrolio a far schizzare la crescita del Pil del

Ghana nel 2011 al 15%, quell’anno migliore performance mondiale. Un vantaggio di cui non si è saputo approfittare. Solo cinque anni dopo, la crescita era inferiore al 4%. Tempi duri, questi, per la popolazione, che ha visto l’inflazione impennarsi fino al 18%. Tempi duri soprattutto per i giovani, costretti a emigrare in massa per mancanza di lavoro. Il tasso di disoccupazione giovanile sfiora il 48%. E la quasi totalità di chi ha un mestiere si guadagna da vivere nel “settore informale”, ovvero con piccoli commerci, espedienti e lavoretti a giornata. A trainare l’economia è ancora l’agricoltura, che impiega circa il 45% della popolazione, mentre il settore dei servizi occupa il 41%. Il restante 14% è nell’industria: un’inezia. Hanno fatto dunque gioco le promesse fatte in campagna elettorale da Akufo-Addo, diventato presidente del Ghana lo scorso dicembre (si è assicurato il 53,8% dei voti battendo l’uscente John Dramani Mahama), di aprire nuove fabbriche in ognuna delle dieci regioni del Paese. Come ci possa riuscire non è dato sapeafrica · 2 ·2017

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▲ La parata militare per l’anniversario dell’indipendenza del Ghana che si celebra ogni anno nella piazza Black Star di Accra, in un tripudio di bandiere e marce. Gli alti ufficiali dell’esercito ostentano i nastrini delle loro impeccabili divise

re, ma – i ghanesi lo sanno bene – promettere non costa nulla. E neanche sperare. Cambio di rotta Eppure il Ghana ha ricevuto notevoli risorse negli ultimi anni, dal Fondo monetario internazionale come dalla Banca mondiale. Ed è stato il primo Paese africano a emettere, nel 2007, titoli di Stato per un valore di 750 milioni di dollari. Impegno rivelatosi un boomerang, visto che i tassi di rimborso sono 42 africa · 2 · 2017

stati quattro volte superiori al previsto. Quindi – per ripagare i creditori – il governo ha dato il via a misure di austerità, come l’aumento delle tariffe elettriche del 60%, delle accise sulla benzina e la revisione dell’esenzione fiscale per le aziende. Per non parlare dell’aumento di tutti i prodotti primari venduti ogni giorno nei mercati locali. Chiaro che i cittadini abbiano voluto, alle recenti elezioni, un cambio di rotta. L’alternanza politica è un valore consolidato in questa nazione, spesso additata come modello virtuoso di democrazia, stabilità e pace. L’ultimo putsch militare risale al 1979, ad opera del generale Jerry Rawlings. «Se fossimo stati come gli

altri – mi dice un amico mostrandomi la villa ad Accra dell’ex dittatore –, lui e famiglia non se ne vivrebbero qui tranquilli. Avrebbero subìto ritorsioni, sarebbero stati uccisi». Proprio così, se c’è una cosa che – per fortuna – sembra mancare in questo Paese, è l’idea di vendetta. L’unità, quella sì, ha sempre prevalso. Lezioni di pace Quell’unità sognata e costruita da Kwame Nkrumah. Da panafricanista convinto, il primo presidente del Ghana rimarrà legato per sempre alla data dell’indipendenza di questo Paese, 6 marzo 1957. Il primo ad affrancarsi dalla colonizzazione, il primo sotto tutti i riflettori, quel giorno di 60 anni fa. C’e-

rano i capi di Stato di tutto il mondo, compresa – naturalmente – una giovane regina Elisabetta II. Si chiamava Gold Coast, Costa d’Oro, allora, questo territorio della corona britannica affacciato sul Golfo di Guinea. Nkrumah volle che – da libero – portasse il nome di un antico impero, il Ghana appunto, che nel Medioevo africano occupava una regione compresa tra Mali e Mauritania. Nkrumah tentò di eliminare il tribalismo a favore dell’idea di nazione. Unificò sotto la stessa bandiera un crogiuolo di popoli e culture diverse (Akan, Mossi, Ashanti, Éwé, Ga, Fanti e via discorrendo) ed emanò una serie di leggi che vietavano la propaganda “razziale” e religiosa. «Qui è difficile che scop-



CULTURA/MUSICA di Claudio Agostoni

«I nostri ritmi di un’Italia diversa»

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FENOMENI MUSICALI: INTERVISTA AI SOUL SYSTEM,

Figli di immigrati del Ghana (tranne il batterista), sono nati e cresciuti tra Brescia e Verona. Con il loro travolgente entusiasmo e i loro “ritmi meticci” hanno vinto l’edizione italiana del talent show musicale più visto al mondo

GRUPPO RIVELAZIONE DI X FACTOR

Alberto, batteria, 37 anni. A.J., tastierista, 26. Don Diggy, Ziggy per gli amici, voce rap e autore, 28. David, basso, 23. Leslie, cantante, 26. Sono i ragazzi che hanno sbancato l’ultima edizione italiana di X Factor, la trasmissione televisiva che funge da scorciatoia verso il successo. La loro band, i Soul System, è meticcia. Alberto, il batterista, è di origine italiana. Gli altri quattro, avendo i genitori ghanesi, di origine africana. Tutti e cinque però sono nati e cresciuti tra Verona e Brescia. Per la prima volta in Italia degli artisti di seconda generazione sono finiti sotto le luci dei riflettori dei media nazional-popolari. Già altri artisti G2 si erano imposti nella scena musicale: il rapper italo-tunisino Ghali, la musicista italo-eritrea Senhit e l’italo-etiope Saba Anglana… Ma nessuno di loro ha occupato le prime pagine dei giornali come i Soul System. Un sogno completo «I nostri genitori sono giunti in Italia all’inizio ◀ La band dei Soul System. Il quintetto vincitore dell’ultima edizione di X Factor è nato nelle Chiese evangeliche e nelle comunità ghanesi in Veneto

degli anni Ottanta. I primi lavoretti che hanno fatto sono stati la raccolta di pomodori o delle patate. Hanno faticato tanto, ora sono operai. Hanno potuto, in qualche maniera, regalarci un sogno completo». A parlare è Leslie Sackey, studente di Economia e Commercio. I suoi genitori sono tra i circa cinquantamila ghanesi che nel 2015 risiedevano in Italia (di questi, dodicimila abitano in Lombardia e diecimila in Veneto). Esemplare la storia di Ziggy. È nato a Napoli e discende da una famiglia che in Ghana un tempo possedeva terreni e guidava un’intera tribù. Il padre, caduto in disgrazia, nel 1984 venne in Italia a cercare fortuna. Finì in Campania a raccogliere pomodori. Poi si trasferì vicino a Verona. Quando aveva 12 anni, il padre riportò la famiglia in Ghana, dove rimase per dodici anni. «Mi sono diplomato in ragioneria, ho comprato un taxi, ho anche fatto qualche pubblicità. Non vivevo male, ma sentivo che in Italia avrei potuto fare di più. Quindi ho preso l’aereo e sono tornato a Verona. Per prima cosa sono andato in Prefettura con tutti i miei documenti: atto africa · 2 ·2017

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CULTURA testo di Alberto Salza – foto di Vlad Sokhin / Panos Pictures / Luz

Cacciatori di topi

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GLI ABITANTI DI UN VILLAGGIO MOZAMBICANO SI SONO SPECIALIZZATI IN UN’INSOLITA ATTIVITÀ...

Nelle remote campagne della provincia mozambicana di Tete è iniziata la stagione della caccia ai topi. La carne saporita dei roditori, molto apprezzata dai viaggiatori in transito, dà una mano all’economia locale Il camionista zulu che mi aveva dato un passaggio verso il confine del Mozambico inchiodò in mezzo alla confusione commerciale che si autogenera in Africa nei pressi delle burocrazie; quindi si sporse dal finestrino scassato e, con mani grosse come la mia testa, afferrò due coppie di stecchi da un ragazzino. Tra gli stecchi erano infilzati sei topi arrostiti alla bell’e meglio. «Mangia», disse. Non si discute con uno zulu razzista di due metri. «Grazie», risposi spiluccando la carne pallida dopo aver scartato il pelo bruciacchiato, sperando non se ne accorgesse. «Manca ▼ Nel villaggio di Madamba, nella regione di Tete, gli abitanti cacciano i topi e li rivendono ai viaggiatori in transito sull’unica strada

la coda. Tanto è insipida come una donna bianca», sghignazzò in modo cavernoso. Mi trovai a canticchiare una parafrasi della canzoncina nella scena finale di Full Metal Jacket: «Topolin, Topolin, viva Topolin: piace ai grandi e ai bambin!». Un affare Appropriatamente, i topi d’Africa hanno a che fare con la guerra: contro la fame e contro le mine. Punto uno, la mancanza di cibo: la carne è carne e – là dove le proteine sono difficili da ottenere (la selvaggina della caccia tradizionale è scomparsa o proibita) – al supermercato che non c'è, un topo vale un coniglio. In Mozambico, attorno al villaggio di Madamba, regione di Tete, da tempo la caccia al topo è un affare,

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INSOLITE RICETTE

Non solo spiedini di topi. Polpette di moscerini, zuppe di nidi d’uccello, formiche ripiene di miele, tarantole fritte e formaggi abitati da larve saltanti. Sono alcuni degli insoliti alimenti provati dall’antropologo Luis Devin – l’unico occidentale a essersi sottoposto al rito d’iniziazione dei Pigmei Baka – e raccolti in un volume per menti curiose e stomaci forti: Ai confini del Gusto di Luis Devin (Sonzogno 2016, 160 pagine, 15 euro). Un viaggio letterario attraverso le tradizioni gastronomiche più curiose di ogni continente, in particolare l’Africa, tra racconti in presa diretta, leggende culinarie e descrizioni sensoriali. L’autore invita a dare una scossa ai nostri preconcetti, oltre che alle nostre papille gustative, magari provando a conoscere l’altro a cominciare dai cibi di cui si nutre. www.luisdevin.com ▲ Uno stufato di topi al pomodoro, vera e propria prelibatezza della provincia mozambicana di Tete ◀ Uno spiedino con 6 a 8 ratti costa 10 meticais (20 centesimi di euro) e ogni cacciatore di topi può guadagnare circa 2 euro al giorno ▼ I cacciatori perlustrano la radura alla ricerca delle tane dei topi. Quando individuano un buco nel terreno, cominciano a scavare con la zappa fino a raggiungere la fine del cunicolo, dove si nascondono i topi

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oltre che un’indispensabile integrazione alimentare. La stagione adatta è tra aprile e settembre, quando i “cacciatori” avanzano tra gli sterpi, facendo rumore. «Così i topi si infrattano», spiega un ragazzino. Talvolta i battitori danno fuoco all’erba secca; spesso avvengono incendi incontrollati che bruciano case e uccidono persone, ma cosa volete? Così facendo i ratti – che hanno abitudini not-



CULTURA testo di Pier Maria Mazzola – foto di Marco Aime

Chi è intelligente capirà UN ANTROPOLOGO

Il proverbio è un’arte che gli africani sembrano aver saputo elaborare con particolare maestria. Antropologo attento alla divulgazione, Marco Aime ne ha raccolti una manciata e li ha abbinati a immagini scattate durante i suoi viaggi. Ne è uscita una mostra, di cui Africa offre un’anteprima È diventato uno degli antropologi africanisti più conosciuti in Italia, anche al grande pubblico. Il suo segreto? Accademico con gli accademici (è professore all’Università di Genova), ma con un linguaggio semplice e incisivo, e sempre condito di humour, con tutti gli altri. L’Africa che Marco Aime ha maggiormente frequentato è quella occidentale,

che ha studiato «facendo domande stupide a persone intelligenti», come egli stesso ama dire citando Clifford Geertz. Non di rado ha fatto anche da guida a gruppi di “turisti responsabili”; ma sapendo, anche in questo caso, mantenere lo sguardo critico dell’antropologo (si veda il suo L’incontro mancato, Bollati Boringhieri). Tra i suoi temi

Quando la verità è nascosta, i proverbi aiutano a trovarla 58

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CI GUIDA A “VEDERE” I PROVERBI AFRICANI

forti, gli equivoci sulla “autenticità” e il convincimento che tra “noi” e “gli altri” contino più le somiglianze delle differenze (da leggere Eccessi di culture, Einaudi). E che andare a conoscere l’altrui diversità è (deve essere) soprattutto un modo per arrivare a scoprire meglio – con sguardo nuovo e meno autocentrato – sé stessi e la propria cultura.

Linguaggio mascherato Ora, quasi a coronamento di una trentina d’anni di soggiorni e di incontri africani, Aime ha voluto regalarsi, e regalarci, una mostra di sue fotografie corredate da proverbi: alcuni raccolti personalmente, altri «trovati su testi di etnologia e letteratura tradizionale». Non è certo un’idea inedita: Aime la definisce «un piccolo viaggio,

Non puoi girare il vento, allora gira la vela



CULTURA di Mario Giro*

L’insegnamento di Calchi Novati IL RICORDO DI UNO

Il professor Gian Paolo Calchi Novati, esperto di colonialismo e decolonizzazione, morto lo scorso gennaio all’età di 82 anni, è stato uno storico rigoroso e un divulgatore appassionato. Che ci ha lasciato in eredità una visione illuminante dell’Africa Gian Paolo Calchi Novati è stato un professore serio, rigoroso e anche severo. Non si accontentava mai delle improvvisazioni, delle approssimazioni: per lui qualunque percezione – anche originale – doveva

essere suffragata dall’analisi storica attenta dei fattori economici e politici. Appassionato d’Africa, insegnante di riferimento per generazioni di studenti e accademici, aveva scelto una materia (direi un

DEI MAGGIORI STUDIOSI ITALIANI DELL’AFRICA, DA POCO SCOMPARSO

universo) in cui allo storico si pone innanzitutto il problema del reperimento delle fonti. Dopo la Seconda guerra mondiale, già alcuni avevano affermato che per studiare l’Africa e capirla nel profondo,

non bastava limitarsi gli archivi coloniali. Certamente era necessaria una storia sulla colonizzazione – segnatamente quella italiana – ma occorreva anche avere accesso all’opinione degli africani conIl professore Calchi Novati durante il suo intervento al workshop Dialoghi sull’Africa, organizzato dalla nostra rivista lo scorso novembre a Milano: una delle sue ultime conferenze pubbliche

62 africa · 2 · 2017 Marco Garofalo



SPORT testo di Valentina G. Milani – foto di Marco Garofalo

Sulla cresta dell’onda

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IN LIBERIA I GIOVANI PRATICANO IL SURF PER LASCIARSI

Le spiagge di Robertsport sono un paradiso per chi ama scivolare sull’acqua e cavalcare le onde dell’oceano. Ma per i giovani locali il surf non è solo sport e divertimento: è un modo per coltivare la speranza

ALLE SPALLE L’INCUBO EBOLA

Ragazzi di Robertsport diretti in spiaggia in cerca di onde e adrenalina. La Liberia, uscita da due guerre civili e dall’epidemia di ebola, ha voglia di normalità

«Oggi dovrebbero esserci delle onde perfette in una spiaggia non troppo lontana da qua». La parole di Alphanso Appleton, detto Fonzie, scuotono dal torpore una dozzina di ragazzi accampati alla sede della Liberian Surfing Association: in un attimo afferrano le tavole affastellate contro le pareti e si mettono in cammino. Nella cittadina di Robertsport, un centinaio di chilometri a nord di Monrovia, capitale della Liberia, è una domenica qualunque: il bar sulla spiaggia trasmette a tutto volume la radiocronaca del campionato di calcio, i pescatori rammendano le reti sfilacciate, i bambini giocano per le strade sotto lo sguardo vigile delle madri che chiacchierano tra loro all’ombra di manghi e palme. Alphanso, 24 anni, fisico scolpito come un culturista, guida la comitiva dei surfisti lungo uno stretto sentiero in mezzo alla foresta che nulla lascia intravedere. «Bisogna scarpinare un po’ per raggiungere le correnti migliori», esorta il gruppo che arranca nella boscaglia. La mascotte della compagnia, Massaley Commey, 12 anni, regge a fatica una tavola troppo grande per lui. Alle

sue spalle, lo incoraggiano Benjamin Mc Crumada, 25 anni, campione nazionale di surf, ed Elijah Browne, 17 anni, fuoriclasse della categoria Junior. Dopo quaranta minuti di camminata, la selva si schiude su un’ampia spiaggia bagnata da un mare cristallino. «Ci siamo!», urlano all’unisono i ragazzi, che corrono a catapultarsi in acqua. Una piccola leggenda Robertsport è la mecca africana del surf e viene considerata dagli esperti tra le migliori località al mondo per praticare questo sport. Il motivo? Gode di una posizione privilegiata: sorge su un promontorio che si protende nell’Oceano Atlantico, il che permette di sfruttare correnti di diverse direzioni e intensità. Durante la stagione delle piogge, da aprile a settembre, i venti costanti creano onde da brivido, alte fino a cinque metri. In queste acque riscaldate dal sole dei tropici è nata la leggenda del primo surfista liberiano: Alfred Lomax. In piena guerra civile, mentre i gruppi ribelli si contendevano il territorio a colpi di machete e kalashnikov, il piccolo Alfred vagabondava per le strade di Monrovia in cerca di africa · 2 ·2017

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cibo. Un giorno, mentre rovistava in un container saccheggiato, trovò una tavola da surf. Probabilmente era appartenuta a un occidentale fuggito dal Paese. Il bambino prelevò la tavola e se la portò nel suo villaggio natale, Robertsport, dove iniziò da autodidatta a cavalcare le onde. I vecchi pescatori all’inizio pensavano che fosse un piccolo mago: chi avrebbe altrimenti potuto restare in equilibrio sui flutti dell’acqua? Eppure, a ben guardare, l’audacia di quel ragazzino che sfidava la furia dell’Atlantico era un segno rivoluzionario, simbolo di anelata libertà, fonte di ispirazione per tanti suoi coetanei. Decine di ragazzi cominciarono a emularne le gesta. Nacque un movimento che incarnava la voglia di evasione e le aspirazioni di pace di quella generazione, scampata alle macerie del conflitto. «Eravamo squattrinati, intraprendenti e incoscienti – racconta divertito Armstrong Johnson, un veterano delle onde –. Per scivolare sull’acqua usavamo dei tronchi di legno che rifinivamo con le nostre mani usando pialle, seghe e scalpelli». Un regista statunitense, Nicholai Lidow, nel 2007 girò un documentario, Sliding Liberia, per raccontare i sogni di riscatto di quei giovani cavalieri del mare.

◀ La città di Robertsport, abitata da pescatori, è amata dai surfisti per le sue acque calde, le onde perfette e il rilassante clima tropicale 66 africa · 2 · 2017



RELIGIONE testo di Enrico Casale – foto di Irene Fornasiero

Il potere di una firma Rifugiati, donne vulnerabili, orfani e anziani bisognosi di aiuto. Sono alcuni dei beneficiari dei progetti portati avanti dalla Onlus Amici dei Padri Bianchi grazie ai contributi derivanti dalle dichiarazioni dei redditi di migliaia di sostenitori

Basta una firma. Non costa nulla. Ma destinare il 5 per mille alla Onlus «Amici dei Padri Bianchi» può trasformarsi in un grande gesto di solidarietà. I fon-

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di vengono infatti utilizzati per progetti di sviluppo a favore delle popolazioni dei Paesi del Sud del mondo. In particolare in Africa. Progetti che sono

SCELTE SOLIDALI: 5 PER 1000 RAGIONI PER DARE UNA MANO AI MISSIONARI

garantiti dagli stessi Padri Bianchi. Sono loro a promuoverli, e sono sempre loro a seguirli passo per passo, verificandone l’efficacia e controllando che

D’AFRICA

neanche un centesimo vada sprecato in spese inutili. Dal Burkina al Congo Negli ultimi anni, sono state molte le iniziative


sostenute grazie al 5 per mille. Vogliamo ricordare, per esempio, il finanziamento del microcredito per le donne in Burkina Faso. È un progetto lanciato da padre Maurice Oudet che, alcuni anni fa, ha iniziato a elargire prestiti di 150-200 euro a ragazze in difficoltà. Con quel denaro, molte ragazze-madri, mogli abbandonate e vedove sono state in grado di avviare piccole attività generatrici di reddito. Le loro condizioni di vita sono cambiate in meglio, permettendo loro di vivere una vita serena. E questo non è che uno dei progetti finanziati. Con i fondi del 5 per mille in Kivu (Rd Congo) sono stati assistiti i molti profughi che fuggono gli scontri tra esercito e milizie; in Uganda sono state realiz-

zate delle cucine solari per una scuola frequentata prima da rifugiati sud-sudanesi e ora da bambini ugandesi; in Malawi è stato allestito un impianto che permette di sfruttare il letame per la produzione di gas con il quale far funzionare una cucina comunitaria. Aiuto cruciale Sempre con i fondi del 5 per mille, la Onlus ha aiutato e aiuta anche i missionari anziani rientrati in Italia. Questi religiosi hanno dedicato la vita agli ultimi, condividendone fatiche e sofferenze. Una volta ritornati a casa, sono loro ad aver bisogno di aiuto, in particolare cure mediche e infermieristiche, spesso molto costose. Non avendo stipendi e potendo contare solo su magre pensioni sociali hanno quindi bisogno

ONLUS AMICI DEI PADRI BIANCHI CODICE FISCALE 93036300163

5 × mille di un sostegno economico. «Per la nostra Onlus – spiega Paolo Costantini, padre bianco ed economo –, il 5 per mille è uno strumento fondamentale perché offre un’entrata di fondi indispensabile per far fronte alle molteplici necessità. Poter contare su questi soldi ci permette di offrire la sostenibilità economica dei nostri progetti nel mediolungo periodo. E nel campo della cooperazione non

Valentina G. Milani

c’è nulla di peggiore che avviare un progetto e poi lasciarlo a metà». Non costa nulla… Negli ultimi quattro anni, la fiducia nei Padri Bianchi è costantemente cresciuta. Merito dell’efficacia degli aiuti e della trasparenza dei missionari (la rendicontazione, certificata a norma di legge, è consultabile sul sito www. missionaridafrica.org). Se nel 2013 i fondi del 5 per mille ammontavano a circa 12.000 euro, nel 2014 sono saliti a 14.300, nel 2015 a 14.400, fino a toccare il picco dei 17.500 del 2016. «Sono risorse preziose – conclude padre Costantini –. Va ribadito che al contribuente non costa nulla. È sufficiente per lui mettere la propria firma nell’apposito riquadro del Modello 730 o del Modello Unico della dichiarazione dei redditi e aggiungere il codice fiscale della Onlus «Amici dei Padri Bianchi» (93036300163). Sarà poi l’Erario a farci avere i fondi corrispondenti. A noi, invece, spetterà garantire che quei soldi siano impiegati con attenzione e trasparenza in progetti solidali». africa · 2 ·2017

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scriveteci

IN VETRINA

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info@africarivista.it fax 0363 48198 C.P. 61 - Viale Merisio, 17 24047 Treviglio BG

a cura della redazione

ERRATA CORRIGE A pagina 64 dello scorso numero, nell’articolo “Rotte storiche”, abbiamo erroneamente riportato la notizia secondo cui equipaggi del Vintage Air Rally sono stati «arrestati e poi rilasciati a Khartoum per violazione degli spazi aerei». In realtà, l’episodio è accaduto a Gambella, in Etiopia. In Sudan gli aeroplani d’epoca protagonisti della eccezionale traversata dell’Africa hanno ricevuto un’accoglienza calorosa. RAZZISMO GLOBALE Il servizio sulle persecuzioni nei confronti degli albini in Tanzania (Africa 1/2017) dimostra che il germe del razzismo non è un’esclusiva di noi occidentali, ma alberga nell’animo umano indipendentemen-

te dal colore della pelle e della cittadinanza. Questa constatazione non è certo una consolazione né un’attenuante: è semplicemente una vergogna globale. Eleonora Pirrotta, Roma MA QUALE INVASIONE Capisco che certi politici abbiano bisogno di fomentare la paura nei confronti degli stranieri per accrescere il proprio consenso, ma mi chiedo: con che coraggio parlano di “invasione”, quando in tutto il 2016 il numero di migranti/profughi sbarcati sulle nostre coste è stato di 181.000… In un Paese di oltre sessanta milioni di persone. Stefano Terracina, Latina NATURA E SVILUPPO Grazie a voi ho scoperto due personaggi straordi-

nari: l’etologo tedesco che ha avviato i primi programmi di salvaguardia ambientale nel Serengeti in Tanzania (oggi il parco più visitato dai turisti di tutta l’Africa) e il ricercatore togolese che ha consacrato la sua vita allo studio e alla difesa delle farfalle (diventate un’attrazione nelle regione degli Altopiani). Il loro impegno ci ricorda che la protezione della natura può essere un formidabile volano per l’economia. Franco Cantù, Monza MALEDETTI IMPRENDITORI La nuova legge sulla Cooperazione apre la strada degli aiuti anche al mondo delle imprese. Secondo me è impossibile coniugare solidarietà e business. Il mondo delle imprese è da

sempre interessato a sfruttare l’Africa. Vorrei conoscere la vostra opinione. Aurelio Frigerio, Lecco Criticare modelli d’impresa iniqui e distorti è doveroso; tuttavia in Africa abbiamo conosciuto imprenditori seri, competenti, onesti che sono stati capaci di promuovere lo sviluppo in regioni bisognose d’investimenti. Con le loro aziende hanno creato posti di lavoro, assicurando diritti sindacali, tutele sanitarie, salari adeguati. In altre occasioni, abbiamo visitato e denunciato situazioni di sfruttamento inaccettabile. Come sempre, la differenza la fanno le persone: nel mondo del profit, come in quello del non profit. Marco Trovato (direttore editoriale)

SOSTIENI CON IL TUO 5×1000 I MISSIONARI D’AFRICA 1 MOZAMBICO

assistenza agli orfani (P. Claudio Zuccala) 2 MALI

medicine per un dispensario (P. Alberto Rovelli) 3 BURKINA FASO

6 UGANDA

aiuto a studenti poveri (P. Jean Le Vacher) 8 AIUTI DA DESTINARE

dove è più urgente (P. Paolo Costantini) 9 ITALIA

microcredito per le donne (P. Maurice Oudet)

assistenza ai padri anziani (P. Paolo Costantini)

4 MALI aiuto scolastico a bambini (P. Vittorio Bonfanti)

10 ALGERIA sostegno a universitari (P. Aldo Giannasi)

5 SUDAFRICA retta scolastica per seminaristi (P. Luigi Morell)

11 MALAWI biogas per un villaggio (P. Abdon Gamulani)

Tel. 0363 44726

africa@padribianchi.it

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AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

COME AIUTARE: Nella tua dichiarazione dei redditi, firma nel riquadro “Sostegno delle organizzazioni non lucrative” e indica il codice fiscale della Onlus Amici del Padri Bianchi: 93036300163 Oppure dona tramite: - WEB con PayPal dal sito www.missionaridafrica.org - POSTA CCP numero 9754036 - BANCA IBAN IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: BCCTIT2TXXX

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Raffaele Masto È giornalista di Radio Popolare, collaboratore della rivista Africa, autore di vari libri: L’Africa del tesoro; Io, Safiya; In Africa. Ritratto inedito di un continente senza pace; Buongiorno Africa. Nel 2013 ha pubblicato per la rivista Africa il volume Diario Africano. Taccuino di un reporter. Cura un blog di analisi e riflessioni quotidiane sull’Africa: www.buongiornoafrica.it Safiya Hussaini Safiya Hussaini Tungar Tudu è una donna che oggi ha più di quaranta anni. Divenne conosciuta in tutto il mondo nei primi anni Duemila quando la Corte Islamica di Sokoto, Stato nord-occidentale della Nigeria, la condannò alla lapidazione con l’accusa di adulterio. In realtà la sua colpa era solo quella di avere avuto una figlia senza avere più un marito. Il suo caso fece nascere una mobilitazione internazionale che riuscì a strapparla in extremis alla più crudele delle condanne a morte.

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