Africa 02 2018

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AFRICA N. 2 MARZO-APRILE 2018 - ANNO 97

RIVISTA BIMESTRALE

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MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Ruanda

Etiopia

Fotografia

Senegal

il regno di Kagame

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il reporter gentiluomo

Tanzania

la festa della fertilità meloni per l’Italia

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Sommario

MARZO - APRILE 2018, N° 2

COPERTINA 38

L’infinita strage degli elefanti

3

EDITORIALE Tra Lampedusa e Bardonecchia

4 prima pagina di Raffaele Masto

di Giovanni Porzio di Pier Maria Mazzola

ATTUALITÀ

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo

5 primo piano di Marco Trovato

6 panorama di Enrico Casale

Plinio il Vecchio (I secolo d.C.)

DIRETTORE RESPONSABILE

Pier Maria Mazzola

Ruanda. Il piccolo regno di Paul Kagame di Raffaele Masto Sierra Leone. Le protesi che ridanno la vita di Marco Trovato 15 Nigeria. Un re contro l’Eni di George Ejofor 16 Zambia. La più inquinata del mondo di Daniele Bellocchio 18 Gambia. I Beach Boys di Banjul di Valentina G. Milani 22 LO SCATT O Sahel, fronte di guerra di Agu Odoemene ed Eric Feferberg 8

12

DIRETTORE EDITORIALE

Marco Trovato WEB

Enrico Casale (news) Raffaele Masto (blog) PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA

SOCIETÀ

Matteo Merletto

AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

Paolo Costantini

Studiare nell’oscurità di Matteo Leonardi e Marco Garofalo 28 Senegal. Meloni per l’Italia di Enrico Casale e Marco Garofalo 32 Il fotografo gentiluomo di Stefania Ragusa e Daniele Tamagni 37 Un nuovo sguardo di Irene Fornasiero

24

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Claudia Brambilla PROPRIETÀ

Internationalia Srl

NATURA 46

Seychelles. Aldabra, favola marina

di Valéry Lagarde

EDITORE

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi PUBBLICITÀ

segreteria@africarivista.it FOTO

Si ringrazia Parallelozero In copertina: Science Photo Library / Luz Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand STAMPA

Jona - Paderno Dugnano MI

CULTURA Nigeria. Il corteo degli spiriti bianchi di Irene Fornasiero 50 Etiopia. La festa della pace e della fertilità di A. Salza e E. Lafforgue 56 Marocco. Fatevi ispirare dal blu a cura della redazione 60 Tutto crolla, Achebe no di Fabrizio Floris 62 Chi salverà Mogadiscio? di Pier Maria Mazzola e Sergio Ramazzotti 48

Periodico bimestrale - Anno 97 marzo - aprile 2018, n° 2 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n. 713/48

SPORT

SEDE

66

Viale Merisio, 17 - C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 info@africarivista.it www.africarivista.it Africa Rivista @africarivista @africarivista africa rivista UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

Sudan. «Mettiamo K.O. i pregiudizi»

di Marco Trovato

RELIGIONE 68

Il Piccolo Tibet dell'Etiopia

di Adriano Marzi

INVETRINA

Eventi a cura della redazione 73 Arte e Glamour di Stefania Ragusa 74 Vado in Africa di Martino Ghielmi 76 Sapori di Irene Fornasiero 77 Solidarietà di Valentina G. Milani 78 Libri di Pier Maria Mazzola 72

Musica di Claudio Agostoni 79 Film di Simona Cella 80 Viaggi di Marco Trovato 82 Web di Giusy Baioni 83 Bazar di Sara Milanese africa · 2 · 2018 1 84 C Calendafrica di P.M. Mazzola

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N. 3 MAGGIO-GIUGNO 2017 - ANNO 96

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MISSIONE • CULTURA

Studenti in rivolta

Rd Congo

Guerra alle donne

UNO SGUARDO SUL FUTURO

Egitto

Musica al buio Togo

L’uomo delle farfalle

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N. 4 LUGLIO-AGOSTO 2017 - ANNO 96

Sudan

Khartoum al bivio

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N. 5 SETTEMBRE-OTTOBRE 2017 - ANNO 96

MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Ghana

Sudafrica

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MISSIONE • CULTURA

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VIVERE IL CONTINENTE VERO

Nairobi

Zambia

capitale inquieta

L'arca del Re

Senegal

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N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 2017 - ANNO 96

MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Ghana

crociera sul fiume funerali ashanti

Liberia

Gambia

la musica cambia

un anno di libertà

Libia

Uganda

RD Congo

caos senza fine

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VIVERE IL CONTINENTE VERO

Sud Sudan

la grande fuga

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MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

dove un vaccino è salvezza

calcio in prigione

Gabon

battesimo Bwiti

Salute

La guerra all’olio di palma

Benin

Liberia

la danza degli antenati

Sulla cresta dell’onda

Italia

Mali

RITORNO A TIMBUCTÙ

NELLA TERRA DI DIO

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A TUTTO SCHERMO

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Cinema

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SUL GRANDE FIUME

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Congo

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La Pasqua dei senegalesi

Nubia

LA STORIA RITROVATA

6 riviste cartacee da consultare e conservare a 30 euro


Tra Lampedusa e Bardonecchia Piero Cruciatti /Afp

Ius soli (che sarebbe ius culturae), «razza bianca», «sbarchi zero»… Un’altra campagna elettorale che, come e peggio di altre, si è in buona parte giocata sulla pelle dei migranti. Tema che, qualunque sia il responso delle urne (andiamo in stampa alla vigilia del voto), rimane attuale. Anche perché necessita, in ogni caso, di un buono e fattivo accordo europeo, che non pare così imminente. Eppure gli italiani non sono solo quelli che occupano lo spazio pubblico a suon d’ignoranza e volgarità. Almeno dagli anni Settanta esiste per esempio una pubblicistica, di nicchia ma non trascurabile, che mette in guardia dai cliché sull’Africa: da quelli manifestamente negativi come pure da quelli “positivi” (l’esotico; il buon selvaggio, nei suoi vari avatar; il ritmo nel sangue, ecc.). Quel che c’è di nuovo, da un po’ di anni in qua – praticamente dall’avvento del Web 2.0 –, è che il discorso “alternativo” non è più appannaggio di poche testate o di inviati illuminati (citiamo Kapus´cin´ski per non far torto a nessuno) ma di tanti cittadini comuni. Non c’è blog, sito o profilo che si occupi d’Africa, che non cominci con una dichiarazione di intenti come: «impegnato nella diffusione di un’informazione sull’Africa che vada oltre gli stereotipi», «guardare all’Africa fuori dai luoghi comuni», «un’altra prospettiva sull’Africa», «smarcare l’Africa dalla percezione comune di essere un “continente da salvare”»… C’è, in questo, un pizzico di ingenuità – molti hanno l’aria di sentirsi dei pionieri su questo terreno – e anche

di veniale presunzione (non basta affermare uno sguardo diverso perché questo lo sia sempre e davvero, e ciò vale anche per chi può vantare maggiore esperienza). Quel che importa è che esiste, oggi, un buon numero di persone con una certa sensibilità. È controintuitivo sostenerlo, viste le folate di razzismo che investono la nostra società. Ma sarebbe un peccato lasciarsi assordare dalla grancassa mediatica, con i suoi personaggi grotteschi e pericolosi, e sottovalutare tutto lo sforzo che si fa in direzione contraria. Come rivista pensiamo anche ai partecipanti ai “Dialoghi sull’Africa” (prossima edizione: 23-25 novembre), il workshop che ogni anno riproponiamo e che vede i posti andare sempre esauriti. Iniziative analoghe, peraltro, hanno luogo su e giù per la Penisola. E pensiamo a quanti sono degli attivisti o assicurano accoglienza e assistenza. Fra i quali non possiamo non citare, al volgere di un inverno particolarmente nevoso sulle Alpi, i volontari di Rainbow for Africa (foto), che a Bardonecchia hanno assicurato agli africani in cammino soccorso sanitario, assistenza legale e un minimo di conforto – oltre a fare il possibile per dissuaderli dall’affrontare il Colle della Scala. “Costringerli” a marciare affondando nella neve, invece, è stata una perla di politique de l’immigration di cui non vorremmo occuparci anche il prossimo inverno… Pier Maria Mazzola

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 35 € · formato digitale (pdf) 25 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 45 Chf · rivista cartacea (Estero) 50 € · rivista cartacea+digitale (Italia): 45 € · rivista cartacea+digitale (Svizzera): 55 Chf · rivista cartacea+digitale (Estero) 60 € · Africa + Nigrizia 60 € (anziché 70 €)

Si può pagare tramite: · Bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT93 T088 9953 6400 0000 0001 315 · Versamento postale su C.C.P. n. 67865782

I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

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Beneficiario: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) C.P. 61 – 24047 Treviglio BG

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ATTUALITÀ di Raffaele Masto

Il piccolo regno di Paul Kagame

Marco Longari / Afp


IL PRESIDENTE DEL RUANDA GODE DI UN CONSENSO PLEBISCITARIO, MA NON DEL TUTTO MERITATO

A ventiquattro anni dal genocidio, il Ruanda appare come un modello di sviluppo per l’Africa. L’economia corre, la capitale Kigali è una città moderna. E il presidente viene celebrato come un abile stratega. Le apparenze ingannano Nella primavera-estate del 1994, i giovani guerriglieri dell’Fpr, il Fronte patriottico ruandese che liberò il Paese dal regime del presidente Habyarimana, erano un esercito anomalo per gli standard del continente africano: disciplinati, professionali, eseguivano gli ordini, portavano le armi senza ostentarle, non chiedevano mance, sigarette, non si abbandonavano ai saccheggi ed esercitavano il loro potere con discrezione. Chi li incontrava non poteva non pensare che il nuovo Ruanda partiva con il piede giusto. Paese modello Erano i prodromi del Paese che sarebbe nato su uno dei più drammatici eventi del Novecento, il genocidio di quasi un milione fra Tutsi e Hutu moderati in uno dei più piccoli Stati africani. Impressione suffragata, agli occhi di chi oggi visita il Ruanda a distanza di quasi venticinque anni da quegli eventi.

◀ Il presidente del Ruanda, Paul Kagame, 60 anni, al potere dal 1994, saluta la folla accorsa per un suo comizio nei pressi della cittadina di Gakenke

Kigali nemmeno sembra una capitale africana. È pulita, non ha depositi selvaggi di spazzatura neanche in periferia, è dotata di ampie strade e rotatorie in cui la precedenza viene rispettata, e un traffico ben regolato. Ed è completamente coperta da wi-fi. Insomma, una città che funziona. Kigali è il biglietto da visita di un Paese che negli ultimi dieci anni è cresciuto con una media annua del sette per cento. Attratti dalle prospettive di sviluppo, molti emigrati hanno fatto ritorno in patria e impiantato imprese, fiduciosi nella stabilità politica assicurata dal presidente Paul Kagame, lo stesso che nel lontano 1994 comandava quell’anomalo esercito di guerriglieri. Consenso totale Da allora, Kagame, seguendo quella sorta di copione della “migliore” tradizione africana, non ha mai lasciato il potere. Fino al 2000 ha guidato il Paese come capo dell’esercito, e da allora è rimasto in carica grazie a veri e propri plebisciti ai quali è difficile dare completamente credito: nelle ultime sette tornate elettorali, africa · 2 · 2018 9



◀ Una fabbrica di caffè a Kigali. Privatizzazione, stabilità, lotta alla corruzione e alla burocrazia sono le principali leve del boom economico del Ruanda

▶ Modelle sorseggiano un drink al bar panoramico del Top Tower Hotel di Kigali. Il Ruanda vanta la più alta percentuale di donne in Parlamento del mondo, il 49%

◀ Sostenitori del Fronte patriottico ruandese, la formazione politica al potere dal 1994, capeggiata dal presidente (ed ex capo militare) Paul Kagame

▼ La raccolta del tè sulle colline confinanti con il Burundi. Ma le ragioni del boom economico ruandese vanno cercate piuttosto nelle miniere di là dal confine con la Rd Congo...

toptowerhotel

vitù, giovani locali e profughi a un costo del lavoro quasi nullo. Il minerale è poi venduto sul mercato libero e pulito di Kigali e da lì immesso nel commercio internazionale. Le multinazionali del settore hanno tutte rappresentanti o delegati commerciali, spesso in veste non ufficiale, nella capitale ruandese, dove

arrivano in continuazione pick-up carichi di terra mista a coltan, cassiterite, niobio, oro. Il passaggio principale è la strada che collega Goma, capitale del Nord-Kivu, a Kigali, una vera e propria arteria che nutre il corpo del Ruanda. Senza controlli di frontiera, senza tasse doganali. Eppure, nonostante questa “flebo”

energetica, il “Paese delle mille colline” ha una debolezza strutturale e strategica con la quale deve fare i conti. In primo luogo resta un Paese piccolo (grande poco meno della Lombardia), profondamente rurale, dove la popolazione cresce a ritmi demografici inarrestabili. I suoi tredici milioni di abitanti faticano

a mantenere produttive le proprietà familiari e arrivano a coltivare, con rese minime, anche le sommità delle colline o i versanti più scoscesi. Insomma il Ruanda è pieno come un uovo e sta letteralmente scoppiando. I figli di quei disciplinati guerriglieri che fermarono il genocidio rischiano di non avere un futuro roseo.

africa · 2 · 2018 11 Marco Trovato


ATTUALITÀ di Daniele Bellocchio

La più inquinata del mondo

A KABWE, IN ZAMBIA, I BAMBINI MUOIONO AVVELENATI DAL PIOMBO

16 africa africa· numero · 2 · 20182 · 2015 Larry C. Price



ATTUALITÀ di Valentina G. Milani

I Beach Ogni anno migliaia di donne europee, soprattutto britanniche, volano in Africa occidentale in cerca di evasioni sentimentali e avventure erotiche. Siamo andati a indagare Lunghi rasta, fisico prestante, 35 anni, Shabba scende dal suo enorme fuoristrada come una star. Malgrado un’agenda colma di impegni, arriva senza ritardo al nostro appuntamento in un lo-

cale alla moda di Banjul, capitale del Gambia. Oggi gestisce una fortunata catena di autolavaggi, ma non ha rinunciato al lavoro di “beach boy” con cui vende il proprio corpo alle turiste europee. «Da molti

IL RACCONTO DELLA NOSTRA INVIATA SULLE SPIAGGE DOVE I GIOVANI GAMBIANI SI VENDONO ALLE TURISTE

anni sono il più richiesto a Kololi Beach, una striscia di sabbia bianca frequentata da donne facoltose in cerca di avventure amorose», racconta borioso. Guadagna bene: 30-40 euro per finire nel letto di una

cliente, 100 per trascorrerci assieme un’intera notte. «È grazie a questo mestiere che ho racimolato il necessario per avviare i miei affari – confida –. Non rinnego nulla né ho qualcosa di cui vergognarmi».

18 africa · 2 · 2018

Lorena Ros / Panos Pictures / Luz

Sulle spiagge di Banjul è facile rimediare giovanotti conosciuti come bumster, ben disposti a scambiare effusioni con le turiste occidentali in cambio di ricchi doni e promesse di matrimonio


Boys di Banjul In un Paese dove il tasso di disoccupazione giovanile supera il 40%, la pratica del gigolò viene vista da molti ragazzi come un’opportunità da non disprezzare. «Qui preferiamo chiamarci bumster», puntualizza Shabba, alludendo al termine gergale che indica i pantaloncini attillati indossati dai giovani. «Mettono in evidenza i glutei e tutto il resto – sorride sornione –. Basta camminare sulla spiaggia per attirare le attenzioni delle turiste».

Romance tourism Banjul, con le sue spiagge assolate a poche ore di volo da casa, è una gettonata meta del turismo sessuale femminile. Più della metà dei 150.000 vacanzieri stranieri che sbarcano qui ogni anno è rappresentata da donne mature single. «Vengo in Gambia cinque volte l’anno per stare con Muhammad, l’uomo della mia vita», racconta Adela, che ha superato i cinquant’anni. «Lui è molto più giovane di me, ma non è un problema. Insieme vi-

viamo momenti bellissimi e facciamo programmi per il futuro». Una coppia come tante, a queste latitudini. I ricercatori che hanno studiato il fenomeno lo hanno definito romance tourism. È sufficiente una ricerca su Google per scovare decine di agenzie e blog specializzati che promuovono, in modo per nulla velato, «viaggi per donne in ricerca di nuove emozioni», pubblicizzati da foto di spiagge paradisiache presidiate da uomini dal fi-

sico granitico. In Gambia la prostituzione è illegale, ma le autorità chiudono un occhio, e pure l’altro, per non nuocere a un settore, il turismo, che dà lavoro a migliaia di persone e alimenta un giro di affari vitale per la povera economia nazionale. Da novembre a maggio, l’alta stagione, gli hotel sono occupati per lo più da signore tra i 40 e i 60 anni. Olandesi, danesi, scandinave, tedesche, italiane, ma soprattutto inglesi. Le incontri ovunque: passeggiano sor-

Lorena Ros / Panos Pictures / Luz

Il Gambia è la destinazione africana preferita dalle donne occidentali over 40 in cerca di evasioni sentimentali e avventure erotiche. Il mito della virilità dei suoi abitanti è celebrato sul web in diversi forum femminili

africa · 1 · 2018 19



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SOCIETÀ testo di Enrico Casale – foto di Marco Garofalo

Dal Senegal meloni per l’Italia

28 africa · 2 · 2018



SOCIETÀ testo di Stefania Ragusa – foto di Daniele Tamagni

Il fotografo Daniele Tamagni, tra i principali collaboratori della nostra rivista, è scomparso prematuramente lo scorso dicembre. Nella vita ha celebrato con i suoi straordinari fotoreportage la grazia e la fierezza di un continente in cerca di riscatto Ha fatto appena in tempo a mandarci l’ultimo servizio di moda che aveva realizzato. Poi ci ha lasciato, per sempre, sopraffatto dalla malattia che aveva combattuto negli ultimi quattro anni. Il fotografo Daniele

32

africa · 2 · 2018

Tamagni è morto lo scorso 23 dicembre. A 42 anni di età. In queste pagine celebriamo i suoi lavori, la sua arte… e la bellezza dell’Africa che ha saputo immortalare in una carriera tanto breve quanto ricca

ELEGANZA, ENERGIA E CREATIVITÀ IMMORTALATI NEGLI SCATTI DI UN GRANDE FOTOREPORTER. CHE CI HA LASCIATI TROPPO PRESTO

di soddisfazioni e successi meritati. Daniele aveva scelto di occuparsi di moda e street style, in Africa e nei cosiddetti Paesi emergenti, ma non aveva proprio nulla del fotografo di moda. Non costruiva il set, non

metteva in posa i modelli. Camminava e s’intratteneva con loro, come un cronista, in attesa del momento perfetto. La fascinazione estetica nei suoi scatti andava sempre di pari passo con la narrazione. Non era mai


gentiluomo

Dandy congolesi Oggi c’è molto interesse attorno alla moda africana. I grandi stilisti attingono a piene mani dall’estetica del continente, i magazine

più prestigiosi realizzano numeri monografici sul tema, le settimane della moda impazzano nelle capitali dell’afro-fashion… La cura dell’abito, l’attenzione ai messaggi che esso veicola, sono elementi centrali e ricorrenti nelle culture

,,

invenzione, ma testimonianza. La rivista Africa è stata la prima a riconoscere il suo talento, a dargli spazio e fiducia. I nostri lettori hanno imparato a riconoscere e apprezzarne lo stile inconfondibile. Un modo inedito di guardare e mostrare l’Africa, che ha lasciato il segno.

africane, ma quando Daniele Tamagni ha iniziato a viaggiare per l’Africa, rivolgendo il suo obiettivo all’eleganza e alla bellezza, parlare di moda africana suonava ai più come un ossimoro. In Congo Brazzaville, ed è stato uno dei

,,

«È cercando la verità dell’Africa che si trova la sua bellezza» Daniele Tamagni (1975-2017)

primi a farlo, Daniele ha documentato il fenomeno dei Sapeurs, ideatori di un codice estetico che è un’espressione compiuta di contaminazione culturale. I Sapeurs, affiliati alla “Societé des Ambianceurs et des Personnes Élégantes” (Sape, da cui il loro nome) non portano abiti tradizionali, ma indossano modelli occidentali, reinterpretati alla congolese. Scelgono colori accesi e psichedelici (mai più di tre per volta, però!), sfoggiano scarpe di pelle e basto-

africa africa··22·2018 · 2018 33


ni da passeggio, fumano sigari e inforcano imperscrutabili occhiali da sole. E si muovono nei quartieri poveri della capitale, tra strade sterrate e baracche,

GRAZIE, DANIELE

in palese contrasto con i loro outfit ricercati. Mettono in scena un kitsch gioioso, che a prima vista potrebbe ricordare quello dei narcos latinoamerica-

Coi suoi scatti ha contribuito a cambiare il nostro sguardo sull’Africa. Daniele Tamagni ci ha lasciato in eredità delle immagini straordinarie, che restituiscono un'immagine nuova del continente, assai più vitale e originale di quanto non appaia sui grandi media. Mentre ci siamo assuefatti a vedere foto di guerre, tragedie e crisi umanitarie, non possiamo che rimanere meravigliati e stupiti di fronte alle fotografie realizzata da Daniele, che, in controtendenza e in anticipo sui tempi, aveva deciso di immortalare il “bello dell’Africa”. Un obiettivo perseguito con passione, dedizione, curiosità, talento indiscusso. I suoi reportage – di grande pregio stilistico e giornalistico – hanno documentato fenomeni di resilienza e di rivendicazione dell’identità africana, tra globalizzazione e tradizione, desiderio di emulazione e affermazione sociale. Se oggi l’Africa ci appare meno dannata e banale, è anche grazie agli scatti di Daniele, a cui va tutta la nostra riconoscenza. (Marco Trovato, direttore editoriale rivista Africa) 34

africa · 2 · 2018

ni, ma rimanda in realtà a un’ostentazione differente, che non riguarda il potere quanto piuttosto la fantasia e il bisogno di esorcizzare la povertà. Daniele è riuscito a cogliere perfettamente questa specificità, senza calcare la mano sul lato caricaturale e paradossale delle performance urbane, e mostrandoci lo spirito di una globalizzazione ante

litteram. Le foto, raccolte nel libro Gentlemen of Bacongo (Trolley Book, 2009), hanno ispirato una collezione dello stilista Paul Smith e sono state esposte in numerose mostre a San Francisco, Los Angeles, New York, Londra, Parigi. Consacrazione mondiale Il suo libro successivo, Fashion Tribes (Abrams



COPERTINA di Giovanni Porzio

L’infinita strage degli elefanti

38

africa · 2 · 2018

Frans Lanting / LUZ


REPORTAGE DALLE RISERVE DELLA TANZANIA, FRONTE CALDO DI UNA FEROCE GUERRA CHE MINACCIA DI ESTINGUERE I MAESTOSI ANIMALI

Il florido mercato nero dell’avorio spinge i bracconieri a introdursi nelle aree protette per uccidere i pachidermi e impossessarsi delle preziose zanne. I ranger, mal equipaggiati, devono combattere contro nemici potenti e invisibili La Land Rover s’infila in una pista fangosa tra l’erba alta della savana. È la stagione delle piogge: il cielo tra Ngorongoro e il Lago Manyara è gonfio di cumuli grigi e il fuoristrada arranca tra le pozze d’acqua. «È in questi mesi che i bracconieri sono più attivi – dice il capo della pattuglia –. I turisti sono rari e c’è meno sorveglianza». La jeep si ferma a poca distanza da un branco di elefanti. I ranger caricano i fucili, attivano il gps e sciolgono i cani, che seguono le tracce fino a una radura circondata da acacie spinose. Il terreno è disseminato di ossa, femori, vertebre, costole e, in mezzo, un cranio privo di zanne: i resti di uno dei 60.000 elefanti massacrati in Tanzania negli ultimi cinque anni. In Africa è in corso una guerra feroce, dai contorni opachi e di cui poco si parla: combattuta nell’ombra e dall’esito incerto. Firmando nel 2014 la Dichiarazione di Londra, 46 ◀ Un branco di elefanti (Loxodonta africana) si abbevera, al crepuscolo, a una pozza. All’inizio dell’Ottocento, in Africa vivevano 20 milioni di elefanti, scesi a 5 milioni nel Novecento. Ora sono poco più di 350.000

Paesi si sono impegnati ad abolire il commercio di avorio e di corno di rinoceronte. Ma i pachidermi continuano a essere abbattuti su scala industriale. I bracconieri sono la manodopera a basso costo di un racket transnazionale che dispone di armi, coperture economiche, protezioni politiche, strutture logistiche e una rete di contrabbandieri che alimenta un business da 20 miliardi di dollari l’anno: un fiume di denaro sporco che ingrassa i conti bancari delle organizzazioni mafiose cinesi e africane, diffonde il cancro della corruzione e finisce per finanziare le attività di alcuni dei gruppi terroristici più pericolosi al mondo. Pechino e Washington I profitti sono stellari. Il corno di rinoceronte è fatto di cheratina e non ha proprietà terapeutiche. Ma un chilo di polvere di corno, ritenuta in Cina e in Vietnam un miracoloso rimedio per una serie infinita di malattie, dal cancro all’impotenza sessuale, ha un valore medio di mercato di 80.000 dollari e può arrivare a 200.000: molto più di cocaina, oro e platino. Il prezzo dell’avorio alla borsa nera oscilla tra africa · 2 ·2018

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Melanie Wenger / Cosmos

Melanie Wenger / Cosmos

i 1200 e i 2400 dollari al chilo. Le zanne di un elefante adulto maschio, ciascuna sui 60-70 chili, possono valere più di 300.000 dollari. In Asia e soprattutto in Cina, principale Paese importatore (il “fabbisogno” stimato è di 200 tonnellate l’anno), la domanda è lievitata in modo esponenziale nell’ultimo ventennio: la crescita economica ha generato un esercito di consumatori di beni di lusso. Dal 1° gennaio di quest’anno, la Cina – su pressioni della comunità internazionale – ha ufficialmente vietato il commercio dell’avorio, ma è presto per capire se questa storica decisione riuscirà a frenare la strage degli elefanti africani: un secolo fa erano cinque milioni, oggi ne restano meno di 350.000. Gli Stati Uniti, nonostan◀ Un cacciatore posa con il suo trofeo: un elefante appena ucciso (al costo di cinquemila dollari) nella Charara Safari Area, in Zimbabwe. I profitti della caccia dovrebbero in teoria servire a finanziare attività di salvaguardia della fauna protetta

Melanie Wenger / Cosmos

◀ L’animale ucciso viene scuoiato e la carne divisa tra i ranger e altri dipendenti locali della riserva ◀ Pezzi di carne vengono fatti essiccare per poter essere più facilmente conservati. L’odore attrae iene e babbuini. ◀ La carcassa di un elefante morto per la siccità all’interno di una riserva privata dello Zimbabwe. Paradossalmente, in alcune regioni dell’Africa la concentrazione dei pachidermi è eccessiva rispetto alle disponibilità di cibo e acqua

40 africa · 2 · 2018 Bruno Zanzottera

te le severe norme vigenti, sono – anche se a molta distanza dalla Cina – il secondo mercato mondiale e uno snodo fondamentale della filiera verso l’area del Pacifico. Prima di lasciare la Casa Bianca, Obama ha firmato un ordine che obbligava il Paese a intensificare la lotta al contrabbando. Nel 2015 il governo federale ha varato un bando quasi totale alla vendita di manufatti in avorio. Ma oggi a Washington governa Donald Trump. L’ambiente non è più una priorità. In America si continua a commerciare avorio online per oltre 2,5 milioni di dollari al mese e la legge consente di importare avorio antico e oggetti d’arte: è facile per i trafficanti spacciare prodotti nuovi per pezzi di antiquariato. Network criminale Quantitativi non irrilevanti di avorio entrano nel circuito della devozione religiosa sotto forma di amuleti e statuette buddhiste o cattoliche, croci cop-

▶ Cataste di zanne e prodotti lavorati di avorio confiscati dalle autorità keniane vengono bruciati nei dintorni di Nairobi perché non finiscano nuovamente nelle mani dei trafficanti. Ogni giorno in Africa vengono uccisi dai bracconieri almeno cento animali. Il commercio illegale dell’avorio – alimentato da corruzione e guerre – minaccia di far sparire nei prossimi dieci anni il 20% degli elefanti. I contrabbandieri di zanne sono particolarmente attivi in Tanzania, Kenya, Sudafrica e Camerun



CULTURA testo di Irene Fornasiero – foto di Stefan Heunis / Afp

Il corteo degli spiriti bianchi La capitale economica della Nigeria è attraversata da processioni solenni che celebrano eventi speciali. In queste occasioni tutti sono tenuti a osservare scrupolosamente una serie di rigorosi tabù. Altrimenti le anime dei defunti si arrabbiano…

48 africa · 2 · 2018

Simili a fantasmi si aggirano per il cuore di Lagos. Coperti di lenzuoli bianchi dalla testa ai piedi, invadono le vie di Isale Eko, il più antico quartiere della capitale economica della Nigeria. Indossano cappelli di feltro a falde larghe e impugnano lunghe canne di bambù che sciabolano nell’aria. Paiono usciti da una saga fantastica – Harry Potter o Star Wars –, ma

ricordano anche Cugino Itt della famiglia Addams. Sono migliaia di maschere animate che rappresentano gli spiriti dei morti, materializzatisi per il Festival Eyo, una delle più vivaci cerimonie del popolo yoruba. La strana sfilata – nulla a che vedere con il carnevale – si svolge con periodicità irregolare (dal 1854 si sono tenute 84 edizioni)



CULTURA testo di Alberto Salza – foto di Eric Lafforgue

La festa della pace e della fertilità

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NELLA VALLE DELL’OMO, TRA ETIOPIA E KENYA, I DASSANECH FESTEGGIANO I NUOVI MEMBRI DELLA COMUNITÀ

Mantelli di pelle di leopardo, e parrucche di piume di struzzo. È il look ostentato dagli uomini dassanech in occasione della solenne cerimonia del dimi che si celebra (con lo sterco delle vacche) nel delta del fiume Omo Il delta del fiume Omo, al confine tra Etiopia e Kenya, è un luogo incerto. Qui terra e acqua si confondono, l’erba è salata, la pioggia è erratica. Il territorio ha una delle peggiori combinazioni di umidità e temperatura dell’Africa orientale. L’area è così ostile, isolata e insalubre da scoraggiare ogni insediamento. All’estremità meridionale, il delta dell’Omo è una sorta di desolazione di canne ed erbe lacustri; qui l’influenza salina del Lago Turkana (pH 14, con elevata presenza di sodio, potassio e fluoro) rende l’acqua dannosa per il bestiame e pericolosa per l’uomo. Lungo il fiume, risalendo verso nord nell’area di Omorate, si apre una savana che offre qualche pascolo bruciato dal sole. Questo è il regno dei Dassanech, circa 60.000 pastori dal temperamento schivo e tenace. È opinione diffusa che siano originari di un gruppo nilo-sahariano, migrato nella Bassa Valle dell’Omo

◀ I pastori dassanech, agghindati per le festa solenne e armati di lunghi bastoni, si accingono a celebrare il rituale del dimi

solo nel XIX secolo. Qui sembra abbiano assorbito la popolazione cuscitica locale, assumendone la lingua e assimilando parte della cultura. Mosaico di culture Praticamente ignorati dagli scienziati fino al 1970, i Dassanech sono il prodotto di disastri continui. Si tratta di un coacervo di profughi ambientali che si sono cuciti addosso, a memoria d’uomo, una sorta di patchwork di culture, in cui i vari elementi eterogenei sono tenuti assieme da una lingua cuscitica, da una cultura materiale che li vede assai simili ai pastori (valore del bestiame, capanne semisferiche, poggiatesta, contenitori per il latte, monili, acconciature) e da una straordinaria adattabilità e resilienza alla catastrofe. I Dassanech sono la dimostrazione che l’integrazione dei gruppi umani è possibile: in pratica ogni gruppo che si aggiunge alla comunità sotto la spinta di guerre, carestie o migrazioni diviene una sorta di nuovo clan. La regola, però, è che nessuno può sposarsi – e neppure danzare – con un membro dello stesso clan. In tal modo l’identità individuale si africa · 2 · 2018 51


IN GUERRA COI TURKANA

Todonyang, sulla riva ovest del Lago Turkana, in Kenya, non è neppure un villaggio. Le capanne sparse dei pastori turkana, oggi costretti alla pesca dalla siccità, sono diffuse su una piattura di erbe giallastre. Siamo ai margini del delta dell’Omo, il fiume che viene dall’Etiopia. E dall’Etiopia sono arrivati una notte i Dassanech. Scaramucce, schioppettate, raffiche di Ak-47, furti di misere vacche, una ventina di morti: uno scenario abituale, da queste parti, dove i gruppi umani paiono in conflitto permanente. Lo scontro con i Turkana ha ragioni antiche: durante la seconda guerra mondiale, i fascisti armarono i Dassanech con i moschetti, allo scopo di pattugliare la frontiera etiope contro gli inglesi provenienti dal Kenya. Ovviamente, secondo la logica della razzia, i Dassanech usarono i fucili contro i Turkana disarmati (allora). Così si iniziò a moltiplicare l’«effetto faida», che prosegue in grande stile con l’introduzione delle armi automatiche. Molti leader locali credono nell’obsoleta strategia da guerra fredda (“Un missile più del mio nemico”), per cui incrementano il commercio delle armi. Un tempo erano lance e mazze; oggi sono mitragliatori che uccidono indiscriminatamente uomini, donne e bambini. (A.S.)

52 africa · 2 · 2018

diffonde rapidamente in tutta la comunità tramite i matrimoni misti. Dal momento che ogni clan, così come i ministeri dei nostri Stati, ha differenti poteri utili alla comunità intera, il nuovo gruppo trova immediata collocazione pratica. Per esempio, il clan più numeroso, Galbur, ha potere sulle acque e sui coccodrilli (un problema per chi deve muoversi nel delta con il bestiame). I Turat si occupano del fuoco e delle conseguenti ustioni (comunissime soprattutto tra i bambini); inoltre curano molte malattie e tengono i razziatori lontano dalle mandrie. I Turnyerim pregano per la pioggia, ma sono anche capaci di curare

▶ Originari dell’Uganda e affini ai Turkana del Kenya (con cui condividono l’impiego di indumenti di pelle), i Dassanech vivono tra il Lago Stefania (Chew Bahir) e l’estremo nord del Lago Turkana, in perenne tensione con le popolazioni circostanti per il controllo delle scarne risorse ambientali: pascoli, mandrie e pozzi ▶ In occasione della cerimonia del dimi, i clan rivali cercano di sedare i conflitti e riconciliarsi. Gli uomini ostentano copricapo tradizionali e sigillano i fragili accordi di pace spalmandosi vicendevolmente sterco e interiora di mucca ▶ Per celebrare i patti di amicizia si tengono dei banchetti di carne bovina grigliata: eventi eccezionali, poiché in queste povere regioni di solito non si uccidono gli animali e mangiare carne è un lusso. Tutta la vita dei Dassanech ruota intorno al bestiame, unica ricchezza. Le vacche forniscono carne, latte e e pelli, queste utilizzate per le capanne



CULTURA di Pier Maria Mazzola – foto di Sergio Ramazzotti / Parallelozero

Chi salverà Mogadiscio?

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L'APPELLO DI UN INGEGNERE SOMALO ALL’ITALIA PERCHÉ VOLI IN SOCCORSO DEL PATRIMONIO ARTISTICO E ARCHITETTONICO DELLA SUA CITTÀ

Era tra le capitali più belle d’Africa. Venticinque anni di guerra hanno accumulato macerie e desolazione. Oggi, faticosamente, Mogadiscio rinasce. Ma incompetenza e speculazione edilizia stanno per cancellarne la memoria storica «… e giungemmo a Mogadiscio, città vastissima. I suoi abitanti, che sono dei ricchi mercanti, posseggono una quantità di cammelli, che sgozzano ogni giorno a centinaia, e gran quantità di ovini. Si fabbricano a Mogadiscio le stoffe senza uguali che vanno sotto il suo nome, e si esportano di lì in Egitto e altrove». Era il 1331, e questa era la prima impressione che Ibn Battuta, il Marco Polo arabo, ebbe della città abitata dai Banaadiri, il “popolo multietnico” (originario in buona parte dello Yemen e con apporti arabi, etiopi e altri), snodo commerciale e culturale tra Africa, Medio Oriente e India e Cina. Città di moschee Al viaggiatore che veniva dal mare, Mogadiscio appariva come una città vivace e ben curata, dominata da una trentina di moschee – con pavimenti, portali e mihrab (le nicchie orientate verso la Mecca) finemente decorati. Non solo i singoli edifici religiosi o le case signorili, ma tutto il tessuto urbanistico – come ◀ La zona del porto vecchio di Mogadiscio. Si intravvede il bel faro a pianta ottagonale, costruito dagli italiani nel 1912, probabilmenrte su una costruzione preesistente

le vie strette, disegnate per creare ambienti ombreggiati – e soluzioni come quelle adottate per la climatizzazione degli edifici coniugavano il fascino estetico alla migliore tecnologia possibile. I boordi, per esempio, cioè i tronchi di mangrovia, dalla forma spesso irregolare, abilmente riutilizzati divenivano architravi e pilastri capaci di tenere in piedi case a più piani. Ma che ne è, oggi, del prezioso patrimonio architettonico di una città preda della distruzione dal 1991, anno della caduta del dittatore Siad Barre? Le immagini che pubblichiamo in queste pagine ci mostrano macerie, più che bellezza. Ha senso occuparsi di ruderi, restauri e conservazione quando sembra che tutto possa di nuovo volare in pezzi? Eppure. Negli ultimi anni si sono accese speranze, anche se ciclicamente compromesse da episodi orrendi – la strage di metà ottobre (512 morti) è la più grave mai perpetrata dai jihadisti –, e tanti somali sono tornati per rimboccarsi le maniche. Tra loro c’è Nuredin Hagi Scikei – 60 anni, una laurea in ingegneria idraulica all’Università di Bologna e molti africa · 2 · 2018 63


Mohamed Abdiwahab / Afp / Getty Images

anni vissuti in Italia –, che non si dà pace per i rischi di ulteriore devastazione del patrimonio culturale della sua città. «Bisogna intervenire per salvare ciò che rimane del centro storico, con le sue opere medievali e quelle del periodo italiano – egli allerta –. Durante gli anni della barbarie sono avvenute distruzioni immani, come quelle che hanno colpito la moschea di Arba’a Rukun, risalente al 1269, e molte opere d’epoca coloniale quali il vecchio Parlamento, le scuole italiane e tante altre». La Turchia – che in Somalia è sempre più attiva, per esempio nel rifacimento del porto della capitale – assicura certi lavori di recupero, come nei casi della suddetta moschea e della torre Abdulaziz, un emblema della città, ma Nuredin lamenta che «i restauri sono avvenuti senza l’intervento di archeologi capaci e, peggio ancora, i subappalti sono stati concessi a costruttori locali senza esperienza in fatto di edifici antichi».

◀ Il nuovissimo quartiere residenziale di Daaru Salaam City testimonia il boom edilizio in corso a Mogadiscio ◀ La devastazione della città. Ma anche la ricostruzione minaccia di cancellare la memoria storica della città ◀ Il "Secondo Lido", nel quartiere di Shingaani, è oggi un approdo dei pescatori ◀ Macerie di un edificio sventrato da un camion-bomba lo scorso ottobre. Di oltre 500 morti il bilancio finale 64 africa · 2 · 2018 Mohamed Abdiwahab / Afp

Distruzione e speculazione Alle ingiurie del tempo, all’incuria e poi alle devastazioni della guerra, si aggiungono pertanto gli interventi incompetenti, quando non veri stravolgimenti. È il caso dell’albergo Croce del Sud, venendo all’epoca coloniale. Disegnato da Carlo Enrico Rava, fu un modello di architettura littoria a latitudine equatoriale, peraltro ispirato anche ai saraha, i tradizionali palazzi del Benadir, la regione di Mogadiscio. Oggi è uno sfavillante centro commerciale, il Mogadishu Mall, opera di un’impresa indiana basata in Tanzania. La pace, attraendo investimenti e voglia di ricostruzione, può far danni quanto la guerra, dal punto di vista della memoria urbanistica, storica e culturale. Un processo che avanza a passo di corsa. «Gli speculatori – Hagi Scikei lo osserva con i suoi occhi – cercano di accaparrarsi nuovi lotti spazzando via le costruzioni storiche». Che fare? L’ingegnere – che al tema ha dedicato un libro fresco di stampa (vedi box) – invoca l’intervento dell’Italia perché si crei qualcosa di «simile all’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, che è un unico organismo in cui un team di esperti (storici, architetti, archeologi e altri tecnici qualificati) svolgono insieme le ricerche, la formazione degli operatori e un’attività sistematica di restauro». Nuredin ritiene indispensabile un sostegno di almeno



RELIGIONE testo e foto di Adriano Marzi

Il Piccolo Tibet dell’Etiopia

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Abba Lemlem di fronte al piccolo monastero degli stefaniti, discepoli del pastore Abba Estifanos, che nel XV secolo diede vita a una riforma radicale del cristianesimo in Etiopia


MISSIONARI D’AFRICA Notizie e progetti dei padri bianchi italiani e svizzeri N. 1 MARZO-APRILE 2018 - ANNO 97

WWW.MISSIONARIDAFRICA.ORG

a cura di Enrico Casale

AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

1868, COSÌ NACQUERO I PADRI BIANCHI - 150° DEI MISSIONARI D’AFRICA

ALLEGATO REDAZIONALE

Mons. Charles Lavigerie, arcivescovo di Algeri, volle creare una congregazione che sapesse dialogare con il mondo arabo e musulmano. Affidò la formazione dei primi novizi a un gesuita, chiedendogli di trasmettere loro lo spirito di Sant’Ignazio

I “Missionari di Nostra Signora delle missioni d’Africa” – questo uno dei primi nomi ufficiali dei Padri Bianchi – compiono 150 anni. Era il 1868 quando ad Algeri veniva aperto il primo noviziato della Società e una decina di aspiranti veniva affidata a padre Vincent, gesuita, coadiuvato da un padre Sulpiziano. A volere la nascita dell’ordine religioso era stato il card. Charles Lavigerie (1825-1892), arcivescovo di Algeri da poco più di un anno. Il prelato aveva dato indicazioni precise sulle caratteristiche dei Padri Bianchi: dovevano a ogni costo parlare l’arabo; erano tenuti a indossare una veste bianca (da qui il nome «padri bianchi») con un mantello avvolgente (il barracano), una “scescia” rossa come copricapo e un rosario al collo. Li si invitava ad avere frequenti contatti con la gente del posto e lo studio doveva essere alternato alla preghiera e al lavoro manuale. Padre Vincent racconta che il card. Lavigerie gli aveva chiesto di formare «apostoli, seguendo esattamente la direzione del noviziato della Compagnia». L’arcivescovo chiedeva però di riservare più tempo agli studi rispetto al periodo del noviziato. «Dei santi io voglio, dei

li, apostolo della carità, Ignazio di Loyola, apostolo della fede, e JeanJacques Olier, apostolo della santità ecclesiastica. Il 2 febbraio 1869, in una piccola cappella adiacente al Santuario della Madonna d’Africa ad Algeri, ebbe luogo la vestizione dei primi novizi. Del gruppo iniziale di dieci novizi solo quattro avevano perseverato e vestirono il tipico abito bianco. Attualmente la Società conta 1.263 membri, dei quali 11 vescovi, 1.141 sacerdoti e 94 fratelli laici.

QUATTRO PADRI BIANCHI TRA I 19 NUOVI BEATI MARTIRI D’ALGERIA santi! – diceva il prelato –. Gettateli bene nello stampo di sant’Ignazio e siano nelle vostre mani come un corpo morto, che si lascia portare da tutte le parti e plasmare come si vuole, oppure come il bastone nella mano di un anziano, perché gli serva ovunque e per qualsiasi cosa». Furono dunque i Gesuiti a curare la formazione dei primi missionari, imprimendo un carattere ignaziano alla spiritualità dei Padri Bianchi. Il card. Lavigerie, comunque, indicò come modelli Vincenzo de’Pao-

Papa Francesco ha autorizzato la beatificazione del vescovo di Orano, Pierre Claverie, e di 18 compagni, sacerdoti e religiosi uccisi negli anni 1994-96 in Algeria. Tra loro, quattro Padri Bianchi: Jean Chevillard, Jean Dieulangard, Charles Deckers, Christian Chessel, trucidati a TiziOuzou il 27 dicembre 1994, un anno e mezzo prima dei sette monaci di Tibhirine la cui vicenda è stata immortalata nel film Uomini di Dio del 2010.


«NEL KIVU, TRA POVERTÀ E CLIMA DI TENSIONE» Gaetano Cazzola, Padre Bianco italiano, è tornato nella Repubblica democratica del Congo, dove aveva lavorato per anni. Ha trovato una comunità provata dall’assenza dello Stato, dalla povertà e dai conflitti politici e militari

REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

CONGO

Kisangani GOMA Bukavu

KINSHASA

Cazzola –, l’arcivescovo di Bukavu, François-Xavier Maroy, ha celebrato una messa invitando uomini politici di varie tendenze ad esporre le proprie posizioni. Quando il rappresentante presidenziale ha preso la parola, c’è stata una grande tensione: i politici hanno rischiato di essere lapidati e sono rimasti rinchiusi in chiesa per un’ora». Le regioni orientali sono sconvolte da numerosi movimenti ribelli. «A Uvira ci sono stati molti Nella Rd Congo il clima politico e sociale si sta deteriorando. Lo Stato è assente. Le infrastrutture collassano. La popolazione soffre. «La situazione sta peggiorando di giorno in giorno – spiega Gaetano Cazzola, Padre Bianco, per anni impegnato nella formazione in Rd Congo e oggi in Italia –. Sono tornato a dicembre a Bukavu, nel Kivu. Ho trovato un clima pessimo. Le strade hanno buche sempre più grandi e l’energia elettrica è fornita solo per qualche ora durante la notte». Continua padre Gaetano: «Lo scorso anno avevo visitato parecchie volte la prigione di Kabare. I prigionieri soffrono la fame, sono ridotti a leccare le pietre. Alcuni sono morti di inedia. La direzione dovrebbe ricevere 5 dollari per ogni prigioniero, ma i soldi non arrivano. Un gruppo missionario della Val di Fassa mi ha aiutato e ho potuto portare un po’ di cibo e lasciare ai missionari po’ di denaro per l’acquisto di cibo». Intanto cresce il malcontento. Soprattutto nei confronti del presidente Joseph Kabila che, pur avendo terminato il mandato un anno fa, è ancora al potere. «Il 31 dicembre – continua padre

SUD SUDAN

REP. CENTRAFICANA

ANGOLA

Sud-Kivu

Uvira Mbuji-Mayi

Uganda Rwanda Burundi

TANZANIA

Lubumbashi

ZAMBIA

attacchi –conclude il missionario –. A Bukavu e a Goma regna l’insicurezza. L’unica nota positiva è l’impegno dei laici. Le chiese sono piene. La comunità cristiana è ben organizzata e aiuta le persone in difficoltà».

PADRE SERGIO ALBIERO (1941-2017) Se n’è andato in fretta e quasi in punta di piedi padre Sergio Albiero, originario di Cornedo Vicentino dov’era nato il 17 aprile 1941. Aveva frequentato il seminario dei Padri Bianchi a Treviglio dal 1953 al 1959. Dopo aver completato la formazione a Parella (To), Gargagnago (Vr) e in Francia, era stato ordinato nel suo paese il 29 giugno 1969. Subito dopo i superiori lo avevano rimandato a Treviglio, questa volta come formatore, dove sarebbe rimasto fino al 1974. È in quegli anni che, insieme alla sua attività nel seminario, padre Sergio si mise a disposizione di gruppi missionari e parrocchie nella zona di Treviglio, creando legami e amicizie che sarebbero continuati per decenni. Finalmente nel 1975 era arrivato il mo-

mento di partire per la missione in Africa. Destinazione: Ituri (Rd Congo). Purtroppo il soggiorno nell’amato e sognato continente africano non durerà a lungo: seri problemi di salute lo costringeranno a rientrare in Italia nel 1982 e, dopo tre interventi al cuore, non gli sarà più possibile tornare in Africa. Si divideva tra Treviglio e Milano per l’animazione missionaria; poi a Verona per la formazione dei giovani e, infine, a Castelfranco Veneto (Tv), dove era stato scelto come responsabile della casa dei padri anziani. Nasceva però in lui il desiderio di inserirsi in una parrocchia e così, agli inizi del 1997, ottiene il permesso di fare questa esperienza per tre anni. Accolto dal vescovo di Treviso, monsignor Magnani, gli viene affidata la parrocchia di Sant’Ambrogio a Tre-


UN PADRE BIANCO IN LOTTA CONTRO LE VIOLENZE SESSUALI A Bukavu (Sud Kivu), padre Bernard Ugeux offre assistenza spirituale e psicologica, e anche supporto economico, alle donne che hanno subito violenza. Nel Centro Nyota offre così una possibilità di riscatto a donne condannate all’emarginazione

Nella Repubblica democratica del Congo, molte donne subiscono violenze sessuali. C’è un Padre Bianco che da anni combatte questa piaga. Si chiama Bernard Ugeux ed è attivo nella città di Bukavu, nella provincia del Kivu Meridionale. Padre Bernard ascolta le donne che, nel segreto del confessionale, gli raccontano degli abusi che subiscono. «Quando vengono a confessare le aggressioni che hanno subito – ha

baseleghe. I tre anni di quell’impegno verranno rinnovati più volte fino a diventare 17! Domenica 12 ottobre 2014, con un’unica messa solenne, l’intera comunità di Sant’Ambrogio dava l’addio al suo parroco e pastore esprimendo tutta la sua gratitudine e commozione. Con qualche problema di salute in più, dovuto anche all’età, padre Sergio si ritirava nella comunità di Castelfranco Veneto. Lunedì 11 dicembre è stato trasportato d’urgenza per un malore e il giorno dopo la sua anima è tornata al Creatore. I funerali, celebrati nella parrocchia di Sant’Ambrogio, hanno permesso alla gente che ha amato e servito per più di tre lustri, e da cui è stato riamato e apprezzato, di rendergli l’ultimo omaggio. Le sue spoglie mortali riposano nel cimitero del suo paese natale. Padre Claudio Zuccala

recentemente raccontato in un’intervista al settimanale cattolico La Croix – , dobbiamo spiegare loro che non ne sono responsabili e, quindi, che non se ne devono fare una colpa». Per anni, il Sud Kivu è stato scosso dagli scontri tra gruppi armati. Le donne sono state le prime vittime. Nel 2016, il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) ha segnalato 2593 casi di violenza sessuale nelle province colpite dal conflitto. Le violenze sono state commesse da uomini armati. Nel 68% dei casi, gli autori di stupri sono miliziani (in particolare i Mai-Mai), il 27% sono attribuiti all’esercito congolese (Fardc). «La violenza sessuale è usata come un’arma di distruzione con l’obiettivo di umiliare – dice padre Ugeux –. Abbiamo persino sentito casi in cui le milizie hanno costretto le madri ad avere rapporti con i propri figli prima di ucciderli». La Chiesa cattolica si è così trovata in prima linea di fronte a questa brutalità. Nell’aprile 2017, l’Unione internazionale dei superiori generali, con il supporto dell’ambasciata britannica, ha formato una quarantina di sacerdoti per aiutare le donne vittime di violenza sessuale. Per padre Ugeux è indispensabile adottare un approccio psicosociale. «Non è sufficiente essere empatici e permettere alle vittime di espri-

mere emozioni e ricordi dolorosi – sostiene –. È necessario offrire le risorse materiali e sociali per il reinserimento nella loro comunità. Far sì che la vittima ritrovi un posto e un ruolo, nel rispetto e nella più totale sicurezza». Padre Bernard ha così promosso un percorso nel Centro Nyota che, ogni anno, offre a 250 ragazze vittime di violenza, prostituzione o povertà estrema, la possibilità di riscatto. È grazie a questo centro che molte di esse sono tornate a vivere. Oggi lavorano e vivono felici.


BURKINA FASO, UN INVESTIMENTO IN CULTURA Nato nel 2002, il collegio Sant’Antonio da Padova offre una formazione di qualità ai suoi studenti. Per migliorare la formazione avrebbe però bisogno di una biblioteca Una bibliotechina con i libri essenziali per aiutare gli studenti delle scuole elementari: è quanto vorrebbero creare le suore dell’Annunciazione nel collegio Sant’Antonio da Padova a Cinkanse (Burkina Faso). Una biblioteca, piccola ma indispensabile per accompagnare gli studi dei ragazzi. Però mancano i fondi. Per questo hanno fatto appello alla generosità dei Padri Bianchi e dei loro amici per poter avere le risorse necessarie. Il collegio è nato nel 2002 nella diocesi di Tenkodogo. Fin dall’inizio, l’istituto

è stato gestito da laici, ma è sempre stata viva la presenza di religiose e in particolare di suor Clarisse Sanou, che siede nel consiglio di amministrazione. Lo scorso anno il collegio aveva 178 alunni, che hanno ottenuto risultati ottimi. Nel 2017, per la seconda volta, l’istituto ha iscritto alcuni alunni, agli esami del Brevet Elémentaire Premier Cycle. Il 64% è stato ammesso e ciò ha spinto la scuola a proseguire su questa strada. «L’istituto – spiega suor Clarisse – non ha una biblioteca, ci mancano i libri

fondamentali e i manuali scolastici. Poterne disporre ci permetterebbe di migliorare notevolmente il rendimento scolastico e, con esso, i risultati di fine ciclo. Purtroppo, attualmente l’istituto può contare solo sulle entrate garantite dalle rette scolastiche, insufficienti per acquistare i libri. Per questo chiediamo il vostro aiuto. Una donazione di questo tipo è un investimento in cultura e quindi un investimento per il futuro». Il bisogno è stimato a 11 mila euro. Per aiutare: Prog n. 12 Burkina / Faso, investire nella cultura

SOSTIENI I MISSIONARI PADRI BIANCHI. SCEGLI UN PROGETTO La Quaresima è un periodo di riflessione in preparazione della Pasqua. Ma è anche occasione di solidarietà. I Padri Bianchi sostengono alcuni progetti per promuovere lo sviluppo umano e sociale: partecipa anche tu

PROGETTO N. 8 AIUTI DA DESTINARE dove è più urgente (P. Paolo Costantini)

PROGETTO N. 3 BURKINA FASO microcredito per le donne (P. Maurice Oudet)

PROGETTO N. 9 ITALIA assistenza ai padri anziani (P. Paolo Costantini)

PROGETTO N. 5 SUDAFRICA retta scolastica per seminaristi (P. Luigi Morell)

PROGETTO N. 10 ALGERIA sostegno a universitari (P. Aldo Giannasi)

PROGETTO N. 6 UGANDA aiuto a studenti poveri (P. Jean Le Vacher)

PROGETTO N. 12 BURKINA FASO investire nella cultura (P. Giancarlo Pirazzo)

Tel. 0363 44726

africa@padribianchi.it

AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

COME AIUTARE:

• Con il 5x1000 a favore della onlus AMICI DEI PADRI BIANCHI C.F. 93036300163 • Con un'offerta fiscalmente deducibile alla stessa onlus. Nella causale indica: “Aiuto ai Padri Bianchi” o specifica un progetto • Dona tramite: - WEB con PayPal dal sito www.missionaridafrica.org - POSTA CCP numero 9754036 - BANCA IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: ICRAITRRTR0

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