Africa 03 2015

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AFRICA N. 3 MAGGIO-GIUGNO 2015 - ANNO 94

RIVISTA BIMESTRALE

WWW.AFRICARIVISTA.IT

MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Centrafrica

Reportage esclusivo Etiopia

Chili di gloria Uganda

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.

Avventure spaziali

ARCHITETTURA POESIA DI FANGO


SCOPRI I VOLI ROYAL AIR MAROC VERSO OLTRE 80 DESTINAZIONI NEL MONDO DI CUI 30 PER L’AFRICA

Le ali del Marocco

MILANO BOLOGNA BO B OLLOG OL ALGERI

CASABLANCA A

TUNISI TRIPOLI

BÉNI BÉ B É MELLAL

TENERIFE

IL CAIRO

GRAN CANARIA

NOUAKCHOTT CAPO VERDE DAKAR BANJUL

BAMAKO

AU SS Y BI KR NA N CO OW T IA EE OV FR R ON M

OUAGADOUGOU N’DJAMENA

NIAMEY ABUJA COTONOU

DOUALA E M OS BANGUI N O G A L JA CR LA ID YAOUNDE C O B A A AB AL M E TANGERI ILL V RE RABAT NADOR BRAZZAVILLE FEZ LIB OUJDA E KINSHASA IR BÉNI MELLAL NO ESSAOUIRA E T IN ERRACHIDIA A MARRAKECH PO ND A OUARZAZATE LU GUELMIME AGADIR LAAYOUNE

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Sommario COPERTINA 38

Architettura. Poesia di fango

ATTUALITÀ

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Panorama

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Nel cuore (malato) d’Africa

AFRICA FRICA

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Ebola, ritorno alla vita

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«Ho ucciso in nome di Allah»

Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo

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Sudafrica. Operazione Salvataggio

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Il maestro dei reporter

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Madagascar. Guerra alle locuste

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LO SCATT O

MISSIONE • CULTURA

Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) DIRETTORE RESPONSABILE

Pier Maria Mazzola

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Tamburi di guerra 22

DIRETTORE EDITORIALE

Marco Trovato

SOCIETÀ

PROMOZIONE E WEB

Matteo Merletto

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Etiopia. Chili di gloria

Paolo Costantini

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Sud Sudan. Nato per volare

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

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Uganda. Avventure nello spazio

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Tanzania. Dolci soddisfazioni

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Sapori pregiati… da provare

www.buongiornoafrica.it di Raffaele Masto

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LO SCATT O

PUBBLICITÀ

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Burkina Faso. Film sotto le stelle

FOTO

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Si ringrazia Parallelozero In copertina: Bruno Zanzottera (Parallelozero) Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand

Sudafrica. I maghi della bellezza

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Mali. Pesca miracolosa

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MUSICA L’Africa di Lorenzo

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SPORT Via col vento sui pedali

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CULTURA Orzowei. Il figlio della savana

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RELIGIONI L’oro bianco dei missionari

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RELIGIONI Shalom Asmara

AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

Claudia Brambilla EDITORE

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi BLOG

segreteria@africarivista.it

STAMPA

Jona - Paderno Dugnano, Milano Periodico bimestrale - Anno 94 maggio-giugno 2015, n° 3 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48

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Caos nigeriano

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SEDE

Viale Merisio, 17 C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 Africa Rivista @africarivista www.africarivista.it info@africarivista.it UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

INVETRINA 74

Eventi

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Web

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Viaggi

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Libri

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Musica e Film

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Posta

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In omaggio ai nuovi abbonati di

AFRICA FRICA

MISSIONE • CULTURA

e a chi regala un abbonamento AFRICA N.1 GENNAIO-FEBBRAIO 2015 - ANNO 93

RIVISTA BIMESTRALE

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MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

ESPLORAZIONI

Viaggio sul fiume Congo COSTA D’AVORIO

La rinascita del cacao

NAMIBIA

NEL REGNO DEGLI HIMBA

AFRICA + LIBRO A SOLI 36 EURO

Edizioni Piemme 2015 200 pagine

(comprese le spese di spedizione)

Sergio Ramazzotti. L’unico reporter italiano ad aver raggiunto l’epicentro dell’epidemia racconta tutto ciò che accade e ciò che è destinato ad accadere Promozione valida in Italia e Svizzera, fino a esaurimento scorte, riservata a chi attiva un abbonamento alla rivista Africa, per sé o per un amico, entro il 15 giugno 2015. info@africarivista.it

www.africarivista.it

tel. 0363 44726

cell. 334 244 0655


QUESTA È LA FOTO DEL PICCOLO JOHN MORENTE DI FAME CHE ABBIAMO SCELTO DI NON FARVI VEDERE

Fame di spot Un bimbo africano denutrito, l’aria sofferente, il respiro ansimante. Una voce fuoricampo ci informa che si chiama John e che ha solo due anni. La telecamera indugia sul suo stomaco gonfio, prima di riprendere altri bimbi, messi anche peggio di lui: costole a vista, visi-teschio, sguardi disperati... Immagini strazianti che sembrano durare un’eternità. Speravamo che questa campagna di spot iniziata nel 2013 fosse a breve termine. Invece, dopo Koffi e Aisha, dopo Bishara e Kayembe, adesso tocca a John impietosire i telespettatori per strappar loro nove euro al mese. Una delle più storiche organizzazioni non governative non ha trovato di meglio, a quarantacinque anni dalla guerra e fame del Biafra, che ripescare il crudele cliché dello scheletrino africano. Con la beffa: Arthur London, l’agenzia pubblicitaria che confeziona questi filmati, ha il fegato di definirli «un nuovo approccio» per il fund raising. Non è in discussione l’opera sul campo di Save the Children; quei bambini, e molti altri, sono stati certamente salvati. Né dubitiamo che le rispettive mamme abbiano dato il consenso all’utilizzo delle immagini. La questione è un’altra. È lecito (e fin dove?) “sbattere il mostro in prima pagina”?... Anche se il “mostro” è in realtà la vittima. La sua immagine è comunque il risultato di una violazione della sua intimità. Qui è messa “a nudo” la sofferenza di minori. Che fine ha fatto il codice deontologico de-

gli operatori della comunicazione in Italia che esige di «porre particolare attenzione nella diffusione delle immagini e delle vicende» riguardanti «bambini malati, feriti o disabili». Vale solo per gli italiani?... Per i bambini bianchi? È vero che questo documento (la cosiddetta Carta di Treviso) concerne l’informazione giornalistica, ma la questione riguarda tutti, specie le ong che affermano di operare per la tutela dei diritti dei più deboli. È giusto calpestare la dignità di alcuni minori per salvarne altri? E poi – fatto che per noi non è secondario – viene rinnovata una volta di più la rappresentazione “pietistica” dell’Africa, che per lungo tempo è stata alimentata a fin di bene anche dai missionari. “A fin di bene”: ma questa oggi non è più, se mai lo fu, un’attenuante. È anzi un’aggravante. Inescusabile soprattutto oggi, quando sappiamo di vivere in un mondo ben diverso dagli anni del Biafra, un’era in cui l’informazione disponeva di strumenti infinitamente inferiori e una letteratura critica sull’umanitario non era ancora stata elaborata. Save the Children comunica che lo spot «ci ha consentito di acquisire più di 14.000 nuovi donatori regolari»: il fine giustifica i mezzi? Ma già, lo ha dichiarato anche uno dei nomi che nella ong contano, John Graham: «Se non hai bambini affamati da far vedere, non ricevi fondi». Per salvare i bambini, la crudeltà, questo serve. Pier Maria Mazzola e Marco Trovato

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · formato digitale (pdf) 20 € · rivista cartacea (Italia) 30 € · rivista cartacea (Estero) 45 € · rivista cartacea (Svizzera): 40 Chf · rivista Cartacea+digitale (Italia): 40 € · rivista Cartacea+digitale (Svizzera): 50 Chf · rivista Cartacea+digitale (Estero) 55 €

Si può pagare tramite: · Bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT93 T 08899 53640 000000 001315 · Versamento postale su C.C.P. n. 67865782

I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

· Paypal e carta di credito su www.africarivista.it

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Beneficiario: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) C.P. 61 – 24047 Treviglio BG

Per informazioni: segreteria@africarivista.it


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Muhammadu Buhari È il nuovo presidente della Repubblica della Nigeria. Musulmano, ex militare, succede al cristiano Goodluck Jonathan.

Karim Wade Figlio dell’ex presidente senegalese. Condannato per corruzione, comunque il candidato del Pds alle presidenziali del 2017.

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OBAMA VISITA IL KENYA A luglio, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si recherà in Kenya, dove visse suo padre prima di migrare negli Usa. Obama aveva già effettuato una prima visita nell’Africa subsahariana, nel giugno 2013, visitando Sudafrica, Senegal, Tanzania. In Kenya, Barack Obama presenzierà al Summit mondiale degli imprenditori, a cui parteciperanno mille titolari di imprese innovative provenienti da tutti i Paesi africani.

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Secondo Amnesty International, nel 2014 le condanne a morte comminate nel mondo sono state 2.466, il 28% in più rispetto al 2013. L’aumento è dovuto all’incremento di sentenze capitali in Egitto (509, ossia 400 in più rispetto al 2013) e Nigeria (659 condanne, 500 in più). In Nigeria a farne le spese sono stati i terroristi di Boko Haram, ma anche i militari delle forze armate ammutinati. In Egitto, i militanti della Fratellanza musulmana. Nell’Africa subsahariana, sono state registrate 46 esecuzioni, in calo rispetto alle 64 del 2013. Il Madagascar ha poi approvato l’abolizione della pena di morte. MAROCCO, SCUOLA PER IMAM

A Rabat (Marocco) è stato inaugurato l’Istituto Mohammed VI che si occuperà della formazione di imam e predicatori musulmani. La formazione degli imam fa parte della

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a cura di Enrico Casale NEWSNEWS

PENA DI MORTE IN AUMENTO

METRO LEGGERA AD ADDIS ABEBA Sarà inaugurata a maggio la nuova metropolitana leggera che attraversa Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia. Lo ha annunciato l’Ethiopian Railways Corporation, precisando che il 90% delle 39 stazioni è già pronto e 33 treni sono già stati assemblati. L’ennesimo segnale virtuoso di un Paese in pieno boom economico.

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politica marocchina contro l’estremismo religioso e il terrorismo. IL RUANDA NELLA RETE 4G Il Ruanda ha fatto grandi passi avanti nel settore delle infrastrutture per le telecomunicazioni. Attualmente le reti per la telefonia mobile 3G e 2G coprono il 99% del territorio. Ma Kigali guarda avanti e sta investendo nella rete 4G (quarta generazione). Jean Philbert Nsengimana, ministro della Gioventù e delle Telecomunicazioni, ha annunciato che entro il 2017 la connettività 4G coprirà almeno il 95% del Paese.

BOOM DI PRETI E SUORE Nel 2014, secondo l’Annuario statistico della Chiesa cattolica, i sacerdoti erano 134.752, con un aumento in Africa (+169) e in Asia (+768) e diminuzioni in America (-477), Europa (-742) e Oceania (-38). Per quanto riguarda le suore, si conferma la tendenza alla diminuzione globale delle religiose, che


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sono 702.529. Incrementi, ancora una volta, in Africa (+727) e crollo in Europa (-9.051). MEDITERRANEO, CIMITERO DI SOGNI

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Le istituzioni finanziarie dovrebbero porsi la domanda: quanto stiamo facendo va a beneficio del cittadino comune? Il Senegal ha una crescita del Pil del 10 %, ma un tassista mi ha chiesto: «Ma il Pil si può mangiare?» Donald Kaberuka, Presidente dell’African Development Bank

Più di 500 immigrati sono annegati nel Mediterraneo nei primi quattro mesi del 2015, rispetto ai 49 del primo trimestre 2014. A lanciare l’allarme è l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, che ha messo in guardia sulla possibilità che il numero totale di annegamenti nel 2015 possa sorpassare il totale dello scorso anno, 3.419, che era a sua volta un record. È MAROCCHINA MISS NEW YORK Iman Oubou, statunitense di origini marocchine, è stata eletta Miss New York 2015 e rappresenterà lo Stato di New York al concorso nazionale di

3,9 MIL I A RDI DI EURO È il costo della Grand Ethiopian Renaissance Dam, la diga che l'italiana Salini Impregilo sta costruendo in Etiopia. I lavori termineranno nel 2017

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LA FRASE

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Miss Stati Uniti. Iman e la sua famiglia si sono trasferiti dal Marocco al Colorado nel 2006. Laureata in Biologia e Biochimica molecolare, si è poi specializzata in Ingegneria biomedica. Nel corso degli anni, ha partecipato a diverse missioni umanitarie in Africa. STREGONI CONTRO ALBINI Le autorità tanzaniane hanno arrestato 200 stregoni (in gran parte sprovvisti di regolare licenza per svolgere la professione di guaritori), imputati di istigazione all’omicidio di persone albine. Per l’accusa, avrebbero alimentato una credenza diffusa in Tanzania, secondo cui il sangue e le parti del corpo degli albini sono potenti talismani capaci di portare fortuna sia negli

affetti che negli affari. Negli ultimi cinque anni sono stati segnalati 155 attacchi contro albini – 75 dei quali sono rimasti uccisi – e solo cinque responsabili sono finiti in tribunale. In Tanzania vivono circa trentamila albini: meno del 10% arriva ai 30. CONGO, ETERNO PRESIDENTE?

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to, che gli garantirebbe di correre alle elezioni del 2016. Al potere da quasi trent’anni, Sassou Nguesso per ricandidarsi deve far cambiare la norma costituzionale che impone un limite di tre mandati presidenziali consecutivi e una soglia massima di età (70 anni) che lo esclude automaticamente dai giochi. TORINO-LUXOR, INTESA EGIZIA In occasione dell’apertura del nuovo Museo Egizio, il sindaco di Torino Piero Fassino e il vicegovernatore di Luxor Adel Maharan hanno siglato un accordo di collaborazione all’insegna del comune interesse per l’antica civiltà egizia. L’intesa prevede che le due città realizzino attività comuni come festival, mostre, eventi, incontri e scambi di gruppi artistici, nonché incontri tra restauratori, studiosi e ricercatori.

Il presidente del Congo, Denis Sassou Nguesso, 71 anni, sembra intenzionato a varare una revisione della Costituzione, in fase di discussione in Parlamenafrica · numero 2 3 · 2015 5

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ATTUALITÀ testo di Daniele Bellocchio - foto di Marco Gualazzini

Nel cuore (malato) d’Africa REPORTAGE DALLA REPUBBLICA CENTRAFRICANA STREMATA DA DUE ANNI DI UNA FEROCE GUERRA CHE NON FA NOTIZIA


Il Centrafrica è una nazione in ginocchio e spaccata in due. Ribelli islamici contro milizie cristiane, in una spirale di violenze che ha già provocato cinquemila morti e quasi un milione di profughi. La posta in gioco? Oro e diamanti L’ingresso alla città di Ndassima è presidiato da decine di miliziani armati di kalashnikov, bombe a mano e lunghi pugnali legati alla cintola. La piccola città dell’Est della Repubblica Centrafricana è la porta d’accesso alle miniere d’oro, un tempo controllate dalla compagnia canadese Axmin e oggi finite nelle mani dei ribelli islamici. Siamo gli unici cronisti ad aver ottenuto l’autorizzazione per visitare il giacimento aurifero. All’ingresso delle cave, sotto una piccola capanna, un gruppo di uomini pesa su una bilancia pochi grammi di polvere dorata. Poco più in là, altri lavoratori, immersi in un piccolo stagno, sono impegnati a pulire con i setacci la polvere aurea.

Schiavi dell’oro Poi, mastodontica, si apre una voragine che penetra per oltre cento metri nelle budella della terra. Una piramide a gradoni al contrario: il sole infuoca i colori e oltre 1.500 persone, come in un formicaio ciclopico, scavano sempre più in basso alla ricerca dell’oro. Ci sono uomini e ci sono bambini e ci sono anche i miliziani islamici che non smettono di controllare ogni singolo movimento. Penetrando nelle viscere della terra si assiste a una discesa agli inferi. I quaranta gradi uniti alla polvere, che penetra nella pelle, nelle narici, negli occhi e non dà tregua un solo istante, rendono l’aria irrespirabile. Ovunque si vedono persone che si spezzano la schiena con

badili e picconi e altre che salgono con sacchi colmi di pietre grezze, che vengono scaricate una volta in cima alle pareti; e poi ancora: ridiscendono in profondità, per cercare e prelevare altro oro. Mentre è piegato per pulire un badile, Bashir, accucciato e sottovoce per non farsi sentire dai miliziani, racconta: «Lavoriamo 12 o 13 ore al giorno, moriamo per l’oro, ma a noi restano solo le briciole». Ecco il volto della Repubblica Centrafricana oggi, dopo quasi due anni di guerra civile. Un Paese diviso in due. L’Est, dove si trovano le miniere di Ndassima e dove c’è la città-roccaforte di Bambari, nelle mani dei ribelli islamici. E l’Ovest, sotto il controllo delle milizie cri-

▲ Militari ruandesi in perlustrazione sulla linea del fronte tra miliziani cristiani e ribelli islamici. Fanno parte dei 12.000 Caschi blu della missione Onu. Fino a metà marzo in Centrafrica erano presenti anche 700 soldati della missione di pace dell’Unione europea che hanno messo in sicurezza l’aeroporto della capitale Bangui ▼ In cerca di pietre preziose nel giacimento aurifero di Ndassima. In questa miniera, nel territorio occupato dai miliziani islamici, lavorano come schiavi millecinquecento persone, tra cui moltissimi bambini. Il sottosuolo del Centrafrica è ricco di oro e diamanti, ma il 60% della popolazione vive con poco più di un dollaro al giorno, la metà è analfabeta, l’Indice di sviluppo umano del Paese inchiodato agli ultimi posti della classifica mondiale

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«MA NON È UNA GUERRA DI RELIGIONE»

Sono le massime autorità religiose della Repubblica Centrafricana: l’arcivescovo di Bangui Dieudonné Nzapalainga e il presidente della comunità islamica centrafricana, l’imam Omar Kobine Layama. In prima linea entrambi nel tentativo di costruzione di un processo di pace interreligioso. «La guerra in Centrafrica non è nata per divisioni confessionali. All’origine del conflitto c’è la volontà da parte di gruppi armati e politici di mettere le mani sull’oro e i diamanti di questo Paese», spiegano i due, che poi proseguono: «Noi, per dimostrare che la convivenza di diverse fedi appartiene alla Repubblica Centrafricana, siamo andati a vivere insieme nell’arcivescovado per diversi mesi. Quello che serve oggi è che il governo ritorni a imporre la sua autorità, altrimenti il rischio è che il Centrafrica diventi la nuova Somalia».

cristiana, nell’Ovest è invece la comunità islamica. E nella capitale Bangui, dove gli Anti-balaka controllano quasi tutta la città, 1500 musulmani per sopravvivere alle persecuzioni si sono rifugiati nel PK5, un quartiere divenuto un ghetto, dal quale nessuno può uscire, pena il cadere vittima degli agguati delle milizie o dei linciaggi della folla. I mercati sono chiusi, i viveri mancano e da oltre due anni i cittadini islamici non possono nemmeno recarsi al cimitero, che si trova in quella

che oggi è una delle aree di Bangui dove gli Antibalaka hanno installato la loro roccaforte. Partono a bordo di un piccolo camion e di un pick-up alcuni fedeli musulmani. Sventolano bandiere bianche, e striscioni con la scritta “Paix” sono legati sul cofano dei veicoli. «Oggi andremo al nostro cimitero per dimostrare che noi vogliamo la pace e vivere liberamente», spiega Abdel Kader Khalil, rappresentante della comunità islamica del PK5. Il convoglio parte, ma una volta

entrato nei territori degli Anti-balaka viene accerchiato da ali di folla che, dopo sguardi minacciosi, passa agli insulti, dagli insulti alle minacce e poi assalta il corteo, lanciando pietre e costringendo i musulmani a fuggire. «Il vostro cimitero non esiste: l’abbiamo distrutto. Ma spazio per seppellirvi ce n’è sempre!», tuona la moltitudine, e le parole di odio fanno presagire un nuovo bagno di sangue per la terra del Centrafrica, che non è lieve per i vivi, ma nemmeno per i morti.

▲ La preghiera del venerdì in una delle poche moschee risparmiate dalle violenze nel quartiere musulmano Pk5 di Bangui. In Centrafrica il conflitto continua, la tensione è ancora alta e i negoziati fra le parti in causa restano molto difficili ▼ Pattugliamento militare per le strade di Bangui. I miliziani delle diverse fazioni hanno ucciso migliaia di innocenti e costretto alla fuga oltre un milione di persone. L’80% della popolazione del Centrafrica è cristiana, il 10% musulmana, il restante 10% professa religioni tradizionali. Papa Francesco ha annunciato l’intenzione di visitare il martoriato Paese entro fine anno

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ATTUALITÀ testo e foto di Antonella Palmieri

«Ho ucciso in nome di Allah» LA SCONVOLGENTE TESTIMONIANZA DI UN GIOVANE ARRUOLATOSI TRA I MILIZIANI SHABAAB CHE SEMINANO IL TERRORE Ali, 29 anni, in un quartiere islamico di Nairobi. Per un anno ha ucciso decine di civili con i miliziani Shabaab. Lo scorso 2 aprile gli jihadisti somali hanno attaccato l’Università di Garissa, in Kenya, massacrando 147 studenti cristiani

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Il keniano Ali è un ex terrorista. Per un anno, assieme agli islamisti somali, ha massacrato adulti e bambini. Travolto dall’orrore, è fuggito. Ora lavora con i ragazzi emarginati di Nairobi. Per impedire che altri si convertano alla violenza «Ho deciso di fuggire dopo aver visto decine di bambini morti, il loro sangue. E le madri che urlavano, straziate. Dopo ciò che avevamo fatto, ho iniziato a piangere. Mi sono dovuto nascondere perché gli Shabaab non accettano che tu pianga, specialmente di fronte ai cadaveri. Se vedono le tue lacrime, ti uccidono. È quella notte che ho deciso di scappare». Le parole di Ali (il nome è di fantasia, ndr) arrivano attutite dalla kefiah che gli copre il volto davanti all’obiettivo. Ali è stato un terrorista. Racconta la sua storia sul tetto di un vecchio palazzo, nel quartiere musulmano di Nairobi. Parla senza sosta, muovendo mani rugose come la sua voce. Ha 29 anni, ma ne dimostra dieci di più, come se a ogni omicidio commesso avesse perso anche lui un po’ di vita. Ali ha ucciso con gli Shabaab in Somalia, un gruppo affiliato ad al-Qaida che da anni cerca di allargare il suo potere e d’imporre la sharia, la legge islamica. Ha ucciso in uno Stato che non era il suo, in una guerra che non gli apparteneva. Come non appartiene alle migliaia di giovani keniani reclutati negli ultimi anni come

kamikaze o assassini negli assalti casa per casa in Somalia, Kenya e Uganda. Paesi, questi ultimi, che dal 2011 hanno mandato truppe in Somalia per «pacificare» la regione, sconfiggere gli Shabaab e restituire molti territori al governo di Mogadiscio. Lavaggio del cervello Ali, keniano di origini cattoliche, comincia a frequentare la moschea all’età di vent’anni. «Lì ci davano da mangiare, un tetto, dei vestiti». Inizia a studiare arabo e il Corano in una scuola islamica di Eastleight, un quartiere di Nairobi ribattezzato “Little Mogadiscio”, dove i muezzin scandiscono le ore della giornata e le donne ondeggiano nei loro lunghi e colorati jilbab che lasciano scoperto solo il volto. Un giorno gli dicono che deve andare a Mombasa, sulla costa, dove lo aspettano altri mesi di studio. Qui viene arruolato dai miliziani jihadisti di al-Shabaab. «Un giorno mi hanno detto che ero pronto a guadagnare valore nel mio percorso di musulmano», ricorda. «Siamo andati a Mandera, al confine con la Somalia, e ci hanno bendati. Abbiamo passato ore su un ca-

mion, poi ci hanno tolto le bende ed eravamo in mezzo al deserto, in Somalia. Uomini armati ci sono venuti incontro, salutandoci. Da quel momento, quella è stata la mia famiglia». Una famiglia spietata, che tutti i giorni uccideva e assaltava villaggi per imporre la sua supremazia e reclutare ragazzini che in lacrime si univano al gruppo. «Ogni giorno ci parlavano della jihad, del paradiso che ci attendeva…», racconta Ali. «Ho pensato anch’io a diventare suicida. Quando vivi in quelle condizioni non pensi al futuro, alla famiglia. Pensi solo che potrai vedere il paradiso». Una sposa bambina Ma per quanto bravi si possa essere a uccidere, gli Shabaab non credono che tu possa essere un buon combattente se non hai moglie e almeno un figlio. «Se muori, ci deve essere qualcuno che porti avanti la jihad e ti vendichi», spiega. Una scia di sangue che passa di padre in figlio. Ad Ali è stata portata una bambi-

na. Non sapeva quanti anni avesse. La piccola diceva di averne nove, forse ne aveva qualcuno in più. Era figlia di uno Shabaab morto in battaglia. «È stata costretta a sposarmi – ammette Ali – e abbiamo avuto una bimba». Non è raro che nel campo ci siano donne. Sono mogli e figlie di combattenti: cucinano, lavano, ed educano le più piccole a essere brave mogli. «Una notte abbiamo attaccato un villaggio massacrando tutte le famiglie», racconta Ali. «È stato il momento in cui ho deciso di fuggire». Ha corso tutta la notte ed ha pagato un camionista perché lo nascondesse nel suo carico di carbone, ed è tornato in Kenya. Sono passati sette anni. Gli Shabaab continuano ad ammazzare. Ali è ancora musulmano, ma lavora nei quartieri islamici di Nairobi, fra quei giovani emarginati che potrebbero essere nuove leve per i teroristi. «Non abbiamo bisogno di fare la guerra, ma di vivere in nome dell’islam, che vuol dire pace».

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ATTUALITĂ€ di Steven Hogan

Operazione salvataggio Il veterinario sudafricano Marius Kruger assieme ad alcuni ranger del Kruger National Park, impegnati nello spostamento forzato di un esemplare di rinoceronte

Afp Photo/Stefan Heunis


IN SUDAFRICA SI TENTA DI SOTTRARRE GLI ULTIMI

I ranger sudafricani del Kruger National Park hanno l’ingrato compito di catturare le bestie in pericolo, che pesano anche tre tonnellate, per spostarle nelle zone più sicure della riserva. E non possono concedersi alcuno sbaglio

RINOCERONTI AL MASSACRO DEI BRACCONIERI

È una corsa contro il tempo, una guerra ad armi impari. Da una parte c’è Marius Kruger e la sua pattuglia di ranger sudafricani, equipaggiati con corde, fucili caricati con siringhe anestetizzanti. Dall’altra c’è la potente organizzazione criminale dei bracconieri, un’armata di uomini senza scrupoli, che può contare su risorse immense, visori notturni all’infrarosso, puntatori laser, elicotteri, carabine di precisione con proiettili di grosso calibro. Una battaglia persa I primi cercano di mettere in salvo i rinoceronti bianchi, spostando gli esemplari in pericolo nelle zone più sicure (ovvero maggiormente presidiate) del Kruger National Park. I secondi sono decisi a impossessarsi dei corni degli animali (usati in Estremo Oriente come afrodisiaci naturali o rimedi medicamentosi), per poi rivenderli a peso d’oro sul florido mercato clandestino. L’esito della battaglia lo chiariscono i numeri forniti dall’organizzazione Stop Rhino Poaching. Nel corso dell’ultimo anno in Sudafrica sono stati uccisi dai cacciatori di frodo 1.100 rinoceronti: almeno tre esemplari ogni giorno.

Sommandoli agli animali uccisi in Kenya, Namibia e Botswana, si arriva ad una cifra complessiva che sfiora le 1.500 unità, su una popolazione totale di circa 25.000 animali (20.000 rinoceronti bianchi e 5.000 neri). E la tendenza in corso fa ritenere che nel 2015 la mattanza avrà effetti ancor più pesanti. Business appetitoso La minaccia dei bracconieri cresce parallelamente al valore dei corni sul mercato nero, in ascesa costante, che ormai ha raggiunto prezzi esorbitanti: 95.000 dollari al chilo (più della cocaina, che in Italia viene venduta da 91.000 dollari al kg). Benché siano costituiti da un tessuto a base di comune cheratina (la stessa sostanza di cui sono fatte le nostre unghie e i nostri capelli), i corni sono richiestissimi nei Paesi del Sudest asiatico, soprattutto Vietnam e Cina, come ingredienti di miracolose cure per il cancro, l’impotenza, l’influenza o semplicemente i postumi da sbornia. Considerando il peso medio di ogni singolo corno, ogni rinoceronte può far guadagnare dai 750.000 al milione di dollari: un affare enorme che attira africa · numero 3 · 2015 17



Sudafrica e Namibia

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africa · numero 3 · 2015 19

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il tour operator che ha stoffa


ATTUALITÀ di Andrew Richmond

Guerra alle locuste

SPERIMENTATO IN MADAGASCAR UN CONGEGNO CHE CONTRASTA LA PERIODICA (E DEVASTANTE)

I colossali sciami di insetti sono un flagello conosciuto in Africa fin dall’antichità. A combatterli c’è una task force della Fao, che oggi dispone di una nuova arma L’ultima emergenza è scattata a gennaio in Madagascar. Miliardi di locuste hanno oscurato per settimane i cieli della grande isola dell’Oceano Indiano, distruggendo i campi e i pascoli da cui dipendeva l’economia di tredici milioni di persone. Il 70% delle colture e il 60% dei prati per il bestiame sono andati distrutti. «L’invasio-

22 africa · numero 3 · 2015 Bilal Tarabey/Afp

ne delle locuste è una piaga ricorrente in questa regione», spiega Dominique Burgeon, capo della task force della Fao incaricata di contrastare il fenomeno. «Quest’anno la calamità naturale è stata favorita da inusuali condizioni climatiche: temperature eccezionalmente elevate e venti costanti che soffiavano dal mare».

INVASIONE DELLE CAVALLETTE

Corsa contro il tempo Gli effetti si sono fatti sentire anche nella capitale Antananarivo, dove parchi e giardini sono stati presi d'assalto dalle cavallette mangiatrici. Ma è soprattutto nelle campagne che il loro passaggio ha seminato devastazione e disperazione. «Uno sciame esteso fino a dieci chilometri quadrati è in grado di consu-

mare in un solo giorno la stessa quantità di cibo che potrebbe sfamare circa 35.000 persone», fa presente Burgeon. Per combattere e prevenire la piaga delle locuste, l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura delle Nazioni Unite (Fao) ha istituito un’unità denominata Dlis (Desert Locust Information Service) che basa la sua at-



LO SCATT O

testo di Nadège Clerget - foto di Carl de Souza/Afp

TAMBURI DI GUERRA L’esibizione di un gruppo di percussionisti-danzatori burundesi. In questa piccola nazione incuneata nel cuore dell’Africa il suono dei tamburi annuncia tradizionalmente eventi importanti, come i funerali dei dignitari, i rituali di passaggio, le feste nazionali, le incoronazioni dei sovrani... E l’inizio delle guerre. La storia del Burundi è stata segnata – come il confinante Ruanda – da una lunga serie di colpi di Stato e scontri etnici tra Hutu (l’85% della popolazione) e Tutsi (il restante 15%). L’ultima sanguinosa guerra civile (1993-2003) provocò oltre 200.000 vittime. Oggi il Paese appare nuovamente come una polveriera che rischia di esplodere. Nella capitale Bujumbura sta montando la tensione in vista delle elezioni presidenziali che si terranno a giugno. Il presidente hutu Pierre Nkurunziza, al potere dal 2005, sta cercando di modificare la Costituzione per ottenere un terzo mandato. Nelle scorse settimane, le forze dell’ordine hanno represso dimostrazioni di protesta e incarcerato decine di dissidenti, lo scoppio di una granata ha ferito un leader dell’opposizione, mentre alcuni giornalisti hanno ricevuto minacce e intimidazioni. I vescovi burundesi hanno espresso preoccupazione per il deteriorarsi del clima politico e sociale.


africa 路 numero 3 路 2015 25


SOCIETÀ testo di Mehret Temesgen - foto di Eric Lafforgue

Chili di gloria Sfida tra colossi

26 africa · numero 3 · 2015


ETIOPIA, LE SPETTACOLARI IMMAGINI DELLA CERIMONIA CHE PREMIA IL PIÙ OBESO DEL POPOLO BODI

Ogni anno nella Valle dell’Omo si tiene un vero e proprio concorso per la pancia più grande. I giovani partecipanti, per ingrassare, si isolano per sei mesi, evitano qualsiasi attività fisica e s’ingozzano di latte e sangue di mucca C’è ancora un angolo di mondo dove le diete salutiste non hanno sortito alcun effetto. È una remota zona della Valle dell’Omo, alle estreme propaggini sud-occidentali dell’Etiopia, abitata da una piccola popolazione di origini nilo-sahariane: i Bodi (conosciuti anche come Me’en). Nel recente passato è capitato che giornali e tivù parlassero di questa regione a proposito di incombenti minacce di carestie e siccità. Ma nel reportage che qui pubblichiamo non troverete bimbi scheletrici e malnutriti. Al contrario: vedrete uomini dai fisici possenti e tondi. Visibilmente sovrappeso. Perché, per la tribù dei Bodi, grasso è bello! Sei mesi a rimpinzarsi Ogni anno, nel mese di giugno, si tiene un vero e proprio concorso per la pancia più grande. I partecipanti devono sottoporsi a un lungo ed estenuante “allenamento” quotidia◀ Gli uomini più corpulenti del popolo bodi si radunano per l’annuale gara dei “chili in eccesso” che si tiene nel mese di giugno. A partecipare sono i giovani della tribù che, per ingrassare, si isolano per circa sei mesi ingozzandosi di sangue di mucca e latte

no che prevede una dieta ferrea a suon di sangue bovino e latte vaccino, e assoluta assenza di movimento. Il vincitore conquista rispetto e prestigio assoluto e viene incoronato con la festa per il nuovo anno, nota col nome di Ka’el. Questo curioso rituale ha origini ignote e antichissime. È un evento praticamente sconosciuto in Occidente poiché si svolge lontano dai circuiti turistici, in una zona priva di strade e piuttosto insicura. Il fotografo francese Eric Lafforgue non si è fatto scoraggiare dalle difficoltà ed è riuscito a farsi trovare con la sua reflex nel posto giusto al momento giusto. Le eccezionali immagini che vedete in queste pagine immortalano l’insolito rituale. Il concorso, dicevamo, ha inizio sei mesi prima della cerimonia. A ogni famiglia è permesso presentare un solo uomo non sposato per la sfida, che, dopo essere stato scelto, si ritira nella sua capanna e non può muoversi o fare sesso per i sei mesi successivi. «I concorrenti devono pensare solo a mettere su chili di troppo. Dall’alba al tramonto ingurgitano quantità impressionanti di sangue di vacca e latafrica · numero 3 · 2015 27



SOCIETÀ di Tayeb Salman

Nato per volare Un ragazzo di ventitré anni che vive nella malandata capitale del Sud Sudan si è costruito da solo un aereo nel cortile di casa. Guadagnandosi così un posto di lavoro nell’aeronautica È stato costretto ad abbandonare gli studi, ma non ha rinunciato alle sue ambizioni. «Sognavo di volare fin da bambino», confessa. «Un giorno, all’età di dieci anni, sono salito su una terrazza con un paio di ali realizzate con due bastoni e una tenda. Ero convinto di poter spiccare il volo come un uccello… Finii per massacrarmi a terra, rompendomi una gamba». Oggi George Mel è un ragazzo di 23 anni e vive a Juba, la capitale del Sud Sudan. Aspira a diventare il più giovane aviere della più giovane nazione africana. «Cinque anni fa mi sono diplomato col massimo dei voti in Uganda», racconta. «Volevo studiare alla facoltà d’Ingegneria aereonautica, ma la prematura morte di mio padre mi ha obbligato a tornare in patria per prendermi cura della famiglia». Tra un mestiere e l’altro ha trovato il tempo di coltivare la sua passione. «Ho letto decine di libri e articoli via internet. Un giorno mi sono messo in testa

di costruire un piccolo velivolo». Ha cominciato a recuperare pezzi di vecchi motori, tubi di alluminio, legni e brandelli di tessuto. Per due anni ha lavorato senza sosta nel suo cortile, trasformato in officina a cielo aperto. Nemmeno la guerra civile, scoppiata a fine 2013, lo ha fermato. Mentre altri usavano i kalashnikov, lui ci dava dentro con martelli, seghe e lime. Amici e parenti gli davano del pazzo. Non si è fatto scoraggiare. Lo scorso febbraio è riuscito a mettere in moto il suo gio-

iello, o meglio, a far girare le eliche. «Sto attendendo il permesso per farlo sollevare da terra», spiega. «Le autorità dicono che il mio ultraleggero non ha le certificazioni previste». Vero. Ma alcuni ufficiali dell’aeronautica, rimasti colpiti da tanta intraprendenza e passione, gli hanno offerto un posto di lavoro: nel reparto progettazione della Sud Sudan Air Force. Ora George spera in una borsa di studio che gli permetta di laurearsi all’estero in Ingegneria aeronautica. «Nel

frattempo sto progettando un drone che possa aiutare i contadini nella cura delle piantagioni», confessa. Non è interessato agli usi militari. «Il mio Paese ha troppo sofferto per la guerra, ora è tempo di lavorare per la pace». E il cielo è fatto per far volare i sogni.

▼ George Mel nella sua casa-officina dove ha costruito con le proprie mani un aereo ultraleggero in grado di volare (in alto, il prototipo pronto al decollo)

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SOCIETÀ di Marco Trovato

Avventure nello spazio

IN UGANDA LA PASSIONE PER L’ASTRONOMIA SI COLTIVA IN GIARDINO, TRA NAVICELLE ARTIGIANALI E SIMULAZIONI DI VOLO STELLARI

Anne Ackermann /Agentur-Luz



La navetta spaziale African Skyhawk, in fase di costruzione nel giardino della casa di Chris Nsamba. È possibile seguire i progressi del suo programma di ricerca spaziale, ed eventualmente sostenerlo a distanza. Info: ugandanway.com

Michele Sibiloni/Afp

grado di sollevarsi da terra. «Per il momento è solo un prototipo in legno», chiarisce il capo progetto. «Ma entro due anni sarà in grado di volare tra le stelle». In attesa di recuperare i soldi necessari per sviluppare le schede elettroniche

e recuperare il reattore, si va avanti con le rifiniture. «C’è poco da ridere» Attorno al velivolo – tra mucchi di ferro, cataste di legni e matasse di fili elettrici – trafficano una dozzina di uomini arma-

ti di spazzole, pennelli e cartavetrata. Sono amici, parenti, colleghi, vicini di casa di Nsamba, tutti arruolati nel programma di ricerca spaziale che punta a portare l’Uganda sulla Luna. «Abbiamo lanciato nel web una campagna di

raccolta fondi per finanziare il nostro progetto», raccontano. Sono arrivate circa seicento donazioni, tutte da gente comune: persino da Europa e Stati Uniti. Una parte dei soldi è servita a realizzare una micro-navicella in grado di volare e trasmettere immagini a lunga distanza. Presto verrà lanciato in cielo un pallone sonda per lo studio dell'atmosfera. Intanto gli aspiranti astronauti si addestrano. Per imparare a manovrare la loro astronave si esercitano sul computer con un videogioco di avventure spaziali. «Tutto questo può far sorridere, ma è dannatamente serio: vi stupiremo», promette Nsamba guardando la volta celeste. Nella notte di Kampala la Luna sem sembra più vicina.

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Dolci soddisfazioni Un’imprenditrice della Tanzania è diventata la Regina africana del gelato. E in Ruanda una cooperativa di donne ha iniziato a vendere cornetti e coppette

Mercy Kitomari è stata incoronata dalla Bbc Regina africana del gelato. La sua giovane azienda, Nelwa’s Gelato, con sede a Sinza, vicino a Dar es Salaam, sta diffondendo in Tanzania la passione per cornetti e coppette. «Produciamo gusti per tutti i palati: cioccolato, fragola, nocciola, ma anche vaniglia francese, espresso, crema di cocco, papaia e amaretto, mango…», racconta l’imprenditrice, oggi quarantenne, che fin da piccola sognava di creare e vendere sorbetti. «Sono sempre stata golosa e appassionata di dolci freddi, ma ho dovuto lotta-

re a lungo per affermarmi nel lavoro. In Africa, una donna che ambisce a mettersi in affari deve combattere contro i pregiudizi». Dalla Tanzania al confinante Ruanda, la storia non cambia: anche in questo piccolo Paese il gelato è in mano alle donne. Nella città di Butare una cooperativa femminile ha aperto la prima gelateria del Paese. «L’abbiamo chiamata Inzozi Nziza, che nella nostra lingua significa “Dolci sogni”», spiega Odile Gakire Katese, detta Kiki. «Per un anno abbiamo seguito lezioni di management, contabilità,

▲ Produttori di cacao biologico in Ghana: ingrediente usato per il gelato al cioccolato ◀ Mercy Kitomari, produttrice tanzaniana di gelati

marketing, controllo qualità, assistenza e cortesia nei confronti dei clienti». Il tirocinio ha dato ottimi risultati. A distanza di tre anni dall'inaugurazione,

gli affari del piccolo ice cream shop di Butare sono decollati. E l'iniziativa sarà presto replicata ad Haiti. Info: bluemarbledreams.org

IL MAGNUM? NASCE IN GHANA È uno dei gelati più conosciuti e amati al mondo. Prodotto in vari gusti e versioni dal 1989 dalla multinazionale Unilever, il Magnum deve la sua fortuna allo strato di gustoso cioccolato che lo ricopre. E il cacao biologico con cui è realizzato proviene dal Ghana (secondo produttore al mondo di cacao dopo la Costa d'Avorio). A fornire il prezioso ingrediente sono 450 cooperative e piccole aziende ghanesi della regione attorno ad Assin Fosu che, con l’aiuto della ong Rainforest Alliance, hanno creato un sistema produttivo certificato: perché tutela l’ambiente e i contadini che lavorano nelle piantagioni.

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SOCIETÀ di Lourenço Correia

Sapori pregiati... L’Africa sarà protagonista all’Expo dedicata al cibo che si apre in questi giorni a Milano. Ecco un panorama di alimenti, spezie e bevande caratteristici Datteri della Tunisia

I Deglet Nour coltivati nelle oasi tunisine sono la miglior varietà di dattero. Dolci e deliziosi, con un tipico gusto caramellato, sono ricchi di potassio e contengono grandi quantità di niacina per il buonumore. Caffè d’Etiopia L’altopiano etiope è la culla del caffè e, dunque, questa è l’unica regione al mondo in cui si trovano piante allo stato selvatico. Ogni famiglia, da millenni, tosta le sue ciliegie, le pesta nel mortaio e prepara una miscela di qualità eccelsa.

Cacao di São Tomé e Príncipe Importato dal Brasile nel 1882 per opera dei portoghesi e diffuso nell’arcipelago da scimmie golose dei suoi semi, il cacao di São Tomé ha un aroma unico, che oggi produce uno dei più rinomati cioccolati al mondo.

Vaniglia del Madagascar È una delle spezie più preziose al mondo e quasi l’80% della produzione

mondiale viene dal Madagascar. L’aroma della vaniglia, dolce ed avvolgente, è apprezzato sia in cucina che in cosmesi. Cipolle del Mali Sull’altopiano di Bandiagara, il popolo dogon produce da secoli una particolare varietà di scalogno, richiestissima nei mercati dell’Africa occidentale, dolce e tenera, ideale per ottenere sughi gustosi.

Bottarga della Mauritania Gli Imraguen sono pescatori nomadi che seguono i movimenti dei grandi banchi di cefali dorati. Con le loro uova, che vengono salate e fatte essiccare naturalmente, le donne

L’AFRICA A EXPO 2015

preparano una bottarga impareggiabile. Tè rosso del Sudafrica

Il Rooibos è una pianta spontanea del Sudafrica, dalle cui foglie si ricava una bevanda rossa molto dissetante, ricca di antiossidanti che contrastano l’invecchiamento e le malattie cardiovascolari. Miele selvatico del Congo In cima agli alberi secolari della foresta pluviale le api selvatiche producono miele di eccellente qualità. I pigmei si arrampica-

“Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” è il Tema al centro dell’Esposizione Universale che Milano ospiterà dal 1° maggio al 31 ottobre 2015. Le nazioni africane presenti (con alcune clamorose assenze, come quella del Sudafrica): Algeria, Angola, Benin, Burundi, Camerun, Capo Verde, Congo, Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea, Gabon, Gambia, Ghana, Guinea-Bissau, Guinea Equatoriale, Kenya, Liberia, Libia, Madagascar, Mali, Marocco, Mauritania, Mozambico, Niger, Nigeria, Repubblica democratica del Congo, Ruanda, São Tomé e Príncipe, Senegal, Sierra Leone, Sudan, Togo, Tunisia, Uganda, Zambia e Zimbabwe. www. expo2015.org 36 africa · numero 3 · 2015



SOCIETÀ testo di Alberto Salza - foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero

Poesia di fango

DALLA MAURITANIA AL CAMERUN, DAL MALI AL GHANA, VIAGGIO TRA LE PIÙ SPETTACOLARI ARCHITETTURE IN TERRA CRUDA DELL’AFRICA


I popoli che vivono ai confini con il Sahara hanno imparato a modellare il fango per costruire edifici dalle forme dolci e audaci. Le loro case e moschee sono il risultato di tecniche di progettazione straordinariamente ingegnose Gli archivi di Koulouba, in Mali, narrano di sette isolotti in mezzo al fiume Niger. Un giorno, su di essi volò il corvo, “colui che predice il futuro”. Tra le zampe aveva un po’ di fango, che lasciò cadere al centro degli isolotti: la popolazione locale capì che quel luogo era importante e doveva essere abitato. Dopo un mese di interminabili diatribe (in Africa le decisioni vanno prese all’unanimità e chi non è d’accordo è convinto per sfinimento), si innalzarono i primi muri in terra cruda di quella che sarebbe divenuta la città di Djenné, parola che evoca il paradiso coranico al-Djana. Boubakar Yaro, uomo di antiche cronache e capomastro, mi narrò che, a

un certo punto, i muri si sgretolarono. I sacerdoti decretarono che bisognava ricostruirli attorno al corpo di una fanciulla, Tapama, di Djiray, un villaggio di pescatori bozo a sette chilometri da Djenné. Così si fece, ma ogni volta che i muratori arrivavano con i mattoni all’altezza del collo di Tapama, la vergine scuoteva il corpo, e i muri si abbassavano. Furono i genitori a minacciarla: ella, così, restò calma. Fino a che scomparve dentro la terra cruda, vicino alla porta di Fonou Katamé. Forse è per questo che le superfici in terra cruda sembrano pelle umana. Manutenzione continua La materia di cui è costituita Djenné è il banco, un

impasto di fango, paglia tritata, burro di karité e/o un tocco di sterco vaccino. Il tutto va impastato con i piedi, in una festosa attività famigliare di cui i bambini sono protagonisti. Poi si fanno informi mattoni asciugati al sole (ferey). Le case si costruiscono mettendo il banco a spirale, come per fare un vaso di terracotta. Questo è un ricordo degli antenati, genealogia dopo genealogia: la doppia elica dell’evoluzione genetica. Con questa materia, che ricorda la mano di Dio nella creazione dell’uomo, i muratori del Sudan (in arabo significa “il Paese dei neri” e qui viene usato per indicare la fascia subsahariana occidentale) hanno edificato case e moschee, eretto cortili e bastioni, inserito simboli e decorazioni di trine e balaustre. Si tratta, però, di labile materia. Ogni anno, dopo le piogge, tutte le abitazioni devono subire il crépissage, un’operazione di ristrutturazione delle crepe e reintonacatura delle superfici con banco fresco. A furia

di intonacature, nel tempo le dimensioni degli edifici aumentano e le forme si arrotondano, un po’ come avviene per il pannicolo adiposo delle donne. Un muratore di Timbuctù ha affermato: «Spalmare l’intonaco è come carezzare una donna. D’altra parte, le donne sono come una casa: la magione dei figli». Forme bisex L’architettura sudanese delle case ha forme semplici, austere: è composta di cubi e linee rette, come si confà a chi vuole dare ordine a un panorama caotico. Negli edifici sociali, però, gli architetti della terra cruda esplodono negli arditi pinnacoli delle straordinarie moschee, o nelle trine decorative dei saho, le case collettive dei giovani, dove maschi e femmine adolescenti sperimentano l’amore, liberi dai vincoli famigliari e religiosi. Questa architettura è bisex: se sono uomini i muratori e i capomastri, alle donne sono delegate la manutenzione e la decorazione. Questo è il motivo per cui

◀ Una tipica casa “a obice” nel Nord del Camerun: un bell'esempio di architettura in terra cruda. I muri di queste case sono molto più spessi alla base che in cima per migliorarne la stabilità, conferendo loro la forma allungata. La loro superficie esterna presenta dei gradoni che potrebbero essere scambiati per semplici decorazioni, ma in realtà servono per due motivi: raggiungere la cima dell’edificio durante la sua manutenzione e canalizzare le acque piovane ▶ L’inconfondibile sagoma della moschea di Djinguereiber a Timbuctù, nel nord del Mali. interamente costruita di fango e legno africa · numero 3 · 2015 39



Una donna impegnata a ravvivare l'intonaco di un'abitazione nel villaggio reale a Tiébélé, al confine tra il Burkina Faso e il Ghana. Le architetture in terra disseminate in questa regione sono famose per la loro raffinata bellezza. Il merito è delle donne di etnia gurunsi e kassena, che amano trasformare le loro case in veri e propri monumenti alla creatività

Un tuareg nei corridoi della tomba/moschea degli imperatori Askya a Gao, in Mali

un vecchio mi spiegò l’arcano: «Quando un uomo e la sua sposa si uniscono nel privato della camera, nasce un figlio. La sua anima, allora, esce attraverso il buco del tetto, e va da Dio. Dio ha tutte le parole e le copie di quel che si crea nel mondo, poiché tutto è doppio. Dio controlla il bambino,

affinché sia copia conforme a quella in cielo. Se tutto è in ordine, rimanda il concepito nel ventre della madre, sempre attraverso il buco. Niente buco, niente figli. Niente figli, niente Dogon». Gli esperti riaprirono il buco sul tetto: tanto era fatto di semplice terra cruda.

RITORNO AL PASSATO Dopo una decennio di corsa alla modernità, in Mali e Burkina Faso sta emergendo la tendenza a costruire le case con i metodi e i materiali della tradizione. È un ritorno al passato dovuto a questioni economiche e funzionali. La case in fango costano molto meno, sono naturalmente fresche e non richiedono l’uso di condizionatori. E lo stile nubiano, importato dal Sudan, con i tipici tetti a cupola, permette di evitare l’utilizzo di tronchi d’albero, con un evidente vantaggio per l’ambente. Le antiche tecniche di costruzione vengono insegnate ai muratori locali dagli esperti dell’Associazione La Voûte Nubienne, una organizzazione internazionale non governativa che sta promuovendo questo stile architettonico in diversi Paesi del Sahel. www.lavoutenubienne.org

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SOCIETÀ testo e foto di Marco Trovato

Film sotto le stelle

BURKINA FASO, LE PROIEZIONI ALL’APERTO DEL CINÉMA NUMÉRIQUE AMBULANT

La proiezione en plein air del Cinema Ambulante nel villaggio di Toécé, durante una recente tournée finalizzata a far conoscere alla popolazione i maggiori registi burkinabé

48 africa · numero 3 · 2015


Un videoproiettore, un piccolo generatore, un paio di casse acustiche, un telo bianco per lo schermo… Nel bel mezzo della savana si accende la magia del cinema

L’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Pochi istanti prima di partire per Kokologho, località situata a una cinquantina di chilometri dalla capitale, il volto di Wend-Lassida Ouédraogo, 32 anni, responsabile del Cinéma numérique ambulant (Cna), si contorce in una smorfia di sconforto. «Questo dannato dvd si blocca un’altra volta», impreca contro il videolettore. «Siamo costretti a cambiare programma: stasera faremo vedere un altro film». Normali disavventure Era prevista una commedia burkinabé divertente e leggera, si ripiega sul genere drammatico: Coeur de lion (Cuore di leone), del regista Boubakar Diallo. Poco male. Per chi vive nelle savane del Burkina Faso, lontano dalle sale cinematografiche della capitale Ouagadougou,

la proiezione di un film, qualunque esso sia, è sempre un grande evento. A prescindere dal titolo in programmazione, l’arrivo del Cinema ambulante è salutato dalla popolazione con entusiasmo. «La gente ci attende con trepidazione per mesi», dice Lionel Kafando, autista e tecnico tuttofare. «Io devo preoccuparmi di far arrivare a destinazione l’attrezzatura per la proiezione». Le disavventure possono sempre capitare, quando si deve raggiungere località isolate. «Talvolta dobbiamo spingere l’auto insabbiata, guadare torrenti gonfiati dai temporali, rianimare il motore collassato in pieno deserto». E anche quando si arriva a destinazione c’è spesso qualche brutta sorpresa. Un lavoro speciale A Kokologho, per esempio, il magazziniere del comu-

LA CRISI DEI BOTTEGHINI Ouagadougou ospita ogni due anni il Fespaco, il più importante film-festival d’Africa (l’ultima edizione si è tenuta lo scorso marzo). Tuttavia la passione per il grande schermo oggi appare un po’ appannata. Negli anni Novanta in Burkina esistevano cinquantacinque sale cinematografiche; oggi ne restano aperte undici. Il boom del mercato dei dvd, la pirateria, la crisi della produzione locale e i costi eccessivi della distribuzione (che si ripercuotono sui prezzi dei biglietti) sono tutte cause che hanno contribuito a svuotare le platee. Il pubblico si è dimezzato rispetto a quindici anni fa. A Ouagadougou (un milione e mezzo di abitanti) resistono quattro sale e la loro programmazione, sempre più rarefatta, in genere propone film d’azione americani e sceneggiati nigeriani o indiani. Mentre i registi burkinabé – celebrati nei circoli d’essai in Europa e Stati Uniti – devono affidarsi al Cinema Ambulante per farsi conoscere in patria.

ne si è reso irreperibile e allo staff tocca girare per oltre un’ora di casa in casa alla ricerca di un tavolino su cui poter poggiare il proiettore e il mixer. Alla fine una donna si offre di prestare il tavolo della sua cucina. «La prima regola che impari lavorando

al Cna è che bisogna essere pronti a gestire ogni genere di inconveniente e contrattempo», dice con aria più divertita che scocciata Karim Kaboré, giovane animatore, mentre inizia a montare il grande telo bianco in mezzo ad una radura ingiallita. «È

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Storie di adozioni

CHILI DI GLORIA Missione di pace BURUNDI

MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

I PRINCIPI DELLA RIFT VALLE

a scelta di cortometraggi di registi africani dal catalogo COE

SUDAFRICA

TORNA MADIBA

LA REGINA DELLA TV

Ti aspettiamo al Festival Center (MM Porta Venezia), da martedì 5 a domenica 10 maggio (ore 17-20)

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AFRICA FRICA

MISSIONE • CULTURA

Il Festival è promosso e organizzato da Associazione Centro Orientamento Educativo www.coeweb.org


SOCIETÀ testo di Anita Powell - foto di Daniele Tamagni

I maghi della bellezza

TRUCCO, PARRUCCO E MANICURE: IN SUDAFRICA GLI UOMINI SI PRENDONO CURA DEL LOOK FEMMINILE


Le donne sudafricane si affidano con sempre più frequenza e convinzione alle abili mani di parrucchieri, estetisti e massaggiatori di sesso maschile. Cade un altro tabù

«Ah», dice il guardiano di un anonimo stabile a Soweto, «è qui per vedere il medico della pelle... Da quella parte». Una scala buia conduce al centro benessere del dottor Ndlovu. Le pareti all’interno sono verdi, in sottofondo si sente musica new age. Una signora di mezza età è sdraiata su un lettino. Ha gli occhi chiusi, le mani incrociate sul petto, sembra apprezzare il massaggio che il dottore sta effettuando sul suo viso cosparso di una crema bianca. «Starei su questo lettino tutto il giorno», sospira la donna. «Non c’è nulla di più piacevole e rilassante che farsi coccolare da un uomo con le mani fatate». Più forte dei pregiudizi Il dottore Ndlovu – massaggiatore, estetista, terapista del benessere – è una celebrità a Soweto: centinaia di donne si affidano a lui per sottoporsi a trattamenti e cure che in breve tempo permettono di recuperare la perfetta ◀ La disoccupazione al 25 per cento spinge i sudafricani a fare qualsiasi tipo di lavoro. Anche quelli tradizionalmente femminili. Ma i primi professionisti del settore del beauty sono stati dei giovani immigrati provenienti da Zimbabwe e Nigeria

forma fisica. È stato il primo uomo a irrompere in un settore – quello del benessere – dominato dalla presenza femminile. «Mia madre faceva questo lavoro e mi ha trasmesso la passione», chiarisce Ndlovu. «Alla scuola per estetisti ero l’unico maschio. Venivo additato con risolini e battute». Nel 2005 si è diplomato con il massimo dei voti all’Istituto Face Beauty & Make-up di Johannesburg, ma non ha trovato subito lavoro. «Nessun centro di bellezza voleva assumermi, perché sono un uomo. Così sono stato costretto ad aprire uno studio tutto mio». In poco tempo ha riscosso una popolarità insperata e il suo successo è stato di stimolo per altri uomini... La fabbrica del beauty Sono giovani sudafricani, ma anche tanti immigrati provenienti da Zimbabwe, Zambia, Nigeria. Nella città di Tshwane, l’ex Pretoria, c’è un edificio, il Marina House, che ospita forse il più grande salone di bellezza del Sudafrica. All’interno lavorano decine di estetisti di sesso maschile. Quelli che un tempo erano degli anonimi uffici sono stati trasformati in saloni multicolori pieni di spec-

chi, luci, lavandini e poltrone in pelle. Le stanze sono affollate. L’aria è impregnata di spray, smalti, creme e solventi. Una fila di uomini dall’aria concentrata armeggia coi ferri del mestiere per effettuare la manicure a gruppi di donne, sedute una accanto all’altra, che chiacchierano rumorosamente tra di loro. Kay Oguntuyi, 36 anni, è uno dei massimi esperti di make-up femminile. «Ho imparato facendo la gavetta nel mio quartiere. Le prime clienti erano amiche, parenti, vicine di casa. Ho scoperto di avere talento e passione per questo mestiere. Mi piace valorizzare la bellezza delle donne». Esperti di seduzione Nel reparto “pedicure” è tutto un trafficare caotico di lame, forbicine, smalti e unguenti profumati. Un estetista dall’aria severa indica le mie unghie consumate. «Vuoi che ti aiuti

a risolvere questo problema?», propone senza temere di offendere. «Posso trasformare le tue mani da casalinga in quelle di una regina», aggiunge mostrando un vasto catalogo fotografico con centinaia di opzioni. I parrucchieri sono impegnati a scolpire con spazzole e fon le capigliature più alla moda. Altri trafficano con extensions, ciocche di capelli sintetici, lunghe ciglia finte. Si lavora a ritmi serrati: le sale d’attesa scoppiano di donne impazienti. Un suo collega, Kelvin Mazongo, 25 anni, originario dello Zimbabwe, ha studiato economia, ma ben presto si è ritrovato con forbici e spazzole in mano. «Adoro il mestiere di coiffeur... Le clienti ci adorano perché conosciamo i gusti estetici degli uomini. Siamo i maghi della bellezza e della seduzione». Non mi resta che affidarmi alle sue mani. africa · numero 3 · 2015 53


SOCIETĂ€ testo e foto di Alain Buu/Orizon/LightMediation

Pesca miracolosa nel lago sacro


L’ANNUALE ASSALTO AL PESCOSISSIMO LAGO ANTOGO NEL NORD DEL MALI

Nel Nord del Mali, ogni primavera, migliaia di uomini di etnia dogon si danno appuntamento sulle rive di un lago sacro… le cui generose acque possono essere saccheggiate un solo giorno all’anno Il caldo è soffocante, il terreno rovente, le capanne che punteggiano la savana sono un miraggio scintillante. Il lago Antogo, uno specchio d’acqua grande poco più di uno stagno, situato in Mali nella regione Dogon, è pronto per rinnovare il miracolo dei pesci. La conferma è arrivata dai vecchi saggi che hanno ottenuto le risposte inequivocabili dopo aver scrutato il cielo, esaminato le viscere di una capra sacrificata, gettato per terra una manciata di ossa e conchiglie. Gli spiriti degli antenati hanno fornito il loro assenso. Ma la decisione finale è stata presa solo dopo aver perlustrato il lago fangoso. Siamo al culmine della stagione secca e il livello dell’acqua arriva al massimo fino alla cintola di un uomo: l’altezza giusta per dare inizio alla grande pesca.

◀ Il momento dell’assalto alle acque del lago Antogo. L’annuale pesca dei Dogon si svolge al culmine della stagione secca, in genere nel mese di aprile (il giorno esatto è deciso dal consiglio degli anziani in base al livello delle acque)

Una scoperta leggendaria I Dogon sparsi nella regione sono già stati avvisati. A decine si stanno radunando nel vicino villaggio di Bamba. È un appuntamento imperdibile, che si rinnova ogni anno da molti secoli. La leggenda narra che nell’antichità una giovane donna originaria di Bamba, Yabougo Sourgou, scoprì per caso l’esistenza di questo prodigioso stagno mentre camminava nella savana, diretta al villaggio di Yanda dove viveva sua sorella. Giunta a destinazione, raccontò alla sorella la sua scoperta e ben presto il marito di lei – un tipo perfido e bramoso di ricchezza – si precipitò sul posto per impadronirsi di quella laguna miracolosa nelle cui acque fangose sguazzava una moltitudine impressionante di pesci gatto. Quando il padre di Yabougo venne a conoscenza del fatto andò su tutte le furie: quel genero avido e disonesto doveva essere punito. Tra i villaggi di Bamba e Yanda scoppiò una guerra feroce. La savana e l’acqua dello stagno si tinsero del colore rosso del sangue. Alla fine gli abitanti di Bamba ebbero la meglio conquistando lo stagno. africa · numero 3 · 2015 55



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SOCIETÀ/MUSICA di Claudio Agostoni

L'Africa di Lorenzo

INTERVISTA A JOVANOTTI: «ECCO PERCHÉ MI CIRCONDO DI MUSICISTI AFRICANI»

Jovanotti, 49 anni, durante un concerto. Il suo ultimo doppio disco contiene 30 canzoni con i generi più diversi, dal funk all'afrobeat, dal soul al rock, dalla samba al pop. Lo scorso aprile alcune dichiarazioni di Jovanotti sul tema del multiculturalismo hanno acceso un vivace confronto sul web con il leader della Lega Nord Matteo Salvini e il cantante rap Fedez. La discussione si è conclusa con Jovanotti che ha chiarito le sue affermazioni: “Il razzismo non è un'idea, ma una mostruosità”

60 africa · numero 23· 2015


Alla vigilia del tour estivo che lo porterà a esibirsi negli stadi di mezza Italia, il celebre “ragazzo fortunato” ci racconta il suo speciale rapporto con l’Africa... Lorenzo Jovanotti per anni è stato convinto che, come recitano da quelle parti, Foligno fosse «il centro du munnu». Da qualche disco a questa parte è però sempre più evidente che l’ombelico sonoro del mondo, per lui, è in Africa. Un discorso che vale anche per Lorenzo 2015cc, il suo ultimo lavoro. Musicalmente c’è dentro di tutto, ma è un disco con l’Africa nel cuore. Le collaborazioni ce lo ricordano con evidenza. E per chi avesse dei dubbi in Musica, il pezzo che esegue con Manu Dibango, canta: «Poi c’è questa cosa che mi carica e viene dall’Africa». Se gli citi Dibango si emoziona: «È un monumento, è favoloso. È un uomo intelligente, laureato in filosofia, un uomo che ha percorso la storia della musica del Novecento inventando la disco

music, quando fece uscire Soul Makossa: un brano che ha precorso i tempi. È un signore che ha un anno più del mio babbo: 81, ma è uno spirito molto più che giovane. Uno spirito bambino. È entrato in studio, c’era lì una marimba, lui l’ha vista e ha iniziato a suonarla. Poi ha fatto un assolo di sax e continuava a chiedere a me se andava bene. Eccezionale. A pensarci mi emoziono. Lui nel 1974 era a Kinsasha per il match del secolo, quello tra Muhammad Ali e Foreman. Ha suonato là dove è nato il mito di Ali Bumaye. È uno che ha percorso la dorsale africana come un leone…». Blues e migranti In quegli anni la musica africana aveva due corni e, se il primo si incarnava in Manu Dibango, il secondo si identificava con Fela

Kuti, l’inventore dell’afrobeat. «Purtroppo Fela non ho potuto convocarlo, ma ho voluto i suoi nipotini: gli Antibalas, la celebre band di afrobeat che vive a Brooklyn». Suoni di un’Africa del passato, ma c’è anche quella di oggi: «Io sono un grande appassionato della musica africana, vado a cercare le cose che non conosco». Oggi il musicista africano più gettonato è Bombino, musicista tuareg cultore dell’incrocio tra il blues dei baobab con quello dei cactus. Jovanotti non se l’è fatto scappare: «Nella sua chitarra africana ho trovato tutta l’America, il blues, Jimi Hendrix, persino i Dire Straits… Noi spesso associamo la musica africana al ritmo, in realtà è interessante per le poliritmie e per la dolcezza delle melodie. Bombino è uno che ti fa capire al volo questo concetto». Altro musicista con cui Jovanotti ha collaborato per il nuovo disco è il sudanese Gallab “Sinkane”, un turnista abituato a lavorare con artisti stellati. «Il suo

babbo era un diplomatico, e Sinkane quindi è cresciuto girando il mondo. Un grande talento, un timbro vocale unico, un approccio musicale strepitoso». Lorenzo, parlando d’Africa, si concede una nota autobiografica: «Mio nonno, ai tempi del cosiddetto impero, ha fatto per otto anni il camionista tra Massaua e Asmara. Con i soldi guadagnati in Africa tornò in Italia e comprò un negozio di giocattoli. L’Africa, quindi ce l’ho nel sangue». E non si esime dal citare, in una delle trenta canzoni di Lorenzo 2015cc, il dramma di chi lascia l’Africa cercando la fortuna attraversando il Mediterraneo su un barcone: «Il mio è un accenno doloroso, una domanda. È un modo per non nascondere la polvere sotto il tappeto. Quello dei barconi della speranza è un problema che ci riguarda. Non è solo un problema di chi parte. È anche un problema di chi semplicemente vive e ha un senso di appartenenza al genere umano…».

africa · numero 3 · 2015 61


SOCIETĂ€/SPORT di Raffaele Masto e Marco Trovato

Via col vento... sui pedali


LA NIGERIA NON È SOLO VIOLENZA E CORRUZIONE. A RICORDARCELO C’È UNA BELLA STORIA DI CICLISMO

Nella travagliata regione del Delta del Niger centinaia di giovani hanno scoperto la passione per la bicicletta e si allenano per tagliare traguardi ambiziosi. Le donne sono in prima fila: uno sfregio al fondamentalismo di Boko Haram La regione del Delta del Niger, cassaforte del petrolio nigeriano, è conosciuta nel mondo per la ventennale lotta dei guerriglieri del Mend contro le multinazionali petrolifere, accusate di sfruttare le ricchezze e devastare l’ambiente. Giornali e tivù ci raccontano periodicamente di sabotaggi di oleodotti, rapimenti di tecnici stranieri, attacchi armati a impianti di estrazione del greggio. Ma oggi a fare notizia sono dei giovani ciclisti che ambiscono a cambiare l’immagine di questo tormentato territorio. Spunto italiano Siamo venuti a Port Harcourt, capoluogo della regione, per incontrare questi corridori, sconosciuti al grande pubblico. A parlarci di loro è stato un nostro connaziona-

le che da molti anni vive in Nigeria: Giandomenico Massari, 60 anni, ingegnere, manager di una ditta di elettronica e grande appassionato di pedali. È stato lui a importare dall’Italia le prime biciclette da corsa che hanno acceso la passione per il ciclismo nel Delta. Oggi il suo Lifestyle Cycling Club, fondato solo sette anni fa, vanta un’ampia ◀ Tre cicliste a Port Harcourt. I loro successi sportivi hanno fatto crescere il pubblico di appassionati. L’ultima edizione del Niger Delta Tour è stata seguita da un milione e mezzo di spettatori entusiasti ▼ Biciclette professionali, magliette aderenti, caschetti protettivi, occhiali da sole a specchio. Agli atleti del Lifestyle Cycling Club di Port Harcourt non manca proprio nulla per sentirsi dei veri corridori: nemmeno la sete di vittoria

africa · numero 3 · 2015 63



toglie gli occhiali da sole e sfoggia un sorriso luminoso. «La bicicletta è una passione», dice. «Mi piace correre e, se arrivano anche i successi, meglio ancora», riferendosi alla recente prestigiosa vittoria ottenuta (assieme a Glory Odiase e Tombrapa Gripa) ai campionati africani svoltisi in Egitto.

ai campionati mondiali e portare a casa nuove medaglie». Il bronzo conquistato ai recenti campionati africani giovanili in Botswana è di buon auspicio. «Sentirete parlare ancora di loro», avverte Massari. I prossimi traguardi sono ambiziosi ma non impossibili. «Vogliamo organizzare il Pri-

mo Giro della Nigeria, che potrebbe diventare la più importante manifestazione ciclistica dell’Africa. E puntiamo a formare una squadra nazionale, maschile e femminile, per partecipare ai prossimi Giochi olimpici del Brasile 2016». La giovanissima Sylvia Odum ci crede: «Sto

allenandomi duramente ogni giorno per conquistare le Olimpiadi». Non vuole sprecare altro fiato coi giornalisti: deve pedalare, raggiungere le sue compagne che già sfrecciano sulla strada. Sorride come per scusarsi, inforca la sua bici e in un attimo vola via col vento.

L’Africa delle sorprese “Quelle di Eyoum Nganguè sono storie di successo e di modernità africana” Ferruccio de Bortoli – Corriere della Sera Compila e spedisci in busta chiusa, affrancando come lettera, a: SERMIS-EMI Editrice Missionaria Italiana - Via di Corticella 179/4 - 40128 Bologna Sì desidero ricevere i volumi sotto elencati con spedizione gratuita nelle seguenti quantità (in cifre): Capo di Buona Speranza €12,00 €10,80

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Sogni di gloria Se lei è già una campionessa, Mercy Williams è la futura promessa della squadra. Indossa un caschetto verde, maglietta gialla e pantaloncini neri. Le chiediamo quali sono le sue aspettative. Sorride imbarazzata, senza rispondere. Le viene in soccorso la sua amica; si chiama come lei, Mercy, ma di cognome fa Ajoku: «Vogliamo andare

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SOCIETĂ€/RELIGIONI testo di Gianfranco Belgrano - foto di Gabriele Casadei

L'oro bianco dei missionari MOZAMBICO, VISITA ALLE SALINE DI NOVA MAMBONE


Cinquant’anni fa un sacerdote friulano giunto in una delle regioni più povere del Mozambico ebbe l’idea di realizzare delle saline per sostenere la sua missione e la popolazione locale. Ecco cos’è accaduto Andare in Mozambico significa anche assaporare il profumo dell’Oceano Indiano. Significa fermarsi un attimo di fronte al sole che sorge e provare a immaginare la stessa terra secoli prima. Un esercizio che diventa imprescindibile se ci si trova a Nova Mambone, località situata all’estremo nord della regione di Inhambane, più vicina quindi a Beira, la “capitale del Centro”, che non a Maputo, capitale del Paese situata nell'estremo Sud. «La ricchezza «La ricchezza particolare di questo luogo sono le spettacolari saline, veri e propri forzieri di preziosissimo oro bianco», ci dice padre Gabriele Casadei, infaticabile missionario della Consolata, origini romagnole, arri-

◀ ▶ I lavoratori delle saline sono tutti assunti dalla missione con regolari contratti di lavoro, a loro vengono date attrezzature e stivali, e per chi non sa leggere e scrivere alcune ore alla settimana sono dedicate alla formazione scolastica. «Da sempre – sottolinea padre Gabriele – l’obiettivo è stato quello di coinvolgere la popolazione locale, che infatti sente le saline come proprie»

vato a Nova Mambone nel 2005 (da poco trasferitosi in un’altra missione). Intuizione geniale «Tutto cominciò quando qui in Mozambico c’erano ancora i colonizzatori portoghesi – racconta padre Gabriele – e dal Friuli giunse un giovane missionario, padre Amadio Marchiol, che a Matola, alle porte porte di Lourenço Marques, l'odierna Maputo, vide delle saline e cominciò a capirne il funzionamento». Il giovane Amadio – ora in una casa di riposo in Piemonte e qui da tutti ricordato come Amadeu – fu quindi inviato a Mambone, dove trovò una piccola località alla foce del fiume Save, che era povera, con poche risorse e carente di infrastrutture.

MOZAMBICO IN CIFRE Popolazione: 25 milioni Età media: 17 anni Aspettativa di vita: 52 anni Cattolici: 29% Musulmani: 18% Cristiani Zionisti: 16% Protestanti: 12% Culti tradizionali: 25% africa · numero 3 · 2015 69



UNA FIRMA per i Missionari d’Africa Con il 5 X 1000 fai arrivare

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COME FARE? È DAVVERO SEMPLICE: 1. Compila il modulo 730 oppure il CUD o il Modello Unico 2. Firma nel riquadro “Sostegno delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale...”

3. Indica il codice fiscale della Onlus Amici dei Padri Bianchi: 93036300163 BILANCIO 2014 ATTIVITÀ cassa conto corrente postale ccp buoni dematerializzati ccp - Chiasso (abbonati Svizzeri) Banca Cassa Rurale Paypall oneri pluriennali da ammortizzare Totale attività

€ 6.130,05 € 17.398,39 € 10.000,00 € 5.028,17 € 12.608,12 € 1.280,04 € 1.152,00 € 53.596,77

PASSIVITÀ debiti verso rivista Africa progetti 2014 patrimonio sociale avanzo di gestione anni precedenti avanzo di gestione bilancio 2014 Totale passività

€ 10.950,96 € 15.654,46 € 3.600,00 € 20.983,54 € 2.407,81 € 53.596,77

CONTO ECONOMICO 31/12/2014 A) VALORE DELLA PRODUZIONE donazioni ricevute sostegno rivista Africa Padri Bianchi per mostre Africa Padri Bianchi per Workshop Africa Totale valore produzione

€ 10.057,12 € 22.169,27 € 12.339,00 € 12.330,00 € 56.895,39

B ) COSTI DELLA PRODUZIONE cancelleria e mat. di consumo servizi e rappresentanza spese bancarie ammort. oneri pluriennali mostre costi di allestimento Workshop, costi di allestimento Spese vive per rivista Africa Totale costi produzione

€ 2.909,57 € 1.056,76 € 534,37 € 1.152,00 € 5.927,04 € 3.907,97 € 11.035,11 € 26.522,82

Differenza valore-costi produzione C ) PROVENTI E ONERI FINANZIARI interessi c/c banca 5x1000 – 2011– Agenzia entrate Totale proventi e oneri finanziari D ) AVANZO LORDO DI GESTIONE E) EROGAZIONI AFRICA E PADRI BIANCHI F ) AVANZO DI GESTIONE 2014 Risultato di gestione

€ 30.372,57 € 37,23 € 14.368,83 € 14.406,06 € 44.778,63 € 42.370,82 € 2.407,81 € 2.407,81

La Onlus Amici dei Padri Bianchi presenta il bilancio 2014 approvato dall’Assemblea Generale degli associati riunitasi il 21 marzo 2015. Di cuore ringrazia quanti l’hanno sostenuta, incoraggiata e aiutata africa · numero 3 · 2015 71

Tel. 0363 44726

africa@padribianchi.it

www.missionaridafrica.org


SOCIETÀ/RELIGIONI testo di Enrico Casale - foto di Marco Mensa/Ethnos

Shalom Asmara Settant’anni fa sull’altopiano eritreo vivevano centinaia di ebrei, scampati alle persecuzioni in Europa. Ma nel corso del tempo la sinagoga di Asmara si è svuotata. A pregare è rimasto un solo un fedele…

LA TRAVAGLIATA STORIA DELLA COMUNITÀ EBRAICA IN ERITREA Ogni giorno varca il grande portone e, in silenzio, si mette a pregare. Ma in quel luogo non incontra solo Dio. Sulle panche vuote rivede uno ad uno, amici, conoscenti e parenti. Ritrova la storia della sua comunità che, piano piano, è sparita. Lui si chiama Samuel (Sami) Cohen, ha 67 anni ed è l’ultimo ebreo di Asmara.

Gente in fuga È l’erede di una storia che affonda le radici nella cacciata degli ebrei dai possedimenti spagnoli nel 1492. Un piccolo gruppo di loro, invece di fuggire in Marocco, si diresse verso Livorno e Ancona, dove esistevano comunità ebraiche. Da questi porti intrecciarono relazioni commerciali con la spon-

PER APPROFONDIRE Marco Cavallarin e Marco Mensa sono autori di un libro dal titolo Ebrei in Eritrea (Lai-momo, 2004, pp. 36). Per richiedere una copia: mcavallarini@gmail.com

72 africa · numero 2 · 2015



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ATTENZIONE IN CAMERUN! A marzo nella rubrica “Viaggi” avete pubblicato un trafiletto dal titolo L’Africa in miniatura che invita a scoprire le bellezze naturali e culturali del Camerun. Ritengo opportuno ricordare però che le regioni nord-occidentali di questo Paese vanno sconsigliate per il pericolo connesso alla presenza dei terroristi di Boko Haram nella vicina Nigeria. Massimo Stroppa Brescia

Ruanda: un’opportunità per conoscere da vicino i progetti che la ong ha concluso in questi anni e quelli che sta tuttora portando avanti. Per coniugare relax e solidarietà. www.mlfm.it RONDINI IN NIGERIA Adoro le rondini e attendo ogni primavera il loro ritorno dall’Africa. Vi ringrazio per lo splendido servizio che mi ha svelato il rifugio nigeriano in cui vanno a svernare... Commovente! Alessandra Pardini Piacenza

VOLONTARIO IN RUANDA Il Movimento per la Lotta contro la Fame nel Mondo organizza dal 17 al 31 agosto un campo estivo in

TRIBÙ IN POSA Riguardo alla polemiche sul libro fotografico di Jimmy Nelson che ha ritratto i

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La prigione perfetta

n.4 luglio-agosto 2014

anno 92

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La nazione che non c’è Mozambico

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Le cure del frate-dottore

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popoli “a rischio scomparsa”, sono d’accordo con chi ritiene che si tratti di una scorretta operazione di immagine che enfatizza il “mito del buon selvaggio”. Masai, Pigmei e Tuareg non sono attrazioni museali, ma culture vive e dinamiche. Veronica Alberoni Milano Non trovo affatto scandalose né offensive le foto di Jimmy Nelson sulle culture tribali. Sono immagini spettacolari che celebrano la bellezza di quelle culture ancestrali, mostrando usi e costumi che rischiano di sparire. Salvatore Fondacaro Acireale (CT)

BOTTE DA ORBI? Sono rimasto senza parole leggendo l’articolo Pugni nel buio che racconta la storia del pugile cieco ugandese Ramadhan Bashir. Com’è possibile salire su un ring, impugnare dei guanti e sfidare un avversario senza vederlo? Chiunque finirebbe ko dopo pochi secondi... F. Mantegazza (mail) BIANCHI STRAMPALATI Ho sempre sospettato che gli afrikaner, sudafricani di pelle bianca, fossero tipi “scombinati”. Ma non pensavo fossero capaci di usare delle casse da morto come antifurto (articolo Bare contro i ladri) roba da matti! Stefania Morocutti (mail)


Un libro che lascia senza fiato. Una storia vera dalle terre di Boko Haram Sposa bambina a 12 anni, madre di sette figli. Condannata alla lapidazione dalla legge islamica per aver avuto un figlio fuori dal matrimonio. Salvata a un passo dalla morte grazie alla mobilitazione della società civile internazionale. Il dramma di una donna nigeriana che ha sconvolto il mondo. Una storia che torna prepotentemente d'attualità con il terrore di Boko Haram.

RAFFAELE MASTO

LAPIDATE SAFIYA

UNA STORIA VERA DALLE TERRE DI BOKO HARAM

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In omaggio con una donazione di almeno 10,00 euro a favore dell’attività missionaria dei Padri Bianchi

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

pp. 120, febbraio 2015

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africa · numero 3 · 2015 81

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