Africa 03 2016

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AFRICA N. 3 MAGGIO-GIUGNO 2016 - ANNO 95

RIVISTA BIMESTRALE

WWW.AFRICARIVISTA.IT

MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Burundi

Reportage da Bujumbura Mozambico

Maputo in bilico

Chiesa

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.

Boom di profeti?

UGANDA

ORGOGLIO E PREGIUDIZIO



Sommario COPERTINA 44 Uganda,

orgoglio e pregiudizio

ATTUALITÀ

AFRICA

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Prima Pagina Panorama

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MISSIONE • CULTURA

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Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) DIRETTORE RESPONSABILE

Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE

Marco Trovato

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Fabbriche di neonati

Burundi. Reportage da Bujumbura

16 Sudafrica.

Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo

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Editoriale

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Un ribelle pericoloso

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Terrore in Costa d’Avorio

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Luci e ombre a Maputo

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Ladri di pesce

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Fish for cheap

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LO SCATT O Notte europea

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RESPONSABILE NEWS SITO

Enrico Casale

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PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA

Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

Paolo Costantini PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

SOCIETÀ 36

Black Mambas contro bracconieri

Claudia Brambilla

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Mali. Più forti della paura

EDITORE

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Malawi. Evasioni musicali

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LO SCATT O Pupazzi anti-casta

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CULTURA Cartoline dal Congo

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi BLOG

www.buongiornoafrica.it di Raffaele Masto PUBBLICITÀ

segreteria@africarivista.it

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CULTURA Soweto 1976 66

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VIAGGI Marocco segreto

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SPORT Muscoli gonfiati

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SPORT Terremoto doping

Jona - Paderno Dugnano, Milano

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RELIGIONE Missionario-oculista in Congo

Periodico bimestrale - Anno 95 maggio-giugno 2016, n° 3 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48

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RELIGIONE Profeti d’Africa

FOTO

Si ringrazia Parallelozero In copertina: Frédéric Noy / Cosmos / Luz Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand STAMPA

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SEDE

Viale Merisio, 17 C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 Africa Rivista @africarivista www.africarivista.it info@africarivista.it UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

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INVETRINA

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Eventi Arte e Glamour

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Web

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Libri

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Musica e Film

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Scusate il ritardo «Innanzitutto mi piace che si parli di “persone omosessuali”: prima c’è la persona, nella sua interezza e dignità. Non dimentichiamoci che siamo tutti creature amate da Dio». Papa Francesco

La donna che compare sulla copertina di questo numero di Africa si chiama Kasha Jacqueline Nabagesera. Ha 36 anni ed è la leader del movimento omosessuale in Uganda. A causa del suo orientamento sessuale, ha subito nella vita discriminazioni e soprusi di ogni tipo: è stata sospesa da scuola, derisa e isolata dai coetanei, espulsa dall’università, minacciata di morte, picchiata dalla polizia, relegata ai margini della vita sociale. Kasha non si è mai fatta intimorire, né ha voluto nascondere la sua diversità. Anziché fuggire all’estero, ha deciso di portare avanti la sua battaglia fondando la più importante organizzazione di difesa dei diritti di gay e lesbiche in un Paese dove l’omosessualità è punita con il carcere. Nel 2011 il suo coraggio è stato premiato con il Martin Ennal Award, il Premio per i difensori dei diritti umani con sede a Ginevra. L’anno scorso le è arrivato un altro importante riconoscimento: il Right Livelihood Award, il cosiddetto “Nobel per la Pace alternativo”. E il settimanale Time le ha dedicato la copertina, consacrandola icona mondiale della lotta per i diritti civili. Ora tocca a noi di Africa renderle omaggio. Che una rivista cattolica e missionaria dedichi la copertina a un’attivista lesbica potrebbe sorprendere e sconcertare taluni. Proviamo a spiegarne il senso. La Chiesa in Africa da anni è portavoce di sofferenze e ingiustizie subite da milioni di persone che non hanno la forza e la possibilità di denunciare al mondo i loro drammi. I missionari, in particolare, hanno spesso avuto un ruolo determinante nel portare a conoscenza dell’opinione pubblica questioni scottanti e gravi ignorate dai grandi media. Per citare dei casi, il dramma delle mine, le guerre per i diamanti, lo sfruttamento delle multinazionali, le brutalità

di regimi sanguinari, la violazione dei diritti umani di minoranze e gruppi etnici. Spiace constatare che in difesa degli omosessuali africani – maltrattati e talvolta uccisi per la loro identità sessuale – siano mancate parole forti e audaci da parte della Chiesa africana. Un silenzio che colpisce, soprattutto per la gravità e la diffusione delle ingiustizie perpetrate in Africa nei confronti di gay e lesbiche (vedi il reportage alle pagine 44-49). Il silenzio rischia sempre di apparire come un imbarazzante indizio di complicità. Tuttavia non mancano voci controcorrente: in Uganda, per esempio, monsignor Giuseppe Franzelli, missionario comboniano, vescovo di Lira, si è battuto con altri confratelli per rigettare la legge contro i gay che, nella sua versione iniziale, voleva addirittura introdurre la pena di morte. «La Chiesa cattolica condanna il peccato, ma non il peccatore», ha spiegato. «Noi insegniamo quello che contiene il Catechismo della Chiesa cattolica, tuttavia non potevamo di certo restare immobili davanti ad un inasprimento del genere». Nessuna esitazione né ambiguità nel denunciare le sopraffazioni e sostenere chi si batte per i diritti fondamentali di ogni essere umano. Nel 2011 il nome di Kasha Jacqueline Nabagesera e la sua foto apparvero sulla prima pagina di un giornale ugandese, accanto ad altri esponenti omosessuali tra cui David Kato. Il titolo chiedeva: Hang Them. Impiccateli. Kato è stato ucciso a martellate pochi mesi dopo. Kasha continua a lottare a Kampala, rischiando ogni giorno la vita. Non dovrebbe indignare la nostra copertina, ma il ritardo con cui arriva. Marco Trovato Pier Maria Mazzola africa · numero 3 · 2016 3


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METROPOLIS: UN FUTURO INQUIETANTE Le grandi città africane crescono a ritmi insostenibili e l’urbanizzazione selvaggia rischia di creare un cortocircuito che penalizzerà lo sviluppo del continente. I rischi sono già oggi ben evidenti a Nairobi, Lagos, Addis Abeba…

Dall’anno scorso in Africa la popolazione urbanizzata ha superato quella rurale. Si tratta di un fenomeno che in Europa, e nell’Occidente in genere, non è mai avvenuto e che rivela come lo sviluppo del continente stia seguendo dinamiche che non sono affatto analoghe o, come sostiene qualche studioso, già attraversate in passato dai Paesi cosiddetti sviluppati. Di fatto, la marcata urbanizzazione della popolazione africana sta mostrando che il continente non si prepara, com’è avvenuto in Europa, a fondare il proprio futuro sull’agricoltura e sulla produzione di beni che garantiscano l’autosufficienza alimentare. Il fatto poi che il continente africano sia quello nel quale più evidente è il fenomeno del land grabbing ne è una ulteriore dimostrazione. Stando a queste constatazioni si potrebbe dire che l’Africa non punta sull’agricoltura ma sull’urbanizzazione, cioè sulla città come luogo deputato alla produzione della ricchezza. Ma, perché ciò avvenga, le città devono essere luoghi efficienti, nei quali merci e denaro si muovono velocemente e nei quali affari e collegamenti si svolgono in modo efficace.

CONGO Supporter del presidente della Repubblica del Congo De-

nis Sassou Nguesso festeggiano la sua rielezione avvenuta lo scorso 20 marzo. Il settantaduenne Sassou Nguesso, al potere da 32 anni, è stato confermato per il terzo mandato consecutivo al primo turno con il 60% dei voti. L’opposizione ha contestato i risultati. Secondo lo sfidante Parfait Koleas, che ha raccolto il 15% dei voti, la rielezione di Sassou Nguesso è frutto di “frodi massicce” e della “magia”. Il 4 aprile a Brazzaville i miliziani Ninja hanno ripreso la lotta armata anti-governativa.

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NEWS aNEWS cura di Raffaele Masto

Mostri sociali Le città africane sembrano andare in direzione del tutto opposta. In molti casi sono “mostri sociali e antropologici” del tutto ingovernabili. In città come la capitale del Kenya, Nairobi, per esempio, le ore utili per “produrre” ricchezza sono limitate a quelle della giornata. Al calar del sole, per un problema di sicurezza, c’è una sorta di coprifuoco de facto che sconsiglia movimenti, passeggio, trasferimenti, shopping. La città è assediata da sterminate baraccopoli che vivono in un circuito economico proprio, quello della cosiddetta economia di sussistenza, e sono impenetrabili a stranieri, visitatori, commercianti. Come Nairobi ci sono alcune altre megalopoli: Luanda, Kinshasa, Kampala, Addis Abeba, per citarne solo qualcuna. Si tratta di città di svariati milioni di abitanti, veri e propri cuori pulsanti di Paesi in pieno sviluppo. Si tratta però di “cuori pulsanti” che manifestano qualche scompenso, in certi casi anche grave, che, con l’andare del tempo, può solo peggiorare. Città paralizzate Lagos, la capitale economica della Nigeria, è forse la città simbolo di questa tendenza, una megalopoli che condensa tutte le contraddizioni dei grandi centri africani. Un secolo fa aveva 25.000 abitanti. Oggi ne ha 21 milioni che, secondo stime attendibili, raddoppieranno nel 2050. Ma il grande incremento demografico si è avuto dagli anni Settanta ad oggi. Nel 1971, infatti, la popolazione era solo di 1.400.000 abitanti. Praticamente la città è cresciuta di mezzo milione di abitanti all’anno circa: una crescita insopportabile per qualunque tessuto sociale. Un “mostro” come Lagos deve poi affrontare sfide infrastrutturali enormi. Per

PRIMAVERA DI TERRORE Il 13 marzo un attacco ter-

roristico di al-Qaeda sulla spiaggia di Grand Bassam, in Costa d’Avorio, ha causato 19 morti. Il 22 marzo la follia jihadista si è scatenata a Bruxelles (nella foto, l’omaggio alle 32 vittime). Il giorno seguente, in Mali, è stato respinto un attacco ad un hotel di Bamako. Il 26 marzo 41 ragazzi iracheni sono morti per un attentato suicida rivendicato dall’Isis in uno stadio. Il giorno di Pasqua, un kamikaze talebano si è fatto esplodere in un parco giochi. Bilancio: almeno 72 morti e 320 feriti.


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esempio i trasporti: ogni giorno qui devono muoversi sette milioni di persone da un punto all’altro della città. L’esigua rete ferroviaria ne assorbe solo ottomila e per il resto gli spostamenti avvengono su gomma: auto private, taxi, pulmini e bus che si ammassano su una rete stradale incapace di assorbire tutto il traffico. In queste condizioni un cittadino di Lagos impiega tre ore per coprire in auto un tragitto di dieci chilometri. Un dato gravemente antieconomico che nessun sistema può sopportare. E le cose sono destinate a peggiorare: statistiche governative mostrano che il 40% dei nuovi veicoli nigeriani vengono immatricolati a Lagos. Risorse insufficienti In tutto questo, l’inquinamento raggiunge livelli insopportabili, per contrastare i quali non c’è nessun sistema adottato dalle autorità. La capitale economica della Nigeria, poi, come molte altre megalopoli africane (Maputo, Luanda, Abidjan), è anche un porto, dunque ostacolata dal mare a espandersi sul territorio. Ma l’accesso all’acqua potabile è sempre più un problema perché non esiste una rete di acquedotti, come non esiste una rete elettrica che raggiunga tutte le periferie. L’espansione delle grandi città è un problema. In molti casi non ci sono terre sufficienti e quando ci sono, come nel caso di Addis Abeba, l’allargamento del territorio urbano crea gravi problemi. In Etiopia, infatti, una decisione in tal senso del governo ha scatenato le proteste dell’etnia maggioritaria del Paese, gli Oromo, che hanno manifestato contro la confisca delle loro terre. Insomma le città in Africa rischiano di essere esplosive dal punto di vista sociale. E antieconomiche nella prospettiva dello sviluppo e della distribuzione della ricchezza.

NIGERIA Il capo del movimento terroristico islamista Boko Haram, Abubakar Shekau, è comparso in un video il 24 marzo annunciando la fine delle sue ostilità e invitando i suoi seguaci alla resa (sotto, una foto simbolica). Dal 2009 la violenza di Boko Haram, divenuto una costola sanguinaria dell’Isis in Africa occidentale, ha causato nel nord della Nigeria almeno 20 mila morti, due milioni di profughi e 6 miliardi di danni. Nelle ultime settimane l’esercito nigeriano ha inferto pesanti sconfitte alla famigerata setta jihadista. Tuttavia non c’è ancora pace nella regione.

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Buongiorno AFRICA

blog a cura di Raffaele Masto

L’ABBUFFATA

Ecco una foto che rappresenta la vecchia Africa: quella dei presidenti-dinosauri, inamovibili, onnivori, incapaci di pensare che il loro Paese possa fare a meno di loro. È la festa di compleanno di Robert Mugabe, 92 anni, presidente dello Zimbabwe con sette mandati sulle spalle e candidato per il prossimo. La foto ritrae uno scorcio del fastoso ricevimento celebrato lo scorso 21 febbraio: vi si vede il festeggiato e la moglie Grace, 50 anni, in primo piano, circondati dall’entourage presidenziale. Robert e Grace sono gli unici che mangiano la torta. O,

per meglio dire, gli unici che si abbuffano senza ritegno. Gli altri li guardano con stupore, con desiderio, con curiosità. È la metafora dello Zimbabwe: il clan presidenziale si abbuffa e il popolo sta a guardare, impotente, rassegnato, desideroso. Lo Zimbabwe, che un tempo era il granaio dell'Africa meridionale, oggi è quasi alla bancarotta economica, la siccità ha distrutto il 75 per cento dei raccolti e ben 3 milioni di cittadini sono a rischio carestia. La festa di compleanno del presidente è costata ben ottocentomila dollari. Senza vergogna. www.buongiornoafrica.it

TANZANIA Lo chiamano “il bulldozer”. E in effetti il presidente del-

la Tanzania, John Magufuli, 56 anni, procede spedito con la sua lotta alla corruzione e allo spreco di denaro pubblico. Da quando è salito al potere in ottobre, ha rimosso politici implicati in casi di tangenti e dimezzato gli stipendi dei manager pubblici, invitando i funzionari che non accettano il nuovo tetto previsto di 7 mila dollari a «cercarsi dei posti di lavoro alternativi». A marzo si è vestito da spazzino per rimuovere la sporcizia nelle strade di Dodoma. E chi lo ferma più?

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Patrice Talon Imprenditore nel settore del cotone, è stato eletto presidente del Benin. Ha battuto il favorito ex premier Lionel Zinsou, considerato dagli elettori troppo «politicante».

Jean-Pierre Bemba Leader di una delle milizie congolesi più violente, è stato condannato dalla Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità commessi in Centrafrica tra il 2002 e il 2003.

PARADISI FISCALI, BUCO NERO Leader politici, affaristi, giudici, ambasciatori: sono centinaia le personalità africane coinvolte nello scandalo dei Panama Papers. Ogni anno l’Africa perde almeno 50 miliardi di dollari in evasione verso paradisi fiscali come Panama e Seychelles: il triplo degli aiuti umanitari ricevuti.

Avvenire

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sociale, l’aspettativa di vita, la corruzione. I motivi del non invidiabile primato sono ben evidenti nel reportage che pubblichiamo a pagina 10. A guidare la classifica dei Paesi felici c’è la Danimarca; l’Italia è al 50° posto. MALI, CORSA ALL’ORO

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a curaNEWS di Enrico Casale NEWS prezzo del petrolio, il presidente José dos Santos, 73 anni (nella foto), al potere dal 1979, ha annunciato che lascerà la vita politica alla fine del suo mandato nel 2018. Già iniziata la lotta per la successione all’interno dell’Mpla, il partito al potere. GAMBIA, VELO IN UFFICIO Il Gambia, un tempo laico, è stato dichiarato “Repubblica islamica” e il suo presidente Yahya Jammeh vuole obbligare le impiegate pubbliche a indossare il velo islamico. La ragione di questa svolta è forse nella volontà di attirare

KENYA, ATEI DISCRIMINATI

Gli atei keniani accusano il governo di discriminarli rifiutando di riconoscere la loro organizzazione. Nel Paese i “miscredenti” sono una piccola minoranza, considerato che il 97% dei keniani dichiara di identificarsi con una religione. BURUNDI INFELICE Il Burundi è il Paese più infelice al mondo secondo il World Happiness Report dell’Onu, che valuta come parametri il prodotto interno lordo, la solidarietà

Le riserve d’oro del Mali sarebbero più ricche del previsto e si attesterebbero intorno alle 800 tonnellate. Lo ha affermato il ministro delle miniere del Mali, Seydi Ahamady Diawara, precisando che la produzione annua del prezioso minerale salirà del 20% fino a 60 tonnellate estratte all’anno. ANGOLA, DOS SANTOS SI RITIRA? Mentre l’Angola è in ginocchio per il crollo del

investimenti dai Paesi del Golfo per risollevare un’economia in difficoltà. ERITREA, AFFARI COL DITTATORE Il regime di Asmara ha siglato accordi con sedici compagnie straniere per lo sfruttamento di pozzi petroliferi. Gli investimenti in Eritrea (nella foto il dittatore Isayas Afeworki) sono decuplicati negli ultimi 10 anni e l’Unione europea stanzierà altri 200 milioni


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LA FRASE

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L’attuale crisi petrolifera è una benedizione: ci costringerà a essere più seri e a diversificare la nostra economia.

Aliko Dangote, imprenditore nigeriano, l’uomo più ricco d’Africa di euro nel settore energetico. Oltre al greggio eritreo, le società minerarie sono interessate ai giacimenti di oro, rame e zinco. SOMALIA, NO ALLE MUTILAZIONI Il premier somalo Omar Abdirashid Ali Sharmarke sostiene la campagna per bandire le mutilazioni genitali femminili. Si stima che oltre il 90% delle ragazze somale abbia subito l’escissione rituale della clitoride.

SUD SUDAN, RADIO PER LA PACE Un network radiofonico, per promuovere la pace è

64% È la percentuale di crescita degli investimenti in Africa negli ultimi tre anni. Con 18 miliardi di dollari, la Francia è il maggior investitore straniero nel continente.

a condividere le informazioni tra i servizi di sicurezza.

stato creato da 12 emittenti comunitarie, capitanate dalla cattolica Radio Bakhita, nel Sud Sudan (nazione sconvolta da una guerra civile a sfondo tribale che dal 2013 ha fatto almeno 50mila vittime). ALLEANZA CONTRO IL TERRORE Costa d’Avorio, Mali, Burkina Faso e Senegal collaboreranno per contrastare il jihadismo in Africa occidentale. Con un accordo siglato il 25 marzo, i quattro Paesi si sono impegnati a rendere più efficaci i controlli alle frontiere e

COSTA D’AVORIO, LA GUERRA DELLA MAIONESE Guerra a colpi di maionese in Costa d’Avorio. Il marchio Calvé (controllato dal gruppo anglo-olandese Unilever), leader del settore, è incalzato dal marchio locale Sipro-Chim, in

veloce ascesa. Unilever risponde alla concorrenza costruendo uno stabilimento che produrrà 10mila tonnellate di maionese all’anno con materie prime locali.

nale di Tsimanampetsotse, sulla costa occidentale del

Madagascar. L’esemplare è alto sette metri e mezzo e ha una circonferenza del tronco di quasi dieci metri. KENYA, PIÙ GIOVANI IN POLITICA Si chiama «Youth for 100 Mps», è un movimento formato da ragazzi keniani che lavora per far eleggere alle prossime elezioni parlamentari del 2018 almeno 100 deputati e 20 senatori di giovane età. L’età media dei cittadini in Kenya è di 19 anni, ma quella dei politici attuali è di 65 anni.

BAOBAB PIÙ VECCHIO Potrebbe essere il baobab più vecchio del mondo: ha 1.600 anni ed è stato scoperto da un gruppo di studiosi nel Parco nazioafrica · numero 3 · 2016 7

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ATTUALITÀ a cura della redazione

Fabbriche di neonati

Abbie Trayler-Smith/H4+/LUZ

Un neonato, quattromila euro. Il lucroso mercato delle adozioni illegali spinge tante ragazzine povere della Nigeria a portare avanti gravidanze “prenotate” da facoltose donne nigerine. E i bebè fanno talvolta una fine atroce

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MATERNITÀ SURROGATA: LO SCONCERTANTE COMMERCIO DI BIMBI

In questi mesi si è molto parlato di maternità surrogata, utero in affitto, gravidanza condivisa… Modi diversi per indicare un procedimento che permette di diventare “genitore” anche a chi non potrebbe portare a termine una gravidanza, grazie

TRA NIGERIA E NIGER a una donna che accetta di affrontare gestazione e parto per altri. Tale pratica è vietata in molti Paesi (in gran parte dell’Unione europea e in Cina, per esempio), ma è legale e disciplinata in altri (come Russia, India, Sudafrica e alcuni Stati degli Usa). C’è


poi un vastissimo numero di nazioni – soprattutto africane – dove la “surrogazione di maternità” non è regolamentata. Ed è proprio qui che si annidano gli aspetti più problematici di una pratica controversa e molto criticata in ambienti non solo cattolici. La giornalista Anna Pozzi si è occupata del tema e ne ha ampiamente parlato nel suo nuovo libro Mercanti di schiavi, dove dedica un intero capitolo a ciò che definisce «un’industria che prospera sul desiderio di genitorialità, che ha perso i suoi limiti, sulla pelle di chi non può e non sa difendersi». Spiega l’autrice: «Anche se meno conosciuta – e meno diffusa – la pratica delle gravidanze surrogate è presente pure in Africa, quasi sempre per il “mercato” locale. Il fenomeno è emerso in tutta la sua gravità nel 2014 quando è esploso il caso Niger». Eppure il fenomeno non è nuovo. Tra il 2006 e il 2008 in Nigeria era già stata scoperta una decina di “fabbriche di neonati”, specialmente nello Sato di Enugu. La Nigeria rimane tuttavia ”partner” privilegiato nel traffico di bebè da esportazione verso il vicino Niger. «Neonati

◀ Mamme coi loro neonati in attesa di essere visitate in un ospedale della Sierra Leone. La tratta internazionale dei bambini, avverte l’Unicef, coinvolge decine di migliaia di bambini anche in Africa occidentale: specie Benin, Nigeria, Togo e Costa d’Avorio

concepiti con la violenza e lo stupro – precisa Anna Pozzi –, frutto di gravidanze indesiderate o troppo precoci; dati alla luce per racimolare qualche soldo con cui combattere per poco una miseria infinita». Sono merci preziose. Soprattutto per i criminali che hanno montato, sull’industria di vite umane, i loro traffici. Baby Factory «Quello del Niger – continua l’autrice – è il caso più recente e clamoroso di network africano per la “fabbricazione”, il traffico e la vendita di neonati. Giovani donne, e più spesso ragazzine tra i 14 e i 19 anni, vengono costrette in condizioni di semischiavitù e grande deprivazione in pseudocliniche o finti orfanotrofi, nascoste in luoghi al limite della decenza e della vera e propria detenzione, a portare avanti gravidanze su commissione o con lo scopo di cedere il proprio bambino a qualcun altro. In Nigeria le baby factory sono un fenomeno in crescita soprattutto negli Stati del sud, nonostante le azioni delle forze dell’ordine locale e, dal 2003, dell’apposita Agenzia nazionale contro il traffico di esseri umani (Naptip)». Tra i committenti nigerini, anche personaggi di spicco – deputati, ministri o direttori di banca –, le cui mogli fingevano gravidanze e acquistavano neonati. Vittime sacrificali Per ovviare allo stigma sociale di cui è bersaglio

la donna che non sia madre, è cresciuta una rete internazionale di intermediari, trafficanti, medici, ostetriche… Le nigerine di cui si è avuto notizia, infatti, si recavano in Nigeria e “partorivano” a Ore, nello Stato di Ondo. Quindi passavano preferibilmente per il Benin, dove, in una clinica di Cotonou, registravano il bambino, per poi rientrare via terra schivando così i controlli aeroportuali, più severi che alle frontiere terrestri. Il tutto, con un suo prezzario. Dai 4.000 euro per una femmina ai 5.000 per un maschietto. Alla mamma biologica rimaneva l’equivalente – in naira, la moneta nigeriana – di una somma tra i 90 e i 225 euro. Mauro Armanino, padre della Società missioni africane (Sma) a Niamey, non appena è venuto a conoscenza del fenomeno lo ha denunciato. Anche sulla stampa italiana: «Queste ragazze sono rese schiave dalla miseria e dall’omertà. In cambio di

una manciata di naira generano figli vendibili ad acquirenti danarose. Rapite, pagate, schiave fino al parto e poi scartate. Figlie della povertà che così si perpetua». «Quando tutto diventa merce – aggiunge il missionario-antropologo –, la merce diventa tutto… E le merci umane sono della stessa categoria delle altre. Producibili, commerciabili e vendibili». O anche… usa e getta. Non mancano i casi in cui vengono “prodotti” bimbi per renderli vittime di sacrifici rituali, specie con elezioni in vista. «“Sacrificati” per ottenere potere, fortuna e ricchezza – conclude la giornalista –. Una pratica ancora diffusa in diverse parti della Nigeria (e non solo). Altri, invece, non appena sono un po’ cresciuti, vengono costretti al lavoro domestico forzato o alla prostituzione. Diversi “orfanotrofi” clandestini sono stati scoperti e fatti chiudere dalle forze dell’ordine anche nella capitale economica Lagos».

IL LIBRO

Il traffico di esseri umani è (assieme a quello di armi e droga) tra i primi business illegali al mondo. Nel libro Mercanti di schiavi (San Paolo, 2016, pp. 215, € 14,50) la giornalista Anna Pozzi indaga sul fenomeno in ogni sua declinazione, approfondendo temi di scottante attualità: sfruttamento sessuale, lavoro minorile, bambini soldato, servitù domestica, commercio di neonati... Una lettura amara, ma necessaria: per aprire gli occhi. africa · numero 3 · 2016 9


ATTUALITÀ di Daniele Bellocchio

L’inferno nel cuore dell’Africa

De· Souza / Afp 10 Carl africa numero 3 · 2016

Una strada di Bujumbura cosparsa di pietre: i segni dell’ennesima battaglia tra manifestanti e polizia. La crisi politica scoppiata un anno fa si è aggravata negli ultimi mesi, con decine di giornalisti, attivisti e oppositori uccisi dal regime del presidente Nkurunziza


REPORTAGE DAL BURUNDI, PICCOLO E POVERO PAESE SOFFOCATO DA UN REGIME SANGUINARIO

Il presidente Nkurunziza ha instaurato un regime terrificante e spietato che ha già provocato centinaia di vittime. Una spirale di violenza che fa temere il peggio. Il racconto del nostro inviato in una crisi dimenticata La frontiera interrompe la quiete del paesaggio ruandese, le verdi colline e le coltivazioni di tè terminano di cullare l’incedere dell’autobus. Solenne, come una scenografia di un teatro risorgimentale, si manifesta il passaggio frontaliero tra Ruanda e Burundi. Le bandiere dei due Stati sottolineano l’imponenza del nazionalismo, dell’etnicità sottaciuta, ma ancora viva e bellicosa, sono la nota a piè di pagina, nel manuale della contemporaneità, che rammenta stragi e massacri e odi mai realmente assopiti. Un ultimo ponte da attraversare per abbandonare il Paese di Kagame, il combattente dell’Fpr divenuto presidente del Ruanda al termine della guerra civile, ed entrare nella nazione di Pierre Nkurunziza, anche lui guerrigliero ieri e presidente oggi. E basta questo, oltre ai militari e alla polizia che presiedono i due lati del confine, per comprendere che nulla appartiene al passato nei Grandi Laghi, neanche la memoria, è puro presente di incubi e paure che riaffiorano e si manifestano, poco alla volta e senza sconti. Calma irreale I pullman vengono fatti fermare e i passeggeri scende-

re. Sono pochi quelli che dal Ruanda vanno in Burundi. In fila, tutti i nuovi arrivati entrano in un ufficio della polizia e qui sono sottoposti a una letterale schedatura, all’ombra di un ritratto magniloquente del presidente Nkurunziza. Perché, prima di essere Burundi, questa è la terra di Nkurunziza: i suoi occhi sono ovunque, le sue orecchie sentono tutto, le sue mani arrivano anche nelle più remote abitazioni e per accorgersene bastano pochi minuti, giusto il tempo di tornare sull’autobus e scoprire che nel frattempo uomini in divisa sono saliti celatamente per controllare i computer e il contenuto delle macchine fotografiche e delle videocamere. Bujumbura. Dopo ore di viaggio, la capitale accoglie chi arriva in un clima di calma apparente. Non c’è, come in ogni grande città africana, il connaturato ed endemico sciamare di taxi e mototaxi alla stazione degli autobus e neppure venditori ambulanti pronti a offrire telefoni e sigarette, neanche bambini e ragazzini che corrono alla ricerca di una moneta o di un bonbon. No. Una tranquillità pacifica e indifferente alla realtà nasconde con inquietante fermezza ogni africa · numero 3 · 2016 11



Marco Longaria /Afp

Phil Moore / Afp

Marco Trovato

Afp

ammira le acque e le verdi colline del Congo, e nei mercati donne e uomini si intrattengono negli acquisti. Poi arriva la sera e con lei la notizia del lancio di una granata. Alcuni morti, e la città che come in uno stillicidio di linfa vitale si paralizza minuto dopo minuto. Le

strade vengono chiuse, i mercati fatti sgomberare, i quartieri si svuotano, il filo spinato blocca il passaggio dei mezzi e le camionette dei servizi di sicurezza sfrecciano a sirene spiegate, cariche di nuovi arrestati dai volti giovani e ormai privi di speranza. Scende l’oscu-

IN BREVE

Popolazione: 11 milioni Capitale: Bujumbura Presidente: Pierre Nkurunziza Etnie: Hutu 85%, Tutsi 14%, Twa 1% Età media: 17 anni Aspettativa di vita: 60 anni Malnutrizione infantile: 29% Religione: cattolici 62%, protestanti 24%, musulmani 2,5% altri 11,5% Pil 2015: -7% Prodotti: caffe, tè, banane Sotto la soglia di povertà: : 68%

rità. Qualche colpo di arma da fuoco e poi il nulla assoluto. Non un'anima in giro. L’unico rumore che si sente, nel silenzio assordante della notte, sono i battiti del proprio cuore che sembra essere l’unico rimasto a pulsare in un Paese dove oggi esiste soltanto la tenebra.

RWANDA

RD CONGO

BUJUMBURA Ruyigi

Lago Makamba Tanganika

▲ Un uomo cammina nella sede del Parlamento di Bujumbura: alle sue spalle un murale su cui campeggiano i ritratti dei presidenti del Burundi. Pierre Nkurunziza è il primo da sinistra, più grande di tutti ▲ Braccianti radunano le foglie di tè raccolte in una giornata di lavoro. Il Burundi è tra i 10 Paesi più poveri del mondo, al 180° posto, su 187, nella graduatoria dell’Indice di sviluppo umano stilata dall’Onu

Muyinga Ngozi Cibitoke Kayanza Muramvya Gitega

Bururi Rutana

Dall'alto, in senso orario ▲ Membri della banda musicale della polizia si riposano al termine delle celebrazioni per il giorno dell’indipendenza, che si festeggia il 1° luglio. Il regime cerca di veicolare l’immagine di un Paese sicuro e stabile

TANZANIA

BURUNDI

▲ Profughi burundesi cercano riparo in Tanzania fuggendo con un battello sulle acque del Lago Tanganica. Dallo scoppio degli scontri preelettorali della primavera del 2015, oltre centomila cittadini hanno lasciato il Burundi a causa delle violenze africa · numero 3 ·2016 15


ATTUALITÀ di Enrico Casale

Un ribelle pericoloso

RITRATTO DI JULIUS MALEMA, IL CONTROVERSO CAPO DELL’OPPOSIZIONE IN SUDAFRICA. CHE ODIA I BIANCHI

Un raduno del partito di opposizione Economic Freedom Fighters a Johannesburg. I manifestanti esibiscono un ritratto di Che Guevara3e· una foto del 16 africa · numero 2016 loro leader carismatico: Julius Malema


L’economia sudafricana è in crisi profonda, la popolarità del presidente Zuma è in picchiata. E il leader ribelle Julius Malema, in forte ascesa, soffia sul fuoco delle tensioni che dividono la Nazione Arcobaleno Julius Malema non è uomo da mezze misure. Le sue prese di posizione sulla politica internazionale, i suoi attacchi all’establishment, il suo stesso stile di vita sono improntati all’eccesso. Ed è questo suo essere sempre sopra le righe che l’ha fatto diventare popolare tra le frange più emarginate del Sudafrica, permettendogli di conquistare porzioni sempre crescenti di consenso. E non è scomparso neppure dopo stato cacciato dall’African National Congress, il partito di Nelson Mandela. Anzi, con l’Economic Freedom Fighters, la formazione da lui creata, sta diventando un protagonista della scena politica sudafricana. In forte ascesa. Delfino di Zuma Nato nel 1981 a Sheshego, nella provincia del Limpopo, da una ragazza-madre che lavorava come domestica, Malema ha avuto un’infanzia dura. Stretto tra la povertà estrema della sua famiglia e la sua intemperanza caratteriale, fa fatica a completare gli studi. Ad attirarlo è la politica. Entra così nei Pionieri, il movimento dei giovanissimi simpatizzanti

dell’Anc. La lingua sciolta e una certa scaltrezza gli sono preziosi alleati. In breve tempo scala le gerarchie e si trova a guidare la Lega giovanile del partito, diventandone presidente nel 2001. Proprio da questo scranno gioca una delle partite più sottili della sua carriera. In quegli anni, l’allora presidente Thabo Mbeki affronta il suo rivale, lo zulu Jacob Zuma. Malema non ha dubbi: sostiene il secondo. E quando lo stesso Zuma viene accusato di aver violentato una ragazza, il giovane Malema prende le parti del politico accusando la giovane di «essersela spassata», ottenendo anche «il breakfast e i soldi per il taxi». Svolta estrema Ma il sostegno a Zuma non dura molto. Malema è insofferente. Non riesce ad accettare la mediazione e il compromesso imposti all’interno dell’Anc. La sua intemperanza è destinata a imbarazzare sempre di più i vertici del partito. Come quando accusa il vicino Botswana di essere un agente degli Stati Uniti e invoca la creazione di una task force di giovani dell’Anc per abbattere il governo di africa · numero 3 ·2016 17



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ATTUALITÀ testo di Valentina G. Milani - foto di Marco Garofalo

Sulla spiaggia (prima) del terrore

20 africa · numero 3 · 2016


COSTA D’AVORIO. LE IMMAGINI DI GRAND BASSAM NON ANCORA SFREGIATA DAL RAID JIHADISTA

Gli inviati di Africa si trovavano nella località turistica ivoriana poco prima dell’attacco terroristico che lo scorso marzo ha causato una strage di civili. Ecco com’è cambiata quella spiaggia... «I resort ora sono sorvegliati dai militari, le strade presidiate dai blindati dell’esercito. Ma le spiagge sono deserte. I temerari che trovano la voglia e il coraggio di passeggiare in riva al mare si contano sulle dita di una mano. E sono tutti ivoriani: neanche l’ombra di un turista. I proprietari di ristoranti e hotel sono disperati. Grand Bassam non è più la stessa…». Seydou Ouattara, un residente contattato dalla nostra rivista, descrive così, oggi, la località turistica della Costa d’Avorio situata a una quarantina di chilometri da Abidjan (capitale economica del Pae-

◀ La spiaggia di Grand Bassam gremita di bagnanti: questa foto è stata scattata pochi giorni prima dell’attacco dello scorso 13 marzo

se, 6 milioni di abitanti), colpita il 13 marzo scorso da un terribile attacco terroristico. Bloody Sunday Vengono i brividi a ricordare quella domenica di sangue. Ricostruiamo ciò che è accaduto. È una giornata di sole nella celebre cittadina affacciata sul Golfo di Guinea. Le spiagge sono affollate di gente: ivoriani e stranieri cercano nell’oceano un po’ di refrigerio dalla canicola. La gente gioca con le onde, corre sulla battigia, salta e scherza. Qualche famiglia improvvisa un pic-nic sotto l’ombrellone. Un carretto di gelati attira l’attenzione dei più piccoli, un gruppo di amici gioca a pallone sulla sabbia, poco più in là delle ragazze in bikini si scattano fotografie con gli smartphone. Il clima disteso è lo stesso docu-

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radunavano centinaia di turisti africani ed europei in cerca di relax. Nei fine settimana venivano raggiunti dagli espatriati occidentali, dai rampolli della nuova borghesia come dalle famiglie proletarie delle periferie di Abidjan: comunità profondamente diverse ammassate sulla stessa spiaggia. Ora la città – ex capitale della Costa d’Avorio – è il simbolo del terrore che ha paralizzato la popolazione e che rischia di propagarsi come una metastasi in tutta l’Africa occidentale. Attacco inatteso L’attentato è stato rivendicato da una cellula jihadista che gravita nella galassia di al-Qaeda per il Maghreb islamico (Aqmi). La mente del raid è Mokhtar Belmokhtar, estremista islamico di origini algerine fondatore del movimento di al-Mourabitoun, che in Africa occidentale ha forti interessi economici (contrabbando di armi, esseri umani, sigarette e droga). «Ci aspettavamo un attacco, ma non qui: temevamo che sarebbe avvenuto in qualche hotel di Abidjan frequentato da occidentali», confessa una fonte diplomatica. Da alcuni mesi le autorità ivoriane erano in massima allerta: dopo gli attacchi verificatisi in Mali (Bamako, 20 novembre 2015) e Burkina Faso (Ouagadougou, 17 gennaio 2016), i servizi segreti francesi avevano indicato Senegal e Costa d‘Avorio, alleati di Parigi, come i Paesi della regione

più a rischio. Attaccando Grand Bassam i terroristi hanno voluto colpire la convivenza tra popoli e religioni (animisti, musulmani, e cristiani) e l’economia della Costa d’Avorio (in forte ripresa dopo anni di crisi): elementi che, combinati insieme, stanno alla base del benessere di una nazione. Rivendicando l’attentato, i miliziani di al-Mourabitoun, hanno chiarito di avere «voluto punire il governo ivoriano perché aiuta i soldati dell’Onu dislocati in Mali, oltre a ospitare circa seicento militari francesi in quattro basi». I jihadisti che hanno attaccato Grand Bassam ce l’avevano contro gli uomini in divisa, i soldati “infedeli” che combattono gli affiliati di al-Qaeda in Africa occidentale. Ma hanno sfogato la loro furia sanguinaria contro civili infermi. Erano convinti di conquistarsi il paradiso con una strage infame, crivellando di proiettili dei bagnanti in costume.

▶ Due scorci di Grand Bassam. La città, ex capitale della Costa d'Avorio, è stata dichiarata nel 2012 Patrimonio dell’Umanità per le sue raffinate architetture coloniali, oggi un po’ diroccate ma sempre piene di fascino ▶ Come si può intuire da queste immagini, solo il rapido intervento delle forze di sicurezze ha evitato che la carneficina assumesse dimensioni ben più pesanti: al momento dell’attacco jihadista, come tutte le domeniche, sulle spiagge di Grand Bassam si accalcavano migliaia di persone africa · numero 3 · 2016 23


ATTUALITÀ testo di Raffaele Masto - foto di Marco Trovato

Luci e ombre di Maputo

24 africa · numero 3 · 2016


REPORTAGE DAL MOZAMBICO, IN BILICO FRA AMBIZIONI DI SVILUPPO E TIMORI DI UN RITORNO ALLA GUERRA

Veduta notturna della capitale del Mozambico, città di un milione e mezzo di abitanti

L’ex colonia portoghese, sopravvissuta a una lunga guerra civile, viene spesso indicata come un esempio di miracolo africano. Ma oggi la sua vitalità culturale e la sua crescita economica sono minacciati dall’instabilità Non è un’immagine consueta in una megalopoli africana, ma qui, sull’Avenida 25 de Setembro, a Maputo, una piccola folla attende che il teatro apra i battenti. Nel bar adiacente, alcuni spettatori consumano bibite e snack, e nel piccolo foyer la maschera si prepara a smistare gli spettatori all’interno della sala. Fuori, sulla strada, il Teatro Avenida espone il cartellone dello spettacolo che va in scena. Alla biglietteria si affrettano gli ultimi ritardatari. Sembra di essere a Marsiglia, o a Roma o a Lisbona, e invece siamo nella capitale di una nazione tra le più povere del continente e, proprio in questi giorni, oggetto di attenzione internazionale per le minacce di guerra civile lanciate dalla Renamo (Resistenza nazionale mozambicana), che rivendica la vittoria elettorale in alcune regioni del Centro-nord del Paese. Davanti al Teatro Avenida – quello cui diede vita lo scrittore Henning Mankell – queste notizie sembrano incredibili, una sorta di ritorno al passato, ai tempi della guerra tra Frelimo e Renamo che distrusse l’ex colonia portoghese e la lasciò, a fine conflitto, nei primi anni Novanta,

uno dei territori del pianeta più disseminati dalle mine antipersona. Da allora il Mozambico ne ha fatta di strada: pochi mesi fa è stato dichiarato “libero” da questi odiosi ordigni che hanno ucciso e mutilato più nel periodo di pace che in tempo di guerra; in questi vent’anni il Paese ha cambiato tre presidenti – Chissano, Guebuza e l’attuale Nyusi – e ha diffuso un’immagine di stabilità politica che lo ha reso una delle nazioni più ambite dagli investitori internazionali; è diventato uno dei cosiddetti “miracoli africani”, con una crescita costante vicina alle due cifre. Segni di crisi Passeggiando per Maputo si ha l’impressione che i problemi siano tutt’altro che politici o economici: ogni negozio, ogni attività commerciale, ogni abitazione è protetta da robuste sbarre e da doppie porte blindate contro i furti. La crisi economica ha allargato la frattura tra i pochi ricchi (per lo più stranieri o imprenditori legati alla nomenklatura) e i tanti poveri disoccupati. La crescita degli ultimi quindici anni si è inceppata, frenata da instabilità, africa · numero 3 ·2016 25



Robin Hammond / Panos Pictures / Luz

▲ Pausa di lavoro per i braccianti della società Wanbao (sulla scavatrice, un manovratore cinese) nel delta del fiume Limpopo. Il governo di Maputo ha concesso lo sfruttamento di vasti territori a compagnie straniere

su una scogliera che fa immaginare le scene del commercio di schiavi di qualche secolo fa, con una nave ormeggiata al largo e le lance, cariche di uomini incatenati, che fanno la spola dalla costa. Da Inhambane non si può salire più a nord. O meglio, se si vuole farlo (ma le autorità lo sconsigliano) bisogna mettersi in coluna, in un convoglio con altri veicoli scortato

dall’esercito. I ribelli della Renamo hanno già attaccato convogli, auto e Tir. Basta una sventagliata di Ak47 che parte dal mato, dalla foresta, e la coluna è bloccata. Praticamente il Paese è spaccato a metà con grave danno all’economia e all’immagine internazionale. Non si può far altro che tornare a Maputo. La storia in un boccale Nella capitale, la realtà della provincia e di un potenziale, incombente conflitto appaiono lontani. Nel week-end frotte di abitanti di Maputo si riversano sulla Costa do Sol, la spiaggia della città. Sono gli abitanti della Maputo popolare che si

concedono qualche ora di divertimento. Commercianti intraprendenti vendono pollo alla brace diffondendo nell’aria il sapore della carne abbrustolita. Sullo sfondo, i grattacieli della città e i viali che hanno conservato i nomi altisonanti, e un po’ anacronistici, degli eroi del marxismoleninismo al quale il Frelimo, il partito al potere dall’indipendenza, aveva aderito: Avenida Mao Tse Tung, Avenida Mondlane, Avenida União Soviética. Qui sulla Costa do Sol il popolo vuole dimenticare i prezzi lievitati all’infinito per la crisi economica e la potenziale guerra, vuole dimenticare le preoccupazioni di

tutti i giorni e per questo consuma birra in quantità industriali. Non sanno che in Mozambico anche le due birre nazionali, le più consumate, hanno un legame con la realtà sociale e politica e con la storia. La 2M (o Dois Eme), che non significa solo “doppio malto”, è un omaggio al generale francese MacMahon che nel 1875 attribuì ai portoghesi la baia di Maputo, creando così la capitale-nazione dell’odierno Mozambico. E la Laurentina, un’ottima birra scura, è stata l’impresa che ha consentito all’ex presidente Armando Guebuza, membro del partito già marxista Frelimo, di diventare l’uomo più ricco del Mozambico. africa · numero 3 · 2016 29


ATTUALITÀ testo di Álvaro do Nascimento - foto di Francesca Tosarelli

Ladri di pesce «I PESCHERECCI EUROPEI SACCHEGGIANO I NOSTRI

Le reti dei pescatori capoverdiani sono sempre più vuote a causa dello sfruttamento intensivo delle acque territoriali da parte delle grandi navi da pesca europee Si racconta che un tempo, nemmeno quindici anni fa, gli uomini del villaggio di Ribeira da Barca tornassero a riva ogni giorno con barche talmente pesanti da rischiare di affondare. L’acqua dell’oceano lambiva il trincarino delle

30 africa · numero 3 · 2016

imbarcazioni, nascondeva quasi per intero lo scafo e talvolta arrivava a bagnare i piedi dei marinai, tanto le stive erano stipate di tonni e pesci spada. Oggi le reti dei pescatori sono vuote, o quasi. Nelle case di Ribeira da Barca non

MARI», ACCUSANO DA CAPO VERDE. SIAMO ANDATI A VERIFICARE... c’è nemmeno più pesce per riempire lo stomaco degli abitanti. Il commercio ittico è praticamente scomparso. Senza controlli Che fine hanno fatto i tonni, i saraghi e le cernie che

un tempo assicuravano la prosperità dei pescatori dell’isola di Santiago? La risposta è davanti agli occhi di tutti: al largo delle coste ondeggiano giganteschi pescherecci europei, legalmente autorizzati a pescare nelle acque ter-



SOCIETÀ di Dorothy Chole

Black Mambas È la prima squadra antibracconaggio al mondo composta da sole donne. In pochi mesi è riuscita a far crollare del 90 per cento il numero dei rinoceronti uccisi nella riserva sudafricana di Balule

«All’inizio non ci prendevano sul serio, ma ora tutti sanno che con noi non si scherza». Siphiwe Sithole, trent’anni, una cascata di riccioli neri sulla testa, sfoggia con orgoglio l’uniforme mimetica delle Black Mambas, la prima squadra antibracconaggio al mon-

do composta di sole donne. «L’abbiamo creata un paio di anni fa», spiega il sudafricano Craig Spencer, responsabile della Balule Game Reserve, una riserva privata confinante con il Kruger National Park. «A quei tempi i nostri rinoceronti erano il bersaglio

IN SUDAFRICA, DONNE RANGER DIFENDONO I RINOCERONTI DAI CACCIATORI DI FRODO

preferito dei bracconieri attivi nella zona». Spesso si trattava di cacciatori provenienti dai villaggi circostanti, attratti dal miraggio di guadagni immensi. Il corno di rinoceronte, formato da un tessuto simile alle nostre unghie, è richiestissimo in Oriente

come afrodisiaco naturale o potente rimedio medicamentoso: il suo valore nel mercato illegale può arrivare a 65.000 dollari al chilo. Idea geniale «Per tentare di fermare la carneficina ci siamo alleati con le comunità che vi-

36 africa · numero 3 · 2016 James Suter



SOCIETÀ di Andrea de Georgio

Più forti della paura

38 africa · numero 3 · 2016

Oumou Sangaré, stella musicale del Mali, alla guida della sua auto sulle strade della capitale. Oumou è diventata famosa nel mondo per le sue canzoni wassoulou, uno stile che deriva dai canti tradizionali dei cacciatori


CONCERTI, FESTE, EVENTI CULTURALI: COSÌ IL MALI RISPONDE

La città di Bamako, sconvolta dagli attentati e intimorita dalla minaccia terroristica, ritrova la forza per non soccombere all’oscurantismo dei jihadisti. E torna a vivere, a suon di musica…

AL TERRORE JIHADISTA

Come ogni domenica la città si blocca. Quando è così, Bamako sembra quella della canzone (per l’appunto Dimanche à Bamako) di Amadou & Mariam. Il traffico, già quotidianamente frenetico, s’intasa di cortei nuziali di gipponi dai vetri oscurati o di motorini cinesi, a seconda delle possibilità delle famiglie coinvolte nei matrimoni. Fin dal mattino presto le vie principali sono un continuo strombazzare, salutare e fotografare coi cellulari. In ogni quartiere, in mezzo a strade secondarie vengono improvvisati capannoni di plastica, file di sedie noleggiate a una scuola vicina o in negozi specializzati, e stereo che gracchieranno musica e canti dei griot tutto il santo giorno sovrapponendosi a quelli dei capannoni vicini. Matrone con svariati figli al seguito sfoggeranno l’ultimo pagne comprato al Grand Marché, balleranno i ritmi delle kora e dei balafon dall’alba al tramonto e benediranno i parenti degli sposi in una sequela infinita di “Allah ka…” (“Che Dio…” in bambara, principale lingua del Mali) seguiti da forme sempre uguali e sempre diverse d’auguri a cui i giovani sposini risponderanno “Amina!”

fino alla sfinimento. Centinaia di formule quasi magiche con altrettante sfumature di significato. “Allah ka kelén-kelén ulì”: che Dio ci faccia svegliare uno alla volta. Escalation di volenza A vederla così, Bamako sembra rimasta uguale a prima della guerra. Succede raramente che un conflitto (peraltro ancora lungi dall’essere concluso) non lasci strascichi al suo passaggio. E questo antico e ricco Paese, purtroppo, non fa eccezione. Da quando i francesi hanno risposto alla richiesta d’aiuto dell’allora presidente ad interim Dioncounda Traoré e sono intervenuti militarmente in Mali per bloccare l’avanzata di gruppi jihadisti legati ad al-Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi), questo Paese è precipitato in una profonda crisi. Se i bombardamenti francesi del gennaio 2013 avevano costretto i jihadisti alla fuga da Timbuctu e da Gao, città settentrionali occupate per nove mesi, oggi i gruppi legati ad Aqmi sono tornati attivi e hanno addirittura espanso la propria area d’azione arrivando a minacciare il centro-sud e alcuni Paesi confinanti. L’anno scorso Bamaafrica · numero 3 · 2016 39

Alfredo Caliz/Panos Pictures / Luz



SOCIETÀ di Claudio Agostoni

Evasioni musicali Una band di detenuti del Malawi, la Zomba Prison Band, è diventata famosa in tutto il mondo grazie a un disco registrato dietro le sbarre di un carcere di massima sicurezza

La città di Zomba, nel sud del Malawi, è conosciuta per le singolari foreste di conifere che la circondano, che ne fanno un unicum nel panorama della vegetizione dell'Africa australe. Ma non sono i suoi boschi che l’hanno portata sulle pagine dei giornali di mezzo mondo, bensì una band musicale composta dai locali detenuti del carcere di massima sicurezza. Lo scorso febbraio, la Zomba Prison Band, composta da 16 galeottimusicisti, ha ricevuto una candidatura per i Premi Grammy (i prestigiosi riconoscimenti assegnati ogni anno alle migliori produzioni discografiche). Alla fine, la vittoria per la categoria world music è andata ad Angélique Kidjo, ma l’album realizzato dai prigionieri del Malawi ha avuto un’inaspettata eco mondiale. Il disco s’intitola I have no everything here (“Qui mi manca tutto”) ed è stato prodotto dall’americano Ian Brennan, che nelle

nomination dei Grammy ci era già arrivato nel 2012 con l’album di debutto dei Tinariwen, il gruppo tuareg del Mali (e in quel caso aveva addirittura vinto il primo premio). Brennan in passato si era fatto conoscere producendo anche i Malawi Mouse Boys, un gruppo gospel di giovani che vendevano topi in strada, e i The Good Ones, trio di ruandesi sopravvissuti ai genocidi. Ma lavorare in una prigione

di massima sicurezza rappresentava, a suo dire, una nuova sfida. Insieme alla moglie Marilena Delli, fotografa e documentarista italiana, e al missionario monfortano Piergiorgio Gamba, da oltre trent’anni in Malawi, Brennan ha faticato non poco per riuscire a entrare nel carcere. E quando i permessi sono arrivati, è toccata la parte più dura: conquistare la fiducia dei detenuti. «Abbiamo messo in piedi uno studio di registrazione improvvisato», ricorda il produttore americano. «Ma all’inizio nessuno voleva cantare. Poi, rotti gli indugi, hanno cominciato a fare la coda davanti ai microfoni». Il disco è cantato soprattutto in chichewa, la lingua nazionale, e dura un’ora, il risultato di sei

ore di registrazioni: rimane quindi molto materiale per un secondo album. Ma è improbabile che il gruppo potrà un giorno esibirsi fuori dalle sbarre. I sedici musicisti della band, dai venti ai sessant’anni, sono finiti in carcere per motivi variegati. E alcuni sono condannati a restarvi fino alla fine dei loro giorni. Nel carcere di Zomba, oltre a detenuti condannati per furto o omicidio, ci sono anche persone accusate di stregoneria o di «omosessualità». C’è persino qualcuno che si trova lì solo perché la burocrazia è troppo lenta per far sì che abbia un processo.

▼ Alcuni membri della Zomba Prison Band, alle loro spalle le guardie carcerarie Ian Brennan


COPERTINA di Valentina G. Milani

Uganda, orgoglio e pregiudizio

44 africa 路 numero 3 路 2016


IL NOSTRO REPORTAGE TRA LA COMUNITÀ OMOSESSUALE DI KAMPALA, OPPRESSA

In Uganda l’omosessualità è considerata un reato punibile con il carcere. Centinaia di gay e lesbiche sono costretti a vivere nella clandestinità. Ma c’è chi ha trovato il coraggio di sfidare il governo e ora lotta per conquistare i diritti Nervoso, agitato, trafelato. Così si presenta Wazabanga Mukiga (nome di fantasia) al nostro appuntamento. È domenica, ora di pranzo, ma il vorticoso traffico di Kampala fa pensare a un qualsiasi giorno feriale. Il luogo dell’incontro lo ha scelto lui dopo numerose nostre mail e telefonate: un anonimo fast food alla periferia della capitale ugandese. Wazabanga avrà una trentina d’anni, ma il viso corrucciato lo fa sembrare più vecchio. Porta con sé un giornale arrotolato. Si siede al nostro tavolo e inizia a parlare.

E IN CERCA DI RISCATTO

In prima pagina Quelle che pronuncia sembrano più parole smozzicate che frasi compiute. «Ho paura che mi scoprano, non sono più certo di rilasciare l’intervista», dice mentre, con fare circospetto, ci mostra la pri-

◀ Attivisti omosessuali sfilano a Entebbe, non lontano da Kampala, in occasione del Gay Pride 2015. L’evento, organizzato clandestinamente, sarà replicato il prossimo agosto, malgrado i pericoli per i manifestanti: in Uganda un gay può subire fino a 14 anni di carcere

ma pagina del quotidiano scandalistico Hello: la sua foto e quelle di altri ragazzi sono state pubblicate in bella evidenza – stile wanted. In Uganda Wazabanga è considerato un criminale. Il suo reato? Essere omosessuale. «Da quando ho trovato il coraggio di fare outing, ovvero di svelare pubblicamente il mio orientamento sessuale, la mia vita è diventata un inferno: subisco in continuazione intimidazioni e minacce… E ora sono finito sul giornale, additato come un pericoloso delinquente». Non è la prima volta che la stampa ugandese alimenta una campagna di odio contro i gay. Già nel 2010 il settimanale Rolling Stone titolava: «Impiccateli, sono un rischio per i nostri figli». Qualcuno eseguì l’ordine senza batter ciglio: l’attivista gay David Kato venne assassinato poco dopo. E nel 2014 il Red Pepper aveva pubblicato in prima pagina l'elenco e alcune foto di duecento presunti omosessuali e lesbiche, con tanto di nomi e indirizzi, incitando cittadini e autorità a punire i «depravati». A quel tempo a Kampala si stava discutendo il cosiddetto Kill the Gay Bill, la “legge africa · numero 3 · 2016 45

Frederic Noy / Luz



James Shinyabulo-Mutende, esponente del partito al potere. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio, a pochi passi dal Parlamento, quando ancora ricopriva il ruolo di ministro dell’Industria e del Commercio. «L’omosessualità è innaturale e immorale ed è giusto punire chiunque la pratichi e la promuova attraverso la stampa clandestina – ci ha detto –. Prima la legge prevedeva la pena di morte, adesso solo il carcere: va fin troppo bene. Le donne sono donne e gli uomini sono uomini. Ecco tutto». Malgrado il clima inquisitorio e i pericoli a cui sono esposti, centinaia di omosessuali ugandesi hanno deciso di lottare. Ad agosto torneranno a manifestare con i loro

Anne Ackermann / Agentur Focus

carri arcobaleno. Sfidando la paura. «È una sfortuna essere gay – ha dichiarato il ministro per l’Etica, Simon Lokodo –, ma andare per le strade e renderlo pubblico è come ammettere di essere un omicida». Come dire, chi manifesta al Gay Pride finirà in carcere. «Le minacce non ci fermeranno – risponde Patrick –. Non cederemo alla tentazione di lasciare il nostro Paese. Resteremo e lotteremo finché l’Uganda non garantirà rispetto, dignità, libertà e uguaglianza a tutti i suoi abitanti, al di là del loro orientamento sessuale». ◀ L’attivista gay ugandese Frank Mugisha. Ha vinto il Premio Robert F. Kennedy Human Rights Award per il suo impegno a difesa dei diritti civili Un redattore di Bombastic preferisce nascondere la propria identità per paura di ritorsioni. La legge ugandese proibisce l’ostentazione e la promozione dell’omosessualità e richiede ai cittadini di denunciare i gay

africa · numero 3 ·2016 49 Irene Fornasiero


CULTURA di Enrico Casale

Soweto 1976

IN SUDAFRICA SI CELEBRA LA RICORRENZA DELLA STORICA RIVOLTA

Quarant’anni fa nel ghetto di Johannesburg una pacifica protesta di liceali scatenò la brutale repressione della polizia. Centinaia di adolescenti inermi vennero uccisi a fucilate. Ma quella strage avviò la fine dell’apartheid Un ragazzo nero con il volto sfigurato dalla fatica, dal dolore e dalla paura corre con in braccio un bambino agonizzante. Il suo nome è Mbuyiswa, quello del piccolo è Hector. Al loro fianco una ragazza, Antoinette,

la sorella di Hector, urla e chiede aiuto. Fin da subito, quell’immagine in bianco e nero diventa un’icona. Il simbolo, più chiaro di mille parole, della durissima repressione della polizia del regime bianco sudafri-

DEGLI STUDENTI CONTRO IL REGIME SEGREGAZIONISTA

cano nei confronti dei neri e della loro lotta per la libertà. Siamo nel 1976, per la precisione il 16 giugno 1976. La gente a Soweto è scesa per strada a protestare contro l’imposizione da parte dei politici di Pre-

toria dell’afrikaans come lingua di insegnamento in tutte le scuole del Paese, sia quelle frequentate dai giovani bianchi sia quelle dei neri. È la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Il provvedimento è conside-

◀ La celebre immagine della rivolta di Soweto scattata il 16 giugno 1976 dal reporter Sam Nzima, foto simbolo della brutalità del regime dell’apartheid: un ragazzo in salopette, piangente, porta fra le braccia il cadavere del tredicenne Hector Pieterson, la prima vittima delle forze di sicurezza che spararono sugli studenti della più grande township di Johannesburg. Erano scesi in strada a manifestare contro l’imposizione nelle scuole nere dell’insegnamento dell'afrikaans, lingua considerata un simbolo dell’oppressione culturale. A Soweto è stato aperto un museo che fa memoria degli scontri: è stato intitolato a Hector Pieterson 54 africa · numero 3 · 2016



V IAGGI di Claudio Agostoni

Marocco segreto

UN INSOLITO ITINERARIO A SUD DI MARRAKECH, TRA SPIAGGE SOLITARIE E VILLAGGI FUORI DAL TEMPO

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africa 路 numero 3 路 2016


Le onde dell’oceano, la magia di Essaouira, i profumi delle spezie, le vallate esuberanti che solcano il deserto... Viaggio alla scoperta di un Marocco sorprendente, lontano dalle frenetiche mete del turismo di massa. L’aeroporto di Marrakech dista meno di 20 chilometri da Tamesloht. Ma i lussuosi riad che ospitano orde di turisti assetati di esotismo paiono lontani anni luce. Il villaggio di Tamesloht, circondato da uliveti e punteggiato da nidi di cicogne sui tetti delle case, è un piccolo “mondo antico” fatto di terracotta, dove i vasai locali plasmano la terra e altri abili artigiani lavorano la pelle, il vetro, l’osso... La perla di Tamesloht è una sorta di cittadella dove risiedevano i signori locali, un complesso di residenze risalenti al XVI secolo. Visitarla è come trovarsi dentro la scenografia di un film, e non a caso le elaborate porte delle case e i soffitti in legno decorati sono finiti in più di una ripresa cinematografica.

Un luce speciale Orson Welles, invece, decidendo di adottarla per le riprese del suo Otello, sulla pellicola ha immortalato Essaouira, un gioiello della costa atlantica a due ore di macchina da Marrakech. Vanta due primati originali: è una città senza semafori e senza ascensori, perché all’interno delle sue antiche mura non circolano auto e i palazzi sono tutti antichi. Se qualche decade fa è stata il rifugio africano di hippies in fuga dall’Occidente, oggi è il paradiso di surfisti in attesa della grande onda. Essaouira continua ad essere una sorta di risacca esistenziale, un luogo dove imperversa una luce che esalta il candore delle case imbiancate a calce e che rende vivido il blu delle porte e delle finestre.

Olio e musica Il vento sferza senza sosta gli alberi di argania che crescono sulle colline intorno alla città. I frutti di queste piante, bacche di colore verde, simili a un’oliva ma di dimensioni maggiori, ospitano un nocciolo particolarmente duro che a sua volta racchiude due o più mandorle da cui si estrae l’olio d’Argan, il “petrolio” di questa regione. Da anni il governo del Marocco aiuta la creazione di cooperative femminili dedite alla produzione dell’arganier e oggi circa due milioni e mezzo di marocchini vivono dai proventi derivati da questo straordinario olio, particolarmente apprezzato per le sue proprietà nutritive, cosmetiche, medicamentose. Per il pranzo ad Essaouira

basta seguire il profumo di pesce alla griglia che arriva da alcune baracche in prossimità del porto. Qui, a partire dalla tarda mattinata, i pescatori preparano e servono un menu che spazia da un’abbondante porzione di sardine a un elegante piatto di crostacei dell’Atlantico. Il suono che esce dai locali è l’inconfondibile melodia gnaoua, sound locale praticato da musicisti-guaritori locale, figli di antichi schiavi neri, che attraverso ◀ Maestosi archi naturali sulla spiaggia di Legzira ▲ La raccolta dell'argan nel villaggio berbero di Bouzamm ▼ Surf a sud di Essaouira ▼ Le rocce dipinte dall'artista Jean Vérame

africa · numero 3 ·2016 59



V IAGGI a cura della redazione

Attraverso l’Africa Era il 1996 quando uscì in libreria Vado verso il Capo, racconto del viaggio di un giovane fotogiornalista lungo 13.000 chilometri. Vent’anni dopo, due nuove edizioni del libro fanno rivivere quell’epica avventura Un giorno il direttore di un giornale disse a un suo inviato: «Parti per l’Africa e attraversala con i mezzi pubblici». L’inviato era Sergio Ramazzotti (fotografo, giornalista, collaboratore della nostra rivista) e credeva di conoscere l’Africa, ma ancora non gli era successo di percorrerne le strade come uno dei suoi tanti abitanti senza mezzi, con una sacca in spalla che contiene tutto il mondo. Usando ogni genere di trasporto – bicicletta, camion, treni merci, taxi, furgoni, traghetti, barchini – o andando a piedi, senza soldi per corrompere le autorità. Nell’universo disgraziato e magico che via via gli si aprì dinanzi, Ramazzotti incontrò profughi disperati e ricchi trafficanti di diamanti, soldati corrotti e onesti, prostitute, mercenari e volontari, chi aveva distrutto la propria vita in questo continente e chi vi si era rifugiato con la speranza di ricostruirla. Era il 1996 quando uscì in libreria Vado verso il Capo, racconto di un viaggio

lungo 13.000 chilometri, dall’Algeria al Sudafrica attraverso una miriade di frontiere. Il libro andò a ruba e fu celebrato dal-

la critica: divenne un caso editoriale. Per Sergio Ramazzotti fu uno spartiacque: «Prima di questo viaggio l’Africa era la mia amante. Dopo è diventata mia moglie», rivela oggi. E ricorda: «Quel viaggio, faticoso e favoloso, è finito due volte. La prima fu nel 1992, quando tornai a casa in aereo da Città del Capo dopo averla raggiunta coi mezzi pubblici da Algeri, nei due mesi precedenti, vivendo come un autentico morto di fame. La seconda fu quattro anni dopo, quando il libro uscì in libreria: solo allora ebbi la sensazione che il cerchio si chiudeva». Oggi Feltrinelli festeggia il ventennale del libro, sfornando due nuove edizioni, in

ebook: Vado verso il Capo, che contiene lo stesso identico diario scritto vent’anni fa, ma arricchito di una prefazione e decine di fotografie inedite che l’autore è riuscito a scattare e salvare dalla sabbia, dai ladri e dai militari; e 13.000 km d'Africa, diario per immagini, per chi il libro l’ha già letto o chi vuole ripercorrere il viaggio dell’autore attraverso i suoi scatti. Da non perdere.

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RELIGIONE di Valentina G. Milani e Sophie Binoche - foto di Dieter Telemans/Panos Pictures/LUZ

Luce nel “cuore di tenebra”

66 africa · numero 2 · 2015


UN OCULISTA UNGHERESE, MISSIONARIO CATTOLICO, COMBATTE LA CECITÀ

Da vent’anni frère Richard Hardi, medico oftalmologo, si sposta nella selva congolese e raggiunge i villaggi più sperduti, per tentare di salvare la vista a persone altrimenti condannate a vivere nel buio

NELLE FORESTE DELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO

La colonna dei portatori si fa strada nel groviglio di arbusti e avanza ostinata nella foresta pluviale; sulle teste degli uomini ondeggia il carico di viveri, attrezzature e medicine. Sembra una scena d’altri tempi, ma a guidare la spedizione non c’è un esploratore o un cacciatore di schiavi. L’uomo bianco al centro della carovana è Richard Hardi, un oculista ungherese che da vent’anni si è trasferito a vivere nel cuore ◀ ▼ Circondato da bambini curiosi, il dottore Richard Hardi e un suo assistente parlano con una donna che deve essere operata nel villaggio di Pania. Richard si è trasferito in Congo, per dar corpo alla vocazione missionaria che avvertiva, nel 1995, quando il Paese si chiamava ancora Zaire. Come gli esploratori dell’Ottocento, l’oculista ungherese assolda dei portatori per trasportare nel cuore della foresta tutto l’occorrente per il suo ospedale da campo

della Repubblica democratica del Congo. «Quando giunsi qui, la nazione si chiamava ancora Zaire ed era governata con pugno di ferro dal dittatore Mobutu Sese Seko, che per decenni aveva saccheggiato impunemente le ricchezze statali, condannando la popolazione a vivere nella miseria più cupa», racconta il dottore. «Avevo in programma di fermarmi pochi mesi, per vivere un’esperienza di volontariato nel Sud del mondo… Ma ho deciso di non fare più ritorno in Europa». Cecità dei fiumi A convincerlo sono state le decine di migliaia di persone che ogni anno perdono la vista in questa sperduta regione dell’Africa. «Un cittadino congolese, a causa delle precarie condizioni sanitarie e socioeconomiche, ha dieci probabilità in più di perdere la vista rispet-

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▲ Analisi in laboratorio, visite di controllo, operazioni chirurgiche. La giornata del dottor Richard Hardi non conosce fine. Anche se opera in pieno foresta pluviale, il medico ungherese si avvale di attrezzature tecnologiche all’avanguardia. Il suo lavoro è supportato da Lumière pour le monde (ong confederata con Light for the world, www.lftw.org)

operare anche tra le cinquanta e settanta persone affette da cataratta… uomini e donne che arrivano in ospedale brancolando nel buio e se ne vanno via sorridenti e baldanzosi». Le cure sono offerte gratuitamente, grazie al sostegno economico di una ong di origine belga, Lumière pour le monde, che finanzia l’attività incessante del dottor Hardi. «Finisco di lavorare a tarda notte, il-

luminando l’ambulatorio con la tenue luce di una lampada a petrolio. Vado avanti fino a quando le energie me lo consentono». La stanchezza è più forte del caldo opprimente e dei nugoli di zanzare che ronzano sul letto. «Appena tocco il letto, crollo esausto… ma soddisfatto. È la vita che ho scelto e non la cambierei per nulla al mondo». Una vita in cui, però, fratel Richard non potrebbe fare a meno del suo quotidiano tempo di preghiera per ritemprare la fede. «La fede aiuta molto – sottolinea –, soprattutto a resistere nel tempo. Anche se, evidentemente, la fede in Cristo non è l’unica motivazione possibile per dedicarsi a fondo all’aiuto umanitario».

LA MALEDIZIONE DEL BUIO

Nel mondo ogni minuto un bambino diventa cieco e ogni cinque secondi un adulto perde la vista. Il 90 per cento dei 45 milioni di ciechi sulla Terra vive in precarie condizioni sanitarie e socioeconomiche. Nell’80 per cento dei casi, gli occhi potrebbero essere salvati con farmaci e cure adeguate. In Africa la cecità è spesso considerata una “maledizione” contagiosa: questa credenza spinge a relegare i ciechi ai margini della vita sociale. Ecco le principali patologie che portano a perdere la vista. Cataratta - Prima causa di cecità nel mondo, è una progressiva opacizzazione della lente naturale dell’occhio (cristallino), risolvibile con un banale intervento chirurgico. Tracoma - È un’infezione diffusa in regioni con scarsità d’acqua pulita, curabile con un trattamento antibiotico, ma può richiedere un intervento chirurgico. Avitaminosi - La carenza di vitamina A rende ciechi ogni anno 500.000 bambini. È causata dalla malnutrizione unita a condizioni sanitarie precarie. Glaucoma - È una malattia caratterizzata dalla progressiva riduzione della vista a causa dell’aumento della pressione interna dell’occhio, che avviene per accumulo dell’umore acqueo. Oncocercosi - Detta anche “cecità dei fiumi”, è un’infezione del nervo ottico causata da una piccola mosca che vive lungo i corsi d’acqua in trenta Paesi d’Africa. africa · numero 3 · 2016 71


RELIGIONE di Mario Giro

Un continente di profeti?

72 africa 路 numero 2 路 2015


DALLA NIGERIA AL SUDAFRICA, PASSANDO PER IL CONGO, DILAGA

Promettono miracoli, mandano i fedeli in trance, predicono il futuro, esorcizzano gli indemoniati. Sono i santoni alla guida delle Chiese pentecostali e apocalittiche, autoproclamati profeti di Cristo che raccolgono soldi e consensi

IL SUCCESSO DEI In diretta su Emmanuel Tv il controverso “profeta” pentecostale nigeriano T.B. Joshua sta operando un miracolo. Davanti alla consueta platea di migliaia di fedeli nella sua Synagogue Church of All Nations (Scoan) di Lagos, ha appena scoperto tra il pubblico un giovane che – sostiene Joshua – è stato mandato dai Boko Haram per mettere una bomba nella sua chiesa. Mustafa, come dice di chiamarsi, è a terra e vomita qualcosa mentre il profeta gli è addosso, lo spinge e grida a Satana di uscire da lui. Il ragazzo si alza, fa qualche metro verso l’uscita come per scappare, poi ricade. Joshua lo raggiunge e continua a gridare. La scena si ripete varie volte per lunghi minuti, fino a che il ragazzo stremato non alza le mani e dice di sentirsi meglio, che Satana lo ha lasciato. «Resta libero nel nome di Gesù», gli dice il profeta. Una forte musica contemporanea ha fatto da sfondo all’evento, con un gioco di luci dei vari grandi ri-

PASTORI CRISTIANI

◀ L’appassionato sermone di un pastore della Chiesa pentecostale della Galilea a Maputo, Mozambico

flettori della sala. Subito i solerti assistenti di T.B. Joshua portano via il presunto Boko Haram e la folla applaude, cantando lodi a Dio che ancora una volta ha operato tramite il “profeta”. Quest’ultimo prosegue il suo sermone sul male minacciando gli astanti: tutti possono esserne preda se non si lasciano guarire. Il luogo non è banale: la Scoan è una Chiesa pentecostale ricca, con una propria tivù satellitare, grandi mezzi finanziari e sedi a Londra, Accra e Atene. La maggioranza dei fedeli fa parte della nuova classe media del primo Paese africano: malgrado le sue contraddizioni, la Nigeria è all’avanguardia nel continente e ha recentemente superato anche il Sudafrica. Mille Chiese L’esplosione di locali Chiese pentecostali e neocristiane è uno dei segni distintivi di tale successo: profeti nigeriani girano ormai il continente e non solo, aggregando numerosissimi proseliti. Non c’è più bisogno di pastori “bianchi” (americani o europei): la Nigeria fa da sé e impone il suo modello di prosperità e religiosità unite assieme. Il risveglio africa · numero 3 · 2016 73

Marco Trovato



messo. Tale crisi avviene in un momento in cui le Chiese storiche (cattolica e protestanti) sono ripiegate in una conservazione burocratica e poco missionaria di sé, forti dei successi dei decenni trascorsi ma ancora troppo legate a vecchie riflessioni sull’inculturazione del Vangelo nella civiltà africana che sta per essere spazzata via. Vecchi riflessi, come la paura dell’islam fondamentalista e l’orgoglio per le proprie tradizioni, accecano molti leader religiosi che non si accorgono che l’Africa è cambiata. In tale contesto i nuovi profeti

predicano il “risveglio”, al pari di molti predicatori pentecostali latinoamericani o statunitensi, ma vi aggiungono uno specifico africano che ha impatto sulla loro società contemporanea. T.B. Joshua è uno dei nuovi profeti moderni di quest’Africa che entra nella globalizzazione: si scaglia contro la corruzione, dialoga con la classe dirigente, propone prosperità e guarigione a tutti. Cita la Bibbia cristiana e continua a combattere il feticismo. Ma la sua arma più grande è la pretesa di guarire dall’Aids e dai tumori.

AUTORE

L’autore dell’articolo, Mario Giro, 57 anni, politico, è il nuovo viceministro degli Esteri con delega alla Cooperazione Internazionale. Profondo conoscitore dell’Africa, autore di numerosi saggi sulla geopolitica del continente, membro della Comunità di Sant’Egidio, da trent’anni si occupa di promuovere la pace, il dialogo interreligioso, le relazioni diplomatiche con il mondo musulmano e africano. Collaboratore e amico della nostra rivista (interverrà al prossimo workshop Dialoghi sull’Africa, il 19-20 novembre 2016), scrive per Limes e L’Huffington Post (da cui è tratto l’articolo che ripubblichiamo in queste pagine). www.mariogiro.it

SOSTIENI I MISSIONARI D’AFRICA SCEGLI QUALE PROGETTO ADOTTARE 1 MOZAMBICO

assistenza agli orfani (P. Claudio Zuccala) 2 MALI

7 RD CONGO

cibo e cure per i rifugiati (P. Pino Locati) 8 AIUTI DA DESTINARE

medicine per un dispensario (P. Alberto Rovelli)

dove è più urgente (P. Paolo Costantini)

3 BURKINA FASO microcredito per le donne (P. Maurice Oudet)

9 ITALIA assistenza ai padri anziani (P. Paolo Costantini)

4 MALI aiuto scolastico a bambini (P. Vittorio Bonfanti)

10 ALGERIA sostegno a studenti universitari (P. Aldo Giannasi)

5 SUDAFRICA retta scolastica per seminaristi (P. Luigi Morell) 6 UGANDA aiuto a studenti poveri (P. Jean Le Vacher)

Tel. 0363 44726

11 MALAWI

biogas per un villaggio (P. Abdon Gamulani)

africa@padribianchi.it

AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

COME AIUTARE: Le offerte, fiscalmente deducibili, vanno inviate alla Onlus AMICI DEI PADRI BIANCHI (cod. fiscale 93036300163) SPECIFICA IL TITOLO O IL NUMERO DEL PROGETTO Dona tramite: - WEB con Paypal dal sito www.missionaridafrica.org - POSTA CCP numero 9754036 - BANCA IBAN IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: BCCTIT2TXXX

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DAI IL TUO 5 x 1000 AI MISSIONARI D’AFRICA UNA FIRMA PUÒ REGALARE LA SPERANZA Scegli la Onlus Amici del Padri Bianchi per il tuo 5x1000. A te costa zero, ma aiuterai i Missionari d’Africa a finanziare svariati progetti di utilità sociale a favore dei più bisognosi. Come fare? È davvero semplice: 1. Compila il modulo 730, il CU oppure il Modello Unico 2. Firma nel riquadro “Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale…” 3. Indica il codice fiscale della ONLUS AMICI DEI PADRI BIANCHI: 93036300163

AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

La Onlus Amici dei Padri Bianchi presenta il bilancio 2015 approvato dall'Assemblea Generale degli associati riunitasi il 29 aprile 2016. Di cuore ringrazia quanti l'hanno sostenuta, incoraggiata e aiutata con donazioni e con il 5 x 1000. I - CONTO PATRIMONIALE AL 31/12/2015 ATTIVITÀ cassa conto corrente postale ccp - Chiasso (abbonati Svizzeri) banca cassa rurale Paypall Totale attività PASSIVITÀ sostegno rivista Africa (Prov.It.Padri B.) progetti 2015 più Ste Messe patrimonio sociale avanzo di gestione anni precedenti avanzo di gestione bilancio 2015 Totale passività II - RENDICONTO ECONOMICO 31/12/2015 a) Ricavi donazioni ricevute sostegno rivista Africa entrate con mostre Africa entrate con Workshop Africa proventi 5 x 1000 - Agenzia delle Entrate Totale ricavi b) Interessi C/c banche c ) Costi cancelleria e mat. di consumo risorse umane e rappresentanze viaggi e carburanti spese bancarie e perdite cambio ammort. oneri pluriennali

€ 7.616,01 € 7.505,05 € 4.004,05 € 28.056,24 € 2.865,16 € 50.046,51 € 4.575,24 € 17.466,28 € 4.100,00 € 23.391,35 € 513,64 € 50.046,51

€ 8.517,15 € 9.080,82 € 5.966,00 € 4.113,00 € 14.432,24 € 42.109,21 € 170,64 € 3.237,59 € 5.343,22 € 1.599,39 € 2.634,65 € 1.152,00

mostre - costi di allestimento € 5.321,26 workshop - costi di allestimento € 3.786,60 spese vive per rivista Africa €13.158,55 erogazioni a Africa e Padri Bianchi € 5.532,95 Totale costi € 41.766,21 A - Totale ricavi € 42.109,21 B - Proventi finanziari € 170,64 C - Totale costi -€ 41.766,21 Risultato netto di gestione € 513,64

Nell'anno solare 2015 la Onlus ha raccolto per progetti di missionari Padri Bianchi una somma totale di € 92.765,00. Di questi, € 16.175,00 sono da erogare nel 2016 e € 76.590,00 sono stati erogati come segue: PROGETTO referente erogati 01-2015 Mozambico Prog. Angeli inn. P. Claudio € 7.250,00 02-2015 Mali Dispensario Gao P. Rovelli €16.300,00 03-2015 Burkina Micro-finanziamenti p. Oudet € 4.980,00 04-2015 Mali Ass. a bambini P. Bonfanti € 2.490,00 05-2015 Kenya Aiuto seminaristi PB P. Morell € 5.090,00 06-2015 Ouganda Cucina per scuola P. Le Vacher € 3.600,00 07-2015 Sfollati Goma P. Locati € 960,00 09-2015 Assist a padri anziani P. Costantini € 8.000,00 14-2012 RD Congo Giovani RDC P. Marchetti € 5.070,00 15-2012 (chiuso) Mali Carestia P. Bonfanti € 900,00 95-2015 Prog. Sostegno Africa P. Costantini € 21.950,00 Totale erogato direttamente nel 2015 per progetti € 76.590,00 La somma di € 11.500 raccolta dal Prog 9-2015 (progetto più urgente) è stata distribuita tra i vari progetti più urgenti e necessitosi.

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 30 € · formato digitale (pdf) 20 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 40 Chf · rivista cartacea (Estero) 45 € · rivista cartacea+digitale (Italia): 40 € · rivista cartacea+digitale (Svizzera): 50 Chf · rivista cartacea+digitale (Estero) 55 €

Si può pagare tramite: · Bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT93 T 08899 53640 000000 001315 · Versamento postale su C.C.P. n. 67865782

I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

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Per informazioni: segreteria@africarivista.it


MISSIONARI D’AFRICA Notizie e progetti dei padri bianchi italiani e svizzeri N. 2 MAGGIO 2016 - ANNO 95

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AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

VERSO UNA MISSIONE SENZA CONFINI

ALLEGATO REDAZIONALE

Intervista al Superiore generale dei Padri Bianchi In vista del Capitolo generale della Congregazione che si terrà a Roma dal 13 maggio al 13 giugno, Richard Kuuia Baawobr afferma: «Ormai siamo chiamati alla testimonianza anche in zone tradizionalmente cristiane, in collaborazione con altre congregazioni e con le Chiese locali» Quali sono le sfide più importanti affrontate nel corso del suo mandato? In sei anni – spiega Richard Kuuia Baawobr, Superiore generale dei Padri Bianchi, Missionari d’Africa – abbiamo dovuto affrontare anzitutto l’invecchiamento e la diminuzione del numero dei confratelli in Europa e Nord America. Più della metà dei membri della Società sono anziani a riposo. Questo pone limiti agli impegni che possiamo prendere. Si dovranno fare scelte tra noi e le Chiese locali in cui operiamo. Vi sono poi i problemi finanziari. I nostri benefattori ci hanno aiutato molto; anch’essi però sono invecchiati. In più, altri progetti umanitari chiedono aiuti e ci “fanno concorrenza”. Questo ci obbliga a ricorrere sempre più ai fondi di riserva oppure a trovare finanziamenti attraverso il nostro lavoro. Dobbiamo diventare creativi e, allo stesso tempo, non essere presi totalmente dalle preoccupazioni economiche e distrarci dal lavoro missionario. Infine, non siamo indifferenti all’instabilità poli-

tica che caratterizza alcuni Paesi in cui operiamo: Mali, Niger, Nigeria, Burundi, Rd Congo, ecc. Nonostante la buona volontà, talvolta abbiamo dovuto sospendere la nostra presenza in alcuni luoghi. Soffriamo con la gente e ci piacerebbe che le cose andassero meglio, ma non possiamo fare molto da soli. Quali sono gli impegni più importanti che dovrà affrontare il suo successore? Ne segnalo quattro: 1) Bisogna accettare un nuovo concetto di missione, che non sarà più qualcosa che vivono solo alcune persone dotate di spirito eroico in Paesi lontani, ma qualcosa che si vive ovunque, anche nei nostri Paesi. 2) Nel 201819, la nostra famiglia missionaria celebrerà i 150 anni. Vogliamo che questa sia l’occasione per guardare al passato con gratitudine, chiedere guarigione se ci siamo fatti del male gli uni gli altri, imparare a vivere con passione il nostro carisma. 3) Di fronte alla radicalizzazione di un certo tipo di islam, dobbiamo continuare a dare una visione po-

sitiva dell’islam e insistere sul fatto che il dialogo è possibile. 4) La maggioranza dei confratelli africani o asiatici è giovane, ma anch’essi invecchieranno. Perciò dobbiamo pensare a strutture per accoglierli al momento del ritiro dalla missione attiva. Quale collaborazione con altre congregazioni? Stiamo collaborando con altri istituti nel campo della formazione. Una collaborazione più stretta è necessaria nell’accoglienza di migranti e rifugiati. È necessario infine riflettere sul come cercare insieme fondi per la nostra missione comune, invece di operare spesso in competizione. Lei è stato ordinato vescovo e si insedierà nella diocesi di Wa (Ghana): che cosa si porterà dall’esperienza dei Padri Bianchi? Porterò l’attaccamento alla Parola di Dio, il mio amore per la vita, il lavoro in comune e la missione come discepolo di Gesù e di Lavigerie (che ha amato l’Africa).


«SCOMMETTIAMO SULLA FORMAZIONE» Incontro con il Superiore dei Padri Bianchi in Europa André Simonart, Provinciale d’Europa: «Le vocazioni calano e la congregazione invecchia, ma noi stiamo investendo nell’animazione missionaria e nella formazione per avere religiosi preparati. Continueremo a combattere contro i pregiudizi su immigrati e islam»

Quale territorio copre la Provincia europea? E quanti Padri Bianchi sono presenti nel nostro continente? La Provincia – risponde padre André Simonart – copre tutta l’Europa, anche se, in realtà, abbiamo comunità in dieci Paesi. I Padri Bianchi europei sono 592 (il 47% del totale) e sono maggiormente presenti in Francia (162), Belgio (128) e Germania (96). L’Italia ne conta 33 (di cui 10 in missione) e la Svizzera 23. Qual è la principale opera in cui sono impegnati i Padri Bianchi? È la cura e l’assistenza dei confratelli anziani e malati, ormai in maggioranza: l’età media è di 70 anni. Nella Provincia abbiamo 37 comunità, di queste 20 sono dedicate

esclusivamente ai confratelli anziani e malati e sette sono comunità dove confratelli anziani, ma autonomi, vivono con altri. Alcuni confratelli, poi, abitano in strutture sanitarie esterne ove possono ricevere assistenza medica. La congregazione investe quindi molto nell’assistenza ai confratelli per permettere loro di vivere con serenità la loro vecchiaia. I giovani Padri Bianchi invece di che cosa si occupano? Lavorano per favorire il dialogo con l’islam e con i migranti africani. In questo contesto operano l’Afrika Center a Berlino (Germania); una parrocchia a Marsiglia (Francia); un’altra a Roquetas de Mar (Spagna); il Centro Amani e l’Arcre (Azione per l’incontro con le culture

e le religioni) entrambi a Bruxelles. Un padre italiano opera nella nuova comunità d’accoglienza di Modica, in Sicilia. Cerchiamo di aiutare gli immigrati insegnando lingue, informatica e sostenendoli nelle pratiche burocratiche. L’Arcre è anche un centro studi sull’islam in Europa e ci stiamo concentrando sull’apertura di una comunità simile a Tolosa (Francia). Queste comunità lavorano in coordinamento con la Chiesa locale e con altre congregazioni. Quale futuro per una congregazione che invecchia? Negli anni Sessanta eravamo 3.000, oggi siamo 1.200, probabilmente in futuro ci attesteremo sugli 800. Dovremo, quindi, con dispiacere, diminuire gli impegni missionari. Ma non vogliamo che la nostra congregazione muoia. Per questo, stiamo investendo nella formazione dei missionari e nell’animazione vocazionale. Attualmente abbiamo 500 giovani in formazione. Ciò significa che negli anni prossimi avremo tra le venti e le trenta ordinazioni all’anno. I giovani saranno tutti destinati alle missioni. Nessuno di loro sarà destinato a case dove si trovano anziani. Quale concetto di missione porterete avanti? Oggi, la missione non è più un fatto ecclesiale, ma è un incontro gratuito tra persone, una testimonianza di rispetto e di appoggio nel cammino verso la libertà umana, politica ed economica. Vivremo la nostra presenza in Africa e America Latina con simpatia e benevolenza verso chi incontreremo e verso altre esperienze spirituali, soprattutto i musulmani. In Europa dovremo soprattutto far fronte all’ignoranza e alle paure che alimentano i pregiudizi e le profezie dello scontro di civiltà.

Giovani Padri Bianchi e Suore Bianche animano una messa a Roma con ritmi africani


MISSIONARIO UN GIORNO, MISSIONARIO PER LA VITA Incontro con i padri della comunità di Castelfranco Veneto Gli anziani Padri Bianchi che vivono nella comunità di Castelfranco Veneto (Tv), dopo anni trascorsi in Africa, continuano a dare il loro contributo nella Chiesa e nella comunità locale. «La gente ci vuole bene – dicono – e noi lavoriamo per l’integrazione»

«Missionari si rimane sempre. Ero missionario quando lavoravo in Africa, lo sono ancora adesso rientrato in Europa. E poi, anche qui in Italia, negli immigrati ritrovo i volti, le culture, le espressioni dell’Africa. Quindi anche qui posso dare il mio contributo. E lo darò finché potrò». Luigi Lazzarato, 81 anni, 56 anni di sacerdozio, ha ancora l’entusiasmo di quando, giovane sacerdote, partì per la Rd Congo. Lui e i suoi confratelli della comunità di Castelfranco Veneto (Tv) non si sono arresi a una comoda vita da pensionati. Forse hanno rallentato i ritmi. Forse qualche acciacco ogni tanto li blocca. Forse hanno bisogno di qualche aiuto del quale un tempo non necessitavano. Ma il loro contributo alla comunità è ancora importante. «Personalmente – continua Lazzarato – cerco di lavorare per il dialogo con i musulmani. Ho scritto un

Alcuni Padri Bianchi italiani celebrano a Castelfranco Veneto il loro giubileo sacerdotale assieme a sacerdoti del clero locale

libretto con un amico palestinese che vive qui in Veneto nel quale presento agli islamici la figura di san Francesco. Un santo cattolico che l’islam considera molto vicino. Poi non ho interrotto i miei rapporti con la missione in cui ho lavorato in Congo. Insieme ad amici stiamo studiando vari progetti per aiutare quella comunità. Conto anche di tornarvi e, se Dio vorrà, per qualche settimana rivedrò la mia missione». Padre Luigi ha poi dato vita a un corso di alfabetizzazione per africani proprio nella comunità dei Padri Bianchi di Castelfranco. «È un’iniziativa – spiega – che por-

tiamo avanti insieme alla società civile locale. È un modo per insegnare l’italiano, ma anche la nostra cultura, ai ghanesi del territorio. È così che cerchiamo di favorire l’integrazione». I Padri Bianchi continuano anche nella loro missione spirituale. «Qui in Italia – osserva Mariano Ceccon, 81 anni, sacerdote dal 1961 – aiuto in parrocchia con le confessioni e celebrando le messe. La gente ci stima molto. Dicono che abbiamo una marcia in più perché abbiamo una mentalità più aperta, maturata in tanti anni di missione a contatto con culture diverse». Una mentalità che li porta a guardare con molta fiducia ai laici: «La Chiesa africana si affida molto ai laici. Qui invece il clero ha ancora diffidenza; ma il laicato ha un’importanza fondamentale nella diffusione della fede. Questa esperienza la porto sempre con me e cerco di convincere anche i sacerdoti locali. Sebbene con molta difficoltà». «Vedo che gli italiani sono sensibili all’accoglienza se si spiegano loro i problemi dell’Africa – osserva Luigi Costa, 79 anni, 51 anni di sacerdozio –. Il problema è che spesso le persone non hanno voglia di approfondire e dall’ignoranza nasce la diffidenza». «Bisogna scommettere sull’animazione missionaria – conclude Fausto Guazzati, 81 anni, dei quali 55 di sacerdozio –. Personalmente lavoro con alcuni gruppi missionari. Racconto loro di un’Africa con grandi valori culturali e capacità di accoglienza. E chiedo loro di rispettare gli immigrati. Nostalgia per l’Africa? Nostalgia no, ma un grande amore, quello sì». Per chi volesse aiutare i Padri Bianchi anziani può contribuire partecipando al progetto n° 9: “Assistenza ai padri anziani” (Vedi Africa, pag. 77) Tramite la onlus AMICI DEI PADRI BIANCHI, Iban: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 Bic/swift: ICRAITRRTR0


A MAGGIO IL CAPITOLO GENERALE Dal 13 maggio al 13 giugno, la Società dei Missionari d’Africa (Padri Bianchi) terrà a Roma l’incontro periodico in cui verranno fissate le linee strategiche della congregazione per i prossimi anni La Società dei Missionari d’Africa terrà il suo Capitolo generale a Roma dal 13 maggio al 13 giugno. Vi prenderanno parte 60 membri provenienti da 18 Paesi; 42 di essi, in parte eletti dalla base, hanno diritto di voto, dei quali 24 sono africani. Il Capitolo generale di una congregazione o istituto religioso è l’assemblea costituita da sacerdoti e fratelli secondo norme stabilite dalle proprie leggi e costituzioni. Il Capitolo dei Padri Bianchi è chiamato ad esaminare l’attività dell’istituto negli ultimi sei anni, studiare i diversi aspetti della vita dell’istitu-

AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

to, indicare le vie della missione dei Padri Bianchi per i prossimi sei anni ed eleggere il nuovo governo generale. La strada percorsa in questi anni è ancorata all’evangelizzazione dell’Africa e il dialogo con l’islam, strada che tuttora indica la ragion d’essere della congregazione al fine di rispondere alle odierne necessità del mondo africano. Fondamentale per i Padri Bianchi sono le parole che aprono il sito italiano: “Il nome Missionari d’Africa e Missionarie di Nostra Signora d’Africa esprime perfettamente la nostra vocazione: nati in Africa e per

Il logo ufficiale del Capitolo Così l’artista, suor Gys Dubé, spiega il logo ufficiale del Capitolo. Al centro, l’Africa, il Cristo, “sole” delle nostre vite, e poi la missione, simboleggiata dai movimenti verso la periferia... Le foglie rosse che si innalzano verso il Creatore rappresentano la creazione in festa. Le nostre mani alzate verso di Lui: «Laudato si’».

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L’ALTRA METÀ DEL CIELO Dopo la congregazione maschile, il card. Lavigerie fondò quella femminile che, nelle sue intenzioni, doveva lavorare insieme alle donne musulmane per combattere la povertà e favorire la crescita delle loro comunità Un anno dopo la fondazione della congregazione maschile (1868), il card. Lavigerie fondò il ramo femminile delle Suore missionarie di nostra Signora d’Africa (1869), dette “Suore Bianche”. Queste, fin da subito si dedicarono alla missione ad gentes, concentrandosi sul mondo musulmano e, in particolare, sulle donne musulmane,

l’Africa, siamo una Società di vita apostolica. composta da preti e fratelli laici consacrati, solidali con gli africani, attenti ai loro problemi e impegnati per il loro avvenire.”

con le quali i loro confratelli facevano fatica a entrare in contatto. In questo, fedeli al mandato del card. Lavigerie che le aveva volute «donne apostole tra le donne». «Le donne – aveva detto il porporato –devono essere i più efficaci missionari di questo popolo… Malgrado lo zelo dei missionari, i loro sforzi non produrranno frutti

sufficienti se non aiutati da donne apostoli». Come i padri, anche le Suore Bianche si impegnano nella lotta alla povertà e alla realizzazione di diverse attività nei settori dell’educazione e della sanità. Attualmente le Suore Bianche sono circa mille e hanno 143 comunità in tutto il mondo. Sono presenti in Europa (Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Svizzera), Africa (Algeria, Burkina Faso, Burundi, Ciad, Congo, Ghana, Kenya, Malawi, Mali, Mauritania, Mozambico, Ruanda, Tanzania, Tunisia, Uganda, Zambia), Americhe (Canada, Messico, Stati Uniti) e Asia (Filippine).


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