AFRICA N. 3 MAGGIO-GIUGNO 2017 - ANNO 96
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VIVERE IL CONTINENTE VERO
Rd Congo
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Guerra alle donne
Cinema
Sudan
Khartoum al bivio
Zambia
L'arca del Re
A TUTTO SCHERMO
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Sommario MAGGIO - GIUGNO 2017, N° 3
COPERTINA Grandi schermi d’Africa
42
3
di Simona Cella e Andrea Frazzetta
EDITORIALE La foto più bella di Marco Trovato
ATTUALITÀ
AFRICA
MISSIONE • CULTURA
Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) DIRETTORE RESPONSABILE
4
PRIMA PAGINA
6
PANORAMA
8
Kivu, l’inferno delle donne
di Raffaele Masto
di Enrico Casale di Daniele Bellocchio e Marco Gualazzini
La ferita che lacera il Sudafrica
16
18
Kenya, il vento del Turkana
di Peter Harwood
di Alberto Salza
22
Sudan. Khartoum guarda al futuro
30
LO SCATT O Proibito soccorrere?
di Marco Trovato
di R. García Vilanova / Afp
Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE
Marco Trovato WEB
Enrico Casale (news) Raffaele Masto (blog) PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA
Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI
SOCIETÀ 32
Senegal. Rivoluzione verde 2.0
34
Ruanda. L’amico delle gru
36
Nigeria. Domatori di iene
Nigeria. Alla corte del Re
Paolo Costantini
38
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
50
Claudia Brambilla
di Enrico Casale e Sven Torfinn
di Henri Mutemba
di Matthew Taylor e Pieter Hugo di Raffaele Masto
CULTURA Le bambole del settimo giorno di I. Barakat e D. Penati
52
CULTURA L'arca del Re sullo Zambesi
58
CULTURA Arbegnoch, l’altra Resistenza
62
CULTURA Quell’amore più forte dell’apartheid
FOTO
65
CULTURA Il pugile nero
Si ringrazia Parallelozero In copertina: courtesy A. Frazzetta Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand
66
SPORT I (pacifici) guerrieri di Dakar di Marco Trovato e Irene Fornasiero
EDITORE
Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi PUBBLICITÀ
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STAMPA
Jona - Paderno Dugnano, Milano Periodico bimestrale - Anno 96 maggio - giugno 2017, n° 3 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 SEDE
Viale Merisio, 17 - C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 info@africarivista.it www.africarivista.it Africa Rivista @africarivista @africarivista africa rivista UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).
di Adriano Marzi di George Makonde
di George Makonde
70 RELIGIONE Il riscatto delle bambine Irene Fornasiero e Bruno Zanzottera
di Franck Charton
perdute di Valentina Milani,
INVETRINA
74
Eventi a cura della redazione
75
Arte e Glamour
76
Sapori
77
Solidarietà
78
Libri
79
Musica di Claudio Agostoni
79
Film
80
Viaggi
82
Web
83
Bazar di Sara Milanese
84
a cura della redazione
di Irene Fornasiero di Valentina G. Milani
di Pier Maria Mazzola
di Simona Cella di Marco Trovato
di Giusy Baioni
Posta
africa · 3 · 2017 1
In omaggio ai nuovi abbonati di
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e a chi regala un abbonamento AFRICA N. 2 MARZO-APRILE 2017 - ANNO 96
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La guerra all’olio di palma
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Sulla cresta dell’onda
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La Pasqua dei senegalesi
Africa Raffaele Masto Editrice Tam 2016 160 pagine
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La foto più bella L’Homo turisticus gira l’Africa armato di macchine fotografiche. Ostenta attrezzature costose e spesso ingombranti che lo rendono riconoscibile ovunque. Dispone di un arsenale di zoom grossi come cannoni. Scarica all’impazzata raffiche di scatti. Va a caccia di valorosi guerrieri con le lance, silhouette di acacie al tramonto, frotte di bimbi scalzi… Immagini intrise di esotismo o di pietismo. Un tempo, l’Homo turisticus riempiva il bagaglio di rullini. Oggi si porta appresso manciate di memory card. L’evoluzione tecnologica ha compattato le tradizionali reflex. Si scatta sempre più spesso con lo smartphone e con un tap si condivide in un attimo la foto con il resto del mondo. In futuro, ci dicono, l’obiettivo sarà incorporato in lenti a contatto che trasformeranno i nostri occhi in dispositivi hi-tech in grado di catturare immagini digitali. Basterà fare l’occhiolino per azionare lo zoom e sbattere le palpebre per scattare una fotografia. «Da piccolo, pensavo che gli europei avessero la macchina fotografica incorporata nel collo», mi ha confidato un vecchio senegalese. «Tutti i bianchi ne avevano una, e non se ne staccavano mai. Credevo fosse una sorta di protuberanza del corpo. Forse un frutto dell’evoluzione». Nel 2050, con l’avvento degli occhi bionici e le prevedibili sventagliate di battiti di ciglia, alcuni africani penseranno che tutti gli occidentali soffrano di fastidiosi tic nervosi. Cambieranno senz’altro i dispositivi per fotografare, ma quel che dovrebbe cambiare è il nostro modo di guardare. Ancora oggi l’industria del turismo invita a scoprire
“terre selvagge e incontaminate, abitate da popolazioni isolate che hanno conservato usi e costumi invariati da secoli”. Miriadi di viaggiatori partono alla ricerca dell’ultima emozionante frontiera d’Africa. E vogliono portarsi a casa, come souvenir, i cliché di un mondo tribale, primordiale, indifferente allo scorrere del tempo. Un mondo “tipicamente” africano. Ignorano, anzi, escludono dall’inquadratura, quanto abbia a che fare con la modernità e la globalizzazione. Chiedono al Tuareg in posa tra le dune di nascondere sotto la tunica l’orologio con navigatore gps. Invitano il Masai in mezzo alla savana a mollare il suo cellulare per impugnare lo scudo da guerriero. Le foto che ne escono sono tutt’altro che autentiche e spontanee, ma fanno il loro effetto… centrano l’obiettivo: riaffermare e consolidare il déjà vu dell’Africa e delle sue genti. Non lo fanno solo i turisti ma anche (e con maggiori responsabilità) giornalisti e fotoreporter. Per lavoro faccio anch’io fotografie, anche se non sono un professionista né un fanatico dell’obiettivo. Le immagini migliori che ho realizzato sono quelle in cui i soggetti ritratti si erano dimenticati della mia presenza. Li ho immortalati nella loro naturalezza dopo aver trascorso del tempo con loro ed essermi conquistato con pazienza la loro fiducia e, talvolta, amicizia. Ma le mie fotografie a cui sono più legato, ancora oggi capaci di emozionarmi, sono quelle che ho deciso di non scattare. E che sono rimaste impresse nei miei occhi. Marco Trovato
RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 35 € · formato digitale (pdf) 25 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 45 Chf · rivista cartacea (Estero) 50 € · rivista cartacea+digitale (Italia): 45 € · rivista cartacea+digitale (Svizzera): 55 Chf · rivista cartacea+digitale (Estero) 60 €
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LA STRATEGIA HI-TECH DEGLI USA L’Amministrazione Obama aveva incoraggiato i colossi statunitensi del web e dell’informatica a investire in Africa. Per promuovere lo sviluppo. E conquistare un mercato promettente. Che cosa farà Donald Trump?
La dirompente crescita demografica africana attira interessi di ogni tipo. Il continente, nel giro di pochi decenni, sarà un mercato di quasi due miliardi di persone – in gran parte giovanissime – e un territorio che continuerà a fornire materie prime tradizionali e strategiche.
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NEWSMasto di Raffaele NEWS
dell’hi-tech per allargare le loro aree di influenza, consolidare le leadership politiche amiche, e penetrare nel promettente mercato africano. CORRENTE E TELEFONI Poiché internet e i computer hanno bisogno di elettricità, è prioritario estendere quanto più possibile la rete elettrica. Così l’amministrazione Obama ha varato un piano chiamato “PowerAfrica”: un investimento enorme, di quasi dieci miliardi di dollari, per raddoppiare l’accesso in Africa all’energia elettrica (dove ancora oggi due persone su tre non hanno la luce). Benché i lavori procedano a rilento, i risultati cominciano a farsi vedere. Nel 2010, solo il 21% degli africani aveva accesso a internet, oggi siamo al 38%. Microsoft nel 2013 ha lanciato Microsoft4Afrika, un’iniziativa che prevedeva di portare agli africani decine di milioni di smartphone e tablet. In poco più di tre anni l’obiettivo è stato raggiunto. Microsoft ha fatto di più, ha realizzato una strategica alleanza con un rivale agguerrito, la cinese Huawei, per lanciare sul mercato uno smartphone misto, Huawei4Africa, basato su Windows Phone 8, che è stato venduto a prezzi molto contenuti in Angola, Costa d’Avorio, Kenya, Sudafrica, oltre che in alcuni Paesi del Maghreb.
LA CORSA ALL’AFRICA Le grandi potenze economiche hanno strategie di penetrazione diverse: la Cina (e altre economie emergenti asiatiche) costruisce infrastrutture in cambio di concessioni minerarie. Le ex potenze coloniali europee insistono sugli investimenti di grandi aziende tradizionali, mentre le monarchie del Golfo e altri fondi sovrani del mondo arabo puntano sulla loro formidabile forza finanziaria. Gli Stati Uniti non sono esclusi da questa nuova corsa all’Africa. La loro strategia però si differenzia in modo marcato da quella dei loro rivali ed è stata esplicitata nel 2012 dall’allora presidente Obama nella Strategy Toward Sub-Saharian Africa, che stabiliva l’interesse degli Usa a collaborare con i Paesi africani per promuovere sviluppo economico, sociale e della democrazia attraverso l’uso delle nuove tecnologie. Insomma, una strategia che coinvolgeva le imprese statunitensi
DRONI E CONNESSIONI Facebook, che ha annunciato di avere già oltre 150 milioni di utenti africani, sta valutando di impiegare droni ad alta quota dotati di pannelli solari che, sorvolando le aree più remote, porteranno la connessione dove non sarebbe immaginabile averla e dove, prossimamente, sarebbe così “possibile” utilizzare uno smartphone. Anche Google ha fatto grandi progressi, tanto che, in un programma comune con l’Onu e alcune agenzie umanitarie,
SUDAFRICA
EGITTO
Proteste di piazza, raid con bastoni e spranghe: all’inizio di marzo il Paese è stato investito da una nuova ondata di rabbia popolare contro gli immigrati (provenienti da Zimbabwe, Mozambico e Somalia), accusati di togliere il lavoro e alimentare la crisi economica. Le rivolte sono state represse dalla polizia con cariche, lacrimogeni e proiettili di gomma. Le frequenti violenze xenofobe hanno già causato decine di morti.
4 africa africa·3· 3 · 2017 · 2017
Archeologi egiziani hanno rinvenuto, il 16 marzo, un’antica statua di otto metri in un quartiere popolare del Cairo. Il ritrovamento – una delle più importanti scoperte degli ultimi decenni – è avvenuto in un’area in cui sorgeva l’antica Heliopolis. Il ministro delle Antichità, Khaled El Anany, ha riferito che la statua gigante raffigura il faraone Psammetico I (non il celebre Ramses II, come ipotizzato in un primo momento).
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ha creato un sistema per sorvegliare la frontiera tra Sudan e Sud Sudan per denunciare eventuali violazioni dei confini. Il sistema è stato poi usato anche per tracciare le violenze nella Repubblica democratica del Congo e per renderle pubbliche con uno smartphone. Anche Ibm, Apple e Amazon stanno facendo colossali investimenti per penetrare in Africa, sfruttando il sostegno della diplomazia a stelle e strisce. Insomma, gli Stati Uniti con le loro imprese leader dell’informatica e del web stanno puntando a sviluppare l’accessibilità delle nuove tecnologie a sud del Sahara per trarre vantaggi da un mercato africano che può contare su numeri enormi. Sul futuro pesano però delle incognite. La prima: Donald Trump confermerà e sosterrà PowerAfrica, indispensabile per estendere l’uso di internet? E ancora: il neopresidente renderà incompatibile la sua politica di protezionismo con i programmi lanciati da Obama?
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SOMALIA
Dopo due anni di tranquillità, i pirati somali sono tornati a colpire nello Stretto di Aden, via commerciale di rilevanza mondiale pattugliata da navi militari europee, americane e asiatiche. A farne le spese, una petroliera abbordata al largo del Puntland. I predoni del mare hanno chiesto un riscatto per rilasciare gli otto membri dell’equipaggio, provenienti dallo Sri Lanka. La loro liberazione è avvenuta il 16 marzo.
COSTA D’AVORIO
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In Africa usano internet 335 milioni di persone: il 27% della popolazione. Nel mondo gli utenti del web sono tre miliardi e mezzo: un abitante su due.
ERITREA
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Entro luglio Asmara potrebbe diventare Patrimonio dell’Umanità. La capitale dell’Eritrea vanta vie, piazze ed edifici che sintetizzano gli stili architettonici dei primi decenni del secolo scorso. Per esempio, la stazione di servizio Fiat Tagliero (foto), con la sua forma d’aeroplano, è un monumento futurista. Il riconoscimento dell’Unesco sarebbe un segnale di disgelo internazionale nei confronti del regime di Isaias Afwerki.
A metà aprile la città di Bonoua, 50 chilometri a est di Abidjan, ha ospitato l’eccentrico e colorato Popo Carnaval del popolo abouré. La ricorrenza è caratterizzata da travestimenti goliardici (popo significa “maschera” in lingua locale), ma anche défilé di moda, concorsi di bellezza, recite teatrali, gare acrobatiche e rievocazioni storiche ispirate all’epoca coloniale… Il tutto accompagnato da abbuffate e fiumi di birra.
ETIOPIA
In una discarica alla periferia di Addis Abeba almeno 72 persone sono morte, l’11 marzo, quando una grande collina formata dalla spazzatura accumulata in cinquant’anni è crollata distruggendo una cinquantina di baracche. La capitale dell’Etiopia, che ha 3,5 milioni di abitanti, produce ogni giorno più di 8500 metri cubi di rifiuti. La gran parte finisce nella discarica di Koshe, luogo della tragedia, dove centinaia di persone vivono rovistando nel pattume.
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ATTUALITÀ testo di Daniele Bellocchio – foto di Marco Gualazzini
Kivu, l’inferno delle donne
A TU PER TU CON L’ORRORE. REPORTAGE DALLA REGIONE CONGOLESE DOVE LO STUPRO È UN’ARMA DI GUERRA
I villaggi nelle foreste della Repubblica democratica del Congo sono presi d’assalto da orde di banditi e miliziani che rapiscono le donne e le trasformano in schiave sessuali. Nemmeno le bambine di pochi anni vengono risparmiate Una striscia di terra rossa attraversa la foresta congolese. La pioggia cade incessante e, lasciatici ormai alle spalle Bukavu, anche i rumori del caotico capoluogo del Sud Kivu sono sostituiti dal ripetitivo martellare delle gocce d’acqua, che come proiettili si abbattono sul parabrezza. Una strada dissestata, che va trasformandosi in torrente fangoso, e una giungla totalizzante: è il paesaggio che ci accompagna fino a Kavumu. Le colline circondano questo piccolo villaggio, posto al confine tra il Nord e il Sud Kivu. Una nebbia sottile, satura di timori e paure, si solleva dai campi. Camminando tra le abitazioni, un’inquietudine assoluta, un senso di terrore onnipresente, aleggia in ogni dove. Lo si percepisce sui volti dei bambini che si nascondono in casa, in quelli delle madri che
◀ J.K., 18 anni, vive nascosta in un rifugio di fortuna per sfuggire alle violenze dei gruppi ribelli che hanno attaccato il suo villaggio. Le donne stuprate nella Repubblica democratica del Congo sono vittime di pregiudizi e talvolta finiscono per essere ripudiate dagli stessi famigliari
chiamano i figli, perentorie, al vedere arrivare degli stranieri, e negli occhi nascosti dietro i precari muri delle stamberghe, che spiano ogni movimento dei cronisti. Crimini atroci Qui c’è stato l’orrore e, camminando nella melma, sembra di veder ancora affiorare le orme di una tragedia che ha marchiato in modo indelebile la Rd Congo in generale e il villaggio di Kavumu in particolare. Qui, dal 2013 al 2016, un incubo, difficile anche solo da immaginare, si è consumato nel silenzio assoluto. Per tre anni, 44 bambine dai 2 agli 11 anni sono state prelevate di notte, condotte nella foresta e violentate ripetutamente da uomini armati. Il territorio è infestato da gruppi ribelli e gli autori delle atrocità risultano essere, in questo caso, dei miliziani facenti capo al deputato provinciale Frédéric Batumike, che ora, insieme con 74 dei suoi uomini, è in carcere, in attesa di essere processato per violenza sessuale e crimini contro l’umanità. Quello che è avvenuto è il male nella sua accezione più mostruosa e le africa · 3 · 2017 9
Caccia alle vergini Magia e superstizione: torturare, violentare e uccidere per assicurarsi salute, potere, ricchezza, invincibilità. A spiegarlo è sempre l’assistente legale: «Uno stregone, con ogni probabilità, ha detto a quegli uomini che, se avessero abusato di una vergine, avrebbero ottenuto la protezione dai proiettili in battaglia e l’immunità o la cura dall’aids; che, se avessero bagnato il terreno con il sangue di queste ragazze,
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sue cicatrici sono ancora visibili. «Da quando i colpevoli sono stati arrestati, le atrocità sono finite, ma i danni sono impossibili da cancellare». A parlare è Zawada Bagaya Bazilianne, consulente legale della Fondazione Panzi a Kavumu. «La domanda che ci poniamo è: perché lo hanno fatto? La risposta più plausibile, e sulla quale convergono le indagini, è che le violenze siano state commesse per adempiere a rituali magici».
Nella Repubblica democratica del Congo, in un anno si registrano quindicimila casi di violenza sessuale: uno ogni mezz’ora
allora vi sarebbe comparso l’oro. E altre follie di questo tipo, a cui, però, credono molti. Ecco il risultato». E ancora: «Le bambine sono state non solo violate, ma persino torturate. E alcune, seviziate con oggetti taglienti. Potete capire l’orrore di quello che è avvenuto?». La conclusione, per Zawada Bagaya Bazilianne, è una sola: «In questo crimine sono coinvolte delle autorità, ma noi non possiamo fermarci. Dobbiamo essere ancora più tenaci per andare avanti e far sì che i colpevoli non restino impuniti».
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Quanto accaduto a Kavumu è l’apogeo di un orrore che dilania la Rd Congo da anni: la violenza sessuale. Adottata come arma di guerra soprattutto durante la Seconda guerra congolese, nel 1999, è poi dilagata divenendo una piaga incontenibile, che distrugge fisicamente e psicologicamente le donne e annienta il tessuto sociale. Per rendersi conto della sua diffusione su scala nazionale, basta leggere i dati delle Nazioni Unite: 15.000 casi di violenza sessuale solo lo scorso anno. Una violenza ogni mezz’ora.
Abusate e ripudiate Sempre a Kavumu si scoprono storie di altre vittime. Come Antoinette Musaliwa, che era sposata a un soldato dell’esercito regolare e con cui viveva nell’accampamento di Walikale, fino al giorno in cui i ribelli dell’Fdlr hanno assaltato la postazione, e suo marito e i militari sono fuggiti. Lei è stata fatta prigioniera. Per oltre un mese è stata la schiava sessuale dei guerriglieri e, una volta riuscita a scappare, ha scoperto di essere incinta. Dopo l’aborto, l’attendeva un’altra dolorosa sorpresa: il ripudio da parte del marito. Oggi, per sopravvivere e mantenere i suoi figli, abbandonati anch’essi dall’ex coniuge, vende carbone al mercato e lavora nei campi per una manciata di franchi congolesi. Analoga è la storia di Claudine Katengura. Dopo essere vissuta per mesi in un campo di ribelli ed essere stata costantemente violata, una volta fuggita ha appreso non solo di es-
◀ Bukavu. Donne congolesi si disperano per la morte di uno dei loro figli ▶ Una delle giovani madri cui l'ong italiana Avsi, presente nel Nord come nel Sud Kivu, offre supporto sociale, medico e anche scolastico ▶ Donne impegnate nel commercio del carbone vegetale. Guadagnano circa due dollari al giorno vendendo sacchi di torba che prelevano nelle foreste del Kivu
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La ferita che lacera il Sudafrica A Johannesburg sta suscitando clamore il film The Wound (“La ferita”): una storia di omosessualità che mette in cattiva luce l’iniziazione tradizionale dei giovani xhosa, passaggio obbligato alla vita adulta. C’è chi chiede di vietare la pellicola, e chi il rituale
16 africa africa· numero · 3 · 20172 · 2015
UN FILM SCUOTE L’OPINIONE PUBBLICA E RIACCENDE LE POLEMICHE SUL RITO D’INIZIAZIONE DEL POPOLO XHOSA
ATTUALITÀ di Alberto Salza
Il vento del Turkana
NEL NORD DEL KENYA STA NASCENDO IL PIÙ GRANDE (E CONTROVERSO) PARCO EOLICO D’AFRICA
18 africa · numero 3 · 2017 2 · 2015 Sven Torfinn / Panos Pictures / Luz
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VOLUME “AFRICA IN VOLO” eccezionali foto aeree dal Cairo a Città del Capo € 10,00
A FRICAin VOLO
Pubblicazione non commerciale a cura dalla rivista Africa www.africarivista.it
RAFFAELE MASTO
Sposa bambina a 12 anni, madre di sette figli. Condannata alla lapidazione dalla legge islamica per aver avuto un figlio fuori dal matrimonio. Salvata a un passo dalla morte grazie alla mobilitazione della società civile internazionale. La storia vera di una donna nigeriana che torna prepotentemente d’attualità con il terrore di Boko Haram. Un libro che lascia senza fiato.
LAPIDATE SAFIYA
Raffaele Masto È giornalista di Radio Popolare, collaboratore della rivista Africa, autore di vari libri: L’Africa del tesoro; Io, Safiya; In Africa. Ritratto inedito di un continente senza pace; Buongiorno Africa. Nel 2013 ha pubblicato per la rivista Africa il volume Diario Africano. Taccuino di un reporter. Cura un blog di analisi e riflessioni quotidiane sull’Africa: www.buongiornoafrica.it Safiya Hussaini Safiya Hussaini Tungar Tudu è una donna che oggi ha più di quaranta anni. Divenne conosciuta in tutto il mondo nei primi anni Duemila quando la Corte Islamica di Sokoto, Stato nord-occidentale della Nigeria, la condannò alla lapidazione con l’accusa di adulterio. In realtà la sua colpa era solo quella di avere avuto una figlia senza avere più un marito. Il suo caso fece nascere una mobilitazione internazionale che riuscì a strapparla in extremis alla più crudele delle condanne a morte.
RAFFAELE MASTO
LAPIDATE SAFIYA
UNA STORIA VERA DALLE TERRE DI BOKO HARAM
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copertina AFRICA IN VOLO copia.indd 1
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LIBRO “LAPIDATE SAFIYA” di Raffaele Masto Una storia vera dalle terre di Boko Haram € 10,00
AFRICA
MISSIONE • CULTURA
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ATTUALITĂ€ testo e foto di Marco Trovato
Khartoum guarda al futuro
VIAGGIO NELLA CAPITALE DEL SUDAN, IN BILICO TRA MODERNITÀ E TRADIZIONE, FRA SANZIONI INTERNAZIONALI E VOGLIA DI RILANCIO
Nazione cerniera tra l’Africa nera e il mondo arabo, crocevia di migranti, territorio strategico al centro di enormi interessi ma per lungo tempo lacerato da guerre e instabilità, il Sudan punta a rompere l’isolamento e strizza l’occhio all’Occidente Lo chiamano “l’uovo di Gheddafi” perché fu costruito dal defunto rais di Tripoli. La sua sagoma ricorda piuttosto una gigantesca vela gonfia di vento. L’inconfondibile Corinthia Hotel è fondamentale per orientarsi nel centro di Khartoum. Era stato progettato per fondersi nello skyline di una nuova Dubai africana. Oggi sembra un’astronave aliena in mezzo alla polvere della capitale del Sudan. L’avveniristico quartiere degli affari di AlSunut, lanciato dieci anni fa, è ancora un cantiere incerto. Solo due torri sono spuntate là dove sarebbe dovuta sorgere una foresta di vetro e acciaio. Il crollo del prezzo del greggio ha raffreddato gli investitori del Golfo e prosciugato i profitti dell’industria petrolifera nazionale, già colpita dalla secessione del Sud Sudan (2011) e dalle tensioni tuttora presenti con il governo di Juba.
◀ Cittadini di Khartoum nei pressi dell’avveniristico Corinthia Hotel, un cinque stelle con camere affacciate sul Nilo Azzurro. L’edificio a forma di vela fu fatto realizzare dal leader libico Muammar Gheddafi Alessandro Gandolfi/Parallelozero McConnell / Panos / Luz
Economia inceppata Alla confluenza tra Nilo Bianco e Nilo Azzurro, dove fu fondata la vecchia Khartoum, c’è un triangolo verde conosciuto dalla popolazione come Al-Mogran Family Park. «Un tempo era un parco divertimenti frequentato da famiglie con bambini – dice con aria sconsolata un uomo che passeggia nei viali deserti –. Oggi è il simbolo di un Paese inceppato». Le giostre sono smantellate, il vecchio trenino è fermo, i chioschi che vendevano i gelati al pistacchio sono sprangati. Il modello animato di King Kong, attrazione prediletta dei bimbi, è inerme, impolverato, accatastato con altra ferraglia in attesa di finire in qualche discarica. «Quando ero piccolo mi faceva paura, oggi mi fa tanta tristezza e rabbia». A pesare sull’economia sono soprattutto le sanzioni imposte dagli Stati Uniti, che nel 1997 inserirono il Sudan nella blacklist dei Paesi sponsor del terrorismo. Le transazioni bancarie con l’estero sono bloccate, le carte di credito inutilizzabili, decine di aziende sono state costrette a fermare la produzione per le restrizioni all’import-export con l’Occidente. I principali partner commerciali africa · 3 · 2017 23
SUDAN
Port Sudan
NUBIA CIAD
DARFUR Al Fashir
KHARTOUM
Omdurman
KORDOFAN El Obeid
Kosti
Kassala
ERITREA
urro Azz nco Bia
24 africa · 3 · 2017
Karima
N ilo
Il venerdì pomeriggio attorno alla moschea Ahmed El Nil si radunano centinaia di sufi, i “mistici dell’islam”. La loro liturgia è scandita da litanie ripetute come mantra estatici, tra le danze dei dervisci e i mercanti di oggetti religiosi
Dongola
N il o
sono Emirati Arabi Uniti, Cina, India, Egitto, Arabia Saudita. La striscia d’asfalto che collega la capitale a Port Sudan, unico porto commerciale sul Mar Rosso, è il cordone ombelicale che tiene in vita il Paese. Ogni
EGITTO LIBIA
o Nil
Superficie 1.886.000 km² (Italia: 301.340) Popolazione 41 milioni ab. Densità 24 ab./km² (Italia: 201) Capitale Khartoum (5 milioni ab.) Capo di Stato Omar Hasan Ahmad al-Bashir Moneta Sterlina sudanese Lingue arabo e inglese (ufficiali), diffusi idiomi camitici, nilotici e sudanesi Etnie Nubiani, Ja’aliyin, Kababish, Shaqiya, Beja (Hadendoa, Bisharin, Beni amer), Fur, Fekkahin, Rashaida Religioni Islam sunnita, piccola minoranza cristiana Speranza di vita 64 anni Indice di sviluppo umano 0,479 (167°/187)
effetti per fortuna incruenti (nel 2013 un’analoga protesta culminò in violenti scontri con la polizia e nella morte di decine di persone).
BLUE NILE ETIOPIA
SUD SUDAN CENTRAFICA
giorno, un’infinita processione di camion importa derrate, sale, prodotti tessili e industriali. In direzione opposta si muovono milioni di capi di bestiame, cotone, arachidi, sesamo, grano, canna da zucchero… Ma il saldo della bilancia com-
merciale è negativo, il debito estero ha superato i 50 miliardi di dollari. Il deficit ha spinto lo scorso autunno le autorità a tagliare i sussidi su elettricità, benzina, pane e farmaci. L’aumento dei prezzi ha scatenato manifestazioni e scioperi, con
Realpolitik americana Una boccata di ossigeno è arrivata dagli Usa a gennaio, quando Obama ha allentato l’embargo contro il governo di Omar al-Bashir – salito al potere con un golpe nel 1989 e accusato dalla Corte penale internazionale di genocidio e crimini di guerra e contro l’umanità. Il Paese che diede riparo a Osama bin Laden, e che fu protagonista di un radicale processo di islamizzazione, oggi si mostra impegnato a combattere i movimenti jihadisti che minacciano il fragile equilibrio interno. Le università frequentate da simpatizzan-
Sudan, nel Regno dei Faraoni Neri AFFIDATI ALLA GARANZIA DELL’ESPERIENZA, PERCHÉ UN VIAGGIO MEMORABILE NON SI IMPROVVISA
Da una profonda e pluriennale conoscenza del paese i più completi e suggestivi itinerari alla scoperta delle antiche vestigia della Nubia, magica terra millenaria: straordinari siti archeologici ancora poco noti, tra piramidi, templi e deserto lungo le sponde del Nilo sudanese.
Pioniere del turismo in Sudan, Viaggi Levi è specialista della destinazione e proprietario delle uniche strutture di charme presenti nel Paese: La Nubian Rest House di Karima ai piedi della montagna sacra del Jebel Barkal e il Campo tendato fisso di Meroe, affacciato sulle snelle piramidi della necropoli reale tra le dorate dune del deserto. Vivi l’emozione dei nostri viaggi culturali in piccoli gruppi, accompagnati da esperte guide locali e archeologi italiani. Il viaggio con noi attraverso la storia continua… dalle testimonianze romane del Nord dell’Algeria ai celebri siti archeologici in Iran, al museo a cielo aperto di Cipro, fino ai più sconosciuti monumenti della Cina Centrale. I Viaggi di Maurizio Levi srl · Via Londonio, 4 - 20154 Milano africa · 3 ·2017 29 Tel. 02 34934528 · Fax. 02 34934595 · Email: info@viaggilevi.com · Web: www.viaggilevi.com
SOCIETÀ testo di Enrico Casale – foto di Sven Torfinn / Panos / Luz
Rivoluzione verde 2.0
GREGGI, SEMENTI E SMARTPHONE: COSÌ LA TECNOLOGIA AIUTA MILIONI DI CONTADINI E ALLEVATORI IN AFRICA
32 africa · numero 2 · 2015
Il settore primario, da cui dipende il 70 per cento degli africani, soffre di arretratezza e di scarsa produttività. È urgente modernizzare fattorie e aziende agricole per sfamare una popolazione sempre più numerosa. A volte basta un cellulare… L’agricoltura e l’allevamento sono settori chiave per l’Africa. Il 30% del Pil del continente deriva dal settore primario. Ma il dato sorprendente è che proprio dall’agricoltura dipende ancora il sostentamento del 70% della popolazione, con picchi del 90% in nazioni quali Etiopia e Burkina Faso. Le potenzialità agricole del continente però non sono sfruttate al meglio se si pensa che, dei 500 milioni di ettari di terre arabili, meno della metà sono coltivate. In Africa si trova il 70% delle terre arabili non ancora sfruttate del mondo. Settore in crisi L’agricoltura africana sconta gravi ritardi. In molti Paesi, si coltiva con sistemi arcaici che offrono produttività pari a quelle dei tempi degli antichi Romani. È mancato l’ammodernamento. Per soddisfare la crescita della domanda (imposta dal forte incremento demografico), piuttosto che investire in macchinari, ◀ Isaac Mkalia, allevatore keniano 2.0, utilizza l’applicazione i-Cow sul cellulare per migliorare la gestione del suo bestiame e aumentare la produzione di latte
nuove sementi e nuovi fertilizzanti, si è preferito ricorrere all’importazione di derrate. Negli anni Sessanta si importavano 5 milioni di tonnellate di cereali; oggi, 50 milioni. A ciò si aggiungono l’instabilità politica e i piani strutturali imposti dalle grandi istituzioni economiche che, prescrivendo liberalizzazioni, svalutazioni, privatizzazioni e deregolamentazioni, hanno “tagliato le gambe” ai piccoli produttori agricoli. Sono poi mancati gli investimenti nella ricerca. In Africa, oggi, ci sono 70 ricercatori per milione di abitanti, contro i 340 dell’Asia e i 550 dell’America Latina. Di fronte a tali difficoltà, computer e smartphone potrebbero però far compiere all’agricoltura quel salto che non è stato fatto in passato. Oggi, circa 340 milioni di africani (un terzo della popolazione) si collegano quotidianamente al web. Una percentuale bassa rispetto agli altri continenti, ma il settore informatico africano sta conoscendo un forte sviluppo. Ogni anno gli utenti di internet crescono del 10% e si calcola che, entro il 2020, in Africa circoleranno, oltre ai personal compu-
ter, più di mezzo miliardo di smartphone e di tablet. Una rivoluzione tecnologica e sociale che già oggi fa intravedere le sue potenzialità. Il futuro in mano Sono già numerose le app che aiutano i contadini africani. In Kenya, per esempio, è attiva MFarm, una piattaforma che permette ai coltivatori di conoscere in tempo reale i prezzi correnti delle derrate agricole e li aiuta a mettersi in contatto con i fornitori. Così, senza intermediari, possono acquistare con sconti significativi fertilizzanti e sementi. Sempre in Kenya, l’applicazione Kuza Doctor consente agli agricoltori di ricevere informazioni su crescita delle colture, condizioni del suolo, qualità delle sementi e uso dei fertilizzanti. Una app simile è usata nelle campagne del Camerun: si chiama Agro Hub e fornisce informazioni quotidiane per migliorare la resa dei loro terreni. Il web aiuta anche gli allevatori. In Botswana, per esempio, grazie a Modisar i proprietari di bovini possono ricevere consulenze zootecniche e finanziarie, ottimizzando in questo modo la gestione del be-
stiame. In Kenya, un agricoltore ha messo a punto l’applicazione i-Cow: funziona sui telefoni cellulari e invia (via sms o web) agli allevatori informazioni su come raccogliere e conservare al meglio il latte, ma anche sulle migliori pratiche nel settore lattierocaseario. In Nigeria la start up Farmcrowdy ha lanciato una piattaforma web (farmcrowdy.com) per mettere in contatto le aziende agricole locali con potenziali finanziatori, che oggi investono nelle imprese dei contadini e ricevono la metà degli utili. Un altro programma per smartphone, Vet Africa, è invece usato in Tanzania per diagnosticare le malattie delle mandrie e suggerire farmaci adatti. «Nei prossimi anni – spiegano gli analisti della Fao – queste applicazioni aumenteranno di numero e miglioreranno in qualità. Se oggi l’agricoltura contribuisce per circa 100 miliardi di euro al Pil africano, potenzialmente, grazie a internet e agli smartphone, la produttività potrebbe aumentare di tre miliardi di euro ogni anno. Un incremento del 3% che potrebbe rappresentare una svolta per l’economia africana». africa · 3 · 2017 33
SOCIETÀ di Henri Mutemba UN VETERINARIO
L’amico
RUANDESE CONSACRA LA SUA VITA A
Dall’Africa arrivano con frequenza notizie di stragi compiute dai bracconieri ai danni di elefanti e rinoceronti. Ma poco sappiamo dei volatili in pericolo. In Ruanda, Olivier Nsengimana si dedica a difendere dai cacciatori un uccello raro dall’elegante cresta
Due metri e venti di apertura alare, zampe lunghe, collo snello. E un’elegante cresta. È l’identikit della gru coronata grigia, splendido uccello che vive nelle zone umide ed erbose dell’Africa centrale. Una specie minacciata, che rischia di sparire dai manuali di ornitologia. Dal 1975 la popolazione di questi volatili è diminuita dell’80 per cento e l’ultimo censimento, nel 2015, ha registrato non più di cinquecento esemplari in natura,
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africa · 3 · 2017
in gran parte concentrati nella regione dei Grandi Laghi (in Uganda l’animale è addirittura un simbolo nazionale e compare al centro della bandiera). In aiuto di questo animale si è da tempo attivato un veterinario ruandese, Olivier Nsengimana, che ha scelto di consacrare la vita alla gru coronata grigia, con cui fin da piccolo ha un feeling particolare. «I miei genitori mi avevano assegnato il compito di
andare a prendere l’acqua al fiume – ricorda –. Ogni volta che vedevo sulla riva quegli strani uccelli, rimanevo ipnotizzato dalle loro danze e dai loro elaborati corteggiamenti». Spesso, indugiava a osservare le gru fino al tramonto, suscitando le ire della mamma che non lo vedeva rincasare. Il peggior nemico Da quella passione di gioventù Olivier non è mai
PROTEGGERE UNA SPECIE DI UCCELLI MINACCIATA DI ESTINZIONE
riuscito a liberarsi, tanto da trasformarla in un lavoro. Non prima di aver fatto esperienza sul campo e aver messo in pratica gli studi fatti in università. «Dopo la laurea ho partecipato a missioni ▼ Olivier Nsengimana, veterinario ruandese, impegnato in una campagna di sensibilizzazione, ricerca e protezione a favore delle gru. Questi uccelli crescono in gruppi numerosi, che si dividono quando devono accoppiarsi
SOCIETÀ testo di Raffaele Masto – foto di Marco Trovato
Nigeria, alla corte del Re
38 africa · 3 · 2017
PORT HARCOURT, L’ECCEZIONALE INCONTRO CON SUA MAESTÀ
Nel Delta del Niger, come in larga parte dell’Africa, la modernità convive con la tradizione. Ma non capita a tutti di essere ricevuti in udienza dal sovrano del popolo ikwerre. Noi abbiamo avuto questo privilegio…
CHORLU VII, MONARCA ILLUMINATO
Il re degli Ikwerre è un ultrasettantenne piccolo di statura. Parla un impeccabile inglese britannico che suona davvero regale rispetto all’incomprensibile pidgin english usato dalla maggioranza della popolazione del Delta del Niger. Ci riceve in un appartamento periferico di Port Harcourt assieme al consiglio dei suoi chief (i capi tradizionali delle comunità). Sta seduto su un trono di legno i cui braccioli sono due leoni scolpiti con le fauci aperte; un tessuto rosso tipo velluto ricopre lo schienale e in cima c’è la scritta: “Eze Chorlu VII”, cioè il settimo sovrano degli Ikwerre con quel nome. Al suo fianco, su un trono solo un po’ più piccolo, senza scritte e senza leoni, siede una bella donna sessantenne, con gli occhiali e un vestito di un pacato color verde. Ha un viso dolce, da professoressa, incorniciato da un foulard rosso avvolto ad arte intorno al capo. È la regina.
◀ Il sovrano del popolo ikwerre, Eze Chorlu III, in posa sul suo trono nella casa di Port Harcourt. A sinistra, con gli occhiali, la regina. Sono circondati dal consiglio delle donne che aiutano i reali ad amministrare la comunità, risolvendo le controversie femminili
Uno storico regno Gli Ikwerre sono una delle venti più importanti etnie del Delta del Niger, costituiscono la maggioranza dei circa cinque milioni di abitanti dello Stato di Rivers. Il loro territorio è uno dei più sfruttati per l’estrazione del greggio (vi sono un totale di 92 pozzi petroliferi). Sono tradizionalmente pescatori, agricoltori e cacciatori, ma il degrado ambientale, dovuto alla scoperta dei giacimenti, e l’espansione urbana hanno causato una forte diminuzione dei terreni agricoli utilizzabili e delle foreste e dei fiumi a disposizione per praticare caccia e pesca. La secolare organizzazione economica e sociale di questo popolo, sopravvissuta al periodo coloniale, oggi deve fare i conti con gli sconvolgimenti della modernità. Per il momento l’istituzione della monarchia resiste e Re Chorlu VII gode ancora di grande prestigio. Accoglienza regale Essere ricevuti con il pieno dispiegamento della diplomazia regale è un privilegio per uno straniero. Ma gli Ikwerre sono molto aperti e ospitali e per l’occasione tutti, il sovrano e i suoi chief, hanno indossato l’abito delle grandi occasioafrica · 3 · 2017 39
UN CHIEF BIANCO
Gli Ikwerre sono una etnia ospitale, forse la più aperta tra quelle del Delta del Niger. Lo sono a tal punto che nel consiglio dei chief ammettono donne e anche stranieri. Tra i capi della comunità nominati da Re Eze Chorlu VII vi è infatti anche un bianco, un italiano: Giandomenico Massari, ingegnere elettronico. È approdato qui qualche decennio fa e qui si è fermato. Ora ha passaporto nigeriano e un lavoro da manager in un’impresa che lavora nell’indotto del petrolio. «La Nigeria mi ha conquistato con il suo straordinario patrimonio artistico-culturale e per la sua formidabile vitalità», racconta Massari nella sua casa di Port Harcourt. «Essere stato nominato chief del popolo ikwerre è un grandioso attestato di stima che mi spinge a promuovere lo sviluppo della comunità». Prima di salutarci, il chief bianco si mette in posa sul suo trono. «È un regalo di Re Chorlu: non è un simbolo di potere, ma di responsabilità», chiarisce.
▼ Il re davanti al monumento agli antenati, dove si prendono le decisioni più importanti che riguardano la comunità. Gli Ikwerre, come gli altri popoli della regione del Delta del Niger, si lamentano di essere esclusi nella distribuzione della ricchezza prodotta dagli introiti del petrolio
40 africa · 3 · 2017
▶ Il sovrano del popolo ikwerre passeggia per le strade di Port Harcourt. È circondato dai dignitari che lo aiutano ad amministrare la comunità. Eze Chorlu III è un monarca illuminato. Ha studiato in Germania, è ingegnere, conosce il mondo e la tradizioni del suo popolo
ni: ampie tuniche dai colori sgargianti, catene d’oro e d’argento e gli immancabili copricapi: bombette e cilindri che paiono del tutto fuori luogo. Veniamo accolti con musiche, balli e una coreografia da far invidia a un kolossal di Hollywood: nel cortile di una grande casa a piano unico qualche decina di donne ballano e pestano con le mani, con delle bacchette o con dei veri e propri mattarelli, su una vasta collezione di strumenti a percussione. Sono vestite tutte uguali: un abito intero di colore rosa shocking tempestato di perline, e un copricapo dello stesso colore formato da un panno inamidato annodato e piegato in modo da formare una appariscente composizione artistica. Il tutto dovrebbe avere un che di pacchiano ma, come spesso avviene in Africa, colori improponibili e accostamenti da brivido finiscono per avere il loro fascino e il loro buon gusto. Nel cortile le donne dimenano a ritmo il generoso posteriore mentre il re e il suo meravigliato ospite osservano compiaciuti. Veniamo fatti accomodare su un divano e ben presto il tavolino davanti a noi si riempie di cibi e bevande. C’è di tutto: dolcissimi ananas, frutti della passione, barbabietole nane, noci di cola, biscotti, frittelle ma anche più comuni aranciate, Coca-Cola, vino di palma. E arriva anche una bottiglia di whisky. Il protocollo prevede che si faccia onore all’ospitalità servendosi generosamente di ogni alimento e bevan-
da. Ma soprattutto bisogna consumare noce di cola: un rituale che celebra e consolida amicizie e relazioni. Ai piedi degli antenati Una grande e gloriosa etnia africana non può prescindere dagli antenati, così il re a un certo punto annuncia che la festa si sposterà, seduta stante, nel luogo dove è stato eretto il monumento agli antenati. Così si esce in corteo per le strade del quartiere, le donne davanti con le loro percussioni, poco dopo il re e la regina, i dignitari, uno schieramento di tonache colorate e di bombette e cilindri di tutte le fogge. Quando arriviamo sul posto, il monumento è sorprendente. Ci sono gli antenati, tutti, donne e uomini. Sono statue a grandezza naturale di gente comune: donne con il pareo e un figlio legato sulla schiena, uomini in abiti eleganti, altri con attrezzi da lavoro. Sono posati su una base di cemento che non è altro che il luogo delle riunioni. «Ancora oggi gli Ikwerre vengono qui a prendere le decisioni importanti», spiega il re. «Ci vengono soprattutto gli anziani, perché i giovani sono meno legati a queste tradizioni», aggiunge con disappunto. Tra passato e futuro «I giovani, qui come altrove, tendono a farsi affascinare dalla modernità, da valori che non sono quelli che li hanno formati. Eppure modernità e tradizione non sono in antitesi. Gli Ikwerre hanno potuto non perdere la propria identi-
COPERTINA testo di Simona Cella – foto courtesy Andrea Frazzetta
Grandi schermi d’Africa
42 africa · 3 · 2017
REGISTI DI TALENTO, ATTRICI DA OSCAR, BOOM DI NUOVI FILM: LA PRIMAVERA DEL CINEMA AFRICANO
Sale in crisi, set in fibrillazione. È il paradosso dell’industria cinematografica nel continente, che produce ogni anno migliaia di sceneggiati amorosi, thriller cruenti, film d’azione e fantascienza. Ecco come funziona e come sta cambiando Una gazzella corre nel deserto. Tra le dune appare una camionetta guidata da combattenti jihadisti. Il silenzio è interrotto dal rumore degli spari. Maschere e statue africane cadono nella sabbia sotto i colpi di una mitragliatrice. È il potente inizio di Timbuktu di Abderrahmane Sissako, vincitore nel 2015 di sette César, primo film mauritano nominato agli Oscar, campione d’incassi e di esposizione mediatica in Francia. Girato in francese, bambara, arabo, inglese, songhay e tamashek, il film racconta il drammatico destino di una famiglia tuareg all’epoca della conquista jihadista di Timbuctù del 2012. Cinematograficamente parlando, è un mix ben equilibrato tra la cifra stilistica di Sissako (poesia, humour, sguardo documentaristico), grandi scene alla western e un pizzico di esotismo. Voglia di esotismo? Alla conferenza stampa al Festival di Cannes, un Sissako commosso fino alle lacrime dichiarò di aver voluto informare il mondo su ◀ Il regista senegalese Mansour Sora Wade e l’attrice Khady Ndiaye Bijou seduti nella platea del cinema Oubri di Ouagadougou
avvenimenti spesso fagocitati dall’informazione di massa; ma in molti si sono chiesti se non fosse un film pensato per un pubblico occidentale. L’antropologo André Bourgeot evidenzia come il film si basi su tre idealizzazioni occidentali dell’Africa: il deserto, i Tuareg e la libertà dei nomadi. Inoltre, l’atmosfera poetica e serena nella quale la vicenda è immersa acuisce una rappresentazione edulcorata del jihadismo, che stride con la violenza raccontata dai reportage su Timbuctù. Un film esotico e political correct, come sostengono gli addetti ai lavori, o un capolavoro, come ha decretato il pubblico francese? Il dibattito acceso dal film rivela una delle problematicità del cinema africano fin dai suoi esordi negli anni Sessanta. In un continente senza sale di proiezione né scuole di cinema, a chi si rivolge la settima arte? Agli africani, come sognava Sembène Ousmane con la sua idea di cinema come scuola serale, o ai festival e al pubblico occidentale che per senso di colpa e voglia di esotismo reclamano il “film africano”? Nigerian Style Chi rivendica il marchio di autentico cinema afriafrica · 3 · 2017 43
LA STAR
Lupita Amondi Nyong’o, 33 anni, è l’icona del successo del nuovo cinema targato Africa. Nata in Messico, dove il padre era ambasciatore, per ritrovare ben presto il Kenya, suo Paese d’origine, nel 2013 vince l’Oscar come migliore attrice non protagonista nel primo film da lei interpretato, 12 anni schiavo. Osannata in patria, celebrata da Hollywood, Lupita ha moltiplicato i successi con altre fortunatissime pellicole: Star Wars: Il risveglio della Forza e Queen of Katwe (la storia della campionessa di scacchi ugandese Phiona Mutesi), e, come doppiatrice, il sorprendente Il Libro della Giungla. La rivista People l’ha incoronata «donna più bella del mondo» e naturalmente la moda l’ha subito ingaggiata (è il volto della maison Lancôme). Nel 2016 ha debuttato a Broadway con un ruolo da protagonista in Eclipsed. Ora il suo sorriso è approdato sul Calendario Pirelli 2017.
cano per pubblico africano è sicuramente Nollywood, termine coniato da un giornalista del New York Times per definire un fenomeno nato a Lagos nei primi anni Novanta e che ora nella sola Nigeria produce 2500 titoli l’anno, con un fatturato di 600 milioni di dollari e lavoro per più di un milione di persone. Secondo settore dopo l’agricoltura in termini di occupazione, Nollywood è ormai un marchio di fabbrica, un modello produttivo esportato in Ghana (Ghallywood!), Rd Congo, Kenya, anche in Europa. Film a basso costo, girati in digitale e in pochi giorni. Sceneggiature povere, recitazione
di bassa qualità, storie ripetitive. Nessuno stile autoriale. Molteplici influenze, dal cinema hindi alla cronaca, dalle Chiese pentecostali all’action movie e all’horror. Eppure, partendo dal basso, al di fuori di ogni schema, Nollywood si è conquistata un pubblico che ignora l’esistenza dei grandi registi: Sembène Ousmane, Djibril Diop Mambéty, Souleymane Cissé, Idrissa Ouédraogo, Gaston Kaboré, Abderrahmane Sissako, Mahamat-Saleh Haroun. Spielberg d’Africa Certo è bizzarro che una delle più grandi industrie cinematografiche si sia Giovani aspiranti registi durante un workshop organizzato dall'Africa International Film Festival di Lagos ▶ Sul set del film Gucci Girls, prodotto e interpretato dall’attrice nigeriana Mercy Aigbe, al centro della foto
44 africa · 3 · 2017
CULTURA testo e foto di Franck Charton / LightMediation
L’arca del Re sullo Zambesi In occasione del Kuomboka (letteralmente “Uscire fuori dall’acqua”) ben 120 rematori, vestiti con pelli di animali e berretti rossi, accompagnano il re dei Lozi fuori dalle pianure del Barotseland allagate dal fiume Zambesi. Sull’imbarcazione reale una brace produce del fumo segnalando ai sudditi la buona salute del sovrano
52 africa · 3 · 2017
IN ZAMBIA NON PERDE SMALTO LO SPETTACOLARE APPUNTAMENTO DEL KUOMBOKA, L’ANTICA CERIMONIA FLUVIALE DEL POPOLO LOZI
Ogni anno al termine della stagione delle piogge, lo Zambesi esonda e allaga le pianure del Barotseland. In quei giorni i Lozi danno vita a una “regata reale” per mettere in salvo dalle inondazioni il loro sovrano e il tesoro del palazzo reale Un’increspatura pervade le pianure alluvionali del Barotseland, in Zambia. Migliaia di persone si sono radunate lungo le vie d’acqua che da Lealui, capitale del regno Lozi, portano alla città di Mongu. Dietro al muro umano scorre lo Zambesi. La folla si agita nervosa: qualcuno allunga il collo, altri sgomitano per farsi spazio, i bambini sgattaiolano tra le gambe per guadagnarsi un posto in prima fila. Nessuno vuole perdersi lo spettacolo. Il rullare dei tamburi tradizionali, detti maoma, preannuncia l’avvicinarsi del corteo reale già dalla sera prima. L’eccitazione cresce man mano che il suono si fa più forte. D’un tratto, fra l’erba rinverdita della savana, compaiono i primi cortigiani che annunciano l’arrivo del sovrano. All’unisono, decine di pertiche sospingono l’imbarcazione reale.
Alle propaggini occidentali dello Zambia la piena del fiume allaga le campagne abitate dal popolo lozi e costringe il loro re, chiamato litunga, a spostare la reggia in posizioni più elevate e sicure. È a quel punto che avviene il Kuomboka (in lingua locale significa “uscire dall’acqua”). Il litunga abbandona la residenza estiva di Lealui – assediata dal fiume con annessi coccodrilli e serpenti – e attraversa in barca la grande palude per raggiungere il palazzo d’inverno sull’altura di Limulunga, nei pressi di Mongu. La distanza tra le due corti è di circa quindici chilometri, ma il tragitto dura quasi sei ore. ▼ Il monarca dei Lozi, vestito con l’uniforme da condottiero militare, si trasferisce dal villaggio di Lealui, la capitale del regno, a Limulunga, una località ben protetta dalle inondazioni
Uscire dall’acqua Al seguito, migliaia di rematori a bordo di canoe e chiatte accompagnano il trasloco di Sua Maestà. L’appuntamento si rinnova ogni anno, alla fine della stagione delle piogge, quando il tratto superiore dello Zambesi si gonfia di acqua fino a esondare. africa · 3 · 2017 53
L’intera cerimonia, in realtà, si svolge in cinque giorni, con attività specifiche e un cerimoniale rigoroso (compreso il lunch break). Il ritorno avverrà a metà agosto, con il defluire delle acque. Per il popolo lozi è un importante evento simbolico: la ciclicità temporale, in quanto rinascita, riafferma l’identità di un antico regno i cui confini non compaiono sulle mappe moderne, ma sono ancora evidenti alla popolazione locale. Vogatori nella savana Il momento del trasferimento regale viene fissato dagli oracoli tra fine febbraio e inizio aprile, in base al livello delle acque. Per una giornata le umide pianure del Barotseland diventano un quadro policromo in cui spicca il rosso dei berretti tradizionali
◀ Sulle imbarcazioni trovano ospitalità anche illustri ospiti, come l’ambasciatore britannico in Zambia e sua moglie ◀ I tamburi reali scandiscono le sei ore della traversata e annunciano l’arrivo del re ◀ Durante il Kuomboka i Lozi indossano i costumi tradizionali in pelle di leopardo. La grandiosa cerimonia avviene tra febbraio e fine aprile. La data cambia ogni anno a seconda della quantità delle precipitazioni e della luna piena (considerata di buon auspicio per la regata reale) ▶ Alcuni Lozi liberano un canale dai rami per permettere il passaggio del sovrano con la sua corte. Al centro dell’imbarcazione svetta un enorme elefante nero, emblema della corte reale 54 africa · 3 · 2017
CULTURA testo e foto di Adriano Marzi
Arbegnoch, l’altra Resistenza
LA STORIA DIMENTICATA DEI PARTIGIANI ETIOPICI, EROI DELLA LOTTA DI LIBERAZIONE DAL FASCISMO
Due volte l’anno (per commemorare una terribile strage e una epica vittoria) gli anziani patrioti d’Etiopia sfilano con le loro medaglie appuntate al petto per le vie di Addis Abeba... E ricordano i misfatti dell’Italia Per raggiungere la sede dei partigiani etiopici, che combatterono il fascismo dal 1936 al 1941, bisogna attraversare un corridoio buio nascosto tra le viscere di un anonimo centro commerciale della capitale. Se non fosse per gli uffici della Commercial Bank of Ethiopia “Arbegnoch Branch” affacciati sulla strada, si potrebbe pensare che gli arbegnoch (“patrioti” in amarico) siano ancora in clandestinità. L’ingresso dell’unico stanzone di cui dispone l’associazione è presidiato, di spalle, da un manichino agghindato da condottiero in groppa a un cavallo di bronzo. All’interno, un vivace gruppo di vecchietti in uniforme militare lavora instancabile tra le reliquie di quello che potrebbe essere un meraviglioso museo. La scrivania di Ato (“signore”, in amarico) Adamu, presidente dell’associazione, è circondata da cen-
◀ La parata degli arbegnoch si tiene due volte all’anno: il 19 febbraio (ricorrenza del massacro di quattromila etiopi compiuto dai fascisti) e il 5 maggio (festa della liberazione di Addis Abeba dall’occupazione coloniale)
tinaia di fotografie in cui sono ritratti gli eroi della Resistenza, ormai quasi tutti defunti. Al suo fianco, due grandi dipinti rappresentano scene della guerra di liberazione: a sinistra, l’esercito etiope e quello italiano si fronteggiano a colpi di baionetta; a destra, invece, disseminato di teschi, il campo di battaglia è sotto l’infame bombardamento ai gas nervini dell’aviazione fascista (secondo gli archivi statunitensi, le armi chimiche vennero impiegate su vasta scala: sul fronte nord 1020 bombe caricate a iprite, su quello meridionale 95 a iprite e 271 a fosgene). Incredulità Quando gli chiediamo di raccontarci qualche aneddoto, Ato Adamu comincia tirando fuori da un cassetto La civilisation de l’Italie fasciste en Éthiopie, un vecchio libro francese in cui sono raccolte fotografie e alcuni comunicati militari dell’epoca. Lo sfoglia in silenzio. Sotto ai nostri occhi scorrono le immagini di soldati fascisti che posano fieri accanto ai cadaveri dei nemici, ne tengono le teste mozzate per i capelli o impalate. «Com’è possiafrica · 3 · 2017 59
◀ I partigiani sfilano sulla Piazza Sidist Kilo con vecchie uniformi appuntate di medaglie, copricapi militari, fucili e lance. Sono considerati dei veri eroi nazionali
LA STORIA
2 Ottobre 1935: Mussolini annuncia la guerra d’Etiopia dal balcone di Piazza Venezia a Roma. Il giorno dopo, le prime truppe cominciano ad avanzare in territorio etiopico dalla basi in Eritrea. 6 Ottobre 1935: l’esercito del Duce occupa Adua, cittadina celebre per la cocente sconfitta italiana del 1896, durante la “prima guerra d’Abissinia”. 7 Ottobre 1935: la Società delle Nazioni condanna l’invasione italiana e impone sanzioni economiche all’Italia. 5 Maggio 1936: le truppe di Badoglio entrano in Addis Abeba (tre giorni prima, Haile Selassie era fuggito in Sudan col tesoro della corona, con cui finanzierà la Resistenza fino al 1941). 7 Maggio 1936: dal solito balcone Mussolini annuncia la fine della guerra e proclama re Vittorio Emanuele III “Imperatore d’Etiopia”. Abissinia, Eritrea e Somalia vengono unite sotto un unico Governatorato. 19 febbraio 1937: due arbegnoch lanciano delle granate sul palco da cui il viceré Rodolfo Graziani sta tenendo un discorso. Tre ufficiali italiani muoiono, un altro perde un occhio. Graziani, ferito da alcune schegge, ordina la rappresaglia che fa oltre 4000 vittime tra la popolazione civile di Addis. 5 Maggio 1941: Haile Selassie rientra ad Addis Abeba, scortato dal generale inglese Orde Wingate e dai capi della Resistenza etiopica. 10 febbraio 1947: Italia ed Etiopia firmano a Parigi il trattato di pace. L’Italia perde le sue colonie africane, mentre l’Etiopia si annette l’Eritrea, che riconquisterà l’indipendenza soltanto negli anni Novanta. 60 africa · 3 · 2017
bile che in Italia qualcuno abbia voluto dedicare un monumento a Rodolfo Graziani?», chiede incredulo e amareggiato. Il comandante italiano delle forze di occupazione dimostrò una crudeltà inaudita macchiandosi di crimini terribili nei confronti di migliaia di civili inermi. Eppure, cinque anni fa, il suo Comune nativo, Affile, ha pensato di celebrare il gerarca fascista, ministro della Difesa della Repubblica di Salò, costruendo un infame mausoleo (finanziato con soldi pubblici dalla Regione Lazio guidata dall’allora governatrice del Lazio Renata Polverini). «Non capisco», scuote la testa l’anziano partigiano etiopico. E mostra tra le pagine del libro un promemoria del tenente colonnello Francivalle, indirizzato a «Sua Eccellenza il Vice-Re»: comunica a Graziani che «Addis Abeba è stata ormai ripulita da tutta la mala genia degli stregoni e degli indovini. Si prospetta la opportunità che tale pulizia sia estesa a tutti i territori del vecchio Scioà, ove siffatti elementi infidi godono di grande ascendente presso le popolazioni». Il promemoria si riferisce alla rappresaglia fascista che il 19 febbraio 1937 fece strage di circa 4000 persone tra la popolazio-
ne civile di Addis. Quella mattina, due arbegnoch si avvicinarono al palco dove il viceré Rodolfo Graziani stava tenendo un discorso e lanciarono delle granate. Tre ufficiali italiani morirono, uno perse un occhio e Graziani venne ferito da alcune schegge. Orrore e gioa L’attentato, opera di due giovani eritrei di nome Moges e Abraha, scatenò la rappresaglia degli occupanti, che venne affidata ai cani più rabbiosi tra le file fasciste. Vennero massacrati uomini e donne, vecchi e bambini, preti, mendicanti e indovini. Più tardi – come raccontato da Francivalle nel suo promemoria al viceré – i soldati fascisti passarono a sterminare l’intero clero ortodosso del monastero di Debre Libanos, uccidendo oltre 2000 tra monaci, diaconi, novizi e pellegrini in visita alla città santa. «Ma fu proprio dopo il massacro del 19 febbraio che la Resistenza abissina capì di poter vincere e che i fascisti iniziarono a perdere», dice Ato Adamu. I suoi occhi brillano, quando passa a raccontare della liberazione di Addis Abeba, il 5 maggio 1941: scortato dal generale inglese Orde Wingate e dai capi della Resistenza etiopica, il ritorno nella capitale di Haile Selassie – rifugiatosi in Sudan durante l’occupazione – venne salutato da una folla impazzita di gioia. Canto partigiano Il 19 febbraio e il 5 maggio sono rimaste ricorrenze importanti nel
CULTURA di George Makonde
Quell’amore più forte dell’apartheid RUTH WILLIAMS E SERETSE KHAMA, LA COPPIA INTERRAZZIALE CHE CAMBIÒ IL CORSO DELLA STORIA
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RELIGIONE testo di Valentina G. Milani – foto di Irene Fornasiero e Bruno Zanzottera
Il riscatto delle bambine perdute IN BENIN, UNA COMUNITÀ DI SUORE SALESIANE AIUTA LE FANCIULLE COSTRETTE A LAVORARE SULLE STRADE
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Arrivano giovanissime e piene di speranza dalle campagne, ma quando giungono a Cotonou trovano solo sfruttamento, violenze e abusi. Sono le vittime innocenti di un fenomeno inquietante. A centinaia vengono salvate da missionarie italiane «Quando ho lasciato il villaggio con mia nonna per venire a vivere in città, sognavo una vita migliore – racconta Sophie, 15 anni –. Mi era stato detto che avrei potuto finalmente indossare dei bei vestiti e andare a scuola. Invece mi sono ritrovata tra queste bancarelle, costretta a lavorare come venditrice ambulante dalla mattina alla sera. La mia vita è diventata un inferno. Odio questo posto con tutto il mio cuore». Il mercato di Dantokpa è il cuore pulsante di Cotonou: una bolgia umana, luogo per eccellenza di ogni scambio commer-
ciale, calamita per decine di migliaia di persone che abitano nella capitale economica del Benin. Qui finiscono anche i vidomegòn. «Si tratta di bambini e bambine provenienti dalle campagne e trasformati in baby-schiavi», spiega Maria Antonietta Marchese, 75 anni, infaticabile missionaria salesiana di origini torinesi. «Il termine, in lingua fon, significa “affidati”, poiché i piccoli vengono consegnati dai genitori nelle mani di parenti e conoscenti che vivono in città, nella convinzione di fare la cosa giusta per loro».
Emergenza sociale Da diciassette anni suor Maria Antonietta si dedica con dieci consorelle a lottare contro lo sfruttamento dei minori, soprattutto bambine. «Il proliferare ◀ Nella casa d’accoglienza delle salesiane, creata a Cotonou, centinaia di ex ragazze vidomegòn studiano, diventano sarte, parrucchiere, cuoche. Tentato di ricostruirsi un futuro ▼ Lezioni scolastiche nel rifugio delle suore. In Benin, migliaia di bambini dai 5 anni in su vengono affidati da genitori disperati a parenti che promettono studi e cure, e invece sono intermediari di trafficanti professionisti
I. Fornasiero
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ALLARME ANCHE IN ITALIA «BOOM DI MIGRANTI MINORI»
In Italia, negli ultimi due anni la proporzione dei minori non accompagnati sul numero complessivo dei migranti è quasi raddoppiata, passando dall’8 al 15%. Anomalia nell’anomalia, gli egiziani: nel 2016 i due terzi degli egiziani approdati nel nostro Paese erano minori non accompagnati. Gli operatori sociali denunciano una vasta rete di sfruttamento di questi piccoli migranti. L’operazione è ben rodata, spiega Marco Cappuccino, coordinatore della rete di Civico Zero. «Prima le famiglie vendevano i loro beni più preziosi per racimolare la somma necessaria a pagare la traversata dei figli, adesso si indebitano direttamente con gli scafisti». La traversata dall’Egitto costa dai 3000 ai 5000 dollari. Il contratto prevede che il rimborso cominci nel momento in cui il ragazzo segnala di essere arrivato sano e salvo in Italia. «A quel punto gli scafisti cominciano a fare pressioni sulla famiglia per recuperare il debito. Per questo i minori hanno così disperatamente bisogno di lavorare». Il 15% dei minori egiziani arrivati in Italia nel 2016 aveva già un lavoro ad aspettarli ancor prima di sbarcare. David, un operatore sociale di Torino, assiste impotente allo sfruttamento dei minori nei mercati, nelle rivendite di kebab e perfino nell’industria. «E cominciano a vedersi minori egiziani implicati in processi giudiziari per traffico di droga». È estremamente difficile individuare una strategia di contrasto al fenomeno. Anzitutto perché il sistema di accoglienza e integrazione non è organizzato per rispondere al problema dell’indebitamento dei giovani e delle loro famiglie. E qualsiasi gesto in quella direzione rischia di incoraggiare gli scafisti. (Lorraine Kihl – Le Soir / Lena) dei vidomegòn è alimentato dal mito della metropoli – argomenta la religiosa –. Tanti contadini suppongono, sbagliando, che qui i loro figli possano contare su maggiori opportunità e sicurezza. Ma nella maggior parte dei casi questi finiscono per essere sfruttati e, nel peggiore dei casi, abusati e maltrattati dai loro “tutori”». La missionaria mostra delle fotografie che le salesiane di Cotonou hanno scattato ad alcune bimbe rifugiatesi nelle loro strutture: immagini scioccanti, che rive72 africa · 3 · 2017
lano ustioni in vaste parti del corpo, occhi gonfi, tumefazioni, sguardo perso nel vuoto. «In conseguenza delle violenze, alcune ragazzine hanno subìto gravidanze indesiderate, altre sono state contagiate dal virus dell’Hiv». Iniziato nei primi anni Novanta, il fenomeno dei vidomegòn ha acquisito le dimensioni di una vera e propria piaga sociale. Le organizzazioni umanitarie stimano ad almeno mezzo milione le piccole vittime dello sfruttamento. Alcune rimangono in Benin,
altre sono mandate in Gabon, Nigeria, Togo e Costa d’Avorio. Sono costrette a lavorare nelle cave di pietra o nelle piantagioni di cotone. Le bambine sono trasformate con la forza in domestiche, commercianti ambulanti o prostitute. Un prezioso rifugio In loro soccorso sono attive da anni le salesiane di Cotonou. «Il nostro lavoro incomincia dal mercato», spiega suor Tiziana Borsani, che ci accompagna tra i vicoli del Grand Marché du Dantokpa. Camminiamo per un fitto reticolo di sentieri e bancarelle che esplodono di pesci, carni, verdure, tessuti, pezzi di ricambio per auto, donne, uomini, sacchi di mais, urla, animali e tante, troppe, bambine piegate dal peso degli enormi cesti che portano sul capo. Nel 2001 le salesiane hanno aperto un rifugio per le piccole vidomegòn proprio in mezzo al mercato. «Le ragazzine approfittano di questo spazio per riposarsi nel corso della lunga giornata di lavoro. Vengono qua, si stendono un attimo, mangiano qualcosa e, soprattutto, parlano», spiega un animatore. Nella baracca sono presenti psicologi ed educatori che collaborano con le suore. «Alcune bimbe vengono reinserite nelle famiglie di origine, se queste sono valutate idonee – racconta Tiziana –. Ma spesso è difficile risalire alla famiglia, perché le piccole vengono portate via dai villaggi senza documenti e non si capisce più da
dove arrivino. Molte non possiedono nemmeno il certificato di nascita. Così le ragazze vengono ospitate nelle nostre strutture». Ferite indelebili Il Foyer Laura Vicuña, nel quartiere di Zogbo, accoglie le ragazzine abusate. «Appena arrivano, vengono visitate da medici e accolte da operatori sociali che le inseriscono nel centro come in una famiglia – spiega la salesiana –. Per tutto il tempo di residenza vengono seguite da psicologi che le aiutano a superare il trauma… Offrendo un aiuto concreto per evitare che le bambine finiscano nuovamente nel circolo vizioso dello sfruttamento e della prostituzione», dice suor Tiziana. Sono innumerevoli le storie di terrore scoperte e portate alla luce dalle missionarie di Don Bosco. «Sono stata violentata nel 2015 da un uomo in un vicolo buio del mercato», sussurra Justine, ex venditrice ambulante, voce flebile e sguardo basso. Ha sedici anni e un bambino di pochi mesi. «Quando ho scoperto di essere rimasta incinta, non l’ho detto a nessuno: mi vergognavo». Julie, 11 anni, è stata stuprata mentre andava a fare spesa di verdura. Charlotte, 13 anni, è stata abusata ripetutamente da un militare, proprietario della casa dove viveva in affitto con i tutori. Casa della speranza Il riscatto per queste giovani comincia alla Maison de l’Espérance, un’altra
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ACCORDI VERGOGNOSI “Occhio non vede, cuore non duole”, dice il vecchio adagio. Che è la sintesi perfetta della politica italiana in materiale di immigrazione. Il nostro governo ha sottoscritto accordi vergognosi con Paesi africani (Libia, Niger, Sudan) incaricati di fermare il flusso dei migranti. Stessa filosofia dell’intesa siglata dall’Unione europea con la Turchia. A Roma sanno bene in quali condizioni siano tenuti, o meglio reclusi, le migliaia di migranti bloccati in quei Paesi. Le organizzazioni umanitarie parlano di abusi e violazioni del diritto internazionale. Meglio che questo sporco lavoro avvenga lontano dalle nostre frontiere, e dai nostri occhi… Sonia Guarino, Napoli
OLIO DI PALMA Ho letto il vostro interessante articolo sull’olio di palma. Questo alimento viene spesso demonizzato in quanto potenzialmente cancerogeno. Tuttavia si tratta di un allarmismo ingiustificato, o meglio giustificato solo da interessi economici. Se non si utilizza l’olio di palma, vengono utilizzati olio di mais e olio di soia… che, dopo cottura, risultano avere valori nutrizionali peggiori. Però la maggior parte della produzione di questi olii avviene negli Stati Uniti: sarà un caso che venga in tutti i modi scoraggiato l’uso dell’olio di palma? Che si crei nella popolazione il terrore, affinché le industrie alimentari ne evitino l’uso? Perché non si dice alla gente che l’olio
di soia e di mais, cotti, risultano più nocivi dell’olio di palma? Francesco Pincini, Padova VACCINAZIONI Il ritorno del morbillo in Italia è colpa di troppi genitori irresponsabili che si rifiutano di vaccinare i loro figli. La loro scelta si basa su teorie strampalate, pregiudizi e considerazioni che non hanno nulla di scientifico: mi ricordano l’assurda campagna di demonizzazione di Boko Haram nei confronti delle vaccinazioni contro la poliomielite nel Nord della Nigeria (considerate un trucco dell’Occidente per sterilizzare i musulmani). A farne le spese, oggi, sono migliaia di bambini in carrozzella. Che rabbia! Antonio Pozzoni, Milano
WORKSHOP Lo scorso autunno non sono riuscita a partecipare al vostro seminario Dialoghi sull’Africa perché vi ho contattato troppo tardi e i posti disponibili erano già esauriti. Ma quest’anno non ho intenzione di mancare l’appuntamento: sapete già programma e data? Concetta Iacono, Avellino Gentile lettrice, la sesta edizione di Dialoghi sull’Africa si terrà il 18-19 novembre 2017, come sempre a Milano: si segni la data in agenda. Sul prossimo numero della rivista comunicheremo l’elenco degli argomenti e dei relatori. Maggiori informazioni sul programma saranno presto disponibili su africarivista.it
SOSTIENI CON IL TUO 5×1000 I MISSIONARI D’AFRICA 1 MOZAMBICO
assistenza agli orfani (P. Claudio Zuccala) 2 MALI
medicine per un dispensario (P. Alberto Rovelli) 3 BURKINA FASO
6 UGANDA
aiuto a studenti poveri (P. Jean Le Vacher) 8 AIUTI DA DESTINARE
dove è più urgente (P. Paolo Costantini) 9 ITALIA
microcredito per le donne (P. Maurice Oudet)
assistenza ai padri anziani (P. Paolo Costantini)
4 MALI aiuto scolastico a bambini (P. Vittorio Bonfanti)
10 ALGERIA sostegno a universitari (P. Aldo Giannasi)
5 SUDAFRICA retta scolastica per seminaristi (P. Luigi Morell)
11 MALAWI biogas per un villaggio (P. Abdon Gamulani)
Tel. 0363 44726
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COME AIUTARE: Nella tua dichiarazione dei redditi, firma nel riquadro “Sostegno delle organizzazioni non lucrative” e indica il codice fiscale della Onlus Amici del Padri Bianchi: 93036300163 Oppure dona tramite: - WEB con PayPal dal sito www.missionaridafrica.org - POSTA CCP numero 9754036 - BANCA IBAN IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: BCCTIT2TXXX
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MISSIONARI D’AFRICA Notizie e progetti dei padri bianchi italiani e svizzeri N. 2 MAGGIO-GIUGNO 2017 - ANNO 96
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a cura di Enrico Casale
AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA
STRANIERE IN PATRIA, LE DONNE CERCANO RISCATTO
ospitare e mantenere le ragazze. Così il religioso destina una parte dei fondi a queste giovani.
ALLEGATO REDAZIONALE
Considerate straniere dalle loro famiglie, in Burkina Faso vengono emarginate. Ma grazie a microfinanziamenti, «Il nostro intervento è prezioso per padre Oudet le aiuta a riscattarsi le ragazze – spiega padre Oudet –, Le considerano straniere. Straniere in patria, in famiglia, sul lavoro. Per dire femmina in lingua mossi, si utilizza proprio il termine straniera, perché, quando si sposano, le donne lasciano il proprio nucleo e se ne vanno. Diventano, appunto, estranee. Ma l’espressione straniera è anche sinonimo di esclusione. È proprio per combattere questa discriminazione che padre Maurice Oudet ha lanciato un progetto per sostenere le ragazze e le donne del Burkina Faso. Il progetto è iniziato con il sostegno alle piccole orfane. Le ragazze che rimangono senza padre interrompono gli studi perché la famiglia non ha più risorse da destinare all’istruzione. Così padre Oudet ha provveduto, con piccole cifre dai 20 ai 150 euro, a pagare le rette scolastiche. Lentamente, il finanziamento si è allargato anche a giovani parrucchiere o sarte in apprendistato. Queste ragazze, che iniziano a lavorare inizialmente non vengono pagate. Mediamente per i primi tre anni non ricevono stipendio, ma alcune devono aspettare di più. Diventa quindi necessario un supporto, affinché possano continuare a imparare un mestiere che garantisca loro un futuro sereno e dignitoso.
Padre Oudet però si è ritrovato anche ad aiutare le ragazze rimaste gravide senza essere sposate. Queste si trovano in una condizione particolarmente critica. Le loro famiglie le cacciano di casa perché per loro è una vergogna avere una figlia incinta senza un marito. Senza una casa e, spesso, senza un lavoro, non sanno dove vivere e come procurarsi il necessario. Padre Oudet trova loro una sistemazione presso altre famiglie. Queste ultime però chiedono una piccola pigione per
ma servono finanziamenti. Per questo facciamo appello a tutti coloro che, in Africa ma soprattutto in Europa, vogliono sostenerci. Chiediamo un piccolo contributo. Anche se piccolo, può darci una grande mano».
▶ PER CHI VUOLE AIUTARE Progetto n° 3 Burkina: microcredito donne Vedi modalità nell’ultima alla pagina di questo allegato
ALGERIA, UNA CHIESA SEMPRE PIÙ “CATTOLICA” Eredi, loro malgrado, di una pesante storia coloniale, i cattolici sono diventati una parte attiva della società civile, collaborando attivamente per la crescita umana e sociale delle comunità locali
TUNISIA
gno scolastico per le linr Mediter ALGERIA r a neo Ma gue (francese e inglese); ALGERI Costantina biblioteche per mettere Orano Diocesi Diocesi di Algeri Diocesi di a disposizione materiale Costantina di Orano valido per lo studio e la Laghouat MAROCCO ricerca; assistenza ai porGhardaïa Béchar tatori di handicap, fisico o mentale; attenzione agli immigrati; visite ai carceDiocesi di Tindouf Laghouat rati. «In questi nuovi settori di intervento – conLIBIA tinua padre Aldo –, gli Djanet agenti pastorali non lavorano più da soli, ma cerTamanrasset cano la collaborazione di MALI NIGER associazioni algerine nate recentemente e in fase di sviluppo, sia fra gli immigrati sia fra se come l’arabo e il berbero, studiare portatori di handicap. Questo parte- le tradizioni, approfondire l’islam. nariato permette una collaborazione «Queste difficoltà, reali, non frenano lo slancio della Chiesa – conclude fattiva tra musulmani e cristiani». La Chiesa del Sahara però è fragile. padre Aldo –. Malgrado tutto, essa Per i religiosi entrare in contatto con vive un passaggio importante ed esaluna cultura diversa non è sempre faci- tante. Per più di un secolo e mezzo, le. Significa imparare lingue comples- dall’inizio della colonizzazione ai nostri giorni, gli algerini hanno visto la Chiesa come un prolungamento dell’invasione politica e culturale della Francia e più in generale dell’Occidente. Questo amalgama ha fatto torto alla Chiesa. Oggi il cambiamento è in atto: il personale ecclesiastico ha una maggioranza netta che viene dall’Africa nera, e ciò mostra con tutta evidenza che la Chiesa non è legata né alla Francia né all’Occidente, né ai potenti di questo mondo. È cattolica, che vuol dire, una volta di più, universale, aperta a tutti». MAURITANIA
La Chiesa nel Sahara è una piccola realtà, ma attiva e vicina alla popolazione. Ne è testimone Aldo Giannasi, padre bianco, che da due anni vive e lavora nell’oasi di Ouargla, diocesi di Laghouat, in Algeria. Insieme ad altri due sacerdoti e a un gruppetto di suore è il punto di riferimento di una comunità cattolica di una ventina di persone. «Nel decennio che ha seguito l’indipendenza dell’Algeria (1962) – spiega padre Aldo –, il governo ha nazionalizzato tutte le istituzioni della Chiesa. Sacerdoti, suore, laici volontari si sono ritrovati “a mani vuote”. Un certo numero di loro è rientrato in Europa, la maggioranza però è restata, decisa a non abbandonare la gente che contava sulla loro presenza e sulla loro amicizia». Con grande intraprendenza, hanno così individuato nuovi settori di servizio. Niente più scuole, ma corsi per gli studenti che domandano un soste-
Uno scorcio del Sahara. Il deserto non è solo sabbia. Le rocce sono frequenti e offrono paesaggi grandiosi, inediti e ancora poco conosciuti
«LA VIOLENZA RELIGIOSA È SEMPRE DA CONDANNARE» La basilica di Nostra Signora d’Africa è un punto d’incontro tra cristiani e musulmani algerini. Un simbolo di convivenza che il rettore, padre Anselme, indica come modello di convivenza, utile contro la deriva fondamentalista che sta investendo l’islam
«La violenza in nome del cristianesimo o dell’islam è sempre da condannare». Anselme Auguste Kassoum Tarpaga, padre bianco originario del Burkina Faso, ha vissuto tra e con i musulmani. Con i musulmani ha sempre avuto un ottimo rapporto, che continua a mantenere anche ora che, da due anni, è rettore della basilica di Nostra Signora d’Africa, ad Algeri. Le porte della chiesa sono aperte a tutti. E il culto mariano, che da decenni si professa nella basilica, unisce i credenti in Allah e in Gesù. «Maria – ha spiegato padre Anselme al settimanale francese Jeune Afrique – è il ponte tra musulmani e cattolici in Algeria. In questa chiesa, i musulmani si sentono a casa, anche se (o forse proprio perché) sono buoni musulmani. Nella basilica non ci sono problemi. Non c’è nemmeno la protezione della polizia intorno all’edificio. Gli abitanti del posto e i visitatori si siedono sui gradini o camminano sul sagrato indisturbati». Una convivenza impensabile solo
qualche anno fa, quando l’Algeria era scossa da una guerra civile combattuta tra le formazioni jihadiste e le forze dell’ordine. Un conflitto che ha fatto molte vittime tra i cristiani: pensiamo ai martiri di Tibhirine e ai molti sacerdoti uccisi. Ma che ha eliminato ancor più gli stessi musulmani. Quei musulmani che si opponevano a una visione fondamentalista dell’islam. «Mi dispiace – continua padre An-
selme – che le religioni diano di sé un’immagine violenta. Vengo dal Burkina Faso, un Paese laico in cui tutte le religioni sono ben accette. Ci sono molti musulmani nella mia famiglia e la questione della convivenza non si pone neppure. Ma da alcuni anni l’islam è sempre più visto in termini ideologici, corrotto da una lettura wahhabita o salafita». È proprio questo il rischio più grande che sta vivendo il mondo islamico. «I fondamentalisti – conclude padre Anselme – sono ovunque, anche nei social network. E molti giovani, soprattutto quelli ai margini e senza alcuna speranza, si lasciano influenzare. Ma vale la pena ripeterlo senza sosta: la violenza in nome del cristianesimo o dell’islam è da condannare. È l’anti-Dio, il non-Dio sia per i musulmani sia per i cristiani». Donne cristiane berbere in preghiera, in Cabilia. Sopra, la basilica di Nostra Signora d’Africa, ad Algeri
EDUCARE PER CRESCERE: LA SCOMMESSA A BEIRA Il Centro Santi Innocenti lavora con una trentina di orfani e di ragazzi vulnerabili, offrendo loro una formazione umana e professionale che permetterà loro di costruirsi il futuro
L’educazione come via di riscatto. È questo il progetto del Centro Santi Innocenti di Beira (Mozambico). Nata nel 1994, la struttura si occupa in particolar modo degli orfani e dei ragazzi più vulnerabili. L’obiettivo è offrire loro gli strumenti necessari (umani e professionali) per entrare da adulti nel mondo del lavoro e così essere responsabili del proprio futuro. Il centro, spiega Claudio Zuccala, padre bianco, missionario in Mozambico, è passato per varie fasi, che hanno visto la chiusura di alcune attività per mancanza di fondi, ma anche l’apertura di una scuola primaria e secondaria frequentata da circa tremila alunni.
«Da qualche mese a questa parte – osserva padre Zuccala –, dovendo rispondere legalmente davanti allo Stato mozambicano sia della scuola sia del Centro, l’arcidiocesi di Beira ha cominciato a gestire direttamente (per quel che riguarda l’amministrazione) le due realtà, avvalendosi della collaborazione della congregazione dei padri somaschi. Suor Delfina e due sue consorelle rimangono incaricate della formazione umana e cristiana dei 35 ragazzi che risiedono nel centro, di cui più della metà ha meno di 15 anni». Negli ultimi anni, il Centro Santi Innocenti è stato aiutato dalla on-
lus “Amici dei Padri Bianchi”. «Nel 2016 – continua padre Zuccala –, abbiamo ricevuto offerte per un ammontare di circa 10.000 euro, che sono stati spesi per il cibo, l’igiene personale, l’abbigliamento e l’istruzione dei ragazzi (alcuni dei più grandi frequentano scuole professionali altrove) e per le spese di ordinaria manutenzione. Inoltre, Raffaella, una delle giovani suore che lavora con i ragazzi, ha terminato un corso di infermiera specializzata nell’area materno-infantile, pagato interamente da un gruppo di benefattori». Quali sono i progetti per il 2017? «Quest’anno – conclude padre Zuccala – lo trascorrerò in Italia, lontano dal Mozambico. Ma le attività continueranno anche senza di me. I padri somaschi continueranno a lavorare in loco e a mandare avanti il Centro. Ma, anche grazie ai benefattori che hanno a cuore la nostra opera e hanno contribuito e contribuiranno a finanziarla, si potrà continuare a offrire un futuro a tanti ragazzi a cui la sorte non aveva arriso fin dai primi anni di vita». 39° RADUNO EX ALLIEVI PADRI BIANCHI Il 39° Raduno avrà luogo a Castelfranco Veneto, presso i Padri Bianchi, la domenica 24 settembre. Inviare adesione a: agostino.rizzi@virgilio.it cell. 339.8349571 paolo@africarivista.it tel. 0363.44726 - cell. 339.7316259
SOSTIENI I MISSIONARI D’AFRICA TRAMITE LA ONLUS «AMICI DEI PADRI BIANCHI» La Onlus Amici dei Padri Bianchi sostiene e promuove il lavoro dei Missionari d'Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Come aiutare? • Con donazioni per i progetti presentati sulla rivista Africa e sostenuti da missionari – deducibili dalla dichiarazione dei redditi • Con contributi liberali a sostegno della rivista Africa – deducibili dalla dichiarazione dei redditi • Con il 5 x 1000 – indicando il codice fiscale della Onlus: 93036300163 • Con offerte per celebrazioni di Sante Messe (non deducibili) Tel. 0363 44726 – africa@padribianchi.it – www.missionaridafrica.org
AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA
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Dakhla
Chinguetti Ouadane
Ait Ben Haddou Erg Chigaga
Nouakchott Saint Louis Kayes Dakar
Roma
Tambacounda Isola di Gorée Somone
Djenné Pays Dogon
Bamako
data 5/8 6/8 7/8 8-9/8 10/8 11-12/8 13/8 14-15/8 16-17/8 18/8 19/8 20-21/8 22/8 23/8 24-25/8 26/8 27/8 28-29/8 30/8
Informazioni e prenotazioni:
info@kanaga-at.com
KM
660 700 350 520 375 150 340 300 390 180 395 630 430 480 300 270 450 280 625
Roma/Milano-Ventimiglia Ventimiglia-Barcellona Barcellona-Valencia Valencia-Cordoba Cordoba-Algeciras; Tangeri Med-Asilah Asilah-Chefchaouen Chefchaouen-Casablanca Casablanca-El Jadida-Marrakech 4 giorni Ait Ben Haddou Marrakech-Tafraoute Zagora\M'Hamid Tafraoute-Legzira-Sidi Ifni Erg Chigaga\Ouarzazate Sidi Ifni-Tan Tan-Tarfaya Tarfaya-Dakhla Dakhla-Nouadhibou Nouadhibou-Nouakchott 4 giorni Aouja\Atar\Chinguetti Nouakchott-Rosso-St Louis Ouadane\Terjit St Louis-Lago rosa-Dakar 4 giorni Dakar-Tambacounda Isola di Gorée\Somone Joal Fadiouth Tambacounda-Kidira-Kayes Kayes-Bamako 9 giorni
7825
Programma e quote:
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Segou\Djenné\Sangha (Pays Dogon)\Mopti
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