anno 92
n.4 luglio-agosto 2014
www.missionaridafrica.org
Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.
Etiopia
Uganda
Ladri di terre
Storie di adozioni
Kenya
Burundi
La figlia Missione ribelle dei di pace Masai
zanzibar
ISOLA SEGRETA
Daniele Tamagni
Alessandro Gandolfi
Dialoghi sull’Africa
ne o i z i d e a 4
Marco Garofalo
Giulio Albanese, giornalista e missionario Cristiana Fiamingo, docente Università Statale di Milano Colette Kitoga Habanawema, medico e psicoterapeuta in Congo Stefano Liberti, giornalista e scrittore Raffaele Masto, scrittore e reporter
Daniele Tamagni
Daniele Tamagni
Un weekend di incontri per capire, conoscere e confrontarsi
Enzo Nucci, corrispondente Rai da Nairobi Marina Petrillo, giornalista di Radio Popolare Alberto Salza, antropologo e analista Raffaello Zordan, giornalista di Nigrizia
Quando: sabato 29 e domenica 30 novembre 2014 Dove: a MILANO, Hotel Machiavelli Quota di partecipazione: 200 euro, studenti 150 euro Numero di partecipanti: 40 Info: a nimazione@padribianchi.it 334.2440655 www.missionaridafrica.org I primi iscritti potranno usufruire dell’ospitalità, semplice ma gratuita, offerta dai missionari Padri Bianchi a Treviglio, o del pernottamento scontato in hotel a Milano.
editoriale
di Raffaele Masto
Miopia politica o razzismo velato? C’ erano i mondiali di calcio in Brasile. E c’erano quasi 300 liceali nigeriane sequestrate da una sanguinaria formazione del terrorismo islamico. La seconda notizia non ha affatto “coperto” nè disturbato la prima, alla quale sono stati dedicati più inviati, più notizie, più servizi speciali da TV, radio e giornali. Domanda: se le 300 ragazze fossero state americane, i mondiali sarebbero stati almeno un po’ oscurati? E se i rapitori appartenessero a qualche gruppo religioso dell’integralismo cristiano o della destra razzista e xenofoba americana, il mondo si sarebbe almeno un po’ indignato? Personalmente dico di si. Il mondo si sarebbe indignato e quasi sicuramente i commentatori sportivi avrebbero, a più riprese, ricordato la vicenda e buona
parte degli spazi sui media sarebbero stati occupati da questo evento. Eppure, la notizia delle ragazze nigeriane contiene tutti gli elementi che la rendono giornalisticamente sensazionale, clamorosa e al tempo stesso agghiacciante. Sono tante e sono (e probabilmente saranno) introvabili, perdute; sono state costrette a convertirsi all’islam, presumibilmente diverranno spose forzate e schiave sessuali. Boko Haram è una formazione surreale, di un integralismo oscurantista, primitivo, rozzo, selvaggio: non credono alla sfericità della terra, considerano peccaminoso tutto ciò che è occidentale, riservano alle donne un ruolo di schiave e, secondo il loro credo, gli infedeli meritano solo di essere sgozzati senza pietà, come avviene di continuo in molti villag-
gi del nord della Nigeria. Boko Haram non è solo una formazione surreale, ma è l’espressione - certamente tra le più radicali di un attacco generalizzato dell’integralismo islamico armato all’Africa e al mondo intero.
Risvegli fondamentalisti Fino a dieci anni fa, viaggiando in Africa, si poteva visitare le moschee, vi si era accolti; oggi, entrarvi in molti posti viene considerato blasfemo. L’islam in Africa era qualcosa di accattivante, anche di attraente e di saggio, per la tolleranza e la libertà di espressione che vi regnava. Oggi, in molti Paesi del Sahel le donne, anche le bambine, sono velate da capo a piedi mentre, prima, indossavano abiti colorati, leggeri che magari, visto il clima, lasciavano scoperte le spalle.
Non si tratta solo di costumi, anche perché Boko Haram è solo un movimento. Ma che dire dei continui attacchi degli Shebab sulle coste orientali dell’Africa? Che dire del Kenya, del Mali, della Somalia, del Sudan, del Centrafrica? Per fare attentati, per maneggiare esplosivo, per avere miliziani addestrati ci vogliono protettori potenti: chi getta soldi in queste imprese? Di fatto, le primavere arabe, le rivolte in Siria e Iraq e altrove, hanno risvegliato forti movimenti fondamentalisti armati che aspirano a un potere islamista assoluto. Il volto dell’Africa sta cambiando, ma questo mutamento non sembra preoccupare il mondo più di tanto e non oscura i mondiali: miopia politica o una vena di razzismo? O entrambe le cose? •
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sommario
lo scatto 39. Virus letale Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) EDITORE
Prov. Ital. della Soc. dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi DIRETTORE RESPONSABILE
Alberto Rovelli
DIRETTORE EDITORIALE
Paolo Costantini COORDINATORE
Marco Trovato WEBMASTER
Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE
Bruno Paganelli
PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA
Matteo Merletto
PROGETTO GRAFICO E REALIZZAZIONE
Elisabetta Delfini
DIREZIONE, REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE
Cas. Post. 61 - V.le Merisio 17 24047 Treviglio (BG) tel. 0363 44726 - fax 0363 48198 africa@padribianchi.it www.missionaridafrica.org http://issuu.com/africa/docs COPERTINA
Marc Dozier / LightMediation FOTO
Si ringrazia Olycom COORDINAMENTO E STAMPA
Jona - Paderno Dugnano
Periodico bimestrale - Anno 92 luglio-agosto 2014, n° 4
Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).
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copertina
40 40. Cartoline da Zanzibar
di Claudio Agostoni e Marc Dozier
attualità
3 4 Le mani (straniere) sull’Africa 10 «Io sto dalla parte della natura» anni all’Equatore genitori 12 Treper diventare 18 Terrore nel deserto 20 La figlia ribelle dei Masai Africanews
a cura di InfoAfrica
di Raffaele Masto e Alfredo Bini di Giusy Baioni
di Tadej Znidarcic (trad. S.Leone) a cura della redazione
di Emanuela Zuccalà e Alice Pavesi
Società
26 La guerra delle soap opera 30 Voglio un’auto esagerata 32 Tip-Tap Sudafrica 35 Quando la bellezza è acqua 36 Attrazioni stellari di Paola Marelli
di Joshua Mampuru
di Paul Kareman e Daniele Tamagni di Souleymane Ouédraogo
africa rivista
@africarivista
di Yasmine Zaouali
Guinea
68. La messa è finita Mali
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libri - musica di Pier Maria Mazzola e Claudio Agostoni
cultura
50 Quel castello nella foresta 52 Piroghe in salotto 56 Il buono del deserto 58 Elogio al burocrate di Nzioka Museru
di Mohamed Faye di Roberto Paolo
di R. Masto e G.Dubourthoumieu
sport
60 Somalia su ghiaccio di Marco Trovato
storia
anni in bianco e nero 62 Glidell’Apartheid a cura della redazione
chiesa
70 Lezioni di pace togu na 76 vita nostra 77
di Raffaele Masto e Marco Trovato
a cura della redazione
a cura di P. Costantini, C. Zuccala e della redazione
COME RICEVERE AFRICA per l’Italia:
Contributo minimo consigliato 30 euro annuali da indirizzare a: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) viale Merisio, 17 - 24047 Treviglio (BG) CCP n.67865782 oppure bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda Missionari d’Africa Padri Bianchi IBAN: IT 93 T 08899 53640 000 000 00 1315
per la Svizzera:
Ord.: Fr 35 - Sost.: Fr 45 Africanum - Rte de la Vignettaz 57 CH - 1700 Fribourg CCP 60/106/4
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news
a cura di InfoAfrica
INFO
Africa
www.infoafrica.it
Africanews, brevi dal continente 1 Guinea. Ebola, epidemia ancora da circoscrivere Ha superato i 300 morti a giugno il bilancio dell’epidemia di ebola che da alcuni mesi sta imperversando in Africa occidentale. Il dato è stato riferito dall’Organizzazione mondiale della sanità e resta parziale anche perché non si hanno informazioni certe su alcune zone più remote e difficilmente raggiungibili. Il Paese più colpito è la Guinea con 264 morti, seguono Sierra Leone e Liberia.
2 Mali. Riecco l’Azawad Dopo aver contenuto con l’aiuto della comunità internazionale le minacce dei gruppi jihadisti, il governo di Bamako, tra maggio e giugno, è stato costretto a far fronte a un riacuirsi della crisi nel nord del Paese. A tornare sulla scena sono stati gruppi tuareg e altre formazioni che lottano per una maggiore autonomia dell’Azawad, nome con cui è anche noto il nord del Mali. L’Algeria sta mediando tra le parti e ha ospitato i primi negoziati ottenendo un cessate-il-fuoco.
3 Costa d’Avorio. Quasi un telefonino per abitante Sono circa 20 milioni, su 23 milioni di abitanti, gli ivoriani in possesso di
un telefono cellulare. Lo ha detto il ministro delle Telecomunicazioni, Bruno Nabagne Kone, in occasione della giornata nazionale delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Il ministro ha annunciato misure per sostenere il settore con investimenti sulle infrastrutture e linee guida a vantaggio degli utenti.
4 Mozambico. Insicurezza e appelli al dialogo Sono ripresi gli scontri armati in Mozambico tra militari e combattenti della Renamo dopo che questi ultimi hanno sospeso la tregua agli inizi di giugno. I nuovi scontri rendono più difficile il clima politico a poco tempo dalle elezioni presidenziali di ottobre a cui la stessa Renamo (all’opposizione) dovrebbe prender parte. Il clima di insicurezza ha portato la Confederazione delle associazioni di affari, che riunisce molti imprenditori mozambicani, a lanciare un appello al dialogo e a moltiplicare gli sforzi per trovare una soluzione alla crisi politico-militare.
5 Eritrea. In aumento le persone in fuga Sono 4.000 gli eritrei che ogni mese fuggono dal loro Paese a causa della situazione politica e delle
violazioni dei diritti umani. A ribadire un quadro già noto, è stata la relatrice dell’Onu sui diritti umani nel paese del Corno d’Africa, Sheila Keetharuth, che nel nuovo rapporto dichiara inoltre il trend in aumento e la situazione in peggioramento.
6 Kenya. Un piano urbanistico per Nairobi L’amministrazione locale di Nairobi ha lanciato un nuovo piano urbanistico volto a ridurre la pressione del traffico automobilistico, che ha ormai preso d’assedio la capitale keniana al pari di altre me-
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ferroviarie metropolitane e una nuova stazione.
7 Madagascar L’UE ha annunciato la ripresa degli aiuti al Madagascar. Bruxelles aveva interrotto la cooperazione con l’isola nel 2010, in seguito alla crisi politica risoltasi poi, alla fine del 2013, con le elezioni parlamentari e presidenziali. Il ritorno all’ordine costituzionale ha convinto anche la Banca Mondiale a riavvicinarsi al governo di Antananarivo: in previsione ci sono stanziamenti destinati alla protezione sociale e alle infrastrutture.
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tropoli africane. Il piano prevede la costruzione di una dozzina di sobborghi commerciali che saranno uniti ai principali corridoi di trasporto attraverso strade e superstrade. Si realizzeranno inoltre linee
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attualità
testo di Raffaele Masto foto di Alfredo Bini
Le mani
sull’Africa Le fertili terre del continente africano fanno gola a molti governi e imprenditori. Ma la loro cessione arricchisce solo politici e grandi investitori, danneggiando i contadini. Come documenta questo reportage realizzato in Etiopia
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i chiama Land Grabbing e si pronuncia Nuovo Colonialismo. L’analogia può sembrare forte, esagerata, provocatoria, ma, se ci si pensa bene, risulta più che appropriata e calzante. In fondo il colonialismo aveva come obiettivo economico quello di sfruttare il territorio delle colonie dal punto di vista sia agricolo che minerario e, nel caso delle potenze che possedevano un “impero”, di coordinare la produzione in funzione delle necessità economiche della “Madre Patria”. Così i Paesi africani sono arrivati all’indipendenza praticamente mutilati, incapaci di avere una produzione utile alla propria popolazione, con una spe-
Nel suo ufficio di Addis Abeba, Birinder Singh mostra sulla mappa dell’Etiopia i possedimenti della Karuturi, di cui è il direttore esecutivo, primo produttore di rose del mondo. In Etiopia questa società - che produce anche canna da zucchero, palma da olio e riso - sfrutta le favorevoli condizioni fiscali concesse dal governo e il basso costo della manodopera locale
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attualità
Lo scandalo del Land Grabbing: ecco le foto che documentano il saccheggio delle terre in Etiopia cializzazione produttiva assurda, unicamente dedicata al’esportazione: il Senegal le arachidi, il Sudan il cotone, il Kenya il tè, la Costa d’Avorio il cacao, solo per citare alcuni esempi. Il Land Grabbing, letteralmente “accaparramento di terre”, riproduce in una nominale economia di mercato esattamente quel modello. Sono cambiate le potenze coloniali, sono cambiate le produzioni, non ci sono più gli imperi, e i Paesi africani sono formalmente “sovrani”. Ma la sostanza resta. Che dire del fatto che l’Arabia Saudita ha acquistato la possibilità di sfruttare per 99 anni una larga fetta di altopiano etiopico? Un altopiano che è un ecosistema formidabile, unico luogo al mondo
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nel quale cresce un cereale delicato e fortemente nutritivo come il teff, alimento base della popolazione del Paese che, pur essendo uno dei miracoli economici africani, non ha ancora raggiunto l’autosufficienza alimentare. Certo, è tutto più che comprensibile: l’Arabia Saudita è un Paese ricco, con una crescita demografica marcata, e non ha terra coltivabile. Sono comprensibili anche le mosse della Corea del Sud, piccolo Paese con terre insufficienti per una popolazione responsabile di una densità abitativa tra le più alte del mondo. Infatti Seul si è comprata una buona fetta del fertile altopiano del Madagascar. E che dire della Cina che, con il suo miliardo e 300mila abitanti, è di-
LA MAPPA DEL SACCHEGGIO Ecco le principali acquisizioni di terra in Africa da parte di aziende private: ANGOLA Oltre 500mila ettari di terreni sono stati venduti a società brasiliane, spagnole e sudafricane che operano nel settore dei biocarburanti. BENIN C’è il progetto di utilizzare 400mila ettari di zone paludose per la produzione di olio di palma. CAMERUN Un’impresa francese che produce olio di palma ha acquisito 60mila ettari. ETIOPIA 23 milioni di ettari sono stati concessi dal governo a società straniere per la produzione di jatropha. Altri 700mila ettari sono stati ceduti a società che esportano fiori e zucchero di canna. GHANA 700mila ettari di terreni fertili sono occupati dalle piantagioni dell’israeliana Galten, della norvegese Scanfuel, della britannica Jatropha Africa e dell’italiana Agroils (105mila ettari). KENYA Le autorità stanno trattando la cessione di 500mila ettari a società giapponesi, belghe e canadesi.
attualità
testo di Giusy Baioni
«Io sto dalla parte
Intervista all’ambientalista africano Marc Ona Patrick Fort / AFP
Marc Ona Essangui ha 46 anni, è sposato e ha quattro figli. È il fondatore e presidente della Ong ambientalista Brainforest, con sede nella capitale del Gabon, Libreville. A sinistra, l’attivista gabonese, costretto alla sedia a rotelle dalla nascita, mostra il suo passaporto usato per andare a ritirare un premio a Parigi
Si batte contro le multinazionali del legno e i colossi estrattivi che minacciano le preziose foreste del Gabon. Non lo hanno fermato le minacce, il carcere né la sedia a rotelle
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e minacce e il carcere non lo fermano. E nemmeno l’handicap con cui convive da bambino, che lo costringe su una sedia a rotelle: non ne parla mai e non lo considera un limite. Marc Ona Essangui, gabonese, è una forza della natura. Ed è proprio alla natura rigogliosa e incontaminata del suo Paese che ha deciso di consacrare la sua vita, fondando una ong che si chiama Brainforest che combatte contro
lo sfruttamento intensivo della splendida foresta equatoriale del Gabon, una delle meglio conservate del continente. Più volte convocato e fermato dalla polizia per le sue battaglie ambientaliste, nel 2008 è stato anche arrestato e rilasciato dopo due giorni, a seguito di forti pressioni internazionali. Molte le battaglie intraprese con successo: «Ci siamo attivati per la creazione di zone protette», elenca al
telefono dal quartier generale della sua associazione a Libreville. «Abbiamo fermato la devastazione della compagnia francese Rougier, specializzata nel commercio di legname tropicale, e abbiamo fatto saltare un contratto milionario che avrebbe permesso ai cinesi di costruire una diga sulle cascate Kongou, tra le più belle e importanti dell’Africa centrale, salvando il parco nazionale di Ivindo».
Nemico dei corrotti Il militante ambientalista parla con voce pacata, che non fa trasparire la sua indole risoluta e combattiva. «Lo sfruttamento può essere legale o illegale - dice - ma quando le imprese incontrano un regime corrotto, anche le concessioni regolari possono essere
della natura»
Essangui
comprate. L’Europa, vincolata dalle sue normative, opta per quello legale, mentre i gruppi asiatici, cinesi, malesi, coreani, sono più aggressivi». È consapevole dei rischi che corre opponendosi alle grandi potenze. «Con le nostre denunce e campagne di controinformazione andiamo a ledere interessi economici e politici enormi. Siamo continuamente minacciati e imprigionati. Ho dovuto mandare la mia famiglia in esilio in Francia». Lui è restato a Libreville per portare avanti la sua sfida contro i potenti. «Ora stiamo lottando contro un’impresa di Singapore che fa Land Grabbing (la pratica dell’accaparramento di vaste aree di superficie rurale irrigua e coltivabile da parte di stra-
nieri) per avviare piantagioni di palme da olio. Ma non possiamo difendere la foresta se la corruzione è ovunque; per questo ci siamo posti anche l’obiettivo di combattere contro l’impunità, ci impegniamo nella lotta per la trasparenza e il buongoverno».
Sfida al dittatore Parole forti, che lui pronuncia senza atteggiarsi ad eroe. A proteggerlo c’è una fitta rete di ong e istituzioni internazionali e lui non manca di sottolinearlo: «Ho dalla mia il Dipartimento di Stato americano, le ong e i politici francesi, tutta l’Unione Europea». In una recente intervista al settimanale Jeune Afrique, il presidente Ali Bongo accusava direttamente Marc Ona di aver superato la linea tra attivismo e politica.
Lui non si è fatto intimorire: «Non sono mai stato candidato, non sono politicamente schierato, ma quando la corruzione c’è e le istituzioni non sono democratiche, tutti i cittadini devono impegnarsi per dire stop alla deriva. La sfida africana per la democrazia passa dal controllo civico della cosa pubblica, ogni cittadino deve chieder conto. L’Africa ha avuto molti dittatori e Bongo padre e figlio sono tra questi». Prima di lasciarlo, gli chiediamo cosa lo spinge ad essere così attivo, anche a costo di mettere a repentaglio la vita e gli affetti più cari. «Preservare l’ecosistema forestale del Gabon è una battaglia di civiltà che riguarda tutti, perché è uno dei polmoni verdi rimasti e il mondo intero ne trae beneficio. Certo, mi fa piacere ricevere premi e riconoscimenti internazionali, ma la spinta che mi sostiene ogni giorno è la consapevolezza di fare qualcosa di utile all’intera umanità». •
Paese di contrasti
Il Gabon ha un vastissimo polmone verde (l’85% della sua superficie è coperto dalla foresta equatoriale), una piccola popolazione (un milione e mezzo di abitanti) e abbondanti risorse naturali (ha la terza riserva di petrolio più grande dell’Africa sub-sahariana: 2,5 miliardi di barili). Il reddito pro capite è dieci volte superiore a quello delle nazioni confinanti, ma le ricchezze sono assai mal distribuite: pochi super-ricchi e mezza popolazione ancora al di sotto del limite della povertà. Il Paese è governato dal 2009 col pugno di ferro da Ali Ben Bongo, succeduto al padre Omar Bongo, despota di Libreville per 41 anni.
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testo e foto di Tadej Znidarcic traduzione di Silvana Leone
Donne single, pensionati e bimbi bisognosi: storie di insolite adozioni in Uganda
Sono partiti dall’Europa o dall’America per trascorrere un breve periodo di volontariato nel cuore dell’Africa. In Uganda hanno conosciuto orfani o bambini abbandonati. E hanno deciso di adottarli…
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Tre anni all’Equatore per diventare genitori
attualità
I numeri delle adozioni internazionali In Italia nel 2013 sono stati adottati 2825 minori originari di 56 paesi diversi. Circa 8 bambini al giorno. Uno su quattro (730) proveniva dalla Federazione Russa. Uno su cinque (570) era di origine africana; ecco, nello specifico, i paesi natii: Etiopia 293 (10,37%) Repubblica Pop. Cinese 161 (5,70%) RD Congo 159 (5,63%) Burkina Faso 37 (1,31%) Burundi 23 (0,81%) Kenya 12 (0,42%) Messico 10 (0,35%) Senegal 10 (0,35%) Benin 8 (0,25%) Mali 7 (0,20%) Camerun 5 (0,12%%) Fonte: Rapporto statistico della Commissione per le adozioni internazionali
ROMA E MILANO, CAPITALI DELL’ADOZIONE Gli enti autorizzati a seguire l’iter adottivo dei minori stranieri in Italia sono 212. La maggior parte è presente nel Lazio (32 sedi) e in Lombardia (27 sedi). L’età media di un minore adottato in Italia è di 5 anni e mezzo.
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LINDA ED EMMANUEL Linda van der Linden, 23 anni, era arrivata dall’Olanda per trascorrere due mesi di volontariato in un orfanotrofio a Soroti, nell’Est dell’Uganda. Poi ha conosciuto il piccolo Emmanuel, uno scricciolo di poche settimane di vita, e i suoi programmi sono cambiati. «Sua madre era morta di malaria e la sua famiglia non poteva prendersi cura di lui: il bimbo aveva poche chance di sopravvivere», racconta Linda. «I giudici tutelari mi dissero che l’unica possibilità che avevo per adottarlo era di vivere in Uganda per tre anni e chiederne l’affidamento. Ho accettato e oggi ringrazio Dio per avermi dato la possibilità di avere un figlio». Linda ed Emmanuel ora vivono in Olanda.
LEWIS E SARA Lewis Bradbury, 53 anni, era giunto dagli Usa con sua moglie Acacia per trascorrere un’estate in Uganda all’insegna della solidarietà. «Davamo una mano a medici e infermieri di una clinica rurale. Una mattina alcune donne del villaggio ci portarono la piccola Sara. La madre soffriva di problemi mentali e aveva gettato la neonata nella buca di una latrina, mentre il padre se n’era andato di casa. «Parlai con mia moglie della possibilità di tenerla a vivere con noi… I nostri due figli erano ormai adulti. Ci spaventava l’idea, alla nostra età, di ricominciare ad accudire una bambina piccola. Ma superammo i timori e diventammo i tutori legali di Sara». Fu concesso loro di portare la bambina negli Stati Uniti solo dopo aver concluso l’iter previsto per l’adozione, ovvero dopo aver vissuto per tre anni con lei in Uganda.
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attualità
a cura della redazione
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i è da poco conclusa a Maputo la Conferenza di monitoraggio sulla messa al bando delle mine antiuomo. È stata l’occasione per verificare lo stato di attuazione della Convenzione di Ottawa (firmata da 138 Paesi fra cui l’Italia; non da Cina, Stati Uniti, Russia, Cuba e Israele), che nel 1997 ha proibito l’uso, la produzione e la vendita di questi micidiali ordigni e la relativa distruzione degli arsenali esistenti. Bilancio con luci e ombre: gli sforzi della comunità internazionale nel porre fine alla strage degli innocenti provocata dalle mine stanno dando i loro frutti (diminuiscono le vittime e le regioni minate). Ma ancora oggi i numeri degli incidenti sono agghiaccianti. Ogni 20 minuti in qualche parte del mondo un essere umano salta su una mina. L’anno scorso questi ordigni hanno causato 3.628 vittime: oltre mille sono morte (un terzo erano bambini). I Paesi più colpiti dal fenomeno sono Afganistan, Colombia, 18 africa · numero 4 · 2014
foto di Federico Sutera
Cambogia, Yemen e Pakistan. In Africa i Paesi più pericolosi sono Angola, Mozambico, Sud Sudan... e Sahara Occidentale: un territorio occupato e minato dal Marocco nel 1976. Il fotografo Federico Sutera, 36 anni, veneziano, ha immortalato alcuni civili saharawi rimasti mutilati a causa dell’esplosione di mine: un reportage realizzato per non dimenticare un popolo e una tragedia ignorato dai grandi media (altre foto su www. federicosutera.com). In queste pagine vi mostriamo alcune vittime: tutto sommato, le più fortunate, quelle che se la sono cavata con un arto amputato. Le altre non ci sono più. •
Malgrado i progressi della campagna internazionale per la messa al bando delle mine antiuomo, nel mondo ogni venti minuti una persona salta su un ordigno. E nel Sahara Occidentale la morte può nascondersi sotto la sabbia delle dune...
Terrore nel
Le ferite indelebili dei Saharawi rimasti
Numeri mortali 80 i Paesi dove decine di milioni di mine sono attive 200 milioni di mine depositate negli arsenali militari 1 mina ogni 48 abitanti del pianeta 90% delle vittime sono civili 20% sono bambini 2.000 vittime al mese 26.000 vittime ogni anno
deserto
vittime delle mine
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attualità
testo di Emanuela Zuccalà foto di Alice Pavesi
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Ai piedi del Kilimangiaro una donna keniana porta avanti una coraggiosa battaglia per l’emancipazione femminile
Nice con i Moran (i fieri guerrieri masai) del villaggio di Nomayianat, in Kenya. Alle loro spalle, l'inconfondibile sagoma del monte Kilimangiaro
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attualità Nice Nailantei, 23 anni, si è rifiutata di sottoporsi al rito della mutilazione genitale che segna il passaggio all’età adulta per le giovani masai. E ha convinto gli anziani della sua comunità a salvaguardare il fisico di mille bambine
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l grande albero protettore nelle notti di paura sta ancora lì, a presidiare i sentieri della sua infanzia. Nice lo osserva con antica gratitudine, forse pensando che sia l’unico personaggio rimasto immobile in questa savana ventosa nel sud del Kenya, sorvegliata dal Kilimangiaro che appare e scompare dietro la corsa delle nuvole. Per spiegare la rivoluzione che dal villaggio masai di Nomayianat sta investendo l’intera area, Nice racconta di sé bambina: un’orfana che sgattaiolava fuori da casa dello zio per scomparire sotto l’acacia, in attesa che le luci del giorno e l’eccitazione per la cerimonia facessero dimenticare la sua assenza nel conteggio delle
In alto, Nice Nailantei durante una riunione con gli anziani masai del villaggio di Murtot, nel sud del Kenya. Una visita ginecologica in un laboratorio nato grazie all’impegno di Nice. La donna stata ingaggiata dall’associazione per una campagna finalizzata a ridurre del 25% la mortalità materna in Africa 22 africa · numero 4 · 2014
bimbe da “tagliare”. Per due volte s’è sottratta così all’emuatare, il sanguinoso e ineluttabile rito di passaggio all’età adulta per le femmine: «Sapevo che avrei pianto, condannando la mia famiglia alla vergogna. Durante la circoncisione, le bambine masai devono stare zitte e ferme sulla pietra, senza neppure muovere gli occhi, altrimenti nessuno le vorrà in sposa. Sarei fuggita all’infinito, finché affrontai mio nonno, il capofamiglia: “Non voglio” gli dissi “ho 8 anni, devo finire la scuola”. E lui, sbalordito, cedette».
A scuola conviene Oggi, Nice Nailantei Leng’ete, è una 23enne alta e sinuosa, prossima alla laurea in Management sanitario e convinta che bastino un sogno e una testa dura per ribaltare il mondo. Lei è già riuscita a cambiarlo, il suo mondo: la società profondamente patriarcale dei pastori masai che colorano il paesaggio attorno alla città keniana di Loitokitok. Impegnata fin da adolescente con l’organizzazione sanitaria Amref («Ero l’unica ra-
società
testo di Paola Marelli
La guerra delle
Contendersi il pubblico con un susseguirsi di
Mentre in Europa e Stati Uniti le telenovelas sono in crisi, a sud del Sahara i protagonisti degli sceneggiati fanno ascolti da record. E nella battaglia dell’audience si celano enormi interessi, non solo economici…
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o scorso autunno una contesa sindacale ha tenuto con il fiato sospeso milioni di sudafricani. Non ci riferiamo alla cruenta lotta dei minatori che hanno incrociato le braccia per settimane per esigere (e ottenere) dalle società minerarie un signi-
ficativo aumento salariale. E non stiamo nemmeno parlando delle dure proteste inscenate dai braccianti agricoli e dai lavoratori dei trasporti che pure hanno provocato pesanti contraccolpi sulla vita dei cittadini. A creare subbuglio in Sudafrica nel mese di
soap opera
colpi di scena. Succede in Africa ottobre è stato lo sciopero indetto (sempre per rivendicazioni retributive) dai protagonisti di Generations, la più popolare serie televisiva nel Paese, trasmessa da vent’anni in prima serata dal canale Sabc1: una soap opera seguita in media ogni sera da otto milioni di fedelissimi spettatori. La minaccia degli attori di bloccare la registrazione delle nuove puntate - con conseguente interruzione del programma - ha seminato il panico tra la popolazione. La solidarietà popolare nei confronti dei beniamini del piccolo schermo è stata totale: ci sono state manifestazioni, sit-in, minacce di boicottaggio nei confronti della tivù pubblica, non sono mancate interpellanze parlamentari volte a scongiurare la sospensione delle trasmissioni. La mobilitazione ha avuto i suoi effetti: le star di Generations hanno ottenuto gli aumenti in busta paga e la gente è tornata, finalmente serena, ad accomodarsi davanti al televisore per seguire le avventure e disavventure di Akhona Griffiths e Phenyo Dlomo - il buono e il cattivo -, i
due principali protagonisti dell’amatissimo sceneggiato.
Eroi stranieri e locali La vicenda dimostra quanto ancora oggi in Africa le cosiddette fiction televisive seriali godano di un pubblico vasto e affezionato che si appassiona e si divide attorno alle vicende clamorose che si dipanano puntata dopo puntata. Se in Occidente le soap opera e le telenovelas stanno attraversando un periodo di forte crisi d’ascolto (oggi il pubblico giovanile preferisce i reality), a sud del Sahara questo genere - importato trent’anni fa dall’America - non manifesta segni di sfiancamento. Anzi, i canali televisivi che fino a poco tempo fa si contendevano i diritti degli storici serial statunitensi (General Hospital, Sentieri, Beautiful…) o brasiliani (Roque Santeiro, Avenida Brasil, La schiava Isaura…) oggi investono nella produzione locale di nuovi sequel, ritenendoli strategici nella battaglia per lo share. Una battaglia senza esclusione di colpi - di cui ha recentemente parlato il magazine The
A fianco, il cast di Generations, la più popolare soap sudafricana. In alto, gli interpreti di una puntata e sotto, l’appuntamento quotidiano davanti alla tv in un villaggio del Mali. Invidie, tradimenti, menzogne e gelosie: ogni sera va in onda il peggio dell’animo umano. Ma alla fine il bene vince sempre sul male
Africa Report pubblicando l’inchiesta Small Screen Rivals, a cura di Rose Skelton - dove sono in gioco enormi interessi, non solo economici.
Celebrità nazionali In Costa d’Avorio la gente si appassiona per le vicende quotidiane delle soap locali Sauvée par l’amour e Ma famille, che oramai africa · numero 4 · 2014 27
società
testo di Joshua Mampuru
Graham Holliday
Voglio un’auto Follie su quattro ruote
A Kampala, Uganda, ha aperto la prima carrozzeria ispirata al popolare programma televisivo Pimp My Ride. I suoi clienti spendono cifre folli per trasformare vecchie auto scassate in fantastici bolidi dotati di accessori futuristici
30 africa · numero 4 · 2014
C
hi non ha mai sognato di emulare James Bond mettendosi al volante di una di quelle auto futuristiche che si vedono nei film dell’Agente 007? Fin da bambini abbiamo sgranato gli occhi davanti a quei veicoli dotati di carrozzeria superblindata, propulsori a razzo, micidiali armi che fuoriescono dai fanali, cortine fumogene, spargichiodi, scudi posteriori antiproiettile, sedili eiettabili, targhe intercambiabili rotanti, radar e raggi laser nascosti nei fendinebbia…
Più di recente, il programma televisivo Pimp My Ride, mandato in onda in tutto il mondo da Mtv, ha rinnovato quel sogno fanciullesco. I protagonisti di ogni puntata sono un gruppo di esperti meccanici che hanno il compito di rimettere a nuovo un’auto malconcia e di addobbarla aggiungendo un gran numero di accessori ed elaborazioni, tali da trasformare una scassata utilitaria in un sofisticatissimo bolide. La parola pimp nel gergo di strada newyorkese significa “pappone”: le auto vengono infatti decorate in maniera così vistosa da oltrepassare il confine del buon gusto. Il divertimento principale della trasmissione sta nel seguire la trasforma-
società
testo di Paul Kareman foto di Daniele Tamagni
Il ballo con le scarpe risuonanti, reso celebre negli anni Cinquanta del secolo scorso dai musical di Broadway e Hollywood, torna in auge in una povera township sudafricana
TIP-TAP SUDAFRICA La storia di cinque ballerini di successo (con le lattine ai piedi)
32 africa · numero 4 · 2014
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oreografie mozzafiato, numeri funambolici, ritmi travolgenti, virtuosismi e creatività senza freni: il tit-tap è tornato con la sua irresistibile energia. Ma non si pensi di rivivere i celebri duetti di Ginger Roger e Fred Astaire né il mitico balletto con l’ombrello di Gene Kelly: scene memorabili che hanno fatto la storia di Broadway e Hollywood. No, i moderni danzatori con le scarpe suonanti hanno uno stile contaminato dalla musica hip hop, ostentano look assai più casual e si
società
testo di Yasmine Zaouali
La Tunisia vuole rilanciare il turismo con la fantascienza
D
alla guerra civile a Guerre Stellari: la Tunisia volta a pagina e si affida alla fantascienza per rilanciare il turismo, in crisi dalla rivoluzione che nel 2011 ha spodestato il regime di Ben Ali. Lo scorso 30 aprile, le truppe d’assalto dell’Impero hanno sfilato per le vie di Tunisi sotto lo sguardo divertito e frastornato dei passanti. Le colonne dei soldati, armati di fucili blaster ed equipaggiati con l’inconfondibile corazza bianca, hanno invaso pacificamente il centro della capitale, in occasione di un raduno organizzato dai
36 africa · numero 4 · 2014
Per richiamare i visitatori stranieri, le autorità di Tunisi invitano gli appassionati di Star Wars a scoprire le località del deserto dove furono ambientaye alcune scene della celebre saga cinematografica
fanclub di Star Wars con il sostegno del ministero del turismo tunisino. Da ogni parte del mondo sono arrivati appassionati e cultori della celebre saga creata nel 1977 da George Lukas. In tanti hanno approfittato del viaggio per visitare nel Sud del Paese i set in cui furono girate alcune memorabili scene del film.
Paesaggi lunari È risaputo, infatti, che il deserto tunisino fu scelto dai produttori americani per rappresentare il pianeta sterile di Tatooine nel primo episodio uscito nel-
le sale cinematografiche. In particolare le località di Matmata, Medenine e
copertina
testo di Claudio Agostoni foto di Marc Dozier/LightMediation
Alla scoperta di un’isola che sa ancora sorprendere e meravigliare
40 africa · numero 4 · 2014
Z anzibar Cartoline da
africa 路 numero 4 路 2014 41
copertina Il suo nome fa venire in mente un paradiso esotico. Ma al di là delle spiagge incontaminate e delle acque cristalline, resta molto da scoprire a Zanzibar, ex porto di schiavi, culla della civiltà swahili, crocevia di culture con un animo irrequieto…
U
n luogo radicato nella geografia dell'immaginario prima ancora che sul mappamondo o nelle pieghe della storia. Come Timbuctu o Samarcanda, Zanzibar è un universo meticcio, incrocio tra neri, arabi e indiani. Con un passato coloniale, rimasto nelle sue architetture e nelle sue atmosfere. Anche la sua fauna è intrigante. Kizimkazi ospita la baia dei delfini. E nella Jozani Natural Forest, una bellissima foresta tropicale, vive il colobo rosso, una scimmia dalla pelliccia rossastra che si trova solo qui. Non esiste invece una significativa fauna volatile. E questo a causa della tratta degli schiavi, 42 africa · numero 4 · 2014
che qui ebbe una delle sue storiche, e tristemente celebri, capitali: un mercato che si protrasse ben oltre la formale abolizione promulgata dagli inglesi. Nei suoi anni d'oro vennero importati sull'isola centinaia di grossi corvi neri che avevano il compito di ripulire il terreno dai cadaveri degli schiavi. Si moltiplicarono così a dismisura, uccidendo anche molte specie di uccelli indigeni, che andarono incontro all'estinzione.
Nei vicoli della storia Stone Town è la città principale dell'isola, una vera trappola del tempo, un mondo fatto di pietra, protetto da fortezze costruite
dai sultani omaniti nei loro 130 anni di dominio. Oggi ci si arriva facilmente, grazie a uno stradone largo e senza buche costruito durante la guerra fredda, quando la Tanzania intratteneva solide relazioni con i Paesi del blocco orientale. Di quegli anni resta un quartiere che, con azzeccata ironia, oggi è conosciuto come Zanzigrad: ampie schiere di casermoni di cemento in stile razionalista berlinese, anneriti dagli anni, rallegrati dalla colorata arte d'arrangiarsi degli africani e circondati da una vegetazione tracimante e inarrestabile. Ma il cuore della città è altrove: sta in quel segmento urbano la cui pianta è un
reticolo impazzito tracciato da secoli di architetture senza regole. Un labirinto di vicoli che dietro alle porte socchiuse nasconde cybercafé, negozi di abbigliamento, bar e ristoranti. Ma a Stone Town le ombre del passato sono sempre incombenti, specie oggi che molti zanzibarini sognano il passato per addolcire un presente che non piace. Costoro da tempo pensano che è meglio stare da soli, staccarsi da Daar es Salaam e tornare a prima della rivoluzione del 1964: Zanzibar di qua e il Tanganica di là e amici come prima. O quasi. Per respirare le contraddizioni di questo passato basta camminare dalle parti
libri
di Pier Maria Mazzola
Racconti di un volontario in Africa
Eugenio Susani
isbn
Eugenio Susani
All’ombra del baobab
All’ombra del baobab
I viaggi di Eugenio Susani, volontario in Africa dagli anni Sessanta agli anni Novanta. Le memorie di quelle esperienze prendono colore in 65 racconti. Dalla prima avventura in Sierra Leone alla Somalia, Senegal, Marocco, Mozambico, fino all’ultimo viaggio in Mali, le impressioni del vissuto in Africa sono donate con uno sguardo ad altezza d’uomo capace di offrire luoghi, colori, incontri e sensazioni con la freschezza di chi si commuove di fronte alla bellezza e non rifugge la forza della storia. Diapositive d’Africa di un passato a noi ancora prossimo, le testimonianze di Susani riempiono di profondità lo sguardo di chi oggi si rivolge a quelle terre e rivive così in un confronto attraverso il tempo.
dalla costa
Copertina 3_copprova.qxd 28/10/13 22:14 Pagina 1
Eugenio Susani (il secondo da sinistra in una foto degli anni di lavoro in Africa) si è laureato in lingua e letteratura francese. Da poco scomparso, ha al suo attivo anni di impegno sociale a livello internazionale. Nel 1966 è tra i primi a lavorare in Africa per Coopi Cooperazione Internazionale. Contribuisce a fondare due organismi di cooperazione tuttora attivi: Mani Tese, di cui, tra il 1969 e il 1970, è stato il primo segretario nazionale laico, e il Movimento Liberazione e Sviluppo. Negli anni ‘80 e ‘90 dirige e coordina progetti in Africa e America Latina per l’Iscos-Cisl, l’Istituto sindacale di cooperazione allo sviluppo, di cui è uno dei fondatori.
€ 11,50
Un ideale per cui sono pronto a morire di Nelson Mandela
Il titolo coincide con l’ultima, celebre frase della dichiarazione spontanea resa da Mandela, per quasi tre ore, in apertura del processo di Rivonia (20 aprile 1964), processo che ne decreterà la condanna all’ergastolo. Ed è la stessa frase con cui Madiba concluderà il suo primo discorso dopo la liberazione (11 febbraio 1990). Assieme, costituiscono il contenuto di questo libro. Tra i diversi aspetti chiariti dall’imputato davanti ai giudici, c’è l’insistenza sulla “obbligatorietà” dell’abbandono della nonviolenza assoluta: la durezza dall’apartheid faceva infatti montare il clima di violenza presso i neri e, affinché quest’ultima non si scatenasse, era necessario incanalarla, per esempio attraverso sabotaggi con obiettivi simbolici, non umani. «Non siamo terroristi!». Garzanti 2014, pp. 95, euro 10,00
48 africa · numero 4 · 2014
Cento strappi
dalla costa
All’ombra del baobab
Jean Goss, apostolo della nonviolenza
di Eugenio Susani
di H. Goss-Mayr - J. Hanssens
«La mamma sostiene che ormai il Paese è alla frutta e che dovremmo andarcene, ma papà ribatte che lo faremo quando sarà finita anche la frutta». Il Sudafrica d’oggi traspare da questa raccolta di cento mini-racconti così, apparentemente senza visione d’insieme e comunque attraverso gli spiragli di piccole, se non minime, vicende private. Lo esige il genere stesso di queste «flash-fiction», di cui l’autrice di Città del Capo (bianca, se ha senso sottolinearlo) è una maestra. Le storie possono essere lette in qualsivoglia ordine (anche se non a caso la prima e l’ultima stanno lì dove sono, riecheggiate dall’immagine di copertina). Si può anche rimanere perplessi, dopo la lettura dei primi racconti; ma un po’ per volta si familiarizza con lo stile e si comincia a cogliervi una logica interna.
1966-69 e 1982-94 sono i periodi da cui scaturiscono questi postumi “Racconti di un volontario in Africa”. Come pagine di diario, autobiografiche ma non autoreferenziali, dalla scrittura fattuale, che trasmettono l’amore per l’Africa senza dichiarazioni retoriche né idealizzazioni. La prima parte ci porta in Sierra Leone, dove Susani operò in un progetto di Coopi, associazione di cui fu uno dei primi volontari. La seconda si apre con il toccante ritorno in una Sierra Leone sfigurata dalla guerra. Le altre pagine parlano di Paesi diversi, specie del Mali: dove Eugenio era responsabile progetti per Iscos, ong della Cisl che aveva contribuito a fondare. Così come, negli anni Sessanta, era stato tra gli iniziatori di Mani Tese, di cui fu segretario nazionale. Una figura da non dimenticare.
Poco conosciuto in Italia, Goss è stato un militante di primo piano della nonviolenza. Francese, la scoprì in combattimento, nel corso di un’esperienza mistica, nella seconda guerra mondiale. Con la moglie Hildegard ha percorso il mondo, per divulgare le metodologie nonviolente. È morto mentre partiva per il Madagascar, nel 1991, dov’era in cantiere una grande mobilitazione per il cambio di regime.
Marcos y Marcos 2013, pp. 253, euro 15,00
Dalla Costa 2 013, pp. 261, euro 12,00
di Liesl Jobson
Emi 2014, pp. 143, euro 11,90
CAINE PRIZE
Appuntarsi la data del 14 luglio, per la proclamazione, a Oxford, del vincitore del Caine Prize 2014. Il premio, 10.000 sterline, è assegnato dal 2000 a un autore africano anglofono di racconti. Vincitori di passate edizioni tradotti in italiano sono il nigeriano Helon Habila e Binyavanga Wainaina.
Dancalia, la Terra del Diavolo di Antonio Biral
Non riuscirà nuovo, ai nostri lettori, il nome Dancalia (il servizio più recente è quello di Andrea Semplici, 1/2014). Un angolo eccezionale di Africa che ha attratto anche l’autore di questo libro e otto compagni, di cui tre donne, nel 1995: il tentativo era ripercorrere l’itinerario di Ludovico Nesbitt del 1928. Il viaggio si rivelerà una vera e sfiancante avventura, con rapimento da parte di ribelli compreso, e di cui questo libro rappresenta il vivido diario. Riedito nel 2008 con una piccola aggiunta: nove anni dopo, il gruppo prova ostinatamente a concludere il cammino interrotto. Ritroveranno per caso uno dei sequestratori - che ormai fa più pena che paura. Per lo stesso editore, Biral ha raccontato un altro viaggio estremo, nella keniana Suguta Valley (2000, pp. 121). Campanotto 2008, pp. 165, euro 18,00
musica
di Claudio Agostoni
THE LAGOS MUSIC SALOON SOMI
Nata in Illinois da genitori immigrati dal Ruanda e dall’Uganda, Somi è un’artista in grado di aprire nuovi orizzonti attraverso uno stile musicale ibrido che coniuga armoniosamente le spirito del jazz e del soul con la densità musicale delle sue origini africane. Un anno fa ha deciso di trasferirsi a Lagos, in cerca di nuove fonti di ispirazione. La conferma che le ispirazioni sono sbocciate arriva da Lady Revisited, un brano interpretato con Angélique Kidjo il cui veloce ritmo, intessuto di reminiscenze afro-pop, è ispirato a Lady Revisited di Fela Kuti. Ottimo anche When rivers cry dove, avvalendosi della collaborazione con Common, Somi riflette sull’inquinamento in Africa. Nel cd c’è spazio anche per le grida delle infuocate proteste di piazza del movimento “Occupy Nigeria”.
LOVELY DIFFICULT MAYRA ANDRADE
Ennesima artista capoverdiana recensita in questa rubrica. Anche per lei è pronto l’appellativo di “nuova Cesária Évora”. Ma con la regina scalza della morna Mayra non ha nulla a che spartire. In compenso, ha una eleganza pop che le consentirà di farsi ascoltare dal pubblico del nord del mondo senza dover patire decenni d’attesa, come è capitato a Cesária. Una canzone come We used to call up è degna di essere inserita nelle playlist di qualsiasi network radiofonico. In compenso basta ascoltare brani come Ilha de Santiago e Téra lonji per avere la conferma che nelle sue canzoni oltre alle lingue (usa indifferentemente inglese, francese e creolo) Mayra ama miscelare i ritmi africani con sonorità brasiliane, le canzoni d’autore con gli omaggi a Orlando Pantera, uno dei talenti più brillanti della musica creola contemporanea.
TOUMANI & SIDIKI TOMANI DIABATÉ & SIDIKI DIABATÉ
Nel recente passato Toumani Diabaté, indiscusso maestro della kora, l’arpa-liuto a 21 corde icona della tradizione musicale dell’Africa Occidentale, ci aveva abituato a collaborazioni con musicisti lontani anche culturalmente dal suo universo artistico. Gente come Damon Albarn, Herbie Hancock, Björk, Taj Mahall. Questo invece è un lavoro a chilometro zero perché, a collaborare con sé, Toumani ha convocato il figlio Sidiki. Non è nepotismo, ma tradizione: la famiglia Toumani vanta ben 71 generazioni di eccellenti suonatori di kora. Padre e figlio duettano alla pari, lasciandosi andare alle emozioni del momento. Ne sono nate 10 tracce a cavallo tra passato e futuro, forza ed equilibrio. Nessuna sovraincisione durante la registrazione: Toumani si ascolta nel canale sinistro e Sidiki in quello destro.
WHO IS WILLIAM ONYEABOR?
È un polistrumentista “amatoriale” nigeriano che, tra il 1977 e il 1985, incise otto album di afro-beat minimale e molto “lo-fi” circolati solo nei negozi locali. Poi sparì nel nulla. Adesso, riscoperto dagli hipster, vive una nuova primavera e la Luaka Bob di David Byrne ha pubblicato un cd con le sue canzoni. Ma Onyeabor vuole continuare a vivere nell’ombra. Una sorta di Searching for Sugar Man al contrario…
L’AFRICA AD HAITI, IL KONPA LAKAY Che ci siano scampoli d’Africa anche dall’altra parte dell’Atlantico è risaputo. Che Haiti sia una di queste enclave è altrettanto noto. Meno, una delle sue colonne sonore più longeve, il Konpa lakay. Il cd dei Boulpik (Lusafrica), un combo attivo da una decina d’anni, ci regala un’adeguata campionatura di questo suono, rigidamente acustico, nato per le strade di Port-au-Prince.
africa · numero 4 · 2014 49
cultura
testo di Mohamed Faye
Piroghe in
Dalle onde dell’Atlantico all’arredo delle case: l’incredibile doppia vita delle barche senegalesi Un designer spagnolo ha ingaggiato i migliori carpentieri di Dakar per trasformare gli scafi delle vecchie imbarcazioni in colorati oggetti di arredamento. Che poi vengono venduti in tutto il mondo
52 africa · numero 4 · 2014
I
pescatori senegalesi amano decorare le loro imbarcazioni con variopinti disegni geometrici, figure enigmatiche, simboli religiosi o tribali, nomi di famigliari e afo-
rismi dipinti a mano coi pennelli. «La prima volta che ho visto le centinaia di piroghe multicolori allineate sulla spiaggia di Dakar sono rimasto senza parole», racconta Ramon
salotto Llonch, designer spagnolo innamorato dell’Africa. «In un attimo ho pensato Alcuni oggetti di arredo venduti dalla società Artlantique (artlantique. com). Sono tutti realizzati da falegnami senegalesi che riciclano il legname delle vecchie piroghe. A Roma c’è una negozio, Dede, in via Dei Pianellari 27, che importa i preziosi manufatti
che avrei potuto riutilizzare il legno delle barche più vecchie, ormai in disuso, per realizzare mobili e altri oggetti per la casa». È nata così, con un’intuizione geniale, l’impresa Artlantique, che ben presto ha fatto fortuna nel riciclare il legno delle piroghe per creare originali complementi d’arredo. «Ho ingaggiato i migliori carpentieri di Grand Yoff,
quartiere popolare e vivace della capitale senegalese», prosegue a raccontare Llonch, che in passato ha lavorato come stilista a Barcellona.
Arredamenti e biliardini Oggi una dozzina di artigiani senegalesi, coordinati dall’esperto Fara Mendy, lavorano alacremente per realizzare le suppellettili che poi vengono esportate
Dopo circa quarant’anni di vita, lo scafo delle imbarcazioni senegalesi non è più in condizione di affrontare le alte onde dell’Atlantico. Ma il suo formidabile legno “samba” può ancora essere riutilizzato per realizzare oggetti di arredamento
e vendute in Europa e Stati Uniti dalla società Artlantique. «La vita media di una piroga arriva a quarant’anni. Dopo quell’età lo scafo non ha più la resistenza sufficiente per affrontare le onde dell’Atlantico. Ma il legno è ancora in ottimo stato e può essere trasformato dai nostri abili falegnami». Per vedere coi propri occhi la miracolosa conversione delle piroghe bisogna recarsi al laboratorio Far’Art Services, situato non lontano dalla spiaggia di Grand Yoff.Qui ogni giorno si smantellano gli scafi colorati - mai troppo nuovi né troppo vecchi - e si produafrica · numero 4 · 2014 53
DAKAR, LA FABBRICA DEI PULMINI
Nel garage dove i migliori meccanici senegalesi rianimano le carcasse dei camioncini e le trasformano in colorati bus pubblici testo e foto di Luciana De Michele Nel garage “Lat Dior” risplende un arcobaleno di furgoni dai colori sgargianti. Centinaia di vecchi camioncini Citroën e Renault sono in attesa di manutenzione. In questa storica officina di Dakar, da molti decenni, vengono fabbricati, riparati e riadattati i “Car Rapide”. In origine erano veicoli destinati al trasporto merci. Ma gli abili meccanici senegalesi li hanno trasformati in pulmini. «Ancora oggi modelliamo le lamiere, apriamo le finestre laterali, sistemiamo i sedili e gli accessori. Infine decoriamo la carrozzeria», spiega un operaio. «Siamo in grado di riparare ogni genere di guasto, sostituiamo i pezzi consumati… Resuscitiamo delle vecchie carcasse risalenti agli anni Settanta». Le autorità senegalesi hanno provato più volte a vietare la circolazione di questi mezzi vetusti, che naturalmente inquinano molto e non garantiscano alcuna sicurezza. Ma i gloriosi Car Rapide sono molto popolari e molto economici. I governanti locali non sono finora riusciti a metterli fuori legge. La fabbrica dei pulmini lavora a ritmo serrato in un turbinio di attività frenetiche. I furgoncini passano tra le mani di carrozzieri, elettrauto, fabbri, saldatori e decoratori. Non appena il lavoro è terminato, l’autista provvede a personalizzare l’abitacolo appendendo immagini di santi e oggetti scaccia-malocchio. Solo a quel punto - assicurata la necessaria protezione ultraterrena - il Car Rapide è pronto per stantuffare sulle strade del Senegal.
africa · numero 4 · 2014 55
cultura
testo e foto di Roberto Paolo
È gustoso e fa bene: l’Africa scopre il latte di cammella
Il buono del deserto
F
a bene ai diabetici, un toccasana per chi soffre di disturbi coronarici, rinforza le difese immunitarie, in molti credono che aiuti i malati di Aids e tanti si spingono a sostenere che abbia persino poteri afrodisiaci. Eppure, il latte di cammella è ancora poco consumato nell’Africa sahariana. Nonostante sia 56 africa · numero 4 · 2014
certo che la sua ricchezza di sali minerali è estremamente utile per chi vive in climi così caldi. La cultura nomade, la scarsa propensione all’allevamento intensivo, l’impossibilità di sottopore il latte ai procedimenti Uht per renderlo a lunga conservazione e la forte domanda di carne che porta alla macellazione capi ancora giovani e
produttivi, sono tutti fattori che hanno abbattuto la produzione di latte per il consumo umano. Così, la gran parte del latte di cammella viene consumata dai piccoli della stessa specie. «E in Mauritania finiamo per importare dall’estero il 60% del latte che consumiamo, un’assurdità», lamenta Mohamed ould Tati, le-
ader della comunità di allevatori di cammelli e produttori di latte di Noaukchott. Che poi non di cammelli si tratta, per l’esattezza, ma di dromedari: rispetto ai loro cugini abitanti in Asia hanno una sola gobba e sono esclusivamente animali domestici, ormai legati all’uomo da vincoli millenari.
cultura
testo di Raffaele Masto foto Gwenn Dubourthoumieu
Ritratto
RD Congo. L’addetto all’Ufficio Protocollo della società statale Gecamines nella sede di Lubumbashi 58 africa · numero 4 · 2014
sociologico del funzionario statale in Africa Cavillosi, corrotti, tronfi di potere. Detestati e temuti dai cittadini, gli impiegati pubblici sono l’ingranaggio fondamentale che fa funzionare (in qualche modo) ogni Paese
È
una figura universale: il burocrate. Se ne trovano a tutte le latitudini e in tutte le forme di Stato, ma questo personaggio eccelle, si conquista letteralmente la scena nei paesi poveri, dove non c’è lavoro e non ci sono risorse, oppure dove c’è un apparato statale elefantiaco che, per le dimensioni, finisce per elargire col contagocce privilegi e concessioni. Allora il burocrate emerge.
Il peso del potere
Il burocrate sa di avere un potere. Ma non gli basta saperlo, ha bisogno che lo sappiano gli altri. Sulla carta non dovrebbe averne, dovrebbe semplicemente applicare leggi e disposizioni amministrative che ne farebbero un semplice esecutore. In realtà, il burocrate assurge ad interprete del mondo, diventa il rappresentante in terra del volere dei potenti. Forte di questo investimento, usa ad arte la discrezionalità. La sua discrezionalità, naturalmente. In Africa il burocrate è nel suo regno. I potenti - di solito uomini grassi in paesi di magri sono inarrivabili, quasi
divinità, così il burocrate diventa il mediatore tra loro e il popolo. Il suo investimento in questa funzione è tacito, ma evidente, addirittura visibile. Che tra il burocrate e il potente ci sia un legame, lo si capisce dal fatto che anche il primo tende alla pinguedine. Ma non sempre: per esempio, il burocrate alle prime armi è magro, consumato dalle responsabilità e dall’impegno di apprendere i segreti del mestiere.
Penna e timbro
Esercita le sue funzioni in solitudine, in un ufficio, di solito una stanza immersa nella penombra. A fianco gli strumenti del mestiere: una penna, possibilmente non una banale bic ma una penna adatta alla bisogna, con la quale mettere nero su bianco la propria sigla, la propria firma sintetizzata in uno svolazzo risolutivo al termine del disbrigo di ogni pratica. Ogni volta che il burocrate può apporre quello svolazzo è come se un artista si fosse esibito nel suo numero migliore: un acuto d’opera con applauso finale, un triplo salto mor-
tale dell’acrobata al circo, l’ultima mossa del prestigiatore che sorprende il pubblico. E poi, tra gli strumenti del mestiere, non può mancare il timbro, con manico di legno levigato dall’uso. Per il burocrate quel timbro è la dimostrazione del suo potere. Quando un suddito gli si pone davanti, lui sa che si aspetta che impugni quel timbro, lo bagni nel tampone d’inchiostro asciutto e poi sferri un sonoro colpo sul foglio che attende sopra la scrivania (spesso un semplice tavolo da cucina). Il burocrate sa bene che mentre lui legge le carte che il suddito gli ha sottoposto, questi osserva il timbro e nelle sue orecchie risuona il botto sul tavolo che il burocrate, nella sua bontà, forse deciderà di assestare, naturalmente dietro un compenso asso-
Ad ogni latitudine sono odiati per la pignoleria, gli intoppi, l’assenza di calore umano, le code che infliggono e la discrezionalità con cui concedono il loro benestare
lutamente non richiesto. Ma dovuto.
Il giusto compenso
Il burocrate insomma è un servitore dello Stato. Un servitore fedele, talmente fedele che lo Stato, impersonato dai potenti di turno, può spesso permettersi di non remunerarlo nemmeno. Il burocrate infatti esplicita le sue funzioni anche senza stipendio, per pura fedeltà. Per questo motivo, non certo per avidità, accetta compensi dai sudditi. Quei compensi sono semplicemente il riconoscimento dei cittadini per le alte funzioni che esercita, sono l’olio che lubrifica il gomito e il polso del servitore dello Stato che solleva il timbro e lo stampa con un sonoro segnale sul documento richiesto. Quello è un momento magico. Dopo quel botto si spande un significativo silenzio, gli occhi si incontrano, non c’è bisogno di parole. Il suddito commosso allunga la mano che nasconde una banconota come per stringere a sé il burocrate e questi, con movimenti collaudati, intercetta la mano, ritira, getta una occhiata, intasca. Il suddito spera di avere concesso la banconota del valore giusto. Il burocrate nella sua bontà gli restituisce il documento dotato del magico timbro. • africa · numero 4 · 2014 59
sport
testo di Marco Trovato
Somalia su Un gruppo di profughi somali rifugiatosi in Svezia ha messo in piedi una squadra di bandy, uno sport simile all’hockey su ghiaccio, che è approdata ai Mondiali in Siberia e alle sue temperature polari…
«A
Mogadiscio faticavamo a trovare il ghiaccio per rinfrescare la birra», ricorda Hassan Osman. «Qui invece abbiamo dovuto imparare a convivere con la neve e i rigori dell’inverno. C’è voluto del tempo, ma oggi ci siamo ben ambientati. E il grande freddo ha finito per riscaldare la nostra vita». Hassan è il capitano della neonata nazionale somala di bandy, uno sport di origine siberiana che ricorda molto l’hockey su ghiaccio. «A differenza di quest’ultimo, si pratica esclusivamente all’aperto,
60 africa · numero 4 · 2014
independent.co.uk
Dall’Equatore al gelo polare, l’avventura unica della
su campi più grandi, simili a quelli di calcio», spiega il giovane somalo. «I giocatori sono più numerosi, undici per squadra, e al posto del disco si utilizza una palla colorata di rosa che va indirizzata nella porta avversaria».
Lo sport che unisce Come sia accaduto che dei giovani africani nati all’Equatore si siano cimentati in una tradizionale disciplina nordica è presto detto: gli atleti somali vivono da anni in Svezia; fanno parte della nutrita comunità locale di profughi fuggiti della guerra
civile che in vent’anni ha fatto precipitare nel caos il Corno d’Africa. La loro storia ricorda quella della squadra giamaicana di bob che nel 1998 partecipò alle Olimpiadi invernali, ispirando il celebre film Cool Runnings. «Lo sport può aiutare a superare le barriere culturali e avvicinare i popoli», commenta Patrik Andersson, manager e ideatore della squadra africana, cresciuto a Borlange, una cittadina di circa 45mila abitanti non lontana da Stoccolma. «Da noi vivono più di tremila rifugiati somali. Sono una comunità piuttosto
Alcuni atleti della nazionale somala di bandy con l’allenatore svedese Per Fosshaug. Per seguire e sostenere la squadra: somaliabandy2014.com
appartata che fatica a integrarsi, a causa soprattutto delle enormi differenze culturali, linguistiche e ambientali. L’idea di creare una squadra di bandy è un tentativo di coinvolgerli maggiormente nel tessuto sociale». L’iniziativa, partita un paio d’anni fa, ha ricevuto l’im-
storia
a cura della redazione
La prima moglie di Nelson Mandela, Winnie, al centro della foto col pugno alzato, partecipa nella città di Brandfort al funerale di un giovane militante dell’Anc, ucciso in carcere nel 1985
62 africa · numero 4 · 2014
Gli anni in
BIANCO e dell’Apartheid
Il regime segregazionista sudafricano progettò e realizzò un sistema per dividere le razze e vietare ai neri i diritti politici e civili fondamentali. A vent’anni dalle prime elezioni libere sudafricane che segnarono la fine dell’apartheid, pubblichiamo le foto storiche della segregazione. Per non dimenticare
A
Aprile 1960. Un bambino manifesta davanti al municipio di Johannesburg, per chiedere la liberazione della madre, arrestata assieme ad altre 500 persone, all’indomani di una manifestazione contro le restrizioni della libertà di movimento imposte ai neri
partheid, parola olandese composta da “separato” (apart) e “quartiere” (heid), è stata la piattaforma politica del nazionalismo afrikaner: un sistema creato appositamente per promuovere la segregazione razziale e mantenere il potere nelle mani dei bianchi . Nel 1948, dopo la vittoria dell’Afrikaans National Party, l’apartheid fu introdotta come politica ufficiale dello Stato sudafricano. Col tempo, il sistema segregazionista divenne sempre più spietato e violento nei confronti delle comunità non bianche. africa · numero 4 · 2014 63
Lezioni di PACE chiesa
testo di Raffaele Masto foto di Marco Trovato
P
adre Claudio Marano non parla, borbotta. Non ha bisogno di lunghe spiegazioni per definire finalità, obiettivi e filosofia del Centre Jeunes Kamenge, iniziativa della quale, da oltre venti anni, è il motore e l’anima, che raccoglie ben 42mila giovani regolarmente iscritti con tanto di tessera e fotografia, ai quali offre corsi gratuiti di tutti i generi: rugby, basket, musica, taglio e cucito, informatica e computer, tennis, lingua inglese, italiano, francese, spagnolo, tedesco, kirundi, arabo, teatro, naturalmente calcio. Impossibile elencare tutte le attività, ma basta leggere gli innumerevoli fogli appesi sulle pareti del Centro per capire che ogni corso ha docenti esperti e frotte di appassionati desiderosi di imparare. Quello di culturismo - o meglio, muscolazione, come viene chiamato qui - è partecipatissimo: in una minuscola palestra di otto metri per otto circa, fornita di attrezzi professionali, si ammassano tre volte la settimana una quarantina di giovani che per un’ora abbondante sprizzano sudore agli ordini di un paio di supermuscolosi istruttori. Il tutto al ritmo di una martellante musica che manda letteralmente in ipnosi i partecipanti.
70 africa · numero 4 · 2014
Centro Kamenge di Bujumbura. Dove i giovani imparano a rispettarsi e a crescere assieme
«Abbiamo lasciato il segno nei giovani e soprattutto abbiamo gettato dei semi di speranza, ma nel Burundi di oggi c’è ancora molto da fare. Questo Paese è di nuovo a rischio». padre Claudio Marano
africa · numero 4 · 2014 71
chiesa
Porte aperte
In uno dei Paesi più poveri del mondo, il Burundi, da oltre vent’anni un missionario italiano gestisce un centro che abbatte le differenze etniche, religiose e politiche di una società divisa e sempre a rischio di violenza
72 africa · numero 4 · 2014
Claudio - come vuole essere semplicemente chiamato scherza: «Potrei iscrivermi al corso di muscolazione». dice, inducendo un comprensibile sorriso in chiunque lo ascolti. Lui infatti è un omone che indossa una sorta di coloratissima divisa africana fatta da larghi pantaloni e una blusa che contiene, e a stento, le sue svariate decine di chili che prorompono in una mole imponente. Per scucirgli qualche parola in più basta chiedergli del Centro, la sua creatura. Si accende, è quasi loquace, orgoglioso di dire che accoglie tutti, indistintamente, a cominciare da hutu e tutsi che in questo Paese, come nel vicino Ruanda, sono la fonte di un conflitto eterno, strisciante, subdolo. Ma il Centre Jeunes Kamenge è anche aperto a giovani di religioni diverse: cattolici, ovviamente dato che dipende dalla diocesi di Bujumbura, cristiani di diverse professioni come i
togu na - la casa della parola lettere Difendere i gay? Sono rimasta stupita nel vedere sull’ultimo numero di Africa l’articolo dedicato all’avvocatessa che difende i gay in Camerun. Viviamo in una società omofoba e bigotta. Ma sono felice che la mia rivista preferita abbia sfatato un tabù occupandosi di denunciare i soprusi subiti dagli omosessuali. Continuate così. Eleonora Lauriola, Lucca
Popoli incivili A pagina 61 dello scorso numero avete pubblicato una foto scioccante: un uomo di etnia Hamer, armato di un lungo bastone, che frusta una donna durante una cerimonia di iniziazione. Capisco che vogliate rispettare le tradizioni di ogni popolo, ma non vedo alcun segno di civiltà nel prendere a vergate una donna. Certi rituali andrebbero proibiti dalle autorità e censurati dal buon senso. Stefania Bartolomei, Roma
Ricomincio in Sudafrica Ho 45 anni, non ho moglie né figli. Dallo scorso giugno non ho più neppure un lavoro: dopo una vita costellata da tanti sacrifici e poche soddisfazioni, ho deciso di chiudere il mio negozio. Ero stanco di vivere per pagare debiti e tasse. Lascio l’Italia, vado 76 africa · numero 4 · 2014
a cura della redazione
in Africa. Un amico che abita da tempo a Capetown mi ha offerto ospitalità per i primi mesi. Non sarà il paradiso. Ma qui non vedo più futuro. Grazie per avermi tenuto compagnia in questi anni: è anche merito vostro se ho trovato il coraggio di prendere questa decisione. Spero di continuare a leggervi dall’altra parte dell’Africa. Silvio Petriolo, via mail
Fuga da Asmara Sono un vostro lettore, emigrato eritreo, abito a Milano. Negli anni bui della guerra di liberazione contro l’Etiopia, i ragazzi eritrei stavano rintanati nelle trincee per difendere la loro nazione. Ora scappano in massa da Asmara e cercano di approdare in Europa rischiando la vita in un viaggio pieno di in-
sidie. Fuggono da un regime brutale che affama un intero popolo e fa sparire in galera i dissidenti. Assisto con il cuore straziato ogni sera davanti alla tv al triste spettacolo dei tanti nostri figli che sbarcano a Lampedusa, disperati al punto di rischiare la vita pur di respirare la libertà... Vi prego di non rivelare la mia identità per non mettere a repentaglio l’incolumità dei miei famigliari che sono ancora, prigionieri, in patria. Lettera firmata, via mail
Foto illuminanti Ho avuto il piacere di visitare a Milano la vostra nuova mostra fotografica One Day in Africa: spettacolare e sorprendente. Avete mostrato persone, popoli e storie di cui ignoravo l’esistenza. Prima
Se pensate di conoscere il continente africano, non avete ancora visto il nuovo volume fotografico One Day in Africa. Che cosa aspettate? Il libro si può ricevere via posta con
L’Africa come non l’avete mai vista
pensavo all’Africa come al continente dei safari e dei bambini malnutriti. Sono uscita dopo un’ora abbondante di visita con un’idea tutta nuova. Grazie davvero, e complimenti. Sara Vitalini, Treviso
Fermiamo gli accordi Vorrei denunciare la vergognosa politica portata avanti dall’Unione Europea, che si appresta a imporre ai paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico) la firma degli Accordi di partenariato economico EPA (Economic Partnership Agreements), prevista entro il prossimo ottobre, al solo fine di avvantaggiare le esportazioni europee strangolando le nazioni più povere. Sul tema invito a firmare l’appello pubblicato su www.ildialogo.org Sem Bettinelli, Milano
un’offerta di 10 euro (Paypal o carta di credito) a favore dei missionari Padri Bianchi. www.missionaridafrica.org promo@padribianchi.it
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Un fratello in cielo
Forte con i forti e comprensivo con i deboli Non è sacerdote: è un fratello consacrato; ma prima di tutto è un missionario che ha amato l’Africa e gli africani. Poche righe per tracciare la stupenda avventura di un uomo cittadino del mondo
di Claudio Zuccala e Paolo Costantini Papà sardo, mamma trentina, vicentino di adozione, poliglotta, Franco Pinna comincia la sua vita missionaria nel 1970, in Burundi, nella diocesi di Bururi, dove è molto apprezzato dal suo vescovo e amico Monsignor Bududira, che ne sfrutta le qualità e lo apprezza: «Non vedrai mai Franco con il badile in mano, ma il lavoro va avanti e viene fatto bene», diceva spesso di lui. Geometra di formazione, Franco costruisce una falegnameria e un’officina meccanica che ancora oggi garantiscono alla diocesi una relativa indipendenza finanziaria. Nel 1981, passa dal Burundi al nord del Congo, all’epoca Zaire, a Bunia, lasciando anche qui la sua traccia di ottimo costruttore e organizzatore. Ma, come l’Italia, anche l’Africa è troppo piccola per lui. Dopo un breve periodo in Italia come economo provinciale, riparte questa volta per l’Africa australe: in
padri bianchi . missionari d’africa
africa · numero 4· 2014 77
Malawi prima e in Mozambico poi, nel 1997, dove c’è urgente bisogno di un amministratore dell’unico seminario maggiore. Franco si abitua in fretta al nuovo Paese di adozione, così diverso da quelli in cui aveva lavorato prima. Sa relazionarsi con i seminaristi, con il nutrito gruppo di dipendenti e con i vescovi del Mozambico, dosando sapientemente fermezza e comprensione nei confronti di chiunque. Dopo questa nuova esperienza, è richiamato in Italia per assumere la carica di economo e legale rappresentante della Provincia italiana. Lungimirante, non pensa solo ai sei anni del suo mandato, ma guarda al futuro, preoccupandosi di offrire una vecchiaia dignitosa ai padri anziani che rientrano dall’Africa. Tra varie difficoltà, riesce a trasformare le case di Castelfranco e Treviglio in piccole oasi per i confratelli bisognosi di assistenza.
Gli ultimi anni
Dall’alto, fratel Franco mentre si affaccenda in cucina; nel suo studio e nella carpenteria a Bururi; a tavola, ultimamente, con alcuni confratelli nella comunità di Treviglio
78 africa · numero 4 · 2014
Nel 2005, chiede e ottiene di ripartire per il Mozambico, questa volta nella zona centrale del Paese, dove i Padri Bianchi sono presenti fin dal 1953. Gli inizi non sono facili, ma grazie alla conoscenza che possiede delle lingue - inglese, francese, portoghese, swahili, kirundi e altro - Franco si distingue per il costante sostegno ai giovani confratelli africani e per i miglioramenti della casa di Inhamizwa, alle porte di Beira, residenza e centro di passaggio dei Padri. I confratelli del Mozambico conservano vivissimo il ricordo della sua attenzione per gli ospiti, della cura per la casa e, soprattutto, dell’ottima cucina e della convivialità ilare per la quale aveva una spiccata predisposizione. Era sempre un piacere ascoltarlo raccontare episodi che, pur provocando sonore risate, raccontavano spesso l’altra faccia della medaglia (quella un po’ meno “pia”) della vita missionaria. Franco è sempre stato apprezzato per la sua schiettezza: «Con lui sai sempre come stanno le cose», dicono ancora di lui; ma era anche capace di una profonda comprensione e perdono, soprattutto verso i più deboli, confratelli e non. Amava ripetere che voleva essere forte con i forti e comprensivo con i deboli. Ci ha lasciati il 22 aprile 2014, all’età di 72 anni, 38 dei quali passati in Africa.
Bombe misteriose a Nairobi Il Kenya si interroga sui mandanti delle esplosioni mortali
Lo stillicidio di attentati terroristici, attribuiti alle milizie jihadiste annidiate in Somalia, potrebbe nascondere una strategia destabilizzante interna. A farne le spese è la popolazione civile, indifesa e in balia della malaffare di Luigi Morell Da molti mesi Nairobi, capitale del Kenya, è oggetto di attentati con bombe artigianali, azionate a distanza, che provocano stragi di civili. La polizia afferma di aver arrestato dei sospetti, ma poi, di questi arresti, non si sa più nulla. I fermati sono spesso delle persone innocenti, o che magari hanno lanciato l’ordigno; ma non si arriva mai ai mandanti. Si parla di terrorismo di origine jihadista somala, e alcuni legami ci sono indubbiamente. Ma nessun attentato è mai stato rivendicato, tanto che la stampa e la gente parlano di questioni politiche interne o dell’opposizione che vuole screditare il partito al potere. Nel caso delle bombe esplose al mercato di Gikomba lo scorso 16 maggio, le cause dell’attentato potrebbero essere diverse. Gikomba è un’area in centro Nairobi in cui fiorisce un mercato informale: valigie di metallo, confezioni di vestiti, artigianati vari. Migliaia di persone vi lavorano e riescono a sopravvivere.
Nei mesi scorsi, nel cuore del mercato, erano scoppiati alcuni incendi, ufficialmente a causa di problemi elettrici. E poi, il 16 maggio, l’esplosione degli ordigni che ha provocando una dozzina di morti. Ora ci si chiede se dietro tutto questo non ci siano interessi economici. Gente potente e senza scrupoli ce n’è parecchia e l’opinione non è da scartarsi, anche perché nel Paese la corruzione politica ed economica dilaga.
Caccia agli immigrati
Attribuendo ufficialmente questi incidenti al terrorismo somalo, il ministro degli Interni allarga il cerchio e si accanisce anche sugli immigrati non somali. La polizia ha mano libera per trasferimenti forzati verso i campi rifugiati del nord ormai strapieni. Ho sentito storie di arresti arbitrari e di violenze perpetrate al solo scopo di estorcere denaro, anche ai danni di civili inermi. In una dichiarazione stampa, i vescovi del Kenya denunciano la cultura di morte che sta prevalendo sulla cultura
padri bianchi . missionari d’africa
di vita e, mentre da una parte chiedono ai cittadini di collaborare con le forze dell’ordine, dall’altra chiedono al governo di eliminare la corruzione. La gente si domanda quando si comincerà a vedere un po’ di pace.
kenya Le sue cifre in breve Capitale Nairobi Popolazione 40.512.682 (74 ab/km2) Età media
19 anni
Aspettativa di vita
65 anni
Lingua
inglese e swahili
Religione
protestanti 45% cattolici 35% musulmani 11% tradizionali 9%
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Gustavo Gutiérrez
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Brevi note da parte del “padre” della teologia della liberazione su Gustavo Gutiérrez quale debba essere un pensiero cristiano che teoloGia fedeltà a Cristo e impegno per puntiUna a coniugare della liberazione la giustizia globale. La teologia della liberazione è per il XXi secolo quanto mai valida per i nostri giorni, segnati dalla crisi economica mondiale. A novembre 2014, Gutiérrez sarà in Italia per il Congresso Missionario Nazionale brevi note da parte del «padre» della teologia della liberazione su quale debba essere un pensiero cristiano che punti a coniugare fedeltà a cristo e impegno per la giustizia globale. Lungi dall’aver esaurito la sua spinta, la teologia della liberazione è quanto mai valida per i nostri giorni, segnati dalla crisi economica mondiale
novembre 2014: Gutiérrez in italia per il congresso Missionario nazionale
GUstavo GUtiérrez (1928), teologo domenicano, è il fondatore della Teologia della liberazione, titolo di un suo saggio del 1972 (Queriniana). Insegna alla Notre Dame University nell’Indiana e all’Università Cattolica di Lima (Perù). EMI ha pubblicato il suo Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della chiesa (co-edizione EMP), scritto con il card. Gerhard L. Muller, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.
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AFRICA
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