Africa 04 2015

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AFRICA N. 4 LUGLIO-AGOSTO 2015 - ANNO 94

RIVISTA BIMESTRALE

WWW.AFRICARIVISTA.IT

MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Kenya

La città dei fuggiaschi Sudafrica

Professione ranger Mozambico

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.

Stregoneria moderna

MADAGASCAR

NOMADI DEL MARE


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Dialoghi sull’ AFRICA

MISSIONE • CULTURA

un weekend di incontri per capire, conoscere e confrontarsi Sabato 21 e Domenica 22 Novembre 2015 - Milano Quota di partecipazione: 220 e, studenti 160 e

Farid Adly, agenzia Ambamed

20 e di sconto a chi si iscrive entro il 30 settembre

Daniele Bellocchio, reporter

Saba Anglana, cantante Mohamed Ba, attore

I primi iscritti potranno usufruire dell’ospitalità gratuita offerta dai missionari Padri Bianchi a Treviglio, o del pernottamento scontato in hotel a Milano.

Angelo Del Boca, storico Enrico Casale, africarivista.it Francesca Casella, Survival International Davide Demichelis, documentarista Viviano Domenici, scrittore Valentina Furlanetto, Radio 24 Mario Giro, analista Davide Martina, Fondazione Punto Sud Raffaele Masto, buongiornoafrica.it Pier Maria Mazzola, rivista Africa

Africa ADV copia2.pdf 1 11/02/2015 17:43:13

Eyoum Nganguè, giornalista Enzo Nucci, corrispondente Rai Lia Quartapelle, ricercatrice ISPI Marco Trovato, rivista Africa C

Alberto Salza, antropologo M

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Mussie Zerai, agenzia Habeshia CM

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in collaborazione con

Programma e informazioni:

www.africarivista.it

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cell. 334 244 0655


Sommario COPERTINA 40

Madagascar. I nomadi del mare

ATTUALITÀ

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4 Panorama 6

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo

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Sudafrica. La strana guerra delle statue

10 LO SCATT O

Discorsi da grandi

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Uganda. Vendersi per due euro

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Kenya. La città di lamiera per i fuggiaschi

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Sonno mortale

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Plinio il Vecchio (I secolo d.C.)

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LO SCATT O RD Congo: Osservatori di pace

DIRETTORE RESPONSABILE

Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE

Marco Trovato

SOCIETÀ

RESPONSABILE NEWS SITO

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Etiopia. Dubai d’Africa

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Liberia. I fantasmi del Ducor Palace Hotel

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Sudafrica. Vita da ranger

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Zimbabwe. «Miei cari coccodrilli»

Enrico Casale PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA

Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

Paolo Costantini PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

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LO SCATT O Bocca di rosa

Claudia Brambilla

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EDITORE

50 Namibia. Il Re dei fricchettoni

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi BLOG

www.buongiornoafrica.it di Raffaele Masto PUBBLICITÀ

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MISSIONE Il banchiere dei cereali

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VIAGGI Tra le dune e l’oceano

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segreteria@africarivista.it

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SPORT La signora del polo

FOTO

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SPORT Attenzione ai dischi volanti

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CULTURA Uomini nelle gabbie

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CULTURA “Stregoni” e fattucchiere

Si ringrazia Parallelozero In copertina: Pierre Cheuva/Afp Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand STAMPA

Jona - Paderno Dugnano, Milano

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Periodico bimestrale - Anno 94 luglio-agosto 2015, n° 4 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 SEDE

Viale Merisio, 17 C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 Africa Rivista @africarivista www.africarivista.it info@africarivista.it UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

INVETRINA

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Eventi

Web

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Viaggi

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Libri

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Musica e Film

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Posta

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In omaggio ai nuovi abbonati di

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

e a chi regala un abbonamento AFRICA N.1 GENNAIO-FEBBRAIO 2015 - ANNO 93

RIVISTA BIMESTRALE

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MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

ESPLORAZIONI

Viaggio sul fiume Congo COSTA D’AVORIO

La rinascita del cacao

AFRICA + LIBRO A SOLI 32 EURO

NAMIBIA

NEL REGNO DEGLI HIMBA

(45 CHF, SVIZZERA)

EMI 2015 143 pagine � 12,00

Promozione valida in Italia e Svizzera, fino a esaurimento scorte, riservata a chi attiva un nuovo abbonamento alla rivista Africa, per sé o per un amico, entro il 30 settembre 2015.

L'Africa che non ti aspetti. Storie di coraggio, inventiva e successo narrate dal giornalista e antropologo Eyoum Nganguè. Un libro che sembra una favola ma è il racconto di un continente prodigioso info@africarivista.it

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tel. 0363 44726

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In viaggio «L’ha fatta la Namibia?». «No, non l’ho fatta». «Scommetto che le manca anche il Botswana». «Esatto». Il tizio che siede accanto a me sull’aereo di ritorno dal Sudafrica mi bersaglia di domande. E gongola soddisfatto di fronte alla mia malcelata inettitudine. Il suo passaporto è pieno di timbri e visti d’ingresso di Paesi africani. «Nel mio salotto ho una mappa del continente trivellata di bandierine colorate: i luoghi in cui sono stato». È onesto: non dice “i luoghi che ho visitato”, “i luoghi che ho amato”, “i luoghi che ho scoperto”. A lui basta tracciare una croce sopra l’ennesima meta conquistata. Ma viaggiare non è sinonimo di spostarsi. Si può girare il mondo come trottole, senza capire nulla dei posti che si attraversano. Le persone più sagge che ho conosciuto erano due monumenti all’immobilità, mia nonna e un vecchio cieco del Togo: entrambi non si erano mai spostati dal loro villaggio. Si può viaggiare anche senza muoversi... Così come ci si può muovere in continuazione senza fare un passo in avanti. Personalmente ho bisogno di mesi per digerire un viaggio: devo aver tempo di rielaborare le cose che ho visto, ripensare alle persone che ho conosciuto, riordinare un po’ le idee che ho raccolto sulla strada. Prendiamo il recente viaggio in Sudafrica. Nelle praterie del Middleveld ho incontrato Afrikaner nostalgici dell’apartheid che ancora considerano i Neri alla stregua di animali. Nella township di Soweto ho visto la nuova borghesia nera fare shopping in mirabolanti centri commerciali. In un salone di bellezza ho scoperto ragazze cinesi fare treccine africane alle giovani locali. E a Johannesburg ho conosciuto dei cittadini bianchi ridotti a vivere in

semipovertà. Viaggiare in Africa crea confusione nella mente, sconquassa l’anima, frantuma convinzioni, rovescia il paradigma stesso del bene e del male. Da oltre venticinque anni vagabondo per questo continente. E, ogni volta che torno da un viaggio, mi sembra di saperne meno di prima. Ho meno certezze e più dubbi. Ma è forse per questo motivo che amo l’Africa: perché sa ancora sorprendermi e meravigliarmi. Buone vacanze, ci ritroviamo a settembre. Marco Trovato

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 30 € · formato digitale (pdf) 20 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 40 Chf · rivista cartacea (Estero) 45 € · rivista Cartacea+digitale (Italia): 40 € · rivista Cartacea+digitale (Svizzera): 50 Chf · rivista Cartacea+digitale (Estero) 55 €

Si può pagare tramite: · Bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT93 T 08899 53640 000000 001315 · Versamento postale su C.C.P. n. 67865782

I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

· Paypal e carta di credito su www.africarivista.it

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Beneficiario: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) C.P. 61 – 24047 Treviglio BG

Per informazioni: segreteria@africarivista.it


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Mmusi Aloysias Maimane A 35 anni è diventato il primo leader nero di Alleanza Democratica, il principale partito di opposizione sudafricano finora egemonizzato dalla minoranza bianca.

GEBRSELASSIE SI RITIRA Uno dei più grandi atleti di sempre, il campione etiope Haile Gebrselassie, ha annunciato il suo

Pierre Nkurunziza Presidente del Burundi, un tentato golpe e continue manifestazioni represse nel sangue non sono riuscite a convincerlo a ritirare la candidatura per un terzo mandato.

ARABO IN CRISI I giovani arabi preferiscono l’inglese alla lingua materna. Lo dice un sondaggio condotto dall’Arab Youth Survey su 3.500 studenti di età compresa tra i 18 e i 24 anni. I due terzi affermano di essere preoccupati per il declino dell’uso della lingua araba, che considerano comunque ineluttabile. «STOP» AI MINERALI INSANGUINATI Il Parlamento europeo vuole imporre alle aziende che utilizzano stagno, coltan, oro e tungsteno di assicurare la tracciabilità di tali minerali. L’obiettivo è evitare che i proventi di queste materie siano usati per finanziare guerre. Ora toccherà ai singoli Stati membri esprimere

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ritiro dalle competizioni ufficiali. Nato il 18 aprile 1973, nella sua carriera Gebrselassie ha stabilito ventisei record mondiali, vinto quattro Campionati del mondo oltre alla medaglia d’oro nei diecimila metri alle Olimpiadi di Atlanta (1996) e Sydney (2000). È molto attivo anche in campo sociale, a favore dei bambini svantaggiati. ORO NERO IN UGANDA L’Uganda costruirà un oleodotto che dal Lago Alberto, in cui si trovano i

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a cura di Enrico Casale NEWSNEWS

la propria posizione. Dai negoziati che seguiranno emergerà un testo di legge definitivo.

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campi petroliferi, attraverserà il il Sud Sudan fino a raggiungere il porto di Lamu (Kenya), dove il greggio potrà essere imbarcato sulle petroliere. In Uganda sono attivi 90 pozzi e l’attività di sfruttamento è già stata avviata. Quando sarà a regime, produrrà 180.000 barili di petrolio al giorno. Il governo di Kampala ha in programma anche la realizzazione di una raffineria. IN KENYA SCOPERTI I PRIMI UTENSILI Sulle rive del Lago Turkana, in Kenya, sono stati rinvenuti i più antichi utensili di pietra del mondo. Risalirebbero a 3,3 milioni di anni fa, 700.000 anni prima degli attrezzi finora considerati più datati. Sarebbero antecedenti anche all’esistenza dello stesso

Homo Sapiens e quindi il ritrovamento dimostrerebbe che specie antiche, come l’Australopithecus afarensis o il Kenyanthropus platyops, avevano capacità maggiori di quanto ritenuto fino ad ora.


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COSTA D’AVORIO, APRE LA FABBRICA DI CIOCCOLATO Ha aperto la prima fabbrica di cioccolato della Costa d’Avorio. Finora, il Paese, pur essendo uno dei principali produttori al mondo di cacao (che con-

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LA FRASE

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«La pace non nasce nelle stanze del potere, ma nelle menti delle persone comuni» Tawadros II, Patriarca copto di Alessandria d’Egitto

«L’immoralità che infetta la società».

tribuisce al 22% del suo Pil nazionale), non aveva mai avuto impianti di trasformazione della materia prima. Rimane un problema: a chi sarà venduto il cioccolato? Gli ivoriani infatti ne consumano pochissimo.

EGITTO: «CHIUDETE I SITI PORNOGRAFICI!» Un tribunale amministrativo egiziano ha chiesto che il governo del Cairo prenda tutte le misure necessarie per censurare i siti web pornografici nel Paese. Motivazione:

3000 Sono i ragazzi e le ragazze eritrei che fuggono ogni mese dal loro Paese per emigrare verso l’Europa

MOZAMBICO, DIECI ANNI DI BIOTECNOLOGIE Il Centro di biotecnologia dell’Università “Eduardo Mondlane” di Maputo festeggia i dieci anni di vita. Nato nell’ambito della cooperazione universitaria Italia-Mozambico, è

uno dei centri di eccellenza dell’Africa australe, in particolare per la ricerca nei settori dell’agricoltura, dell’ambiente e della sanità. SUDAFRICA, DJ A 3 ANNI In Sudafrica è nata una nuova superstar. Si chiama Oratilwe Hlongwane, ma il suo nome d’arte è Arch DJ Junior. E ha appena compiuto tre anni. Nonostante abbia ancora indosso i pannolini e non sia in grado di pronunciare che poche parole, ha già migliaia di fan e

ha fatto numerose performance in radio locali e in tournée al fianco di alcuni grandi nomi della musica. IL GIOCATORE PIÙ PREZIOSO Il talento ivoriano Bony Wilfried, 27 anni, è il giocatore africano più caro di sempre: il suo passaggio dallo Swansea al Manchester City è costato 35 milioni di euro. In Premier League finora ha segnato 30 goal.

L’EGITTO CURA I TUMORI PEDIATRICI Si trova al Cairo il più grande ospedale oncologico pediatrico del mondo. Inaugurato nel 2007, offre prestazioni gratuite. Ad avviare la sua creazione è stato un medico dell’Isti-

tuto oncologico nazionale rimasto sconvolto per la morte in un sol giorno di 11 bambini malati di tumore. Ora l’ospedale salva il 75% dei piccoli pazienti, che provengono da molti Paesi arabi e africani. PROFUGHI IN SOMALIA Fino a qualche mese fa erano i somali e gli eritrei a fuggire in Yemen. Oggi, con lo scoppio della guerra tra sauditi e mili-

ziani houti, sta avvenendo il contrario: sono gli yemeniti a fuggire in Puntland, Somaliland e a Gibuti. Ormai sono centinaia i profughi arrivati nel Corno d'Africa, che hanno preso barconi e traghetti per attraversare il Golfo di Aden e mettersi in salvo. africa · numero 4 · 2015 5

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ATTUALITÀ di Marco Trovato

La strana guerra delle statue IN SUDAFRICA LE TENSIONI SOCIALI E I RANCORI DELLA STORIA SI ACCANISCONO CONTRO I MONUMENTI


Gli studenti neri esigono la rimozione dei simboli dell’apartheid, mentre i nostalgici del passato si incatenano ai busti dei coloni bianchi. A farne le spese sono sculture e icone di ogni colore Sembrava un litigio da niente, è scoppiata una polemica che non ha più fine. Lo scorso aprile gli studenti universitari di Città del Capo hanno inscenato manifestazioni di protesta per chiedere la rimozione dal loro campus di una vecchia statua che raffigurava Cecil Rhodes, il colono britannico arrivato in Sudafrica alla fine dell’Ottocento, considerato un simbolo dell’oppressione europea sulle popolazioni nere. La loro campagna “Rhodes Must Fall” (Rhodes deve cadere) è cresciuta col tamtam dei social network e i responsabili dell’ateneo hanno dovuto cedere per far riprendere le lezioni.

Furore iconoclasta Ma non è terminata lì. In pochi giorni la battaglia contro i simboli storici della dominazione bianca è dilagata in tutto il Sudafrica, dando vita a quella che è stata definita la “guerra delle statue”. Sotto accusa sono finiti altri monumenti che ricordano gli anni di supremazia coloniale nel Paese: decine di busti in granito di leader politici di origine europea del passato che, ancora oggi, fanno bella mostra di sé in piazze, edifici pubblici e parchi cittadini. Il monumento a Louis Botha, boero e primo ministro dell’allora Union of South Africa nei primi del Novecento, davanti al ParlaReuters

mento di Città del Capo, è stato preso di mira con vernice rossa e bombolette spray. Stessa sorte è toccata alla statua di Paul Kruger, politico boero di fine Ottocento, presidente della Repubblica del Transvaal, che troneggia nel centro della città di Pretoria – un tempo capitale del regime segregazionista. Sotto i pennelli e picconi dei manifestanti sono finiti anche i vecchi monarchi britannici, come la regina Vittoria e re Giorgio VI. L’ondata di furore iconoclasta non ha risparmiato neppure il pacifico Mahatma Gandhi, leader indiano della lotta nonviolenta, che visse in Sudafrica per ventidue anni, battendosi contro i soprusi razziali. Storia tormentata Il ministro sudafricano delle Arti e della Cultura, Nathi Mthethwa, ha condannato gli assalti alle statue, definendoli un «vile attacco al patrimonio storico e artistico dell’intera nazione». Ma

▲ Il momento della rimozione della statua di Cecil John Rhodes dall’Università di Città del Capo ◀ Il monumento imbrattato del magnate e politico britannico Cecil John Rhodes, considerato da molti un intollerabile simbolo della supremazia bianca. Gli studenti universitari di Città del Capo ne hanno chiesto e ottenuto la rimozione dal campus ▼ Una giovane manifesta a Città del Capo a favore della campagna “Rhodes Must Fall” (Rhodes deve cadere), che ha dato il via alla stagione di attacchi alle statue di epoca coloniale ▼ Gli studenti festeggiano l’assalto al monumento, considerato un’offesa alla cultura nera

Rodger Bosch/Afp/Getty Images

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LO SCATT O

testo di Sonia Gargiullo - foto di Brian Sokol/Panos Pictures/Luz

DISCORSI DA GRANDI In un campo profughi nel nord della Repubblica democratica del Congo, quattro bambini centrafricani ascoltano un animato dibattito: i loro genitori discutono dell’opportunità di far ritorno ai propri villaggi, approfittando di una fragile tregua che ha interrotto le violenze tra cristiani e musulmani nella Repubblica Centrafricana. Sconvolto da due anni di guerra civile, la situazione resta difficile: benché le milizie in lotta abbiano accettato di sospendere i combattimenti, il governo di Bangui guidato dalla presidente Catherine Samba-Panza non è ancora riuscito a ripristinare la sicurezza nel Paese, ricco di miniere di diamanti e oro. Lo scontro tra i ribelli musulmani ex Séléka e i combattenti cristiani antiBalaka ha avuto tragiche ripercussioni: villaggi distrutti, esecuzioni sommarie, saccheggi e violenze hanno costretto migliaia di civili ad abbandonare le proprie case. Ora i profughi e la comunità internazionale si interrogano sulla tenuta del recente accordo per il cessate il fuoco.


ATTUALITÀ testo e foto di Damiano Rossi

Vendersi per due euro

UGANDA, UNO SCONVOLGENTE REPORTAGE DALLO SLUM DELLE PROSTITUTE DI KAMPALA

Catherine Nakas, 33 anni e otto bambini a cui badare. «I primi due figli li ho avuti da un europeo che vive a Kampala», racconta. Quando è rimasta incinta la prima volta aveva solo 15 anni. «Gli altri sei li ho avuti da clienti, non saprei dire chi siano i padri» 12 africa · numero 2 · 2015



ATTUALITĂ€ testo e foto di Sergio Ramazzotti/Parallelozero

La cittĂ di lamiera per i fuggiaschi


REPORTAGE

Nel Nord del Kenya, in mezzo alla savana arroventata dal sole, c’è una città di baracche che da oltre vent’anni accoglie masse di disperati in fuga dalle guerre

DA KAKUMA, UNO DEI PIÙ VASTI E POPOLOSI CAMPI

Questa è una storia che comincia con un errore: a nessun posto vivono centottantamila persone. Però, pur badando alla sintassi, l’errore è solo apparente, perché nessun posto in realtà è un toponimo: è la traduzione di Kakuma, uno dei più vecchi e popolosi campi profughi del pianeta, un luogo fin troppo concreto, nella contea Turkana, all’estremo Nord-Ovest del Kenya e a ridosso del confine col Sud Sudan.

PROFUGHI DEL MONDO

KENIA Kakuna E T I O PI A

JUBA

U G AN DA

KAMPALA

Marsabit

Lodwar Eldoret

Garissa

SOMALIA

SU D SUDAN

NAIROBI Malindi TAN ZA N I A

Un quarto di secolo Per dirla tutta, questa è una storia piena zeppa di errori, quelli della Storia: le guerre, gli scontri tribali, l’anarchia cronicizzata e i colpi di Stato, i massacri di civili, le famiglie in fuga con i bambini terrorizzati in braccio, e sulle spalle il fagotto con tutti i loro averi, scene da un copione sempre uguale a se stesso che questa parte di Africa – Somalia, Eritrea, Sudan, Etiopia, Congo, Ruanda, Uganda, Burundi – ha visto e continua a vedere da decenni. È questa serie di errori o anomalie che ha creato Kakuma: era il 1992, sorse una tendopoli per i primi profughi sfollati dalla guerra civile in Sudan.

Quasi un quarto di secolo dopo, la tendopoli si è espansa ed è mutata in una metropoli, una città di lamiera ondulata e teloni di plastica e strade di sabbia gabinetti all’aperto, fragile e precaria come è stata la vita e come appare il futuro dei suoi abitanti scappati dall’incubo. Una città nata senza un piano e sviluppatasi come una malattia, nelle terre ancestrali dei Turkana, aspre, roventi e, a loro volta, insanguinate da una guerriglia locale fra tribù. Un agglomerato senza senso come le cause che l’hanno generata, a cui Calvino avrebbe forse trovato un posto nel suo catalogo delle città invisibili: la città che nessuno ha realmente voluto, eppure c’è. Lo spettro della fame Kakuma è una Lampedusa all’ennesima potenza (ha trenta volte più abitanti: la popolazione di Parma), è l’emergenza cronicizzata, il provvisorio che diventa permanente, la resa collet-

◀ Veduta dall’alto del campo profughi di Kakuma, abitato da 180.000 persone, in maggioranza somali e sud-sudanesi in fuga dalla guerra, a cui il destino ha riservato un punto d’approdo in mezzo al nulla africa · numero 4 · 2015 17


tiva a un fenomeno inarginabile così come in guerra l’orrore finisce per diventare la banale quotidianità. C’è chi vive qui da vent’anni e ormai si è rassegnato a morirvi. Una città di bambini e di vedove: su 180.000, centomila hanno meno di 18 anni, la maggioranza dei restanti sono donne: i mariti al fronte, rimasti a combattere, più spesso caduti. Una città dove, è scritto su un cartello corroso dalla ruggine: «Tutti i servizi sono gratuiti». Lo promette l’Unhcr, l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati. Ma i servizi, gestiti appunto dall’Unhcr con l’aiuto ▲ La sepoltura di un bambino somalo, morto per complicazioni dovute alla malnutrizione. La carenza di vitamine e di cure sanitarie miete centinaia di piccole vittime ogni anno ▶ Il sermone di un imam in una piccola moschea a Kakuma. La gran parte dei profughi professa la religione islamica. Le autorità kenyote sono preoccupate per l’infiltrazione nel campo di predicatori fondamentalisti ▶ La celebrazione della messa domenicale in una chiesa di Kakuma. Nel campo opera un manipolo di salesiani che porta soccorso spirituale e materiale ai fedeli di religione cattolica

18 africa · numero 4 · 2015

di alcune ong, sono quel che sono. Il cibo, distribuito due volte al mese, è più un pastone per animali che una dieta per essere umani: a ciascun abitante spettano un sacco di 7 chili di sorgo o di mais e 5 litri di olio di palma. I sudsudanesi o i somali possono anche esserci abituati, ma per chi proviene dalle regioni dei Grandi Laghi, ricche d’acqua e di coltivazioni, un simile regime equivale a una tortura. «Il problema più grosso è la mancanza di vitamine», spiega suor Renata, una missionaria originaria del Cuneese; «soprattutto per i bambini: molti sono cronicamente denutriti». In tal caso una madre può sempre portare il figlio in una delle cliniche del campo, ma le cliniche sono tragicamente a corto di personale, di medicinali e, a quanto pare, di competenze. Mentre i familiari scavavano la fossa per seppellire il nipote, morto quel mattino per complicazioni dovute alla malnutrizione e condotto al cimitero sul portapacchi di un motorino, la nonna Kifaya Abdou Mohammed, somala, sfoga la sua rabbia: «Alla clinica pretendevano di



ATTUALITÀ di Virginia Ntozini

Sonno mortale

TORNA A FAR PAURA

A SUD DEL SAHARA

LA MALATTIA

DEL SONNO

Sven Torfinn/Panos/Luz


La patologia, diffusa dalla mosca tse-tse, colpisce trentasei Paesi e uccide ogni anno cinquantamila persone. In Sud Sudan e Centrafrica è in espansione a causa della guerra civile

Mentre l’opinione pubblica mondiale era terrorizzata da ebola, temendo che l’epidemia potesse dilagare ovunque, è passata sotto silenzio la notizia di un’altra minaccia sanitaria – ben più diffusa – che colpisce il cuore del continente africano. Stiamo parlando della malattia del sonno, una piaga dimenticata e riemersa in alcune regioni dell’Africa subsahariana, dove almeno 300.000 persone sono già state contagiate e 70 milioni sono a rischio in 36 nazioni. In termini medici, la patologia è nota col nome di

Tripanosomiasi africana. Colpisce tanto gli esseri umani quanto gli animali. È causata da un parassita introdotto nel corpo dalla puntura della mosca tsetse, simile al tafano, che vive in zone umide, calde, ombrose. Si manifesta – generalmente dopo poche settimane dall’infezione – con febbre intermittente, mal di testa, prurito e dolori articolari. Se non è contrastato, il parassita si diffonde nel cervello, dove inizia a devastare le cellule del sistema nervoso centrale. Subentra così una forma di encefalite letargica che

causa confusione, mancanza di coordinamento e soprattutto uno stato di torpore sempre più profondo, che nel tempo si trasforma in vera e propria condizione di coma. Turisti e viaggiatori occidentali possono farsi curare tempestivamente, ma i malati più poveri e isolati corrono seri rischi. «Non esiste vaccino né profilassi», spiega Bernard Pécoul, direttore della Drugs for Neglected Diseases Initiative, organizzazione che si propone di ricercare farmaci per le malattie dimenticate. «La terapia farmacologica è più semplice ed efficace se viene diagnosticata in tempo, prima dell’insorgere di sintomi neurologici. Dopo, diventa spesso inutile o addirittura tossica». In Uganda e nella Repubblica democratica del Congo – dove si registra oltre l'80% dei casi – i ricercatori hanno notato un

aumento significativo dei casi di contagio, nell’uomo e negli animali. Segnali che fanno temere l’insorgere di una nuova epidemia. «In questa regione, cinque anni fa la malattia era praticamente sotto controllo, ma i mancati controlli veterinari hanno vanificato gli sforzi fatti finora», racconta Pécoul, che avverte: «Trascurare la salute degli allevamenti significa aumentare il rischio di contagio umano». In altri Paesi, come il Sud Sudan e la Repubblicana Centrafricana, le guerre civili hanno ostacolato le attività di diagnosi e cura. Pare così allontanarsi il traguardo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms): eliminare la malattia del sonno come problema di salute pubblica entro il 2016. Ancora oggi la malattia uccide circa diecimila persone l’anno: un quinto rispetto a dieci anni fa, ma sempre troppe.

Dieter Telemans Panos/Luz

◀ Medico esamina un campione di sangue al microscopio in cerca dei parassiti della malattia del sonno. L’attività di controllo, assicurata da un’équipe sanitaria mobile, avviene all’interno di una chiesa in un villaggio isolato del Sud Sudan ▶ Screening nella Repubblica democratica del Congo. L’Oms ha lanciato un’iniziativa per coordinare le azioni di trattamento e studi di resistenza nei confronti della malattia del sonno. Sul versante della prevenzione, l’uso degli insetticidi è inutile, dato l’habitat aperto e diffuso della mosca tse-tse africa · numero 4 · 2015 23


SOCIETÀ di Hanna Achemyelesh

Dubai d’Africa La capitale dell’Etiopia è una metropoli vibrante e in piena trasformazione. Che punta in alto. Ma non tutti i suoi abitanti beneficiano della crescita economica e apprezzano il boom edilizio Nel cuore di Addis Abeba sorgerà presto l’edificio più alto del continente africano: un grattacielo di novantanove piani e 448 metri di altezza. Avrà la forma di una spada proiettata verso il cielo e si chiamerà Meles Zenawi International Centre (in

Il progetto della nuova sede della Commercial Bank dell’Etiopia: una torre di cinquantadue piani che sorgerà nel cuore di Addis Abeba (nome che significa “nuovo fiore”). La capitale etiopica è una metropoli di quasi quattro milioni di abitanti, tra le più estese del continente. Entro vent’anni la sua popolazione sarà raddoppiata

onore dell’ex Presidente etiopico, morto nel 2012). Attorno all’imponente torre di vetro e acciaio progettata dalla società cinese Guangdong Chuanhui, spunteranno altri diciassette grattacieli: una giungla di palazzi ultramoderni destinati

PALAZZI MODERNI E GRATTACIELI VERTIGINOSI: COSÌ CAMBA LO SKYLINE DI ADDIS ABEBA

a cambiare per sempre lo skyline della capitale d’Etiopia. Le autorità sono determinate a fare di Addis Abeba una vetrina scintillante sul modello di Dubai: il luogo-simbolo di una nazione in pieno boom economico che ambisce ad

essere la nuova locomotiva d’Africa. Stagione d’oro Il Pil etiopico corre da dieci anni con tassi di crescita annuale che oscillano tra il 7 e il 10 per cento. I consumi aumentano parallelamente



SOCIETÀ testo e foto di Sergio Ramazzotti/Parallelozero

I fantasmi del Ducor Palace Hotel

28 africa · numero 4 · 2015 Mark Fischer


LIBERIA, REPORTAGE DALLE MACERIE DEL PIÙ LUSSUOSO ALBERGO D’AFRICA

A Monrovia c’è un edificio decrepito che racconta meglio di un museo la travagliata storia postcoloniale della Liberia. Cinquant’anni fa era il simbolo di un sogno, oggi è l’icona di un fallimento Fra le vittime della rivoluzione libica che nel 2011 ha deposto il regime di Muhammar Gheddafi c’è un edificio, o quel che ne rimane, in cima a una collina quattromila chilometri più a sud di Tripoli, nel cuore della capitale di un Paese che con la Libia ha in comune appena le cinque lettere del proprio nome: la Liberia. L’edificio era un albergo. Lo costruirono negli anni Sessanta del secolo scorso, sotto il presidente Tubman, quando la Liberia era un’allegra dittatura travestita da repubblica presidenziale in cui il denaro (frutto dell’oro, del ferro, del caucciù, del legname e dei diamanti) scorreva a fiumi, ma arricchiva ben pochi. L’edificio sorse sulla vetta della Ducor Hill, una montagnola ricoperta di foresta in fondo a Broad Street, l’arteria principale che taglia in due il centro di Monrovia, e fu battezzato Ducor Palace Hotel.

Ritrovo elitario All’epoca era uno dei pochi alberghi a cinque stelle di tutto il continente africano. Trecento stanze, la piscina dall’avveniristica forma a fegato, i campi da tennis, un ristorante francese, le enormi vetrate tondeggianti sospese sull’Atlantico e sulla lingua di sabbia giallastra di West Point, oggi colonizzata dalla baraccopoli più popolosa di Monrovia, un quarto di milione di abitanti. Fu preso in gestione dalla catena Intercontinental: nelle sue stanze sbarcavano, con le uniformi sgargianti, gli equipaggi della Pan Am, che operava i voli transoceanici fra la Liberia e gli Stati Uniti. Presto il Ducor Palace divenne una sorta di simbolo della nazione, l’icona dell’Africa che entrava nel circuito del jet-set, un motivo di orgoglio e di vanto. Nulla però era destinato a durare. La gestione della cosa pubblica, anno dopo

◀ La piscina in degrado del Ducor Palace Hotel. Qui negli anni Sessanta del secolo scorso si tenevano ricevimenti e feste sontuose a cui partecipavano uomini d’affari, politici e diplomatici africa · numero 4 · 2015 29


anno sempre più scellerata, culminò nel 1980 nel colpo di Stato di Samuel Doe, un sergente analfabeta, affetto da disturbi psichici e originario di un’etnia locale, quest’ultimo il fattore che segnò l’inizio di una lunga stagione di combattimenti tribali. Per il successivo quarto di secolo, la Liberia sprofondò in un vortice di dittature sanguinarie che si alternavano a periodi di anarchia totale, una specie di allucinazione collettiva dominata dalle bande di bambini soldato imbottiti di droga che bruciavano le case, saccheggiavano, violentavano e uccidevano a sangue freddo con la stessa noncuranza con cui altrove i loro coetanei sterminavano i personaggi di un videogioco. Declino inesorabile Il Ducor Palace fu chiuso nel 1989, poco prima dell’ennesimo colpo di Stato ordito da Charles Taylor, il comandante di un gruppo paramilitare ribelle. Fra il 1990 e il 1994, durante un periodo di relativa calma, l’edificio divenne la sede del governo di transizione guidato da Amos Sawyer: gli stabili governativi erano stati quasi tutti rasi al suolo 30 africa · numero 4 · 2015

dalla guerra, e i ministri si erano insediati nelle stanze che avevano ospitato le vaporose hostess della Pan Am. Terminato il mandato di Sawyer, l’albergo fu abbandonato a se stesso e, in poco tempo, venne occupato da migliaia di senzatetto, che ne completarono la distruzione. Fra le sue mura già sgretolate, si stabilirono gli ex militari dell’esercito regolare e le loro famiglie, gente senza fissa dimora con un passato da dimenticare e il futuro precario, prigionieri di quel castello maledetto senza luce elettrica, senza gabinetti, lo scalone senza balaustra dal quale ogni tanto un bambino precipitava nel vuoto, i pianerottoli che ospitavano piccoli mercati, venditori di sigarette, un bar. E dopo qualche tempo, per ironia della storia, giunsero anche gli ex miliziani di Taylor, i bambini soldato nel frattempo diventati uomini (adulti lo erano già diventati anzitempo). Così, più o meno come nel resto del Paese, i nemici di un tempo si ritrovarono loro malgrado spalla a spalla in regime di convivenza coatta, separati da pareti divisorie di rafia intrecciata, uniti dalla sorte comune

di orfani della guerra in un gigantesco dormitorio, una fogna a dieci piani dove i liquami scorrevano in ruscelli fra le brande, un lazzaretto dove tutto lo sfacelo nazionale si concentrava in un quadrilatero di muratura come in un’attrazione

turistica malsana e ferocemente simbolica: la Liberia in miniatura. Illusione libica Intanto le elezioni del 1997 riportarono al potere Charles Taylor. La gente votò per lui non per un at-

ARRIVANO LE PANTERE ROSA A Monrovia scendono in strada le Pink Panthers, agguerrite moto-tassiste vestite con giacche e caschi rosa. A guidare il neonato club di centaure liberiane è Dearest Coleman, 42 anni, metà dei quali passati in sella alla propria motocicletta. Di recente, è rimasta vittima di una rapina. «Due delinquenti mi hanno aggredita e picchiata in una zona isolata, rubandomi il mezzo con cui trasportavo i clienti», racconta. «Ora, per lavorare, sono costretta a noleggiare una moto, spendendo l’equivalente di cinque euro al giorno». Le moto-tassiste di Monrovia sono spesso vittime di aggressioni e intimidazioni. Il problema viene ignorato dall’opinione pubblica e la polizia non garantisce alcuna sicurezza. Per questo motivo Dearest ha deciso di radunare una dozzina di colleghe e creare il Pink Panthers Motoclub. «L’unione fa la forza», commenta. «Abbiamo deciso di vestirci di rosa per farci notare. Non vogliamo più passare inosservate». Indumenti e caschi sono stati acquistati con l’aiuto dell’Undp (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo).



SOCIETÀ testo di Paola Marelli - foto di Marco Garofalo

Vita da ranger

DALLA FRENESIA DI MILANO ALLA NATURA SELVAGGIA DEL SUDAFRICA, IL VIAGGIO DI SOLA ANDATA DI UNA GIOVANE DONNA ITALIANA

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Quattro anni fa Sabrina Colombo ha lasciato un lavoro sicuro, ha salutato amici e famigliari ed è volata in una riserva naturale del Sudafrica, dove oggi si occupa di tutelare leoni, rinoceronti ed elefanti minacciati dai bracconieri La furia del temporale ieri ci è piombata addosso all’improvviso. Raffiche di fulmini squarciavano il buio della savana, dalle nubi provenivano ruggiti terrificanti, il vento scuoteva le chiome degli alberi. Dovevamo affrettarci a rientrare alla base. Un diluvio di pioggia aveva trasformato le piste in fiumi di fango, la visibilità era ridotta al minimo. Noi, fradici e intirizziti, eravamo attorniati da leoni e altre belve invisibili. Eppure lo sguardo di Sabrina non

tradiva preoccupazione, anzi sprizzava di gioia. «Questa sì che è vita!», ha urlato divertita. Il sogno possibile Oggi che il sole è tornato a splendere in cielo, il senso di quelle parole ci appare più chiaro. «Vedi, questo è l’ufficio in cui lavoro tutti i giorni», indica Sabrina allargando le braccia verso l’orizzonte. Ai nostri piedi si estende una vasta piana verde immersa nel silenzio. In lontananza s’intravvede una linea di

basse colline ricoperte da fitta vegetazione: un paesaggio incontaminato, primordiale, senza alcuna apparente presenza umana. «Non potrei chiedere nulla di meglio che vivere in questo paradiso». Sabrina di cognome fa Colombo. È nata a Milano trent’anni fa. E di mestiere fa la ranger in una riserva nel Limpopo: la più selvaggia delle province sudafricane. Fin da piccola sognava l’Africa e i suoi leoni. Nel 2011 è andata in Sudafrica per un’esperienza di volontariato durante le ferie. Con un obiettivo preciso: studiare la fauna selvatica della Selati Game Reserve, una meravigliosa riserva privata di trentamila ettari che protegge ventisei specie di grandi mammiferi dai fucili dei bracconieri. Avrebbe dovuto fermarsi

due settimane, ha deciso di non tornare più indietro. «È strano – racconta –, ho volato per dodicimila chilometri sull’intero continente africano, per piombare in un posto dove non ero mai stata. Eppure, appena arrivata ho capito che questa era la mia casa… Che qui avrei ricominciato una nuova vita». Svolta totale Oggi Sabrina gestisce il team di LEO Africa, un’organizzazione che studia e ◀ La giovane ranger italiana osserva uno scorcio della Selati Game Reserve, una meravigliosa riserva privata di 33.000 ettari che tutela la wildlife minacciata dal bracconaggio ▼ Sabrina assieme al compagno Koos, un sudafricano bianco con cui gestisce LEO Africa. Il ricevitore collegato all'antenna aiuta a localizzare i leoni dotati di radio-collare

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VOLONTARI NELLA SAVANA Chi desidera vedere all’opera Sabrina e vivere assieme a lei un’esperienza di volontariato nella natura selvaggia può contattare LEO Africa, che ha sede in una splendida riserva privata del Sudafrica, preclusa ai turisti, dove per tutto l’anno decine di giovani e meno giovani di ogni nazionalità si occupano di monitorare leoni, rinoceronti, elefanti, leopardi e altre specie animali minacciate dal bracconaggio. Una vacanza diversa. E per gli appassionati di fotografia, dal 26 ottobre al 3 novembre 2015, è in programma un workshop a cura del reporter Marco Garofalo, autore delle immagini pubblicate in queste pagine. www.leoafrica.org, www.facebook.com/LEO.Africa

▲ Gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo quando ci si muove nella savana. Per monitorare gli animali nelle aree più intricate della riserva è spesso necessario abbandonare il fuoristrada e proseguire a piedi, con estrema cautela: «Una volta – ricorda Sabrina – mi sono ritrovata a tu per tu con tre leopardi» ◀ Un volontario prende nota della posizione di un raro uccello appena avvistato nella riserva

SUDAFRICA N AM I B I A

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▶ Un violento temporale incombe sulla riserva ▶ L’incontro ravvicinato con un enorme esemplare di rinoceronte: la preda più ambita dei bracconieri ▶ Lavori di pulizia al campo base ▶ L’ufficio dove Sabrina inserisce al computer i dati raccolti durante le osservazioni degli animali ▶ Sabrina e Koos recuperano le memorie delle fotocamere nascoste nella riserva: le foto e i video registrati permettono di studiare gli animali M OZ AM B I CO

B OTS WAN A

KRUGER NATIONAL PARK SELATI GAME RESERVE



SOCIETÀ di Rutendo Kachuwa

«Miei cari coccodrilli»

IN ZIMBABWE CRESCE L’ALLEVAMENTO DEI GROSSI RETTILI

Il coccodrillo del Nilo, diffuso in larga parte dell’Africa, può raggiungere i sei metri di lunghezza. Come tutti i rettili, non ha il sangue caldo e per riscaldarsi deve costantemente crogiolarsi al sole. Gli allevatori hanno il compito di mantenere l’acqua delle vasche a una temperatura costante di 32 gradi

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Novantamila esemplari allevati ogni anno per un valore di venticinque milioni di dollari. E centinaia di posti di lavoro. La pelle (e la carne) del coccodrillo è un grosso affare per lo Zimbabwe. Ecco come funziona La caccia alle uova di coccodrillo inizia prima della stagione delle piogge e coinvolge centinaia di “raccoglitori”, uomini di ogni età che vivono nella valle dello Zambesi. «Abbiamo solo un paio di settimane a disposizione per portare a termine il nostro lavoro», spiega Mduduzi Chakamanga. Nel suo villaggio lo chiamano Mr. Crocodile perché è il più temerario di tutti: sempre in prima fila nell'avventurarsi con la sua canoa, armato solo di una lunga lancia, sulle rive infestate dai grossi rettili acquatici. «Le femmine depongono una volta all’anno da 30 a 100 uova dal guscio molle», spiega. «Conosco molti posti in cui vengono nascoste, ma se voglio prenderle devo rischiare la mia vita ogni giorno».

Africa), avviando al tempo stesso un programma di salvaguardia e di contenimento degli esemplari in libertà. Dopo l’indipendenza, il governo di Harare ha deciso di portare avanti questa politica. La raccolta delle uova è regolata in maniera ferrea dal ministero dell’Ambiente, che ha il compito di assicurare un’adeguata diffusione dei rettili in natura, sufficiente a non stravolgere i delicati equilibri dell’habitat fluviale. Per ogni uovo prelevato, il raccoglitore deve pagare una piccola tassa, l’equivalente di un centesimo di euro, che va a finanziare progetti di tutela ambientale e di promozione della sicurezza (ogni anno decine di persone sono vittime di attacchi di coccodrilli lungo lo Zambesi).

Affari e tutela Le uova raccolte non finiscono in qualche padella, ma vengono vendute agli allevatori di coccodrilli. Lo Zimbabwe è tra i leader mondiali in questa attività. Fin dagli anni Sessanta le autorità coloniali hanno creduto e investito nell’allevamento del Crocodylus niloticus (il più richiesto dal mercato e il più diffuso in

Boom di vendite Nel 2014 in Zimbabwe si sono allevati circa novantamila rettili e sono state esportate pelli e carni di coccodrillo per un valore che supera i 25 milioni di dollari. Un migliaio di posti di lavoro dipende da questo business che prospera nelle regioni di Kariba, Binga e Victoria Falls. Circa la metà è impiegata nelle due maggiori

aziende del settore, la Padenga Holding e la Binga Crocodile Farm, due colossi con cinquant’anni di attività alle spalle e ottime prospettive di sviluppo. «La domanda mondiale di coccodrilli di allevamento è in forte crescita», fa sapere la Crocodile Farmers’ Association of Zimbabwe (Cfaz). «La pelle dei rettili viene esportata soprattutto in Giappone, Singapore, Stati Uniti e Australia, dove c’è una lunga tradizione nella lavorazione del materiale… ma anche nell’Unione Europea, in particolare Francia e Italia». Concerie e laboratori artigianali trasformano il tessuto squamoso in capi di abbigliamento, calzature e accessori di sfarzo: giacche, stivali, borse, mocassini, cinture, portafogli… Che al consumatore finale vengono proposti a prezzi esorbitanti. Anche in cucina… Le vendite al dettaglio fanno registrare un +5% nell’ultimo anno: l’ennesima conferma che il settore del lusso non conosce crisi. Ma gli allevatori dello Zimbabwe puntano molto anche sulla vendita della carne di coccodrillo, il cui valore complessivo

▲ Borse, portafogli, cinture, scarpe, giacche. La pelle di coccodrillo è sempre più richiesta dall'industria dell'abbigliamento di lusso: un settore che non conosce crisi

nel mercato internazionale ha superato i dieci milioni di dollari. «La carne di coccodrillo è salutare per l’uomo», assicura James Watson, amministratore della Padenga Holding Limited. «È ricca di proteine e povera di colesterolo e grassi saturi: un toccasana per il nostro cuore e per chi vuole mantenersi in forma». Al momento, i maggiori importatori di carne di coccodrillo sono il Giappone, il Belgio e il Sudafrica. Il consumo locale, invece, è minimo, poiché molte etnie dello Zimbabwe considerano il coccodrillo un animale sacro ed è un tabù cibarsi della sua carne. Ma la cultura sta cambiando, specie nelle grandi città. Già oggi in alcuni locali e ristoranti di Harare si possono ordinare stufati, grigliate e persino snack per aperitivi a base di coccodrillo. africa · numero 4 · 2015 39


A SOCIETÀ TTUALITÀ testo testo di Alberto di SimiSalza Olaseni - foto - foto di Frans di Christophe Lanting/Luz Lepetit/LightMediation

Madagascar, tra Cacciatori idinomadi virus del mare IN GABON

CON GLI SCIENZIATI

DEDITI ALLO STUDIO DEI PIPISTRELLI

I PESCATORI VEZO TRASCORRONO LA LORO VITA VIAGGIANDO SULL’ACQUA

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CHE PROPAGANO IL VIRUS EBOLA


Sono sempre in movimento a bordo della loro piroghe, seguendo il vento e le correnti, alla ricerca dei banchi di pesci che si spostano sotto il tropico del Capricorno, lungo la costa ovest del Madagascar

Se vi trovate a passare sulle rive occidentali del Madagascar, luoghi di bellezza desolata non ancora deturpati dall’uomo, incontrerete i Vezo. Non avrete dubbi: i Vezo sono pescatori; la loro vita è totalmente proiettata verso il mare; invece che nelle capanne dei villaggi semipermanenti, sembrano vivere per la maggior parte del tempo sulle loro semplici piroghe (lakana): scavate in un tronco, hanno un bilanciere e la vela quadra, elementi strutturali che ci portano alle origini indonesiane del popolamento umano verso il Madagascar. Tribù fantasma I Vezo sono persone solide, eppure per gli antropologi sono fantasmi: i Vezo non sono classificabili come etnia. Le teorie dell’etnicità si basano sull’assunto che “le persone sono come sono

in quanto nate per essere così”. La biologia della parentela (il “sangue”) e la cultura tradizionale (“naturalizzata” tramite il linguaggio e la storia condivisa) sono alla base delle etnie, in quanto caratteristiche dell’essere. Vezo, invece, non si è: lo si diventa. Per i maniaci dell’identità etnica (madre del razzismo e di tutte le guerre, al punto che andrebbe abolita), i Vezo sono divenuti un paradosso; l’estensore dell’Atlante del Madagascar affermò nel 1970: «Dal momento che non sono un gruppo etnico, di fatto i Vezo non esistono». Siamo ancora in quel processo di “invenzione delle tribù malgasce” che caratterizza la colonizzazione francese, la politique des races basata sul preconcetto che i gruppi etnici esistessero da prima, di modo che i loro leader, disuniti, po-

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LA STORIA DEI VEZO

Come per la maggior parte delle popolazioni del Madagascar, i Vezo hanno origini asiatiche (probabilmente dal Borneo). Tuttavia, essere Vezo non ha a che fare con l’etnicità, basata su origini comuni e storia condivisa; la loro identità è legata al contesto e alle pratiche della pesca e dell’andar per mare, piuttosto che a legami di sangue, geni o colore della pelle. La loro presunta associazione al regno dei Sakalava risponde piuttosto al bisogno di tali antichi regnanti (mpanjaka) di cooptare tutte le popolazioni. I Vezo non si curavano dei re: appena questi arrivavano al villaggio, l’intera comunità salpava sulle piroghe e prendeva il mare. La pratica deriva da una lunga storia di predazione nei confronti dei Vezo da parte dei vicini, ma sottolinea anche il rifiuto di ogni legame, passato o presente, con una storia collettiva che non sia basata sull’agire quotidiano. La narrazione di fatti veri (tantara) non deve servire alla sottomissione per apparentamento con un qualsiasi lignaggio, sia pure regale. (A.S.)

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tessero essere manipolati da Parigi. Origini misteriose Gli etnografi sono meno drastici; presumendo che ognuno debba avere un’affiliazione etnica, allora i Vezo, per forza, sono parte di un’etnia che li ingloba. Per prossimità territoriale e linguistica si afferma che i Vezo sono un sottogruppo della

▼ Le vele delle imbarcazioni alla sera diventano tende sotto cui i pescatori si riparano quando si trovano lontano dai villaggi

famiglia etnica salakava. Questo è un grossolano errore: i Salakava sono un coacervo di popolazioni e individui venuti a trovarsi sotto la dominanza (forzata o volontaria) dei regni con quel nome, i quali hanno imposto nella regione il bestiame come valore dominante. Quelli che si definiscono “Vezo” non coltivano né possiedono bestiame, ma nes-

▼ La testa di una tartaruga marina infilata ad un bastone: un segno di ringraziamento nei confronti degli spiriti del mare che aiutano i Vezo a sfamarsi ogni giorno



SOCIETÀ

di Edmund Ackermann

Il Re dei fricchettoni È uno stilista che si ispira all’eleganza degli anni Sessanta. Viene considerato il capo spirituale del movimento giovanile hipster (“fricchettoni”), sempre più diffuso nelle città dell’Africa australe

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IN NAMBIBIA FUROREGGIA LOURENS LOUX GEBHARDT, IL GURU DELLO STILE

«Non importa se sei un operaio o un impegnato, se vivi in una catapecchia o in un appartamento di lusso. Nessuno dovrebbe trascurare il proprio look… Non occorre spendere tanto per essere eleganti. Basta curiosare in un vecchio baule pieno di vestiti impolverati: quello è lo scrigno del tesoro». Lourens Loux Gebhardt, emergente stilista della Namibia, capo

VINTAGE

spirituale del movimento hipster (“fricchettoni”) che sta dilagando in Africa australe, ha una concezione popolare e democratica della moda. L’album di famiglia «Provengo da una famiglia umile», racconta. «I miei genitori hanno sgobbato una vita per offrirmi delle opportunità. Fin da piccolo adoravo il mon-


do del fashion. Quando sono diventato adulto ho cominciato a riempire il mio guardaroba di scarpe lucide e camicie inamidate. Spendevo cifre folli per vantarmi con gli amici… Un giorno, per caso, mi sono messo a sfogliare l’album di fotografie della mia famiglia. E solo allora mi sono accorto che i miei genitori e i miei nonni, pur costretti a fare i conti con la povertà, apparivano nelle fotografie vestiti in maniera sempre impeccabile. Ho capito che l’eleganza non dipende dai soldi. Tutti possono aspirare a vestire con stile. È il passato che ce lo dimostra». In giro per mercatini Per molti anni, Lourens Loux Gebhardt si è guadagnato da vivere come impiegato in un ufficio finanziario. La passione per la moda era un hobby privato che coltivava nei fine settimana. Finché un giorno ha recuperato da una vecchia cassapanca gli abiti appartenuti a suo padre e si è messo in testa di rivalorizzarli. Ha imparato a cucire e a rammendare i vestiti che avevano successo negli anni Sessanta. «Ho cominciato a indossare pantaloni a vita bassa, cappelli di feltro, giacche lunghe e gilet col taschino», spiega. «All’inizio i vicini di casa mi guardavano come fossi un extraterrestre, o meglio: come se fossi un uomo venuto dal passato. Oggi la gente mi guarda con sguardi ammirati». È diventato il re africano dello stile vintage, che si ispira all’eleganza in voga a metà

PRIMI SPOSI GAY

Hanno comunicato al mondo il loro matrimonio pubblicando la notizia su Facebook. Ricardo Raymond Amunjera e il suo compagno Marc Omphemetse Themba, due uomini namibiani, si sono sposati lo scorso aprile. La loro unione è stata sancita con una cerimonia civile a Johannesburg, in Sudafrica, dove la legge consente i matrimoni gay. In Namibia, invece, le coppie omosessuali non possono sposarsi. Le autorità locali non nascondono affatto la loro omofobia. «I gay sono persone disturbate, non meritano diritti, e dovrebbero anzi essere incriminate per i loro peccati contro Dio e la società», ha dichiarato il ministro dell’Interno Jerry Ekandjo. Più di recente, però, un giudice dell’Alta Corte della Namibia, Harold Levy, ha emesso una sentenza a favore di due lesbiche denunciate per immoralità, sostenendo che «i diritti civili sono insindacabili e non possono dipendere dall’orientamento sessuale». Il matrimonio di Ricardo e Marc evidentemente ha contribuito a far cadere alcuni tabù culturali in Namibia. Va ricordato che in 38 Paesi dell’Africa l’omosessualità è considerata un crimine, punibile anche con pene severe, fino all’ergastolo. del secolo scorso. Non sopporta la modernità. Nel mondo è conosciuto come «Loux Vintage Guru»: stesso nome del blog dal quale dispensa ogni giorno suggerimenti per vestirsi da vero fricchettone (louxthevintageguru.tumblr. com). «Recupero vecchi abiti dismessi nei mercatini dell’usato che si trovano in Namibia e soprattutto in Sudafrica. Il mio preferito si trova a Johannesburg, a sette ore di macchina da casa mia. Quando torno,

ho l’auto piena zeppa di indumenti». Loux Vintage Guru si diverte a ravvivare i vecchi abiti abbinandoli a tessuti colorati, tipicamente africani. Pochi mesi fa ha esordito sulle passerelle presentando la sua prima collezione alla Retro Vintage Kolektion Fashion Week di Pretoria, in Sudafrica. «È andata molto bene, ora voglio farmi conoscere a Milano e Parigi». Si congeda con una promessa: «Sentirete ancora parlare di me».

◀ Lourens Loux Gebhardt, guru africano dello stile vintage, in alcune foto realizzate dal collettivo di artisti sudafricani Khumbula (khumbula.wordpress.com) ▼ “Loux Vintage Guru” dice di ispirarsi all’eleganza dei sapeurs, i celebri dandy congolesi. A differenza di questi ultimi, che spendono cifre folli per un guardaroba firmato, lo stilista namibiano recupera per pochi soldi vecchi abiti dismessi nei mercati delle pulci

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SOCIETÀ/MISSIONE di Enrico Casale e Raffaele Masto

Il banchiere dei cereali

IN CIAD UN MISSIONARIO ITALIANO PRESTA SEMENTI E METTE AL SICURO

Un contadino e la moglie prendono in prestito dalla banca dei cereali i semi di miglio e sorgo. Alla fine del raccolto dovranno restituire la stessa quantità, maggiorata di un leggero interesse

I RACCOLTI DEI CEREALI

52 africa · numero 2 · 2015 Francesco Merlini



Bruno Zanzottera Parallelozero

contanti, vendevano i cereali nel momento del raccolto, quando cioè l’offerta era massima e i prezzi minimi. Gli speculatori acquistavano questi prodotti, che poi rivendevano quando miglio e sorgo iniziavano a mancare sui mercati e quindi a prezzi più elevati. I magazzini delle banche dei cereali, mantenendo intatte le scorte e immettendole gradualmente, fanno sì che gli speculatori non possano approfittarne.

54 africa · numero 4 · 2015

Un sistema vincente «Nel tempo – continua Martellozzo – ci siamo accorti che, attraverso questo sistema di prestiti, nell’arco di quattro anni la banca raddoppiava i depositi. Abbiamo quindi deciso di utilizzare il surplus per progetti di sostegno alimentare alle popolazioni locali. Per esempio, negli anni abbiamo creato una cinquantina di scuole. In queste strutture, il direttore è un funzionario statale, i docenti sono pagati dai

Alessandro Gandolfi Parallelozero

genitori. Spesso però i genitori non hanno i soldi per pagare i maestri i quali, dovendosi sostenere, non sempre sono presenti in classe. Con i fondi derivati dal surplus, questi maestri vengono pagati e possono offrire il loro contributo con continuità». Attualmente esistono 150 banche nell’area centrosettentrionale del Ciad. Sono tutte gestite da comitati eletti dalle comunità locali. Per evitare conflitti di interessi, nei comitati non ci sono

i capivillaggio né esponenti religiosi. «In questi comitati – conclude Martellozzo – i musulmani (la maggioranza della popolazione) e i cristiani lavorano gomito a gomito. La fede è diversa, ma tutti sanno che è necessario superare le diversità per affrontare meglio le difficoltà. Nel Nord i comitati sono formati interamente da donne, che lavorano molto bene. Il loro senso del bene comune e dell’economia è qualcosa di sorprendente».


Un libro che lascia senza fiato. Una storia vera dalle terre di Boko Haram Sposa bambina a 12 anni, madre di sette figli. Condannata alla lapidazione dalla legge islamica per aver avuto un figlio fuori dal matrimonio. Salvata a un passo dalla morte grazie alla mobilitazione della società civile internazionale. Il dramma di una donna nigeriana che ha sconvolto il mondo. Una storia che torna prepotentemente d'attualità con il terrore di Boko Haram.

RAFFAELE MASTO

LAPIDATE SAFIYA

UNA STORIA VERA DALLE TERRE DI BOKO HARAM

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2

In omaggio con una donazione di almeno 10,00 euro a favore dell’attività missionaria dei Padri Bianchi (specificando "Safiya")

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

pp. 120, febbraio 2015

Modalità di versamento: Paypal o Carte di credito su www.africarivista.it Conto Corrente Postale n. 9754036 Bonifico Bancario su Cassa Rurale Credito Cooperativo di Treviglio IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 Beneficiario: Amici dei Padri Bianchi Onlus donazione fiscalmente detraibile - Cod. Fisc. 93036300163

info@africarivista.it

www.africarivista.it

tel. 0363 44726

africa · numero 3 · 2015 55 africa · numero 4 · 2015 55

cell. 334 244 0655


SOCIETÀ/VIAGGI testo e foto di Bruno Zanzottera/Parallelozero

Tra le dune e l’oceano

IL DIARIO

DI UN LUNGO VIAGGIO

IN FUORISTRADA

DA TANGERI A BISSAU

Marocco (Sahara Occidentale) Dakhla. Durante la bassa marea le sabbie del Río de Oro che scendono fino al mare permettono escursioni in fuoristrada lungo la battigia

56 africa · numero 4 · 2015


1° Giorno

Attraversare il Sahara per un occidentale è diventato pericoloso: troppo alto il rischio di finire nella mani dei jihadisti. L’unico corridoio transitabile si snoda tra le sabbie lambite dalle acque dell’Atlantico. Noi l'abbiamo percorso in un mese... Gli sconvolgimenti politici di questi ultimi anni hanno reso il Sahara un territorio praticamente off limits per qualsiasi occidentale che abbia intenzione di viaggiare via terra dal Maghreb fino al cuore del continente africano. L’unico percorso ancora aperto è quello che si snoda tra il Marocco, la Mauritania il Senegal e la Guinea-Bissau. Si tratta di un lungo viaggio che

si svolge principalmente tra le sabbie sahariane che vanno a morire nelle acque dell’Oceano Atlantico. Un itinerario sospeso nel tempo, lontano da ogni rotta commerciale, che tocca la storia del colonialismo come quella dei rapporti tra il mondo arabo musulmano e l’Africa profonda, dove religioni e culture ancestrali resistono alla modernità e alla diffusione dell’islam.

1° Giorno – Marocco – Tangeri Tangeri, città portuale del Marocco protesa verso la Spagna, è impregnata di cultura e di storia. Per assaporare il suo fascino bisogna salire alle terrazze bianche che si affacciano sullo stretto di Gibilterra. Qui si radunano i giovani innamorati. Le ragazze, spesso con il viso incorniciato da foulard neri, tengono per mano i loro boyfriend. Tutti, anche chi è lì da solo, guardano ammirati il mare. E sognano l’Europa. 2° Giorno – Marocco – Marrakech La piazza è frequentata, tra gli altri, dai musicisti Gnaoua che si esibiscono in brevi performance con lo scopo di raccogliere soldi dai turisti. Questo è solo un aspetto secondario dell’attività degli Gnaoua, che in realtà utilizzano la musica per raggiungere la trance, e i loro riti hanno spesso uno scopo curativo. Originari dell’Africa occidentale, gli Gnaoua rappresentano confraternite islamiche vicine al sufismo, che mischiano a credenze ancestrali africane. 5° Giorno – Marocco (Sahara Occidentale) – Lagune di Naila – Parco Naturale di Khnifis Siamo ormai entrati nel territorio dell’ex Sahara Spagnolo, conteso tra il Marocco e i Saharawi riuniti nel Fronte Polisario che chiedono l’indipendenza da oltre 35 anni. La costa è formata da alte falesie che a volte lasciano spazio a lagune frequentate dai pescatori. 6° Giorno – Marocco (Sahara Occidentale) – Tarfaya Un piccolo biplano in metallo ricorda che la Villa Bens della colonizzazione spagnola, nei pressi di Cap Juby, era una delle stazioni del servizio aeropostale inaugurato nel 1927 per collegare la Francia con le sue colonie

2° Giorno

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COME AIUTARE: Le offerte, fiscalmente deducibili, vanno inviate alla Onlus AMICI DEI PADRI BIANCHI (cod. fiscale 93036300163) Specifica il titolo o il numero del progetto

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SOCIETÀ/SPORT testo e foto di Desmond Nzioka

La signora del polo

UNEKU ARAWODI, NIGERIANA, UNICA GIOCATRICE PROFESSIONISTA NERA DI POLO AL MONDO

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In Nigeria molti uomini vorrebbero le donne relegate in cucina o nella camera da letto. Ma io sono nata per correre

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SOCIETÀ/SPORT di Benedict Maiuoudou

Attenzione ai dischi volanti Dall’Uganda al Kenya, dal Mozambico al Sudafrica, la passione per il frisbee contagia centinaia di giovani che si sfidano con prese e lanci spettacolari. Ma è ben più di un gioco da spiaggia Gli avvistamenti di dischi volanti si moltiplicano in spiagge e parchi cittadini. Segnalazioni arrivano da Kenya, Tanzania, Mozambico e Sudafrica. Gli abitanti di Entebbe, sulle rive del Lago Vittoria, in Uganda, ogni sera vedono volare decine di cerchi colorati. «Ma è un’invasione pacifica e innocua», ironizza Joseph Kwesiga, capitano della nazionale ugandese di “ultimate frisbee”, uno sport di

squadra poco conosciuto dalla popolazione locale. «Scopo di questa disciplina è segnare punti passando il disco all’interno dell’area di meta avversaria», spiega. L’Uganda Ultimate Frisbee Association conta già una ventina di squadre, maschili e femminili, che si sfidano ogni domenica su campi d’erba o spiazzi sabbiosi. La passione è tale da aver dilatato gli orizzonti e le ambizioni degli atleti.

«Puntiamo a organizzare una sorta di campionato continentale per mettere a confronto i migliori team dell’Africa». Gli avversari da battere sono i fortissimi giocatori del Sudafrica, dove il frisbee ha una tradizione decennale. «Abbiamo centinaia di appassionati, impegnati a vari livelli», fanno sapere alla South African Flying Disc Association. «La vittoria del campionato in genere viene contesa tra le squadre di Città del Capo e Johannesburg». Origini poco nobili Cose serie, altroché. Il frisbee è molto più di un passatempo balneare, buono per divertirsi in vacanza. È uno sport a tutti gli effetti: ha le sue regole, le sue competizioni ufficiali, i suoi campioni. «È l’unica disciplina al mondo che,

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per regolamento, si effettua senza arbitri o giurie», ricorda Martin Ebong, giocatore ugandese della squadra di Nakawa. «Le partite sono gestite dagli atleti stessi e tutte le contese vengono risolte sul campo di comune accordo». Uno sport formativo, all’insegna del fair play. Quel che si racconta delle origini poco nobili del frisbee non deve trarre in inganno. A inventarlo pare siano stati, a fine anni Cinquanta, gli studenti americani della Yale University. Un giorno cominciarono a lanciarsi per gioco le teglie di latta utilizzate dalla locale pasticceria Frisbie. Quei contenitori per torte sono diventati autentici dischi volanti, che in sessant’anni hanno fatto il giro del mondo e ora sono approdati in Africa.


LEO Africa organizza Dal 26 ottobre al 3 novembre 2015

SUDAFRICA WILDLIFE PHOTO AND MONITORING WORKSHOP Viaggio e workshop di fotografia in Sudafrica Una settimana di safari fotografici, osservazioni naturalistiche e attività di salvaguardia della fauna selvatica accompagnati dal reporter professionista Marco Garofalo, collaboratore della rivista AFRICA e da Sabrina Colombo, responsabile del programma di monitoraggio dei leoni e dei rinoceronti dell’associazione LEO Africa che ha sede nella provincia del Limpopo. Immersi nella natura selvaggia della Selati Game Reserve, una riserva preclusa ai turisti che ospita ventisei specie di grandi mammiferi africani, sarà possibile osservare e documentare le quotidiane attività di monitoraggio, conservazione e antibracconaggio. Per unire la passione della fotografia e della Wild Life ad un impegno concreto sul campo. Con visita guidata al vicino Kruger National Park e al Blyde River Canyon. MISSIONE • CULTURA

Affrettatevi: l’invito è riservato solo a 6 persone Quota di partecipazione: € 1190 euro - volo escluso Maggiori informazioni: enquiries@leoafrica.org www.leoafrica.org cell. 393.9140523

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SOCIETÀ/CULTURA di Francesca Casella - www.survival.it

Uomini DAGLI ZOO UMANI

ALL’ETNO-TURISMO:

Il giornalista Viviano Domenici rievoca il fenomeno dell’esibizione di esseri umani alle prime Esposizioni Universali di fine Ottocento. E avverte: «Ancora oggi permane una mentalità che vede gli altri come animali da ammaestrare, barbari da civilizzare, sudditi da conquistare» Nel 2002, dopo un’estenuante trattativa tra Francia e Sudafrica che coinvolse sia François Mitterand sia Nelson Mandela,

una cassetta bianca lasciò i depositi del Musée de l’Homme di Parigi per essere sepolta nella valle del fiume Gamtoos, nei pressi della città sudafricana di Hankey. Conteneva i resti dei genitali dissezionati di Sarah Baartman, una donna ottentotta portata in Europa nel 1810 per essere esibita al pubblico pagante come un essere esotico, in bilico tra il mondo umano e quello animale. Sarah fu prima esposta nei circhi d’Inghilterra rinchiusa in una gabbia, e poi affittata

IL PREGIUDIZIO

RAZZIALE RACCONTATO

IN UN LIBRO-DENUNCIA

da un domatore di orsi come curiosità erotica nei lascivi salotti della borghesia francese. Un pugno nello stomaco Nei cinque anni trascorsi in Europa, fu oggetto costante di attenzione morbosa da parte di scienziati e naturalisti, ossessionati dalle sue natiche prominenti (la steatopigia tipica della sua etnia) e ansiosi di svelare il mistero che da due secoli aleggiava attorno a una presunta, particolare conformazione dei ▲ La copertina di Uomini nelle gabbie di Viviano Domenici (pp. 337, euro 17,00), appena pubblicato dal Saggiatore. Ai tempi della conquista coloniale – ricorda l’autore – la disumanizzazione del selvaggio serviva a giustificare la missione civilizzatrice della cultura occidentale presso le altre popolazioni ◀ Nell'Ottocento in Europa i giardini zoologici di acclimatazione erano veri e propri zoo umani. L'attrazione principale dell'Expo di Parigi del 1889 fu un Village nègre abitato da 400 indigeni seminudi, deportati con la forza dalle colonie

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genitali delle donne boscimani. Sarah rifiutò sempre di mostrarsi completamente nuda, ma non appena morì, alcolizzata e ammalata, il naturalista Georges Cuvier «poté finalmente affondare il bisturi nel suo corpo», affidato al Musée d’Histoire Naturelle. Davanti all’Assemblea degli Anatomisti di Parigi del 1817, Cuvier si onorò di poter mostrare, «senza più ombra di dubbio», le «sorprendenti somiglianze delle negre e delle boscimani con le femmine delle scimmie», in particolare mandrilli e babbuini. I ritratti di Sarah finirono in un volume dedicato ai mammiferi con la dicitura «femmina di razza boscimane» (unica presenza umana nel testo), mentre il calco in cera del suo corpo andò al Musée de l’Homme, dove rimase esposto al pubblico fino agli anni Settanta, quando il movimento femminista costrinse la direzione a toglierlo dalle teche. La vita straziante della


nelle gabbie

▲ Questa locandina di inizio Ottocento pubblicizzava uno spettacolo della giovane sudafricana Saartjie “Sarah” Baartman, esibita nei circhi d’Inghilterra e affittata come curiosità sessuale per i salotti dei ricchi. La sua storia è approdata al cinema nel 2010 con il film Venere nera del regista Abdellatif Kechiche

Venere ottentotta, così come quella del Pigmeo Ota Benga, esposto nello zoo di New York insieme alle scimmie, è solo una delle drammatiche storie raccontate con spietato rigore documentaristico da Viviano Domenici nel libro Uomini nelle gabbie, appena pubblicato dal Saggiatore. Africa_annuncio_Layout 1 22/05/15 10:56 Una lettura appassionante e inquietante al tempo stes-

Prima eravamo un popolo libero, circondato dalla abbondanza. Oggi dipendiamo dagli aiuti del governo. È come avere una pistola puntata alla testa. Guarani Brasile

▲ Una foto del “Pigmeo” Ota Benga, esposto all’inizio del Novecento nello zoo di New York insieme alle scimmie e reclamizzato come “l’anello mancante tra i primati e gli esseri umani”. All’epoca gli africani era considerati simboli di bestialità, cannibalismo, feticismo oscurantista e stupidità irreversibile

so, che a partire dalle prime Grandi Esposizioni Universali di fine Ottocento arriva fino ai giorni nostri per denunciare una mentalità che continua ancora oggi a «vedere gli Altri come animali da ammaestrare, barbari da civilizzare, sudditi da conquistare». Il mostro è ancora vivo – scrive DoPagina menici1–, ha solo cambiato maschera.

La storia continua Il libro non lascia spazio ad alibi. Quegli stessi pregiudizi razziali, che nelle Expo, nei freak show, nei circhi e nei parchi zoologici dell’epoca esibivano il diverso in modo funzionale alla costruzione di una gerarchia delle razze che poneva i bianchi caucasici in cima alla scala evolutiva con la pretesa di legittimare il loro dominio sugli altri popoli, continuano a permeare la vita di ognuno di noi. Gli zoo umani, denuncia ad esempio l’autore, esistono ancora, e sono «uguali a quelli di una volta, anche se i visitatori li scambiano per turismo etnico». Gli esempi sono tantissimi: dalle donne giraffa della Thailandia, confinate nei loro villaggi e prigioniere dei loro anelli dorati a beneficio delle macchine fotografiche, ai Boscimani dell’Africa meridionale, sfrattati a forza dalle terre ancestrali trasformate in parchi e riserve, privati dei loro mezzi di sussistenza e dei loro stili di vita ma riciclati al

bisogno come attrazioni turistiche e guide a basso costo. Tra le decine di immagini storiche che arricchiscono il libro, due, entrambe contemporanee, meritano una menzione speciale. La prima ritrae una coppia in viaggio di nozze in una finta bidonville sudafricana, riservata a chi vuole praticare un po’ di poorism (poor + tourism), ovvero provare il brivido di vivere per qualche giorno da poveri senza dover tuttavia rinunciare al wi-fi e alla sicurezza personale. L’altra mostra una fitta cancellata, eretta attorno a una tomba. È quella in cui giacciono i miseri resti di Sarah, seppelliti subito dopo il suo ritorno in patria nel corso di una cerimonia che commosse il Paese e la consacrò come icona politica (vedi l’articolo pubblicato alle pagg. 6-9). A pochi giorni dall’evento, le autorità furono costrette a proteggerla dal vandalismo dei mitomani costruendole intorno un’alta recinzione. Di nuovo in gabbia.

Aiutare chi è in condizioni di bisogno è doveroso, ma altrettanto importante è prevenire. Dal 1969 Survival lavora senza sosta per impedire che abusi, avidità e razzismo derubino i popoli indigeni della loro autosufficienza trasformandoli in masse di diseredati dipendenti dagli aiuti umanitari. Survival: per i popoli indigeni, per tutta l’umanità.

Per ricevere informazioni o per fare una donazione: www.survival.it


SOCIETÀ testo di Alberto Salza - foto di Vlad Sokhin/Panos Pictures/Luz

“Stregoni” e fattucchiere IN MOZAMBICO LE PRATICHE MAGICHE FANNO PARTE DELLA VITA QUOTIDIANA DEI VILLAGGI

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Né il colonialismo né il socialismo reale sono riusciti a sconfiggere la stregoneria. E anche l’evangelizzazione deve fare i conti con incantesimi e malefici. Oggi lo Stato mozambicano riconosce una licenza agli stregoni. Ma solo a quelli buoni… Se vi capitasse di passare per l’altopiano di Mueda, nel Mozambico settentrionale, fate attenzione a camminare lungo i sentieri tra i villaggi di Kilimani e Chicalanga: potreste incontrare i «leoni fabbricati». «Li ho visti, di notte», mi ha raccontato un abitante. «Non erano leoni di boscaglia, qui non ce ne sono quasi più. Sono entrati nel villaggio. Frugavano dappertutto. Poi hanno preso un paio di pantaloni appesi ai fili per stendere e li hanno sbranati. Ti pare normale? Sono “leoni fabbricati”. Fabbricati da chi? «Da quelli della notte, i “senza paura”. È gente “che sa delle cose”». A Mueda la gente usa tali espressioni per indicare gli innominabili stregoni,

quelli che praticano l’uwavi (stregoneria). Difendersi dal male Per difendersi dagli spiriti malefici, i Makonde del Mozambico si affidano a una sorta di locali ghostbusters: gli anziani dei villaggi esperti in “controstregoneria”. Talvolta si può vedere uno spiritato vecchietto che, mentre ruota al centro dello spiazzo, agita un bastone gridando: «Io vi vedo! So chi siete, stregoni! Se non la piantate di farci del male, farete i conti con me!». Probabilmente tale azione difensiva non interferisce con l’attività di Rosa Paizone, “strega” che tratta i pazienti con problemi mentali facendo loro un bagno di sangue di capra. In fondo lei usa

il potere della guarigione. Né scioglie lo sguardo di Ester Mpucussa che manipola, per chissà quale scopo, i suoi feticci colmi di sostanze magiche, la cui composizione nessuno vuole conoscere veramente per non dover ricorrere alle cure di Rosa. Né importa molto a Erita Botão, posseduto fin dal 1986 dallo spirito di una donna, Isabel, ancora oggi furibonda per essere stata assassinata dal nonno dello stesso Erita, ma che gli ha dato il potere della divinazione. A guardarli, streghe e stregoni nei loro paramenti teatrali non fanno una gran paura ai nostri occhi. Ma la gente del Mozambico è convinta che si muovano davvero, sebbene con dura fatica e non pochi rischi, in un mondo immateriale da incubo. Meritano quindi rispetto. Il Mozambico, come tutta l’Africa subsahariana, ha una storia di stregoneria che non si è arrestata con lo sviluppo politico (inizialmente marxista), economico (oggi liberale) e religioso. La conversione alla religione

cattolica non comportò l’abbandono delle pratiche magiche; al contrario, si riconobbe a Gesù e ai suoi missionari il potere di un uwavi più potente di quello locale (le cose di importazione valgono sempre di più). La parola uwavi indica la stregoneria, ma sottintende anche tutti i modi praticabili di vedere e capire il mondo immateriale. Ed è su quello che si edifica la percezione del mondo, che rende possibile la vita quotidiana di un mozambicano. La magia è indispensabile e permane nella Storia. Bile di coccodrillo In tempi precoloniali, i Makonde offrivano ai visitatori una sorta di polenta in cui venivano mescolati alcaloidi vegetali. La droga li disorientava, rendendoli incapaci di muoversi nella ◀ Ester Mpucussa, 62 anni, è specializzata in rimedi contro il malocchio ▼ Rosa Paizone è una fattucchiera che tratta i pazienti con problemi mentali facendo loro un bagno di sangue di capra

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tratta di considerare prove immateriali. Poco tempo prima della guerra di liberazione dai portoghesi (1964-74), due oppositori dei colonialisti, tali Faustino Vanomba e Kibiliti Diwani, furono caricati su un camioncino e condotti in una prigione. Il governatore di Cabo Delgado non riuscì a tenere loro le mani legate. Secondo il testimone Kuvela Nandodo Aligwama: «Le corde continuavano a spezzarsi ogni volta che il governatore cercava di legar loro le mani dietro la schiena. Quando decise di sparare ai due, dalla canna della pistola uscì acqua». Stregoni di Stato I materialisti storici del Frelimo, il movimento

di liberazione mozambicano, fecero largo uso di talismani protettivi e di magie. Credevano infatti che i portoghesi fabbricassero elicotteri da combattimento e mine tramite la stregoneria (mica banali leoni, quelli sono facili!). Si affrettarono così ad arruolare numerosi stregoni locali per mettere a punto contromisure adatte: crani di bambini divorati per gli elicotteri, polveri d’osso per scovare e disinnescare le mine. Il Mozambico di oggi riconosce agli operatori rituali (parola di asettica modernità) la possibilità di esercitare la professione, purché si eviti «la stregoneria di pericolo, di rovina, di morte». Si è così costituita una rete di

“sanità rurale” affidata a un’associazione di “stregoni buoni”. I registri della Associação dos Médicos Tradicionais de Moçambique sono conservati nei cassetti delle autorità (sempre che non volino via di notte). L’idea locale di fondo è che chi sta al governo debba ne-

cessariamente essere uno stregone lui stesso: come potrebbe, altrimenti, gestire il potere? Dato che in molte parti dell’Africa si sta rivalutando l’autorità tradizionale, allora le reti del sortilegio e della magia diventano il paradossale strumento per entrare nella modernità.

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a cura della redazione

FAME DI SPOT L’editoriale dell'ultimo numero di Africa contro uno spot della ong Save the Children, incentrato sull’immagine di un bambino africano morente di fame, ha animato un vivace dibattito, con centinaia di commenti pervenuti in redazione e sulla nostra pagina Facebook. Eccone alcuni.

Più che la pancia gonfia, durante i trenta secondi di spot dovrebbero far vedere le cause della pancia gonfia... Valentina C. Se quel bambino fosse stato italiano, le voci delle associazioni per la difesa dei minori le avrebbero sentite fino in Nuova Zelanda. Giuliana Geraci

Penso che sia ora di denunciare le ong per sfruttamento di immagini senza consenso e per truffa finanziaria, in quanto i soldi raccolti non vanno a finire ai beneficiari come promesso, ma nei costi amministrativi e negli stipendi degli espatriati. Fulvio Beltrami

Sono d'accordo con il vostro articolo. Non metto in discussione l'operato della ong in questione, ma ci deve pur essere un piano di ragionamento più alto anche nella proposta dell'aiuto: un’informazione che rifiuti certe im-

magini come offensive della dignità umana. Pierino Martinelli Penso che il fine giustifichi i mezzi. Se i soldi raccolti con questo spot vanno ad aiutare i bambini che soffrono la fame, allora ben vengano le immagini scioccanti! Tiziano Rampazzi CHILI DI TROPPO Ho visto con stupore il servizio fotografico sull’annuale cerimonia che premia nella Valle dell’Omo il più obeso del popolo Bodi. Un tempo l’Etiopia era il luogosimbolo della carestia e della denutrizione; oggi è il luogo simbolo dei “chili di troppo”. S. Sacconi, Frosinone

SENZA SPERANZA? Si combatte ancora in Centrafrica, Burundi, Sud Sudan... Possibile che i popoli e i governanti africani non imparino dagli errori del passato? In Europa abbiamo creato due guerre mondiali, lo schiavismo e il colonialismo. Ma abbiamo fatto tesoro dei nostri sbagli. Raffaella Brighi, Roma RICHIESTA AI LETTORI Se desiderate ricevere un promemoria della scadenza del vostro abbonamento e restare informati sulle iniziative della rivista Africa, segnalateci i vostri indirizzi e-mail: segreteria@africarivista.it

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