AFRICA N. 4 LUGLIO-AGOSTO 2016 - ANNO 95
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MISSIONE • CULTURA
VIVERE IL CONTINENTE VERO
Madagascar
Il secondo funerale Rd Congo
Scienziati sul fiume Chiesa
Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.
Taizé in Benin
Botswana
I SIGNORI DEL KALAHARI
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Dialoghi sull’ AFRICA
MISSIONE • CULTURA
un weekend di incontri per capire, conoscere e confrontarsi Sabato 19 e Domenica
20 Novembre 2016 - Milano
Quota di partecipazione: 220 e, studenti 160 e
Marco Aime, antropologo Daniele Bellocchio, reporter Enrico Casale, africarivista.it
20 e di sconto a chi si iscrive entro il 30 settembre I primi iscritti potranno usufruire dell’ospitalità gratuita offerta dai missionari Padri Bianchi a Treviglio, o del pernottamento scontato in hotel a Milano
Andrea de Georgio, giornalista Mostafa El Ayoubi, rivista Confronti Mario Giro, viceministro degli Affari Esteri Maryan Ismail, portavoce comunità somala Antoine Kaburahe, settimanale Iwacu Stefano Liberti, giornalista Alberto Negri, Il Sole 24 Ore Padre Claudio Marano, missionario Pier Maria Mazzola, rivista Africa Raffaele Masto, buongiornoafrica.it Enzo Nucci, corrispondente Rai John-Baptist Onama, docente universitario Andrea Semplici, giornalista Antonella Sinopoli, giornalista Marco Trovato, rivista Africa Mussie Zerai, agenzia Habeshia
in collaborazione con
Programma e informazioni:
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cell. 334 244 0655
Sommario COPERTINA 42 Botswana.
La mia vita tra i Boscimani
ATTUALITÀ 8
3 Editoriale
AFRICA
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Prima Pagina
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Panorama
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Ghana. Il reporter senza volto
MISSIONE • CULTURA
Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) DIRETTORE RESPONSABILE
Pier Maria Mazzola
10
10
Kenya. «Altrimenti ci arrabbiamo»
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Il Califfato africano
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Country Club Mogadiscio
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Cacciatori in savana
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Etiopia. Lezioni di piano e di pace
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Marco Trovato Enrico Casale
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LO SCATT O Guerra e pace
DIRETTORE EDITORIALE RESPONSABILE NEWS SITO
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SOCIETÀ 28
Costa d’Avorio. La fabbrica del sorriso
32
La febbre del gioco contagia l'Africa
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Laboratorio Congo
Claudia Brambilla
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Uganda. Kampala 2.0
EDITORE
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Swaziland. Il re dell’eleganza
50
Mozambico. Jogó, dolci sorprese
53
Il fornello italiano che aiuta l’Africa
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Arriva l’espresso nigeriano
PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA
Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI
Paolo Costantini PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi BLOG
www.buongiornoafrica.it di Raffaele Masto PUBBLICITÀ
segreteria@africarivista.it FOTO
Si ringrazia Parallelozero In copertina: Robin Utrecht / Afp Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand
56 CULTURA
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Il secondo funerale
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CULTURA L’avvocato del Diavolo
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CULTURA L’aviatore nero
Jona - Paderno Dugnano, Milano
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SPORT Figlie del vento
Periodico bimestrale - Anno 95 luglio-agosto 2016, n° 4 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n. 713/48
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RELIGIONE La partita di don Roberto
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RELIGIONE Taizé, preghiere in Africa
STAMPA
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SEDE
Viale Merisio, 17 C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 Africa Rivista @africarivista www.africarivista.it info@africarivista.it UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).
INVETRINA
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Eventi
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Arte e Glamour
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Viaggi
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Libri
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Musica e Film
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Posta
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In omaggio ai nuovi abbonati di
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I SIGNORI DEL KALAHARI
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Il terrorismo jihadista in Africa raccontato dal reporter Raffaele Masto. Per capire chi sono gli uomini che vogliono imporre la sharia a sud del Sahara. E che minacciano l’Europa.
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Lettera a mia moglie (e a tutti quelli che non restano a guardare) Un giorno non troppo lontano i giovani leggeranno sui libri di storia le vicende dei nostri tempi. Proveranno indignazione nell’apprendere che nel XXI secolo gli europei – artefici di una civiltà fondata sulla difesa dei diritti inalienabili di ogni individuo – eressero muri ai loro confini e militarizzarono le loro frontiere per tentare di respingere miriadi di profughi bisognosi di aiuto. I giovani del futuro resteranno increduli e inorriditi nel comprendere che quegli esseri umani scappavano da guerre, dittature, miseria… spaventose crisi umanitarie che gli stessi europei avevano contribuito ad alimentare con la loro dissennata politica. Proveranno un moto di sdegno e di rabbia nel pensare ai misfatti della nostra epoca, come l’abbiamo provato noi quando sui banchi di scuola abbiamo appreso dei roghi di “streghe” nel Medioevo, dei milioni di persone ridotte in schiavitù durante i secoli della Tratta, dell’Olocausto nei campi di concentramento nazisti, di interi popoli sterminati in nome di Dio o di interessi più terreni. I giovani del futuro leggeranno sui libri di scuola che nel XXI secolo decine di migliaia di persone affogarono nel Mediterraneo o morirono di stenti sulle rotte delle migrazioni nel disperato tentativo di approdare in Europa. Comprenderanno che questa immane ecatombe fu la vergogna dei nostri tempi. Ci giudicheranno con severità e si chiederanno come sia stato possibile che un’intera generazione di europei avesse smarrito del tutto la propria umanità. Ma subito dopo scopriranno che no, non tutti gli europei restarono a guardare indifferenti. Verranno a sapere che alcuni – una minoranza più consistente di quanto non pensassero – non si omologarono al diffuso atteggiamento egoista e cinico, manifestarono solidarietà ai profughi, si batterono contro la politica xenofoba e nazionalista dilagante, portarono soccorso alle masse di esuli disperati, si spinsero fino ai confini del vecchio continente per accogliere i fuggiaschi. I giovani del futuro capiranno che in ogni epoca dell’umanità la gente si è schierata: da una parte o dall’altra della storia. E coloro che hanno preferito non schie-
rarsi, restando spettatori passivi o volgendo lo sguardo altrove – per ignavia, cinismo o banale disinteresse – hanno di fatto assecondato i più forti e prepotenti. I pochi che hanno avuto la forza e la lucidità di andare controcorrente lo hanno fatto senza sapere come sarebbe andata a finire. Non hanno fatto calcoli di convenienza. Si sono mobilitati perché sentivano che era giusto e doveroso farlo. Nel Medioevo ci furono degli illuminati che contrastarono la caccia alle streghe; negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso ci furono coraggiosi oppositori al regime nazifascista; durante lo schiavismo ci furono attivisti dei diritti civili che si scontrarono con i negrieri; alla vigilia di ogni guerra non mancarono irriducibili pacifisti che tentarono in ogni modo di ostacolare la dilagante aspirazione bellica. Per nessuno dev’essere stato facile sfidare il clima avverso. Vincere la tentazione di arrendersi a ciò che era ritenuto “ineluttabile”, continuare a opporsi malgrado la percezione frustrante di trovarsi di fronte a sfide troppo grandi. Taluni hanno vinto le loro battaglie, altri no. Ma quei comportamenti sono stati in ogni caso una testimonianza importante: esempi vitali di coraggio, di resistenza, di coscienza civile. Barlumi di speranza in epoche oscure. La tua scelta di partire come infermeria volontaria per i campi profughi in Grecia – una goccia di aiuto in un mare di bisogni – non cambierà le sorti della storia. Non assolverà l’Europa dalle sue terribili responsabilità; ma è un gesto importante perché ci aiuta a scuotere le nostre coscienze dal torpore. Ed è importante per tutti quei migranti che avranno la fortuna di incrociarti nel loro tormentato viaggio: ogni volta che donerai un po’ di sollievo, un sorriso, un gesto di comprensione e di accoglienza, ricorderai a quelle persone – e a quanti, un giorno non troppo lontano, leggeranno sui libri di storia le vicende dei nostri tempi – che no, non abbiamo smarrito del tutto la nostra umanità. Marco Trovato africa · numero 4 · 2016 3
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FINCHÉ C’È GUERRA… L’industria delle armi fa affari d’oro in Africa, grazie alla perenne richiesta di fucili automatici, granate, lanciarazzi e un’infinità di munizioni. A guadagnarci più di tutti: Stati Uniti e Italia È l’industria delle armi a creare le guerre? O, al contrario, sono le guerre che alimentano l’industria delle armi? Probabilmente la verità, come sempre, sta in mezzo: domanda e offerta si alimentano a vicenda e, dunque, resta valido il detto (che poi fu anche un film di successo) che Finché c’è guerra c’è speranza. Quel film, magistralmente interpretato da Alberto Sordi, era ambientato in Africa. Non a caso: ancora oggi nel continente africano ci sono tredici aree di crisi e otto guerre “a bassa intensità” nelle quali si fa uso di armi in modo diffuso.
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a cura NEWS di Raffaele Masto NEWS
acquistano armi pesanti pur non essendo in guerra, cioè ammodernano il proprio arsenale in funzione dissuasiva acquistando pezzi molto costosi come navi, aerei, carri armati. In questo tipo di mercato fanno la parte del leone la Francia, la Russia, gli Stati Uniti. Ma lo smercio a sud del Sahara è in mano a Russia, Ucraina e Cina. Vendere questo tipo di armamenti significa anche vendere assistenza e consiglieri militari che ne spieghino l’uso e la manutenzione. È il business più occulto, ma anche più lucroso. Ed è anche una spiegazione della massiccia presenza in Africa di piloti ucraini, bielorussi, russi. Secondo l’Archivio Disarmo, nel 2015 i militari in Africa inquadrati in forze regolari erano circa tre milioni. Il Paese che l’anno scorso ha speso di più in armi è stata l’Algeria, quello che ha speso meno è il “pacifico” Ghana.
GUERRE POVERE Ma nonostante la diffusione dei conflitti, l’Africa non è il continente che esprime la domanda più alta, perché, dal punto di vista della richiesta, prevalgono le guerre mediorientali di aree come l’Afghanistan, l’Iraq e la Siria, dove la domanda di armamenti è massiccia e soprattutto riguarda pezzi molto costosi, come radar, sistemi di puntamento, blindati, artiglieria, senza contare i Paesi che
STRAGI “LEGGERE” Le guerre nell’Africa subsahariana sono essenzialmente “guerre povere”, dove si fa uso quasi esclusivamente di armi leggere: fucili automatici (l’onnipresente AK47, meglio conosciuto come kalashnikov), granate, lanciarazzi, mitragliatrici leggere, jeep e infinite quantità di munizioni. Il commercio delle armi leggere (responsabili – certificano dati Onu – del maggior numero di vittime in tutto il mondo) è guidato da Stati Uniti, Italia, Germania... Il nostro Paese, oltre ad essere al secondo posto di questa non
SVEZIA Braccio alzato, pugno chiuso: Tess Asplund è il nuovo sim-
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bolo del coraggio al femminile. Sola contro 300 neonazisti a cui sta bloccando la strada. Lei, 42enne con la pelle nera, attivista dell’associazione Afrophobia Focus, li sfida con sguardo fiero. Una protesta silenziosa per dire no all’intolleranza e alla violenza xenofoba professata dagli estremisti del Movimento Nordico di Resistenza che in occasione del 1° maggio sfilavano in corteo tra le vie della cittadina svedese di Borlange. Postato su internet, lo scatto è stato condiviso da milioni di utenti.
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Undici enormi falò sono stati accesi lo scorso 30 aprile nel parco nazionale di Nairobi, per il più grande rogo di avorio della storia. Oltre 100 tonnellate di zanne e corni, confiscate ai bracconieri, sono state date alle fiamme dalle autorità keniane. Malgrado i grandi numeri, si tratta solo del 5% dell’avorio e dei corni di rinoceronte venduti illegalmente nel mondo. Secondo il Wwf ogni anno in Africa spariscono sotto i colpi di fucile oltre trentamila elefanti, mentre il commercio di corni di rinoceronte sta portando alla rapida estinzione questi animali simbolo.
africa · numero 2 · 2016
TT News Agency
Carl De Souza / Afp
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invidiabile classifica, ha raddoppiato le sue esportazioni negli ultimi quindici anni. Secondo l’Osservatorio permanente sulle armi leggere, il governo Renzi ha da poco approvato la vendita all’Egitto di oltre trentamila pistole e 3.661 fucili made in Italy. L’Italia è l’unico Paese dell’Unione europea ad avere fornito nel biennio 2014-2015 pistole, revolver, fucili e carabine alle forze agli ordini di Al Sisi... Le stesse forze accusate per l’omicidio Regeni. AFFARI OPACHI Consultando i dati Onu su questo tipo di commercio, ci si rende conto che, quelli sulle armi leggere, sono dati che arrivano con poca costanza, che in diverse occasioni mancano e che spesso sono imprecisi. Segno che questo tipo di mercato è poco trasparente. Recentemente, poi, i principali Paesi esportatori hanno autorizzato la vendita di armi leggere anche a gruppi armati non statali, cioè non ad eserciti ma a formazioni disponibili a combattere contro gruppi estremisti o del terrorismo. È il caso dei peshmerga curdi che, in Siria e Iraq, combattono i miliziani dello Stato Islamico. Inevitabilmente questa norma sarà applicata anche in Paesi o a formazioni che, indipendentemente da chi combattono, abbiano denaro per acquistare partite di armi. Il mercato insomma è destinato a diventare ancora meno trasparente e più remunerativo. E anche le vittime sono destinate ad aumentare.
Rd CONGO A Kinshasa una folla oceanica ha salutato per l’ultima volta Papa Wemba, uno dei più popolari musicisti africani, indiscusso re della rumba congolese, stroncato all’età di 67 anni da un malore durante un concerto il 24 aprile. Ai funerali – trasmessi in diretta televisiva – hanno partecipato le più alte cariche della RdCongo e un milione di cittadini che hanno voluto rendere l’estremo omaggio al celebre artista, ambasciatore della world music e della sape, il fenomeno del dandysmo congolese imperniato sul culto per l’alta moda.
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AFRICA
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FOTO FUORVIANTI Di recente ha riscosso successo una foto postata su Twitter di una gara di ciclismo in Eritrea: mostra un numero impressionante di persone accorse in strada al passaggio dei corridori. La Gazzetta dello Sport l’ha celebrata come «un’immagine-simbolo della popolarità mondiale della bici» Se fosse stata scattata altrove quella foto ci avrebbe fatto emozionare. Ma oggi l’Eritrea è una prigione a cielo aperto – guidata da un regime feroce – da cui ogni anno tentano di fuggire migliaia di giovani. La foto scattata ad Asmara ce ne ha fatto venire in mente un’altra, quella che vedete sotto: ritrae Gino Bartali acclamato dal pubblico al Giro d’Italia del 1939. C’era il fascismo, la Seconda Guerra Mondiale era alle porte, ma in quello scatto traspare entusiasmo. Le persone, si sa,
anche nel dramma cercano sollievo e conforto. Una gara sportiva può aiutare a scaricare tensioni, esorcizzare paure, dimenticare tragedie. Ma poi finisce. E si torna a fare i conti con la realtà. A ricordarcelo ci sono ben altre immagini: quelle dei giovani eritrei che sbarcano a Lampedusa o dei loro corpi senza vita ripescati nel Mediterraneo. (la redazione)
MEDITERRANEO
Un gommone stracolmo di migranti viene soccorso al largo di Lampedusa dalle scialuppe della MS Aquarius (sullo sfondo), una nave guardapesca che fino a pochi mesi fa navigava nell’Atlantico del Nord. Grazie ad una eccezionale mobilitazione della società civile europea, l’associazione SOS Méditerranée (nata in Germania e attiva in Francia e Italia) ha noleggiato l’imbarcazione – che può ospitare fino a 500 persone – e l’ha destinata al Canale di Sicilia per salvare i profughi in difficoltà. Ogni mese una media di 300 persone muoiono tentando la traversata del Mediterraneo.
africa · numero 4· 2016 Junior Kannah / Afp
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blog a cura di Raffaele Masto
Patrick Bar / SOS Mediterranee via AP
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Fatma Samba Diouf Samoura Senegalese, 52 anni, funzionaria delle Nazioni Unite, è la nuova segretaria generale della Fifa, prima donna ad assumere l’incarico al vertice dell’organizzazione calcistica internazionale.
Moïse Katumbi Il candidato dell'opposizione alle prossime elezioni presidenziali nella Rd Congo deve difendersi dall’accusa di aver arruolato dei mercenari
SOMALIA (FORSE) AL VOTO Urne aperte ad agosto. In Somalia dovrebbero eleggere il nuovo presidente e il nuovo Parlamento (con una contestata legge elettorale su base clanica). Sicuramente si voterà anche a São Tomé e Príncipe (17 luglio, presidenziali), Sudafrica (3 agosto, amministrative) e Zambia (11 agosto, presidenziali e legislative).
NIGERIA, POMODORI IN PERICOLO Allarme in Nigeria, primo produttore africano di pomodori, per una falena killer che ha già distrutto l’80 per cento delle piantagioni nello Stato di Kaduna. Per contrastare il micidiale parassita le autorità hanno autorizzato l’uso di semi Ogm, scatenando le proteste degli ambientalisti. SUDAFRICA, MINIERE A PROCESSO La Corte suprema del Sudafrica ha dato il via li-
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bera a una class action contro le imprese minerarie aurifere. L’azione potrebbe riguardare duecentomila ex minatori che hanno contratto silicosi o tubercolosi lavorando nelle miniere di proprietà di una trentina di società sudafricane e straniere. ZIMBABWE, ELEFANTI IN VENDITA Lo Zimbabwe vende i suoi elefanti perché non ha più fondi e risorse sufficienti (acqua e pascoli) per sfamarli. Il governo ha deciso di cedere a privati decine di esemplari a rischio.
Il ricavato permetterà di aiutare quattro milioni di cittadini che soffrono la fame a causa della siccità. BOTSWANA, DIAMANTE RECORD Va all’asta a fine giugno, nella sede londinese di Sotheby’s, l’enorme diamante grezzo da 1.109 carati, grande come una palla da tennis, chiamato Lesedi
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a curaNEWS di Enrico Casale NEWS
La Rona – “la nostra luce” in lingua tswana – e trovato nel novembre scorso in Botswana. È secondo solo al Cullinan (3.106 carati), scoperto in Sudafrica nel 1905. IL KENYA CACCIA I PROFUGHI Il governo di Nairobi ha annunciato di voler chiudere in tempi rapidi i cam-
pi profughi di Kakuma e Daadab, in cui vivono più di seicentomila persone, in maggioranza somali. La decisione – fortemente criticata da Ancur, Chiese cristiane e ong – è stata presa «per motivi di sicurezza» e a causa di una minaccia terroristica «pervasiva e persistente». UGANDA, L’ECONOMIA È INDIANA La popolazione asiatica – bersaglio di diffusi pregiudizi e periodici attacchi politici – è il pilastro su cui si regge l’economia ugandese. Secondo quanto rivelato dalle stesse autorità
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di Kampala, gli ugandesi di origine indiana, in gran parte commercianti e imprenditori, malgrado rappresentino meno dell’1% della popolazione, contribuiscono al 65% delle entrate fiscali. Nella foto, Ashish Thakkar, 34 anni, fondatore del Mara Group, uno degli uomini più ricchi d’Africa. EGITTO, CORSA ATOMICA Grazie a un prestito della Russia di 25 milioni di dollari, l’Egitto realizzerà la sua prima centrale nucleare a El-Dabaa, nel Nord-est del Paese. La società russa Rosatom
curerà la costruzione, la gestione del materiale radioattivo e la formazione dei lavoratori egiziani.
330 milioni Sono gli utenti africani di internet (il 30% della popolazione del continente). Di questi, 125 milioni sono anche utenti di Facebook.
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LA FRASE
Per bandire la schiavitù, il governo della Mauritania deve smetterla di dire tutti i giorni che non esiste, ma deve affrontare la realtà e condannare gli schiavisti.
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Boubacar Messaoud, Ong Sos Esclavage
LIBERIA, WEAH CI RIPROVA George Weah si presenterà nel 2017 per la presidenza della Liberia. L’ex fuoriclasse del Milan, unico calciatore africano a vincere il “Pallone d’oro”, si era già candidato nel 2005 e nel 2011, perdendo entrambe le elezioni. Nel 2014 però è stato eletto senatore sconfiggendo nel suo seggio Robert Sirleaf, figlio della presidente Ellen Johnson-Sirleaf. TENSIONE IN SAHARA OCCIDENTALE Il Fronte di liberazione del Sahara Occidentale minaccia di riprendere il conflitto con il Marocco, che dal 1975 controlla gran parte del suo territorio. Ex colonia spagnola, il Sahara Occidentale attende da anni l’organizzazione di un referendum
per sancire la propria autodeterminazione, mentre la maggior parte della popolazione saharawi vive nei campi profughi al confine con l’Algeria. MAXIFERROVIA CINESE La linea ferroviaria che
fruttato alle organizzazioni criminali 6 miliardi di dollari, secondo una stima di Europol-Interpol. Il milione di migranti entrati illegalmente nell’Unione europea ha pagato ai trafficanti tra i 3.200 e i 6.500 dollari, di media, per ogni singolo viaggio. NORD AFRICA, VOGLIA DI LAICITÀ
collega la Tanzania allo Zambia verrà estesa anche in direzione di Malawi, Rd Congo, Ruanda e Burundi. L’opera – la ferrovia più lunga d’Africa – sarà realizzata dal governo di Pechino, in cambio di concessioni minerarie.
Il 73% dei cittadini di Egitto, Libia, Tunisa, Algeria e Marocco chiede che politica e religione rimangano sfere separate e aspira alla laicità dello Stato. Lo rivela un sondaggio realizzato da Sigma Conseil e Osservatorio arabo delle religioni e delle libertà.
MIGRANTI, BUSINESS COLOSSALE Nel 2015, il traffico di migranti verso l’Europa ha africa · numero 4 · 2016 7
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ATTUALITÀ di Antonella Sinopoli
Il reporter senza volto Il ghanese Anas Aremeyaw Anas è autore di scoop che hanno svelato corruzione, violenze e malaffare in tutto il continente. Grazie ai suoi travestimenti riesce a infiltrarsi ovunque e porta alla luce verità scomode. Lo abbiamo incontrato
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«Un giornalismo che non produce risultati non è tale, non serve. Un giornalismo che non cambia la società può essere paragonato all’intrattenimento». È un concetto forte, a suo modo rivoluzionario, quello di Anas Aremeyaw Anas, senza dubbio il più noto – e il più celebrato – giornalista investigativo africano. Certamente un modo insolito di interpretare il lavoro di reporter, il suo. Fatto di mascheramenti, tele-
A TU PER TU CON IL PIÙ NOTO GIORNALISTA INVESTIGATIVO AFRICANO
camere nascoste, infiltrazioni in luoghi e ambienti spesso pericolosi. Le indagini di Anas avvengono tutte sotto travestimento e durano mesi. Nato in Ghana, ha iniziato proprio lì, la prima volta spacciandosi per hawker, venditore per strada. Mestiere umile e poco redditizio, unica speranza per migliaia di persone (non solo in Ghana) costrette molto spesso a dividere il magro guadagno con le forze dell’ordine che consentono loro di
ATTUALITÀ testo di Marco Trovato - foto di Tony Karumba / Afp
«Altrimenti ci arrabbiamo»
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KENYA, LA DETERMINATA LOTTA DEI BAMBINI DI NAIROBI A DIFESA DELLE LORO SCUOLE
Tutto è cominciato con una pacifica manifestazione per salvare il campetto di una scuola elementare dalle grinfie di speculatori edili. È finita con tafferugli e feriti. Ma era solo l’inizio della battaglia per l’accaparramento dei suoli pubblici La campanella della fine delle lezioni suonerà tra pochi giorni: le vacanze estive sono ormai alle porte. Ma gli alunni della Lavington Primary School, nell’omonimo sobborgo di Nairobi, appaiono più preoccupati che contenti. «Quando sarà ora di tornare a studiare, potremmo non ritrovare più la nostra
scuola», spiega Rosemary, 6 anni, occhi brillanti e una cascata di treccine sulla testa. L’edificio in cui studiano Rosemary e i suoi compagni si trova su un terreno dal futuro incerto. Chiarisce la direttrice Agnes Ndolo: «L’incubo è iniziato una mattina, lo scorso dicembre, quando un uomo si è presentato nel
◀ Al culmine della protesta, i giovani studenti della Road Primary School di Nairobi riescono a sfondare il muro che impediva l’accesso al terreno da loro usato per giocare a pallone durante la ricreazione. L’area era stata occupata da un imprenditore intenzionato a costruirvi un parcheggio
▼ “La terra degli arraffoni senza vergogna” c’è scritto su questo cartello brandito dagli scolari di Langata, a Nairobi: protestano contro l’impresa edile che ha eretto un muro per impedire loro di accedere a un campo da gioco. La polizia non ha esitato a lanciare lacrimogeni per disperdere il loro presidio
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ATTUALITÀ a cura della redazione
Il Califfato africano L’Africa è sotto attacco del terrorismo jihadista. Chi sono gli uomini che vogliono imporre la sharia a sud del Sahara? Chi li finanzia e perché? Ce lo spiega un noto reporter nel suo nuovo libro Esce in questi giorni in libreria Califfato nero (Laterza), l’ultimo reportage del nostro collaboratore Raffaele Masto. Il volume, in vendita in libreria a € 16,00, viene offerto in omaggio a chi attiva un abbonamento alla rivista Africa. Qui di seguito, una piccola anticipazione del volume che indaga sul terrorismo jihadista in Africa… Alla fine degli anni Ottanta, in uno dei primi viaggi della mia carriera, visitai il Lago Ciad. Vi arrivai dal Camerun e feci tappa per dormire in una missione cattolica. Da lì mi diressi verso le rive del lago, che già allora era considerato a rischio per il progressivo inaridimento: volevo rendermi conto di quanto l’allarme fosse reale e delle conseguenze per le popolazioni locali. Durante il percorso mi fermai in un villaggio di poche centinaia di pescatori. Fui accolto dalle autorità, il capovillaggio e l’imam della moschea, ai quali spiegai le motivazioni del mio viag-
gio. I due apprezzarono il mio interesse. Il religioso si spinse a dirmi che avrebbe pregato perché il mio lavoro proseguisse bene e mi invitò a visitare la piccola moschea del villaggio: era modesta ma addobbata con tappeti puliti e, a disposizione dei fedeli, c’erano diverse copie del Corano. Fui ritemprato dal silenzio e dalla frescura che regnava in quel luogo di culto e dall’accoglienza cordiale riservatami dall’imam. Bianco infedele Oggi tutto ciò non può più accadere. Quella regione
del Camerun rientra nel raggio d’azione dei jihadisti nigeriani ed è stata scenario di violenti assalti e sequestri; un bianco infedele che violasse i luoghi sacri verrebbe considerato una minaccia, un provocatore, passerebbe i suoi guai e non ne verrebbe fuori tanto facilmente. È inevitabile chiedersi quale poderosa forza – ideologica? politica? religiosa? economica? – sia riuscita a cambiare così profondamente il mondo e le relazioni tra gli uomini nell’epoca della globalizzazione. Se si riuscisse a individuarla, a comprenderne i moventi, si avrebbero probabilmente più strumenti, oltre alla guerra, per sconfiggere il terrorismo internazionale… A livello mediatico si conosce molto delle formazioni del jihadismo
che operano in Medio Oriente e nel Maghreb. Si sa molto meno, invece, di quelle attive nell’Africa subsahariana. Eppure l’elemento nuovo di questi anni è proprio il fatto che l’Africa non è più uno scenario marginale nel grande gioco degli equilibri mondiali. E i gruppi jihadisti che agiscono a sud del Sahara sono molto più vicini e minacciosi per l’Europa di quanto lo siano i talebani dell’Afghanistan o al-Qaeda e lo Stato Islamico…
▼ Miliziani jihadisti. Dal 2009 Boko Haram ha causato nel Nord della Nigeria almeno 20.000 morti e due milioni e mezzo di profughi. Negli ultimi mesi il famigerato gruppo nigeriano ha subìto pesanti sconfitte militari, ma la furia dei terroristi non si è placata
africa · numero 4 · 2016 15
ATTUALITÀ testo di Daniele Bellocchio - foto di Marco Gualazzini
Country Club Mogadiscio
Fumatori di narghilè nel nuovo Posh Treats (letteralmente, “Piaceri eleganti”). All’interno di questo locale notturno si può ascoltare musica e abbandonarsi a danze sensuali: tutto ciò che viene considerato peccaminoso dalla rigida morale dei jihadisti somali 16 africa · numero 4 · 2016
DOPO VENT’ANNI DI GUERRA E DEVASTAZIONE, APRE IL PRIMO LOCALE NOTTURNO DELLA CAPITALE SOMALA
Inaugurato da pochi mesi per volere di una coraggiosa imprenditrice, e protetto da guardie ben armate, il Posh Treats è l’unico luogo di svago in una città distrutta e annichilita dal terrore oscurantista dei jihadisti Come teschi dalle orbite vuote, i palazzi di Mogadiscio sventrati dalle esplosioni assistono alla corsa frenetica dei cittadini somali verso i propri domicili. È terminata l’ultima preghiera e un brulicare veloce di uomini e donne esce dalle moschee e attraversa le strade della capitale. Sono rapidi, furtivi, i cittadini somali, perché, assolto l’ultimo dovere quotidiano al cospetto di Allah, sanno di dover riparare nelle proprie abitazioni il più in fretta possibile. La capitale somala da oltre vent’anni è sprofondata in un vortice di violenza, ma anche la tragedia ha un suo apogeo e nella guerra somala questo è rappresentato dalla notte. Con l’oscurità, infatti, i miliziani di al-Shabaab fanno incursioni nei campi profughi e lanciano colpi di mortaio. L’orrore colpisce prepotente in ogni dove e si alimenta del buio. Concerti e narghilè Al «Km 5», uno dei quartieri centrali di Mogadiscio, però, il suono di un liuto, accompagnato da risate e battimani, sembra sfidare l’oscurantismo imposto dai jihadisti. A proteggere i canti di felicità, un muro di cinta e
degli uomini di guardia che, appostati sulle torrette, tengono sotto tiro ogni accesso alla via dove è situato il Posh Treats. È questo il nome dell’oasi di vita di Mogadiscio: il primo locale notturno della città, un country club dove la gioventù della capitale, e soprattutto i figli della “diaspora” ritornati nel loro Paese, s’incontrano, bevono tè e ascoltano musica, vincendo il terrore. Le porte del country club si spalancano e all’ingresso, a far gli onori di casa, c’è Manar Moalin, la fondatrice e titolare del locale. Il volto, illuminato da una lampada a petrolio, è circondato da un velo che evidenzia il suo sorriso eburneo e lei, seduta in veranda mentre l’incenso si diffonde ovunque, incomincia a raccontare la sua storia, legata a doppio filo a quella del suo locale: «Quando avevo sette anni sono scappata da Mogadiscio per via della guerra e ho iniziato a vivere tra Napoli, Londra e Dubai. Mia madre due anni fa è tornata in Somalia e mi ha detto che la situazione stava cambiando e che si stavano aprendo spiragli di normalità. Ho deciso quindi di tornare anch’io. A Dubai gestivo con sucafrica · numero 4 · 2016 17
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ATTUALITÀ di Enrico Casale
Cacciatori in savana Il business (legale) delle battute nelle riserve di caccia prospera in Sudafrica, Botswana, Namibia e Zimbabwe. C’è chi spende più di cinquantamila euro per portarsi a casa l’ambito trofeo. Ecco chi ci guadagna e chi ci perde
NELL’AFRICA AUSTRALE AUMENTANO
La scorsa estate, l’immagine del dentista statunitense Walter James Parker, tronfio sul leone Cecil appena abbattuto in una riserva in Zimbabwe, ha fatto il giro del mondo e ha indignato schiere di ambientalisti e amanti della natura. Quell’immagine ha rivelato un mondo, quello della caccia grossa per turisti, sconosciuto ai più ma non a chi frequenta l’Africa. Una pratica spesso illega-
I “TURISTI” IN CERCA DI PREDE ESOTICHE
le, ma che in molti Paesi del continente non solo è ammessa bensì addirittura incoraggiata dalle autorità e dalle comunità locali, perché fonte di valuta pregiata. «Cacciare un elefante non è sparare a un animale, è qualcosa di magico che chi non lo ha provato può solo immaginare… È entrare nel suo ambiente solitamente fitto e chiuso, dove i sensi si mettono all’erta,
Adri Kitshoff, presidente dell’Associazione cacciatori professionisti del Sudafrica (Phasa), chinata sul corpo esamine di un’antilope a cui ha sparato il colpo mortale, nella Iwamanzi Game Reserve
20 africa · numero 4 · 2016 Stefan Heunis / Afp
ATTUALITÀ testo di Virginia Ntozini - foto di Didier Ruef / Luz
Lezioni di piano e di pace Marc Vella, qui circondato da alcuni abitanti della Valle dell’Omo, è un artista virtuoso che ha vinto svariati premi internazionali. Si è fatto conoscere in tutto il mondo per i concerti “umanitari” che tiene in luoghi insoliti – villaggi remoti e bidonville – coniugando musica e impegno civile. www.marcvella.com
22 africa · numero 4 · 2016
IL PIANISTA NOMADE MARC VELLA SI È ESIBITO IN ETIOPIA NELLA REMOTA VALLE DELL’OMO
Un musicista francese gira il mondo con il suo pianoforte e tiene concerti nei luoghi più insoliti. Per diffondere messaggi di pace e per attirare l’attenzione su popoli minacciati. La tappa etiopica del suo tour ha suscitato non poco clamore «Cousteau, il celebre oceanografo e regista francese, partiva per esplorare le profondità dei mari. La mia carovana musicale esplora le profondità dell’umanità». In 25 anni, il musicista francese Marc Vella ha percorso, con il suo inseparabile pianoforte a coda, 200.000 chilometri in oltre 40 Paesi, per trasmettere a tutti i popoli della Terra un messaggio di pace e di unità. Dai villaggi africani alle bidonville dell’India, transitando per il deserto del Sahara o le montagne del Pakistan, i suoi concerti hanno suscitato ovunque clamore, ben oltre l’aspetto musicale. Perché l’irrefrenabile Marc Vella è un artista impegnato, promotore di una cultura della nonviolenza e della pace. La sua musica serve anzitutto a veicolare messaggi di speranza, di fratellanza, di solidarietà presso i popoli più diseredati. Viaggio tortuoso Poche settimane fa, il “pianista nomade” – come ormai viene chiamato – ha raggiunto la Valle dell’Omo, nell’Etiopia meridionale, dove ha incontrato gli abitanti locali e ha suonato in diversi villaggi. La sin-
golare impresa è stata particolarmente impegnativa perché le strade che conducono a questa remota regione confinante con il Kenya sono lunghe e sconnesse piste di terra battuta. Il pianoforte di Marc Vella è stato caricato su un pick-up e ha dovuto sopportare non pochi sobbalzi lungo il percorso costellato di buche e pietraie. A un certo punto è stato necessario guadare anche un torrente ingrossato dalle piogge. «Arrivato a destinazione, il piano era completamente scordato – ricorda divertito il musicista –. Ciò non mi ha impedito di tenere dei concerti negli sperduti accampamenti dell’Omo». Alle esibizioni che si sono susseguite nell’arco di una settimana hanno assistito centinaia di persone: uomini e donne, anziani e bambini, con lo sguardo stupito e rapito dalla musica. La maxidiga La tappa del tour mondiale di Marc Vella nel sud dell’Etiopia è stata particolarmente importante perché si è tenuta in un momento delicato per la popolazione di questa regione – suddivisa tra le etnie kaafrica · numero 4 · 2016 23
LA MAXIDIGA, COLLAUDATA A METÀ
Sono cominciati i primi test per la produzione di energia elettrica alla diga di Gilgel Gibe III sul fiume Omo, uno dei più importanti progetti infrastrutturali in Etiopia (insieme alla diga in via di realizzazione sul Nilo Azzurro, la Grand Ethiopian Renaissance Dam). Finora sono state attivate cinque turbine per una capacità complessiva di 592 MW: la metà delle potenzialità dell’impianto a causa del periodo di siccità collegato al fenomeno climatologico di El Niño. Alta 243 metri e lunga 610, la diga è costata oltre 1,8 miliardi di dollari e consentirà di raddoppiare la produzione elettrica nazionale. La realizzazione delle opere civili è opera della società italiana Salini Impregilo. (InfoAfrica)
ra, dorze, hamer, konso e mursi – che sarà interessata dalle conseguenze di una maestosa opera ingegneristica fortemente voluta dal governo etiopico: la maxidiga Gibe III (vedi box in alto). Secondo le autorità di Addis Abeba è un’opera necessaria e strategica per lo sviluppo della nazione. Le turbine installate in questo enorme sbarramento (alto ben 243 metri) permetteranno di generare 1.870 Mw di energia elettrica – l’equivalente di quanto prodotto da due centrali nucleari – necessaria per far fronte alla cronica penuria di energia che penalizza l’economia dell’Etiopia. Uffici e stabilimenti della capitale sono flagellati da frequenti black-out che rallentano e talvolta bloccano le attività produttive. Tuttavia non sono pochi coloro che considerano la costruzione della diga estremamente pericolosa: per l’ambiente e per la 24 africa · numero 4 · 2016
popolazione della Valle dell’Omo. Secondo l’organizzazione Survival International, che difende i diritti dei popoli tribali, l’opera, costruita dall’italiana Salini, metterebbe in pericolo le vite di almeno 400.000 indigeni insediati lungo il fiume Omo, in un tratto di centinaia di chilometri a valle dell’invaso, fino al bacino del Lago Turkana.
Opera pericolosa? Survival ha presentato un’istanza, citando studi di impatto ambientale ritenuti inadeguati e tardivi rispetto all’avvio dei lavori, avvenuto nel 2006, e perizie indipendenti che evidenzierebbero possibili e ingenti danni in una delle aree con maggiore biodiversità del pianeta. I Kwegu, i Bodi, i Daasanach e altre comunità sarebbero insomma minacciate dalla scomparsa di un complesso sistema agropastorizio, basato sulle piene spontanee del fiume, e dal calo della pe-
sca nel Lago Turkana, in cui – oltre il confine con il Kenya – sfocia l’Omo. Gibe III, il terzo dei cinque impianti previsti da Addis Abeba sul fiume Omo, sarà inaugurato nelle prossime settimane e diventerà, almeno fino all’apertura della Grand Ethiopian Renaissance Dam sul Nilo Azzurro, sempre appaltata a SaliniImpregilo, la più grande diga africana, contribuendo a fare dell’Etiopia uno dei primi produttori energetici del continente. Secondo Salini porterà a un «innalzamento della
SOCIETÀ testo di Valentina G. Milani - foto di Marco Garofalo
La fabbrica
VISITA ALLA REDAZIONE DI GBICH!
«Far sorridere e far riflettere»: è il duplice obiettivo di vignettisti e redattori del più irriverente giornale ivoriano. Che da quasi vent’anni fa satira sociale e affronta con ironia i vizi della gente Seduto a una vecchia scrivania sommersa da giornali, edizioni speciali, matite e fogli volanti con schizzi improvvisati, il vignettista Karlos Guédégou, cinquant’anni portati benissimo, dita lunghe e affusolate, sferra un pugno a vuoto, simulando con la voce il suono del destro Il caporedattore Illary Simplice (a sinistra) e il direttore Zohoré Lassane – sfogliano l’ultimo numero del loro giornale. Disponibile anche su web: www.gbich.com
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africa · numero 2 · 2016
che taglia l’aria: «Gbich, colpito!». Dopo essersi amabilmente ricomposto, dice sorridendo: «È questo che facciamo con il nostro giornale: tiriamo dei pugni alle persone per far prendere coscienza dei problemi della società ivoriana. In che modo? Con l’ironia!».
Amici da una vita Gbich! è infatti il titolo del settimanale umoristico più amato della Costa d’Avorio. Con sede nel quartiere popolare Koumassi di Abidjan, la redazione vede ogni giorno numerosi vignettisti, grafici e giornalisti impegnarsi per animare i simpatici pro-
IL SETTIMANALE UMORISTICO PIÙ AMATO DELLA COSTA D’AVORIO
tagonisti dei fumetti che tutte le settimane s’infilano dritto dritto nelle vite e nelle case degli ivoriani. «Abbiamo creato un personaggio per ogni vizio o problema tipico della nostra società. Ogni vignetta ha un protagonista differente: l’avido imprenditore, il poliziotto corrotto,
SOCIETÀ di Giusy Baioni
La febbre del gioco Boom di sale da gioco, casinò e lotterie. Ma la nuova frontiera è il gioco online. Nei Paesi anglofoni si scommette soprattutto sulle partite di calcio; nelle ex colonie francesi si preferisce puntare sui cavalli (che corrono a Parigi) 9 febbraio 2016. Tre morti a terra. Sono due impiegati di una sala scommesse e un cliente, linciato dagli altri avventori dopo che aveva ucciso il manager e un agente della sicurezza: l’uomo era furioso per aver perso 300 dollari e non aver ottenuto un anticipo per tentare di recu-
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perarli. Il fatto di sangue è avvenuto a Nairobi, ma avrebbe potuto verificarsi in molti altri Paesi. Negli ultimi anni sale da gioco e casinò si sono diffusi un po’ dappertutto, in Africa. E ora imperversano anche i siti per giocare online: sono sempre di più i padri di famiglia che sperpera-
DAL SENEGAL AL SUDAFRICA, LA PASSIONE PER IL GIOCO D’AZZARDO NON CONOSCE LIMITI
no i pochi guadagni digitando su uno smartphone. La ludopatia non conosce confini. A portata di mouse Secondo PricewaterhouseCoopers (PwC), la società che redige ogni anno un report sull’andamento di scommesse e casinò
in Sudafrica, Nigeria e Kenya, il settore è in piena espansione. Gli ultimi dati disponibili sono relativi al 2014: malgrado la crisi economica (o forse proprio a causa di essa), i casinò sudafricani sono cresciuti del 4,5% in un anno e i gettiti lordi nello stesso periodo sono
COPERTINA testo di Alberto Salza - foto di Eric Lafforgue
La mia vita tra i Boscimani
42 africa · numero 4 2 · 2016 2015 Robin Utrecht/Afp
UN ANNO NEL CUORE DEL KALAHARI, L’ECCEZIONALE AVVENTURA DI UN RICERCATORE ITALIANO
I San (nome corretto per indicare i Boscimani) sono i più antichi abitanti dell’Africa meridionale. Per millenni hanno vissuto cacciando animali e raccogliendo bacche e radici commestibili. Ma oggi la loro civiltà è minacciata I Boscimani fanno il mestiere più antico del mondo. Fu per quello che mi spersi nel miliardo di cespugli del Kalahari, in Botswana: volevo conoscere la vita dei cacciatori-raccoglitori, la strategia di sopravvivenza utilizzata da Homo sapiens per centocinquantamila anni.
◀ ▼ Il nome Boscimani deriva dall’inglese bushman, cioè “uomo della boscaglia”; il nome corretto per indicare questo popolo è San. Un tempo erano padroni di terre immense e ricche nell’’Africa australe. Oggi il governo del Botswana costringe questo popolo indifeso a vivere in spazi sempre più angusti. Poche comunità resistono nelle “terre ancestrali”, abitate da oltre ventimila anni
Per il primo contatto, misi il naso fuori dalla coperta: lo skyline era interrotto da tre sagome. Dissero: «Mu/uku», schioccando la lingua sui denti come nel “no” siciliano. Diedi loro il tabacco – unica parola che conoscessi – e li seguii. In fila indiana, non mi guardavano. Poi raggiungemmo un accampamento. Rimasi con quella banda di /Gwi per oltre un anno. L’area della ricerca tra gli /Gwi si è svolta nel distretto di Ghanzi a //Xade e Kac//gae, dove si trovavano anche gruppi di !Kung. I segni indicano i click, schiocchi avulsivi che caratterizzano la lingua dei San (o Boscimani, parola però lievemente dispregia-
africa · numero 4 · 2016 43
«SALVIAMOLI»
L’appello di Survival «Il governo del Botswana ha intrapreso una nuova campagna di repressione contro i Boscimani». È dura l’accusa dell’associazione Survival International, da 45 anni impegnata a tutelare i diritti dei popoli indigeni. «Le autorità stanno cercando di allontanarli dalle loro terre ancestrali intimidendoli e riducendoli alla fame. Proibiscono loro di cacciare e li costringono a richiedere un permesso per entrare nella riserva: il futuro della tribù è in grave pericolo». Nel cuore del Botswana sorge la Central Kalahari Game Reserve, istituita appositamente per proteggere il territorio tradizionale dei 5.000 Boscimani Gana, Gwi e Tsila (e la selvaggina da cui dipende la loro sopravvivenza). Agli inizi degli anni Ottanta, nella riserva furono scoperti i diamanti. E da allora per le comunità indigene sono iniziati i guai. Per approfondire il tema e aderire alla campagna a difesa dei Boscimani: www.survival.it
tiva); il punto esclamativo, per esempio, è come l’incitamento per un cavallo. Evitato lo strangolamento, alla fine riuscii a padroneggiare qualche decina di parole, ma mi fu più facile insegnare l’inglese a un ragazzino, da cui dipese la mia vita per tutto il tempo. Scienziati della natura Data la mia goffaggine (e cattivo odore, a detta dei locali), non venni dapprima coinvolto nelle attività dei cacciatori. Così accompagnai le donne nella raccolta: in un’equilibrata dieta giornaliera di 2140 kcal (94 g di proteine), il 60% era fornito dai vegetali e il resto dalla carne. Cacciatori e raccoglitrici (anche gli uomini possono trovare vegetali, ma le donne non cacciano mai) impegnano mediamente 18 ore settimanali per soddisfare tutti i bisogni della persona, alimentari e tecnologici. Il resto è 44 africa · numero 4 · 2016
tempo sociale, passato a raccontare storie o a visitare i parenti, attività a suo modo difficoltosa: i Boscimani sono circa 60.000 su una superficie più vasta della Francia, e trovare qualcuno non è così semplice. La conoscenza scientifica dell’ambiente è necessariamente elevata. Una donna, N//isa, identificò con un nome locale 206 piante su un campione di 211. Pochissime di esse erano legate all’uso quotidiano. Per quel che riguarda le funzioni vitali, N//isa disse che le piante «respirano», «crescono verso l’acqua», pur essendo in un deserto. Inoltre, conosceva termini per gli organi principali: radice, stelo, corteccia, foglia, fiore, frutto, seme. N//isa fu in grado di classificare gli animali e le piante commestibili in 14 categorie di appetibilità, secondo le quali la sua banda avrebbe organizza-
to la strategia alimentare per la stagione. Diritti negati Appena vide i miei tentativi di sopravvivere all’orrido tabacco nero che i Boscimani usano come vera e propria droga di sussistenza, N//isa mi insegnò a masticare le foglie di Hoodia gordonii: impediscono il senso di fame e sete. Oggi, questa pianta viene usata da case farmaceutiche per produrre dimagranti da banco; Roger Chennels, avvocato per i diritti umani, accusò l’industria di “biopirateria”; così i Boscimani dovrebbero percepire una royalty sull’utilizzo di questa pianta. Se solo per quello, dovrebbero anche avere diritto alla caccia, attività che li ha tenuti in vita da millenni. Non è così. Dal momento che gli /Gwi si spostano nella Central Kalahari Game Reserve, un’area protetta, gli animali sono tutelati dalla legge. A inizio 2014, il governo del Botswana ha emesso un divieto nazionale di caccia senza aver offerto ai Boscimani alcun tipo di alternativa. Dato che la Corte costituzionale aveva già emesso una sentenza a loro favore nel 2006 – e dopo aver saputo che nella riserva si aprirà una miniera di diamanti del valore di alcuni miliardi di dollari –, i Boscimani hanno inoltrato un appello al Procuratore generale l’8 agosto 2014. Molte grandi organizzazioni conservazioniste non fanno distinzione tra
i bracconieri e le popolazioni per cui la cacciaraccolta è l’unica fonte di sostentamento. Curioso: fino al 1950, in Botswana si potevano comprare licenze di caccia per tutti gli animali selvatici. Compresi i Boscimani. “Caccia persistente” Finalmente mi fu permesso di seguire (a distanza) i cacciatori, gente in grado di scovare tracce minuscole in un mare di sabbia e spine. Mi sorpresero da subito, gironzolando per un paio di giorni alla ricerca di un certo albero, annerito dal fuoco. Con i bastoni da scavo estrassero le larve di un coleottero, la Diamphidia, il cui parassita Lebistina è tossico. Schiacciando le larve dietro la punta delle frecce (per evitare incidenti mortali), si ottiene una micidiale arma velenosa. La freccia, dopo avvicinamenti a mo’ di gatto da cui ero rigorosamente escluso per via delle scarpe, veniva scoccata da un piccolo arco ricavato dal cespuglio Grewia (“buone
▶ I San sono abili cacciatori in grado di riconoscere tracce e impronte di ogni specie animale. Per catturare la selvaggina usano, in genere, arco e frecce avvelenate. Il veleno è ricavato da larve di coleotteri che portano con sé e usano solo al momento del bisogno per non diminuirne l´efficacia. Queste larve, apparentemente innocue, contengono in realtà tossine così potenti da uccidere un uomo in poche ore (per le frecce si usano dunque dosi “omeopatiche” di veleno)
SOCIETÀ testo e foto di Daniele Tamagni
Il re dell’eleganza Lo Swaziland è l’ultima monarchia assoluta d’Africa, una nazione povera e soggiogata dal suo sovrano, tra i più tradizionalisti al mondo. Ma un giovane designer si è messo in testa di fare la rivoluzione, disegnando vestiti Lo Swaziland è famoso per essere una delle ultime monarchie assolute al mondo. Tivù, giornali e siti web ne parlano ogni anno a settembre, quando il suo sovrano Mswati III si sceglie una nuova moglie tra le migliaia di giovanissime
La campagna pubblicitaria della nuova collezione “Jeremy Paul”, che punta a svecchiare il guardaroba dei cittadini (uomini e donne) del tradizionalissimo Swaziland
48 africa · numero 4 · 2016
suddite che si radunano per danzare, seminude, in suo onore. Ma il tradizionale “ballo delle vergini” non è la sola notizia che giunge da questo microscopico Paese, protettorato britannico fino al 1967, incuneato nel fianco del Sudafrica (da cui
KHULEKANI MSWELI, STILISTA DI SUCCESSO NEL PICCOLO REGNO DELLO SWAZILAND
dipende economicamente). C’è un altro cittadino dello Swaziland che è salito agli onori della cronaca. Si chiama Khulekani Msweli, ha 34 anni e di mestiere fa lo stilista. A differenza del re, lui può andar fiero dell’attenzione mediatica che è ri-
uscito a conquistare. I suoi abiti, indossati da splendide modelle, sono finiti sulle pagine dei più importanti magazine di moda. Successo meritato Cresciuto tra le piantagioni di canna da zucchero di
SOCIETÀ testo di Cécile de Comarmond / Afp - foto di Pius Utomi Ekpei / Afp
Arriva l’espresso Dal chicco di caffè alla bevanda fumante. Cafe Neo è una startup nigeriana che sfida il monopolio di Starbucks. Ai suoi giovani clienti offre espressi e dessert. Ma anche tavoli da riunione e wi-fi per lavorare
Un uomo d’affari in giacca e cravatta ordina al banco un cappuccino da asporto. Alle sue spalle, una donna in tailleur scorre con lo sguardo il menu dei dessert. Il locale è luminoso, l’arredamento moderno, l’ambiente rilassante, anche grazie alla musica softjazz in sottofondo. Rivoluzione del gusto I tavoli sono pieni di giovani alla moda seduti su comodi divani, armati di smartphone e computer portatili. Conversano amabilmente, tengono riunioni di lavoro o sessioni di brainstorming tra tazze fumanti e fragranti croissant. Questa scena passerebbe inosservata a New
York, Londra o Parigi. Ma siamo a Lagos, la più grande e imprevedibile città della Nigeria. Fino a poco tempo fa, trovare un espresso decente in questa metropoli di 18 milioni di abitanti era una missione impossibile. Ma da pochi mesi ha aperto i battenti Cafe Neo, la nuova catena di caffetterie che sta cambiando le abitudini e i gusti locali. L’idea è venuta a due brillanti imprenditori, Ngozi Dozie e suo fratello Chijioke, entrambi quarantenni, che dopo aver vissuto a lungo negli Usa sono tornati in patria con l’ambizione di importare la cultura del caffè. La loro startup ha riscosso
A LAGOS HA APERTO UNA NUOVA CATENA DI CAFFETTERIE CHE PUNTA A CONQUISTARE L’INTERA AFRICA
subito grande successo tra i cosiddetti repat, i nigeriani che hanno studiato e lavorato in Occidente. «Vivendo all’estero hanno scoperto il piacere del caffè e ora non riescono a farne a meno – spiega Ngozi Dozie –. Ma presto il gusto di questa bevanda conquisterà il palato di milioni di miei connazionali». 100% africano Già ora molti giovani hanno preso l’abitudine di darsi appuntamento ogni mattina con amici e colleghi ai tavoli di Cafe Neo. Fanno colazioni di lavoro, sorseggiano tazze di caffè americano o latte macchiato, navigano su internet grazie al wi-fi gratuito. «In
pochi mesi ci siamo già conquistati una clientela affezionata – commentano soddisfatti i due fratellimanager –. Per il momento abbiamo aperto cinque caffetterie a Lagos, prevediamo di avviarne trenta entro il 2020. Ma abbiamo un piano ancor più ambizioso: espanderci in tutta l’Africa». La prospettiva di Cafe Neo è chiara: conquistare la crescente classe media nelle principali città del continente – in pieno boom economico e demografico – bruciando sul tempo i colossi stranieri come l’americana Starbucks (che possiede ventimila punti vendita in 65 Paesi in tutto il mondo). «Non c’è tempo da perde-
CULTURA / LEADER di Massimo Zaurrini
L’avvocato
Un ritratto di Robert Mugabe, 92 anni, al potere dal 1987, è il più anziano capo di Stato al mondo. L’Occidente ha invano cercato di indebolire il padre-padrone dello Zimbabwe imponendo al Paese sanzioni economiche e l’isolamento internazionale
60 africa · numero 4 · 2016
quando si digita su Google “Mugabe”. Dopo qualche stringata informazione biografica, così è riassunta l’essenza dell’uomo: «È accusato di aver instaurato un regime dittatoriale nel suo Paese. La controversa politica da lui messa in at-
CONTROCORRENTE: IN DIFESA DI MUGABE, GRANITICO
Dittatore, despota, tiranno: sono gli aggettivi generalmente affibbiati dai media occidentali all’inossidabile padre dello Zimbabwe. Ma se avesse ragione lui? E se l’Africa avesse bisogno di gente come Mugabe? «Solo Dio può destituirmi»: con questa presunta citazione attribuita a Robert Gabriel Mugabe si apre la pagina di Wikipedia dedicata al presidente dello Zimbabwe. Quello dell’enciclopedia libera è il primo link che compare
OPINIONI
PRESIDENTE DELLO ZIMBABWE, “ACERRIMO NEMICO” DELL’OCCIDENTE
to ha portato all’esclusione dello Zimbabwe dal Commonwealth, e allo stesso tempo gli ha procurato la designazione di “persona non grata”, uno status che gli nega l’ingresso nell’Unione europea e negli Stati Uniti».
Informazione distorta “Dittatore”, “despota”, “tiranno”, “archetipo del dittatore africano” sono i termini più spesso associati al suo nome se si restringe la ricerca su Google alla lingua italiana. Eppure questo ultranovan-
del Diavolo tenne continua ad essere scelto dalla maggioranza dei propri cittadini. Se negli ultimi quindici anni egli ha rappresentato per gli occidentali “il dittatore africano” per eccellenza, per molti zimbabwani resta il padre della patria, che ha liberato il Paese dal colonialismo e le popolazioni nere dall’apartheid. In queste righe non intendo riabilitare Mugabe ma giocare, in parte, il ruolo dell’avvocato del diavolo, inserendo nella narrativa su di lui dominante in Occidente qualche elemento storico meno noto, che consenta di avere una fotografia diversa, forse più completa, delle scelte e dell’agire suo e del suo Paese. A voler essere sinceri, il punto non è neanche tanto Mugabe quanto le dinamiche che trasformano l’informazione in propaganda, con le sfumature di velato razzismo, colonialismo e senso di superiorità che spesso vi si aggiungono quando si racconta l’Africa. La razzia dei bianchi Andiamo per ordine. Robert Mugabe diventa uno dei più grandi cattivi del pianeta a cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila, quando, improvvisamente, decide di avviare una tanto contestata e controversa quanto necessaria riforma agraria. Confisca alla mi-
noranza bianca (il 3% della popolazione) le proprietà terriere, che ammontavano all’80% delle terre arabili del Paese. Gli inglesi, provenienti dal Sudafrica, erano entrati nell’odierno Matabeleland a metà del 1880 sotto gli auspici della British South Africa Police Company guidata da Cecil Rhodes, strenuo sostenitore del colonialismo, convinto assertore della supremazia della razza anglosassone nonché fondatore della De Beers. In suo onore il Paese fu ribattezzato Rhodesia. Rhodes e i suoi speravano di trovare in Zimbabwe miniere d’oro come quelle sudafricane. Quando le risorse minerarie si dimostrarono inferiori al previsto, i coloni decisero di impossessarsi delle terre più fertili mandando via i neri e promulgando leggi che vietavano agli autoctoni il possesso delle terre nelle regioni più floride. La lotta armata iniziata negli anni Sessanta, di cui Mugabe è stato il leader incontrastato, ha infine portato all’indipendenza. Tema spinoso La questione della terra è sempre stata centrale. I negoziati di pace che hanno portato alla nascita del moderno Zimbabwe, tenutisi a Lancaster House, Londra, nel 1979 sotto il nascente governo Thatcher, si tra-
scinarono per settimane, incagliati non tanto sulla Costituzione e sulle prime elezioni a suffragio universale quanto sulle modalità con cui procedere alla necessaria riforma agraria. Gli accordi vennero sottoscritti (tra le firme, quella di Mugabe) solo dopo che venne suggerito di affrontare la questione della terra separatamente. Intervenne direttamente il capo del Commonwealth, Sonny Ramphal, convincendo le parti che la terra sarebbe stata ridistribuita seguendo una logica “compratore e venditore”. La nuova Costituzione includeva una clausola addizionale che proteggeva i diritti di proprietà dei latifondisti bianchi per i primi dieci anni, dando così il tempo alla giovane democrazia di farsi le ossa prima di affrontare un tema così spinoso. Il governo di Margaret Thatcher acconsentì a fornire le risorse economiche che sarebbero poi state necessarie per acquistare la terra dai coloni bianchi e ridistribuirla ai neri. Anche Washington, su richiesta inglese, si impegnò a garantire il sostegno economico. L’accordo tradito Ma quel sostegno non arrivò mai, se non in minima parte. E quando, alla fine del secolo scorso (quindi a vent’anni dagli accordi di
▲ L’attore Peter Callender, protagonista dello spettacolo teatrale Breakfast With Mugabe. Le prossime elezioni in Zimbabwe si terranno nel 2018: se vincerà, e se la salute gli sorriderà, Mugabe completerà il nuovo mandato a 99 anni
Lancaster House), confidando nell’arrivo al potere dei laburisti di Tony Blair, Harare tornò a chieder conto dei fondi per procedere alla riforma, si vide sbattere la porta in faccia dall’allora ministra dello Sviluppo internazionale, Clare Short. Per lei, l’elezione di un governo laburista, «senza collegamento alcuno con i vecchi interessi coloniali», significava che la Gran Bretagna «non aveva più responsabilità alcuna sul coprire i costi dell’acquisto di terre». È da qui che comincia la riforma agraria di Mugabe. Ed è da qui che le fortune mediatiche (cominciando dalla stampa inglese) del presidente dello Zimbabwe cominciano a cambiare. Così, dimentichi del titolo di Cavaliere – Knight Commander dell’Ordine dell’Impero Britannico – conferitogli nel 1994 (ma revocatogli quando divenne cattivo), gli inglesi affibbiarono a Mugabe quello di Dittatore. Garibaldi d’Africa Senza entrare nel merito dei titoli o della riforma, africa · numero 4 · 2016 61
CULTURA di Enrico Casale
L’aviatore nero L’eritreo Wolde Selassie venne adottato e ribattezzato col nome di Domenico Mondelli. Fu il primo aviatore militare nero al mondo. Il fascismo gli stroncò la carriera. Un libro oggi gli rende gli onori e ci restituisce la memoria perduta È stato ufficiale dell’esercito italiano, bersagliere, fiero oppositore del fascismo ma, soprattutto, pilota d’aereo. Il primo aviatore militare nero al mondo. Ma di Domenico Mondelli in Italia non si sa nulla. Sul suo nome è caduto una
sorta di oblio che solo un libro pubblicato di recente sta diradando: Il Generale nero curato da Mauro Valeri (Odradek Edizioni, pp. 276, euro 20). Mondelli nasce ad Asmara (Eritrea) nel 1886. Il suo vero nome è Wolde
Selassie. Ha solo cinque anni quando il colonnello Emilio Mondelli lo adotta. L’ufficiale torna con il piccolo in Italia e qui lo avvia alla carriera militare. Il giovane frequenta il Collegio militare di Roma e l’Accademia di Modena, dove ottiene il grado di sottotenente. In quegli anni si affacciano i primi aerei da diporto. Lui si appassiona al volo e inizia a frequentare i corsi di pilotaggio per ottenere il brevetto. Lo consegue nel 1914, proprio alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale. E infatti viene subito spedito a sorvolare le linee nemiche in Slovenia e Friuli-Venezia Giulia (allora sotto dominio austriaco). Viene ferito in battaglia. Ma torna presto al fronte. Il suo coraggio impressiona i superiori. Tanto che viene decorato con due medaglie d’argento e due di bronzo. Alla fine del conflitto, decide di rimanere nelle forze armate. Con l’arrivo del fascismo, però, arriva-
▲ Il Generale nero (Odradek Edizioni, pp. 276, euro 20) è scritto dal sociologo Mauro Valeri, responsabile dell’Osservatorio su razzismo e antirazzismo nel calcio
no per lui tempi difficili. In procinto di essere promosso colonnello, la sua carriera viene bloccata. I fascisti non gradiscono che un ufficiale di origini africane possa comandare militari bianchi. Lui si oppone a leggi e prassi discriminatorie, ma nulla può contro il regime. Decide così di congedarsi. Terminata la Seconda guerra mondiale viene riabilitato dalla Repubblica italiana. La sua carriera riprende: generale di brigata (1959), divisione (1963), corpo d’armata (1970). Poi l’oblio. Indro Montanelli disse di Amedeo Guillet, un altro ufficiale le cui gesta eroiche sono state dimenticate in Italia: «Fosse nato in Gran Bretagna sarebbe diventato un nuovo Lawrence d’Arabia». Forse anche Domenico Mondelli. africa · numero 4 · 2016 63
RELIGIONE testo e foto di Bruno Zanzottera / Parallelozero
La partita Nella Piana di Gioia Tauro gli immigrati sono sfruttati nei campi di agrumi, perseguitati dalla ’ndrangheta, costretti a vivere in condizioni disumane. In loro soccorso è sceso in campo un giovane sacerdote Camicia e pantaloni neri, barba corta e sandalo francescano, don Roberto Meduri, 38 anni, è il parroco di Sant’Antonio di Padova a Bosco. Qui, alle porte di Rosarno (Reggio Calabria), si trova la tendopoli che ospita, si fa per dire, migliaia di immigrati, quasi tutti africani, che
lavorano principalmente alla raccolta degli agrumi nella Piana di Gioia Tauro. Dopo il tramonto, in compagnia di alcuni volontari, don Roberto si reca nei capannoni abbandonati che fungono da riparo ai braccianti per consegnare materassi a chi dorme
sul nudo cemento. «Ci andiamo di notte in modo da controllare chi ne ha davvero bisogno», dice il sacerdote al termine della sua ultima incursione notturna, armato di torcia elettrica. È lui la figura di riferimento degli immigrati della zona. Un ruolo nient’affatto facile.
A ROSARNO UN PARROCO HA CREATO UNA SQUADRA DI CALCIO DI BRACCIANTI AFRICANI
Alta tensione Con drammatica periodicità il comune di Rosarno sale all’onore delle cronache nazionali per episodi di razzismo e di violenza. Migliaia di braccianti – va ricordato – sono sfruttati come animali negli agrumeti, dove raccolgono arance e mandarini a 25
Roberto Meduri, 38 anni, nel campo di allenamento della sua squadra: a San Ferdinando, un piccolo Comune nei pressi di Rosarno, commissariato per mafia
66 africa · numero 4 · 2016
di don Roberto euro per 12 ore di lavoro continuato, a esclusivo vantaggio di mafiosi, “caporali”, faccendieri e proprietari terrieri. Nel 2010 fece clamore la rivolta dei migranti, con centinaia di auto distrutte, cassonetti svuotati sull’asfalto, scene di guerriglia urbana… Da allora la comunità africana vive ancor più relegata, in una situazione di tensione permanente. Don Roberto è stato il primo a recarsi nella baraccopoli, per distribuire cibo e vestiti. «Ben presto
mi resi conto che non era sufficiente – spiega –. Al di là dei bisogni primari, dovevo trovare il modo di restituire dignità a quelle persone ridotte alla semischiavitù e costrette a vivere in luoghi disumani… Serviva qualcosa che potesse anche farli svagare e al tempo stesso integrare con gli abitanti». Don Roberto ha pensato al calcio. Tre anni fa ha fondato il Koa Bosco (acronimo di Knights of the Altar, Cavalieri dell’Altare, della parrocchia di Bosco). Una squadra tutta di braccian-
ti. Vengono da Senegal, Gambia, Mali e altri Paesi dell’Africa occidentale. Don Roberto è manager e allenatore: «Grazie alla generosità di amici italiani riesco a pagare divise, palloni, iscrizioni e trasferte». Gli allenamenti si svolgono di sera, al termine del lavoro. «Lo scorso anno abbiamo vinto il campionato guadagnandoci la promozione in seconda categoria», racconta orgoglioso don Roberto, che accompagna la squadra a giocare dopo la messa della domenica. L’accoglienza dei ti-
fosi avversari non è sempre delle migliori. Alcuni lanciano cori e insulti razzisti, ma i “Cavalieri” hanno imparato a non rispondere alle offese: si prendono la rivincita sul campo, a suon di goal. ▼ I calciatori-braccianti vivono tutti in tende o container. Lo scorso gennaio si sono verificate delle aggressioni ai ragazzi che tornavano dal lavoro ▼ Ogni anno giungono a Rosarno migliaia di immigrati, nella stagione della raccolta degli agrumi, per lavorare nei campi
africa · numero 4 · 2016 67
RELIGIONE testo di Pier Maria Mazzola - foto di Frédéric Noy/ Cosmos / Luz
Taizé, preghiere in Africa
68 africa africa ·· numero numero 2 4 ·· 2015 2016 68
IL BENIN SI PREPARA A OSPITARE IL GRANDE PELLEGRINAGGIO
A fine agosto migliaia di giovani cristiani soprattutto dell'Africa occidentale si ritroveranno a Cotonou per pregare e nutrirsi dello spirito ecumenico e dei valori di fratellanza testimoniati dai monaci di Taizé
ORGANIZZATO DALLA COMUNITÀ DI TAIZÉ
«Ah, Taizé, quella piccola primavera!». Con queste parole Giovanni XXIII, papa da pochi giorni, accolse frère Roger in udienza privata. Era stato proprio lui, nunzio apostolico a Parigi, a concedere a un’inedita comunità religiosa protestante l’utilizzo della chiesa cattolica di un borgo di poche anime nella Borgogna. Taizé. Poteva, quella brezza di spiritualità ecumenica e giovane, non arrivare a soffiare anche in Africa, per il cui caso si ama parlare, più che per ogni altro continente, di “giovane Chiesa”? I primi contatti di Taizé (ormai il toponimo sta per la Comunità) con l’Africa risalgono al 1953, quando due frères si uniscono ai Piccoli fratelli di Gesù presso il noviziato di ElAbiodh, in Algeria, da dove migreranno assieme, a piedi, fino a Beni Abbès. Quando, tre anni dopo, frère Roger andrà a incon-
◀ Il priore di Taizé, frère Alois (primo a sinistra), e altri monaci guidano la preghiera sotto un tendone a Kigali. Le immagini di questo servizio si riferiscono all’ultimo “Pellegrinaggio di fiducia sulla Terra” in terra d’Africa, tenutosi in Ruanda nel 2012
trarli ad Algeri, sfuggirà di misura a un attentato: era ormai nell’aria la “battaglia di Algeri” (quella immortalata nel film di Gillo Pontecorvo). L’attenzione al mondo islamico si estende presto a quella per l’Africa subsahariana: nel 1959 due fratelli iniziano a vivere ad Abidjan. E poi altri in Niger, Ruanda, Kenya, Senegal… mentre frère Roger farà nel continente dei soggiorni significativi, come quello del 1984 a Nouakchott, da dove invierà uno dei suoi celebri messaggi ai giovani, la Lettera dal deserto. Un passo… un altro passo Ma che ci stanno a fare questi sparuti gruppi di religiosi nelle periferie africane? «Noi non siamo missionari nel senso abituale del termine», dice ad Africa il responsabile della fraternità di Nairobi (quattro monaci stabili), frère Luc, francese. «Non costruiamo niente, non abbiamo competenze da offrire, non siamo una ong. Siamo una presenza fraterna tenue, ma che può suscitare degli interrogativi». Non occuparsi di opere e di progetti, per privileafrica · numero 4 · 2016 69
SOSTIENI I MISSIONARI D’AFRICA SCEGLI QUALE PROGETTO ADOTTARE 1 MOZAMBICO assistenza agli orfani (P. Claudio Zuccala) 2 MALI
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NUOVI ITALIANI Africa sottoscrive l’appello per la nuova legge sullo ius soli della Fesmi (Federazione stampa missionaria) e invita i suoi lettori ad aderirvi. In sintonia con la Campagna “L’Italia sono anch’io”, sostenuta da numerose organizzazioni della società civile, chiediamo al Parlamento italiano di portare a termine senza ulteriori dilazioni l’iter di riforma della legge che estende il diritto di cittadinanza agli stranieri nati nel territorio italiano. La vigente legislazione, fondata su legami di sangue, garantisce il diritto di cittadinanza a nipoti di un nonno o nonna italiani, anche senza mai aver messo piede in Italia. A maggior ragione riteniamo giusto e doveroso che lo stesso diritto venga riconosciuto agli immigrati di seconda generazione, nati e cresciuti nel nostro Paese, che oggi sono costretti ad attendere fino all’età di 18 anni prima di poter ottenere la cittadinanza. A tale obiettivo mira la riforma della legge 91 del 1992 che assicura ai figli di immigrati nati in terri-
torio italiano (ius soli) o a seguito di un percorso scolastico (ius culturæ), il diritto a diventare cittadini. L’approvazione della nuova legge – ne siamo certi – darà un segnale importante a oltre 1 milione di giovani di origine straniera che vivono in uno stato di precarietà esistenziale, che si sentono italiani di fatto, ma non lo sono per la legge. Grazie a questa normativa più della metà di costoro, con un genitore in possesso di un permesso di lungo soggiorno, potrebbero già beneficiare della riforma. L’accesso alla cittadinanza è l’unica via in grado di consentire ai figli di immigrati di essere considerati alla pari, nei diritti e nei doveri, rispetto ai loro coetanei, figli di italiani. Per aderire scrivete a: segreteria.fesmi@gmail.com
VERGOGNATEVI! Scrivo per comunicare la volontà di non ricevere più la rivista. La deriva “omosessualista” e “politically correct” della nuova redazione è di una tale sfacciataggine da doversene augurare il fallimento. Evidentemente i due direttori Pier Maria Mazzola e Marco Trovato hanno perso il senso della misura e del discernimento. Svergognato è l’utilizzo delle pagine di Africa per usi neocoloniali volti ad esportare idee farlocche come presunti diritti come l’equiparazione dell’omosessualità all’eterosessualità, matrimonio omosessuale e stramberie del genere, ideate e propagate da ben noti centri di potere anticristiani. Andrea Sari, Landsberg am Lech (Germania)
NON CAMBIATE! Ho ricevuto ieri il nuovo numero di Africa e vorrei esprimere i miei complimenti sia per l’editoriale che per gli articoli collegati. Non dovete scusarvi di nulla, i ritardi e i silenzi assordanti sono di altri: di chi continua a credere l’omosessualità una malattia, di una parte del clero che si gira dall’altra parte e di una politica assente che assevera le posizioni intransigenti di chi ama discriminare e dividere in categorie gli esseri umani. Africa è una rivista moderna che entra nei problemi in modo sempre preciso e informato, e non devia in facili prese di posizioni; mille riviste e giornali si sono espresse su questo argomento, ma quante in modo così adulto e responsabile? Africa insegna che un giornalismo sano e coerente con le proprie idee fondanti non ha ritardi, ha solo preso il tempo necessario per informare e per educare con stile. Non cambiate! Fausto Oggionni, Treviglio BG
RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 30 € · formato digitale (pdf) 20 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 40 Chf · rivista cartacea (Estero) 45 € · rivista Cartacea+digitale (Italia): 40 € · rivista Cartacea+digitale (Svizzera): 50 Chf · rivista Cartacea+digitale (Estero) 55 €
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