AFRICA N. 5 SETTEMBRE-OTTOBRE 2016 - ANNO 95
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MISSIONE • CULTURA
VIVERE IL CONTINENTE VERO
Gabon
Guerra ai bracconieri Nigeria
Slum liquido Etiopia
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Sommario COPERTINA 36
3
Voglia di cioccolato
di Valentina G. Milani e Marco Garofalo
EDITORIALE Goodbye Barack
di Marco Trovato
ATTUALITÀ
AFRICA FRICA
4
PRIMA PAGINA
6
PANORAMA
8
Addio a Dadaab
MISSIONE • CULTURA
di Raffaele Masto
di Enrico Casale di D. Bellocchio e M. Gualazzini
13
Sahara Occidentale. Sabbie mobili
14
Gabon. I custodi del paradiso
19
Kenya. Nairobi brucia
20
Il fumo fa bene allo Zimbabwe
Pier Maria Mazzola
24
DIRETTORE EDITORIALE
26
Grandi opere di Michele Vollaro LO SCATT O In guardia di Marco Trovato
Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) DIRETTORE RESPONSABILE
Marco Trovato
di Enrico Casale
di Michelle Tinubu
di Enrico Casale di Virginia Ntozini
RESPONSABILE NEWS SITO
Enrico Casale
SOCIETÀ
PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA
Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI
Paolo Costantini PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
Claudia Brambilla EDITORE
Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi
28
Makoko, lo slum liquido di Alberto Salza
34
Brividi a Soweto
42
Addis Abeba Social Club di Adriano Marzi
48
Che fatica studiare
di Steven Hogan
di Matthew Taylor
50
Nigeria. Una forza sovrumana di Doroty Madueke
www.buongiornoafrica.it di Raffaele Masto
52
CULTURA La magia del Teatro Avenida di Raffaele Masto
PUBBLICITÀ
56
CULTURA Africa addio di Simona Cella
58
CULTURA Maledetto cronometro di Pier Maria Mazzola
60
VIAGGI Mondo sommerso di Silvana Oliva e Bruno Zanzottera
BLOG
segreteria@africarivista.it FOTO
Si ringrazia Parallelozero In copertina: Serezniy/123rf Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand
64
SPORT Il calcio rosa vede nero
Jona - Paderno Dugnano, Milano
68
RELIGIONE Pellegrini di Allah in Etiopia
Periodico bimestrale - Anno 95 settembre-ottobre 2016, n° 5 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48
76
RELIGIONE Senegal, il prete che cita il Corano di Davide Maggiore
STAMPA
di Marco Trovato di Boris Joseph
SEDE
Viale Merisio, 17 C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 Africa Rivista @africarivista www.africarivista.it info@africarivista.it UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).
INVETRINA 78
Eventi di Valentina G. Milani
79
Arte e Glamour di Stefania Ragusa
80
Viaggi a cura della redazione
81
Web di Giusy Baioni
82
Libri di Pier Maria Mazzola
83
Musica di Claudio Agostoni
83
Film
84
Posta
di Simona Cella africa · numero 5 · 2016 1
In omaggio ai nuovi abbonati di
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Costa d’Avorio
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Editrice Laterza, 2016 192 pagine
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Il terrorismo jihadista in Africa raccontato dal reporter Raffaele Masto. Per capire chi sono gli uomini che vogliono imporre la sharia a sud del Sahara. E che minacciano l’Europa.
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Goodbye Barack L’era di Barack Obama volge al termine. Il primo presidente nero della storia degli Stati Uniti lascerà la Casa Bianca dopo le elezioni dell’8 novembre. Benché siano passati otto anni, mi ricordo nitidamente il momento in cui mi arrivò l’annuncio della sua prima clamorosa vittoria alle urne. Mi trovavo a Nairobi, capitale del Kenya: il Paese natale del defunto padre di Obama. Quando il risultato fu certo, migliaia di cittadini si riversarono sulle strade per festeggiare. I giovani dello slum di Kibera improvvisarono concerti festosi e danze scatenate in un tripudio di bandiere americane disegnate a mano su cartoni e pezzi di stoffa. Era un entusiasmo genuino, contagioso, commovente… irrazionale. Obama non era un keniano, non era neppure un africano. Eppure il colore della sua pelle e le radici della sua famiglia lo rendevano un “fratello”: il fratello che avrebbe cambiato la storia. «Finalmente potremo ottenere i visti d’ingresso per andare negli States», mi urlò una ragazza in lacrime con il volto colorato a stelle e strisce. «Non si dimenticherà di noi», profetizzò l’anziana nonna paterna, frastornata dalle telecamere delle tivù che assediavano il suo piccolo villaggio. Agli occhi di tanti africani e afroamericani Obama era visto come una sorta di messia che avrebbe riscattato i diritti dei neri. È stato all’altezza delle attese? Qual è oggi il bilancio della sua azione politica? A sinistra gli rimproverano di non essere stato sufficientemente coraggioso e riformista, a destra gli
rinfacciano di avere rinunciato al ruolo di sceriffo del mondo dissipando l’egemonia degli Stati Uniti. Stiamo ai fatti: l’amministrazione Obama (osteggiata da potenti lobby e da una parte consistente del Senato) ha realizzato la riforma della sanità che ha esteso la tutela della salute a milioni di poveri. Non solo. Ha portato avanti una impopolare battaglia contro le armi, ha rilanciato l’economia Usa (+10% del Pil rispetto al 2008), ha siglato l’accordo sul clima di Parigi, ha rotto l’isolamento con Cuba e l’Iran. Eppure il mondo che lascia Obama non è molto migliore di quello che aveva ereditato: il terrore di al-Qaeda si è frammentato e moltiplicato così come le aree di crisi, interi popoli sono vittime di guerre e tiranni, le speranze delle primavere arabe sono state soffocate nel sangue, i nazionalismi stanno tornando prepotentemente di moda, l’Europa rischia di andare a pezzi, la questione palestinese resta irrisolta, la globalizzazione non ha garantito più diritti per tutti, il divario tra ricchi e poveri si è acuito. E la questione razziale rimane una ferita aperta, non solo negli Usa ma anche in Europa, dove il germe del razzismo è ben presente, come confermano i tanti episodi di ostilità di cui sono vittime i migranti. Naturalmente il capo della superpotenza americana ha grandi responsabilità su ciò che avviene nel mondo. Ma non gli si può addossare la colpa dell’imbecillità umana. Marco Trovato
RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 35 € · formato digitale (pdf) 25 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 45 Chf · rivista cartacea (Estero) 50 € · rivista cartacea+digitale (Italia): 45 € · rivista cartacea+digitale (Svizzera): 55 Chf · rivista cartacea+digitale (Estero) 60 €
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un fatturato di 2,2 miliardi di dollari, è diventato il terzo produttore in Africa, dopo Sudafrica e Ghana. Luaty Beirão Rapper e “attivista civico” angolano, dopo essere stato condannato per complotto contro il regime di Luanda, è stato rilasciato grazie alla pressione internazionale.
Joseph Kabila Presidente della Repubblica democratica del Congo, al potere dal 2001, sta cercando di prolungare il suo mandato, in scadenza a novembre, per mantenere il controllo sulle enormi ricchezze minerarie del Paese.
NIGERIA FEDE RUMOROSA A Lagos i pastori delle Chiese cristiane, autoproclamati profeti e salvatori, si contendono i discepoli a suon di decibel sfruttando impianti di amplificazione degni dei concerti rock. Le funzioni religiose durano diverse ore, talvolta intere notti, e sono scandite da invocazioni, urla, canti e balli scatenati. Il risultato è un caos impressionante che rende la vita impossibile a chiunque si trovi nei paraggi dei luoghi di
6 africa · numero 5 · 2016
culto. A luglio le autorità nigeriane hanno chiuso 70 chiese (e 20 moschee) per ridurre il forte chiasso e hanno promesso di liberare la città dagli schiamazzi religiosi entro il 2020. Ma per una chiesa che viene soppressa, altre quattro nascono ogni giorno. MALI D’ORO Boom nella produzione aurifera in Mali: nel primo semestre 2016, il governo di Bamako ha esportato 40 tonnellate di oro: +25% in un anno. Il Mali, con i suoi 350 siti minerari che occupano più di un milione di persone e producono
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a curaNEWS di Enrico Casale NEWS COSTA D'AVORIO MOTORI AD ABIDJAN
KENYA ALLARME DROGA
In Kenya la droga sta divenendo una piaga sociale: uno studente su tre fa utilizzo di sostanze stupefacenti. Nairobi è il principale hub del traffico di eroina che da Afghanistan e Pakistan si dirige verso l’Europa. I carichi arrivano via mare ai porti di Mombasa e Lamu.
Abidjan ospiterà a fine ottobre un motorshow internazionale, che vuole essere il simbolo del rilancio di un settore duramente colpito dalla guerra civile terminata cinque anni fa. Con diecimila vetture vendute nel 2015, la Costa d’Avorio è leader del mercato nell’Africa francofona davanti al Senegal (settemila). TUNISIA ARRIVA LA NATO
EGITTO COPTI NEL MIRINO
In Egitto, nei primi sei mesi del 2016, i copti hanno subito in media un attacco violento ogni dieci giorni da parte di fondamentalisti islamici. La Chiesa copta ha chiesto alle forze dell’ordine maggiore protezione. Ma finora, lamenta il clero, la polizia è intervenuta blandamente. Un anno fa i jihadisti dell’Isis avevano decapitato 21 cristiani copti egiziani catturati a Sirte, in Libia.
La Nato aprirà un centro di intelligence anti-jihadisti in Tunisia e sosterrà le forze di sicurezza locali impegnate a fronteggiare la minaccia fondamentalista proveniente da Libia e Sahel. ZIMBABWE MUGABE IN CRISI Il presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, 92 anni, al potere dal 1980, subisce da settimane una violenta ondata di scioperi, manifestazioni
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e contestazioni sui social network. Migliaia di cittadini ne chiedono le dimissioni. La ripresa del settore del tabacco (vedi alle pag. 20-23) non ha risolto i problemi della disoccupazione e della povertà imputati al “dittatore” Mugabe.
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SUD SUDAN FUORI DI TESTA Sono solo due gli psichiatri a far fronte alla crescita delle malattie mentali in Sud Sudan (11 milioni
2.920 I migranti morti accertati nel Mediterraneo nei primi sei mesi del 2016 nel tentativo di raggiungere l’Europa (mille in più rispetto al 2015)
LA FRASE
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Il popolo è affamato? Ci sono tanti topi e cavallette da mangiare
Peter Mutharika, Presidente del Malawi, a proposito dell’emergenza umanitaria causata dalla grave siccità.
CAPO VERDE ALLE URNE
Il 2 ottobre si terranno le elezioni presidenziali a Capo Verde, l’arcipelago lusofono al largo del Senegal, considerato da molti osservatori un modello di democrazia e sviluppo. Il capo di Stato uscente Jorge Carlos Fonseca (nella foto), leader del Movimento per la democrazia, il partito di destra al potere, cerca la riconferma per il secondo mandato, dopo il successo ottenuto nel 2011.
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ANGOLA SULLA BUONA STRADA Il governo di Luanda ha stanziato 1,1 miliardi di dollari per ristrutturare centinaia di chilometri di di abitanti). A denunciarlo è Amnesty International che, in un recente rapporto, ha denunciato il forte aumento del disagio mentale come conseguenza delle violenze e dello stress emotivo legato alla guerra. MAURITIUS ISOLE CONTESE
Chi la fa, l’aspetti. All’indomani della Brexit, Londra rischia di perdere un pezzo del suo territorio. Le Mauritius vogliono citare la Gran Bretagna davanti alla Corte internazionale di giustizia per vedersi restituite le isole Chagos. Secondo i mauriziani, prima dell’indipendenza (1960) i britannici ne hanno cacciato gli abitanti e le hanno annesse a forza. Dell’arcipelago fa parte l’atollo Diego Garcia, affittato agli Usa che l’hanno trasformata in base militare.
strade nazionali. Il crollo del prezzo del petrolio ha spinto l’Angola ad accelerare la riforma dell’economia e a rinnovare le infrastrutture attraverso investimenti pubblici finalizzati allo sviluppo di nuove attività imprenditoriali. SENEGAL, TEST ANTIMALARIA In Senegal, dopo anni di lavoro, il dottor Daouda Ndiaye, specialista in malaria, ha messo a punto il test che permette di riconoscere il plasmodio, parassita causa della malattia, in meno di un’ora, anche nei casi più difficili.
Il test, brevettato a gennaio, è in vendita a partire da luglio in Europa. NIGERIA POKEMON-MANIA
Anche a Lagos, caotica metropoli nigeriana, dilaga Pokémon GO. Un milione di cittadini ha già scaricato la popolare app. per cacciare i mostriciattoli in strada. Gli effetti? Boom di incidenti, scippi e furti di cellulari. INGIUSTIZIE RICCHI E POVERI L’ultimo rapporto di Oxfam fotografa un mondo con sempre più disparità sociali. Il patrimonio accumulato dall’1% dei più ricchi ha superato quello del restante 99% degli abitanti della Terra: 62 miliardari possiedono quanto la metà più povera della popolazione.
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ATTUALITÀ testo di Daniele Bellocchio - foto di Marco Gualazzini
Addio a Dadaab
Donna somala svenuta per la calca durante la distribuzione dell’acqua a Dadaab. Il governo del Kenya vuole chiudere il campo «per problemi di sicurezza»: sostiene che in questa tendopoli sono stati pianificati gli attacchi jihadisti di cui è stato vittima il Paese
8 africa · numero 5 · 2016
MIGLIAIA DI PROFUGHI SOMALI LASCIANO LA PIÙ GRANDE
Per venticinque anni il campo di Dadaab in Kenya ha ospitato circa un milione di disperati, in gran parte fuggiti dalla guerra in Somalia. Ma ora per gli esuli è giunto il momento del ritorno in patria
TENDOPOLI AL MONDO. E TORNANO A CASA
È l’alba e il sole dell’Equatore sorge incendiando la terra rossa di Dadaab. La vita nella più grande tendopoli del mondo, in Kenya, al confine con la Somalia, è frenetica già da ore. Centinaia di persone hanno lasciato le proprie capanne quando ancora brillava la Croce del Sud. Sono somali, arrivati a Dadaab in momenti diversi, ma sempre in balia della violenza del Corno d’Africa. C’è chi ha trascorso mesi e chi decenni nel campo profughi: ormai sono pronti, però, ad accomiatarsi per sempre da questo luogo d’infinita attesa. Il governo del Kenya ha annunciato che entro novembre il più grande campo profughi del mondo chiuderà per sempre. Ordine di chiusura Nato nel 1991 per accogliere la gente in fuga dal conflitto in Somalia, Dadaab è diventato troppo ingombrante e pericoloso per le autorità di Nairobi, che lo considerano una fucina di terroristi e laboratorio del jihad di al-Shabaab. L’ordine di smantellare le tende è stato perentorio. Le donne in partenza, con i volti scavati dalle rughe e i denti eburnei che si contraggo-
no per lo sforzo, stringono con le mani color ebano pentole, bicchieri, bottiglie, sapone e lampade solari. Gli uomini camminano in fila indiana trasportando sacchi e borse. I bambini trascinano anche loro qualche piccola sacca e gli anziani, appoggiati a un bastone, camminano con una lentezza balsamica, che ad ogni passo sembra raccontare, istante per istante, il peso di una vita da esuli e il disperato desiderio di riabbracciare per un ultimo saluto la propria terra. In migliaia si accingono ad attraversare il confine e a tornare là da dove sono fuggite: tra jihadisti e autobombe, incubi ad occhi aperti e sogni racchiusi nell’intimo, lontano dal Kenya e di nuovo in Somalia. Fino a poche settimane fa, Dadaab ospitava oltre 350.000 persone. Il controesodo, iniziato prima dell’estate, sta svuotando questo enorme accampamento di disperati: una vera e propria città, la terza del Kenya dopo Nairobi e Mombasa. Via dalla prigione Mentre Nairobi organizza la chiusura della tendopoli e il trasferimento della popolazione sfollata, già africa · numero 5 · 2016 9
ATTUALITÀ di Enrico Casale
Sabbie mobili Il territorio del Sahara Occidentale è conteso da oltre quarant’anni tra Marocco e popolo saharawi. Il fallimento della diplomazia rischia di riaccendere la violenza e rafforzare i movimenti jihadisti Il dossier del Sahara occidentale sembrava insabbiato. Tutto appariva immobile nell’ex colonia spagnola occupata nel 1975 dal Marocco e rivendicata dal popolo saharawi. Ci ha pensato il Segretario generale delle Nazioni Unite a smuovere le acque o, meglio, le sabbie: in una visita ai campi profughi saharawi, la scorsa primavera, Ban Ki-moon ha definito quella del Marocco, «un’occupazione». La reazione di Rabat – che considera quel territorio il suo “Sud naturale” – è stata rabbiosa e ha fatto temere la cancellazione della missione Onu che finora ha scongiurato una nuova escalation militare. La guerra tra il Fronte Polisario (il movimento di liberazione saharawi) e l’esercito di Rabat era terminata nel 1991 con un accordo di pace che, in breve tempo avrebbe dovuto portare allo svolgimento di un referendum per sancire l’indipendenza o l’annes-
sione al Marocco di questo lembo di terra d’Africa. Stallo diplomatico Ma il referendum sull’autodeterminazione del Sahara Occidentale si è incagliato. Chi deve votare? Solo i saharawi? Anche i marocchini occupanti? Dalla scelta dell’elettorato dipende l’esito della consultazione. Si è così creata una situazione di stallo nella quale i marocchini continuano a controllare il territorio (ricco di fosfati, gas e petrolio, affacciato su un mare tra i più pescosi). Nei campi profughi in Algeria, 130 mila rifugia-
ti saharawi sono sempre più esasperati. A luglio Brahim Ghali, nuovo segretario del Polisario, non ha escluso un ritorno alla lotta armata. «La nostra pazienza non è infinita – ha tuonato nel suo discorso di insediamento – potremmo essere costretti a riabbracciare le armi per riconquistare la nostra terra». Solo propaganda? Un modo per placare gli animi più irrequieti? Il fallimento della diplomazia rischia di spingere tanti giovani saharawi verso i movimenti fondamentalisti presenti nella regione, che da tempo cercano di cavalcare il malcontento: se i jihadisti riuscissero a far breccia nelle tendopoli saharawi, il Sahara occidentale diventerebbe l’ennesima area di crisi, un distesa di sabbie mobili in cui rischia di sprofondare la comunità internazionale. La prospettiva spaventa anche il Marocco: non a caso Rabat ha comunicato
Isole Canarie
MAROCCO El Ayoun
SAHARA O C C I D E N TA L E Dakhla
Tindouf
Frontiera fino al 1975
OCEANO AT L A N T I C O
Muro
Campi profughi Saharawi
M A U R I TA N I A
Zona controllata dal Fronte Polisario
la sua volontà di rientrare nell’Unione Africana (se n’era andato oltre 30 anni fa, in polemica con il riconoscimento dell’indipendenza del Sahara Occidentale). Solo la (buona) politica può arginare la minaccia jihadista.
▲ La mappa del Sahara Occidentale: un muro lungo 2700 chilometri difende il territorio occupato dal Marocco mentre nei pressi di Tindouf, in Algeria, vivono 130 mila rifugiati sahawari ▼ Un soldato del Fronte Polisario.
africa · numero 5 · 2016 13
ATTUALITÀ di Michelle Tinubu
I custodi del paradiso
IN PERLUSTRAZIONE NELLE FORESTE DEL GABON ASSIEME AI RANGER CHE LOTTANO CONTRO I BRACCONIERI
14 africa · numero 5 · 2016 James Morgan / Panos Pictures / Luz
Alle propaggini settentrionali del Gabon si estende il Parco Nazionale di Minkébé, un santuario naturale che è minacciato da cacciatori di frodo, tagliatori illegali, trafficanti d’oro e d’avorio. Ma c’è chi è impegnato a difenderlo La piroga scivola sulle acque torbide del fiume Oua, come se fosse attratta da un’invisibile calamita dispersa nel cuore della foresta. L’imbarcazione sfiora rocce e tronchi galleggianti, si destreggia in un intrico di canali, supera secche insidiose e ondeggia sotto lo scroscio di cascate fragorose. Dopo dieci ore di navi-
gazione solitaria si ha la sensazione di trovarsi su una macchina del tempo, diretti verso un’Africa che credevamo ormai scomparsa. L’orizzonte è stato inghiottito da chiome di alberi maestosi che si arrampicano nel cielo. Neppure la luce del sole riesce a penetrare l’inestricabile muraglia verde. Il paesaggio non deve es-
sere molto cambiato da quando nel 1875 l’esploratore Pietro Savorgnan di Brazzà penetrò – primo europeo a riuscirvi – in questa regione interamente coperta dalla foresta vergine. Ancora oggi il Nord del Gabon è il regno della natura più selvaggia. Qui, in un groviglio di liane, si muovono mandrilli e scimpanzè, sulle anse dei corsi d’acqua sonnecchiano ippopotami e coccodrilli, nelle sporadiche radure erbose scorrazzano antilopi e bufali. Il regno dei pigmei Solo i pigmei Baka riescono a vivere nel cuore della foresta. Per molto tempo questi cacciatori-raccogli-
tori sono stati considerati un popolo di selvaggi e di primitivi. Il loro lungo isolamento nella selva e la relativa mancanza di contatti con l’esterno hanno dato origine nel passato ad assurde leggende che li dipingevano come animali pericolosi. Inoltre l’ignoranza e l’arroganza dei primi osservatori bianchi hanno contribuito
◀ Le guardie ambientali in pattugliamento sul fiume Oua che attraversa il Parco Nazionale di Minkébé, nel Nord del Gabon ▼ Zanne e fucili confiscati ai bracconieri
James Morgan / Panos Pictures / Luz
africa · numero 5 · 2016 15
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ATTUALITÀ testo di Virginia Ntozini - foto di Sven Torfinn / Panos / Luz
Il fumo fa bene allo Zimbabwe
ATTUALITÀ di Michele Vollaro
Grandi opere, i cantieri cruciali Dighe, porti, aeroporti, ferrovie, autostrade. Ma anche oleodotti e nuove città. Sono i megaprogetti – alcuni sulla carta, altri già in fase di esecuzione – che dovrebbero sostenere la crescita e la modernizzazione dell’Africa LA MAPPA DELLE INFRASTRUTTURE STRATEGICHE PER LO SVILUPPO DEL CONTINENTE
1 Grand Inga Un imponente complesso di dighe finanziato dalla Banca Mondiale dovrebbe sorgere, tra il 2017 e il 2025, sul fiume Congo nei pressi di Inga per produrre circa 50.000 MW di corrente per la Rd Congo e altre sei nazioni, tra cui il Sudafrica.
2 Gibe IV e Gibe V Due dighe, da realizzarsi entro il 2020, sul fiume Omo a valle dei tre impianti già esistenti e funzionanti. Entrambe dovrebbero essere erette dalla società italiana Salini Costruttori e avranno la capacità di produrre rispettivamente 1470 e 560 MW .
3 Autostrada transafricana occidentale In fase di ultimazione un’autostrada costiera a sei corsie lunga 4.010 chilometri per collegare tra loro le capitali economiche di ben 12 Paesi affacciati sull'oceano Atlantico.
4 Ferrovia dell’Africa occidentale In fase di costruzione, questa ferrovia lunga 2.500 chilometri collegherà tra loro, entro il 2024, le capitali dei cinque Paesi coinvolti. A posare i binari è il gruppo francese Bolloré. 5 Alta velocità Entro il 2018 sarà ultimata la prima linea ferroviaria ad alta velocità dell’Africa: collegherà Tangeri e Casablanca, passando dalla capitale Rabat. Cantiere in mano all’azienda francese Alstom.
24 africa · numero 5 · 2016
6 Corridoio Lapsset In fase di definizione è un collegamento (ferroviario, autostradale e petrolifero) lungo 1.700 chilometri che congiungerà il porto di Lamu in Kenya, dove sorgerà una raffineria, con il Sud Sudan e l’Etiopia.
7 Ferrovia Trans-Kalahariana Il progetto prevede la realizzazione di una linea ferroviaria di 1.500 chilometri, destinata al trasporto del carbone dalle regioni minerarie del Botswana fino al porto namibiano di Walvis Bay.
8 South Atlantic Cable System La giapponese Nec sta posando i primi cavi sottomarini in fibra ottica per collegare Luanda con Fortaleza, in Brasile, distanti tra loro 6.200 chilometri, e da qui proseguire verso Miami. Entro la fine del 2018 sarà quadruplicata la velocità di navigazione su internet dell’Africa meridionale. 9 Nuova capitale amministrativa Dopo l’ampliamento del Canale di Suez, il governo di al-Sisi vuole costruire in due anni una nuova capitale amministrativa per spostare ministeri e istituzioni fuori dall’ormai congestionata metropoli del Cairo. 10 Porto di Bagamoyo Iniziati lo scorso ottobre – e già sospesi per mancanza di fondi – i lavori di costruzione (appaltati al più grande operatore portuale della Cina) di quello che dovrebbe diventare il più grande scalo marittimo della Tanzania.
11 Konza Techno City A sud di Nairobi, avviato il cantiere della città tecnologica di Konza, ambizioso polo regionale dell’innovazione, dove sorgeranno uffici e laboratori ma anche abitazioni futuristiche e centri commerciali.
12 Ferrovia Addis-Gibuti In fase di collaudo la nuova ferrovia lunga 700 chilometri, che consentirà di moltiplicare e di velocizzare gli scambi commerciali a destinazione o in partenza dall’Etiopia, Paese senza accesso diretto al mare. 13 Porti di Lagos In costruzione dallo scorso settembre a Lagos, i due nuovi porti in acque profonde di Badagry e Lekki avranno la capacità di gestire entro il 2020 circa 4,5 milioni di Teu (la misura standard di volume nel trasporto dei container), decongestionando così lo scalo di Apapa. 14 Porto a secco di Ferkessédougou Sarà il più importante hub logistico interno della regione e faciliterà gli scambi commerciali tra il porto di Abidjan (Costa d'Avorio) e i Paesi del Sahel. Il progetto prevede: un terminal importexport, un’unità di stoccaggio per idrocarburi e un moderno mattatoio.
15 Nuovo aeroporto di Addis Abeba Sarà il nuovo hub della compagnia Ethiopian Airlines e avrà una capacità di 120 milioni di passeggeri l’anno. Ha un costo stimato di oltre quattro miliardi di dollari. Dovrebbe aprire fra dieci anni. 16 Gasdotto Rovuma-Gauteng Sarà lungo 2.600 chilometri il gasdotto che la società petrolifera sudafricana SacOil intende costruire per collegare i giacimenti di gas naturale di Rovuma, nel nord del Mozambico, con la provincia sudafricana del Gauteng.
17 Nuovo porto commerciale Nella località algerina di El Hamdania sorgerà entro cinque anni un nuovo porto commerciale e polo industriale. Il progetto, del valore di 3,3 miliardi di dollari, sarà finanziato e realizzato dai cinesi.
17 5
ALGERI Tangeri
Casablanca
Cherchell
Mare M ed TUNISI
Orano Toubkal 4.165 m
RABAT Fes
Marrakesh
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Lago Shatt al Jarid
TUNISIA
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SAHARA OCCIDENTALE
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BANJUL Ziguinchor
GUINEA-BISSAU
BAMAKO
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GUINEA
Kankan
14
Kaya OUAGADOUGOU
Wa
CONAKRY FREETOWN
SIERRA LEONE Bo
LIBERIA MONROVIA
COSTA D'AVORIO Nzérékoré
3
YAMOUSSOUKRO
Harper
ABUJA
Parakou
Cotonou
ADDIS ABEBA
Bouar
Benin City Port Harcourt
13
REPUBBLICA CENTRAFRICANA
JUBA
GUINEA EQUATORIALE
SÃO TOMÉ
Port-Gentil
Pointe-Noire Cabinda (Angola)
1
Stanley 5.109 m Karisimbi 4.507 m
REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO
BRAZZAVILLE KINSHASA Inga
RUWENZORI
8
Lago Eduardo
Kisumu
SOMALIA
6
EQUATORE
Konza Lago Eyasi Arusha Meru Kilimangiaro 4.566 m 5.895 m
Lago Mweru
MOGADISCIO
Isiolo Nakuru
11
Lago Rukwa
Marsabit
NAIROBI
ARA TAZ
Lamu
10
DODOMA
TANZANIA
Bagamoyo
Malindi
Zanzibar Dar es Salaam
Mbeya
Malanje Kasama Lubumbashi
Lago Bangweulu
Rovuma Lago Malawi
Huambo
ANGOLA
LILONGWE
ZAMBIA
Lubango
LUSAKA
Zambesi
MORONI
Antsiranana
COMORE
MALAWI
Moutsamoudou
Nampula
Blantyre
Tete
ZIMBABWE
Livingstone
HARARE
NAMIBIA
Swakopmund Walvis Bay
BOTSWANA
WINDHOEK
7
Bulawayo
16
Francistown
KALAHARI Regioni minerarie
Quelimane
MADAGASCAR
Canale Beira d el M o z a m bi c o
MOZAMBICO
GABORONE
ANTANANARIVO
Toliara
PRETORIA MBABANE
Johannesburg
Ora ng e
20 Ferrovia Transafricana Grazie a finanziamenti e manodopera cinese entro dieci anni i binari collegheranno l’oceano l’Atlantico (porto angolano di Lobito) e Indiano (porto tanzaniano di Dar Es Salaam), passando per le città di Luanda (capitale dello Zambia) e Lubumbashi (capoluogo congolese della provincia mineraria dell’Haut Katanga), unendo le ferrovie già esistenti Tazara e Benguela.
KAMPALA Lago Vittoria
Lago Tanganica
20
Lobito
Harar
ETIOPIA
Mbale
Elgon 4.321 m
BURUNDI
LA UE NG BE
19 Lago Ciad La Commissione del Bacino del Lago Ciad ha lanciato un colossale piano da 1 miliardo di euro, articolato in 14 progetti, per cercare di salvare il più importante bacino del Sahel, la cui superficie si è ridotta nel 90 per cento negli ultimi 50 anni (minacciando la sopravvivenza di decine di milioni di persone che oggi vivono grazie alle sue acque).
Lago Kyoga
Goma Lago KIGALI Kivu RUANDA Butare Muyinga BUJUMBURA Gitega
Mbuji-Mayi
LUANDA
Bosaso
Hargeisa
Moyale
KENYA
UGANDA
Lago Alberto Kisangani
CONGO
GABON
OCEANO ATLANTICO
Il Desertec Industrial Initiative, il consorzio sorto con l’ambizione di produrre massicce quantità di elettricità fotovoltaica attraverso una rete di nuove centrali solari nel Sahara, ha subito una brusca frenata a causa dell’instabilità politica nella regione che ha fatto fuggire alcuni importanti investitori, come Siemens e Bosch.
Congo
Impfondo Ouésso
LIBREVILLE
Franceville
18 Desert
Lago Turkana
Gulu
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SÃO TOMÉ E PRÍNCIPE
GIBUTI
Konso
YAOUNDÉ
MALABO
GIBUTI
Jinka
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G ol f o di G ui n e a
SUD SUDAN
Bambari
BANGUI
Berbérati
Douala
2
Jimma
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Lagos
Assab
SOMALILAND
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EQUATORE
15
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Garoua
12
Lago Tana
CAMERUN
PORTO NOVO
Massawa
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Gondar
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CIAD
Maroua
Teseney
Ras Dascian 4.549 m
El Obeid
N'DJAMENA
TOGO
Kumasi
ACCRA
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NIGERIA
Keren
Kassala
SUDAN
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Lago Ciad Kano
Kandi
LOMÉ Abidjan
Maradi
Gaya
ERITREA KHARTOUM
Zinder
Dosso
Sokodé
GHANA Kumasi
NIGER
BENIN
Bolbatanga
19
TÉNÉRÉ
NIAMEY
Ferkessédougou
Bouaké
Agadez
BURKINA FASO
Koudougou Bobo-Dioulasso
Sikasso
4
Nilo
Oualata
GAMBIA
BISSAU
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O
MAURITANIA
Saint-Louis DAKAR
SS
TIBESTI NOUAKCHOTT
Gauteng BLOEMFONTEIN
SUDAFRICA
CITTÀ DEL CAPO
MAPUTO
SWAZILAND
MASERU
LESOTHO
Durban
Port Elizabeth
OCEANO INDIANO
africa · numero 5 · 2016 25
Toamasina
SOCIETÀ di Alberto Salza
Makoko, lo slum liquido
28 africa · numero 5 · 2016 Petrut Calinescu / Panos Pictures / LUZ
VIAGGIO NELL’INCREDIBILE DEDALO DI PALAFITTE CHE AFFIORA ALLA PERIFERIA DI LAGOS
Ai margini della capitale economica della Nigeria, migliaia di poveri vivono in palafitte di legno su una laguna. Hanno ideato un formidabile sistema per non affogare. Ma la loro città galleggiante è minacciata dalle autorità Mike Davis, esperto di slum, scrive: «Una baraccopoli di Buenos Aires ha il peggior feng shui del mondo: è costruita in una zona alluvionale dove un tempo c’erano un lago morto, una discarica di materiali tossici e un cimitero». Makoko, subcittà informale di Lagos, Nigeria, si guadagna il secondo premio, non avendo neppure un terreno solido su cui espandersi: cresce su esili palafitte direttamente dall’acqua puzzolente delle lagune che danno il nome alla metropoli, là dove, negli anni Settanta, incontravo i pirati che infestavano il porto e venivo forzatamente condotto, assieme alla popolazione locale, ad assistere alle esecuzioni pubbliche dei ladri. Pescatori di sabbia Oggi le acque sono più calme e il benessere pare dilagare in Nigeria. Ma non a Makoko. Makoko deriva da villaggi di Egun, pescatori seminomadi che
◀ Traffico all’ora di punta nei canali d’acqua di Makoko, quartiere di palafitte nei dintorni di Lagos. Tra venditrici e pescatori si fa strada una piroga che trasporta alcuni bambini a scuola
un centinaio di anni fa traevano sostentamento dal mare. Alcuni giovani lo fanno ancora, ma non si tratta più di pesce da affumicare, ormai sostituito da sgombri congelati importati dall’Olanda che i venditori coprono di sale per ritardarne la marcescenza. Per i ragazzini di Makoko il mare produce terra. «Un secchio, una vita – dice Ojo facendosi una canna (non da pesca) –. Ci chiamiamo “dragatori”. Piantiamo una scala sul fondo, e scendiamo con il nostro secchio. Sott’acqua, sì». Ojo e i suoi compagni risalgono dall’immersione con un carico di sabbia che rovesciano in un’imbarcazione che rifornirà i costruttori edili delle periferie di Lagos. Ojo significa “parto difficile”: non è che la vita sia proprio facile. In realtà, Makoko è un nome collettivo. Si tratta di sei villaggi (o quartieri) distinti. I primi quattro insediamenti sono impropriamente detti “galleggianti”, gli ultimi due si trovano sulla terraferma e costituiscono il trampolino di lancio per la visita a Makoko, pubblicizzata come “la Venezia d’Africa” dall’abominevole “turismo della miseria” tanto di moda. A parte il africa · numero 5 · 2016 29
LEO Africa organizza dal 25 ottobre al 1 novembre 2016
VIAGGIO E WORKSHOP DI FOTOGRAFIA IN SUDAFRICA Una settimana di safari fotografici, osservazioni naturalistiche e attività di salvaguardia della fauna selvatica accompagnati dal reporter professionista Marco Garofalo, collaboratore della rivista AFRICA FRICA e da Sabrina Colombo, responsabile di LEO Africa, programma dedicato alla conservazione di fauna e flora e al monitoraggio di leoni, rinoceronti e altre specie animali nella provincia del Limpopo. Immersi nella natura selvaggia di Marataba, tra il Marakele National Park e le spettacoli montagne Waterberg, sarà possibile osservare da vicino i grandi mammiferi africani e documentare le quotidiane attività di monitoraggio, conservazione e antibracconaggio. Per unire la passione della fotografia e della Wild Life ad un impegno concreto sul campo in difesa della natura. MISSIONE • CULTURA
Affrettatevi: l’invito è riservato solo a 6 persone Quota di partecipazione: 1150 euro - volo escluso Maggiori informazioni: enquiries@leoafrica.org www.leoafrica.org cell. 393.9140523
COPERTINA testo di Valentina G. Milani - foto di Marco Garofalo
Voglia di cioccolato
LA COSTA D’AVORIO, LEADER MONDIALE NELLA PRODUZIONE DI CACAO, SCOPRE FINALMENTE IL SAPORE DEI SUOI GUSTOSI DERIVATI
36 africa · numero 5 · 2016
Un tempo il cacao ivoriano veniva interamente esportato in Occidente per esservi lavorato. Oggi ad Abidjan sono sorte fabbriche e botteghe artigiane che trasformano il raccolto dei contadini in dolci gustosi… Apprezzatissimi dalla popolazione Per toccare con mano le ambizioni di riscatto della Costa d’Avorio, uscita nel 2011 da una devastante guerra civile, bisogna recarsi nell’area industriale di Yopougon, alla periferia della capitale economica Abidjan. Per molti chilometri si vedono solo cantieri a cielo aperto dove ruspe, muratori e operai si danno da fare per costruire nuove fabbriche e capannoni. È in quest’area in perenne fibrillazione che è cominciata la dolce rivoluzione del cioccolato. Destinata a cambiare l’economia della nazione e forse anche i gusti dei suoi abitanti. La Costa d’Avorio è leader mondiale nella produzione del cacao: da sola rifornisce il 40% del mercato globale. La coltura qui importata dai francesi ai tempi delle colonie garantisce il 20% del Pil nazionale. Tuttavia fino a poco tempo fa era pressoché impossibile trovare nel Paese una
sola barretta di cioccolato (se non a prezzi proibitivi). La totalità del raccolto era esportata in Europa e Stati Uniti sotto forma di frutti o di fave (i semi da cui si ricava appunto la polvere di cacao).
◀ Suzanne Kabbani, origini libanesi, è la regina del cioccolato ad Abidjan. La sua Maison du Chocolat Ivoirien è una sofisticata boutique dolciaria. Si dice che nove persone su dieci amino il cioccolato. E la decima? «Mente, o si ricrederà quando assaggerà i miei prodotti», assicura Suzanne
▶ Dai preziosi semi alla cioccolata fondente, il cacao viene lavorato attraverso un lungo procedimento. Alcune fasi della lavorazione: i semi vengono frantumati, privati del guscio, lavorati fino a ottenere il cocoa liquor che serve per produrre il cioccolato, la polvere o il burro di cacao
Fabbriche di cioccolato Oggi il governo ivoriano vuole cambiare strategia e punta a lavorare il prodotto grezzo per creare occupazione e incentivare il mercato interno dei prodotti dolciari. Il presidente Alassane Ouattara ha dichiarato di voler trasformare localmente, entro il 2020, almeno il 50% del raccolto annuale di cacao, che sfiora i due milioni di tonnellate. A Yopougon si trovano le prime due fabbriche di cioccolato in funzione. Una è controllata dai francesi di Cemoi. L’altra, la Professional Food Industry, è stata interamente realizzata con capitali ivoriani: da qui decidiamo di iniziare il nostro viaggio in quello
africa · numero 5 · 2016 37
abbastanza da permettersi di gustare il cioccolato. Il governo dovrebbe aiutarci. Per esempio finanziando piccoli laboratori, annessi alle piantagioni, dove potremmo assicurare una parte della lavorazione che oggi avviene nelle grandi fabbriche». Per il momento gli unici ad aiutare i contadini di N’Douci sono gli operatori di Fairtrade, l’organismo che certifica i prodotti del commercio equo e solidale. «Grazie a loro abbiamo potuto seguire dei corsi di forma-
FUORI DAL TUNNEL?
La Costa d’Avorio è stata sconvolta, tra il 2002 e il 2011, da una feroce guerra civile che ha causato tremila morti e decine di migliaia di sfollati. L’ex capo di Stato Laurent Gbagbo è finito sotto processo per crimini contro l’umanità alla Corte penale internazionale dell’Aia. Il presidente attuale Alassane Ouattara, già economista all’Fmi, appoggiato dalla comunità internazionale, ha favorito il processo di riconciliazione nazionale e il rilancio dell’economia: il suo governo ha assicurato forti investimenti (con l’aiuto di capitali cinesi e francesi) in infrastrutture a lungo trascurate. Nuovi ponti e superstrade hanno alleggerito il traffico congestionato di Abidjan e un ammodernamento della rete elettrica ha limitato i black-out nel settore industriale. Per quest’anno il fondo monetario prevede una crescita del PIL del 9 per cento, un dato che farebbe della ex colonia francese la positiva eccezione di un continente colpito dalla caduta dei prezzi delle materie prime, dalla fuga dei capitali e dal crollo delle valute. zione per migliorare la qualità delle fave e aumentare la produzione», spiega Fortin Bley, segretario
della cooperativa Cann, che conta seicento contadini. «È un aiuto prezioso, ora ci aspettiamo che
le autorità facciano la loro parte». Per rendere meno amaro il cacao della Costa d’Avorio.
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SOCIETÀ testo e foto di Adriano Marzi
Addis Abeba Social Club
42 africa · numero 5 · 2016
LA CAPITALE ETIOPE CELEBRA IL BOOM ECONOMICO A SUON DI MUSICA E DI EVENTI CULTURALI
Il Jazzamba, storico locale ethiojazz, è affollato ogni sera. L’economia etiopica è in pieno boom, il ceto medio è sempre più vivace. E la capitale Addis Abeba, giorno o notte, non si ferma mai
Cinquant’anni fa era conosciuta come la “swinging city d’Africa", per via della sua atmosfera elettrizzante e dei concerti soul, jazz e funky che ogni sera riempivano i locali notturni. Oggi la magia di Addis Abeba è tornata a far sognare A cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, Addis Abeba era chiamata la “swinging city”. Il soul e il funky, James Brown e Sam Cooke, i costumi libertini e la fame di libertà degli hippie, la rivoluzione culturale del Sessantotto, erano arrivati anche sull’altopiano etiope, che li aveva accolti a modo suo: “etiopizzandoli” per istinto. Tolta la divisa inamidata della Imperial Body Guard Band di Haile Selassie, lasciati i teatri e le sale da ballo in cui si esibivano per lavoro, Mahmoud Ahmed, Tilahun Gessese, Alemayehu Eshete e tanti altri giovani musicisti etiopici indossavano i loro pantaloni a zampa d’elefante per passare la notte al “Patrice Lumumba”, locale d’avanguardia nel quartiere popolare di Wube Braha. Tra fiumi d’alcool e prostitute in minigonna, la nuova generazione innestava i ritmi incalzanti d’oltreoceano sulle scale pentatoniche e sul pathos della tradizione musicale abissina. Nasceva così una miscela di suoni che più tardi avrebbe fatto fortuna in Europa e nel resto del mondo. Al “Patrice Lumumba”
ragazze e alcool ci sono ancora, ma oggi a suonare è rimasto solo un vecchio jukebox, mentre lo storico locale rischia di sparire per sempre. Voglia di modernità Addis avanza verso la modernità a ritmo straordinario, e per far spazio a una skyline degna di una capitale globale i quartieri popolari della città vengono rasi al suolo uno dopo l’altro. Così la zona di Wube Braha (il nome significa “Il mio meraviglioso deserto”) rischia di fare la fine del sobborgo Eri Bekentu (“Anche se urli nessuno ti sente”), area malfamata quanto popolosa di cui è rimasto in piedi solo qualche muro cadente. Oggi ai margini del vecchio quartiere si vendono porte, cancelli e quant’altro sia scampato alle ruspe del governo. In cima alla spianata, gli scheletri dei nuovi condomini in cemento avanzano sui resti delle baracche di terra, legno e lamiera. Presto saranno pronti per ospitare l’emergente classe media d’Etiopia. Indicata di recente dal New York Times e dalla Lonely Planet tra le città più vivaci al mondo, Addis è il simbolo del rinaafrica · numero 5 · 2016 43
Porta l'Africa nella tua cittĂ . Richiedi le nostre mostre con le foto dei grandi reporter 24 ore nella vita del continente vero
mostra
ONE DAY IN AFRICA
I prodigi di un continente in cerca di riscatto
mostra
GOOD MORNING AFRICA
Eccezionali vedute aeree dal Cairo a CittĂ del Capo
mostra
AFRICA IN VOLO
Disponibili per esposizioni in tutta Italia Per anteprime e dettagli www.africarivista.it/mostre Per informazion sul noleggio:
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CULTURA di Dorothy Madueke
Una forza prodigiosa Spara raggi laser, vola a velocità supersoniche, combatte contro mostri e malvagi robot. A Lagos entusiasmano le imprese favolose di un eroe nigeriano. Più forte di Spiderman, Batman e Superman
IN NIGERIA FUROREGGIA E.X.O. IL PRIMO SUPEREROE
Wale Williams è un giovane nigeriano apparentemente normale. In realtà, fa cose incredibili: vola a velocità supersoniche, spara raggi laser, si protegge con scudi invisibili. A conferirgli questi poteri eccezionali è una speciale tuta che il ragazzo indossa ogni volta che la situazione lo richiede, ovvero quando si trasforma in un valoroso guerriero di nome E.X.O. per difendere i
D’AFRICA
cittadini da pericolose minacce. Il supereroe si batte per contrastare i malvagi Creed, bellicosi combattenti di un’organizzazione che ambisce a conquistare il potere. La storia di E.X.O. è ambientata nel 2025 in una futuristica Lagoon City, popolata da droni e umanoidi che si spostano su navicelle spaziali. Una metropoli caotica, perennemente in movimento, Il fumetto digitale di E.X.O., prodotto dalla nigeriana YouNeek (youneekstudios.com/exo). La graphic novel, pensata come trilogia, è ambientata nella prospera Lagoon City del 2025, in un ambiente altamente tecnologico tra droni e politici corrotti
50 africa · numero 5 · 2016
CULTURA testo di Raffaele Masto - foto di Marco Trovato
La magia del Teatro Avenida
52 africa · numero 5 · 2016
IN UNA STORICA SALA DI MAPUTO DA CENT’ANNI VANNO IN SCENA DRAMMI E COMMEDIE D’AUTORE
Platea sempre piena, spettatori di ogni età e pièce di qualità. Nella capitale del Mozambico trionfa un leggendario teatro costruito in epoca coloniale, sopravvissuto alla guerra civile, e trasformato da un grande scrittore svedese Nelio morì dopo una lunga agonia sul tetto del Teatro Avenida, a Maputo. Era rimasto ferito a morte nella pericolosa vita da bambino di strada. Si era sentito uno sparo sul palco, lui era lì, di notte, come se stesse portando in scena, davanti a un pubblico invisibile e silenzioso, un episodio della sua vita, una di quelle puntate che lo aveva depositato, come tanti altri bambini, sulle strade della città. Poi, sanguinante e indebolito, si era coricato sul tetto ad attendere la morte. Prima però aveva fatto in tempo a raccontare la sua triste e toccante storia a José, l’umile fornaio della vicina panetteria. Lo scrittore svedese Henning Mankell raccolse in un memorabile romanzo, Comédia infantil, la storia di Nelio. Pochi libri raccontano la realtà dei bambini di strada in modo così crudo, drammatico e allo stesso tempo tenero, comprensivo, delicato. Lo lessi e ne rimasi folgorato. Poi, la prima volta che andai a Maputo volli passare in Avenida 25 de Setembro ◀ Al termine di uno spettacolo gli spettatori si attardano fuori dal teatro per commentare la pièce a cui hanno assistito
e con mio grande stupore vidi che la panetteria e il teatro c’erano veramente, come se Nelio non fosse solo il prodotto della fantasia di Mankell ma fosse esistito veramente e sul palco del teatro ci fossero ancora le macchie del suo sangue e su, nel soffitto, aleggiasse ancora il sussurro della sua voce che racconta la sua breve vita. Ritorno a Maputo Mi ripromisi di tornare con più tempo, per sedermi ai tavolini della panetteria, attendere l’ora dello spettacolo, fare il biglietto ed entrare in quel teatro che sembrava così fuori posto in una metropoli africana come Maputo. Ho mantenuto la promessa e ci sono tornato, poche settimane fa. Maputo non è più la capitale di un Paese appena uscito dalla guerra civile, i bambini di strada e i mutilati dalle mine sono meno appariscenti e, certamente, meno numerosi, di un tempo. Nella capitale del Mozambico oggi si sono moltiplicati i ristoranti e i grattacieli di vetro e cemento, ci sono centri commerciali, ampie strade a doppia corsia, ma il Teatro Avenida c’è ancora, esattamente come lo avevo visto l’ultima volta, con il africa · numero 5 · 2016 53
suo piccolo foyer e la vicina panetteria che adesso fa anche da bar per gli spettatori che, nel caldo afoso della sera, attendono che lo sportello della biglietteria apra. Poi, in sala, quando si spengono le luci e cade il silenzio, pare di sentire Nelio che, sottovoce, racconta la sua storia. Il pane di Manuela Dal Teatro Avenida la Storia è passata davvero, non solo quella di Nelio. A raccontarmela è Manuela Soeiro, anziana e affascinante direttrice del Teatro che – mi spiega – era una sorta di istituzione coloniale dove all’inizio del Novecento i portoghesi mettevano in scena i loro spettacoli e sognavano di essere in patria, a Lisbona o a Oporto, e non in quell’Africa rovente e impenetrabile, a vedere le loro commedie e i loro drammi. Poi, nel 1975, venne l’indipendenza e subito dopo il periodo nero della guerra civile. Il Teatro Avenida precipitò nell’abbandono e fu allora, nel 1984, che a Manuela Soeiro, donna di cultura e di grande passio-
▶ Manuela Soeiro, direttrice del Teatro Avenida di Maputo, seduta in platea e, sotto, durante l’intervista rilasciata ad Africa (a sinistra, il nostro reporter Raffaele Masto) mentre mostra alcune immagini di spettacoli ▶ Uno spettacolo del celebre gruppo teatrale mozambicano. Con la morte dello scrittore Henning Mankell, il Teatro Avenida di Maputo si è ritrovato improvvisamente senza un padre spirituale 54 africa · numero 5 · 2016
CULTURA di Pier Maria Mazzola
Maledetto
SABBIE E MOTORI: I RALLY D’AFRICA
Prima delle indipendenze, l’Africa somigliava a un immenso circuito di rally. A bordo di improbabili auto da corsa, centinaia di piloti europei attraversavano deserti e foreste, raccontando con toni epici la scoperta di un continente pieno di insidie e di sorprese. Oggi un libro fa rivivere quelle epiche avventure
«Strada maestra d’Africa, dal Mediterraneo a Città del Capo, quanto sei lunga. E quanto scomoda, quanto ferocemente scomoda. Ci sono certamente nostri
58 africa · numero 5 · 2016
amici in Italia che, magari in questo stesso momento, stanno invidiandoci il nostro viaggio d’Africa. Ma in che consiste, in fondo, questo nostro
viaggiare?». Così scrive da Fort-Archambault, l’odierna Sarh in Ciad, Egisto Corradi il 24 gennaio 1951. L’inviato del Corriere della Sera è
nell’equipaggio della Lancia Beta Croce del Sud – un pulmino da 19 posti adattato alla grande avventura – in corsa nel rally La Méditerranée-Le Cap
cronometro ◀ La copertina (a destra) della nuova edizione del libro Africa a cronometro, già pubblicato nel 1952 da Garzanti e ora curato da Paolo Dal Chiele e Paolo Giusti (storici dell’automobile)
partito da Algeri un mese prima e che, dopo 15.000 chilometri di sabbie e fango, taglierà il traguardo il 23 febbraio, secondo nella sua categoria. Il Lancia Beta riporterà, assieme al veicolo gemello (il Climene, primo classificato), il “Trofeo per il miglior veicolo africano”. Egisto Corradi non era giornalista sportivo. Anche quando si occupa di faccende di motori, il suo interesse pare calamitato soprattutto dal paesaggio naturale e specialmente fa ◀ Un Maggiolino Volkswagen durante un rally in Kenya
quello umano, tanto degli africani quanto di quella particolare fauna che erano i bianchi in quello scorcio tardo-coloniale, dove modi di fare e moralità gli appaiono non di rado bizzarri. Tralasciate le imprese sportive, Corradi diverrà uno dei nomi di punta del Corriere, specialmente come inviato di guerra, prima di partecipare alla fondazione del Giornale di Indro Montanelli. E in Africa ci tornerà. In quel Congo allora belga che aveva dovuto attraversare di volata («Dover sempre filar via come dannati», rimpiangeva), ma questa volta – è il 1964 – per testimoniarvi, a rischio della pelle, l’acme della crisi della rivolta mulelista. Quei temerari… Se il rally del 1951 fu una grande avventura, non si creda però di dover aspettare la Paris-Dakar o il Camel Trophy per tornare a veder sfrecciare
BIBLIOTECA AFRICANA
A Udine è nata la Biblioteca dell’Africa. Inaugurata poche settimane fa alla presenza della scrittrice Igiaba Scego e della musicista Saba Anglana, è aperta al pubblico dal martedì al venerdì dalle 16 alle 19. Al momento dispone di circa 2.500 volumi (di storia, economia dello sviluppo, letteratura, antropologia, religione... Ognuno è invitato a regalare libri per arricchire i suoi scaffali) e delle principali riviste italiane che si occupano del continente africano, a partire dalla nostra testata. La biblioteca è gestita dall’organizzazione non profit Time for Africa, che promuove progetti di sviluppo e solidarietà, ma anche incontri culturali e iniziative volte a favorire l’integrazione dei migranti in Friuli Venezia Giulia. Il catalogo è consultabile online su www.timeforafrica.it. su e giù per il continente quei temerari sulle loro macchine ansimanti. La Méditerranée-Le Cap conobbe altre quattro edizioni a cadenza biennale, finché le turbolenze della nuova Africa non sconsiglieranno di ripeterla. Nel frattempo altre sfide motoristiche avevano già solcato il continente, e continuavano a farlo. Come la Algeri-Città del Capo-Algeri. Ed è sulla via del ritorno che una Fiat
Campagnola batte ogni record su quella distanza: 11 giorni, 4 ore e 54 minuti. Queste epiche avventure e i loro protagonisti rivivono oggi grazie ai resoconti dei rally, ripubblicati da Corbaccio e raccolti nel volume Africa a cronometro. Cronaca della «Mille Miglia Nera» (2015, pp. 304, € 25,00). Avvincente. Il sito, ricco di documenti, è un vero valore aggiunto al libro: www.africaacronometro.it
BURKINA FASO.
LOTTE, RIVOLTE E RESISTENZA DEL POPOLO DEGLI UOMINI INTEGRI di Marco Bello ed Enrico Casale Nessun Paese africano può raccontare l’insurrezione e l’orgoglio come il Burkina Faso. Un popolo di giovani ha cancellato il regime di Blaise Compaoré. La rivolta è diventata una “rivoluzione africana”? Questo libro ci racconta l’insurrezione, i retroscena e il contesto in cui si è verificata. Mail: info@infinitoedizioni.it - Web: http://www.infinitoedizioni.it Facebook: Infinito edizioni - Twitter: @Infinitoed Google+: Infinito edizioni - Instagram: Infinito edizioni
Afriche, la nuova collana di
infinito e d i z i o n i
VIAGGI testo di Silvana Olivo - foto di Bruno Zanzottera / Parallelozero
Mondo sommerso
SPORT testo di Marco Trovato - foto di Federico Scoppa / Afp
Il calcio rosa vede nero Una giocatrice dell’Espoir de Bandal palleggia davanti a pochi amici e tifosi nel vecchio stadio coloniale di Kinshasa
A KINSHASA IL CAMPIONATO DI CALCIO FEMMINILE È MINATO DA FALLIMENTI E SCANDALI
Il movimento calcistico femminile nella Repubblica democratica del Congo versa in uno stato comatoso. «Colpa degli uomini corrotti e incompetenti che non sanno gestire lo sport più bello del mondo», accusano le giocatrici Per ingannare il tempo, Merveille si è messa a palleggiare davanti a uno sparuto gruppo di irriducibili tifosi. Le sue compagne hanno già tolto gli scarpini e se ne stanno accovacciate con l’aria rassegnata sulle gradinate semivuote del vecchio stadio di Kinshasa, un catino pieno di sabbia nera, cimelio diroccato dell’epoca coloniale. «Sono due ore che aspettiamo, mi sono stancata», sbotta Émilie, sguardo severo e groviglio di treccine elettrizzate sulla testa. «È l’ennesima volta che accade: così non possiamo più andare avanti». Le giocatrici dell’Espoir de Bandal, eleganti nelle loro uniformi rosa confetto, attendono di iniziare una partita di campionato. Ma le avversarie non si sono presentate e nessuno conosce il motivo del forfait. «È una squadra dell’Est del Paese – dice stizzita Emilie –. Sarebbe dovuta arrivare in aereo nella capitale per disputare l’incontro programmato da tempo. Ma ci scommetto che non avevano i soldi per il volo e hanno dovuto rinunciare. Peccato che nessuno si sia degnato di avvertirci». Dopo un’altra mezz’ora di inutile attesa, l’arbitro designato per il
match, un omone impettito con la livrea troppo attillata, invita le giocatrici dell’Espoir a entrare in campo dietro di lui, come da regolamento, per poi decretare subito con il triplice fischio la fine di una partita che non si è mai giocata. «Vittoria 3 a 0 a tavolino per la squadra di casa, a causa dell’assenza della squadra ospite», sarà scritto sul referto arbitrale. Ma nessuna delle ragazze dell’Espoir de Bandal ha voglia di festeggiare. «Sai che soddisfazione! – mugugnano all’unisono –. Siamo a punteggio pieno in classifica, ma abbiamo vinto “a tavolino” la metà delle partite in calendario… Così non è bello né divertente. Ci stanno togliendo la gioia di giocare». Pochi soldi Il calcio femminile nella Repubblica democratica del Congo versa in uno stato comatoso. L’unico campionato di categoria programmato in questo Paese vasto otto volte l’Italia è stato sospeso a più riprese nel corso degli ultimi tre anni. Delle dieci squadre iscritte, ben quattro sono fallite per insolvenza, ovvero perché i loro proprietari si sono africa · numero 5 · 2016 65
TIFOSI PERICOLOSI
Calcio choc in Congo. Hanno fatto il giro del mondo, poche settimane fa, le immagini di un arbitro linciato in campo. Dopo il fischio finale del match di prima divisione del campionato congolese tra il Dcmp e i Dauphin Noirs (finito 0-0), i tifosi del club di Kinshasa hanno invaso il campo e iniziato ad inseguire e colpire brutalmente il direttore di gara. Solo l’intervento della polizia antisommossa ha evitato il peggio. L’arbitro ha riportato delle brutte ferite al viso e è stato portato fuori dal campo in barella.
trovati sopraffatti dai debiti. Altre due sono state travolte da scandali e truffe che hanno coinvolto i loro presidenti. Le poche società rimaste in piedi si affannano a sopravvivere. «È un momento difficile, il più complicato di sempre», ammette Alexander
▼ Le ragazze dell’Fcf Espoir de Bandal durante il riscaldamento prima di disputare una partita di campionato a Kinshasa ▼ L’ingresso in campo delle giocatrici. Due atlete della squadra, Merveille Nsasa ed Émilie Elifo, fanno parte anche della nazionale di calcio femminile del Congo
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Mangituka Ngunga, responsabile della sezione femminile della Federazione calcistica congolese. «Avremmo potenzialmente migliaia di brave atlete e milioni di tifosi desiderosi di seguire le partite… Il problema sono gli sponsor che snobbano il nostro sport. Ci fosse un imprenditore, un gruppo industriale, un filantropo interessato a investire su di noi… E invece siamo ridotti al punto che alcune squadre non riescono nemmeno a procurarsi palloni e divise. Figurarsi gli ingaggi da fame che riservano a giocatrici e allenatori».
Campi di battaglia I campi da calcio calcati dalle donne del Congo sono rettangoli di terra sconnessi, pieni di buche e sassi. Sembrano più che altro dei campi di battaglia sventrati da trincee ed esplosioni. «Si rischia l’osso del collo ad allenarsi», protesta su Facebook una giocatrice dell’Fcf Bilenge, altra squadra di Kinshasa. «E non va meglio quando ci tocca giocare una partita fuori casa». Le trasferte vengono effettuate con mezzi di fortuna. I viaggi possono durare parecchi giorni quando tocca giocare con le squadre delle province più remote (Bafana bafana del Katanga, Étoile du matin del Sud-Kivu, Racing Club Boa del Maniema, Attaque sans recul del Kasai Orientale). Siccome i biglietti aerei costano troppo, alcune équipe sono costrette a imbarcarsi su battelli o zattere che discendono il fiume Congo», spiega Leopardsfoot. com, il portale
del calcio congolese. «Altre sono costrette a stivarsi nei cassoni degli autocarri che arrancano lungo le piste fangose. Impensabile viaggiare su bus riservati: costerebbe troppo per le magre casse delle squadre femminili». Malaffare Ma la crisi del calcio in rosa non è dovuta solo al disinteresse degli sponsor. La mancanza di fondi appare a molti osservatori come un alibi, il maldestro tentativo di scaricare le colpe sul mondo esterno, per non parlare delle responsabilità di chi ha gestito finora uno sport che appare marcio fino al midollo. Malaffare e clientelismo sono i mali che attanagliano da sempre questo settore governato da troppo tempo da una ciurma di dilettanti allo sbaraglio. Le cronache sportive congolesi sono zeppe di notizie che di sportivo hanno ben poco: l’ultimo fattaccio ha riguardato i dirigen-
RELIGIONE testo e foto di Boris Joseph
Pellegrini di Allah in Etiopia Nel villaggio di Annajina migliaia di pellegrini intonano canti oromo e recitano preghiere, in un clima di grande euforia e commozione. Per i musulmani etiopi (25 milioni: il 34% della popolazione), il pellegrinaggio alla tomba di Sheikh Hussein ha lo stesso valore di quello alla Mecca
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IL MAESTOSO RADUNO
DEI FEDELI MUSULMANI
ALLA “MECCA”
DEL CORNO D’AFRICA
Due volte l’anno, sull’altopiano etiopico si svolge, tra cerimonie etniche e preghiere islamiche, un grande pellegrinaggio nel villaggio dove visse Sheikh Hussein, leggendario predicatore che da secoli dispensa miracoli La faccia e le mani sono bianche. Sul volto, un’espressione estatica. Sembrano mummie i pellegrini che escono dal mausoleo di Sheikh Hussein. Accanto alla sua tomba hanno pregato, hanno chiesto una grazia. E ora, riemergono come avessero fatto un viaggio in un’altra dimensione e lo sceicco lo avessero visto davvero. Questa scena si ripete migliaia di volte nel corso del più grande pellegrinaggio musulmano del Corno d’Africa. Due volte l’anno (a febbraio-marzo e ad agosto-settembre), sulle montagne di Bale, in Etiopia, cinquantamila pellegrini, in maggioranza di etnia
oromo, si ritrovano nel villaggio di Annajina per celebrare la memoria di Sheikh Hussein, conosciuto per aver introdotto l’islam tra le popolazioni abissine. Mausoleo-magnete Nell’arco di più giorni, i pellegrini si recano a rendere omaggio al santo in un clima di fervore sincretico che mescola riti preislamici e preghiere ad Allah. Sheikh Hussein è celebre per aver compiuto numerosi miracoli nel corso della sua vita e il popolo oromo lo considera tuttora un mediatore tra gli uomini e Dio, capace di aiutare la tribù, proteggere i bambini e
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Nella grotta di Aynagange, una grande cavità naturale, vivono alcuni eremiti che benedicono i fedeli accorsi in occasione del pellegrinaggio Talvolta i pellegrini incontrano un conoscente o un amico. L’incontro è caloroso. Sorridono, si abbracciano e si baciano sulla bocca, secondo l’usanza oromo Al termine del pellegrinaggio, i fedeli si radunano su un lastrone di pietra che si affaccia sul canyon, alzano le braccia al cielo in direzione della Mecca e ringraziano Allah. Sono pronti a tornare a casa, protetti dalla benedizione dello sceicco
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RELIGIONE di Davide Maggiore
Senegal, il prete che cita il Corano A ottant’anni suonati, l’abbé Jacques Seck continua a seguire la vocazione di una vita: promuovere la conoscenza e la pace tra cristiani e musulmani Una lunga tunica chiara, il tradizionale berretto senegalese di lana bianca e nera in testa: mentre cammina spedito per le strade di Dakar nonostante l’età (ufficialmente è nato nel 1934), Jacques Seck può facilmente essere scambiato per un fedele seguace di una delle varie confraternite islamiche locali. È solo quando i ragazzi seduti di fronte alla cattedrale della città salutano quest’uomo magro chiamandolo “padre”, che ci si
rende conto che, in realtà, è un sacerdote cattolico. Roma-Dakar «Prete musulmano e imam cristiano», corregge scherzosamente lui pochi minuti dopo, seduto tra i banchi della grande chiesa bianca di Nostra Signora delle Vittorie. Di quest’espressione ha fatto la bandiera del suo lavoro di decenni: la promozione della conoscenza e della comprensione reciproca tra la minoranza cristiana senegalese e i musulmani
◀ Padre Jacques Seck, qui durante un intervento in una delle rare chiese di Dakar, vive in un Paese musulmano che, nonostante le preoccupazioni nella regione, resta un modello di apertura. Dell’estremismo dice: «Non mi fa paura» 76 africa · numero 5 · 2016
(oltre il 90% della popolazione). Una vocazione maturata durante gli studi all’Università Gregoriana a Roma, da dove ha riportato qualche ricordo di italiano e una conoscenza perfetta dell’arabo e della storia islamica, appresi alla scuola dei Padri Bianchi. Ancora oggi non esita un istante mentre recita a memoria, in lingua originale, un passo del Corano: «Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità – traduce poi –. Vi ha voluto però provare con quel che vi ha dato. Gareggiate in opere buone: tutti ritornerete a Dio ed Egli vi informerà a proposito delle cose sulle quali siete discordi». Studi di dialogo Spesso, negli anni che ha trascorso da parroco della cattedrale, gli è accaduto di citare il libro sacro islamico anche durante le omelie, tra la sorpresa dei fedeli. «È per vivere meglio la mia fede che ho scelto di studiare il Corano e ho incoraggiato altri a studiarlo – spiega –. Come cristiano devo amare tutti e non si può amare ciò che non si conosce». La stessa convinzione lo
ha spinto fino a inviare uno dei suoi nipoti, musulmano, a formarsi in Marocco: «L’ho portato a Dakar – racconta – e l’ho fatto imbarcare, dicendogli: “Lì potrai imparare lingua e cultura”. – Ha studiato ed è tornato in Senegal dopo qualche anno, ed è diventato professore nell’istituto cattolico di Hann Maristes, alla periferia della capitale, dove ha insegnato fino a due anni fa». «Se avesse fatto la scuola tradizionale – continua l’abbé – non avrebbe veramente appreso la lingua, avrebbe solo ripetuto formule, mentre questo è un esempio di come vogliamo il nostro Paese». Famiglie aperte La coesistenza, in effetti, in Senegal è una realtà consolidata da decenni, al punto che molti, in tutti gli ambienti sociali, parlano di un “dialogo interreligioso della vita”, in cui musulmani e cristiani partecipano anche alle principali celebrazioni dell’altra comunità, come la Pasqua o la Festa del Sacrificio. Non è raro neanche che persone di diverse religioni facciano parte dello stesso nucleo
familiare. «Io stesso non ero cristiano fino a quattordici anni, ma “animista” – precisa il religioso, usando il vecchio termine che indica i seguaci delle religioni tradizionali africane – e mio padre lo è rimasto fin quasi a ottant’anni, quando si è convertito all’islam, la religione di mia sorella maggiore, che aveva sposato un imam. Anche un parente stretto del cardinale Hyacinthe Thiandoum, il primo arcivescovo africano di Dakar, era un imam, e quando il cardinale fu ordinato era in prima fila, con tutta la famiglia!».
«Nessuno ci divida!» Esempi simili diventano ancora più emblematici e preziosi nel momento in cui il Senegal, dopo gli attacchi terroristici degli scorsi mesi in Mali, Burkina Faso e Costa d’Avorio, è indicato come un bersaglio possibile dell’estremismo. «Quello che accadrà domani, non lo so, ma ciò che viviamo oggi in Senegal è bello», riflette Seck. La paura e la diffidenza, infatti, non si sono impadronite di Dakar, e le porte della cattedrale come quelle del complesso della grande moschea, pochi chilometri più in là, restano
aperte a tutti. Lo stesso accade in molte case: anche l’anziano religioso, nonostante l’età, continua a rispondere agli inviti delle famiglie musulmane che, spesso, gli chiedono di trascorrere la giornata con loro, affiancando l’impegno per il dialogo ai suoi compiti di cappellano nelle carceri. «Io non ho paura: come uomo e come cristiano devo favorire la coabitazione pacifica, senza timori – sostiene –. I musulmani che lanciano bombe non sono veri musulmani, come i cristiani fanatici non sono veri cristiani; “nessuna costrizione nelle cose di religione”,
lo dice anche il Corano», ricorda. La risposta migliore all’intolleranza, per lui, resta comunque l’impegno in prima persona: per questo con un gruppo di fedeli musulmani, in passato ha anche visitato diverse regioni del Paese, dando un esempio concreto di convivenza. «Nessuno tenti di dividerci! – ribadisce oggi – Dobbiamo rispettarci in quanto senegalesi, perché l’essere una sola famiglia viene prima del cristianesimo e dell'islam: non vogliamo che la differenza di religione ci impedisca di coltivare gli stessi campi!».
SOSTIENI I MISSIONARI D’AFRICA SCEGLI QUALE PROGETTO ADOTTARE 1 MOZAMBICO assistenza agli orfani (P. Claudio Zuccala) 2 MALI
medicine per un dispensario (P. Alberto Rovelli) 3 BURKINA FASO
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6 UGANDA aiuto a studenti poveri (P. Jean Le Vacher) 8 AIUTI DA DESTINARE
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biogas per un villaggio (P. Abdon Gamulani)
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DIRITTI DEI GAY Vorrei esprimevi la mia solidarietà e il mio plauso per la non facile posizione che avete preso a sostegno dei diritti degli omosessuali in Africa. Apprezzo molto il vostro coraggio e le vostre scelte editoriali: il vostro schierarvi sempre dalla parte di persone perseguitate. C. Consonno Damiani CATTIVI PRESAGI L’ultimo editoriale di Africa ci ricorda quanto sia importante e doveroso accogliere chi scappa dalle guerre. Peccato che l’Europa vada a pezzi proprio per il tema dell’immigrazione (Brexit docet). Il prossimo 2 ottobre in Ungheria un referendum chiuderà le frontiere ai
profughi mentre in Austria l’ultradestra xenofoba potrebbe vincere le elezioni presidenziali. E. Balzani, Genova CONTRO L’ERITREA? Spettabile redazione, mi domando se non sia ora di cominciare a rivedere i vostri stereotipi sull’Eritrea. Non nego che esista un regime. Ma perché non parlare dell’embargo, del continuo armare e foraggiare l’Etiopia da parte del mondo occidentale che nel governo eritreo vede solo un pericolo? La mia impressione è che vi sia anche una grande ingiustizia nella considerazione di questo Paese; proviamo magari a sentire tutte le campane? Grazie per la ricchezza dei
contenuti, buon lavoro! A. Casolo Gentilissimo lettore, La nostra rivista – da sempre vicina al popolo eritreo – cerca di informare con equilibrio e senza pregiudizi. Ogni versione, da parte governativa e delle opposizioni, viene, per quanto possibile, verificata. Detto questo, non è facile occuparsi di Eritrea: il regime di Asmara non concede visti ai giornalisti che vogliono scrivere sulla situazione politica ed economica del Paese. I rappresentanti diplomatici eritrei non rilasciano interviste. E se i nostri cronisti avanzano delle critiche, ricevono insulti e minacce. In Eritrea vengono negati i più elementari diritti: la libertà di
stampa e di opinione. Non esiste un Parlamento, non ci sono mai state elezioni democratiche, i dissidenti sono perseguitati, le stesse confessioni religiose sono viste come una minaccia all’ordine costituito… Ma naturalmente non facciamo il tifo per l’Etiopia: critichiamo chiunque limiti i diritti civili, abusi del potere e faccia uso della forza per reprimere il dissenso. La redazione
RICHIESTA AI LETTORI Se desiderate ricevere un promemoria della scadenza del vostro abbonamento e restare informati sulle iniziative della rivista Africa, segnalateci i vostri indirizzi e-mail: segreteria@africarivista.it
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MISSIONARI D’AFRICA Notizie e progetti dei padri bianchi italiani e svizzeri N. 3 SETTEMBRE 2016 - ANNO 95
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AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA
RDCONGO - UN PADRE BIANCO NELL’INFERNO DI GOMA Pino Locati, missionario nella Repubblica democratica del Congo, racconta il dramma della città del Kivu stretta tra le ingerenze straniere e i drammi umanitari, primo tra tutti quello delle donne violentate
ALLEGATO REDAZIONALE
«Le donne violentate sono le persone più a rischio. Quando avvengono queste violenze, le donne sono curate nei due ospedali di Kyeshero e HealAfrica a spese delle Ong straniere; ma, una volta uscite, spesso con un bambino concepito in quella violenza, le donne sono abbandonate da tutti». Pino Locati è un Padre Bianco che lavora da anni a Goma nella Repubblica democratica del Congo. Ha vissuto i momenti difficili della città quando nel 2012 è stata occupata del movimento M23 e la violenza più bruta si è diffusa a macchia d’olio. Oggi la calma sembra tornata, anche se le tensioni non sembrano essersi spente del tutto. «Non se ne
parla - continua padre Locati -, ma sono stati visti ancora soldati ruandesi entrare nel territorio congolese a poche decine di km a nord di Goma. Per destabilizzare e rapinare i territori congolesi ricchi di minerali. E il governo di Kinshasa lascia fare». In città e nei dintorni l’emergenza umanitaria è forte. Le donne violentate sono quelle che rischiano di più. Rigettate dalle loro comunità e dalle istituzioni, sono spesso malate. «Stupisce - osserva padre Locati che nel 2016 ogni settimana ci siano numerosi casi di stupro nella zona di Goma. Il governo afferma che l’Est è sotto controllo: ma di chi?». Al problema delle donne, si affiancano quelli degli orfani, maltrattati e sfruttati, e dei ragazzi di strada, il cui recupero è difficilissimo. La città, che conta un milione di abitanti, convive anche con 20.000 sfollati (erano 170.000 solo un anno fa). «Il governo - continua
Locati - li caccia obbligandoli a trovare una sistemazione, ma queste persone sono sprovviste di tutto e non ricevono nulla al momento della loro partenza forzata e non sanno dove recarsi. Tanti profughi, cacciati dai campi, si rifugiano in città aumentando l’insicurezza, la disoccupazione, il vagabondaggio. Durante il giorno si avverte un clima di tensione e basta una scintilla di qualsiasi genere per scatenare risse e pestaggi. Gli sfollati nell’Est sono 2,3 milioni e danno fastidio a tutti o quasi tutti, da qui l’indifferenza e il rigetto generale verso di loro! Meno male che in quell’inferno non mancano alcune religiose e volontari che cercano, come possono, di aiutarli».
MALAWI - KAFULAMA RINASCE GRAZIE AL LETAME Grazie a un progetto finanziato dalla Cina, in un villaggio del Malawi è stato realizzato un impianto che produrrà biogas e concime. Il metano alimenterà una cucina pubblica che servirà anche la scuola. Ma c’è ancora bisogno di fondi... Ce ne parla Gamulani Abdon, Padre Bianco del Malawi «Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior...», così cantava Fabrizio De André nella sua famosa canzone Via del Campo. E dal letame potrebbe rinascere Kafulama, un villaggio in Malawi. Grazie a un progetto finanziato dalla Cina, nel piccolo centro abitato è stato costruito un serbatoio in cemento di 3m3 dotato di alcune tubature. In questo serbatoio verranno portati escrementi animali che, decomponendosi, produrranno anidride carbonica, idrogeno e metano. L’impianto permetterà, da un lato, di ottenere biogas e, dall’altro, di avere a disposizione una riserva di
concime per i campi. Nel progetto è stato coinvolto tutto il villaggio, ma la fase operativa sarà gestita da una sola famiglia che raccoglierà il letame in un recinto, lo pulirà dalle scorie e lo depositerà nel serbatoio. Il gas prodotto sarà impiegato per alimentare una cucina aperta al pubblico, ma soprattutto ai mille ragazzi della scuola. Il costo del serbatoio in cemento e delle tubazioni (circa 3.000 dollari) è stato sostenuto dalle autorità malawiane. Per ultimare il progetto e renderlo operativo, sarebbe però necessario costruire un recinto per una ventina di mucche e una cucina solida.
ALGERIA - LA CULTURA FIORISCE NEL DESERTO A Ouargla, in Algeria, i Padri Bianchi gestiscono un centro culturale che non solo custodisce un grande patrimonio di libri, ma promuove ricerche in vari campi Nell’oasi di Ouargla, in pieno deserto del Sahara, si nasconde uno dei “tesori” dei Padri Bianchi. Nessuna ricchezza materiale, bene inteso, né pozzi di petrolio o di gas, che pure sono presenti nella provincia. Si tratta di un centro culturale che ha sede nella kasbah della città dichiarata, alcuni anni fa, patrimonio nazionale. Fin dal 1875, quando arrivarono in questa zona, i missionari iniziarono a raccogliere materiale su storia, geografia, strutture sociali, etnologia e natura della regione circostante (abitata
in maggioranza da popolazioni berbere). Un patrimonio di conoscenza che non è andato perduto, anzi oggi viene conservato grazie ai moderni sistemi informatici e messo a disposizione di ricercatori e appassionati. Il Centro culturale di Ouargla però è andato oltre. Lavorando in collaborazione con l’università locale, i Padri Bianchi supportano gli studenti nelle ricerche di letteratura, filosofia, psicologia, sociologia, storia, biologia e medicina. E offrono inoltre corsi di francese e inglese
«Il costo delle opere da realizzare – spiega padre Gamulani Abdon – è di 5.000 euro. Come procurarceli? Ci affideremo alla solidarietà sottolineando che, con questo progetto si lotta contro la povertà e contro la deforestazione. Grazie al biogas, infatti, per cucinare non ci sarà bisogno di legna...». Per aiuti: progetto Nr 11/2016 Resp.: padre Abdon
per ragazzi e adulti. Oltre a un cineforum su temi scientifici e sociali. «Il nostro obiettivo – spiegano i Padri Bianchi – è favorire la conoscenza vera chiave nella modernità e fattore di sviluppo umano. Per questo i religiosi lavorano in sinergia con centri culturali non necessariamente cristaini. La popolazione locale apprezza molto la nostra opera». Per aiutare: Progetto N°10/2016 Resp.: padre Aldo Giannasi
Marco Trovato
PADRI BIANCHI: STAN LUBUNGO, NUOVO SUPERIORE GENERALE Zambiano, 49 anni, padre Stan subentra a Richard Kuuia Baawobr che è stato ordinato vescovo di Wa, in Ghana. Nel Consiglio generale, sarà affiancato da due padri africani, un britannico e un canadese Stan Lubungo è stato eletto Superiore generale dei Padri Bianchi, Missionari d’Africa dal Capitolo generale della Congregazione, tenutosi a Roma dal 13 maggio al 13 giugno. Padre Stan è stato ordinato sacerdote il 2 agosto 1997 e ha lavorato come missionario nella Repubblica democratica del Congo e, dopo un periodo di formazione a Roma e a Dublino, come formatore ad Abidjan (Costa d’Avorio). Dal 1° luglio 2015 era Superiore della Provincia dell’Africa austra-
le. Didier Sawadogo, burkinabè, 49 anni, sacerdote dal 2000, con esperienze missionarie in Mali e in Burkina Faso, sarà uno dei suoi assistenti. Del Consiglio generale faranno parte anche Ignatius Anipu, 56 anni, ghanese, sacerdote dal 1991, missionario in Niger, ricercatore al Pisai (Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica) di Roma e Superiore della Provincia dell’Africa occidentale; Martin Grenier, 53 anni, canadese, sacerdote dal 1995, missionario in India, Uganda
e Zambia, e ricercatore al Centro Afrika di Montreal; Francis Barnes, 66 anni, britannico, sacerdote dal 1981, con esperienze pastorali in Burkina Faso, Kenya, Polonia, Zambia e Provinciale d’Europa. La composizione del Consiglio generale, con tre africani, un europeo e un nordamericano, conferma la sempre maggiore attenzione della Società all’Africa. Da sempre terra di azione dei Padri Bianchi, ma anche fonte di tante vocazioni.
SVIZZERA – SULLE ORME DI SAN MAURIZIO Da 15 anni, a Saint-Maurice, nel Vallese, gli immigrati partecipano a un pellegrinaggio in ricordo dei santi africani. Quest’anno l’iniziativa era dedicata al primo catechista burkinabè Il 5 giugno scorso, 500 africani, provenienti da tutta la Svizzera, hanno partecipato al pellegrinaggio per i Santi africani che, da 15 anni, si tiene a Saint-Maurice, nel Vallese. Nella località ha sede una storica abbazia nella quale sono conservate le spoglie di san Maurizio, un comandante africano martirizzato dai romani perché si era rifiutato di uccidere i cristiani. E, proprio nel ricordo di san Maurizio, negli ultimi decenni, l’abbazia è diventata centro di dialogo interculturale e intereligioso. «Quello di inizio giugno – spiega
padre Claude Maillard, Padre Bianco, organizzatore di questa festa in collaborazione con Michel-Ambroise Rey, canonico dell’abbazia – è un incontro che offre agli africani che vivono in Svizzera la possibilità di esprimere la loro fede, la loro cultura e il loro temperamento». All’iniziativa hanno preso parte una decina di corali africane tra le quali, per la prima volta, quella burkinabè che ha sede a Versoix (Ginevra). La presenza dei burkinabè ha rivestito una particolare importanza perché quest’anno il pellegrinaggio era dedicato a Alfred Simon Diban
Ki-Zerbo. Schiavo, fuggito dai suoi padroni, studia da catechista e, dopo il suo battesimo, offre un aiuto importante all’evangelizzazione del Burkina Faso. Alla sua morte, avvenuta nel 1980, il vescovo Zéphirin Toe lo ricordò come «un catechista infaticabile, co-fondatore di tutte le Chiese della regione».
LA SOLIDARIETÀ OLTRE LA MORTE In alcuni Paesi del Nord Africa la Chiesa cattolica cura la sepoltura di migranti, religiosi, lavoratori stranieri, ecc. Un compito non sempre facile, ma che viene apprezzato dai musulmani In Nord Africa, la Chiesa svolge una attività poco nota: dare degna sepoltura ai morti. Si tratta di migranti clandestini, persone considerate cristiane e morte in solitudine, religiosi, membri delle comunità cristiane, vittime di incidenti, lavoratori stranieri, ecc. Un funerale cristiano è l’occasione per testimoniare la fratellanza che unisce i cristiani, senza distinzione di razza o cittadinanza. Ottenere la licenza per seppellire, trasportare un cadavere, individuare il personale per scavare la fossa, pagare il funerale (compresa la bara, non in uso tra i musulmani) e poi costruire la tomba con cemento e mattoni sono azioni che richiedono tempo, energie e risorse. Ma lo facciamo dignità e spirito comunitario. Le situazioni sono molto varie. In alcune città non c’è un cimitero cristiano e il corpo deve essere in-
viato in un luogo, a volte lontano, autorizzato dalle autorità locali per la sepoltura dei non musulmani. Ciò significa che l’ambulanza deve attraversare diverse prefetture e ottenere differenti permessi. Ci sono persone che muoiono con generalità false (aveva dichiarato di essere del Mali invece era della Sierra Leone) e, prima di ottenere l’autorizzazione all’inumazione, le autorità devono verificare la reale identità del defunto. Contattare i consolati richiede tempo e, nel frattempo, il corpo deve attendere all’obitorio per mesi. Succede anche che il defunto aveva un nome musulmano, quando invece era cristiano: seppellirlo quindi secondo la sua fede nel cimitero cristiano può richiedere tempo. Quando muore un religioso, è abitudine che sia sepolto nel Paese in cui testimoniavano il Vangelo, ma a volte la famiglia non comprende questa
FRANCOBOLLI PER LA MISSIONE
INDIRIZZI DEI PADRI BIANCHI ITALIANI TREVIGLIO: Viale Merisio, 17 - 24047 Treviglio (BG) provincia@padribianchi.it - Tel. 0363 41010 - 0363 49681 - Rivista Africa: Tel. 0363 44726 BERTELLI Gustavo BONFANTI Vittorio CASTAGNA Giovanni
COLOMBO Luciano COSTANTINI Paolo GAMULANI Abdon
GHERRI Walter MATTEDI Giuseppe PAGANELLI Bruno
scelta ed è necessario convincerla. Di tanto in tanto, riceviamo lettere di persone che hanno cari sepolti in Africa e ci chiedono di visitare le tombe e inviare loro le foto. Capita anche che la gente di passaggio (lavoratori, marinai, turisti, ecc.), con poche risorse muoia qui e i loro compagni, le aziende per cui lavoravano e o le stesse autorità ci contattino per una cerimonia religiosa. Queste cerimonie sono un’occasione per i musulmani di esprimere la loro simpatia e l’opportunità di condividere il nostro dolore e la nostra comune speranza nella risurrezione. Possono farlo aiutando noi a scavare o a ricoprire la fossa, portando fiori, pregando a modo loro. Perché per i cristiani così come i musulmani, la vita non è che una tappa della nostra relazione con Dio: dopo la morte continuiamo a vivere in sua presenza. José Mª Cantal Rivas
REDAELLI Giuseppe ROVELLI Alberto
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CASTELFRANCO VENETO Via Ponchielli, 6 - 31033 Castelfranco Veneto Tv mafrcasteo@padribianchi.it - Tel. 0423 494100 ALBIERO Sergio BORTOLI Tarcisio
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SCREMIN Gaetano - Novale, VI IOTTI Italo - Roma, RM
MARCHETTI Giovanni - R.D. Congo MORELL Luigi - Sudafrica LOCATI Giuseppe - R.D. Congo VEZZOLI Michele - R.D. Congo ZUCCALA Claudio - Mozambico
ROMA - Casa Generalizia: Via Aurelia, 269 - 00165 Roma Tel. 06 3936341 - m.afr@mafrome.org www.mafrome.org SVIZZERA - FRIBURGO Africanum - Route de la Vignettaz, 57 - 1700 Fribourg - Tel. 0041 26 4241977 - friprov@bluewin.ch
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• Scegli un progetto da aiutare • Invia un’offerta per le Missioni secondo le tue possibilità • Invia offerte per Sante messe Le offerte per progetti o per le missioni sono fiscalmente deducili e vanno inviate a: Onlus Amici dei Padri Bianchi Onlus Cod. Fisc. 93036300163 tramite: • WEB con Paypal dal sito www.missionaridafrica.org • POSTA CCP numero 9754036 • BANCA IBAN IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: BCCTIT2TXXX
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Dialoghi sull’ AFRICA FRICA
MISSIONE • CULTURA
un weekend di incontri per capire, conoscere e confrontarsi Sabato 19 e Domenica
20 Novembre 2016 - Milano
Quota di partecipazione: 220 e, studenti 160 e
Marco Aime, antropologo Daniele Bellocchio, reporter Enrico Casale, africarivista.it
20 e di sconto a chi si iscrive entro il 30 settembre
Andrea de Georgio, giornalista
I primi iscritti potranno usufruire dell’ospitalità gratuita offerta dai missionari Padri Bianchi a Treviglio, o del pernottamento scontato in hotel a Milano
Mario Giro, viceministro degli Affari Esteri
Mostafa El Ayoubi, rivista Confronti Maryan Ismail, portavoce comunità somala Antoine Kaburahe, settimanale Iwacu Stefano Liberti, giornalista Alberto Negri, Il Sole 24 Ore Padre Claudio Marano, missionario Pier Maria Mazzola, rivista Africa Raffaele Masto, buongiornoafrica.it Enzo Nucci, corrispondente Rai John-Baptist Onama, docente universitario Andrea Semplici, giornalista Antonella Sinopoli, giornalista Marco Trovato, rivista Africa Mussie Zerai, agenzia Habeshia
in collaborazione con
Programma e informazioni:
www.africarivista.it
info@africarivista.it
cell. 334 244 0655
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6 voli alla settimana via Bruxelles.
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