Africa 06 2015

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AFRICA N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 2015 - ANNO 94

RIVISTA BIMESTRALE

WWW.AFRICARIVISTA.IT

MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Benin

Bambini in vendita Camerun

Iniziazione bamileke Sudan

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.

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L'AFRICA IN VOLO


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Sommario COPERTINA 40

L’Africa in volo

ATTUALITÀ

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo

4

Panorama

6

Bambini in vendita

9

12

Le vittime del rame

14

Un 2015 in chiaroscuro

18

Luanda, i miraggi dell’eldorado

22

Un mondo a parte

12

18

Plinio il Vecchio (I secolo d.C.) DIRETTORE RESPONSABILE

SOCIETÀ

Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE

26

Sudafrica a tutta birra

28

Il viaggio dello stipendio

32

Le contadine del mare

35

Le donne del cacao

36

La dolce vita di Libreville

48

A caccia di ragni giganti

52

La miniera di sale

56

MODA Solidarietà… di moda

58

VIAGGI Incredibile Nubia

segreteria@africarivista.it

64

SPORT Olimpiadi masai

FOTO

66

CULTURA Il colorato mondo dei Bamileke

72

CULTURA Visita alla città fantasma

78

CULTURA Italiani, brava gente?

80

MISSIONI Francesco l’Africano

82

MISSIONI La suora e l’imam

Marco Trovato RESPONSABILE NEWS SITO

Enrico Casale PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA

Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

Paolo Costantini PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Claudia Brambilla EDITORE

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi BLOG

www.buongiornoafrica.it di Raffaele Masto PUBBLICITÀ

Si ringrazia Parallelozero In copertina: Henri Tabarant (Afp) Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand STAMPA

Jona - Paderno Dugnano, Milano Periodico bimestrale - Anno 94 novembre-dicembre 2015, n° 6 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48

32

28 36

58 52 66

72

SEDE

Viale Merisio, 17 C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 Africa Rivista @africarivista www.africarivista.it info@africarivista.it UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

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INVETRINA 86

Eventi

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Web

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Viaggi

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Libri

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Musica e Film

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Posta

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africa · numero 6 · 2015 1


L’AFRICA... A PORTATA DI MANO

Non perdere l’occasione di ricevere in regalo la nuova chiavetta USB con la raccolta digitale della rivista Africa

Pratica, elegante. Imperdibile.

pomeriggio veniamo accompagnati agli ecolodge. Da lì partiamo per raggiungere il luogo dove sono state collocate le reti per catturare le rondini. Il giorno prima, una squadra di giovani armati di machete ha aperto, a forza di braccia, un sentiero nella folta erba elefante che ricopre il fianco della collina. È una salita faticosa, con l’aria impregnata di umidità. In quaranta minuti raggiungiamo il punto prestabilito: una sottile rete di morbido tessuto è mimetizzata tra la vegetazione.

IL MISTERO SVELATO

Per molti decenni il paradiso delle rondini è stato un enigma che ha intrigato gli studiosi occidentali. Dov’era mai il ricovero africano in cui gli enormi stormi in uscita dall’Europa andavano a svernare? Qual era la regione subsahariana in grado di offrire l’habitat favorevole per la muta delle penne? Solo nel 1986 lo scienziato britannico John Ash scoprì a Ebbaken, nel Sud-est della Nigeria, un colossale rifugio naturale – costituito da circa quaranta ettari di verde lussureggiante – che ogni inverno si popolava di miriadi di volatili. Era la città segreta delle rondini. Dieci anni dopo, un ornitologo di origini marchigiane, Pierfrancesco Micheloni, dimostrò che la misteriosa rotta migratoria degli uccelli di Ebbaken partiva dall’Italia e dalla Francia. La prova? I codici di riconoscimento rinvenuti su centinaia di pennuti… Gli stessi che lo studioso aveva provveduto a inanellare e a censire durante l’estate nelle campagne italiane. facili da cucinare e, a detta della gente, gustose al palato. Venivano catturate a migliaia ad ogni migrazione, mettendo una sorta di linfa vegetale appiccicosa sui rami alti degli alberi, dove le rondini rimanevano invischiate. Ogni anno era un massacro. L’idea giusta Francesco Micheloni aveva scoperto il luogo dove andavano le rondini, ma che era di fatto il cimitero di questi volatili. Ci impiegò anni e continui viaggi, e dopo aver visto fallire diversi progetti (allevamento di maiali, di api, di pecore) trovò il modo RIVISTA BIMESTRALE di convincere la popola2015 - ANNO 94 N. 4 LUGLIO-AGOSTO zione a non mangiarsi più le rondini. Formò alcuni giovani locali al lavoro di inanellatore e classificatore dando loro un minimo stipendio. Con la collaborazione dei capi tradizionali locali fece diventare VERO VIVERE IL CONTINENTE Ebbaken il “Villaggio delle Rondini”, richiamando

un piccolo turismo. Fece costruire degli ecolodge in mezzo alla foresta, in sostanza degli osservatorilaboratori da affittare agli scienziati e agli appassionati di birdwatching. «In questo modo, intorno alle rondini – rivela soddisfatto Micheloni – ha cominciato a girare un minimo di economia e la gente di Ebbaken ha iniziato ad amare questi volatili». Nel dormitorio segreto Raggiungere il Villaggio delle Rondini non è facile: bisogna percorrere una lunga strada sterrata che si interrompe al fiume che dà il nome allo Stato, il

Cross River. I ponti sono crollati ed è necessario attraversare il corso d’acqua su una chiatta. Una volta raggiunta l’altra sponda, la pista diventa un sentiero sempre più esile e sconnesso: per proseguire si deve montare in sella alle moto dei ragazzi di Ebbaken che in una ventina di minuti giungono al piccolo villaggio. Attorno alle poche abitazioni in muratura s’innalza la foresta e sullo sfondo ci sono le colline dove – dice la gente – «vanno a dormire le rondini». Veniamo accolti con estrema cortesia dal consiglio degli anziani e nel tardo

Informazioni preziose Il sole è tramontato da pochi minuti. Nel cielo le rondini volteggiano alte, si riuniscono, abbozzano una formazione che poi si scompone e alcune cominciano a puntare a terra, in vertiginose picchiate. È emozionante pensare che quei milioni di puntini neri che disegnano artistiche evoluzioni sopra le nostre teste sono le stesse che volavano poche settimane prima nei cieli italiani, migliaia di chilometri più a nord: le stesse che hanno costruito nidi nelle nostre cascine e nei nostri parchi. Mentre il cielo si fa plumbeo, le prime rondini restano impigliate nelle reti. Non si agitano, non fanno nessun verso. Poco dopo, a frotte molte altre finiscono intrappolate. In breve, la rete è punteggiata di fagottini neri. Francesco e i suoi collaboratori disincagliano gli uccelli, delicatamente, li infilano in una scatola. Terminato il

AFRICA

Kenya

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La rondine comune (Hirundo rustica) pesa appena

CULTURA grammi. MISSIONE •venti È presente in quasi tutto il mondo (tranne che in Oceania). Si ciba di mosche, grilli, vespe, cavallette, libellule, falene

fogge. Un uomo adulto ha due treccine raccolte sotto un semplice berretto di pelle, ma un anziano importante viene cotonato, con i capelli raccolti e riempiti di segatura, in modo da ottenere una forma tipica a doppio corno. Il tutto viene poi raccolto nel berretto di pelle (ombiya). L’operazione può richiedere un’intera giornata.

lavoro di cattura, portano i volatili nell’ecolodge-laboratorio dove esaminano gli esemplari uno ad uno, rigirandoli con esperienza tra le mani. «Dall’attività di osservazione è possibile ottenere informazioni preziose su alcuni aspetti importanti della biologia della specie, come la longevità, la fedeltà al sito di nidificazione e di svernamento», ci spiegano. «In Europa le rondini nidificano e fanno crescere i piccoli, mentre qui fanno la muta, cioè cambiano le piume. A seconda di quante piume hanno cambiato, possiamo stabilire da quanto tempo sono arrivate. E a seconda di quanto grasso hanno in corpo capiamo se si fermeranno qui o se andranno ancora più a sud». Il finale della favola A vederle così da vicino, queste rondini, suscitano tenerezza. A tenerle tra le mani si teme di romperle. Gli inanellatori sanno come maneggiarle senza creare alcun danno agli uccelli. «I veri nemici delle rondini sono l’inquinamento, la cementificazione e l’uso dei pesticidi», ci spiegano i ragazzi di Ebbaken. «Ecco perché è così importante studiare questi animali: perché sono un formidabile sensore sulla qualità dell’ambiente in cui viviamo». Francesco e i suoi collaboratori hanno imparato a conoscere e ad ammirare le rondini: «Sono uccelli formidabili, capaci di imprese incredibili e in grado di mettere in campo

▲ ◀ Gli uccelli che restano accidentalmente intrappolati nelle reti vengono liberati dai ricercatori nigeriani. Nelle due foto: un esemplare di nettarina dal ventre oliva (Cinnyris chloropygius), sopra, e un "tessitore dal collo nero" (Ploceus Nigricollis), accanto. Le rondini compiono due volte l’anno un lungo viaggio migratorio tra l’Africa e l’Europa, percorrendo fino a 322 chilometri al giorno

strategie complesse», spiegano. «Prima di intraprendere il lungo viaggio verso l’Africa, per esempio, sono capaci di ingrassare enormemente, in modo da avere riserve energetiche sufficienti. Alle soglie del deserto giungono avendo triplicato il loro peso, come un viaggiatore previdente che fa riserva di carburante». Percorrono in media duecento chilometri in un giorno. Durante il tragitto fanno soste frequenti usando i canneti come dormitori. Impiegano quasi un mese

per compiere la migrazione autunnale verso la Nigeria. Il viaggio di ritorno in primavera è più veloce e viene compiuto in meno di una settimana, a una velocità di sessanta chilometri orari. A. Gandolfi «La rondine è un animale fedele e abitudinario – chiosano i ricercatori –: si accoppia sempre con lo stesso partner, nidifica nella stessa stalla o porticato, sverna sempre nello stesso dormitorio africano. Gli esemplari che abbiamo inanellato, se sopravvivranno ai

26 africa · numero 2 · 2015

dei fedeli e la ◀ La devozione dei monaci nella contemplazione dell’Etiopia. capitale spirituale sacro al Lalibela, luogo 11 chiese cristianesimo con nella roccia, monolitiche scavate all’imperatore deve il suo nome Lalibela, Gebre Mesquel secolo che regnò nel XIII manoscritti ▼ Croci ornamentali, e paramenti illustrati, bibbie di Lalibela si dorati. Nelle chiese le liturgie continuano a celebrare etiope della Chiesa ortodossa

predatori, torneranno a Ebbaken il prossimo autunno. E noi saremo qui ad aspettarle». Si è fatta notte e negli ecolodge-laboratori Francesco e i suoi collaboratori hanno finito di esaminare le rondini e le hanno liberate nel cielo. Si può andare a dormire. Nella foresta ci si sente pervasi da una calma serena, come bambini appagati da una bella favola. Viene voglia di andare a raccontare il finale a quelle maestre di scuola di tanti anni fa.

con ▼ I preti ortodossi, intessuti di mantelli di velluto guidano lunghe N. 2 MARZO-APRILE 2015 - ANNO 94 filigrane dorate, cerimonie mostrando gli scrigni ai fedeli le Tabot, delle Tavole sacri, simbolo sono copia della Legge, che cui Dio, delle pietre su incise sul monte Sinai, i Dieci Comandamenti.di fedeli Meta di pellegrinaggi alle intemperie e turisti, esposta inquinamento, VIVERE IL CONTINENTE VERO e al crescente Lalibela è un patrimonio prezioso e fragile

do è pronta per sposarsi, nio sostituisce l’ekori con ◀ I capelli vengono puliti con la cenere e poi intrecciati in la ragazza porta i capell’erembe, un pezzo di pelle acconciature impastate di fango li legati all’indietro con la ricavato dalla testa di una e ocra, così imponenti da far fronte rasata. A quel punto capra fissato sotto i capelpensare alle corna maestose delle riceve l’acconciatura-coli, sulla nuca. dei buoi degli Himba acconciature pricapo ekori (una sorta Per i maschi, l’attenzione Gli Himba sono ossessiodi tricorno in pelle). Doe la cura sono più o meno nati dalla bellezza del corpo un anno di matrimosimili, anche se variano le po e, in particolare, della testa. Se il corpo è totalMISSIONE mente spalmato di burro • CULTURA ACCATTONI A CHI? rancido e ocra, se i vestiti Gli Himba provengono dal Kasai (una regione sono morbide pelli plissud-orientale dell’odierna Repubblica demosettate che ondeggiano al cratica del Congo). La loro lingua di ceppo passo, se braccia e gambe bantu è quella degli Herero, arrivati dal nord sono ornate di monili in attorno al 1600 d.C. L’alta statura e alcuspirali e perline di ferro, è ni tratti del viso ricordano Masai e Turkana nei cappelli che si vede il dell’Africa orientale, così come acconciature vero Himba. e poggiatesta. Intorno al 1870, un gruppo La pettinatura con trecciherero fu costretto a rifugiarsi in Angola, ne è tipica delle ragazzia mendicare cibo e pascolo. Da qui il loro N. 5 SETTEMBRE ne, mentre i maschietti si nuovo nome: himba significa semplicemente -OTTOBRE rasano lasciando un codi2015 - ANNO “accattoni”. Dopo la riconquista del Kaokoveld 94 no. Ancora trecce, ma più intorno al 1920, il nome ha perso di senso: incolte e disordinate, segli Himba sono una delle popolazioni africane gnalano la ragazza in età dove la fierezza si sposa con una disposizione preadolescenziale: il caos gentile e una grande bellezza fisica. tra i capelli simboleggia l’incertezza di chi sta per VIVERE IL diventare donna. QuanCONTINEN TE VERO

na in giù per marcare una tomba femminile, all’insù per i maschi.

AFRICA RIVISTA BIMESTRALE

Maniaci WWW.AFRICARIVISTA.IT

Kenya

Mondi di lamiera

A. Gandolfi

Nigeria

Il villaggio delle rondini Religioni

Spiriti e feticci

L. 27/02/2004 n. 46) art. 1,

comma 1 , DCB Milano.

ATTUALITÀ testo di Raffaele

numero 60 africa ·

- D.L. 353/2003 (conv. In

A. Gandolfi

AFRICA MADAGASCAR in Abbonamento Postale

sovrasta ▲ Un tetto artificiale tufo nel una chiesa scavata etiope si ▶ Sull’altopiano di preghiera rinnovano veglie e processioni notturne

salvaguardare cerimonie lozero a lume di candela: è una Alessandro Gandolfi/Paralle immutate da secoli. spirituale Masto - foto di ◀ L’Etiopia cristiana di spiritualità, la capitale terra impregnata misticismo e leggende sue chiese sono affascinanti. Le nel Medioevo state costruite sulle rocce dell’altopiano

Profondo Ciad

5 · 2015

È Lalibela, dell’Etiopia

VIAGGIO NELLA ERNIERA

NAZIONE-C

FRA IL MONDO O

ARABO MUSULMAN

NERA E L’AFRICA

Poste Italiane Spa - Spedizione

MISSIONE • CULTURA

Cacciatori di virus Mozambico

Profeti esorcisti Sudafrica

Pescatori di diamanti

E NOMADI DEL MAR

SOCIETÀ testo di Paola Marelli - foto di Daniele Tamagni

Tribù metropolitane

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VIAGGIO TRA I MOVIMENTI GIOVANILI DEL NUOVO SUDAFRICA

Musica pop, idoli rap, look stravaganti. E tanta voglia di ballare. Tra mode che ritornano e nuovi fenomeni di costume, ecco come cresce la prima generazione sudafricana post-apartheid

Sono cresciuti in un Paese libero, aperto e democratico. Erano ancora bambini quando Nelson Mandela giurò nel 1994 come primo presidente nero del Sudafrica post-apartheid. Sui libri di scuola hanno studiato la terribile storia del regime segregazionista. Ma a differenza dei loro genitori non hanno dovuto lottare per conquistarsi i diritti civili fondamentali. Sono i figli della Nazione Arcobaleno.

look, il modo di parlare e di atteggiarsi. Ecco una veloce carrellata dei gruppi giovanili emergenti nelle metropoli sudafricane. In Europa e negli Stati Uniti degli anni Sessanta c’erano gli Hippy. Poi è stato il momento di altre tribù metropolitane: Punk, New Wave, Dark, Rockabilly, Mods, Emo… In Sudafrica i protagonisti della scena giovanile hanno nomi diversi. I loro idoli appartengono alla scena

SOCIETÀ testo di Paola Marelli - foto dimusicale Danielepop Tamagni Dal passato hanno ereditato e rap. Il loro

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le diseguaglianze e le contraddizioni di una società profondamente ingiusta. Vivono in un Paese sviluppato e industrializzato – la prima potenza economica dell’Africa – ma molti di loro non hanno un lavoro stabile. Faticano a racimolare quattro soldi per concedersi degli svaghi. Passano gran parte del loro tempo sulla strada, in compagnia degli amici con cui condividono la musica, il

stile strizza l’occhio all’Occidente o, meglio, alle mode in auge negli ambienti afroamericani. Guardano più al futuro che al passato. E vivono pienamente il presente, con tutte le sue contraddizioni. Con il loro modo di porsi esprimono talvolta un malessere, più spesso disagio sociale e voglia di ribellione. Ma anche tanta creatività, desiderio di riscatto e una straordinaria energia propulsiva.

◀ I Vintage sono un gruppo di ballerini che ama giocare con musica e stile. Il loro approccio fa breccia sui giovani di Johannesburg. Provano ogni giorno le loro coreografie sul tetto di un hotel di Johannesburg. «Questa è una città violenta e pericolosa», spiega il leader del gruppo, Lee-Che, 22 anni. «Ma vibra, tanto è piena di energia»

Ballerina ribelle Manthe Ribane, nella foto a destra, è una ballerina, modella e artista di successo. Look ribelle e sorriso contagioso. «L’amore per il ballo mi è stato trasmesso da mia madre, che era anche una bravissima danzatrice – racconta –. Credo di aver iniziato a

54 africa · numero 5 · 2015

africa · numero

Kenya

MISSIONE

• CULTURA

africa · numero 1 · 2015 45

SAHARAWI LA LUNGA NOTTE

5 · 2015 61

muri fortipresidenziale: il in acciaio, coinvolgere e travolgerema ficati, cancelli a in asDéby, si è infatti conquistato, Paese di Idriss telecamere e soldati dieci con il il sopranha saputo ogni Il primo impatto pieno merito, che il presidente setto di guerra uno con Ciad è l’aeroporto, nome di “equilibrista”, tenere oltre frontiera metri. Africa: Paese è rispregiucittà cascalo da vecchia perché il suo un abile, e spesso N’Djamena è una governonostante e multietpiccolo, soffocante, semmasto stabile dicato, gioco diplomatico otica, affollata che se da guerre: lo ha fatto nato da un caos sia circondato e militare che nica, e lo si comprendepiù e che e ponella bra senza soluzione al nord c’è la lunga Libia divenire il bastione si visitano i quartieri sulfinisce la l’espansiosorti invece, alla fine, rosa frontiera con regione contro popolari, quelli stremati, o il Darfur, fiume Chaper consegnarvi, nel caos; a est nismo dell’integralism le sponde del e indimenin Africa. la città, alle strade polverose una di quelle crisi come islamico armato la ri che attraversa orti fuocate di N’Djamena, ticate che continua, dove si accatastano impata produrvengono capitale. Il secondo uno stillicidio, Incubo fondamentalista e baracche che ingrossare il prezzo dall’acqua to è lui, “Sua Eccellenza”, re rifugiati e a Sul piano interno spazzati via il Déby stagione profughi; a sud, questo è la paraalla il presidente Idriss grancampi tutto anno di ogni in RepubbliterroriQui conviItno che compare confine con la noia diffusa del delle piogge. po’ dapperdove va nere, quello di di manifesti un ca Centrafricana, smo tanto che, vono le popolazioni critirato per un regime tutto con un sorriso gli in scena un conflitto Idriss Déby, è africane e di religione sud, labbra, dal nell’emergenza disegnato sulle vive molti versi incomprensiemigrate che stiana occiespressione capitale è occhiali e una bile; sulla frontiera continua. Nella cola Nigeria agli ocbonaria ma guardinga, dentale, infine, un clima che salta Boko guardando came se si stesse della feroce setta riprechi: c’è una presenza più e agenti, della verde alle spalle. Haram, che a ◀ Vista aerea pillare di militari meno al confine esportare a regione di Koukou, se ha tentato di e non si può fare che solo il di fronte con il Darfur (Sudan) L’equilibrista la sua jihad e di sorprendersi potere dal intervenper l’alIdriss Déby, al dintorni del provvidenziale ai faraonici lavori a tre ▼ Una donna nei Ciad ha messa in di Yaroungou 1990, sopravvissuto attrato militare del largamento e la campo profughi sta crisi, queresidenza colpi di Stato, fermato. Tutte sicurezza della momento potuto versando un ste, che avrebbero questi anni favorevole; in

CAPITALE DELL’HASHISH

L’aspetto romantico e tranquillo di Chefchaouen cela un’economia dinamica e sommersa che ruota attorno al commercio delle droghe leggere. La città infatti si trova nel cuore del Rif, una zona montagnosa dove i contadini berberi coltivano da secoli vaste piantagioni di marijuana, che qui cresce rigogliosa grazie al clima favorevole. Nodo cruciale di un traffico stimato a 8,5 miliardi di euro l’anno (il 10% dell’economia nazionale) e che dà da mangiare a più di 300.000 persone, si ritiene che dalla “perla blu del Marocco” transiti addirittura il 30% dell’erba in circolazione sul pianeta e oltre l’80% della cannabis fumata in Europa. Cifre difficili da verificare, anche perché le autorità non amano affatto che Chefchaouen vanti una fama di città libertina e sregolata. La legge, infatti, punisce chi consuma o commercia l’hashish. Anche per la legge islamica fumarsi una canna resta haram, peccato. Tuttavia, se nelle grandi città vige la tolleranza zero nei confronti dei trasgressori, i divieti appaiono sempre più blandi man mano che si sale sui sentieri tortuosi del Rif.

GLI ULTIM I

La città si presenta come

Una dolce raccolta in cima alla foresta alla località La pista che conduce del Paese. di Sarh, nel sud delle piogge Durante la stagione diventa impraticabile

2 · 2015

VIAGGIO TRA I MOVIMENTI GIOVANILI DEL NUOVO SUDAFRICA

Musica pop, idoli rap, look stravaganti. E tanta voglia di ballare. Tra mode che ritornano e nuovi fenomeni di costume, ecco come cresce la prima generazione sudafricana post-apartheid

Sono cresciuti in un Paese libero, aperto e democratico. Erano ancora bambini quando Nelson Mandela giurò nel 1994 come primo presidente nero del Sudafrica post-apartheid. Sui libri di scuola hanno studiato la terribile storia del regime segregazionista. Ma a differenza dei loro genitori non hanno dovuto lottare per conquistarsi i diritti civili fondamentali. Sono i figli della Nazione Arcobaleno. Dal passato hanno ereditato le diseguaglianze e le contraddizioni di una società profondamente ingiusta. Vivono in un Paese sviluppato e industrializzato – la prima potenza economica dell’Africa – ma molti di loro non hanno un lavoro stabile. Faticano a racimolare quattro soldi per concedersi degli svaghi. Passano gran parte del loro tempo sulla strada, in compagnia degli amici con cui condividono la musica, il

look, il modo di parlare e di atteggiarsi. Ecco una veloce carrellata dei gruppi giovanili emergenti nelle metropoli sudafricane. In Europa e negli Stati Uniti degli anni Sessanta c’erano gli Hippy. Poi è stato il momento di altre tribù metropolitane: Punk, New Wave, Dark, Rockabilly, Mods, Emo… In Sudafrica i protagonisti della scena giovanile hanno nomi diversi. I loro idoli appartengono alla scena musicale pop e rap. Il loro stile strizza l’occhio all’Occidente o, meglio, alle mode in auge negli ambienti afroamericani. Guardano più al futuro che al passato. E vivono pienamente il presente, con tutte le sue contraddizioni. Con il loro modo di porsi esprimono talvolta un malessere, più spesso disagio sociale e voglia di ribellione. Ma anche tanta creatività, desiderio di riscatto e una straordinaria energia propulsiva.

◀ I Vintage sono un gruppo di ballerini che ama giocare con musica e stile. Il loro approccio fa breccia sui giovani di Johannesburg. Provano ogni giorno le loro coreografie sul tetto di un hotel di Johannesburg. «Questa è una città violenta e pericolosa», spiega il leader del gruppo, Lee-Che, 22 anni. «Ma vibra, tanto è piena di energia»

Ballerina ribelle Manthe Ribane, nella foto a destra, è una ballerina, modella e artista di successo. Look ribelle e sorriso contagioso. «L’amore per il ballo mi è stato trasmesso da mia madre, che era anche una bravissima danzatrice – racconta –. Credo di aver iniziato a

tri

Mozart nello slum

SOCIETÀ testo di Collin Bauchet - foto di Eric Tourneret/LightMediation

14 africa · numero

Tribù metropolitane

NAMIBIA NEL REGNO DEGLI HIMBA

guerre, Circondato da e ribelli crisi umanitarie è un Paese jihadisti, il Ciad cruciale per i delicati E appare come equilibri del Sahel. contro l’instabilità un fragile baluardo regione che dilaga nella

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di Lalibela ▲ Nel panorama i pilastri oggi ci sono anche protezioni e i tralicci delle per messe a punto le chiese

Gabon

BIMESTRALE

▼ I villaggi himba sono costituiti da capanne di forma conica, realizzate con frasche legate insieme con foglie di palma e cementate con fango e sterco. Sono pastori seminomadi; una famiglia si sposta due o tre volte in un anno

Chiese rupes

Stregoneria moderna

VIVERE IL CONTINENTE VERO

(in teoria sempre acceso), la casa del capofamiglia e quella di sua madre. Il terzo ingresso conduce al recinto dei buoi sacri, dove dormono i figli adulti. In tutto, la struttura ospita una trentina di persone. La convivenza con il be-

i

Etiopia

Mozambico

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Congo

A. Gandolfi

Professione ranger

RIVISTA BIMESTRALE

resistente a sole e pioggia. La recinzione esterna, dal diametro di una sessantina di metri, è aperta da tre lati, con ingressi protetti da “porte” di spine. Nel settore delimitato dagli ingressi in direzione nord-sud, si trovano il fuoco sacro

Il miele dei Pigme

A. Gandolfi

Sudafrica

N.1 GENNAIO-FEBBRAIO 2015 - ANNO 93

IL TERRITORIO DEGLI HIMBA

La popolazione himba conta oggi poco meno di diecimila individui, diffusi tra il fiume Kunene a nord e il Damaraland a sud. Il loro territorio – il più antico deserto del mondo, risalente a 55 milioni di anni fa – è il Kaokoveld; con una piovosità di 100 mm annui tra ottobre e marzo e temperature variabili tra 0 e 50 °C, si collega a ovest al deserto del Namib della Costa degli Scheletri e a est con il Kalahari. L’unico fiume permanente è il Kunene, le cui acque permettono la vita di una vegetazione endemica in grado di sostenere, anche grazie alle nebbie umide provenienti dalla costa, grandi mammiferi come l’elefante, il rinoceronte nero, la giraffa e, ovviamente, le mandrie di vacche degli Himba.

AFRICA

44 africa · numero 1 · 2015

africa · numero 2 · 2015 27

La città dei fuggiaschi

Case-fattorie L’unità abitativa degli Himba è circolare. Circondata da una fitta siepe di rami spinosi, certifica la convivenza tra uomo, animali e antenati, considerati una singola unità famigliare. Al centro c’è il bestiame, la sopravvivenza del pastore. Tutt’attorno sono disposte le capanne a forma di pan di zucchero, con un’intelaiatura in legno d’acacia ricoperta da un impasto di fango e sterco di vacca, a costituire una superficie

L’ECCEZIONALE africa · numero

5 · 2015 15

REPORTAGE CHE DOCUMENTA LA RACCOLTA DEL MIELE DEI PIGMEI BAKA

Dichiarata dall’Unesco Patrimonio

La parte antica della città è

RE D’AFR ICA

Il quartiere di Souika è

un villaggio dalle casette blu Mondiale dell’Umanità, aggrappata ai fianchi della il nucleo più antico della tà dominante per le porte sco nel 2010 Patrimonio e i tetti di tegole rosa. Chefchaouen è rimasta fuori montagna. Nel punto più alto città. Il suo nome significa e le finestre. La tradizioMondiale dell’Umanità, La scelta del blu non dalle principali rotte turistiche ci sono le sorgenti di Ras “piccolo mercato”, perché ne è rimasta pressoché Chefchauoen è diventata avrebbe, tuttavia. una del Marocco. Il centro città è el-Maa e la piazza di Uta un tempo ospitava le motivazione estetica. inalterata fino ai giorni un irresistibile magnete: la piazza di Uta el-Hammam, el-Hammam bancarelle del primo suq. Esso è usato per allontanare dove si trovano una splendida Ora il commercio si sviluppa nostri, con l’importante non tanto per foreste le comitive Nelle del Congo gli insetti fortezza e una moschea con torre nelle botteghe che si novità che oggi la pittura di vacanzieri stranieri all i Pigmei si arrampicano a base ottagonale. All’interno affacciano sui vicoli azzurra viene utilizzata inclusive che preferiscodella casba ci sono bellissimi su alberi fino più per richiamare i turino ammassarsi trasecolari le Citgiardini rigogliosi sti che per allontanare gli tà Imperiali e Marrakech,altezze a raggiungere insetti. quanto per fotografi in cervertiginose. solo die tizzoni ardenti La fama della “perla blu” ca diArmati scatti suggestivi per del Marocco ha affrontano fatto il giovani viaggiatori di ogni gli sciami di api per raccogliere giro del mondo. I suoi nazionalità che – zaino colori da favolail –miele gli selvatico in spalla – si arrampicastessi usati per abbellino sulla cordigliera del re le cupole delleIchiese per granritrovare di unPigmei po’ Baka, al confiPigmei, Rift piccoli delle isole grechedicome pace… o per stordiruomini di delle foreste ne tra Congo, Camerun e Santorini – sono dell’Africa divensi coi fumi dell’hashish, centrale, sono Centrafrica. tati un inconfondibile coltivato della in gran quantiautentici scienziati segno di riconoscimentà tutt’attorno miticasorte natura: conoscono i se- allaBuona to. Dichiarata dall’Unecittà del blu. greti di ogni pianta e le La raccolta del miele è abitudini di ogni animauna tipica attività maschi70 africa · numero 5 · 2015 africa · numero 5 · 2015 71 LA diFORTUNA le. Vivono caccia e di le e viene effettuata solo Gnomi, raccolta, in simbiosi con DEI in PICCOLI alcuni periodi dell’anfolletti, spiritelli: dall’antichità che circostante. l’ambiente Nel fin no, principalmente duranhanno storpiato l’umana fantasia da venire crescita assimilato, corso dei secoli hanno af-l’immagine te la dei stagione secca e le ha dato vita a innumerevoli è rimasto la loro mentalità, nelper lungo tempo Pigmei. Lo strano meccanismo leggende finato hanno delle scoperto straordinarie prime piogge (da febbraio un affascinante chimico che a un e nel primo che la bassa principio vitale. segreto. Solo frena la loro riscontrata pomeriggio statura è Il tecniche di sopravvivena maggio). miele è uno Per assinei soggetti trent’anni fa dovuta quando il , curarsi una a alla metà, gli scienziati – sicooperazione brusio delle tratta di una ricca raccolta, nanismo. Ma baseun’anomalia ciò vuole za e di in affetti deidanutrimenti per ormonale, identica api si fa più particolarità i Baka fanno dire per Pigmei che nelle vicinanze di un lentola giungla, a quella funzionale, intenso. Lo – hanno ricorso a riti un ambiente, l’alimentazione dei ibamprocesso di una sorta studioso Serge esiste scaramantic un nido». evoluzione darwiniana di regalo della osservato gli scienziati della VECCHI PREGIUD luce popolazioni i e alla reaBahuchet che le altre bini e dunque è molto imsolare di cui natura, o forse ha svelato lizzazione (gli alberi l’organismo crescita del un’ingegnos Per molto tempo IZI di ha bisogno considerano pericoloso e portante per i Baka, tantodella foresta lasciano il risultato tessuto osseo). tecnica di a ticci. Prima potenti fei Pigmei sono per sintetizzare Acrobati temerari filtrare poco spostamenti ricerca mesdi selvaggi e di partire stati considerati la vitamina inospitale. La raccolta del In ogni caso, l’altezza e nella caccia. primitivi. Il loro sa a punto in foresta, gli D necessaria Una volta ridotta li rende e la relativa dai lungo isolamento un popolo uomini alla individuato miele selvatico mette in più agili nei mancanza di del Centrafrica Pigmei no, con cortecce si fannella foresta l’alveare, loro continui contatti hanno dato i Pigmei si : «Gli risalto le loro grandi caorigine nel passato con le altre etnie uomini esaminano dei braccialetti, e liane, arrampicano africane dipingevano ad assurde collane sull’albero, i repacità e conoscenze. Lo come sti dell’aliment cinture vegetali leggende che o animali bruttissimi, aggrappand lunghe code. li osi alle liane, che servipericolosi, con L’ignoranza testimoniano le immagini una particolareazione di ranno per portarsi puntellando e l’arroganza delle bianchi hanno si con l’aiuto appresdei primi osservatori di formiche… qualità di questo reportage reacontribuito ad so la “buona di un’ascia le loro attitudini alimentare il sorte”. e sostenendos di microscopi Si tratta pregiudizio lizzato tra una comunità intellettuali La difficoltà con una resistente i circa mente che e spirituali: ci residui la piccola statura si pensava stupidad’insetti. sta nel trovare maggiore di fibre vegetali cintura Se una cultura altrettanto ridotta. delle persone comportasse zione in cui la proporche parlano”, gli “alberi torna il tronco. che conPigmei africani si trovano Oggi nei libri L’ascesa resti di ape i sono descritti di alberi su cui ovvero gli può durare natura e il loro è superiore come autentici antropologia i sono situati anche un’ora. straordinario gli alveari, scienziati della Raggiunto ecosistemi forestali bagaglio di individuabi l’alveare, conoscenza per il ronzio li che non finisce sugli di stupire gli È necessario delle api. studiosi. ◀ Pigmei Baka con attenzione ascoltare mostrano mostrano i e scrutafavi ▶ Il reporter re le cime dalla sommità appena raccolti francese Eric delle piante. Tourneret, di un albero. I momenti autore di questo Il miele viene propizi per reportage, da loro assimilato imbracato a un principio la ricerca ai rami di un albero vitale. La sua sono all’alba in compagnia raccolta esalta le capacità individuali e di cooperazione. Nessuna donna baka poserebbe un uomo incapace di raccogliere il prezioso nutrimento

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Alessandro Gandolfi/Parallelozero

◀ Veduta dall’alto di un accampamento baka. Le tipiche capanne dei Pigmei a forma di igloo hanno un telaio costituito da arbusti flessibili, ricoperto da foglie che proteggono impermeabili dalle frequenti piogge

AFRICA N. 3 MAGGIO-GIUGNO 2015 - ANNO 94

RIVISTA BIMESTRALE

WWW.AFRICARIVISTA.IT

un pigmeo di baka, ha fotografato in condizioni quasi proibitive, circondato da sciami di api e in bilico a cinquanta metri di altezza

▶ La fortunata raccolta del miele viene celebrata la sera nell’accampam ento con danze e canti che ringraziano Jengi, il dio della foresta ▼ L'interno di una capanna realizzata con foglie e arbusti intrecciati

MISSIONE • CULTURA

54 africa · numero 5 · 2015

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Centrafrica

Reportage esclusivo

50 africa · numero

5 · 2015

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africa · numero

L’Orchestre Symphonique Kimbanguiste di Kinshasa, con i suoi ottanta musicisti congolesi, tutti autodidatti, ha festeggiato vent’anni di concerti con un tour mondiale. E il suo maestro è entrato nella storia

DELL’AFRICA

5 · 2015

51 In principio c’erano solo sei coriste, un contrabbasso e quattro violini. «Quando si rompeva una corda, prendevamo il cavo dei freni di qualche bicicletta», ricorda il maestro Diangienda. «Ad essere sinceri, non avevamo la minima idea di come si suonassero quei

in grado di suonare alla perfezione le più sofisticate sinfonie di Bach, Mozart, Beethoven, Ravel e Händel.

vecchi strumenti recuperati da amici in Europa. Provavamo alla sera, con la luce delle lampade a petrolio, sotto la tettoia della nostra chiesa. Nessuno di noi sapeva leggere le note, usavamo l’orecchio e l’intuito. Cercavamo di riprodurre i suoni ascoltati dalle audiocassette e copiavamo le posizioni delle mani dalle foto sui libri». Vent’anni dopo, l’Orchestre Symphonique Kimbanguiste, nata per animare le celebrazioni domenicali di una chiesa a Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo, è composta da ottanta musicisti autodidatti che sono

▲ Nell'orchestra suonano meccanici, insegnanti, farmacisti, lattonieri, commercianti…

Un pilota miracolato «La musica fa miracoli», sorride compiaciuto Armand Diangienda, 51 anni, il fondatore dell’orchestra,

Kinshasa Symphony

ARCHITETTURA POESIA DI FANGO Il maestro Armand Diangienda, ex pilota d’aereo, direttore d’orchestra autodidatta, riceve gli applausi al termine di un recente concerto tenuto a Monaco. Diangienda è nipote del compianto leader religioso Simon Kimbangu, martire della lotta anticoloniale, autoproclamatosi nel 1921 «Profeta di Cristo» e fondatore della Chiesa che porta il suo nome

ex pilota di linea. «Ho abbandonato i cieli nel 1992, dopo essere miracolosamente sopravvissuto, unico superstite, a uno schianto con il mio aereo sulle colline vicino alla città di Goma. «Quando mi hanno estratto vivo dalle lamiere sentivo di essere debitore nei confronti di Dio. Decisi allora di unire alla preghiera la forza della musica». Radunò un manipolo di fedeli della Chiesa kimbanghista (una confessione cristiana che oggi vanta circa 5 milioni di seguaci africa · numero 2 · 2015 65

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Luoghi comuni «Ehi amico, cosa vedi?» «Un turista occidentale su una spiaggia di Dakar» «Ti sbagli: è un portafoglio che cammina». Conosco Mamadou da vent’anni e ho imparato a non raccogliere le sue provocazioni. Di mestiere fa la guida turistica e ha la lingua tagliente e corrosiva, quando la usa per parlare dei “bianchi”. In Senegal li chiamano toubab, una parola wolof dai toni marcatamente spregiativi. Tempo fa hanno pubblicato a Dakar un opuscoletto che disegna l’identikit del tipico toubab a partire dalle descrizioni raccolta da tassisti, commercianti, camerieri, accompagnatori turistici. Ecco cosa si racconta: «I toubab vogliono sempre scoprire tutto in un solo colpo, le cose che sembrano meno importanti per noi sono quelle che attirano di più la loro attenzione». «Sono facili da identificare: macchina fotografica, cappello, occhiali da sole e ignoranza totale di tutto ciò che vedono». «Sono persone ricche, che non si interessano della qualità delle cose. E pensano di poter ottenere tutto grazie ai soldi». «I peggiori sono i filantropi. Dicono di essere venuti in Africa per aiutarci, e forse lo pensano davvero. Ma è evidente a tutti che sono venuti per aiutare se stessi». Una carrellata di giudizi caustici e sconfortati. Non è mica colpa dei senegalesi se l’immagine che i bianchi esportano e ostentano è quella da loro descritta. Chiunque si sia recato almeno una volta in Africa sa bene che il colore della pelle non è un dettaglio di poco conto. Il bianco è spesso associato all’immagine stereotipata del ricco prepotente, del turista assetato di eso-

tismo, del benefattore a cui spillare soldi. Ma non tutti i bianchi sono uguali. E va ricordato a chi ha lo sguardo annebbiato dai pregiudizi. Proprio come ogni africano che arriva in Europa è diverso dall’altro e desidera giustamente di non venire marchiato a vita come “un migrante economico”, “un profugo” o un “pericoloso islamista”. Sbarazziamoci dei nostri luoghi comuni venati di razzismo, ma esigiamo che anche gli africani facciano lo stesso nei nostri confronti. A ben guardare, bianco e nero hanno in realtà mille sfumature diverse. Tocca a ciascuno di noi scoprirle e mostrarle. Marco Trovato

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 30 € · formato digitale (pdf) 20 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 40 Chf · rivista cartacea (Estero) 45 € · rivista Cartacea+digitale (Italia): 40 € · rivista Cartacea+digitale (Svizzera): 50 Chf · rivista Cartacea+digitale (Estero) 55 €

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I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

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Michel Kafando Presidente di transizione del Burkina Faso, è stato rovesciato da un golpe il 17 settembre, ma dopo solo sei giorni è tornato in carica a furor di popolo (e di esercito).

Jacob Zuma Dopo essersi rifiutato di arrestare Omar al Bashir, leader sudanese accusato di crimini di guerra, il presidente del Sudafrica ha anche annunciato di volersi ritirare dalla Corte penale internazionale.

ETIOPIA, RISCHIO SICCITÀ? Secondo gli esperti Onu, 15 milioni di persone in Etiopia sono minacciate dalla siccità causata dal fenomeno meteorologico chiamato El Niño. Il Palazzo di vetro punta il dito contro le autorità di Addis Abeba che stanno tenendo sotto silenzio questa emergenza e non diffondono i

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dati sulla malnutrizione che, secondo fonti indipendenti, ha già colpito Dancalia e Ogaden. SUDAFRICA, MATRIMONIO TRA BIONDE Il colosso belga Ab Inbev, leader mondiale nella prodizione della birra (tra i suoi marchi Stella Artois e Becks), ha avviato trattative serrate con la sudafricana SabMiller

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a cura di Enrico Casale NEWSNEWS

(proprietaria di Peroni) per dar vita a una fusione tra le due aziende. La loro unione creerebbe una multinazionale da 64 miliardi di dollari. IL SATELLITE DI FACEBOOK Mark Zuckerberg, fondatore di Facebook, ha annunciato il lancio di un satellite geostazionario in partnership con la società europea Eutelsat, che permetterà a decine di milioni di africani che vivono in aree remote di poter avere accesso a Internet ad alta velocità entro il 2016. Grazie al satellite, i prezzi saranno inferiori a quelli offerti dai normali gestori delle linee terrestri.

IL BOTSWANA RIAPRE LA CACCIA? Due anni fa, il Botswana aveva vietato la caccia grossa per promuovere la conservazione faunistica. Ma ora potrebbe ritornare sui suoi passi. Leoni, elefanti e bufali si sono moltiplicati e ora minacciano la popolazione dei villaggi. Il governo di Gaborone sta valutando la riapertura dell’attività venatoria, che permetterebbe a parchi e riserve di sfruttare il turi-

smo dei cacciatori che in passato assicurava il 15% delle entrate. EGITTO, LA TOMBA DI NEFERTITI Il governo egiziano va alla caccia della tomba di Nefertiti nell’antica città di Luxor. Il ministro delle Antichità ha accolto la teoria dell’egittologo britannico Nicholas Reeves secondo cui il sarcofago della regina sarebbe alle spalle di quello di Tutankamon e ha promesso che

entro tre mesi l’Egitto avrà l’impianto radar necessario per individuarla. CENTRAFRICA, ELEZIONI RINVIATE In Centrafrica si sarebbero dovute tenere le elezioni il 18 ottobre, ma l’instabilità politica e militare ne rende impossibile l’organizzazione. Così la presidente Catherine Samba-Panza, nella foto, ha annunciato un rinvio sine die delle elezioni. Sono circa seimila i centrafricani uccisi dallo scoppio della guerra


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civile nel 2013 e un milione di persone si è rifugiato all’estero. LA CHIESA RIFORMATA APRE AI GAY In Sudafrica, la Chiesa riformata olandese ha deciso di riconoscere i matrimoni gay. Il fatto è curioso perché si tratta di un’istituzione tradizionalmente conservatrice. Ai tempi dell’apartheid era considerata l’anima religiosa del regime afri-

kaner, i suoi vertici arrivarono addirittura a giustificare la discriminazione dei neri citando brani della Bibbia. SUD SUDAN,

31 La nuova linea tranviaria di Addis Abeba, la prima nell’Africa sub-sahariana, sarà lunga 31 km e i treni potranno percorrerla alla velocità di 70 km/h.

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LA FRASE

Le dichiarazioni secondo cui l’Africa è stata esplorata sono avventate come le notizie della sua morte imminente. Un’indagine davvero illuminante sull’Africa deve ancora avere luogo.

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Wole Soyinka scrittore e poeta nigeriano, primo intellettuale dell’Africa a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura nel 1986 individuale. Un successo che, oltre al valore sportivo, ha una forte valenza sociale in un Paese come la Nigeria nella quale la piena emancipazione della donna è un obiettivo ancora lontano. ARRIVA IL CAFFÈ Il Sud Sudan, la più giovane nazione al mondo (2011), è noto per il cruento conflitto civile che dura da quasi due anni. Meno conosciuta è la sua produzione di caffè, la cui pianta cresce allo stato selvatico nelle montagne Imatong e sull’altopiano di Boma. Ora TechnoServe, un’organizzazione non profit che aiuta i piccoli agricoltori, è riuscita ad esportare questo pregiato caffè in Francia e presto potrebbe farlo arrivare in Italia. TUNISIA, PRIMATO MONDIALE DI OLIO Nella stagione 2014-2015, le esportazioni di olio d’oliva tunisino hanno raggiunto la quota record di 300mila tonnellate, per un valore di oltre 900 milio-

ni di euro. In base a questi risultati, la Tunisia è diventata il maggiore esportatore mondiale di olio di oliva, scavalcando la Spagna. NIGERIA, CAMPIONESSE SUI PEDALI Le cicliste nigeriane del Rivers State (vedi Africa 3/2015) hanno vinto la medaglia d’oro nella gara a cronometro degli All African Games tenutisi a settembre a Brazzaville (Congo). La sprinter Tombrapa Gladys Gripa è arrivata seconda nella gara

MAROCCO, NIENTE IKEA Le autorità marocchine hanno bloccato lo sbarco dell’Ikea a Casablanca. Secondo i giornali locali,

lo stop al colosso dell’arredamento sarebbe una ritorsione per la posizione che la Svezia sta tenendo sulla questione del Sahara Occidentale: il Governo di Stoccolma, infatti, ha preparato un disegno di legge per il riconoscimento della Repubblica Araba Saharawi Democratica, il cui territorio viene considerato da Rabat parte integrante del Marocco. africa · numero 6 · 2015 5

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ATTUALITÀ di Sergio Ramazzotti/Parallelozero

Bambini in vendita

BENIN, REPORTAGE DA COTONOU SUL VERGOGNOSO TRAFFICO SCHIAVISTA DI BABY LAVORATORI

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July è stato rapito e ridotto a uno schiavo. Joël era il capo di una gang che sequestrava e vendeva bambini. I loro racconti squarciano il velo del silenzio sull’agghiacciante fenomeno della tratta dei minori tra Benin e Nigeria Quando raccontano di sé, July e Joël balbettano e si torcono le mani che sembra vogliano romperle. L’uno per la vergogna, l’altro per il dolore, entrambi per un passato spaventoso. Probabilmente non si sono mai conosciuti, ma potrebbe anche essere successo, per quanto in quel caso non avrebbero mai saputo l’uno il nome dell’altro: perché July aveva circa sette anni ed è stato uno dei tanti piccoli portati dal Benin in Nigeria e venduti come schiavi; Joël era il capo di una gang di Cotonou che li rapiva per portarceli – per lui, quei bambini erano «pezzi di carne». Un nome l’avevano, «ma era meglio non saperlo». Trenta euro Un tempo il Benin si chiamava Dahomey, ed era noto per la qualità dei suoi schiavi. Ma gli schiavi sono ancora il principale prodotto d’esportazione del Paese: cambiano solo l’età (oggi sono bambini), il mezzo di trasporto (l’automobile) e la destinazione (la Nigeria). I trafficanti li cercano soprattutto nei grandi mercati della capitale Porto-Novo, di Cotonou e di Sèmè-Kraké, che pullulano di bambini di strada.

Talvolta riescono a convincere i genitori a venderli. Battono i villaggi più poveri, promettono lavoro ben retribuito, tolgono alla famiglia il peso di una bocca da sfamare: c’è chi si è portato via un bimbo per l’equivalente di trenta euro. Anche la carne di seconda scelta, in Benin, al chilo si vende più cara. A volte – sembra essere il caso di July – sono i genitori a entrare in contatto coi trafficanti per liberarsi di un figlio di troppo. La Nigeria, al di là di un confine fra i meno presidiati del pianeta, è enorme, ricca, corrotta: la domanda di schiavi è sempre alta. Il Ministero beninese della Famiglia stima che i minori vittime di tratta siano fra i 50.000 e i 200.000 l’anno. La maggior parte di loro sparisce per sempre.

molto più di quanto si possa sopportare di leggere. Joël: «Nei ghetti di Cotonou ognuno ha la sua specialità. La nostra era prendere bambini. Li dovevamo procurare a certa gente che se li portava in Nigeria. Li prendevamo di notte, qui nel quartiere, fra i bambini di strada o nei villaggi fuori mano. Poi, sempre di notte, li portavamo nella foresta dove ci davano appuntamento i nigeriani. In foresta non c’è controllo, si può passare dal Benin alla Nigeria tranquillamente. Venivano in macchina, caricavano i bambini, ci sganciavano i soldi e arrivederci alla prossima. Non so bene cosa ci facessero, con tutti quei bambini. Noi li prendevamo e basta». July: «Non dimenticherò

mai quel che mi è successo. I miei genitori avevano dei problemi fra loro. Litigavano in continuazione. Io non capivo perché, ero molto piccolo. Un giorno mio padre mi ha detto: domani verrai con me e andremo da tua nonna, in Nigeria. Papà mi aveva detto che la nonna viveva là perché mia madre era nigeriana, ma io non l’avevo mai conosciuta. Non so nemmeno se mia madre fosse davvero della Nigeria. Così mio padre mi ha lasciato a quella donna che non sapevo chi fosse. Sono ▼ Porto Novo, rifugio Don Bosco per ex ragazzi di strada. Molti dei giovani aiutati dai missionari mostrano una forte aggressività dovuta agli abusi e alle violenze subiti sulla strada

Cacciatore di bambini July Hodonou, 19 anni, e Joël Douango, 26, non sono spariti: sarebbe potuto accadere a entrambi, vittima e carnefice, anche se per motivi molto diversi. Le loro storie sono di quel genere che non vorresti mai ascoltare. Né avremmo mai pensato di poterle trascrivere in questo secolo. Eccole: dicono tutto quel che c’è da dire, e africa · numero 6 · 2015 7



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ATTUALITÀ testo di Ugo Forti - foto di Sven Torfinn/Panos Pictures/Luz

Le vittime del rame

IL CROLLO DEL PREZZO DEL METALLO ROSSO HA MESSO IN GINOCCHIO LE MINIERE DELLO ZAMBIA

12 africa · numero 6 · 2015


Nel sottosuolo della Zambia migliaia di minatori estraggono il rame per l’industria mondiale. Ma il rallentamento dell’economia cinese e la flessione delle quotazioni del minerale mettono a rischio il loro lavoro La notizia, arrivata a metà settembre, ha sconvolto migliaia di lavoratori. Il gigante minerario Glencore, di proprietà mista sudafricana - australiana, ha annunciato la chiusura per almeno diciotto mesi della miniera di rame di Mopani, nello Zambia meridionale. Nell’arco di poche ore anche il gruppo minerario di proprietà cinese Luanshya Copper Mines ha annunciato la chiusura di un’altra miniera nel Paese. La sospensione delle attività estrattive nei due siti zambiani è stata motivata con la flessione della richiesta del metallo rosso, dovuta essenzialmente al rallentamento dell’economia cinese (Pechino assorbe il 40% dei consumi globali). In effetti nell’ultimo anno nel mondo si è prodotto più rame di quanto il mercato ne avesse bisogno. E ciò ha provocato il crollo del prezzo. Con la chiusura delle miniere africane, la Glencore rimuoverà dal mercato 400.00 tonnellate di catodi di rame: una quantità che, secondo alcuni analisti, potrebbe sufficiente a cancellare l’attuale condizione di eccesso di offerta. Chi pagherà lo scotto di questa decisione sono migliaia

di minatori zambiani che resteranno per un anno e mezzo senza stipendio (riceveranno un sussidio di disoccupazione di circa 80 euro mensili a fronte di un mancato salario di 300 euro). Bomba sociale Ad aggravare la loro situazione hanno contribuito altri due fattori interni. Primo, il deficit energetico: i più importanti impianti estrattivi presenti in Zambia hanno registrato nei mesi scorsi frequenti cali di corrente che hanno costretto alcune compagnie, come la cinese Nfc Mining, a fermare le operazioni estrattive. Secondo, l’aumento delle tasse: il governo di Lusaka ha infatti deciso di triplicare l’imposta sui profitti delle aziende impegnate nell’estrazione del metallo, portando l’aliquota dal 6 al 20% per le miniere a cielo aperto e dal 6 all’8% per le miniere in profondità. Il tributo sul rame è destinato ad avere pesanti ripercussioni per il settore minerario, che vale il 12% del Pil dello Zambia e dà lavoro a una persona su dieci. Le società che gestiscono le miniere hanno fatto sapere che l’aumento delle tasse e la conseguen-

◀ Un gruppo di minatori della società NFca (Non-Ferrous Company Africa) al lavoro nelle gallerie sotterranee della miniera di Chambishi, colpita dalla crisi del rame. La valuta dello Zambia, il kwacha, è crollata del 30 per cento fino ai suoi minimi storici

▲ Le miniere e le fonderie della regione del Copperbelt sono state più volte teatro di scioperi e mobilitazioni di migliaia di operai contro i colossi estrattivi cinesi, accusati dai sindacati di sfruttare la manodopera con turni massacranti e stipendi inadeguati

te riduzione del margine di profitto potrebbe «indurre a giudicare gli investimenti non redditizi», minacciando di dirottarli altrove. La temporanea sospensione delle attività estrattive, motivata dalla congiuntura mondiale

sfavorevole, è un chiaro segnale che i colossi stranieri del rame hanno voluto dare al Governo di Lusaka, guidato dal presidente Edgar Lungu: se chiudono le miniere è a rischio la stabilità sociale del Paese. africa · numero 6 · 2015 13


ATTUALITÀ a cura della redazione

Un 2015 in chiaroscuro

L’ALBUM FOTOGRAFICO DEGLI EVENTI CHE HANNO SCOSSO IL CONTINENTE

1 BURKINA FASO Ottobre 2014. Alcuni manifestanti festeggiano il successo della rivoluzione burkinabè negli studi del telegiornale della tivù di Stato. Un anno dopo, un golpe militare tenterà di soffocare la voglia di democrazia 14 14 africa · numero 6 · 2015

africa · numero 2 · 2015



ATTUALITÀ testo di Antonella Palmieri - foto di Marco Garofalo

Luanda, i miraggi dell’eldorado

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DOPO ANNI DI BOOM ECONOMICO, L’ANGOLA È ALLE PRESE CON UNA DIFFICILE CRISI CHE ALIMENTA LE TENSIONI

L’economia angolana subisce la caduta del prezzo del petrolio, le casse dello Stato piangono, i cantieri sono fermi. A Luanda crescono solo disoccupazione, inflazione, diseguaglianze sociali. E la repressione del governo La cupola del nuovo Parlamento angolano si staglia ai piedi della cidade alta, il quartiere di Luanda dove ha sede il palazzo presidenziale e alcuni dei ministeri più importanti. Per costruirlo sono stati necessari quasi 200 milioni di dollari e oggi avrebbe dovuto già essere operativo, ma nelle casse del governo non ci sono più soldi, neanche per comprare gli arredi. Cattedrali nel deserto Il nuovo Parlamento, splendente e barocco fuori, scheletrico dentro, sembra lo specchio di ciò che è diventata la nuova Angola, un Paese che negli ultimi dieci anni, grazie al caro petrolio, ha avuto un boom economico a due cifre, ma che oggi, col prez-

Marco Trovato

zo del greggio dimezzato, vede l’opulenza di quel tenore di vita sgretolarsi. Per anni i rappresentanti della Banca mondiale che si sono succeduti a Luanda hanno tenuto decine di conferenze in cui invitavano il governo a diversificare l’economia, e per quanto gli stessi governanti si siano impegnati più volte a farlo, promettendo fondi all’industria e di aprire il Paese agli investimenti stranieri, una grossa fetta del Pil angolano è rimasta ancora legata alle entrate del petrolio. Una fortuna, fino a quando le compagnie petrolifere straniere arrivavano nel Paese cariche di miliardi di dollari: la spesa pubblica era andata quasi fuori controllo, facendo salire a dismisura l’inflazione e rendendo Luanda una delle città più care al mondo.

◀ Le spiagge dell’Angola attraggono tanti appassionati di surf, anche tra i giovani immigrati portoghesi che hanno visto nell’ex colonia un’opportunità di lavoro e di fuga dalla crisi. Ma a Luanda la maggior parte della popolazione vive in baracche e i giovani dello slum di Sambizanga giocano a calcio tra le fogne a cielo aperto africa · numero 6 · 2015 19



Jinping (alle prese anche lui con i problemi del rallentamento dell’economia) ricordando l’amicizia fra i due Paesi e gli ha chiesto in prestito altri 4 miliardi di dollari. La Cina ha acconsentito, ma ha chiesto, oltre alla solita contropartita del petrolio, sempre più commesse nel Paese. «In Angola le costruzioni sono quasi tutte ferme, ma quel poco che si costruisce viene fatto dai cinesi – racconta rassegnato Álvaro, un imprenditore locale –; decine di aziende straniere hanno già mollato tutto e sono partite, mentre la Cuca, che produce la birra locale, vorrebbe spostare la produzione in Portogallo, con il risultato che centinaia di posti di lavoro andrebbero persi». La fiducia della gente è in calo e basta poco per scatenare l’isteria collettiva. Il mese scorso, per alcuni giorni le stazioni di benzina sono state inaccessibili perché si era diffusa la voce che il prezzo della benzina sarebbe salito da 0,80 a 1,30 euro al litro. Folle di angolani si sono riversate in panico alle pompe, proponendo scene che non si vedevano dalla fine della guerra. Davvero un brutto presagio. ▶ Kilamba, la città creata dai cinesi a 20 chilometri dalla capitale: i palazzi con appartamenti da 140.000 euro sono semidisabitati ▶ Il locale chic Oon.dah di proprietà della figlia del presidente angolano, Isabel dos Santos: la donna più ricca d’Africa ▶ Un mercato informale alla periferia di Luanda africa · numero 6 · 2015 21


ATTUALITÀ di Enrico Casale

Un mondo a parte

IN SUDAFRICA C’È UNA CITTADINA ABITATA SOLO DA BIANCHI AFRIKANER, COME AI TEMPI DELL’APARTHEID…

22 africa · numero 6 2 · 2015 Per-Anders Pettersson/Luz


Gli abitanti di Orania sono tutti sudafricani di origine olandese, parlano la lingua afrikaans e celebrano con nostalgia i leader storici boeri che crearono le leggi segregazioniste

I neri? «Non abbiamo nulla contro di loro, ma qui abitano solo bianchi». Mandela? «È venuto da noi, ma preferiamo ricordare Verwoeder». Il rand? «Lo utilizziamo, ma abbiamo la nostra moneta». L’inglese? «Non è la nostra lingua». Benvenuti a Orania, l’ultima enclave interamente e orgogliosamente afrikaner del Sudafrica. Una micro-volkstaat, cioè un piccolo Stato boero, a metà strada fra Città del Capo e Johannesburg. Le accuse di razzismo non toccano gli abitanti, che ribattono proclamando il loro desiderio di autonomia e di selfwerksaamheid (autosufficienza).

Ragazze afrikaner in abiti tradizionali in una fattoria di Orania. Alcuni residenti di questa comunità nella provincia del Capo Settentrionale sono discendenti degli ideatori dell’apartheid

Razzisti a chi? La storia di questa anomalia del Sudafrica moderno inizia nel 1990, quando l’apartheid è in vigore e la popolazione nera è ancora discriminata. Nel dicembre di quell’anno, un gruppo di una quarantina di famiglie afrikaner (cioè discendenti dai primi colonizzatori di origine olandese, francese e tedesca) acquista un lotto di 430 ettari sulle sponde del fiume Orange. Per i Boeri è una località leggendaria: da queste parti i loro avi combatterono gli ingle-

si. E poi è una zona ricca d’acqua, con un terreno fertile. Guidati da un certo Carel Boshoff, genero di Hendrik Frensch Verwoerd, considerato l’architetto del sistema di apartheid in Sudafrica, formano una piccola comunità che, con la fine della segregazione, si isola sempre di più. Le regole per chi ne vuole far parte sono molto rigide. I residenti devono essere veri Afrikaner, cioè discendenti dei Boeri, devo-

▲ La bandiera di Orania. Il simbolo è un giovane boero che si rimbocca le maniche ▼ Due coltivatori si recano a piedi, con la Bibbia in mano, alla chiesa per il culto domenicale. Gli abitanti di Orania non vogliono manodopera che non appartenga alla comunità afrikaner ▼ Il curatore del Museo sulla cultura afrikaner di Orania, Gideon de Kock. «In questa città la delinquenza non esiste – afferma con orgoglio –, mentre il resto del Sudafrica è in mano a banditi e criminali»

Per-Anders Pettersson/Luz

Afp

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▶ Contadini di Orania si rilassano al termine di una lunga giornata di lavoro nei campi. La città è stata fondata nel 1991 da un gruppo di sudafricani bianchi, all’indomani della liberazione dal carcere di Nelson Mandela. Molti residenti accarezzano il sogno di creare una vera e propria repubblica afrikaner ▶ L’allevatore di pecore Freddie West con il suo animale preferito, Hans, nella sua fattoria di Orania. Qui vive un migliaio di persone, tutte di origine olandese

Per-Anders Pettersson/Luz

▼ Lavoratori impegnati nella raccolta dei meloni a Orania, provincia del Capo Settentrionale. Ogni estate centinaia di braccianti – rigorosamente afrikaner – vengono da ogni parte del Sudafrica per lavorare nei campi. La paga mensile: 150 euro per 6 ore di lavoro al giorno

Per-Anders Pettersson/Luz

Per-Anders Pettersson/Luz


SOCIETÀ testo di Marco Trovato - foto di Kris Pannecoucke

Il viaggio

NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL

In un Paese grande otto volte l’Italia, con pochissime strade asfaltate, consegnare ogni mese un milione di buste paga ai dipendenti pubblici è impresa quasi proibitiva. Il governo di Kinshasa ha trovato la soluzione Per decenni i dipendenti pubblici della Repubblica democratica del Congo, il già Zaire, hanno atteso l’arrivo dello stipendio con trepidazione e angoscia. Solo pochi funzionari incassavano a fine mese il loro emolumento sul conto bancario. La quasi totalità

degli impiegati statali – un milione di lavoratori e lavoratrici tra i più vessati al mondo – veniva ricompensata in contanti, dal proprio superiore. E non di rado il rito della riscossione era accompagnato da amare sorprese: ritardi paurosi, decurtazioni in-

CONGO I SALARI DEGLI STATALI PERCORRONO STRADE TORTUOSE

giustificate, sospensioni dei compensi per mancanza di liquidità nelle casse dello Stato. Catena umana In una nazione grande quanto l’intera Europa occidentale, con 2.800 chilometri di strade asfal-

tate in tutto (l’Italia ne ha 900.000), gli addetti amministrativi del Tesoro hanno dovuto ingegnarsi non poco per far giungere a destinazione le retribuzioni di insegnanti, medici, infermieri, militari, pensionati e burocrati sparsi negli angoli più

Gli stoici bancari della Trust Merchant Bank percorrono le dissestate strade del Congo per consegnare le buste paga dei dipendenti pubblici. Lo scorso mese un convoglio che trasportava i salari è stato assaltato nell’Est del Paese. Nell’imboscata hanno perso la vita 13 persone


dello stipendio sperduti del Paese. Fino a poco tempo fa, le buste paga passavano di mano in mano, attraverso una catena umana lunga quanto il viaggio che dalla capitale Kinshasa si snodava fino alle remote province nordorientali del Congo. I pacchi di soldi viaggiavano su auto o moto sgangherate, lungo piste sterrate che la stagione delle piogge trasformava in micidiali trappole di fango. Mazzette di banconote, nascoste in anonime buste, attraversavano fiumi impetuosi su piroghe o ponti traballanti. Là dove le strade diventavano impraticabili, il loro

Una donna osserva le pile di banconote dei salari. Il rito della riscossione in Congo è accompagnato da amare sorprese: ritardi paurosi, decurtazioni ingiustificate, sospensioni dei compensi per mancanza di liquidità nelle casse dello Stato

cammino proseguiva grazie a infaticabili galoppini che, a piedi o in bicicletta, facevano giungere il malloppo a destinazione. Buste alleggerite Alla fine del viaggio, che poteva durare da una a quattro settimane, i salari venivano affidati ai funzionari della zona più alti in grado della scala gerarchica, i quali avevano il compito/privilegio di recapitarli ai loro sottoposti. La carenza di controlli e la diffusissima corruzione facevano sì che i compensi venissero drasticamente alleggeriti dagli interme-

diari che si avvicendavano lungo il percorso. Chiunque fosse coinvolto nelle spedizione dello stipendio pretendeva un balzello, una sorta di pedaggio che veniva prelevato – con criteri soggettivi – per i servizi resi: di trasporto, di custodia, di consegna. Accadeva così che il salario mensile di un soldato di stanza a Goma, distante quasi tremila chilometri da Kinshasa, partisse integro (60 dollari) dalla capitale, ma venisse eroso dagli ufficiali di ogni livello della gerarchia che si trovavano lungo il suo percorso. Al milite ignoto

(e spesso ignaro dei prelevamenti forzosi di cui era vittima) arrivava così, dopo circa un mese, la busta dello stipendio contenente, quando andava bene, cinque dollari. Bancarisation Dallo scorso giugno, il malcostume appena descritto dovrebbe appartenere alla travagliata storia della Repubblica democratica del Congo. Il governo ha infatti annunciato l’entrata in vigore di un nuovo sistema di pagamento, che promette di fare piazza pulita di ruberie e corruttele. La riforma è stata for-

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temente voluta dal primo ministro Augustin Matata Ponyo Mapon, e prevede che a tutti i dipendenti della pubblica amministrazione venga attivato (a spese dello Stato) un conto corrente bancario, su cui verrà accreditato ogni mese lo stipendio. Può sembrare una cosa banale, ma non lo è affatto: i congolesi hanno un reddito pro capite medio annuo di soli 180 euro, una cifra talmente modesta da essere utilizzata per intero senza alcuna possibilità di risparmio. Solo il 2% della popolazione ha la fortuna di possedere un conto bancario. Oggi la percentuale è destinata a triplicare, grazie alla rivoluzione dei pagamenti del pubblico impiego, che i giornali locali hanno ribattezzato bancarisation. Il governo ha siglato un accordo con quindici istituti di credito, a cui ha fornito i nominativi dei suoi dipendenti che necessitano di un conto corrente. Soldi mobili Si tratta di un’operazione colossale che coinvolge un milione di funzionari, la cui retribuzione media varia tra i 60.000 e i 100.000 franchi congolesi (50-80 euro), per un monte stipendi mensile di 80 milioni di euro. Lo scorso giugno il 70% dei dipendenti statali ha ricevuto il primo compenso sul conto bancario loro intestato. «Molti salariati dell’esercito, della sanità e della scuola hanno scoperto solo in quel momento il reale ammontare del proprio stipendio», racconta con 30 africa · numero 6 · 2015

Niente può fermare i corrieri dei salari. I fiumi nella foresta vengono passati su ponti traballanti o guadati su improbabili chiatte



SOCIETÀ di Daniela Sironi

Le contadine del mare

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TANZANIA, NON SOLO SAFARI E TURISMO BALNEARE: IL NUOVO BUSINESS DELLE ALGHE MARINE

I bastoni che affiorano dall’acqua con la bassa marea sono piantati dalle donne e collegati tra loro da fili sui quali vengono fissati pezzetti di alghe, che in un paio di settimane formano una massa algale pronta per la raccolta. Ogni campo fornisce circa sette chili di alghe ogni quindici giorni

Sull’isola di Zanzibar si coltivano alghe rosse destinate all'esportazione in Europa ed Estremo Oriente per essere impiegate nell’industria alimentare, farmaceutica e cosmetica. Una produzione tutta femminile Si è da poco conclusa la preghiera del venerdì nel villaggio di Makunduchi. Gruppi di donne avvolte in veli variopinti intrecciano corde di fibre di cocco sedute davanti alle loro abitazioni mentre gli uomini, con il tradizionale copricapo bianco, si attardano in chiacchiere vicino alla piccola moschea. Fatima, pochi anni e un pesante sacco sulle spalle, si fa strada nel fatiscente magazzino attiguo al luogo di culto: un lungo corridoio dalle pareti corrose dal clima in mezzo al quale pende una bilanciadinamometro che costituisce l’unico elemento di arredo. Un incaricato del deposito aiuta la bambina a liberarsi del suo pesante carico, attacca la sacca al gancio della bilancia, ne riporta il peso su un quaderno ingiallito e infine ne rovescia il contenuto: 12 chili di alghe violacee si riversano sul pavimento. «Le alghe sono ricche di sostanze gelificanti e vengono portate in Europa, soprattutto in Francia e Danimarca, ma anche nelle Filippine e in Cina, per essere poi impiegate nell’industria alimentare, farmaceutica e cosmetica», spiega Ali Omar, l’impiegato che ha il com-

pito di recapitare i raccolti alle otto compagnie di import-export che hanno sede nel porto della capitale Stone Town. I guadagni? «Magri: un chilogrammo di alghe secche ci viene pagato 750 scellini, l’equivalente di 30 centesimi di euro». Un mare di opportunità L’inizio del commercio della alghe a Zanzibar risale agli anni Trenta del secolo scorso, ma la coltivazione a livello intensivo è cominciata solo a partire dagli anni Novanta, quando, come conseguenza del crollo delle vendite del chiodo di garofano che fino ad allora aveva sostenuto l’economia locale, l’isola fu costretta a trovare forme di mercato alternative. I primi ad intuire le potenzialità delle alghe furono alcuni studiosi dell’Università di Dar es Salaam che promossero la realizzazione di orti marini. Nel 1989 due compagnie straniere decisero di investire nel settore. La coltura delle alghe è cresciuta al punto da diventare, oggi, la seconda fonte di moneta estera dopo il turismo. Le spiagge bianche di Paje e Jambiani che ogni anno attirano migliaia di turisti da tutto il mondo sono anche il luoafrica · numero 6 · 2015 33



SOCIETÀ di Valentina Giulia Milani - foto di Francesco Zizola/Noor

Le donne del cacao Una fabbrica di saponette fatte con gli scarti del cacao. È l’impresa avviata in Costa d’Avorio da Solange N’Guessan, con l’aiuto di un’azienda milanese. «Così diamo lavoro e dignità alle donne» «Cinque anni fa ero in visita ad un villaggio, quando ho visto una donna seduta per terra che stava lavorando gli scarti del cacao per creare un sapone naturale. È stata un’illuminazione. Avevo finalmente trovato il modo per realizzare il mio sogno: rivoluzionare la condizione della donna in Costa d’Avorio». Così Solange N’Guessan, direttrice dell’Unione Cooperative di Coltivatori di Cacao di San Pedro, ricorda il momento in cui

nella sua mente ha iniziato a frullare l’idea di creare una fabbrica di saponette nel Paese africano che produce il 40% del cacao mondiale. Cresciuta in una famiglia di contadini e laureatasi sia in Sociologia che in Economia Sociale grazie a borse di studio ottenute per merito («Devo tutto a mia madre che ha creduto in me», ci tiene a precisare), oggi Solange sorride mentre racconta come il suo progetto, intitolato “Le Nuove Donne del Cacao”, ha

finalmente preso vita: con il supporto dell’azienda di cioccolato milanese Zàini, la fabbrica di sapone è stata inaugurata da poche settimane nel villaggio di Gho. Voglia di stupire «Per il momento dà lavoro e un salario dignitoso a novanta donne, ma punto a decuplicare il numero delle persone coinvolte nell’impresa». Ce n’è un disperato bisogno. Nelle zone rurali della Costa d’Avorio le donne sono considerate bassa manodopera. Non hanno diritti né autonomia economica. I profitti del cacao vanno agli uomini; alle mogli spettano solo gli scarti dei frutti, con cui si possono produrre saponette naturali seguendo un procedimento semplice ma efficace. «I gusci vengono

abbrustoliti e sminuzzati, la polvere ottenuta viene mescolata all’olio di palma e si dà origine alla pasta di sapone». Solange ha avuto il merito di trasformare questa pratica artigianale, svolta dalle donne per il fabbisogno famigliare, in un’azienda moderna che punta a conquistare il mercato nazionale. «Ora produciamo quattromila saponette l’anno, ma sono convinta di poter arrivare a vendere in breve tempo trecentomila pezzi annui». Lo sguardo risoluto di Solange vale più di una promessa. ▲▼ In alto, Solange N’Guessan, la nuova regina del cacao ivoriano. Sotto, due socie dell’Unione Cooperative Agricole di San Pedro, 18 gruppi di piccoli coltivatrici del prezioso oro bruno per cui la Costa d’Avorio primeggia, con il 40 per cento della produzione mondiale

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SOCIETÀ di Sergio Ramazzotti/Parallelozero

La dolce vita di Libreville

Non lontano dalle baraccopoli, nei quartieri residenziali, nei ristoranti di lusso e nei night club, la ricchissima oligarchia gabonese vive una vita da jet set da fare invidia all’Europa 36 africa · numero 6 · 2015



COPERTINA di Marco Trovato

L’Africa in volo

IN ANTEPRIMA LE IMMAGINI DELLA NUOVA MOSTRA FOTOGRAFICA. PER CHI NON SOFFRE DI VERTIGINI

SENEGAL - ACQUE SALATE Una schiera di imbarcazioni allineate sulle sponde del Lago Retba, a trenta chilometri da Dakar, capitale del Senegal. Le acque di questo bacino naturale assumono una colorazione che va dall’arancione al rosa, a seconda della stagione, a causa della massiccia presenza di una particolare alga (Dunaliella salina) che vive in ambienti estremamente salini. Durante la stagione secca, i raccoglitori di sale si immergono nel lago per raccogliere i blocchi di salgemma. Il sale grezzo viene ammassato in collinette, ben visibili nella foto, e fatto asciugare prima di essere venduto nei mercati. Henri Tabarant (Afp) 40 africa · numero 6 · 2015


Dieci grandi fotografi hanno volteggiato sui vasti territori che si avvicendano tra il Cairo e Città del Capo. A bordo di piccoli aerei, ultraleggeri, elicotteri o mongolfiere, hanno valicato una miriade di confini invisibili, sorvolando luoghi inesplorati, deserti, foreste e metropoli brulicanti di vita. Dal cielo sono

stati testimoni di eventi grandiosi, immani tragedie, riti secolari e straordinari fenomeni naturali. Sfidando la paura e le vertigini, si sono spinti dove volano gli uccelli e hanno immortalato coi loro obiettivi le più spettacolari vedute aeree. Per mostrarci l’Africa come non l’avevamo mai vista

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◀ LIBIA - DISEGNATE DAL VENTO Viste dall’alto, le dune dell’Erg di Murzuq, nel sud della Libia, paiono disegnate dai pennelli di un artista; in realtà sono modellate dai venti che ogni giorno spostano e accumulano milioni di granelli di sabbia. Le piccole e mobili “barcane” hanno forma di mezzaluna e sono il risultato di venti che soffiano sempre da una direzione. Altre dune, chiamate sif, sono a forma di sciabola e si allungano nella direzione del vento dominante. Le maestose dune piramidali – in arabo ghurd – hanno una posizione stabile e derivano da venti convergenti. Davide Gandolfi (Parallelozero)

▶ TANZANIA - PAESAGGIO EXTRATERRESTRE L’inconfondibile Lago Natron occhieggia nel nord della Tanzania, vicino al confine keniota. Il suo caratteristico colore scarlatto è dovuto alla presenza di rocce alcaline e di piccoli batteri che vivono nelle acque ricche di sali e carbonati. Durante la stagione asciutta, la forte evaporazione fa aumentare il livello di salinità del lago, che assume lo strano aspetto di un mosaico di lastre irregolari con striature biancastre superficiali dovute all’accumulo di sodio. Juan-Carlos Muñoz (Biosphoto/Afp)

◀ SEYCHELLES - PARADISO IN PERICOLO Al largo delle isole Seychelles, sospese tra le acque turchesi dell’Oceano Indiano, affiorano le scogliere di Aldabra, il secondo più grande atollo corallino al mondo. È un paradiso naturale in pericolo: l’aumento progressivo delle temperature dell’acqua causato dall’effetto serra minaccia il reef, mettendo a serio rischio la sopravvivenza di questo delicato habitat, cruciale per il mantenimento della biodiversità marina e la salvaguardia del turismo (principale voce nell’economia dell’arcipelago). Expeditieteam Aldabra (Afp)

▶ ETIOPIA - LA GRANDE CORSA Un travolgente fiume giallo invade le strade di Addis Abeba in occasione della Great Ethiopian Run, la più affollata corsa non competitiva d’Africa. Ogni autunno almeno 40.000 persone, in gran parte etiopi, percorrono i 10 chilometri di questa manifestazione podistica aperta a gente comune di ogni età, ma anche a campioni di caratura internazionale. Sugli altopiani d’Etiopia si sono forgiate le imprese di Abebe Bikila, Haile Gebreselassie, Kenenise Bekele, Fatuma Roba… i più grandi fuoriclasse del fondo, che da sempre contendono medaglie e primati ai rivali del vicino Kenya. 42 africa · numero 6 · 2015 Christoph Keller (Visum/Luz)


◀ UGANDA - SPINE DIFENSIVE Un accampamento di pastori karimojong, popolo nomade di origine nilo-camitica, nel nord dell’Uganda: al centro si vedono i recinti circolari per le vacche e le capre, intorno sono disposte le capanne di paglia in cui vivono le famiglie del clan. I rovi spinosi che delimitano il campo servono a proteggersi dai razziatori di bestiame. Le comunità pastorali del Karamoja, regione povera e arida, si contendono con le armi i pascoli, le mandrie e i pochi corsi d’acqua disponibili. Mikkel Ostergaard (Panos Pictures/Luz)

▶ BOTSWANA - ACQUA VITALE Il Delta dell'Okavango appare come un serpente che striscia sinuoso nella pianura alluvionale. Le acque del fiume provenienti dall’Angola si insabbiano dopo un percorso di 1.500 chilometri nei pressi del deserto del Kalahari, dando vita a enormi lagune ricoperte da bambù, papiri e ninfee. Questa regione umida, grande quasi come la Svizzera, è uno dei più ricchi e sofisticati ecosistemi d’Africa: habitat privilegiato per bufali, antilopi, elefanti, ippopotami, coccodrilli, pesci e decine di specie di uccelli migratori. Frans Lanting (Luz)

◀ SENEGAL - PESCE VIVO Un gigantesco pesce disegnato da quattrocento studenti senegalesi sulla spiaggia di Yoff Diamalaye, a Dakar, nell’ambito di un’iniziativa di sensibilizzazione contro la pesca illegale e il degrado ambientale. I mari dell’Africa occidentale sono sempre più poveri a causa del sovrasfruttamento ittico. Il sistema delle licenze e delle quote per la pesca è reso inefficace dalla corruzione e dalla carenza di controlli. A saccheggiare le acque dell’Atlantico sono soprattutto i pescherecci industriali europei e asiatici. Seyllou (Afp)

A FRICAin VOLO

PER VEDERE E NOLEGGIARE LA MOSTRA

Quaranta eccezionali vedute aeree, quaranta scatti mozzafiato correlati da testi di commento: una mostra fotografica che lascia senza parole. L’Africa in volo, di cui vedete in queste pagine un’anticipazione, sarà allestita da mercoledì 25 novembre a mercoledì 2 dicembre, a Milano presso lo spazio espositivo Viafarini (Fabbrica del Vapore - via Procaccini, 4). Resterà aperta al pubblico, con ingresso gratuito, ogni giorno dalle 11.00 alle 18.00. Visita guidata con i curatori, sabato 28 novembre alle ore 18.00, per i primi 100 lettori di Africa che riserveranno il proprio posto inviando una mail a info@africarivista.it Al termine dell’esposizione milanese, la mostra diventerà itinerante e sarà noleggiata in tutta Italia. Su richiesta, potrà essere allestita in scuole, biblioteche, fiere, parrocchie, gallerie, centri culturali… Info sul noleggio: info@africarivista.it - cell. 334 2440655.


SOCIETÀ di Gisèle Yambuya

A caccia di ragni IN MADAGASCAR GLI SCIENZIATI STUDIANO GLI ARACNIDI PIÙ GRANDI DEL MONDO

Frans Lanting/Luz

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giganti

Vivono nel folto delle foreste o dentro caverne buie, dove tessono enormi ragnatele con cui catturano le loro prede. Sono gli enormi e temibili ragni del Madagascar. C’è da fidarsi delle apparenze? Il Madagascar (quarta isola del mondo per superficie, separatasi dall’Africa circa 165 milioni di anni fa) è un microcosmo con una biosfera unica al mondo: circa il 90 per cento della flora e della fauna è endemico, e non si trova in nessun altro luogo del pianeta. In particolare gli animali del Madagascar hanno avuto una storia evolutiva estremamente peculiare, che li rende assai diversi dalla fauna continentale africana. Sono numerosissime le specie endemiche, fra cui

Uno studioso osserva un esemplare gigante di cave spider in una grotta della Riserva speciale dell’Ankarana, nel Madagascar nord-occidentale. Al mondo esistono circa 42.000 specie di ragni conosciute e sono tutte carnivore, tranne una sola specie (scoperta nel 2007) descritta come vegetariana

spiccano un centinaio di generi di lemuri, oltre 260 specie di rane, numerose varietà di camaleonti, tartarughe, uccelli e farfalle. Sull’isola si trova un unico grande predatore, il fossa, un carnivoro che secondo gli studiosi può definirsi un fossile vivente. È meno risaputo che il Madagascar ospita una vastissima popolazione di ragni, con centinaia di varietà diverse tra le più grandi al mondo. Per questo motivo, la grande isola-nazione sospesa sulle acque dell’O-

▶ Parco nazionale Andasibe-Mantadia: una guardia forestale osserva la gigantesca ragnatela che si stende da una riva all’altra di un fiume. È l’opera di una specie scoperta solo di recente e battezzata Caelostris darwinii: il ragno che tesse le tele più grandi e più resistenti al mondo africa · numero 6 · 2015 49


MORSI LETALI

1. Ragno delle banane (o ragno vagabondo o Brazilian Wandering Spider). È il ragno più velenoso e letale del pianeta. Diffuso in America centrale e del Sud, soprattutto in Brasile, è molto aggressivo.

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2. Ragno di sabbia a sei occhi (Sicarius hahni). Vive nel deserto del Kalahari, il suo corpo può arrivare fino a 1,5 cm e le sue zampe a 5 cm. Il suo morso non è doloroso e questo può complicare irrimediabilmente i danni provocati da questo ragno velenosissimo. 3. Ragno dalla tela a imbuto di Sydney o ragno dei cunicoli (Atrax robustus). Vive in una zona assai limitata del pianeta, quella di Sydney, sulla costa sud-orientale dell’Australia. Il suo veleno contiene una sostanza chiamata robustotossina, che può uccidere in soli 15 minuti. 4. Vedova nera (Latrodectus mactans). Vive soprattutto negli Stati Uniti sud-orientali ed ha un aspetto caratteristico, di color nero con una macchia rossa a forma di clessidra sull’addome. Il morso non è doloroso, ma contiene una neurotossina che può rilevarsi letale. 5. Il ragno dal dorso rosso (Latrodectus hasselti). È piccolo ma molto pericoloso. Vive in Australia. Esiste un antidoto specifico che può salvare la vita in caso di morso.

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SOCIETÀ testo di D. Luo - foto di Andrew McConnell (Panos/Luz)

La miniera di sale

UGANDA,

LA DURA RACCOLTA

DEL SALGEMMA

NEL LAGO KATWE

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SOCIETÀ/VIAGGI

testo di Alberto Salza - foto di Eric Lafforgue

Incredibile Nubia

Le superbe piramidi della necropoli reale di Meroe. Questo è il più importante sito del Sudan: solo nella necropoli nord trovano posto le salme di ben 57 sovrani kushiti, fra re e regine, ognuno con la propria piramide personale dove, a differenza delle piramidi egizie, le camere mortuarie non si trovano all’interno ma sottoterra 58 africa · numero 6 · 2015


VIAGGIO

ALLA SCOPERTA

DEI TESORI SEGRETI

DEL SUDAN

All’estremità nord-orientale dell’attuale Sudan, sospesa tra le dune del deserto e le acque del Nilo, per molti secoli ha prosperato la civiltà nubiana, modellata da culture e religioni diverse, i cui antichi tesori oggi riemergono dalle sabbie A Khartoum, la capitale del Sudan, si uniscono il Nilo Azzurro e il Nilo Bianco. I due fiumi provengono da alte montagne, in Etiopia e Uganda, ma qui iniziano a costruire una sottile oasi filiforme – un paesaggio lineare, sovente di poche centinaia di metri – che arriva fino al Mediterraneo. Un poeta arabo, il cui nome si è perso nella sabbia circostante, ha cantato la confluenza delle acque come «il bacio più lungo della Storia». Probabilmente ballava ruotando assieme ai sufi di Omdurman, al di là della riva di Khartoum, per poi cadere in trance e sognare la Nubia, perduto come me in un trip psichedelico lungo il corridoio del tempo che porta dall’Africa nera all’Egitto. La città perduta La Nubia sudanese è un luogo incerto: si passa dal fiume al deserto e viceversa. Seduto a prendere un tè dolce e potente nell’unico buco d’ombra di Dirbi, un minuscolo abitato presso la quarta cateratta, osservavo gli steli rinsecchiti delle fave e le rughe degli uomini (sembrano fiumi prosciugati dalla fatica). Impensabile: la Nubia, un tempo, fu terra di metropoli.

Attorno al 2500-1500 a.C., Kerma era la capitale di una cultura del tutto originale. La potenza militare di questa città era tale da costringere i faraoni del Medio Regno a edificare numerose fortezze sulla seconda cateratta del Nilo, per tenere lontani i nubiani: sulle rocce lungo il Nilo sono scolpiti in geroglifico tre secchi “altolà”. Oggi Kerma è un niente di rovine in mattoni di terra cruda, circondato da un triste filo spinato. Spicca, al centro, il misterioso edificio del defuffa (“mucchio di mattoni”, senza ironia), una sorta di chiocciola costruita probabilmente sopra una tomba, poi divenuta palazzo o fortezza od osservatorio astronomico. A Kerma vivevano migliaia di persone, produttori di manufatti preziosi; ricordo i letti in legno pregiato su cui veniva applicato un fantasmagorico zoo di mica e avorio, per favorire le visioni notturne. Tesori e misteri Dopo il declino di Kerma, lungo il tratto in cui il Nilo scorre verso sud-ovest, quasi a indicare un ripensamento verso l’Africa nera (e assai scuri di pelle sono i Nubiani), nei presafrica · numero 6 · 2015 59


si di Karima si sviluppò il regno di Napata (1000 a.C.). Come testimoniato dai templi e dalle piramidi di Nuri e Jebel Barkal, di influenza egizia, l’area era estremamente prospera, a causa della sua collocazione strategica al termine della pista che taglia l’ansa del Nilo. Alla fine dell’influenza di Napata, prese importanza il terminale meridionale della pista: Meroe (275 a.C.-540 d.C.), le cui piramidi acute sono il monumento più noto della Nubia, e origine di ogni sorta di leggenda per il loro tesoro aureo scoperto dall’italiano Giuseppe Ferlini, nel 1836 (che non esitò a devastare le antiche tombe pur di mettere le mani sull’oro - vedi box a pag. 62). A parte la suggestione piramidale dei monumenti, la cultura di Meroe mostra influssi profondi dall’Africa nera, come la scelta di re non divinizzati da parte dei consigli di anziani e forme di matriarcato. L’archeologo Karim Sadr mi disse che della Nubia antica si conosce solo l’un per cento dei siti potenziali. Pare una vocazione alla sparizione. Così come

◀ Nell’antica località di El-Kurru, alcune piramidi restano ancora mezzo sepolte nella sabbia ◀ Una ragazzina di fronte al muro di una tipica casa nubiana. All’interno del cortile si trovano il pozzo e i piccoli alloggi: da un lato quelli per gli ospiti, dall’altro quelli per le donne ◀ Il grande tempio di Soleb, scoperto nel 1844. Il cielo stellato lo rende un luogo irreale e magico 60 africa · numero 6 · 2015



SOCIETÀ/SPORT di Valentina Giulia Milani

Olimpiadi masai

IN KENYA I PASTORI-GUERRIERI SI SFIDANO NELLA SAVANA CON CORSE E SALTI

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Un tempo i Masai dovevano uccidere un leone per dimostrare forza e coraggio. Oggi, invece di cacciare le bestie a rischio di estinzione, i giovani guerrieri preferiscono mostrare il loro valore con lo sport Tornano i Giochi Olimpici Masai. A metà dicembre, per il terzo anno consecutivo, nel villaggio di Kimana, si raduneranno decine di atleti in rappresentanza di varie comunità disseminate nella zona del Parco di AmboseliTsavo, Kenya. Lo scopo? Sfidarsi in sei diverse discipline sportive: il tiro di precisione del rungu (il bastone utilizzato dai guerrieri in battaglia e nella caccia); il lancio del giavellotto; il salto in alto; la corsa di velocità sui 200 metri; il mezzofondo sugli 800 metri; e la resistenza sui 5 km piani. Per circa una settimana, i celebri pastori della savana svestiranno gli shuka, i tradizionali drappi rossi, per

indossare insolite mise sportive fatte di pantaloncini e canotte multicolori. Le olimpiadi masai sono promosse e organizzate dall’associazione Big Life Foundation, che persegue il non facile obiettivo di coniugare usanze tribali, modernità e tutela dell’ambiente. Un tempo, infatti, i giovani masai dovevano uccidere un leone per dimostrare forza e coraggio alla comunità. Solo il passaggio di questa prova – impegnativa e brutale – dava la possibilità di fregiarsi di essere un valoroso guerriero: condizione indispensabile per trovare una moglie. Oggi però i grandi felini sono a rischio di estinzione. E le tradizioni dei guerrieri si scontrano

con la necessità di preservare gli ultimi esemplari di leoni, che sono protetti dai ranger di riserve e parchi naturali. Gli attivisti della Big Life Foundation hanno così proposto ai Masai di dimostrare il proprio valore attraverso innocue gare di atletica. L’idea ha ottenuto un riscontro inaspettato. Testimonial d’eccezione della singolare kermesse sportiva è il corridore masai David Rudisha, già campione del mondo, oro olimpico e recordman assoluto sulla distanza degli 800 metri. «Le “olimpiadi nella savana” sono una grande opportunità per mettere in luce le nostre eccezionali abilità fisiche e mentali, nel pieno rispetto dell’am-

biente». In palio, per i vincitori: medaglie, coppe, premi in denaro, un toro d’allevamento, due ticket per volare alla maratona di New York. E lo sguardo, ammirato, delle donne.

◀ La gara di salto in alto. A differenza di quanto avviene nelle competizioni ufficiali, dove gli atleti devono cercare di superare un’asta, i Masai hanno l’obiettivo di toccare un nastro con la testa ▼ Sono sei le discipline nelle quali i guerrieri danno il meglio di sé e si mostrano alle donne della tribù: il lancio del bastone, il lancio del giavellotto, il salto in alto, la velocità sui 200 metri, il mezzofondo sugli 800 e la resistenza che li vede correre per 5 chilometri piani

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SOCIETÀ/CULTURA di Bruno Zanzottera/Parallelozero

Il colorato mondo dei Bamileke

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NEL CAMERUN OCCIDENTALE, TRA CULTI ANCESTRALI E SOCIETÀ SEGRETE

I fieri Bamileke conservano usanze e tradizioni che lasciano a bocca aperta. Alle cerimonie di iniziazione si cospargono di vernice e fango. In onore degli antenati fanno sacrifici animali. Ai funerali sfoggiano maschere impressionanti… Il lago di Baleng è adagiato nel cratere di un antico vulcano. Lungo le sue rive immerse in una calma surreale, interrotta solo dal gracidare delle rane, occhieggiano due piccole capanne dall’aspetto quasi identico. Una ha una croce sopra il tetto di lamiera, l’altra è cosparsa di feticci e offerte per sacrifici. Cristianesimo e culti tradizionali convivono e si compenetrano reciprocamente in questa regione del Camerun occidentale. Solo dopo un po’ di tempo mi accorgo della donna che ai piedi di un albero intona una cantilena e soffia dentro a un tubo di plastica emettendo un suono grave che sembra il canto di un uccello. Nelle notti precedenti ha avuto una visione: la sua casa prendeva fuoco e tutti i suoi miseri averi andavano perduti. Allora è venuta sulle rive del lago sacro per portare offerte a Mamy Wata, la divinità delle acque, perché allontani gli

◀ Sembra un rave party, ma è la cerimonia del nyan nyan, che ogni anno celebra il rito di passaggio all’età adulta dei giovani bamileke. Gli uomini si cospargono il corpo di vernici colorate per impressionare il pubblico

spiriti maligni dalla sua casa. Rito in technicolor Il giorno seguente, l’atmosfera nella vicina cittadina di Bafoussam è del tutto diversa. Vi si svolge il primo atto della lunghissima cerimonia di iniziazione dei giovani bamileke, il nyan nyan, che terminerà diversi mesi dopo con eventi celebrati ogni otto giorni (la durata della settimana bamileke). Nel pomeriggio i giovani già iniziati si dipingono il corpo attingendo alle fantasie più svariate: alcuni si cospargono di vernici dai colori vivaci, altri si ricoprono di fango indossando abiti di stracci e portando scheletri di animali. Lo scopo generale è quello di risultare “ripugnanti” per impressionare il pubblico e in particolare i nuovi iniziandi, che invece danzano a torso nudo con un gonnellino di stoffa. Il tutto avviene nel massimo disordine possibile sotto gli occhi benevoli del re, che sta seduto sotto un grande parasole. Nonostante l’ingresso nel XXI secolo e i molti cambiamenti in corso nella società, l’iniziazione è un rito di passaggio che nessun giovane vuole mancare. africa · numero 6 · 2015 67



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ATTUALITÀ/CULTURA di Valentina Giulia Milani

Visita alla città fantasma

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NAMIBIA. VIAGGIO NEL TEMPO ALLA SCOPERTA DELL’EX CENTRO DIAMANTIFERO DI KOLMANSKOP

Uno scorcio di Kolmanskop, avvolta dalle sabbie e dal silenzio. La città fu chiamata così in onore di Johnny Coleman, un carrettiere che durante una violenta tempesta di sabbia si vide costretto ad abbandonare in questo posto desolato il suo carro con i buoi. Dal 1954 è disabitata

Un secolo fa i tedeschi costruirono alle porte del deserto del Namib una tipica città teutonica destinata a svilupparsi sfruttando i ricchi giacimenti di diamanti. I coloni non immaginavano che le pietre preziose sarebbero presto finite… La sabbia sospinta dal vento è inarrestabile: entra dalle fessure, penetra in ogni stanza, conquista il più piccolo degli anfratti. Milioni di granelli gialloocra scorrono come un fiume impetuoso nei corridoi abbandonati. Kolmanskop è oramai una città fantasma, assediata dal deserto: i suoi edifici decrepiti affiorano dalle dune del Namib, nel sud-ovest della Namibia, a circa 850 chilometri dalla capitale Windhoek e a pochi chilometri dalla città portuale di Lüderitz. Il nome Kolmanskop (in tedesco Kolmannskuppe) in lingua afrikaans significa “la collina di Coleman”. Il termine pare derivi da un tale chiamato Johnny Coleman, un trasportatore

che durante una tempesta di sabbia abbandonò il suo carro di buoi proprio in questo luogo. La città fu costruita in seguito al ritrovamento casuale di un diamante, all’epoca in cui questo territorio era una colonia tedesca. Correva l’anno 1908 e Zacharias Lewala, un operaio locale impiegato nella costruzione di una linea ferroviaria, trovò una pietra brillante mentre spostava della sabbia con una pala; i tecnici tedeschi che la esaminarono non ebbero dubbi: quel ritrovamento era la prova della presenza nel sottosuolo di un giacimento diamantifero. Il governo coloniale non perse tempo e dichiarò la zona Sperrgebiet (area riservata): case ed edifici fu-

LA VISITA

La stagione invernale (da maggio a ottobre) è la più piacevole per visitare la Namibia, mentre è consigliabile evitare i periodi di maggiore caldo, ovvero da dicembre a marzo. I viaggiatori di nazionalità italiana possono entrare nel Paese senza visto: è sufficiente essere in possesso del passaporto con validità residua di almeno sei mesi. Notizie pratiche per organizzare il viaggio si trovano nel sito www.lanamibia.it Tour organizzati per visitare la ghost town partono tutti i giorni da Lüderitz. Il biglietto costa circa 7 dollari. Oltre alle vecchie case invase dalla sabbia, non mancate di visitare il museo storico di Kolmanskop con reperti e fotografie che testimoniano la vivacità dell’ex città mineraria. Per maggiori informazioni: www.kolmanskop.net

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UNO SGUARDO SULL’AFRICA? MEGLIO DUE

AFRICA e NIGRIZIA due riviste un’unica passione

AFRICA N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 2015 - ANNO 94

RIVISTA BIMESTRALE

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MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Congo

Maledetto coltan Camerun

Iniziazione Bamileke Uganda

Il Lago salato

il mensile dell’Africa e del mondo nero

Nordafrica e Corno Labirinto jihadista Conferenza di Parigi Fare i conti con il clima Senegal Domestiche schiave

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SOCIETÀ/MISSIONI di Pier Maria Mazzola

Francesco A fine novembre il Pontefice si recherà in Kenya, Uganda e (forse) Centrafrica: una visita apostolica destinata a infiammare l’entusiasmo dei fedeli… Ma anche a scuotere la Chiesa africana

Da 25 al 30 novembre, papa Francesco compirà un viaggio apostolico in Africa. Farà tappa in Kenya (dal 25 al 27 novembre), in Uganda (dal 27 al 29) e forse nella Repubblica Centrafricana (dal 29 al 30): tre Paesi “cristianizzati”, alle prese con sfide e problemi di non facile soluzione. Jorge Mario Bergoglio non conosce l’Africa. Non c’è mai stato, come del resto non si era mai recato in Asia e neppure negli Stati Uniti. Ma, vuoi per sensi-

bilità personale, vuoi per formazione gesuitica, vuoi perché prima di muoversi si prepara («Adesso devo cominciare a studiare per Cuba e Stati Uniti», confessò al ritorno dal Paraguay), da Papa non è mai stato preso alla sprovvista durante le sue ormai numerose visite apostoliche. Quello con l’Africa, del resto, aveva l’aria di essere solo un appuntamento rinviato: da quell’8 luglio 2013 a Lampedusa, non a caso sua prima uscita da Roma.

L’Africa in Vaticano Nel frattempo non ha solo “studiato”. Ha inserito un africano, Laurent Monsengwo Pasinya, nel C9, il gruppo di cardinali che lo assiste nella riforma della curia; Monsengwo, ricordiamolo, è stato presidente della Conferenza nazionale sovrana dell’allora Zaire, che nei primi anni Novanta avrebbe dovuto traghettare il Paese verso la democrazia. Un’altra nomina di rilievo, e sorprendente, è stata quella di Robert Sarah alla testa

IL PRIMO VIAGGIO DI PAPA BERGOGLIO NEL «CONTINENTE MARTIRE»

della Congregazione per il Culto divino, un dicastero strategico, all’indomani del primo Sinodo sulla famiglia, nel quale il porporato guineano si era distinto come conservatore. Rivoluzionando, in linea generale, i criteri di creazione dei nuovi cardinali per riequilibrare le provenienze geografiche e sottrarre la berretta alle attese carrieristiche, Francesco ha scelto per l’Africa cinque nomi quasi tutti imprevedibili, per la loro discrezione e “marginalità”. Intanto, nel silenzio che ricopre le visite ad limina, eventi che per i media sanno di routine, è andato incontrando a Roma oltre metà delle Conferenze episcopali africane. Noi possiamo conoscere i discorsi conclusivi proferiti dal Papa, ma l’essenziale, in questi casi, è quel che avviene a porte chiuse. Preti nella tempesta Ciò detto, non si rischia granché a immaginare che #martirio sarà l’hashtag di tutto il primo viaggio apo-

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l’Africano stolico bergogliano nel «continente martire», come lo definisce la teologa nigeriana Teresa Okure. Non per nulla l’epicentro sarà la celebrazione del cinquantennio della canonizzazione dei martiri d’Uganda, arsi vivi nel XIX secolo per la loro fede (cui avevano aderito grazie ai Padri bianchi). Un martirio, e non solo per i cristiani, che si rinnova oggi a causa delle violenze a sfondo religioso (Kenya e Centrafrica ne hanno una tragica esperienza). Ma mentre Bergoglio si lascerà abbracciare, ricambiando, dall’immensa “periferia” africana traboccante di giovani e bambini, non è escluso che richiami le gerarchie a uno stile di vita più sobrio, più distante dal potere politico, ad assumere «un insostituibile ruolo profetico» e a meglio vigilare sul loro gregge, a cominciare dal clero. Non a caso ha a lungo raccomandato ai vescovi cen-

trafricani, a maggio, di «fortificare i vostri preti»: la loro Chiesa è stata sconvolta, negli anni Duemila, da una vera tempesta (infedeltà conclamate al celibato, problemi di denaro, divisioni tra diocesani e religiosi nonché tra locali e stranieri…) che ha portato alla luce situazioni critiche che, in diversa misura, si riscontrano anche in altre Chiese africane. In positivo, oggi il nuovo vescovo di Bangui, Dieudonné Nzapalainga, è un modello di prossimità alla gente e di dedizione alla causa della pace in chiave interreligiosa. Sei giorni sono pochi, per un continente. C’è da sperare servano a finalmente innescare una nuova stagione ecclesiale, così da smentire quello che un missionario come padre Kizito Sesana doveva scrivere tempo fa, e cioè che «in Africa i cambiamenti promossi da papa Francesco non sono ancora arrivati».

RUANDA, SPOSI BEATI

Cyprien e Daphrose Rugamba, marito e moglie, erano una coppia di cristiani impegnati a vivere il Vangelo nel cuore tormentato dell’Africa. Furono trucidati 21 anni fa, il 7 aprile 1994, insieme a sei dei loro dieci figli, all’inizio del genocidio ruandese. La loro casa a Kigali ospitava un centinaio di orfani e ragazzi di strada, senza alcuna distinzione etnica: una scelta che pagheranno con la vita. Avrebbero potuto fuggire al sicuro all’estero, ma hanno deciso di restare e di pregare per la pace, fino all’ultimo. Ora la Chiesa ha aperto la causa per la loro beatificazione.

LE TAPPE KENYA A Nairobi papa Francesco troverà un Paese che da quattro anni è impegnato con il proprio esercito nella complessa guerra somala. Un conflitto che ha avuto pesanti ricadute anche sul territorio keniano, con gli attentati al centro commerciale di Westgate (2013) e con la strage degli studenti cristiani del collegio di Garissa (2015), e che ha assunto toni di scontro tra le locali comunità cristiana e musulmana. UGANDA A Kampala il Pontefice celebrerà i “martiri d’Uganda”, i giovani che nel XIX secolo abbracciarono la fede cattolica grazie all’evangelizzazione dei Padri bianchi e che a causa di essa furono arsi vivi. L’Uganda è un Paese in cui la fede cristiana è di casa, e dove oggi sono di forte attualità i temi legati alla morale sessuale. Le violenze contro gli omosessuali sono ampiamente diffuse e socialmente accettate. Allo stesso tempo, rimangono impuniti gli stupri di migliaia di donne. Il Pontefice si troverà quindi a ricordare la necessità del rispetto della persona umana e i valori di una sessualità legata all’amore alla “famiglia tradizionale”. REPUBBLICA CENTRAFRICANA Il Centrafrica vive, dalla fine del 2013, una situazione di violenze e di instabilità, dove la religione è stata strumentalizzata con il solo effetto di scatenare una feroce guerra civile. La popolazione è per metà cristiana e per metà musulmana. Il rigurgito di violenza di fine settembre ha fatto saltare il referendum costituzionale del 4 ottobre e susseguenti tornate elettorali. La visita del Papa rischia di saltare per ragioni di sicurezza. (Enrico Casale)

LE RELIGIONI IN AFRICA tradizionale

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musulmana

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cristiana

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SOCIETÀ/MISSIONI testo di Céline Schmitt - foto di Brian Sokol/Panos Pictures/Luz

La suora e l’imam

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info@africarivista.it fax 0363 48198 C.P. 61 - Viale Merisio, 17 24047 Treviglio BG

a cura della redazione

DANNATA BUROCRAZIA «L’Angola mi obbliga a lasciare le proprie impronte digitali all’ambasciata di Roma: assurdo e umiliante! Manco fossimo dei criminali». «Il Congo vuole vedere il mio estratto conto bancario per sapere se ho soldi sufficienti per viaggiare: sono impazziti?». «Il Ghana esige una lettera d’invito da parte di qualcuno che vive nel Paese: ma come pensano di incentivare il turismo se mettono tutte queste complicazioni?». Di recente ho ricevuto tre mail di lettori-viaggiatori che sfogavano la loro rabbia contro alcune norme per il rilascio del visto turistico sul passaporto. Invece di indignarci, proviamo a riflettere: i governi africani si limitano ad applicare (in forma peraltro ammorbidita) le stesse condizioni che l’Europa richiede ai

loro cittadini. È il principio della reciprocità. Può irritare, esasperarci. Di certo ci obbliga a "metterci nei panni dell'altro": un esercizio utile per coltivare l’empatia, ovvero la capacità (che stiamo smarrendo) di comprendere a pieno lo stato d'animo altrui. Marco Trovato TROPPO BREVI Sono contento di potervi leggere, tuttavia vorrei fare un’osservazione. Nel numero 5/2015 di Africa si annuncia un “viaggio nel profondo Ciad”: uno si immagina un articolo che dia un po’ di elementi generali, un po’ di storia, e che metta a fuoco la situazione politica e sociale. L’articolo in questione parte bene ma poi si ferma molto presto e lascia l’impressione di averne appreso troppo poco. Io penso che una rivista come

la vostra dovrebbe approfondire un po’ di più. Che ne dite? Giampiero Forcesi Gentile lettore, ha ragione: lo spazio a nostra disposizione non sempre consente di fornire adeguati approfondimenti. Ma per fortuna c’è Internet: le consiglio di consultare il nostro sito www.africarivista.it e il nostro blog www.buongiornoafrica.it: troverà ogni giorno notizie, analisi e commenti che arricchiscono l’informazione della rivista cartacea. Grazie per l’attenzione. Raffaele Masto VIOLINI PER L’AFRICA Siamo un gruppo di amici accomunati dalla passione per la musica classica. Suoniamo in bande e piccole orchestre. Dopo aver letto il vostro articolo Beetho-

ven nello slum, avremmo piacere a donare alcuni violini e flauti ai ragazzi della baraccopoli di Korogocho, Kenya, che suonano nell’orchestra Ghetto Classics. Potete metterci in contatto con i responsabili? Grazie Marta Maffucci, Verona Iniziativa lodevole! Ghetto Classics è una straordinaria orchestra keniana che offre un futuro di speranza a decine di sfortunati giovani delle baraccopoli. Per aiutare: artofmusic.co.ke

RICHIESTA AI LETTORI Se desiderate ricevere un promemoria della scadenza del vostro abbonamento e restare informati sulle iniziative della rivista Africa, segnalateci i vostri indirizzi e-mail: segreteria@africarivista.it

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Avventure spaziali

NAMIBIA NEL REGNO DEGLI HIMBA

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La città dei fuggiaschi

Chili di gloria

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Profeti esorcisti

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ARCHITETTURA POESIA DI FANGO

MADAGASCAR

NOMADI DEL MARE

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