Africa 06 2016

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AFRICA N. 6 NOVEMBRE-DICEMBRE 2016 - ANNO 95

RIVISTA BIMESTRALE

WWW.AFRICARIVISTA.IT

MISSIONE • CULTURA

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Sierra Leone

Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1 , DCB Milano.

La vita dopo ebola

Etiopia

Tunisia

Rivoluzione rock

Gambia

Nel regno di Jammeh

MIRAGGIO DANCALIA


Roma -Vi aBi ssol at in. 54 Tel .0648771370 emai l :et hi opi anr om@di st al . i t Mi l ano -Vi aPaol odaCannobi o2 Tel .0236769837 emai l :et hi opi anmi l @di st al . i t ww et www. hi opi anai rl i nes. com www. et hi opi anai rl i nes. i t


Sommario COPERTINA 36 3

ETIOPIA. MIRAGGIO DANCALIA

di Andrea Semplici e Andrea Frazzetta

EDITORIALE Aiutare vuol dire... di Marco Trovato

ATTUALITÀ

AFRICA FRICA

MISSIONE • CULTURA

4

PRIMA PAGINA

6

PANORAMA

8

Sierra Leone, la rinascita dopo ebola

di Raffaele Masto

di Enrico Casale di A. Gandolfi

14

Uganda. La gioia negli occhi

16

Gambia. Nel regno del feroce Jammeh

Plinio il Vecchio (I secolo d.C.)

22

Burkina. Primavera a metà

DIRETTORE RESPONSABILE

24

Niger. Agadez, crocevia dei migranti

26

LO SCATT O

Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE

di Tommy Trenchard di G. Porzio

di Alessio Malvone di Alberto Zorloni

Sud Sudan. Calma apparente

di S. Hogan e P. Elkan

Marco Trovato RESPONSABILE NEWS SITO

Enrico Casale

SOCIETÀ

PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA

Matteo Merletto AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

Paolo Costantini PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Claudia Brambilla

28

Sudafrica. Il cavaliere di Soweto

32

Kenia. Sorvegliato speciale

44

Nigeria. Benvenuti a Kannywood

di V.G. Milani e M. Garofalo

di Mike Owino di Daniele Bellocchio

48

Tunisia. Revolution Rock

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi

54

LO SCATT O

BLOG

52

CULTURA Mali. Gli architetti delle cupole di Alberto Salza

60

CULTURA L’articolo 15

64

SPORT Uganda. Rollermania all’equatore

68

RELIGIONE L’angelo delle bambine soldato di Enrico Casale

76

RELIGIONE I terribili presagi di Kibeho di P. M. Mazzola e G. Maraviglia

EDITORE

www.buongiornoafrica.it di Raffaele Masto PUBBLICITÀ

segreteria@africarivista.it FOTO

Si ringrazia Parallelozero In copertina: Andrea Frazzetta Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand

di Sébastien Deslandes e Olivier Touron

Sudafrica. Animali notturni

di M. Taylor e R. Bosch

a cura di Marco Trovato di Tadej Znidarcic

STAMPA

Jona - Paderno Dugnano, Milano Periodico bimestrale - Anno 95 novembre-dicembre 2016, n° 6 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n.713/48 SEDE

Viale Merisio, 17 C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 info@africarivista.it Africa Rivista @africarivista www.africarivista.it UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

INVETRINA 74

Eventi

75

Arte e Glamour

76

Sapori

77

Solidarietà

78

Libri

79

Musica

79

Film di Simona Cella

80

Viaggi

82

Web

83

Bazar

84

Posta

a cura della redazione di Stefania Ragusa

di Irene Fornasiero

NOVITÀ

di Valentina G. Milani

NOVITÀ

di Pier Maria Mazzola di Claudio Agostoni

di Marco Trovato

di Giusy Baioni di Sara Milanese

NOVITÀ africa · numero 6 · 2016 1


Un’offerta esclusiva Per te o un amico 25 euro

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A AFRIC - ANNO BRE 2016

95

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MBRE-OTTO

N. 5 SETTE

VIVERE IL CONTINENTE VERO

Gabon

Guerra ai bracconieri

MISSIONE

URA • CULT

TE VERO

INEN IL CONT VIVERE

Slum liquido Etiopia

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Pellegrini di Allah

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MISSIONE • CULTURA

1 , DCB

N. 5 SETTEMBRE-OTTOBRE 2016 - ANNO 95

Costa d’Avorio

IL REGNO DEL CACAO

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Un anno di abbonamento (cartaceo e digitale) alla rivista Africa e in omaggio la pratica chiavetta usb con l’archivio dal 2008 in formato pdf a soli 50 euro* PARI AL 50% DI SCONTO * Per la Svizzera, 60 CHF Offerta valida per l’Italia e la Svizzera, fino al 31 gennaio 2017

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Aiutare vuol dire… Natale si avvicina e come ogni anno la cassetta della posta si riempie di lettere inviate da onlus, enti caritatevoli e fondazioni che invitano a metterci una mano sul cuore “per i bambini bisognosi” (dell’Africa, soprattutto). A toccare le corde dell’emotività sono spesso immagini di bimbi dallo sguardo lacrimevole che promuovono raccolte fondi per costruire scuole in Burundi, pozzi in Niger, ospedali in Etiopia… C’è da fidarsi? Nel 2012 la Corte dei conti pubblicò una relazione dura sui «Contributi alle Organizzazioni non Governative per la realizzazione delle attività di cooperazione». Spulciando i documenti, i giudici trovarono di tutto: soldi deviati, progetti fermi, rendiconti scomparsi, responsabili fantasma, infrastrutture realizzate su terreni inesistenti… Una serie impressionante di disfunzioni e attività opache. L’anno dopo era una giornalista, Valentina Furlanetto, a denunciare la mancata trasparenza di molti organismi italiani nel suo libro L’industria della carità, in cui ricorda che «intorno agli aiuti umanitari e ai progetti di cooperazione si è sviluppata una vera e propria industria: la quinta nel mondo». Al di là dei rilievi contabili, c’è da chiedersi se le donazioni servano davvero a far qualcosa di buono. Premesso che l’Africa non avrebbe bisogno di beneficenza ma di giustizia e di pace, premesso che la sopravvivenza di 1,4 miliardi di poveri nel mondo non dovrebbe dipendere dall’altruismo dei più ricchi

ma da un’economia più equa, è innegabile che il mondo della solidarietà spesso lenisce (e talora occulta) i disastri della politica. In venticinque anni di viaggi africani ho conosciuto persone straordinarie impegnate ad alleviare le sofferenze di popolazioni vittime di miseria e soprusi. Ho incontrato missionari, volontari, filantropi e cooperanti mossi dalle più nobili intenzioni, capaci di piccoli miracoli. Con altrettanta franchezza, confesso di essere incappato molto più spesso in inutili “progetti di sviluppo”, fallimentari “interventi umanitari”, vergognosi sprechi di denaro. Ho visto all’opera persone incapaci e impreparate, ong prive di scrupoli e di professionalità, benefattori megalomani e pericolosi. L’esperienza mi ha reso più prudente e sospettoso. Ma non più cinico e indifferente. Continuo a dare fiducia a chi pubblica bilanci certificati e report puntuali, a chi limita le spese di gestione (e per gli stipendi, talvolta scandalosi, di manager e cooperanti) così da canalizzare gli aiuti dove più servono, a chi rispetta la dignità dei minori e non ne usa le immagini per impietosire, a chi non strumentalizza le “emergenze”, a chi lavora con gli africani e non per loro. Aiutare significa prima di tutto documentarsi, esigere trasparenza, discernere tra disonesti e meritevoli di fiducia. Donare senza informarsi serve solo a mettersi la coscienza in pace. Marco Trovato

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 35 € · formato digitale (pdf) 25 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 45 Chf · rivista cartacea (Estero) 50 € · rivista cartacea+digitale (Italia): 45 € · rivista cartacea+digitale (Svizzera): 55 Chf · rivista cartacea+digitale (Estero) 60 €

Si può pagare tramite: · Bonifico bancario su BCC di Treviglio e Gera d’Adda IBAN: IT93 T 08899 53640 000000 001315 · Versamento postale su C.C.P. n. 67865782

I lettori che vivono in Svizzera possono versare i contributi tramite: · PostFinance - conto: 69-376568-2 IBAN: CH43 0900 0000 6937 6568 2 Intestato a “Amici dei Padri Bianchi” Treviglio BG

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Beneficiario: Missionari d’Africa (Padri Bianchi) C.P. 61 – 24047 Treviglio BG

Per informazioni: segreteria@africarivista.it


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PROMOSSI E BOCCIATI Il 2016 in Africa si chiude con più ombre che luci: il boom economico di molte nazioni si è sgonfiato e diversi leader politici hanno riproposto il consueto, micidiale cocktail fatto di corruzione e repressione. Ma non mancano i segnali di speranza... Il 2016 sancisce la fine dei sogni di sviluppo di molti Paesi che, nelle previsioni di qualche anno fa, avrebbero dovuto trainare tutto il continente. Le formidabili crescite dei Pil di Angola, Mozambico, Nigeria e Ghana si sono rivelate quello che erano: un virtuale numero assoluto, un bluff. Il crollo del prezzo del petrolio e delle materie prime ha mostrato la debolezza di economie acerbe, prive di industrie e di servizi, e la fragilità dei cosiddetti “ceti medi” emergenti, il cui potere di acquisto è ancora modesto. Nell’elenco dei bocciati, dunque, vanno tutte quelle classi politiche che non hanno saputo (o voluto) diversificare le loro economie, per creare un embrione di settore manifatturiero, per investire in un’agricoltura in grado di assicurare l’autosufficienza alimentare. Il caso più eclatante del fallimento di questo modello di sviluppo si è visto in Etiopia dove, malgrado i dati ufficiali parlino di crescita boom, le campagne (in cui vive l’80% della popolazione) sono ancora minacciate dalla carestia, e dove la leadership al potere, composta dalla minoranza tigrina, ha usato la forza per soffocare l’insofferenza degli Oromo, etnia maggioritaria ma relegata ai margini della vita economica e politica.

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a cura NEWS di Raffaele Masto NEWS

Paul Kagame; dell’Uganda, Yoweri Museveni; della Rd Congo, Joseph Kabila; della Repubblica del Congo, Denis Sassou Nguesso; del Gabon, Ali Bongo; dello Zimbabwe, Robert Mugabe, che hanno represso, con morti e feriti, le proteste di piazza contro i loro regimi granitici e corrotti. Di questi, alcuni sono già stati rieletti in consultazioni dubbie, altri hanno annunciato di volersi presentare alle imminenti consultazioni violando la Costituzione. Assieme a loro, va bocciata l’Unione Africana, che non è mai intervenuta nelle crisi con decisione e autorevolezza, approvando, dunque, tacitamente queste violazioni. Ancora tra i bocciati non possono mancare i due leader della guerra in Sud Sudan, il presidente Salva Kiir e il suo ex vice Riek Machar che, dopo innumerevoli piani di pace o per il raggiungimento, almeno, di una tregua, non hanno saputo trovare un compromesso per fermare i combattimenti, le atrocità, gli arruolamenti di bambini soldato. Machar e Salva Kiir vanno poi bocciati per aver trasformato una guerra per il loro potere personale in un conflitto etnico tra Dinka e Nuer. Hanno attivato un’arma che sarà difficilissimo disinnescare e continuerà ad uccidere anche quando la guerra sarà finita. Aggiungiamo che la Fondazione Mo Ibrahim quest’anno non ha saputo trovare un ex presidente africano cui assegnare il suo consueto premio per il buongoverno.

ATTACCATI AL POTERE Tra i bocciati di quest’anno, poi, non possono mancare i presidenti del Burundi, Pierre Nkurunziza; del Ruanda,

TERREMOTO IN SUDAFRICA Tanti bocciati, dunque, e di peso. Ma ci sono anche i promossi. Per esempio Faustin Touadéra, l’attuale presidente del Centrafrica, che in una situazione di grandi difficoltà ha avviato una politica di riconciliazione tra tutte le parti in conflitto minimizzando le differenze religiose. Con lui è promosso il suo rivale alle elezioni, Anicet-Georges Dologuélé, che dopo il voto si è fatto da

TANZANIA Preservativi contro gli elefanti. Succede in Tanzania, do-

ZIMBABWE

ve l’ong Nature Conservancy ha ideato un metodo nonviolento per tenere i pachidermi lontani dagli insediamenti umani: in pratica si sparano petardi al peperoncino irritante inseriti in preservativi (nella foto, una pubblicità) che fanno da “bossoli”. Così i contadini possono contrastare l’irruzione degli elefanti nei campi e nei villaggi, senza uccidere gli animali.

Mercedes Sayagues / IPS

4 africa africa· numero · numero56· 2016 · 2016

Un manifestante viene circondato e picchiato dalla polizia antisommossa scesa in strada ad Harare a fine agosto per disperdere centinaia di persone che protestavano contro il piano della banca centrale di introdurre a ottobre una nuova moneta. I manifestanti chiedevano anche le dimissioni del presidente Robert Mugabe, al potere al 1987, considerato incapace di gestire la crisi economica del Paese.

T. Mukwazhi / AP


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parte accordando la sua disponibilità a collaborare con il nuovo governo. Ancora tra i promossi c’è un partito politico del Sudafrica, Democratic Alliance (DA), che è ormai la seconda formazione in termini numerici della Nazione Arcobaleno dopo l’African National Congress. La leader storica della DA, Helen Zille, ha guidato, come sindaca, Città del Capo e ha dato prova di competenza e di onestà in un Paese devastato da violenza e corruzione. Oggi il partito, non è più considerato un bastione della minoranza bianca: è guidato per la prima volta da un nero, Mmusi Maimane, ed emerge come la vera alternativa al fallimento dell’ANC, dopo la morte del leader storico Nelson Mandela. QUALCOSA DI NUOVO E a proposito di lotta alla corruzione il neopresidente della Tanzania John Magufuli è sicuramente tra i promossi, ma gli effetti del suo operato, per ovvie ragioni, si devono ancora vedere. Appena insediatosi al potere, ha lanciato una capillare lotta alla corruzione. Infine può apparire retorico, ma un premio va dato alla società civile e soprattutto ai giovani, che oggi rispondono meno al richiamo dell’appartenenza etnica, e che in diversi Paesi si battono per la democrazia, contro le vecchie e inamovibili classi politiche: da Kinshasa a Bujumbura, da Harare a Libreville... Dopo le Primavere Arabe e la rivoluzione del Burkina Faso (vedi articolo a pag. 22), migliaia di studenti e lavoratori sono scesi in piazza per chiedere democrazia, giustizia, libertà. Benché spesso le loro manifestazioni siano state duramente represse o non abbiano portato i cambiamenti sperati, c’è qualcosa di nuovo in queste proteste di strada, qualcosa che forse finirà per produrre i mutamenti di cui l’Africa ha così bisogno. GABON Il presidente del Gabon Ali Bongo Ondimba durante il trucco

prima del suo discorso in tv dopo la convalida della sua rielezione, ufficializzata il 25 settembre. La decisione della Corte costituzionale è stata contestata dal rivale Jean Ping, che aveva presentato ricorso contro i risultati delle elezioni di fine agosto, quando nel Paese erano scoppiati scontri nei quali sono morte almeno sei persone. Ali Bongo è figlio del defunto Omar Bongo, rimasto al potere in Gabon per 41 anni. Marco Longari / Afp

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ETIOPIA

Il premier etiopico Hailemariam Desalegn ha dichiarato lo stato di emergenza dopo le proteste antigovernative sfociate in scontri violenti nella regione dell’Oromia. I due principali gruppi etnici del Paese, Oromo e Amhara, denunciano da mesi i soprusi del governo di Addis Abeba (controllato dalla minoranza tigrina). Secondo Amnesty International e Human Rights Watch, le vittime della repressione sarebbero già più di seicento.

RD CONGO

Disordini a Kinshasa. La Repubblica democratica del Congo è sull’orlo della guerra civile: il 45enne presidente Joseph Kabila (figlio dell’ex dittatore Laurent-Désiré, ucciso nel 2001 da un uomo del suo staff) ha deciso di restare aggrappato al potere, nonostante i suoi due mandati siano scaduti, rimandando le elezioni previste a novembre. E ha scatenato violente proteste in tutto il Paese.

Eduardo Soteras / AFP / Getty

NIGERIA

Un selfie tra giovani nigeriani a Lagos in occasione della ricorrenza dell'Eid ul-Adha (“festa del sacrificio”), celebrata poche settimane fa al termine del mese in cui ha luogo il pellegrinaggio canonico alla Mecca. La Nigeria è alle prese con una difficile situazione economica e sociale: la recessione (causata dal crollo del petrolio), la corruzione, l’insicurezza, la disoccupazione e l’inflazione che ha raggiunto il 17% creano un cocktail esplosivo. Ap

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ATTUALITÀ testo e foto di Alessandro Gandolfi / Parallelozero

La rinascita dopo ebola

Coriste prima della celebrazione della messa domenicale in una chiesa cattolica di Freetown. Durante l’epidemia di ebola in Sierra Leone gli assembramenti in pubblico erano vietati per limitare il rischio dei contagi 8 africa · numero 6 · 2016


REPORTAGE DALLA SIERRA LEONE, IN CERCA DI RISCATTO DOPO LA TERRIBILE CATASTROFE UMANITARIA

Conclusa l’epidemia che ha ucciso migliaia di persone e paralizzato la vita pubblica per due anni, la popolazione di Freetown tenta di risollevarsi. Ma l’economia è in ginocchio e il tessuto sociale lacerato. E si teme che l’incubo possa ripresentarsi «Oggi parliamo di ebola ma in maniera un po’ diversa», annuncia il giovane speaker al microfono, cuffia in testa e mani sul mixer. «Il nostro ospite italiano, Andrea Polo, racconterà come si può cercare di rinvigorire un’economia in ginocchio attraverso una pianta da frutto, l’anacardio». «Ok, è una goccia nell’oceano – attacca in diretta l’ex ricercatore universitario –, ma un piccolo aumento di produzione di questo frutto migliorerebbe di molto la vita dei contadini». Ci crede davvero, Andrea, in quello che sta dicendo, tanto da avere deciso di vivere un anno in Sierra Leone, a coordinare un progetto di aiuto per conto di Coopi, organizzazione non governativa italiana. «Parlarne in radio è utile – spiega Andrea – perché è il mezzo di comunicazione più diffuso. Ogni abitante possiede un radioricevitore». Morti sospette Radio Amzas – nata alla fine del 2014 a Makeni (distretto di Bombali, il più colpito da ebola), dieci giornalisti tutti sotto i trent’anni – continua a sensibilizzare la popolazione circa il rischio del

virus: «All’inizio del 2016 c’è stato un nuovo caso di ebola in Sierra Leone, proprio quando il Paese era stato dichiarato free, ovvero libero dal virus», spiega Amadu A. Kamara, 25 anni, laurea in comunicazione di massa e oggi manager della radio. «Certo, non siamo più in emergenza, ma non possiamo abbassare la guardia, basterebbe davvero poco per alimentare nuovi focolai». Non c’è monito migliore alle parole di Amadu del cimitero fuori città, il Ragbom, una tetra spianata con un migliaio di lapidi nere, in legno, numerate e disposte in perfetta simmetria. Un quarto dei morti ufficiali per ebola avvenuti in Sierra Leone tra il 2014 e il 2015 (poco meno di quattromila) sono sepolti qui, anche se i decessi reali sono stati di più. «Il numero esatto non lo sapremo mai – continua Amadu –, perché nei villaggi in molti si affidavano alle cure dei guaritori. Poi, una volta defunti, i loro corpi non venivano cremati ma lavati secondo i riti funebri animisti». È stata questa la causa principale del dilagare dell’epidemia, e pare ci sia il mancato rispetto delle africa · numero 6 · 2016 9



dei prezzi mondiali del ferro, primo prodotto di esportazione del Paese, e dal crollo del settore minerario per la scomparsa degli investitori stranieri. La chiusura di due miniere gestite rispettivamente dall’African Minerals e dalla London Mining ha rappresentato una perdita di 7.500 posti di lavoro. Anche se l’occupazione è tornata al livello precedente della crisi, la durata dei contratti e i salari sono inferiori, secondo un rapporto della Banca mondiale pubblicato in giugno. Non solo. A causa di ebola, la Sierra Leone ha perso un anno di scuola ma anche un anno di agricoltura, pesca, turismo e investimenti stranieri. «In quei mesi è stata dura, vivevamo nel panico, ogni febbre poteva essere sintomo di ebola», ammette Natalio Paganelli, bergamasco, padre saveriano da dieci anni in Sierra Leone, recentemente nominato vescovo di Makeni. «Una larga fascia di popolazione sopravvive grazie

Visita ai parenti defunti al cimitero di Waterloo. Per legge, tutti i cadaveri delle persone sospettate di aver contratto il virus sono stati cremati

a una mera economia di sussistenza. Ma sono convinto che le cose andranno meglio, le miniere riapriranno, torneranno i turisti e gli investimenti. Ebola è stata solo una drammatica battuta d’arresto». La pensa così anche Abdel Kaore, che lavora al Queen Elizabeth II Quay. Mentre cammina fra i container di uno dei più grandi porti d’Africa, mostra le gru, i camion in movimento, gli operai al lavoro, e dice: «Le navi stanno ricominciando ad arrivare, il Paese sta ripartendo». Nazione spezzata Al Radisson Hotel di Freetown un trentenne elegante, dopo una chiacchiera di circostanza, inizia a proporre l’acquisto di pietre preziose. Difficile non andare con la mente a una guerra civile durata undici anni, terminata nel 2002 e alimentata dalla caccia alle miniere di diamanti. Difficile non fare i conti con i numeri di un Paese

BILANCIO CATASTROFICO

L’epidemia di ebola in Africa occidentale si è ufficialmente conclusa il 17 marzo 2016 con l’annuncio da parte dell’Oms dell’arresto di «ogni forma conosciuta di trasmissione». Partita nel 2013 dalla Guinea, ha causato 11.315 decessi su 28.637 casi. Ecco la suddivisione delle vittime nei tre Paesi flagellati dal virus. MALATI Guinea Liberia Sierra Leone MORTI Guinea Liberia Sierra Leone

3.804 10.675 14.122 2.536 4.809 3.955

Dati Oms che per risorse naturali e volume di esportazioni potrebbe essere fra i più ricchi al mondo, e invece si ritrova sul fondo di quasi tutte le classifiche mondiali. Quella della speranza di vita (45 anni), quelle del Pil, della mortalità materna e infantile, dello sviluppo umano, del numero di persone denutrite, della corruzione. Malaria, aids e febbre gialla continuano silenziose a mietere vittime. In gran parte del Paese non ci sono fogne, né acqua corrente né elettricità pubblica. Makeni fa storia a sé, qui la sera i lampioni illuminano le strade e l’energia non manca mai solo perché Ernest Bai Koroma, il presidente della Repubblica, è nato qui. La domenica al Wusum Hotel si ritrova l’alta borghesia di Makeni: birra gelata, ragazze sorridenti e calcio inglese in televisione,

ma anche medici delle Nazioni Unite al lavoro al computer, a bordo piscina. Dentro l’hotel, una piccola élite. Fuori, oltre il muro, la Sierra Leone che fatica ad andare avanti e muore di stenti. Vengono in mente le parole di Gino Strada e Roberto Satolli, che in Zona rossa (Feltrinelli) hanno raccontato l’incubo ebola visto da dentro, dall’ospedale di Emergency a Freetown. Proponendo una tesi avvilente: non è stato fatto tutto il possibile per aiutare i malati africani. Lo dimostrano le statistiche: in Occidente si sono salvati tre malati di ebola su quattro, in Africa solo uno su quattro. E non per mancanza di fondi, i soldi c’erano. In fin dei conti è normale. «Nel terzo mondo – scrivono gli autori – si porta una medicina da terzo mondo. Un po’ come i vestiti di seconda mano». africa · numero 6 ·2016

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ATTUALITÀ di Giovanni Porzio

Nel regno del feroce Jammeh

Sulla spiaggia nei pressi di Banjul le donne recuperano il pesce catturato dai mariti nelle pescose acque dell’Atlantico. L’economia gambiana dipende dall’andamento del mercato della sua principale esportazione, le arachidi

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REPORTAGE DAL GAMBIA, MINUSCOLA NAZIONE NELLE MANI DI UN PRESIDENTE ECCENTRICO E SPIETATO

Il Gambia è uno staterello fluviale, governato da vent’anni da Yahya Jammeh: un presidente che millanta di curare l’aids con erbe magiche, prepara micidiali pozioni allucinogene per i nemici. E riempie le prigioni di oppositori Il Gambia è una minuscola repubblica anglofona affacciata sull’Atlantico: una spina nel fianco del Senegal, che lo circonda per tre lati ed è in pessimi rapporti con Yahya Jammeh, lo stravagante dittatore gambiano. Alla frontiera tra i due Paesi, da poco riaperta dopo mesi di tensione e di reciproche accuse, è impossibile sottrarsi all’oliatissimo ingranaggio della corruzione, che scatta inesorabile al primo posto di blocco. È una piaga diffusa in quasi tutta l’Africa. Ai check point, poliziotti e gendarmi sono in una posizione di potere e lo sfruttano fino in fondo per arrotondare i magri stipendi. Ogni pretesto è buono per chiedere denaro: un faro difettoso, la cintura ▼ Il presidente Yahya Jammeh, 51 anni. Lo scorso anno ha decretato la Repubblica islamica e adottato l’arabo, che nel Paese nessuno parla

slacciata, un’imperfezione nei documenti. Questa volta manca un timbro sul libretto dell’assicurazione, ma Johnny, l’autista, se la cava con una mancia. Ex porto negriero Attraversiamo piantagioni di manghi e di anacardi, villaggi rurali sovrastati da giganteschi baobab. Allungando qualche banconota superiamo indenni un paio di sbarramenti militari e arriviamo a Barra, l’attracco del ferry per Banjul, la capitale. La fila dei camion è impressionante. Per raggiungere le province meridionali della Casamance evitando un lunghissimo tragitto alternativo, i trasportatori senegalesi devono passare dal Gambia, che lucra sui traffici frontalieri, legali e illegali. In febbraio Yahya Jammeh ha aumentato di cento volte (da 4.000 a 400.000 franchi Cfa, valuta utilizzata da 14 Paesi

africa · numero 6 · 2016 17 Robih Hammond / Panos / Luz



Incollato al trono Amnesty International e Human Rights Watch hanno denunciato altri casi: la scomparsa dell’imam Sawaneh, arrestato nell’ottobre 2015; la morte in cella del sindacalista Sheriff Dibba, in febbraio; le sevizie e gli abusi sessuali inflitti ai detenuti. Al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, che ha sollecitato un’indagine, Jammeh ha risposto con un secco «vada all’inferno». Ma l’opposizione non si lascia intimorire. La signora Darboe mi mostra la copia della testimonianza, giurata di fronte alla Corte suprema del Gambia, di Njie Nogoi, un’attivista arrestata in aprile che ha assistito alla fine di Solo Sandeng. Nella sua deposizione Nogoi descrive le torture, gli insulti, le bastonate. «Solo, era disteso a terra, gonfio e completamente nudo. Sanguinava profusamente dal corpo e dalla testa. Si lamentava e si muoveva appena: l’ho chiamato ma non mi ha risposto. Due uomini incappucciati l’hanno portato fuori, dietro l’edificio. Ho sentito ancora dei colpi e dei lamenti. Poi, più niente». Nel ruolo del “Big Man” africano, il despota del

▶ L’attracco sul fiume del traghetto di Banjul, dove passano i trasportatori senegalesi per raggiungere la regione meridionale della Casamance

Gambia sembra reincarnare nefasti personaggi d’altri tempi, quali l’ugandese Idi Amin Dada, il congolese Mobutu Sese Seko o l’imperatore centrafricano da operetta Jean-Bédel Bokassa, fortunatamente archiviati dalla storia. «Sua Eccellenza lo Sceicco Professore Dottore Presidente», come Jammeh ama farsi chiamare, non ha alcuna intenzione di rinunciare a una missione affidatagli «da Allah in persona». Ed è deciso, come ha dichiarato tempo fa alla Bbc, a rimanere sul trono «per un miliardo di anni, se Dio vuole». Pozioni magiche A ogni buon conto, alla protezione divina, piuttosto volatile e impalpabile, Sua Eccellenza ha sempre preferito metodi più convenzionali. Si sposta su una Hummer blindata in un convoglio di Suv e di pick-up equipaggiati con mitragliatrici pesanti e contraerea. Ossessionato dai complotti, rimpasta in

Giovanni Porzio

continuazione la compagine di governo e i vertici delle forze armate per liberarsi dei potenziali cospiratori. Ha creato una temibile polizia segreta, la National Intelligence Agency, e formazioni paramilitari – i Jungulars e i Green Berets – che fanno i lavori sporchi di cui rispondono solo al presidente. E se le torture e le esecuzioni sommarie non bastano, lo Sceicco Professore Dottore può sempre contare sui poteri magici. Non ha forse scoperto una miracolosa formula a base di erbe in grado di guarire l’aids e di debellare il virus ebola? Si ignora che fine abbiano fatto i pazienti

sieropositivi che invece di curarsi con i farmaci antiretrovirali forniti dall’Ue si sono lasciati convincere a tracannare l’intruglio presidenziale. Ma è certo che Jammeh ha grande fiducia nella medicina tradizionale. Nel 2009, convinto che una sua zia fosse deceduta in seguito a un maleficio, fece arrestare un migliaio di presunti «stregoni»: nelle celle di Mile 2 dozzine di sventurati furono costretti a trangugiare una pozione di erbe allucinogene «per verificare i loro poteri soprannaturali». Almeno sei riposano oggi al cimitero. Di molti altri si è persa anche la memoria.

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Burkina,

PAESE DEL SAHEL PROTAGONISTA DI DUE

In Burkina Faso, nel 2014, l’insurrezione della popolazione è riuscita a rovesciare un regime dispotico e corrotto. Ma la svolta democratica oggi è minacciata dai fantasmi del passato La città di Ouagadougou ci accoglie con sciami di motorini cinesi che sfrecciano ovunque alzando nuvole di polvere. A tenere puliti i marciapiedi ci pensano le donne della “brigata verde”, un pacifico esercito di solerti netturbine, presenti ad ogni incrocio. Le capita-

le del Burkina Faso è tornata quella di sempre: caotica e vitale. Il “Grand Marché” il mercato principale, fulcro della vita economica e sociale, è il luogo-simbolo del dinamismo e della voglia di riscatto del popolo burkinabé. Un popolo che, il 31 ottobre 2014, ha saputo

RIVOLTE POPOLARI PER LA DEMOCRAZIA

liberarsi dell’ingombrante figura di Blaise Compaoré (il presidente rimasto al potere per 27 anni e che aveva annunciato l’intenzione di ricandidarsi) e che poi, nel settembre del 2015, ha difeso la democrazia (con l’aiuto dell’esercito) dal golpe intentato

dalla Guardia Presidenziale, fedele all’ex capo di Stato. Cos’è rimasto oggi di quella straordinaria mobilitazione popolare che aveva suscitato grandi speranze? Futuro incerto Idrissa, giovane artista di Ouagadougou, ha mantenuto vivo l’entusiasmo e la passione politica. «Dopo decenni di silenzio, siamo scesi in strada per riaffermare la sovranità popolare», ricorda con fierezza. Il vuoto di potere che si era creato all’indomani della rivoluzione avrebbe potuto innescare una pericolosa guerra civile con regolamenti di conti e spargimenti di sangue. Ma non è accaduto. «L’integrità e la coesione sono per noi valori fondamentali», spiega nel nuovo libro Burkina Faso – vedi box pagina accanto – Bénéwendé Sankara (nessun legame di sangue con Thomas Sankara, l’eroe nazionale, il presidente ◀ Stadio di Ouagadougou. Nella sala delle autorità campeggia un ritratto del vecchio presidente Blaise Compaoré, spodestato il 31 ottobre 2014 e rifugiatosi in Costa d’Avorio

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africa · numero 6 · 2016 courtesy A. Frazzetta



SOCIETĂ€ testo di Valentina G. Milani - foto di Marco Garofalo

Il cavaliere di Soweto


VISITA ALLA SCUOLA DI EQUITAZIONE DI ENOS MAFOKATE, IL LEGGENDARIO FANTINO CHE HA RISCRITTO LA STORIA DEL SUDAFRICA

Cresciuto in una township ai tempi dell’apartheid, è stato il primo sportivo nero a rappresentare il Sudafrica in una gara ufficiale, riuscendo a raggiungere persino le Olimpiadi. Ora insegna a cavalcare a bambini e ragazzi poveri, orfani o disabili «A ripensare a quel momento mi vengono ancora i brividi. Una sensazione strana, in bilico tra agitazione, felicità, soddisfazione e commozione. Una cosa è certa: quella fu la prima volta che sentii di essere pienamente me stesso». Sguardo perso nel passato, sorriso sognante, Enos Mosotho Mafokate, 70 anni, ricorda il giorno in cui fu il protagonista di una vera e propria rivoluzione: divenne il primo sportivo nero a rappresentare il Sudafrica in una competizione internazionale. Era il 19 luglio 1980: in quella data Enos partecipò in

veste di fantino al London Royal International Horse Show, all’apice di una lunga storia iniziata più di trent’anni prima nel Paese dell’apartheid. «A Londra durante la gara saltai con il mio cavallo molti ostacoli insidiosi. Ma l’ostacolo più grande che superai quel giorno era invisibile e si chiamava “segregazione razziale”».

◀ Enos Mafokate, primo a sinistra, in posa con alcuni piccoli allievi della sua scuola equestre. In una dozzina di anni ha formato circa 700 fantini, neri e meticci, cresciuti nelle baracche come lui

▼ Il celebre fantino accarezza il suo cavallo bianco. Quando era bambino, ai tempi della segregazione razziale, Enos Mafokate faceva lo stalliere: curava i purosangue dei ricchi bianchi

La vita su un piatto Incontriamo Enos Mosotho Mafokate nel Soweto Equestrian Centre che ha fondato nel 2007. «Qui insegno a cavalcare a bambini e ragazzi provenienti dai quartieri più difficili

africa · numero 6 · 2016 29



UNO SGUARDO SULL’AFRICA? MEGLIO DUE

AFRICA e NIGRIZIA: due riviste, un’unica passione

AFRICA N. 5 SETTEMBRE-OTTOBRE 2016 - ANNO 95

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COPERTINA testo di Andrea Semplici - foto di Andrea Frazzetta

Metamorfosi di una terra ignota

36 africa ¡ numero 6 ¡ 2016


VIAGGIO IN UNA DANCALIA DIVERSA, MA SEMPRE STRAORDINARIA, TRA CAROVANE DI DROMEDARI, COMPAGNIE MINERARIE E COMITIVE DI TURISTI

La Dancalia, sul confine tra Etiopia ed Eritrea, è sconvolta da cambiamenti epocali. Ma il suo incredibile paesaggio – deserti infuocati, piane di sale, infaticabili cammellieri, vulcani irrequieti e geyser spettacolari – mantiene intatto il suo fascino Un mondo estremo, pericoloso, inabitabile. Così fino a pochi anni fa veniva descritta la Dancalia. Per libri e giornali era la Terra del Diavolo, e gli Afar, il popolo che la abita, «feroci come il deserto che percorrono». Oggi le riviste pubblicano servizi sulla Dancalia titolando «Magnifica ossessione», con gli Afar «ultimi cammellieri». Toni intrisi di esotismo. Anche il web è colonizzato dalle spettacolari foto di questa regione, oggi pubblicizzata da decine di tour operator. Il deserto, ai confini fra Eritrea ed Etiopia, ha subìto una metamorfosi impressionante ed è diventato l’imprevista, ultima meta ◀ Una carovana nella Piana del Sale. I nomadi afar fermano il loro andirivieni solo da maggio a settembre, quando le temperature diventano insostenibili ▼ L'hotel Afarik, per turisti di passaggio in Dancalia

di turisti in cerca di avventura. Cos’è accaduto? Ciclone modernità Un ricordo personale: in uno dei nostri ultimi viaggi in Dancalia, fummo affidati a uno scout (in quei deserti è obbligatorio viaggiare scortati: più per ragioni di “distribuzione di lavoro” che non per reale necessità). Si chiamava Zehino. Una buona guida, dimostrò di conoscere bene la regione, era ben accolto in ogni villaggio. Un tipo silenzioso, taciturno e gentile. Solo dopo che ci salutammo scoprii, grazie a una vecchia foto, chi era Zehino. Era il vecchio “responsabile militare” di quel movimento ribelle che, nel 1995, aveva sequestrato un gruppetto di italiani che, violando il confine fra Eritrea ed Etiopia, erano finiti in una terra allora irrequieta. Quindici anni dopo, Zehino era diventa-

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DA LEGGERE

Dancalia.it è il sito costruito attorno all’opera in due volumi di Luca Lupi, per complessive 1.500 pagine ed euro 50, Dancalia. L’esplorazione dell’Afar, un’avventura italiana (Istituto Geografico Militare – Edizioni Tagete, 2008-09). Un progetto editoriale in progress. Altri libri: Dancalia. Camminando sul fondo di un mare scomparso (Terre di mezzo, 2014, pp. 185, euro 14,00) di Andrea Semplici. Agli amanti della fotografia segnaliamo Dancalia. L’emozione diventa silenzio con scatti di Paolo Ronc (APR&B, 2012, pp. 96, euro 24,00); con le stesse edizioni, ancora Semplici ha pubblicato nel 2012 i due volumetti di Afarland. Invece Dancalia. La Terra del Diavolo è il diario della traversata del 1995 di Antonio Biral e otto compagni, sequestrati da ribelli tra cui lo Zehino (o Zheino) citato in questo servizio (Campanotto, 1996, pp. 165, euro 18,00). (A cura della redazione) cinque ore di macchina fra Makallè e il villaggio di Hamed Ela. Cinque anni fa impiegavamo due, tre giorni. Vi è perfino un air strip, una pista di atterraggio per piccoli aerei, ai confini della Piana del Sale. Andare in Dancalia, oggi, è “facile”. E questo è un rimedio perfetto contro gli stereotipi che avvolgono questi deserti. Non è più la regione che mitologie e leggende coloniali e occidentali volevano inaccessibile e pericolosa. Non vi sono più alibi: si può an-

◀ Una guida turistica riposa fuori dal suo capanno in pietra a pochi metri dalla lava in ebollizione dell’Erta Ale (m. 613). Il vulcano, secondo gli Afar, è protetto da guardiani demoniaci ◀ L’Erta Ale è un vulcanomatrioska: all’interno della caldera principale si trovano questa grande pentola di fuoco e un altro cratere assopito da almeno trent’anni

dare e vedere con i propri occhi, senza dover credere a cronisti o scrittori di viaggio, capaci di usare solo aggettivi ad effetto. Questa non è «la terra più crudele del pianeta». Visita al vulcano Nel 2007 arrivammo la prima volta in vetta al vulcano Erta Ale. Ci parve una camminata faticosa. Un trekking serale verso un luogo descritto come «minaccioso». A notte, ci trovammo di fronte a uno dei grandi spettacoli della natura. Un vulcano in perenne attività. Un luogo oltre ogni immaginazione. Non vi erano ripari sul bordo della caldera. Allora si dormiva cercando una protezione dietro alcune rocce. Stendevamo i sacchi a pelo sulla terra. In qualche modo ci riparavamo dal vento che spesso soffiava su quella vetta dancala. Gli Afar dei villaggi delle pendici del vulcano avevano ruspato una pista nella lava per aiutare

i fuoristrada a raggiungere una radura, una sorta di campo base prima della salita. Il trekking notturno verso la cima, grazie a questa pista, adesso non dura più di quattro ore. In due anni, fra il 2007 e il 2009, sui confini della caldera è sorto un villaggio di capanne. Nel 2009 ne contammo più di venti. Oggi sono ben più di cinquanta. Sono state scavate scale per scendere, senza patemi d’animo, nel cratere. Nuova economia Tour operator di Makallè oggi portano sul vulcano, quasi ogni notte, nei mesi della stagione fresca, decine e decine di turisti. Si paga un affitto per i giorni passati al riparo di quelle capanne di pietra costruite dalla gente dei dintorni. Si ingaggiano guide, cammellieri, cuochi, scout. Il turismo, in pochi anni, è diventato un’imprevista (e ricca) economia. Il capovillaggio di Kar-

swat, una sorta di solitario capoluogo delle terre attorno all’Erta Ale, è diventato un notabile: ha un “ufficio”, un tavolo, e rilascia ricevute per l’affitto delle capanne in vetta al vulcano. È lui, ormai ricco, a scegliere accompagnatori e cammellieri. Il turismo (ma ben più profondi saranno i cambiamenti provocati dalle compagnie minerarie) è il nuovo fermento della vecchia Dancalia. A Natale e a gennaio bisogna “prenotare” un letto di pelli di capra intrecciate a Hamed Ela, il villaggio dei cavatori di sale. I notabili afar hanno capito al volo la nuova economia e costruiscono capanne solo per soddisfare la domanda. Alcuni hanno capito il vento e investono. Si trasformano, imparano a comprendere le strane esigenze dei turisti occidentali. Coltivano il sogno di diventare businessman. Lo sono già. Metamorfosi di una terra. africa · numero 6 · 2016 43


SOCIETÀ testo di Daniele Bellocchio - foto di Frédéric Noy / Cosmos / Luz

Benvenuti A Kano, roccaforte nigeriana del più spietato gruppo jihadista, prospera un’inaspettata industria cinematografica. Che sfida la censura oscurantista della legge coranica e promuove l’emancipazione delle donne

C’è una casa di produzione cinematografica con sede in una città che è la roccaforte del gruppo jihadista più efferato che ci sia. Questa casa cinematografica realizza film soltanto in hausa (la lingua più parlata nel Nord della Nigeria), tratta temi legati all’amore, alla mo-

44 africa · numero 6 · 2016

rale e all’islam, e ha, come principali nomi nei cast, delle donne. Appare difficile comprendere come una pluralità di elementi così vari e agli antipodi possano convivere nello stesso recipiente, ma ciò avviene. E l’alambicco in cui tutto prende vita si chiama Kannywood: que-

LA FABBRICA DEI FILM

sto è il nome della casa di produzione della città di Kano, capitale dell’omonimo Stato e maggiore città della Nigeria settentrionale. Sviluppatasi a partire dagli anni Novanta, l’industria dei film nel regno di Boko Haram oggi vanta il 30 per cento della produzione cinematografica nigeriana. Le sue pellicole vertono intorno a tre filoni: triangoli d’amore (dove due ragazzi si contendono la stessa ragazza o due mogli lottano per il marito che condividono), matrimoni forzati e poi musical. Nel nome di Allah Il tutto, ovviamente, molto influenzato dalla fe-

NEL REGNO DI BOKO HARAM de musulmana. Non c’è pellicola che nei titoli di coda non riporti la scritta «Gloria a Dio». Un altro argomento che viene toccato è infatti quello della morale. In alcune storie si denuncia il comportamento dei membri delle classi dirigenti, che predicano la fede in pubblico e in privato si rivelano peccatori, si sottolinea la devozione ad Allah e vengono evidenziati i comportamenti corretti del buon musulmano. Oggi, nella città vecchia, dove vi sono le mura e il palazzo del sultano, dove il gruppo jihadista nel novembre del 2014 ha colpito uccidendo circa 40 persone, è facile immaginare


a Kannywood che qualcuno tra i giovani che frequentano le madrasse, in cui apprendono i veri valori dell’islam, nasconda nella sua borsa almeno una copia pirata di un film di Kannywood. In effetti, anche se al mercato ormai la gente si reca con timore e molti ambulanti hanno cessato l’attività a causa del terrorismo islamista, i dvd masterizzati dei film hausa si trovano invece ad ogni angolo di strada. Ecco infatti ambulanti avvolti in jalabie, con in testa il copricapo tradizionale e tra le mani il tashbih, il rosario musulmano, che stendono file di film sulle polverose strade della metropoli nigeriana. Le copertine dei

dvd sono un patchwork di colori e volti di star, i titoli richiamano all’amore e i visi ritratti sono quasi tutti femminili. Le regine dei set Nell’industria cinematografica di Kannywood, il 75 per cento degli attori sono donne. Tutte accomunate dal desiderio di recitare e dalla conflittualità che ciò comporta nella loro vita privata. Per un’attrice occorre essere celibe e aver l’approvazione dei genitori, per poter svolgere la professione che sogna. Sono molto rigorosi i vincoli che determinano il percorso professionale delle ragazze. A spiegare cosa signi-

◀ Riprese video tra notabili e dignitari religiosi di Kano. I registi di Kannywood devono fare i conti con le rigide norme della sharia, la legge coranica in vigore nella Nigeria del Nord

▲ Attrici ad un ricevimento. Nel Paese più popoloso d’Africa l’industria cinematografica raccoglie un enorme successo ▼ Set nei dintorni di Kano

africa · numero 6 · 2016 45


fichi essere una reginetta della Hollywood islamica è Hadiza Mohammed, 40 anni, veterana del mondo del cinema, che in un’intervista ad Al Jazeera ha raccontato: «Ho 40 anni, non sono sposata e vivo ancora con i miei genitori. Vivendo sotto lo stesso tetto di mio padre sono più rispettata. Quindici anni fa, quando decisi di intraprendere questa strada, vicini di casa e familiari cercarono di convincere mia madre a farmi smettere. Ma lei non mi pose mai dei veti e oggi quelle stesse persone corrono da me in cerca ◀ Ciak, si gira. I film girati a Kano si caratterizzano per le loro trame leggere, sempre influenzate dalla cultura musulmana ◀ Prima delle riprese di un film, due addetti al set sistemano la parrucca di un attore che deve interpretare un magistrato. I registi hanno a disposizione budget limitati e attrezzature basilari. Grazie all’uso della lingua locale, le pellicole coinvolgono un pubblico vasto e appassionato ▲ Un addetto alla duplicazione delle pellicole. Una volta ottenuto il via libera dalla censura, i film di Kannywood diventano dei veri e propri blockbuster, con una distribuzione legale affiancata dal florido mercato nero delle copie pirata

di aiuto, perché pensano che io sia ricca» Un’altra protagonista, molto più giovane ma già nota a livello internazionale, è Fatima Yola, vent’anni; anche lei per il momento è single e abita con i genitori, ma spiega: «Ora vivo con mia mamma e mio papà, perché così posso girare i film. Ma un domani vorrò anche sposarmi, e il giorno in cui prenderò marito non potrò più fare questo mestiere. È inutile domandarsi perché. La nostra cultura è così; quindi, da quando mi sposerò, starò in casa e smetterò di girare». ▶ Una famiglia di Kano davanti alla televisione. I film marchiati Kannywood, malgrado a un primo sguardo sembrino già visti e con un prevedibile lieto fine, in realtà toccano spesso le corde di un problema che nel Nord della Nigeria è molto diffuso, quello dei matrimoni combinati ▶ Venditori di dvd in un mercato nigeriano. I film prodotti a Kano fanno i conti con la sharia, ma arrivano sino all’emancipazione delle donne. Sono rivolti unicamente al mercato locale, a differenza dei film girati (in inglese) a Lagos dalla più famosa Nollywood, destinati anche all’esportazione



SOCIETÀ testo di Sébastien Deslandes - foto di Olivier Touron / LightMediation

Revolution Rock Gruppo di metallari per una strada di Tunisi. «Dopo il tramonto è sconsigliabile girare soli – spiegano –. C’è sempre il rischio di imbattersi in qualche ronda di fanatici islamisti»

48 africa · numero 6 · 2016

VIAGGIO NEL MONDO SEMICLANDESTINO DEI METALLARI DI TUNISI


Perseguitato per decenni dai governanti e marchiato come “diabolico” dagli imam islamisti, il rock tunisino deve la sua salvezza al coraggio di pochi appassionati. Che sfidano moralisti e integralisti a suon di musica I microfoni sul palco sono già accesi. Il tecnico del suono regola le manopole sul mixer. Gli addetti alle luci aggiustano i faretti per illuminare i graffiti disegnati sui muri. Tutto è pronto per il concerto di stasera: il gruppo metal degli Outrage (“indignazione”) si prepara a scatenare tutta la sua energia sul pubblico del Plug, un locale alternativo situato nel cuore di Tunisi. Nella sala gremita i giovani fan ostentano look trasgressivi, inconsueti da queste parti: giacche con le frange e abiti succinti per le teenager, pantaloni di pelle e cinturoni borchiati per i ragazzi. Società inquieta Stivali, piercing, tatuaggi, capelli lunghi e disordina▶ Due generazioni a confronto. Mohamed Dagachi nel tipico look trasgressivo dei metallari accanto al padre, un pensionato che ha accettato la passione del figlio ▶ Tunisi. Mohamed Dagachi, appassionato di musica metal, nel suo appartamento assieme a Sami Kharrat, chitarrista solista del gruppo Riffburn ▶ Lo studio del tatuatore Max Von D, aperto nel 2004, è diventato ultimamente un luogo di ritrovo per i metallari di Tunisi

ti: sono gli inconfondibili segni di riconoscimento dei metallari della Tunisia, ultimi discepoli di un genere musicale nato negli Usa, approdato in Europa, infine sbarcato – con trent’anni di ritardo – nel cuore del Nord Africa. «Ogni venerdì sera ospitiamo un’esibizione live di rock duro e il locale si riempie di gente», racconta Khaled, il proprietario del Plug. «È uno dei rari momenti di evasione e di libertà concessi ai giovani di Tunisi». Mohamed Dagachi, 31 anni, musicista e appassionato di black metal, non rinuncerebbe per niente al mondo a questo appuntamento settimanale. Per guadagnarsi da vivere, indossa abiti eleganti e vende polizze assicurative, ma dopo il tramonto si infila il suo giubbotto nero e dà libero sfogo alla sua grande passione. «Non m’importa di tutti quelli che mi giudicano dall’aspetto esteriore… Non sopporto i moralisti e i fondamentalisti – dice –. Ci sono troppi bigotti conservatori che guardano all’Occidente come a un nemico e a una minaccia… Ma per fortuna tanti giovani lo considerano l’orizzonte culturale e musicale di riferimento». africa · numero 5 · 2016 49



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Raffaele Masto È giornalista di Radio Popolare, collaboratore della rivista Africa, autore di vari libri: L’Africa del tesoro; Io, Safiya; In Africa. Ritratto inedito di un continente senza pace; Buongiorno Africa. Nel 2013 ha pubblicato per la rivista Africa il volume Diario Africano. Taccuino di un reporter. Cura un blog di analisi e riflessioni quotidiane sull’Africa: www.buongiornoafrica.it Safiya Hussaini Safiya Hussaini Tungar Tudu è una donna che oggi ha più di quaranta anni. Divenne conosciuta in tutto il mondo nei primi anni Duemila quando la Corte Islamica di Sokoto, Stato nord-occidentale della Nigeria, la condannò alla lapidazione con l’accusa di adulterio. In realtà la sua colpa era solo quella di avere avuto una figlia senza avere più un marito. Il suo caso fece nascere una mobilitazione internazionale che riuscì a strapparla in extremis alla più crudele delle condanne a morte.

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CULTURA testo di Alberto Salza - foto di Christian Lamontagne / Cosmos / Luz

Gli architetti delle cupole

56 africa · numero 6 · 2016


NEL SAHEL SI RISCOPRE UN’ANTICA TECNICA DI COSTRUZIONE FATTA DI CURVE E TERRA CRUDA

La cupola di terra è possibile grazie a un antico strumento della cultura nubiana, il compasso ligneo, che, fissato al suolo con un perno in corrispondenza del centro della futura struttura, permette di posizionare i mattoni strato dopo strato sino a formare la volta

Chi l’ha detto che le abitazioni devono avere muri lisci, linee squadrate e tetti spigolosi? In Africa si torna a riutilizzare la “volta nubiana”, che permette di costruire case in terra: resistenti, economiche, confortevoli e rispettose dell’ambiente Dopo la fine della guerra civile in Sud Sudan, nel 2008 venni inviato nel villaggio di Turalei con il compito di progettare una città per i reduci e i pastori dinka. I Dinka sono sempre vissuti in curatissime capanne semisferiche, adatte all’orizzonte circolare del nomade. Il tondo, a detta loro, è connesso alla tradizione, alla democrazia, all’apprendimento, alla bellezza. La mia ricerca diede risultati opposti: la maggior parte dei returnees e molti pastori volevano una “casa quadrata”. Un ex-combattente mi disse: «Io vado verso il futuro». Durante una guerra civile, il settore che collassa è quello delle costruzioni: la società è così concentrata nel distruggere che nessuno investe più in case. E nelle ricostruzioni post-conflitto in genere si fa ricorso a tecniche di edificazione e a modelli abitativi importati dall’Occidente, trascurando e abbandonando le architetture tradizionali. Così si perde l’efficacia delle cose semplici. Mostrando il tetto crollato di una capanna, un reduce dinka mi spiegò: «Mio nonno avrebbe saputo come ripararlo, io no».

Mattoni crudi Se possiamo paragonare la guerra alla catastrofe ecologica che investe periodicamente il Sahel (alternanza di siccità e inondazioni), allora ben venga la prospettiva offerta dall’Association La Voûte Nubienne (Avn; vedi box alla pagina seguente), attiva nell’Africa subsahariana, che guarda al passato per costruire un futuro sostenibile. Il nome deriva dalla cosiddetta “volta nubiana”, una tecnica costruttiva ad archi ogivali che risale all’Alto Egitto del primo millennio a.C. La Voûte Nubienne utilizza esclusivamente mattoni impastati con terra e seccati al sole. La terra cruda è un materiale da sempre usato dalle popolazioni locali, in quanto a disposizione di tutti, ma deve essere ben lavorata e ben assemblata per resistere alle intemperie. Nel Sahel, contrariamente a quanto si creda, piove. E piove con concentrata intensità: ecco perché Avn utilizza pietre per le fondamenta; inoltre, un telo di plastica impermeabilizza il tetto piano a terrazza che rifinisce in alto le volte, su cui è bello dormire nella stagione torrida che precede le piogge. La africa · numero 6 · 2016 57


CULTURA a cura di Marco Trovato

L’articolo 15 Nei Paesi più scalcagnati dell’Africa i dipendenti pubblici possono restare mesi e mesi senza stipendio. Per vivere, non possono che rivalersi sui cittadini. Nella capitale della Repubblica democratica del Congo può capitare di assistere a scene surreali...

Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo, è la vetrina impietosa di un Paese allo sbando. I trasporti pubblici non funzionano, scuole e ospedali cadono a pezzi, i dipendenti statali restano spesso senza stipendio, gli uffici amministrativi sono monumenti all’inefficienza e alla burocrazia. I pochi fortunati congolesi che dispongono di un impiego sicuro guadagnano meno di due euro al giorno. Salari da fame. Nelle case manca luce, acqua, gas. E cibo. Il 30% della popolazione è malnutrita. Due bambini su dieci non arrivano a compiere i 5 anni di età. A Kinshasa l’aspettativa di vita, in discesa costante da mezzo secolo, è di soli 45 anni. E il rischio di morire per carenze sanitarie è cinquecento volte più alto che in Europa. Numeri scandalosi per un Paese tra i più ricchi al mondo di risorse naturali, il cui territorio – vasto otto volte l’Italia 60

africa · numero 6 · 2016

– è traboccante di legname pregiato e di minerali preziosi (diamanti, oro, uranio, rame, coltan, per citarne solo alcuni) che fanno gola alle grandi potenze mondiali. Basterebbe usare una minima parte di questa immensa fortuna per risollevare le sorti della nazione. Ma le ricchezze finiscono da sempre nelle tasche di pochi uomini, avidi e corrotti. Al popolo restano le briciole. «Débrouille-toi toi-même, cavatela da solo» è il testo di un fantomatico articolo 15 della Costituzione congolese. «Articolo 15» è diventato quindi un divertente e popolare sinonimo dell’arte di arrangiarsi. Ce lo ricorda il nuovo libro di Raffaele Masto, reporter e scrittore, amico e colonna portante della nostra rivista. Il volume s’intitola Africa (Tam, 152 pp., euro 9,50) e condensa al suo interno reportage e analisi frutto di venticinque anni di viaggi. Con il suo stile agile e brillante,

OVVERO L'ARTE DI ARRANGIARSI A KINSHASA. IN ANTEPRIMA, UN CAPITOLO DEL NUOVO LIBRO DI RAFFAELE MASTO SUI VIZI E LE VIRTÙ DEL CONTINENTE


Masto tratteggia un continente in pieno fermento, ferito ma vitale, attraversato da tensioni e ricco di straordinarie risorse... anzitutto umane. Ne esce un affresco sorprendente in cui affiorano vizi e virtù dell’Africa, come dimostra la gustosa anticipazione che vi offriamo: il racconto di un episodio avvenuto proprio nella Rd del Congo... Finto poliziotto Faustin parcheggiò la sua sgangherata Peugeot di colore giallo con le portie-

re nere a fianco di un muro sbrecciato oltre il quale c’era un’abitazione: un piccolo cortile con alcune sedie sparse qua e là, tutte diverse una dall’altra, una casa in muratura costruita a metà, probabilmente finché c’era stato denaro per acquistare i materiali. Dall’interno giungevano voci di bambini che giocavano; sembrava non ci fosse nessun altro, quando sull’uscio apparve un poliziotto. Faustin si affrettò a fare le presentazioni: «Mon frère Joseph», disse rivolto a me e indican-

do l’agente sull’uscio. Poi con la mano accennò a me: «Mon frère le journaliste». Mi indicò una sedia e mi invitò a sedere, poi strillò a gran voce e un ragazzino mi portò una lattina di birra mentre lui e il poliziotto scomparvero oltre la porta, nel buio della casa. Qualche minuto dopo riapparvero ma, come in un gioco da bambini, Faustin era vestito da poliziotto e Joseph indossava un ampio boubou azzurro. Quest’ultimo si accomodò su una sedia come fos-

se al termine di una lunga giornata di lavoro. E di fatto lo era: a fine turno, «affittava» per pochi soldi la sua divisa a Faustin, che smetteva di farmi da chauffeur e cominciava il suo turno come poliziotto. Faustin era l’autista abusivo che mi aveva scorrazzato per Kinshasa durante la settimana che vi avevo

La copertina del libro di Masto pubblicato dall’editore milanese Tam. www.tameditore.it Il treno dei pendolari di Kinshasa, una scena di ordinario caos congolese

africa · numero 6 ·2016

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Issouf Sanogo / Afp



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RELIGIONE di Enrico Casale

L’angelo delle bambine soldato È una religiosa di umili origini che ha saputo restituire la speranza a decine di bambine, rapite nel Nord Uganda da miliziani spietati e costrette a ogni genere di abuso. Ecco com’è riuscita a strapparle all’inferno Le avevano picchiate, abusato di loro. Le avevano costrette a uccidere i parenti, gli amici, i compagni. Per le ragazze ugandesi rapite dai miliziani dall’Esercito di resistenza del Signore (Lra) la vita era diventata un

inferno. E, anche quando riuscivano a liberarsi dai carcerieri, il futuro sembrava compromesso: le famiglie non le volevano più e le comunità le respingevano. Suor Rosemary Nyirumbe non ha chiesto nulla. Le ha accolte nella

▼ Suor Rosemary Nyirumbe nella scuola professionale di Gulu. La religiosa sarà presente in video al workshop Dialoghi sull’Africa (Milano,

19 e 20 novembre; info su www.africarivista.it) dove interverrà anche un ex bambino soldato ugandese, John Baptist Onama

68 africa · numero 6 · 2016

sua scuola. È stata loro vicino. Ma, soprattutto, ha restituito loro un avvenire di speranza. La sua è una battaglia pacifica fatta di dedizione e riscatto contro una guerriglia che, dalla fine degli anni Ottanta, ha fatto trentamila morti e schiavizzato centomila ragazzi e ragazze. Africa ha incontrato Rosemary, sorridente e grintosa, in occasione della presentazione dell’edizione italiana della sua biografia, appena pubblicata dalla Emi. Durante l’intervista che ci ha concesso (un estratto sarà proiettato al workshop Dialoghi sull’Africa - Mi-

lano 18/20 Novembre) ha ripercorso la sua storia, che parte da lontano… Piccole schiave Ottava figlia di un falegname e di una contadina, Rosemary nasce in una capanna in Uganda. La sua è una famiglia povera, ma dignitosa. I genitori lavorano sodo per far studiare lei e i fratelli. A 15 anni Rosemary sente la vocazione e decide di entrare tra le Suore del Sacro Cuore di Gesù, un istituto di origine locale. A 19 anni prende i voti e si diploma in ostetricia. Comincia a lavorare



RELIGIONE testo di Pier Maria Mazzola - foto di Gianmarco Maraviglia / Echo Photojournalism

I terribili presagi di Kibeho Processione notturna di pellegrini al santuario. Trentacinque anni fa, il 28 novembre 1981, in questo villaggio avvenne la prima di una serie di “apparizioni mariane� che annunciarono l’ecatombe che sarebbe avvenuta con il genocidio del 1994


TRA LE VERDI COLLINE DEL RUANDA C’È UN SANTUARIO CHE FA RIFLETTERE. ANCHE CHI NON CREDE

Le uniche apparizioni della Madonna in Africa riconosciute dalla Chiesa sono avvenute in Ruanda. Un Paese non a caso. Da trentacinque anni la collina – teatro anche di una duplice carneficina – continua a richiamare pellegrini Questa è una storia in cui c’è posto per tutti. Devoti, “credenti adulti”, sospettosi, razionalisti. Perché qui si parla, è vero, di apparizioni mariane, ma senza che le autorità ecclesiastiche pretendano di farne una verità di fede (come nel caso, peraltro, di eventi simili quali Lourdes e Fatima). Più esplicitamente: «Anche nel caso in cui tali apparizioni vengano riconosciute dalla Chiesa, esse non appartengono al deposito della fede; nessun cristiano è dunque obbligato a credervi», esordisce un circostanziato documento emesso dalla diocesi di Gikongoro nel 2004, dedicato a Kibeho, che al tempo stesso domanda «di fare prova di rispetto nei riguardi di quanti vi credono». Che insomma si tenga per vera o meno la materializzazione della Vergine Maria, negli anni Ottanta, in questo villaggio del Ruanda non lontano dal Burundi, non si potrà fare a meno di constatare come, a trentacinque anni dall’inizio di questa vicenda, l’afflusso di fedeli sia costante – le foto di questo servizio lo testimoniano – e come appaia improbabile che tale fenomeno sia un’abile montatura, date

le circostanze e le protagoniste. Non secondario punto d’interesse è poi che queste apparizioni, le uniche riconosciute dalla Chiesa in Africa, abbiano avuto per teatro il Ruanda in anni precedenti i massacri, che – lo si capirà solo dopo gli avvenimenti del 1994 – erano stati predetti con stupefacente precisione. Su Kibeho stessa si abbatté la furia genocidaria, prima, e della repressione del nuovo regime (su un campo profughi), un anno dopo. Per un totale di almeno ventimila morti. Una ragazza come tante Cominciamo dall’inizio. È il 28 novembre 1981. Nella scuola e collegio femminile di Kibeho tenuto da suore locali, una studentessa sedicenne, mentre è di corvée in refettorio, avverte strane sensazioni ed esce nel corridoio. Avviene qui il suo primo incontro con Nyina wa Jambo, la «Madre del Verbo», che si concluderà con un tonfo sul pavimento e uno stato di incoscienza lungo una decina di minuti. Durante i quali viene circondata dalle compagne, tra l’incuriosito, lo spaventato e il diffidente. Nei giorni successivi, altre appariafrica · numero 6 · 2016 71


zioni, sempre nei banali ambienti del convitto, con preferenza per il dormitorio comune. Qui, qualche settimana dopo, verrà improvvisato una sorta di oratorio. Alphonsine Mumureke – questo il nome della ragazza – non spiccava tra le sue compagne per pietà, eccellenza negli studi o altre doti. Era una come tante. Se non “peggio”. Era infatti figlia di genitori divorziati (all’epoca un fatto alquanto raro, per dei cattolici) e proveniva dall’est del Paese, regione con fama di essere terra di stregonerie e demoni. E, nella storia della Chiesa, in presenza di fenomeni inquietanti il primo pensiero va a «Satana che si maschera da angelo di luce» per meglio ingannare i fedeli. Sospetti e sorprese Su Alphonsine, dunque, si addensarono subito i sospetti. Da parte delle compagne come della direttrice, suor Germaine. Per questo la ragazza si mise a implorare la Madonna perché facesse provare la stessa esperienza ◀ Momenti della celebrazione del pellegrinaggio ◀ Nella chiesa di Kibeho gremita, le donne portano a benedire rosari e taniche di plastica: servono a raccogliere l’acqua che sgorga dalla fonte sotto il santuario. Per i fedeli è sacra ◀ Una donna cade a terra, in preda a convulsioni. «È posseduta dal demonio», dicono i fedeli accanto a lei. Viene portata al cospetto di Nathalie, una delle tre veggenti, che vive vicino al santuario 72 africa · numero 6 · 2016

anche ad altre studentesse: in caso contrario l’avrebbero solo presa per una pazza. Richiesta infine esaudita. Il 12 gennaio è la volta di Nathalie Mukamazimpaka – lei sì, una ragazza modello –, cui si presenta, quel giorno, Umubyeyi w’Imana, la “Madre di Dio”. I fenomeni si producono a ripetizione, per l’una e per l’altra, e il vescovo in persona deve occuparsene da vicino. Il numero di chi presta loro credito comincia a crescere, anche le contestazioni però non si fermano. Tra le alunne, l’agguerrita capofila delle “agnostiche” è Marie-Claire Mukangango, che non esita a denunciare le due come «bugiarde» e a sfidarle. Ma sarà proprio lei, il 2 marzo, a diventare la terza veggente, anche se dopo una iniziale resistenza. Il giorno prima aveva vissuto un’esperienza insolita, come di un attacco di spiriti malefici («… tutta colpa dei riti di Alphonsine!»), e quando torna ad avvertire qualcosa di strano attorno a sé, si mette letteralmente in guardia, in posa da pugile: «E va bene, mi hai trovato. Sono Mukangango. Sono qui, pronta a combattere». Una voce soave, mai intesa prima, infine la persuade: «Non devi mai avere paura di tua madre». L’inchiesta della Chiesa Da allora e per tutto il 1983, le apparizioni – più numerose quelle di Alphonsine – si moltiplicano per tutte e tre. Ed escono dalle mura del



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IN VETRINA

POSTA

info@africarivista.it fax 0363 48198 C.P. 61 - Viale Merisio, 17 24047 Treviglio BG

a cura della redazione

ERITREA DISPERATA Sono un vostro abbonato e, leggendo l’ultima rubrica della posta, il mio sguardo è stato rapito dalla lettera che parla dell’Eritrea e che vi rimprovera per le critiche che avete mosso al regime di Isaias Afewerki... Sono sobbalzato sul divano: la situazione laggiù non è drammatica, di più! Di recente sono stato ad Asmara e ho potuto constatare coi miei occhi la disperazione di un intero popolo senza libertà. F. Pirani ITALIANI BRAVA GENTE? Gentile direttore, in riferimento alla sua intervista al sig. Angelo Del Boca, pubblicata su Africa e su YouTube, ritengo che il celebre storico del colonialismo italiano faccia delle dichiara-

zioni prive di fondamento che infamano migliaia di connazionali che hanno versato il loro sangue in quelle terre. Le leggi razziali non furono mai applicate in Eritrea ed Etiopia: furono gli inglesi, appena ci strapparono le colonie, a dividere gli autobus tra bianchi e neri. Ho dedicato la mia vita a riportare alla luce la verità sul periodo coloniale e a smascherare le mistificazioni contro gli italiani in Africa. Luigi Schneider Gentile lettore, la ringrazio per avermi fatto omaggio del dossier storico che ha redatto. L’ho letto con interesse, pur non avendo competenze specifiche in materia. Tuttavia, ai miei occhi, «le strade, i lebbrosari e le scuole per indigeni costruiti dal regime fascista nell’Africa

Orientale Italiana» non rendono più umano, quindi accettabile, il nostro colonialismo. In Africa i gerarchi fascisti si macchiarono di crimini terribili: uccisero migliaia di civili nei campi di concentramento in Libia, utilizzarono il gas contro la popolazione in Etiopia e istituirono un intollerabile sistema di segregazione razziale. Marco Trovato FORNELLI E STUFE Ho letto con interesse l’articolo dedicato all’iniziativa della Leonardo Business Consulting (Lbc), che finanzia in Mozambico la produzione del fornello a pirolisi: fa ben sperare, visto e considerato che fino ad ora questa tecnologia appropriata non è mai decollata anche per mancanza di fondi dedicati. Già nel 2007 un team di

ricercatori dell’Università di Udine aveva messo a punto una stufa ecologica, ElsaStove, nell’ambito di un progetto finanziato dall’Unione europea. Oggi queste stufe sono presenti in Ghana, Togo, Etiopia, Zimbabwe, e stanno prendendo piede in Tanzania, Nigeria, Camerun. L’impegno di Lbc è lodevole, forse però poteva essere guidato in modo diverso, valorizzando le esperienze già consolidate in terra africana. Umberto Marin PROFUGHI TRADITI Lavoro come volontaria in un centro per rifugiati e richiedenti asilo. La tensione cresce ogni giorno di più. I profughi si sentono traditi dall’Europa. La loro disperazione ci travolgerà. Erika Durso, Roma

SOSTIENI I MISSIONARI D’AFRICA SCEGLI QUALE PROGETTO ADOTTARE 1 MOZAMBICO assistenza agli orfani (P. Claudio Zuccala) 2 MALI

medicine per un dispensario (P. Alberto Rovelli) 3 BURKINA FASO microcredito per le donne (P. Maurice Oudet) 4 MALI

aiuto scolastico a bambini (P. Vittorio Bonfanti) 5 SUDAFRICA

retta scolastica per seminaristi (P. Luigi Morell)

Tel. 0363 44726

6 UGANDA aiuto a studenti poveri (P. Jean Le Vacher) 8 AIUTI DA DESTINARE

AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

dove è più urgente (P. Paolo Costantini)

COME AIUTARE:

9 ITALIA assistenza ai padri anziani (P. Paolo Costantini)

Le offerte, fiscalmente deducibili, vanno inviate alla Onlus AMICI DEI PADRI BIANCHI (cod. fiscale 93036300163) SPECIFICA IL TITOLO O IL NUMERO DEL PROGETTO

10 ALGERIA

sostegno a universitari (P. Aldo Giannasi) 11 MALAWI

biogas per un villaggio (P. Abdon Gamulani)

africa@padribianchi.it

Dona tramite: - WEB con PayPal dal sito www.missionaridafrica.org - POSTA CCP numero 9754036 - BANCA IBAN IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: BCCTIT2TXXX

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MISSIONARI D’AFRICA Notizie e progetti dei padri bianchi italiani e svizzeri N. 4 NOVEMBRE-DICEMBRE 2016 - ANNO 95

WWW.MISSIONARIDAFRICA.ORG

a cura di Enrico Casale

AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

MISSIONARI IN SICILIA

ALLEGATO REDAZIONALE

Quattro religiosi, con una grande esperienza in missione, aiutano i migranti a integrarsi nel nostro Paese e raccontano ai siciliani la ricchezza umana e culturale dei ragazzi e delle ragazze provenienti dall’Africa I missionari insieme per aiutare gli immigrati che arrivano in Sicilia e per favorire la loro accoglienza. Si chiama “Progetto Lampedusa” ed è un’iniziativa rivoluzionaria nel mondo missionario italiano. Tutto nasce nel 2013 quando, il 3 ottobre, al largo delle coste italiane muoiono in un tragico incidente più di 350 migranti. La scomparsa di così tante persone (uomini, donne e bambini) colpisce fortemente l’opinione pubblica italiana. E colpisce anche i responsabili delle principali congregazioni missionarie italiane riunite nella Cimi (Conferenza istituti missionari in Italia). I superiori generali si mobilitano per offrire un contributo e aiutare chi arriva e chi accoglie. Decidono così di aprire una comunità intercongregazionale a Lampedusa. «Dopo i primi contatti con le autorità civili e religiose – spiega Vittorio Bonfanti, Padre Bianco, missionario per vent’anni in Mali e tra gli animatori del progetto –, si è capito che Lampedusa non era il posto adatto perché lì i migranti rimangono poco, per poi essere trasferiti sulla terraferma. Dopo aver vagliato alcune proposte, è stato poi deciso di aprire un centro a Modica (Rg)». Una comunità innovativa Si forma un team. Con padre Bonfanti lavorano Gianni Treglia, mis-

sionario della Consolata, Rachele Soria, missionaria della Consolata, e Giovanna Minardi, suora dell’Immacolata (Pime). «Siamo tutti religiosi con una lunga esperienza missionaria in diversi Paesi del Sud del mondo – continua padre Vittorio – ed è questa esperienza che mettiamo a disposizione del territorio di Modica-Noto». I missionari, a stretto contatto con i volontari e gli operatori della Caritas, lavorano come interpreti, ma anche come “mediatori culturali”. «Il fatto di parlare la lingua e conoscere la cultura di molti immigrati – continua il religioso – fa sì che siamo diventati un punto di riferimento per loro. Di noi si fidano

e si aprono perché sanno che possiamo capirli». In questo contesto è nato, sempre a Modica, un centro al quale i migranti possono rivolgersi per chiedere assistenza e trovare l’aiuto di avvocati, medici, ecc. I missionari inoltre sono spesso ospiti di incontri in parrocchie, associazioni e centri culturali. «L’immigrazione – conclude padre Vittorio – è spesso un oggetto misterioso. Noi lavoriamo per sfatare miti, preconcetti, diffidenze. Soprattutto nei confronti del mondo islamico. Il “Progetto Lampedusa” durerà fino al 2019. Dopo? Si vedrà. Speriamo possa continuare, con noi o con altri missionari».


AIUTA I MISSIONARI D’AFRICA Scuole, pozzi, orfanotrofi, ospedali... C’è solo l’imbarazzo della scelta per chi vuole sostenere i progetti in Africa dei missionari Padri Bianchi a favore dei più bisognosi*

Progetto 1-2015 MOZAMBICO SOCCORSO AGLI ORFANI

trecento epilettici. Ma c’è ancora bisogno di aiuto per pagare il salario agli infermieri e per l’acquisto di medicine e strumenti diagnostici. Referente: padre Alberto Rovelli

Progetto 3-2015 BURKINA FASO MICROCREDITO A DONNE

Il Centro “Santi Innocenti” ospita e sostiene un’ottantina di bambini, ragazzi e giovani orfani o provenienti da situazioni di forte disagio. Si può aiutare con un’adozione a distanza oppure con una donazione libera che servirà per il cibo, l’igiene personale, l’istruzione dei giovani ospiti e per la manutenzione dello stabile in cui vivono. Referente: padre Claudio Zuccala

Progetto 2-2015 SAHARA-MALI UN DISPENSARIO Il dispensario della missione a Gao, in Mali, è stato devastato dei miliziani islamisti. Dopo il ritorno dell’esercito, gli infermieri, con pochi mezzi, assistono i malati. I lettori di Africa hanno già donato 8.500 euro che hanno permesso di curare

Maurice Oudet, missionario dei Padri Bianchi in Burkina Faso, offre microfinanziamenti di 150-200 euro a donne in difficoltà, permettendo loro di avviare attività in grado di

Progetto 5-2015 SUDAFRICA AIUTI AI SEMINARISTI

generare reddito. Ciò offre l’opportunità di cambiare in meglio la vita di molte ragazze-madri, mogli abbandonate o rimaste vedove. Anche i lettori di Africa possono aiutarle: bastano cifre contenute per offrire la chance di un riscatto sociale. Referente: padre Maurice Oudet

Progetto 4-2015 MALI BAMBINI A SCUOLA Nel Nord-Ovest del Mali, ci sono alcune scuole comunitarie e numerosi bambini ne hanno beneficiato. Molte di queste scuole hanno però bisogno di un intervento urgente e di materiale scolastico, ormai insuf-

*

ficiente. Inoltre, la guerra ha ridotto alla miseria tante famiglie che non possono più pagare le tasse scolastiche e l’acquisto del materiale didattico, per cui molti bambini sono costretti ad abbandonare gli studi. Referente: padre Vittorio Bonfanti

A Merrivale, in Sudafrica, i Padri Bianchi hanno aperto un seminario di teologia e una residenza per i giovani che aspirano a diventare missionari. Il progetto si prefigge di sostenere le spese degli studenti africani. A ogni seminarista viene pagata la retta (pari a 1.300 euro annui), a cui si sommano i costi per vitto, alloggio e trasporto. Un contributo può aiutare i seminaristi a proseguire il loro cammino. Referente: padre Luigi Morell

Se qualcuno volesse contattare il referente, può chiedere informazioni alla redazione: segreteria@africarivista.it


Progetto 6-2015 UGANDA LIBRI E BANCHI PER I POVERI E FORMAZIONE DI RELIGIOSE

Nel Nord dell’Uganda, una scuola ospita 600 orfani, rifugiati, ex bambini soldato, piccoli abbandonati, amputati. Il numero degli alunni è in aumento e le strutture non bastano. C’è bisogno di nuovi dormitori, un refettorio, banchi, aule, servizi igienici, un’infermeria e una cappella. Il progetto finanzia anche la formazione di suore locali per l’assistenza ai più bisognosi. Referente: padre Jean Le Vacher

Progetto 7-2015 ITALIA ASSISTENZA AI MISSIONARI ANZIANI Hanno dedicato la vita agli ultimi. Hanno vissuto decenni di fatiche e sofferenze a stretto contatto con guerra, miseria, malattia. Si sono prodigati con generosità e senza risparmiarsi per gli altri. Ora tocca a loro ricevere aiuto. Sono i missionari anziani dei Padri Bianchi. Molti hanno bisogno di cure mediche e assistenze infermieristiche: spese ingenti e necessarie per le quali chiediamo un aiuto generoso a tutti

Fai un regalo ai missionari: sostieni le attività dei Padri Bianchi impegnati in 24 Paesi africani a favore dei più bisognosi

’’

coloro che apprezzano il lavoro dei missionari. Referente: padre Paolo Costantini

Progetto 10-2016 MALAWI LETAME E GAS A KAFULAMA A Kafulama, in Malawi, è stato costruito un serbatoio in cemento in cui vengono portati escrementi animali. L’impianto permette di ottenere biogas e concime per i campi. L’intenzione della comunità è di impiegare il gas per alimentare una cucina aperta al pubblico, ma soprattutto ai mille ragazzi della scuola. Il costo del serbatoio in cemento e delle tubazioni (3.000 dollari) è stato sostenuto dalle autorità. Per rendere operativo il progetto, è necessario costruire un recinto per una ventina di mucche e una cucina solida. Servono 5.000 euro. Referente: padre Abdon Gamulani

Progetto 11-2016 ALGERIA BIBLIOTECA OASI DI OUARGLA

Nell’oasi di Ouargla in Algeria si nasconde uno dei «tesori» dei Padri Bianchi. Si tratta di un centro culturale che ha sede nella kasba e che possiede un patrimonio di libri di storia, geografia, sociologia, etnologia e natura della regione circostante. Il Centro culturale supporta anche gli studenti nelle ricerche e offre corsi di francese e inglese e organizza cineforum su temi scientifici e sociali. Il Centro ha bisogno di un sostegno per proseguire le attività. Referente: padre Aldo Giannasi COME AIUTARE

Ognuno può fornire un aiuto economico, anche piccolo, per la realizzazione dei progetti promossi di Padri Bianchi. Le offerte vanno intestate a: Amici dei Padri Bianchi Onlus (cod. fiscale: 930 363 001 63), specificando l’intenzione e/o il numero del progetto, tramite: • Assegno: intestato a Amici dei Padri Bianchi Onlus CCP n. 9754036 • Bonifico bancario: IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: ICRAITRRTR0 (zero finale) • Web con PayPal o carta di credito: www.missionaridafrica.org/sostieni-imissionari Offerte e Donazioni sono fiscalmente deducibili e una certificazione di donazione può essere richiesta a: Amici dei Padri Bianchi, Viale Merisio 17, C.P. 61 24047 Treviglio BG oppure via mail a: paolo@africarivista.it


LA SOLIDARIETÀ È UN FRANCOBOLLO Da anni, a Treviglio e a Castelfranco Veneto, i Padri Bianchi raccolgono i francobolli usati. Con i loro proventi traggono risorse da destinare alle missioni in Africa

I francobolli possono diventare strumento di solidarietà? L’esperienza dei Padri Bianchi dice di sì. L’idea

di sfruttare i francobolli venne a Rudi Godin, un Padre Bianco canadese che ha lavorato a Treviglio. Tramite la rivista Africa riceveva francobolli che poi puliva, catalogava e metteva in bustine da vendersi nelle mostre missionarie. Padre Godin aveva anche messo insieme una collezione di francobolli di valore, ora nella casa generalizia dei Padri Bianchi a Roma. Dopo la partenza di padre Rudi, l’eredità è stata raccolta da padre Sergio Castellan che si è occupato

UN ANNO SENZA ANGELO

Vuoi aiutarci? Spedisci i francobolli a: Padre Luigi Costa Via Ponchielli, 6 31033 Castelfranco Veneto TV oppure a: Africa C.P. 61 24047 Treviglio BG Non scrivere mai sulla busta «Francobolli» o «Filatelia»

regolarmente come volontario. Con l’associazione «Amici del Mali» si è impegnato per la costruzione di una maternità, di una biblioteca, e per la formazione di una ostetrica nel villaggio di Dyou. I suoi funerali hanno richiamato molti amici e conoscenti di etnie e religioni diverse che, con la loro presenza in chiesa, hanno dimostrato di essere animati dallo stesso credo che ha sempre sorretto Angelo: la fratellanza nella diversità.

Il 9 agosto 2015 se ne andava Angelo Stocco, una vita dedicata agli ultimi e all’Africa, continente al quale dedicò energie e passione Se n’è andato un anno fa. Il 9 agosto 2015 un tumore se l’è portato via a soli 55 anni. Il ricordo di Angelo Stocco però non è svanito. Per gli amici, i famigliari e chi lo ha conosciuto la sua figura è ancora viva per quanto ha fatto per l’Africa, e per chi aveva bisogno. Le sue doti erano già emerse prima che abbracciasse la vita religiosa, ma si rafforzarono durante gli studi. Angelo iniziò la sua formazione come Padre Bianco a Verona. Gli venne prospettato un lungo periodo di formazione per il recupero degli anni di studio. Non era più giovane,

dei francobolli per una buona ventina d’anni pagando con i proventi la spedizione di medicine, abiti, oggetti religiosi alle missioni in Africa. Alla morte di padre Sergio (2013), il testimone è passato a padre Luigino Costa. Con l’avvento della posta elettronica, l’uso del francobollo è diminuito, ma nel 2015 padre Luigino ha comunque raccolto 1.600 euro, inviati in Africa.

S. MESSA

ma si impegnò tenacemente e, in poco tempo, si mise in pari tanto da poter frequentare gli studi di Teologia a Verona (dove trascorse cinque anni) continuando poi la formazione teologica in Francia, prima di partire per il Mali. Le circostanze lo hanno poi portato a lasciare il sacerdozio, ma non per questo perse il suo amore per l’Africa, dove ha continuato a recarsi

Un modo per sostenere i missionari è anche quello di far celebrare una messa per sé stessi, per la propria famiglia e per i propri defunti. Scegli la solidarietà. • Conto Corrente Postale: n. 9754036 • Bonifico bancario: IBAN IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789


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Botswana

I SIGNORI DEL KALAHARI

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