Africa 06 2017

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Sommario

NOVEMBRE - DICEMBRE 2017, N° 6

COPERTINA Nubia. La storia ritrovata dei Faraoni Neri di Stefano Lucchesi e Marco Trovato

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3

EDITORIALE L’indelebile linea del colore di Pier Maria Mazzola

ATTUALITÀ 4 prima pagina di Marco Trovato

AFRICA

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Dall’Africa c’è sempre qualcosa di nuovo Plinio il Vecchio (I secolo d.C.)

5 primo piano di Raffaele Masto

panorama di Enrico Casale Nigeria. Nella bocca del diavolo di Roberto Morel 12 Far West centrafricano di Daniele Bellocchio 16 Gambia, un anno di libertà di Valentina G. Milani e Gabriele Cecconi 22 Eritrea. Onde libere di Virginia Ntozini 24 LO SCATT O Kenya. Il comizio di Yasuyoshi Chiba 6

8

DIRETTORE RESPONSABILE

Pier Maria Mazzola DIRETTORE EDITORIALE

Marco Trovato WEB

Enrico Casale (news) Raffaele Masto (blog) PROMOZIONE E UFFICIO STAMPA

SOCIETÀ 26 Rd Congo. Morbillo, corsa contro il tempo di Valentina G. Milani e Bruno Zanzottera

Matteo Merletto

AMMINISTRAZIONE E ABBONATI

Paolo Costantini PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE

Orgoglio e bellezza di Irene Fornasiero 32 Sudafrica. La regina dei vini di Lauren Balzac 34 Generazione di fenomeni 2.0 di Enrico Casale 36 Marocco. Il biologo che sconfigge i batteri di Enrico Casale

31

Claudia Brambilla PROPRIETÀ

Internationalia Srl

NATURA

EDITORE

46

Provincia Italiana della Società dei Missionari d’Africa detti Padri Bianchi

48

Sudafrica. La spiaggia dei pinguini di Carol Hudson Namibia. I misteriosi “cerchi delle fate” di Steve Hogan

PUBBLICITÀ

segreteria@africarivista.it FOTO

CULTURA

Si ringrazia Parallelozero In copertina: Marco Trovato Mappe a cura di Diego Romar - Be Brand

STAMPA

Jona - Paderno Dugnano MI Periodico bimestrale - Anno 96 novembre - dicembre 2017, n° 6 Aut. Trib. di Milano del 23/10/1948 n. 713/48 SEDE

Viale Merisio, 17 - C.P. 61 - 24047 Treviglio BG 0363 44726 0363 48198 info@africarivista.it www.africarivista.it Africa Rivista @africarivista @africarivista africa rivista

Benin. La danza dei morti viventi di Alberto Salza e Bruno Zanzottera 58 Safari, caccia sadica di Valéry Lagarde 60 Intervista allo scrittore Wole Soyinka a cura di Marco Aime 62 Quando i libri fanno la storia di Eyoum Nganguè

52

SPORT 64

Atletica. L’altra faccia delle medaglie

di Martino Ghielmi

RELIGIONI 66

Gabon. L’albero della conoscenza

di Sergio Ramazzotti

INVETRINA

UN’AFRICA DIVERSA La rivista è stata fondata nel 1922 dai Missionari d’Africa, meglio conosciuti come Padri Bianchi. Fedele ai principi che l’hanno ispirata, è ancora oggi impegnata a raccontare il continente africano al di là di stereotipi e luoghi comuni.

72

L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dai lettori e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione. Le informazioni custodite verranno utilizzate al solo scopo di inviare ai lettori la rivista e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (legge 196 del 30/06/2003 - tutela dei dati personali).

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73 74 77 78

Eventi a cura della redazione Arte e Glamour di Stefania Ragusa Vado in Africa di Martino Ghielmi Sapori di Irene Fornasiero Solidarietà di Valentina G. Milani Libri di Pier Maria Mazzola

Musica di Claudio Agostoni 79 Film di Simona Cella 80 Viaggi di Marco Trovato 82 Web di Giusy Baioni 83 Bazarafrica di Sara Milanese · 6 2017 1 84 Posta 79


IN GOD’S COUNTRY LA FEDE DELL’AFRICA IMMORTALATA DAI GRANDI FOTOREPORTER

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L’indelebile linea del colore Un amico che abita in campagna mi ha confidato un piccolo caso. Un giorno, un ragazzo di una delle famiglie vicine gli rinfaccia di dare ospitalità a dei «profughi negri». Dopo aver chiarito al giovane, evidentemente portavoce più o meno consapevole dell’umore dei familiari, la sgradevolezza della parola «negro», il mio amico gli ha spiegato che quei «profughi» erano una famiglia di amici africani venuti a trovarlo per una breve vacanza, che risiedevano in Italia da lunga pezza e, anzi, i due bambini dalla pelle nera nel nostro Paese ci sono pure nati, come testimonia il loro perfino eccessivo accento regionale. Che cosa ci è successo, a noi “italiani”? (Il mio amico è dell’Emilia, ex regione della cordialità in cui i casi di intolleranza clamorosi stanno conoscendo un’impennata). Ci fu un tempo in cui l’antirazzismo mi pareva una battaglia di retroguardia, tanto sembrava fossimo incamminati sulla irreversibile via dei diritti umani. E i giovani apparivano, nell’insieme, il motore di quell’inarrestabile marcia. Poi c’è stata una rottura. Mi viene di datarla alla fine degli anni Ottanta, quando il prevalere dell’immagine sui contenuti, il consumismo tendente all’edonismo, l’io prima dell’altro cominciarono a divenire virtù, non più nuovi o antichi vizi dell’essere umano. Lo sdoganamento dell’egoismo. In controtendenza, c’era il boom del volontariato, della solidarietà – che cercava appunto di ri-costituire, sotto forma di “società civile”, il tessuto culturale che si stava velocemente sfilacciando. Poi, le prime ondate di migranti, e fino ai giorni nostri. La politica ha inventato “ministri della Paura” (o crean-

doli o non sapendo opporvisi) e l’informazione ha gettato benzina sul fuoco. Infine i social network sono venuti a dare la miccia in mano a chiunque. In Italia abbiamo toccato, nel 2017 (ma non per la prima volta), i livelli massimi di razzismo, secondo gli istituti di ricerca. Eppure non mancano i dati, gli studi, le analisi che da una parte spiegano il perché delle partenze (dall’Africa: è questo che preoccupa i più) e dall’altra provano che gli immigrati producono più risorse economiche di quante non ne ricevano, tamponano la crisi demografica, creano imprese mentre gli italiani le chiudono, non portano malattie più di quanto non lo facciamo “noi” di ritorno dall’estero, delinquono tanto quanto, se non meno, la pura razza italiana… Niente. La razionalità non è più di casa, nel nostro evo post-postmoderno. Non solo nella questione migrazioni, peraltro; sorgono sempre nuovi “no-qualcosa” che in comune hanno il ripudio della scienza. Ma se poi c’è di mezzo pure la pelle… «La questione centrale del XX secolo sarà la questione della linea del colore e si vedrà fino a che punto le differenze di razza – che si notano soprattutto per il colore della pelle e per i capelli – verranno utilizzate come ragione per negare alla maggior parte della popolazione mondiale il diritto di fruire pienamente delle opportunità e dei privilegi che la civiltà moderna porta con sé». Lo diceva W.E.B. Dubois (foto in alto), il leader panafricanista statunitense, nel 1900. Solo su una cosa si sbagliava: sul secolo. Pier Maria Mazzola

RICEVI AFRICA A CASA La rivista (6 numeri annuali) si riceve con un contributo minimo suggerito di: · rivista cartacea (Italia) 35 € · formato digitale (pdf) 25 €/Chf · rivista cartacea (Svizzera): 45 Chf · rivista cartacea (Estero) 50 € · rivista cartacea+digitale (Italia): 45 € · rivista cartacea+digitale (Svizzera): 55 Chf · rivista cartacea+digitale (Estero) 60 € · Africa + Nigrizia 60 € (anziché 70 €)

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ATTUALITÀ di Roberto Morel

Nella bocca del diavolo

Sven Torfinn / Panos


REPORTAGE DA MAIDUGURI, LA CITTÀ NIGERIANA

Il racconto esclusivo dalla capitale dello Stato del Borno, nel Nord-est della Nigeria, dove tre milioni di persone vivono nel terrore sotto il fuoco incrociato dell’esercito e dei jihadisti

DOVE È NATO BOKO HARAM

All’aeroporto mi accoglie uno spietato sole che arroventa la pista deserta dello scalo. Attraverso le strade di Maiduguri a bordo di un pick-up, in compagnia della mia guida Mohammed, che ad ogni incrocio mi illustra i luoghi teatro di attacchi di Boko Haram. «Uno dei modi più perfidamente raffinati di attaccare la città era di farlo da un lato, dalla strada est, ad esempio – mi spiega –. Cercavano di entrare con mezzi blindati, mitragliatrici automatiche, lanciarazzi di ultima generazione. L’esercito si organizzava per difendere quella zona e nel frattempo i suicide bombers, vera maledizione di questo conflitto, si infiltravano come serpenti negli altri quartieri della città lasciati sguarniti. Imbottiti di tritolo, i kamikaze raggiungevano gli assembramenti umani e… bum! si facevano saltare in aria». Centinaia di deflagrazioni assordanti, paurose che hanno tranciato arti, straziato corpi, dilaniato adul-

◀ Muna Garage, un grande campo per sfollati alla periferia di Maiduguri, dove vivono circa 50.000 persone fuggite dalle violenze di Boko Haram

ti e bambini. Maiduguri è la seconda città del Nord della Nigeria nonché la capitale dello Stato del Borno. Alcuni commentatori nigeriani l’hanno battezzata «la bocca del diavolo»: perché è anche la patria di Boko Haram. Dal punto di vista economico, è la porta dei commerci tra Nigeria, Niger, Camerun e Ciad. Per la sua posizione strategica, e la sua importanza simbolica, Maiduguri è stata a lungo ambita dai fondamentalisti. A oggi, il conflitto ha provocato 20.000 morti (in gran parte musulmani), i profughi sono 3 milioni e i danni provocati sono stimati in 10 miliardi di dollari. Zone off limits Accanto all’imponente Moschea Centrale spicca il palazzo dello Shehu, il leader religioso del Borno (autorità tradizionale dello stesso rango dell’Emiro di Kano o del Lamido di Yola). Alle sue spalle si dipana un dedalo di viuzze di sabbia avvolte in un silenzio quasi irreale. «Questa è stata per anni la zona più pericolosa della città – dice Mohammed –. Qui dentro, e poi verso il quartiere di Mofani, si sono annidati tra la gente africa · 6 · 2017 9


Sven Torfinn / Panos / Luz

gli uomini di Boko Haram. Queste strade erano completamente off limits. Anche in pieno giorno, al minimo dubbio che qualcuno potesse essere una spia o un informatore della polizia, gli Yusufia – i seguaci di Yusuf, il fondatore di Boko Haram – sparavano a vista, lasciando come monito i cadaveri per strada». Mi guardo attorno. Il quartiere è devastato, i muri crivellati o distrutti. Qualche bambino gioca per strada, uomini nei loro jampa, le lunghe vesti maschili, trascinano le bici sulla sabbia. Donne coperte dall’hijab trasportano enormi sacchi sulla testa. Piccole moschee spuntano un po’ dappertutto, molte in ricostruzione. Nel 2015, all’apice dell’insurrezione e all’inizio del governo del presidente Moham-

◀ Donne sfollate in un campo nei pressi di Maiduguri ◀ Ripari di fortuna costruiti dai profughi a Bakasi Camp

Pius Utomi Ekpei / Afp

◀ Una ragazza osserva una giostra abbandonata a Maiduguri. La popolazione della città è raddoppiata, accogliendo i fuggiaschi dei villaggi colpiti da Boko Haram, ma la gran parte dei residenti non ha una casa ◀ Due studentesse tra alcuni edifici scolastici devastati dai miliziani nei pressi di Maiduguri. L’espressione “Boko Haram” in lingua hausa significa «l’istruzione occidentale è proibita»

▶ Una grande pozzanghera rispecchia l’immagine di un bambino ospite del campo profughi di Muna Garage 10 africa · 6 · 2017 Florian Plaucheur / Afp

mud Buhari, il comando generale dell’esercito venne temporaneamente spostato da Abuja a Maiduguri. I militari rastrellavano le vie e sparavano al primo sentore di pericolo. «A quei tempi – ricorda Mohammed – Boko Haram tendeva imboscate per le strade alle pattuglie di poliziotti o militari. Si udivano spari, colpi di mortaio. La gente scappava il più lontano possibile. Entro pochi minuti sarebbero arrivati i blindati dell’esercito, per puntare i loro cannoni contro le case, le strade, i pochi negozi rimasti. L’obiettivo era distruggere, radere al suolo, stanare, far piazza pulita». L’epicentro del terremoto Continuiamo il viaggio, Mohammed vuole mostrarmi Galadima, un altro quartiere ad alto rischio, “liberato” dall’esercito solo pochi mesi fa. Entriamo in una zona conosciuta con il nome di Railway Terminus, per la presenza di una vecchia stazione ferroviaria di epoca coloniale, una piccola costruzione verde e bianca corrosa dal tempo e dell’incuria. Viaggiamo su una strada sconnessa. Tutto è distrutto, i muri delle case sono stati rasi al suolo. C’è poca gente per strada. «Alla tua destra – dice Mohammed, senza fare cenni per indicare – c’era la casa di Mohammed Yusuf, che ha creato Boko Haram». Yusuf: quante volte questo nome è entrato nelle cronache dei giornali in



ATTUALITÀ di Daniele Bellocchio

Far west centrafricano

Marco Longari / Afp

Blocchi stradali di difesa in un quartiere cristiano di Bangui, qui piazzati in seguito ◀ dida all’attacco di una chiesa

12 africa · 6 · 2017


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ATTUALITÀ testo di Valentina Milani – foto di Gabriele Cecconi

Gambia, un anno di libertà

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africa · 6 · 2017


REPORTAGE DALLA PIÙ PICCOLA NAZIONE AFRICANA, A DODICI MESI DALLA CADUTA DEL DITTATORE JAMMEH

Il Gambia è una minuscola e povera repubblica fluviale. Per oltre vent’anni è stata soggiogata da un tiranno spietato. Oggi il presidente democratico promette sviluppo e libertà. E punta sull’unica vera ricchezza: i giovani. Un gruppo di studenti parla anima­tamente di politica davanti all’ingresso dell’Università del Gambia: discutono, scherzano e sorridono. A Banjul, capitale del piccolo Paese dell’Africa occidentale, è una sera qualunque: l’aria si rinfresca al calar del sole e la strada che porta al campus è congestionata di taxi e mini­bus. Nell’ateneo c’è fermento: stanno per essere premiati gli studenti migliori e l’at­mosfera è quella delle grandi occasioni. Del resto, come spiega una ragazza, «fino a pochi mesi fa non era possibile parlare del governo in un luogo pubblico: ora possiamo farlo, e non ci sembra anco­ra vero». Esempio virtuoso La sua attenzione viene rapita dall’arrivo dell’ospite d’onore: Halifa Sallah, il leader politico più carismatico del Paese, eletto all’Assemblea parlamen­ tare con il suo Pdois (partito di ispirazione socialista). Circondato da ammiratori, l’uomo rag◀ Attivisti del Pdois (People’s Democratic Organisation for Independence and Socialism) festeggiano la svolta democratica al termine della campagna elettorale

giunge l’aula magna dove ver­ranno consegnati gli attestati di eccellen­za. In men che non si dica risuonano solo le sue parole: «Il popolo gambiano è sta­to in grado di condurre una rivoluzione pacifica, e voi giovani dovete essere fieri di esservi conquistati, senza spargimenti di sangue, i diritti che vi erano negati». Il parlamentare non ha ancora concluso la frase che esplodono gli applausi, tra commozione ed euforia. Il 1° dicembre 2016, nonostante le mi­nacce e le intimidazioni, i gambiani sono infatti riusciti a sconfiggere, con regola­ ri votazioni, la dittatura del folle Yahya Jammeh. Iniziata con un golpe, durava da 22 anni. Un evento epocale reso pos­sibile anche dalla determinante affluenza alle urne di numerosi studenti e giovani consapevoli della necessità di un cam­biamento, per poter sperare in un futuro migliore. Fondamentale, inoltre, l’arrivo in Gambia delle truppe dell’Ecowas (la Co­munità economica dell’Africa occidentale), che hanno saputo gestire con diplomazia, e senza l’ausilio dei caschi blu, il rifiuto della sconfitta da parte dell’ex dittatore, partito infine per l’esilio, africa · 6 ·2017

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Il tramonto visto dal mercato del pesce di Tanje, il più grande del Paese. Benché la pesca contribuisca soltanto all’1,8% del Pil, in realtà ha un impatto molto forte per la sussistenza delle famiglie e per le economie locali

18 africa · 6 · 2017



ATTUALITÀ di Virginia Ntozini

Onde libere Da un piccolo studio di Parigi un manipolo di giornalisti-rifugiati eritrei trasmette ogni giorno notizie di prima mano e testimonianze raccapriccianti sulla repressione operata da Asmara

Ogni mese, migliaia di ragazze e ragazzi eritrei fuggono dal loro Paese. Tentano di sottrarsi al regime di Isaias Afewerki, al potere dal 1993 senza alcuna elezione, che nega la libertà di espressione e obbliga i giovani a sottoporsi a un servizio militare a tempo indeterminato.

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Le autorità di Asmara vietano l’espatrio ai cittadini di età compresa tra i cinque e i 50 anni, mettendo in carcere chiunque tenti di andarsene. Malgrado le severe pene previste per i disertori, schiere di eritrei sfidano la sorte e cercano di valicare la frontiera terrestre per rag-

giungere i parenti all’estero. I più fortunati arrivano in Europa dopo un lungo e infernale viaggio attraverso Sudan, Egitto e Libia. Sfida al regime Anche il giornalista Biniam Simon è fuggito dall’Eritrea, quindici an-

RADIO ERENA, UNA VOCE LIBERA CONTRO IL REGIME ERITREO

ni fa. Da allora vive come rifugiato a Parigi. «Nel settembre 2001 il governo eritreo aveva ordinato la chiusura dei giornali indipendenti e l’arresto di decine di cronisti ritenuti scomodi», racconta egli stesso, all’epoca in servizio alla televisione di Sta-

africa · 6 · 2017 Guardian


to. Finire nelle segrete del regime significa sottostare a periodi di detenzione indefiniti durante i quali si rischiano torture e anche l’esecuzione. «Ho avuto la fortuna di poter fuggire alla vigilia del mio probabile arresto e, grazie all’aiuto di Reporter senza frontiere (Rsf), sono riuscito a raggiungere la Francia». Qui, Biniam Simon ha continuato a fare il giornalista, ma si è dato una nuova, ambiziosa missione: contrastare la propaganda del regime rivelando al mondo gli orrori compiuti – nell’indifferenza delle diplomazie occidentali – entro i confini dell’Eritrea, divenuta una sorta di grande prigione a cielo aperto e che detiene il primato mondiale della negazione della libertà di stampa. Minacce e intimidazioni Nel 2009, grazie al sostegno di Rsf, fonda Radio Erena (“la nostra Eritrea”, in lingua tigrina), un’emittente libera e indipendente, che copre, via satellite, gran parte del mondo. Da allora trasmette ogni giorno notizie di prima mano e testimonianze raccapriccianti che svelano la repressione delle autorità di Asmara. «Diffondiamo nell’etere le storie dei tanti giovani che fuggono dal Paese. Sfidiamo la censura. Ma non siamo i portavoce dei partiti di op◀ Il fondatore e direttore dell’emittente, Biniam Simon (a destra), in studio con il collaboratore Ghirmai Bahta Amanuel, altro giornalista eritreo fuggito da Asmara. erena.org

MAROCCO, RAGAZZE MADRI AL MICROFONO

Si chiama “Mères en ligne” (“Madri online”) ed è una web-radio gestita da madri nubili in Marocco. Trasmette ogni giorno in arabo, con il sostegno della Fondazione Soleterre (soleterre.org). «In Marocco, la gravidanza fuori dal matrimonio rappresenta una trasgressione alla norma culturale, sociale e religiosa – spiegano i promotori –. Le madri nubili vengono escluse dalle loro famiglie e ambiente sociale. Il contesto giuridico le colpevolizza: il codice penale punisce le relazioni sessuali extraconiugali con una pena da un mese a un anno di carcere». Spesso bollata come zania (“prostituta”), la madre nubile rimane sola per il resto della vita e subisce discriminazioni anche in ambito lavorativo. Senza reddito né dimora, il 36% di queste madri, di età inferiore ai 25 anni, si vede addirittura obbligato ad abbandonare il proprio bambino. «L’obiettivo principale della web-radio – chiarisce Damiano Rizzi, presidente di Soleterre – è di rappresentare uno strumento di difesa dei diritti di queste madri, sensibilizzando l’opinione pubblica e aiutando, anche attraverso testimonianze di chi ha vissuto la stessa esperienza, le donne ripudiate dalla società». La web-radio è animata da un comitato di dieci madri nubili che hanno ricevuto una specifica formazione su parità di genere, tecniche di comunicazione e advocacy, produzione e animazione radiofonica. Lo studio dell’emittente è a Tangeri, presso i locali dell’associazione “100% Mamans”. radiomeresenligne.ma

posizione. Siamo e restiamo cronisti, verifichiamo ogni notizia grazie a una rete capillare di informatori»: persone che vivono in Eritrea e sono testimoni degli abusi dei militari sui dissidenti. «Anche noi riceviamo minacce e intimidazioni da parte dei fiancheggiatori del regime, ma non ci fermiamo». Ascoltatori in carcere L’arma dell’intimidazione ha reso difficile la nascita e lo sviluppo di Radio Erena. «All’inizio, per molti mesi, ho cercato tra i miei connazionali all’estero dei giornalisti disposti a collaborare, ma ho ricevuto solo rifiuti, complice la paura, tutt’altro che immotivata, delle ritorsioni, possibili

anche nei confronti dei loro famigliari». L’abolizione della libertà di stampa ad Asmara, dove dal 2010 non ci son più corrispondenti esteri, ha fatto guadagnare al regime eritreo per sei anni consecutivi il triste primato di “Paese meno libero del pianeta”, assegnato da Rsf. E il durissimo rapporto (con 830 interviste e 160 deposizioni scritte) della Commissione d’inchiesta Onu sui migranti fuggiti dall’Eritrea ha confermato il sistematico uso della tortura nei confronti di prigionieri e dissidenti. Oggi l’emittente trasmette (in tigrino) da un bilocale messo a disposizione a prezzo di favore dal Comune di Parigi. Ai suoi micro-

foni si alternano le voci di cronisti e attivisti che intendono rompere il silenzio su ciò che accade in quella che molti chiamano “la Corea del Nord africana”. Grazie al supporto tecnico di Radio France Internationale e a un satellite arabo, da Parigi le voci raggiungono tutto il Corno d’Africa e portano conforto a quanti, in Eritrea, resistono e lottano. «Le autorità hanno proibito l’ascolto di Radio Erena. Cinque anni fa hanno persino tentato di bloccare il segnale satellitare – dice il vicedirettore Ghirmai Bahta Amanuel –. Abbiamo notizie di persone arrestate perché sorprese a seguire le nostre trasmissioni. Ma nulla può fermare le onde della libertà». africa · 6 ·2017

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SOCIETÀ testo di Valentina G. Milani – foto di Bruno Zanzottera

Morbillo, corsa contro il tempo

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REPORTAGE DALLE FORESTE DELLA RD CONGO, DOVE UN VACCINO È SALVEZZA

Abbiamo seguito (in aereo, in moto, in piroga) gli operatori di Medici senza frontiere che si dedicano senza risparmiarsi a far fronte a un’epidemia che dilaga nelle aree più inaccessibili Il piccolo aereo della Croce Rossa partito da Kinshasa buca le nuvole alla ricerca della pista d’atterraggio. Il rumore del motore si fa sempre più forte. Il comandante ordina di allacciare le cinture quando, all’improvviso, eccolo: il Congo. Il fiume, maestoso e inconfondibile, fa riaffiorare alla mente i racconti di Conrad, Van Reybrouck, Naipaul. L’arrivo a Kindu, capoluogo della provincia del Maniema, consacra l’inizio di un viaggio nel cuore della Repubblica democratica del Congo assieme alle

équipe sanitarie di Medici senza frontiere (Msf) impegnate a contrastare la dilagante epidemia di morbillo scoppiata la scorsa primavera. È una corsa contro il tempo, quella ingaggiata per curare i bambini che hanno contratto la malattia e per vaccinare tutti quelli compresi tra i 6 mesi e i 15 anni di età. Non c’è un trattamento preventivo per il morbillo, l’unico modo per evitare il contagio è la vaccinazione. Ma portare soccorsi nel bel mezzo della foresta equatoriale è impresa tutt’altro che facile.

◀ Ci vogliono quattro giorni di viaggio per raggiungere i villaggi più sperduti della provincia del Maniema, epicentro dell’epidemia di morbillo scoppiata a inizio anno

Allarme epidemia Kindu è una cittadina ordinata e pulita, disposta lungo una strada asfaltata sulla quale si affacciano di

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SOCIETÀ di Irene Fornasiero

Orgoglio e bellezza La modella Nyakim Gatwech, 24 anni, originaria del Sud Sudan, sfida i pregiudizi della moda e combatte gli stereotipi sul colore della pelle. Orgogliosa della propria bellezza afro

«Vorrei la pelle nera», urlava nel 1967 Nino Ferrer, cantante e antropologo italo-francese. Quel celebre ritornello, che all’epoca suscitò scalpore, celebrava la bellezza afro, rendeva omaggio al talento degli artisti soul, sfidava i pregiudizi occidentali nei confronti dell’Africa postcoloniale. Il germe del razzismo non è stato sconfitto e, cinquant’anni dopo quella canzone coraggiosa, sembra che il colore della pelle sia tornato a essere un problema. Gli episodi di intolleranza e discriminazione sono quotidiani. Migliaia di donne africane fanno ricorso a creme sbiancanti (spesso pericolose per la salute) pur di avvicinarsi ai canoni estetici imperanti. Ma c’è chi non ci sta. La modella Deddeh Howard sta portando avanti sul proprio profilo Instagram la campagna di sensibilizzazione “Black Mirror”: un modo per combattere il razzismo nel mondo della moda. «I grandi sti-

listi preferiscono avere un volto bianco per le proprie campagne pubblicitarie», spiega la Howard, che provocatoriamente ricrea gli scatti e imita lei stessa le pose delle colleghe scelte dai grandi marchi. «Spesso mi sono vista rifiutare un servizio fotografico solo per il colore della pelle. È tempo di una maggiore diversità che garantisca a tutte le modelle di essere viste». Grinta e fascino A sostenere questa battaglia oggi è Nyakim

Gatwech, modella sudanese di 24 anni, indicata come l’erede di Naomi Campbell, eletta la nuova regina nera di Instagram: fisico statuario e pelle scurissima come il cioccolato fondente (è stata soprannominata “black queen”), risponde con fierezza afro

scherzavano sul colore della mia pelle», racconta la modella. «Dicevano che di notte non mi vedevano e che per farmi trovare dovevo sorridere». Un uomo le ha provocatoriamente domandato se per 12.000 euro fosse pronta a sbiancarsi. Lei

a chi le chiede di scolorire la sua cute. Originaria di un piccolo villaggio che dal 2011 ricade sotto la Repubblica del Sud Sudan, Nyakim è stata scoperta da un talentscout statunitense che le ha aperto le porte della moda. Sulle passerelle si è subito fatta notare per grinta e fascino. Oggi vive a Minneapolis e usa il suo account (che ha superato i quattrocentomila follower) per difendere la bellezza della diversità. «Quando ero piccola, i miei amici

ha risposto: «Perché mai dovrei sbiancare questa splendida melanina?». Ha ribadito il concetto in altri messaggi rivolti alle donne che lottano contro gli stereotipi imposti dalla società e che talvolta non si sentono a loro agio con sé stesse: «Nero è coraggio, bellezza, oro». «Non permettete che gli standard occidentali danneggino la vostra anima africana. Dovete amare la vostra pelle, non importa che colore abbia». Orgoglio e bellezza. 100% africana. africa · 6 2017 31


SOCIETÀ di Enrico Casale

PICCOLI GENI

Generazione

CRESCONO. I MIGLIORI INVENTORI

Le università africane sfornano giovani brillanti. Ricercatori, ingegneri, programmatori, creativi, progettisti. Specialisti in invenzioni a basso costo. Come il risciò elettrico o il drone antibracconaggio…

Sofisticate app per tablet e smartphone, test diagnostici avanzati, generatori di energia rinnovabile, mezzi di locomozione ecologici: l’Africa è una fucina di creatività e di innovazione. Grazie a una nuova generazione di inventori, programmatori

e progettisti, stanno sviluppandosi tecnologie che potrebbero semplificare la vita di milioni di persone. A testimoniarlo sono i progetti presentati all’ultima edizione dell’Innovation Prize for Africa che si è tenuto ad Accra (Ghana) lo scorso luglio.

TECNOLOGICI PREMIATI ALL’INNOVATION PRIZE FOR AFRICA

App intelligenti Il sudafricano Khojane Nowweth ha realizzato un’applicazione web che permette a persone con bassi redditi di creare gruppi per acquistare beni e servizi a costi più bassi rispetto a quelli di mercato. Un’idea anti-

ca, sviluppata nel secolo scorso attraverso le cooperative di consumo, è stata così rivitalizzata per aiutare i nuovi poveri. Il nigeriano Adenle Omolabake ha invece elaborato un software in grado di tradurre nelle lingue africane i testi necessari per


di fenomeni 2.0 far funzionare telefonini e computer: è uno strumento che può avvicinare migliaia di persone che non conoscono lingue europee e asiatiche ai dispositivi informatici. Ancora, il marocchino Idriss Badr, appassionato di computer e di volo, ha dato vita a una app che permette ai droni di volare senza il controllo di un operatore umano e, allo stesso tempo, di raccogliere dati e produrre rapporti dettagliati: un ritrovato che permetterà a molti Stati di condurre, a basso costo, operazioni di monitoraggio della pesca illegale, del bracconaggio, dell’estrazione non autorizzata di petrolio e minerali preziosi. Medicina hi-tech Anche nel campo medico si sono fatti passi avanti. Il liberiano Chris Nyan Dough, per esempio, ha elaborato un sofisticato (ma economico) test che permette di individuare molti tipi di infezioni in soli 40 minuti (contro i 7 giorni attuali). Sempre nel campo dei test diagnostici, rilevante anche l’invenzione del nigeriano Adewole Olufemi Olanisun, che ha concepito Sweat Tb, che permette, attraverso la saliva, di individuare in pochi istanti la tubercolosi (seconda causa di morte in Africa dopo l’aids)

in un paziente, offrendo ai medici la possibilità di intervenire in brevissimo tempo. L’ingegnere egiziano Khaled Shady ha invece creato un “navigatore” per non vedenti. Si indossa come una cintura e, grazie a una telecamera, individua gli ostacoli e avvisa immediatamente l’utente con messaggi vocali. Potrebbe rivelarsi un aiuto prezioso per i 4,8 milioni di ciechi e 16,6 milioni di ipovedenti africani.

cani: la toilette senza acqua. In un continente in cui l’acqua è spesso poca e quindi preziosa, il SavvyLoo – ideata da un team di giovani ricercatori dell’organizzazione VC4A – è una

toilette che raccoglie i rifiuti organici e li essicca (grazie ad aria e vento), eliminando cattivi odori e batteri nocivi. Più igiene, meno inquinamento, meno malattie. Una piccola rivoluzione.

Vele e toilette Le innovazioni tecnologiche non sono solo in campo informatico e medico. La Zero-Blade Technology, sviluppata dalla start up Saphon Energy, è un generatore di energia che, attraverso una vela, incanala il vento per poi trasformare la sua forza in elettricità pulita, abbondante e rinnovabile. L’imprenditore sudafricano Neil du Preez ha invece realizzato un risciò elettrico e supertecnologico. Pensato per fornire servizi di trasporto pubblico urbano ecologico, può percorrere fino a cento chilometri al giorno grazie a tecnologie all’avanguardia come le fuel cell che immagazzinano energia elettrica. Infine segnaliamo un’invenzione semplice, ma che potrebbe cambiare la vita di milioni di afriafrica · 6 · 2017 35


SOCIETÀ di Enrico Casale

Il farmacista che sconfigge i batteri DAL MAROCCO, UNA NUOVA

Nel suo laboratorio di Fez, il biologo Adnane Remmal ha trovato il modo di sterminare i germi resistenti ai tradizionali farmaci. Unendo la forza degli antibiotici a quella degli olii essenziali

ARMA PER DEBELLARE I MICROBI PIÙ INSIDIOSI, CAUSA DI SETTECENTOMILA MORTI L’ANNO

Unire la forza degli antibiotici a quella degli olii essenziali per sconfiggere i batteri resistenti ai farmaci. È questa l’intuizione di Adnane Remmal, un biologo e farmacista marocchino che, da una trentina d’anni, conduce in laboratorio una personalissima battaglia contro microbi e parassiti. Dopo lunghi studi, nel 2014 ha brevettato la sua rivoluzionaria idea, nata da una profonda conoscenza delle proprietà delle piante e della farmacologia moderna. Con il principio attivo ha poi creato un farmaco che attualmente è in fase di sperimentazione, ma che potrebbe essere commercializzato già alla fine di quest’anno. Scelta coraggiosa Remmal non è un ricercatore improvvisato e nean36 africa · 6 · 2017

che un semplice erborista. Alle spalle ha una solida formazione maturata all’Università di Fez, dove nel 1982 ha conseguito la laurea in Biologia, e all’Università di Parigi, dove nel 1987 ha ottenuto una specializzazione in Elettrofisiologia e in Farmacologia cardiovascolare nonché un dottorato in Farmacologia molecolare. La sua carriera sembrava doversi sviluppare in qualche prestigioso centro di ricerca in Francia. Ma lui ha preferito tornare in Marocco «per contribuire allo sviluppo scientifico del mio Paese». A Fez ha trasformato il vecchio laboratorio di biologia dell’università in un centro all’avanguardia mondiale della farmacologia, con relazioni strettissime con i poli di ricerca di eccellenza a livello mondia-



COPERTINA testo di Stefano Lucchesi – foto di Marco Trovato

La storia ritrovata dei Faraoni Neri


VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLA NUBIA E DEI SUOI STRAORDINARI SITI ARCHEOLOGICI

La regione nord-orientale del Sudan è stata nell’antichità la culla di una sofisticata civiltà che per molti secoli ha rivaleggiato con l’Antico Egitto. Di questa storia restano tesori archeologici d’immenso valore emersi dalle sabbie del deserto Il Sudan nell’antichità si chiamava Nubia, che in lingua egizia significava “terra dell’oro”. Proprio da qui proveniva il metallo più prezioso per gli antichi Egizi, “carne degli dei” secondo la loro religione e simbolo di prestigio dei faraoni. La Nubia era il principale collettore tra l’Africa e la Penisola arabica, nonché il corridoio privilegiato per gli scambi con l’Europa: vi transitavano schiavi, oro, avorio, legni pregiati, pietre rare… Persino gli elefanti di Annibale e i leoni destinati al Circo Massimo passarono da questi territori. Rivali dell’Egitto I primi bagliori di civiltà si mossero lungo la Valle del Nilo prima del 3000 a.C., quando cioè, parallelamente alla grande civiltà egizia, più a sud, sotto la prima cateratta del Nilo, nasceva e si sviluppava quella nubiana. Le storie dei due popoli sono molto intrecciate e inevitabilmente il loro rapporto non poteva che essere di amore e odio. ◀ Studentesse in visita alla necropoli reale di Meroe. Qui sono stati inumati i corpi di re e regine. A differenza delle piramidi egizie, le camere mortuarie non si trovano all’interno ma sottoterra

La Nubia era infatti patria di fieri arcieri, avversari temibili per gli Egizi: Ramesse II, per esempio, non mancò mai di aggiungere epiteti spregiativi ogni volta che menzionava questa regione. La prima civiltà nubiana, il Regno di Kush, sorse intorno al 2500 a.C. a Kerma, una zona fertile del Nilo, a tutt’oggi coperta da verdissimi palmeti, a metà strada tra l’Egitto e Khartoum. Più a nord erano appena state innalzate le grandi piramidi di Giza, ma nel resto dell’Africa, dal punto di vista dell’organizzazione statale, non si era mai visto nulla di simile. Per oltre un millennio la Nubia seppe sviluppare una potenza economica e politica tale da contrastare le armate egizie, tessendo una fitta rete di relazioni commerciali. Da Kerma partivano le navi e le carovane per l’Egitto, colme dell’oro del deserto nubiano e di prodotti esotici provenienti dall’Africa nera. Le navi egizie a loro volta risalivano il fiume, sfruttando il vento costante da nord, portando manufatti artigianali e la loro cultura. La casa del dio Amon Purtroppo del Regno di Kush non sappiamo molto, africa · 6 ·2017

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UN VIAGGIO ESCLUSIVO

Wad i

o Nil

Viaggiare in Sudan è un po’ come senEGITTO tirsi pionieri in una terra non ancora del Lago Nasser tutto esplorata. Ancora oggi può capitare di contemplare in solitudine maestose rovine dell’antichità tra dune di sabbia Soleb e, al contempo, assaporare la genuina DI NUBIA TO ospitalità delle popolazioni che vivono ER S E Kerna D lungo il corso del Nilo. Per averne conferma non resta che partecipare all’esclusivo viaggio organizzato dalla rivista Jebel Barkal Karima DESERTO El Kurru Africa, in collaborazione con I Viaggi di Nuri B A Y U D A Maurizio Levi, dal 30 Marzo al 7 Aprile Old Dongola 2018: nove giorni nell’antica Nubia, alla Milk scoperta di templi, piramidi e villaggi che El Meroe Necropoli Reale affiorano dalle sabbie del deserto. Un itiShendi Tempio di Musawwarat nerario sospeso tra passato e presente. Naga Tempio di Naga Accompagnati dal reporter e scrittore Raffaele Masto, firma autorevole del KHARTOUM nostro magazine, profondo conoscitore del continente africano. E guidati dall’archeologo Stefano Lucchesi, studioso appassionato e brillante che svelerà il fascino dei siti protetti dall’Unesco: la Necropoli Reale di Meroe, i templi di Naga e Musawwarat, le tombe sotterranee policrome di el-Kurru, il sito cristiano di Old Dongola, le taglienti piramidi di Nuri e i misteriosi templi alla base del Jebel Barkal. Un programma d’autore. E due guide d’eccezione in una terra incantevole. Per scoprire il privilegio di viaggiare con chi l’Africa la conosce davvero. Prezzo: 2.850 € a persona, volo compreso. Posti limitati. Programma: www.africarivista.it/sudan Informazioni e prenotazioni: viaggi@africarivista.it – tel. 02 34934528 42 africa · 6 · 2017 XRPictures

perché non aveva una lingua scritta: restano alcune enigmatiche costruzioni monumentali, le deffufa, e gigantesche tombe circolari, dove i re erano inumati insieme a centinaia di persone sepolte vive, ovvero sacrificate agli dei. Dai resoconti degli Egizi sappiamo che le spedizioni nella regione, in particolare nella fertile zona di Kerma, permettevano di razziare centinaia di capi di bestiame. Ma inizialmente i faraoni del Nord non si spinsero più a sud: si limitarono a costruire imponenti fortezze lungo il Nilo per controllare i punti strategici sopra la prima cateratta. Almeno fino a Thutmosi III, che nel 1450 a.C. distrusse Kerma e soggiogò la regione, mettendo fine a un’indipendenza durata un millennio. Fu un «bagno di sangue», come racconta


◀ Le campagne attorno al Nilo. La civiltà nubiana si è sviluppata attorno al “fiume della vita” che attraversa il deserto e che tutt’oggi regala pascoli e terre fertili ▼ Un suk, il tradizionale mercato settimanale, in un villaggio nei pressi di Meroe. Il Sudan è una nazione-cerniera tra il mondo arabo e l’Africa nera

il vincitore, con poca modestia, in una stele. Accadde allora un episodio senza precedenti: Amon, il potente dio di Tebe protettore della regalità, il cui nome significa “Colui che è nascosto”, si manifestò al conquistatore egizio a caccia di legittimazione. E

lo fece in un luogo speciale, una montagna solitaria sulla sponda del Nilo, 300 chilometri a sud di Kerma: si chiamava Dju Wab, la “Montagna Pura” (oggi Jebel Barkal), e là Thutmosi riconobbe la vera casa di Amon. La prova era un pinnacolo roccioso alto 90 metri che si erge di fronte al massiccio: rievocava l’ureo, un cobra eretto, o forse proprio la forza sessuale del dio come simbolo del potere del faraone. Ai piedi del Jebel Barkal, Tuthmosi costruì una città, Napata, e un tempio di Amon destinato a espandersi e a rivaleggiare con quello di Tebe nei secoli successivi.

L’ascesa dei faraoni neri Per più di tre secoli i Nubiani furono fedeli sudditi e assimilarono il culto di Amon e degli dei egizi. Con la fine del Nuovo Regno, intorno al 1000 a.C. lo Stato faraonico decadde e si sgretolò. Fu allora che avvenne un fatto singolare: fu proprio il Sud, la Nubia, a divenire la cassaforte degli antichi culti egizi e della cultura millenaria dei faraoni. I Nubiani, insomma, erano in qualche modo divenuti più Egizi degli Egizi stessi. E quando si sentirono minacciati dal disordine che imperversava a Nord, decisero di intervenire. Fu così che nel 728 a.C.,

nel nome del “vecchio” Amon, un’ondata di arcieri solcò le onde di tre cataratte al comando del loro re Piye, e nel giro di un anno conquistò l’intero corso del Nilo fino alle sponde del Mediterraneo, in uno dei momenti più memorabili della storia del Nilo. L’Egitto era nuovamente riunificato e i Nubiani ridiedero ai “cugini” del Nord la loro vecchia cultura. Eressero per loro piramidi come tombe, allo stesso modo dei faraoni di mille anni prima, e adottarono il geroglifico, cioè una lingua che per loro era straniera, poi costruirono templi, palazzi, riformarono lo Sta-

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i vi A ggi di

AFRICA

MISSIONE • CULTURA

NUBIA (SUDAN) DAL 30 MARZO AL 7 APRILE 2018 con Raffaele Masto reporter e scrittore e Stefano Lucchesi archeologo e guida

Un viaggio d’autore firmato dalla rivista Africa. Nove giorni nell’antica Nubia, regione sudanese abitata da popolazioni fiere e ospitali, in compagnia di un grande giornalista, profondo conoscitore del continente africano, e guidati da un archeologo italiano alla scoperta di templi e piramidi che affiorano tra le sabbie del deserto. Un itinerario esclusivo in una terra incantevole. Per i veri amanti del viaggio e dell’Africa. POSTI L IMITATI

Quota: 2.850 E a persona volo compreso

In collaborazione con Programma: www.africarivista.it/sudan Informazioni e prenotazioni: viaggi@africarivista.it Tel. 02 34934528 lunedì-venerdì (9.30-13 e 14-18.30)


CULTURA testo di Alberto Salza – foto di Bruno Zanzottera / Parallelozero

La danza dei morti viventi

52 africa · 6 · 2017 Monica Mietitore


IN BENIN GLI SCHELETRI DEGLI ANTENATI TORNANO AD ANIMARSI NEL MONDO DEI VIVI IN SPECIALI OCCASIONI...

Nelle vicinanze di Abomey gli antenati tornano a materializzarsi – sotto le pesanti maschere – in occasione di circostanze particolari: grandi funerali, nascite e matrimoni degli iniziati, o periodi di crisi o di particolare gioia

Vengono chiamati revenants, “redivivi” in francese. Sono temutissimi zombi che si materializzano con maschere inquietanti e abiti sontuosi, dando vita a danze acrobatiche e talvolta “mortali” (per gli spettatori) «Ci vieni a vedere gli zombi?», chiese il ragazzino. «Lascia stare, non vedi che fotografo l’altare di Fantômas?», risposi inquadrando le statue in legno. «Ma sei matto? Questo è un altare pericoloso, non lo sai? Non scattare: Fantômas è potente!». Nascosi la macchina fotografica all’istante. «Vada per gli zombi», sussurrai. Questo dialogo surreale, che pare preso da un film di serie B da intitolarsi “Fantômas contro gli Zombi”, si è svolto nel dicembre 1972 ad Abomey, in quello che era il Dahomey, oggi Benin. Abomey è, con Ouidah, la capitale del vodu, una delle religioni più antiche del mondo. L’area è infestata dai feticci: pochi giorni prima mi era stato offerto di partecipare a un corso da stregone (féticheur), onore e onere che avevo rifiutato con tutta la diplomazia possibile; si sa, i vodun – gli spiriti – sono suscettibili quanto gli dei greci che perseguitarono Ulisse. L’origine del mito Come alternativa, mi andavano bene anche gli zombi. In verità, la parola “zombi” è legata al vodu haitiano. Il concetto, però, è derivato dalle cre-

denze dei primi schiavi importati nelle Americhe, perlopiù yoruba (Nigeria) e fon-goun (Dahomey). Dalle parti di Abomey, i morti-non morti si chiamano in yoruba egungun, le “persone-ossa”, e indicano gli antenati – sempre presenti tra noi – che ritornano a farsi vedere dai vivi in speciali occasioni: da qui il termine francese di revenants (i Fon della costa li chiamano kouvito). Il mito di origine narra di Ghezo, re del Dahomey tra il 1818 e il 1858, che prese degli schiavi yoruba a Oyo, in Nigeria; uno di essi mise in giro la voce di essere in possesso di poteri sovrannaturali: con semplici incantesimi era in grado di fare miracoli. Dato che non gli credeva nessuno, lo schiavo passò alle vie di fatto. Prese un bastone e colpì la terra: le persone-ossa ne uscirono a frotte, ridotte a scheletri. Il re Ghezo ne fu terrorizzato e decise di cambiare lo status di tutti gli schiavi yoruba, mandandoli per precauzione a Ouidah, la sede del pantheon fon-goun. Al convento dei fantasmi Da lì, il culto degli egungun si diffuse nel territorio, dove si apprestarono appositi conventi per ospiafrica · 6 2017 53



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CULTURA a cura di Marco Aime

«Io che sarei un tipo In un colloquio con la nostra rivista, lo scrittore africano più conosciuto nel mondo, Premio Nobel per la Letteratura, sottolinea con semplicità e forza i suoi punti fermi

Alto, dritto, con quel cespuglio di capelli bianchi e quello sguardo buono e sorridente. Wole Soyinka non passa inosservato. Scrittore, drammaturgo e poeta nigeriano, 83 anni, Premio Nobel per la Letteratura nel 1986, è uno dei più acuti e vivaci intellettuali africani. Ha speso la sua vita a scrivere e a lottare per i diritti, pagando pesantemente di persona le sue idee (perseguitato e condannato a morte dall’ex dittatore nigeriano Sani Abacha, ha vissuto in esilio negli Stati Uniti, ma quando Donald Trump è stato eletto presidente, in segno di protesta per le politiche anti-immigrati, ha distrutto il suo permesso di soggiorno negli Usa). Oggi si discute molto se esiste una letteratura africana o se in realtà esista la letteratura tout court, gli chiedo per iniziare. «Cominciamo con la domanda più difficile! Io a volte mi chiedo se esista una letteratura europea o 60 africa · 6 · 2017

americana e sinceramente non saprei definirle. Posso invece dire che so riconoscere un romanzo francese di un certo periodo, così come un libro italiano di un certo periodo. Direi che esistono molte letterature africane, che sono piuttosto legate ai popoli

L’ANTROPOLOGO MARCO AIME INCONTRA WOLE SOYINKA

che non alle nazioni. C’è una letteratura yoruba, una hausa, una kikuyu…». Infatti lei ha scritto che «i popoli non sono temporali, perché possono essere definiti con idee infinite. I confini, no».

L’Africa non è mai stata scoperta, ma è stata inventata, in senso “buono” e cattivo. È spesso stata vittima di costruzioni fatte dall’Occidente e spesso definite per ciò che manca: popoli senza storia, senza Stato, senza scrittura. Wikipedia


così tranquillo…» A questo proposito si parla spesso di tradizione orale, ma è proprio così? In realtà la tradizione orale non è mai puramente orale, bensì teatrale. Anche nei villaggi, chi racconta non si limita a parlare, usa il corpo, l’espressione del viso, si muove. Anche qui però si è spesso vittime delle classificazioni: se io scrivo una commedia per la radio, è orale o scritta? I generi non sono sempre definiti in modo netto. A proposito di tradizioni, lei mette in rilievo come a volte la loro difesa confligga con la difesa dei diritti umani. Non sempre le tradizioni sono buone. Ci sono tradizioni che è bene conservare, ma altre no. Per esempio, le mutilazioni inflitte alle donne. Oppure il caso di un noto politico del mio Paese, che pratica la pedofilia, mascherandosi dietro la tradizione islamica. Ma non è vero! In Egitto, per esempio, che è un Paese islamico, la pedofilia è punita. Lei ha vissuto l’impegno politico fin da giovane, pagandolo con il carcere, la tortura, l’umiliazione… Il potere disumanizza? Confesso una cosa. Io, per natura, sarei una persona che cerca la tranquillità.

Purtroppo mi sono spesso trovato in condizioni in cui non si poteva evitare di scontrarsi contro qualcosa o qualcuno. A volte mi chiedo perché l’ho fatto, ma non potevo non farlo. George Orwell, a chi gli chiedeva perché andava volontario a combattere in Spagna contro il fascismo, rispondeva: «Per comune decenza». Approvo totalmente. Il problema è che in Africa ci sono stati personaggi come l’ex dittatore del Gambia, come Mobutu, che hanno oppresso i loro popoli. Anche grazie alle potenze straniere e alle multinazionali, che amano le dittature e fanno affari con i despoti. Sento spesso dire che in Africa non c’è democrazia: attenti, è così nell’Africa postcoloniale; nella tradizione africana, persino i regni prevedevano forme di bilanciamento del potere. Non c’era mai un potere assoluto. Tra gli Yoruba, per esempio, c’era un’organizzazione tale che, se il re compiva un’ingiustizia, gli anziani prima lo ammonivano, poi, se lui continuava a comportarsi male, gli portavano una calebasse e lo accompagnavano in una capanna affinché mettesse fine ai suoi giorni. Lei ha scritto: «L’Africa è importante, ma sempre per le ragioni sbagliate».

FRESCO DI STAMPA

Gli interpreti è il primo romanzo (1965) di Soyinka. Mette in scena cinque giovani uomini rientrati in Nigeria dopo gli studi all’estero. Già serpeggia la disillusione dopo la recente indipendenza. È un romanzo sui generis, perché non è palese la struttura di una storia che si sviluppa. Abbiamo piuttosto un mosaico di azioni e di dialoghi, con registri diversi e non sempre afferrabili di primo acchito (molto utile, per questo, l’Introduzione di Marco Grampa). Un’opera (Calabuig, pp. 363, € 20,00) da non leggere di certo nei… ritagli di tempo. (P.M.M.) È sempre stata un bacino di uomini e materie prime da depredare. Purtroppo questo viene spesso dimenticato, cancellato, tanto dagli stranieri quanto dagli africani stessi. Ricordiamo la Shoah, ricordiamo Hiroshima, il massacro degli Armeni, dei nativi americani, mai, però, la tratta degli schiavi, che è stato uno dei più grandi crimini perpetrati contro l’umanità. C’è stata una disumanizzazione dei popoli identificati dalla razza. Ma anche i crimini commessi dal continente africano contro la propria razza sono di una dimensione e, sfortunatamente, di una natura che sembra costantemente suscitare il ricordo dei torti inflitti da

altri in questo continente. L’incapacità di affrontare il problema dell’identità in senso razziale è stata fin troppo spesso la conseguenza di un atteggiamento ideologico. Per concludere, lei era molto amico di Dario Fo… La prima volta che ci siamo incontrati fu in Grecia. Riconobbi in lui un vero clown, nel senso più sublime del termine, e tra clown ci si capisce al volo. Così diventammo amici. Avevamo anche un progetto, organizzare una nave che dalla Sicilia ritornasse in Africa, carica di artisti e intellettuali africani della diaspora. Spero di riuscire a realizzarlo, un giorno. africa · 6 2017 61


CULTURA di Eyoum Nganguè

Quando i libri fanno la storia COMPIE 70 ANNI LA RIVISTA

Resiste, nel cuore di Parigi, la piccola libreria da cui è passata tanta intellighenzia africana francofona. Il fermento culturale che l’ha attraversata, all’insegna dell’antirazzismo e dell’anticolonialismo, ha animato un’epoca di grandi ideali. Da riscoprire oggi

PRÉSENCE AFRICAINE. INSIEME CON L’OMONIMA EDITRICE E LIBRERIA È STATA UNA STORICA FUCINA DELL’UMANESIMO NERO

25 bis, rue des Écoles, nel prestigioso 5° arrondissement, a due passi dalla Sorbona, epicentro del celebre Quartiere Latino di Parigi. È a questo indirizzo che, dal 1962, affaccia la sua vetrina la libreria Présence Africaine, testimonianza di un’esperienza letteraria eccezionale che esordì in riva alla Senna nel 1947. Tra Camus e Sartre All’indomani della Seconda guerra mondiale, Parigi brulica di cittadini dei popoli colonizzati che, alla stregua dei fucilieri senegalesi, hanno contribuito alla liberazione della Francia dal giogo tedesco. Venuti dall’oltremare, articolano le loro riflessioni sull’emancipazione dei rispettivi Paesi d’origine, so62 africa · 6 · 2017

gnano di panafricanismo e discutono sul concetto di negritudine lanciato dal trio di poeti Césaire-Senghor-Damas. In mezzo a quella bell’agitazione, un insegnante di lettere di 37 anni, di origine senegalese, decide di passare dal dibattito sterile all’azione concreta. Già dal 1942 l’intellettuale senegalese



RELIGIONE testo e foto di Sergio Ramazzotti / Parallelozero

L’Albero della Conoscenza

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GABON, LE RARE IMMAGINI DEL "BATTESIMO" DI UNA FEDELE DEL BWITI

I discepoli del bwiti si sottopongono a un rito d’iniziazione nel cuore della foresta assumendo una radice dagli effetti allucinogeni. L'iboga permette di viaggiare nell’aldilà e tornare a vivere con saggezza L’Albero della Conoscenza, almeno stando ai pigmei, non cresce in paradiso bensì sulla terra. Si presenta in modo alquanto deludente, un arbusto perenne alto un paio di metri, dal tronco esile, che dà fiori bianchi e rosa e un frutto che ha l’aspetto di un mandarino deformato. Per la scienza il suo nome è Tabernanthe iboga, per i pigmei semplicemente iboga, o “pianta dei morti”, o per l’appunto Albero della Conoscenza, nomi che gli derivano dalle potenti proprietà psicotrope dell’ibogaina, l’alcaloide concentrato nella scorza delle radici. Il quale, come ha sintetizzato uno sciamano che ho incontrato alla periferia di Libreville,

in Gabon, se preso in forti dosi aumenta le capacità di percezione e acuisce i sensi fino a metterti in contatto con le anime dei defunti (di qui l’epiteto “pianta dei morti”) che «ti mostreranno tutte le ombre del tuo passato e schiuderanno innanzi a te i misteri del tuo futuro». Una nuova vita Endemica delle foreste dell’Africa centrale, l’iboga (o eboga) è usata da tempo immemorabile per i riti di ◀ Nella foresta non lontano da Libreville, una donna si sottopone al rituale di purificazione del bwiti, culto sincretico sviluppatosi in Gabon, dove a metà del secolo scorso ha subito una "grande riforma" in senso cristiano. L’iniziazione rappresenta il momento chiave

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Alcuni momenti della cerimonia. Dopo un periodo di purificazione e astinenza che può durare settimane, l’iniziando viene spogliato e, con una liana avvolta attorno al corpo che lo unisce alla terra come un cordone ombelicale, lasciato a confessare i suoi peccati agli spiriti della selva



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MISSIONARI D’AFRICA Notizie e progetti dei padri bianchi italiani e svizzeri N. 4 NOVEMBRE-DICEMBRE 2017 - ANNO 96

WWW.MISSIONARIDAFRICA.ORG

a cura di Enrico Casale

AMICI DEI PADRI BIANCHI ONLUS MISSIONARI D’AFRICA

PADRI BIANCHI ANZIANI, LA MISSIONE CONTINUA

ALLEGATO REDAZIONALE

I missionari rientrati in patria, dopo anni trascorsi nei Paesi del Sud del mondo, hanno spesso bisogno di cure e di assistenza. Ma non hanno i mezzi economici. Una donazione può aiutarli.

Sono partiti giovani sulla spinta dei valori evangelici. Hanno lasciato la casa, le famiglie, le proprie comunità, per raggiungere Paesi lontani (che i mezzi di trasporto di un tempo rendevano ancora più lontani). E vi hanno trascorso decenni, alcuni una vita intera. Là hanno promosso la fede cristiana, hanno lanciato progetti di sviluppo e sono stati vicini alle popolazioni anche in periodi difficili di guerre, sommosse, violenze. Si sono prodigati con generosità e senza risparmiarsi, dedicando ogni energia agli altri e suscitando ammirazione anche in ambienti lontani dal mondo cattolico. I missionari Padri Bianchi, terminata la loro missione all’estero, spesso rientrano in Italia per riposarsi e curarsi, trascorrendo ciò che ancora resta da vivere con serenità. Nel nostro Paese, però, le difficoltà non mancano. Nei loro lunghi anni in missione, i religiosi non hanno guadagnato nulla. Non avevano stipendio né contributi previdenziali. Una volta rientrati non hanno quindi diritto alla pensione ma solo al magro assegno sociale. Non possono neppure accedere ai finanziamenti garantiti dallo Stato italiano grazie al meccanismo dell’8 per mille. Così, mentre gli acciacchi e l’età impe-

discono loro un impegno pastorale, devono affrontare nuove difficoltà. I missionari hanno uno stile di vita sobrio. Vivono con poco e poco chiedono. Però, più l’età avanza, più cresce il bisogno di cure mediche e assistenza infermieristica. Spesso queste spese sono assolutamente necessarie e molto onerose. La Società dei Padri Bianchi cerca di assisterli nel migliore modo possibile. Quest’anno, da gennaio a settembre, per la loro assistenza sono serviti 11.500 euro, di cui 6.500 offerti da benefattori, che i Padri ringraziano di cuore. Per questo, chiediamo un

aiuto generoso a tutti coloro che apprezzano il lavoro fatto negli anni dai missionari. Un contributo che è molto importante perché permette ai Padri Bianchi di offrire ai propri anziani la cura e l’attenzione indispensabile. Un contributo che è anche un gesto di riconoscenza nei confronti di chi ha speso una vita a favore degli altri senza mai tirarsi indietro. Un’offerta per i missionari anziani è un’offerta alla missione che hanno servito con devozione per tanto tempo.

Progetto N° 9


AIUTA I MISSIONARI D’AFRICA Scuole, pozzi, orfanotrofi, ospedali... C’è solo l’imbarazzo della scelta per chi vuole sostenere i progetti in Africa dei missionari Padri Bianchi a favore di chi vive con maggiori difficoltà

Progetto N° 10 ALGERIA: RISTRUTTURAZIONE CENTRO CULTURALE DI OUARGLA Ouargla è un’oasi del Sahara, a 800 chilometri a sud di Algeri. Un tempo piccola fortificazione, oggi, dopo la scoperta del petrolio, è diventata una città moderna. I Padri Bianchi vi sono arrivati nel 1875. Qui hanno creato un centro culturale, spe-

cializzato nella storia e nelle lingue dell’oasi. Generazioni di missionari hanno raccolto testi e fotografie, oggi introvabili, e hanno approfondito lo studio delle lingue, in particolare il mozabita, un dialetto del ceppo berbero. Oltre a questa attività, da tempo il centro organizza corsi di francese e inglese per studenti e per impiegati dello Stato. Negli anni, i locali della struttura sono diventati insufficienti. Si era pensato di trasferire il centro, ma poi si è ritenuto di rimanere nella casba e di migliorare l’edificio. Primo lavoro urgente: i serramenti per fermare la sabbia fine che arriva dal deserto. Un artigiano ha aiutato i padri; i benefattori finora hanno dato 2.000 euro, ma serve ancora una mano per completare l’opera.

Progetto N° 11 MALAWI: IL METANO PER KAFULAMA

Progetto N° 4 MALI/1: AIUTO SCOLASTICO

A Kafulama si è deciso di scommettere sul metano. Nel villaggio è stato costruito un serbatoio di cemento di tre metri cubi nel quale vengono immessi escrementi animali che, decomponendosi, producono anidride carbonica, idrogeno e metano. Il gas viene impiegato per alimentare una cucina aperta al pubblico ma soprattutto ai mille alunni della scuola. Nel progetto è stata coinvolta tutta la comunità, ma la fase operativa è gestita da una sola famiglia, che raccoglie il letame, lo pulisce dalle scorie e lo deposita nel serbatoio. Questo progetto aiuta anche la lotta alla deforestazione perché non sarà più necessaria la legna. I benefattori di Africa hanno contribuito con 4.500 euro. Il costo del serbatoio e delle tubazioni (3.000 euro) è stato sostenuto dalle autorità malawiane. Servono però ancora 5.000 dollari.

Negli scorsi anni, padre Vittorio Bonfanti aveva allestito un progetto per aiutare alcuni bambini maliani nei loro studi. Da tempo, ormai, padre Bonfanti è tornato in Italia, ma ha affidato il progetto a persone del posto che avevano collaborato con lui e con

le quali si tiene regolarmente in contatto. Così, anche quest’anno è stato possibile pagare le tasse scolastiche di un buon numero di studenti che altrimenti non sarebbero entrati in classe. Parte dell’aiuto ricevuto è servito anche a pagare dei debiti contratti per la ristrutturazione di scuole comunitarie e pubbliche. In particolare, sono stati aiutati alcuni ragazzi che, terminate le medie, si sono trasferiti in città per iscriversi alle superiori e di conseguenza hanno affrontato ulteriori spese, quali trasporto, alloggio e materiale scolastico più caro.


Progetto N° 2 MALI/2: SOSTEGNO AL DISPENSARIO DI GAO La parrocchia di Gao si sta risollevando dopo la crisi politica del 2012. Quasi tutti gli edifici della parrocchia che erano stati saccheggiati sono ormai stati riparati; anche alcune attività pastorali sono riprese. La casa dei Padri Bianchi è stata rifatta e la chiesa riparata e i cristiani vi si riuniscono la domenica.

Il dispensario, invece, funziona a ritmo ridotto. Apre ogni giorno, ma, per mancanza di medicine, i malati non si presentano così numerosi come quando c’erano i padri. Dalla parrocchia di Bandiagara, un missionario, approfittando degli spostamenti dei contingenti militari, va a Gao (580 chilometri) e vi rimane una settimana portandovi gli stipendi degli infermieri e dei custodi della casa dei padri e della scuola. Le donazioni ricevute da gennaio ad agosto (15.000 euro) sono state utilizzate anche per sovvenzionare borse di studio per la formazione di infermieri.

Progetto N° 6 UGANDA: UNA MANO ALLA SCUOLA SAN DAMIANO La scuola di San Damiano è nata in Uganda nel 1992 per permettere a

Fai un regalo ai missionari: sostieni le attività dei Padri Bianchi impegnati in 24 Paesi africani a favore dei più bisognosi orfani, minori non accompagnati e disabili poveri di studiare. Lungo gli anni, la scuola ha fatto un ottimo lavoro, educando tanti ragazzi indigenti, tra i quali molti bambini soldato scappati ai loro aguzzini. Gli alunni erano ugandesi e sudanesi. Con l’indipendenza del Sud Sudan, il numero di sudanesi è diminuito mentre è gradualmente aumentato quello degli ugandesi, attirati dalla buona reputazione dell’istituto. Con la scuola è sorto anche un noviziato per un istituto di religiose che si occupano dei bambini della regione. Servono fondi anche per finanziare le borse di studio dei ragazzi più poveri e per le 41 novizie che frequentano i due anni di formazione. Finora il progetto ha raccolto 3.500 euro

COME AIUTARE

Ognuno può fornire un aiuto economico, anche piccolo, per la realizzazione dei progetti promossi dai Padri Bianchi. Le offerte vanno intestate a: Amici dei Padri Bianchi Onlus (cod. fiscale: 930 363 001 63), specificando l’intenzione e/o il numero del progetto, tramite:

• Assegno: intestato a

Amici dei Padri Bianchi Onlus CCP n. 9754036

• Bonifico bancario:

IBAN: IT73 H088 9953 6420 0000 0172 789 BIC/SWIFT: ICRAITRRTR0 (zero finale)

• Web con PayPal o carta di credito: www.missionaridafrica.org/ sostieni-i-missionari

Offerte e Donazioni sono fiscalmente deducibili e una certificazione di donazione può essere richiesta a: Amici dei Padri Bianchi Viale Merisio 17, C.P. 61 24047 Treviglio BG oppure via mail a: paolo@africarivista.it Un altro aiuto è il tuo 5x 1000 da versare sul Cod. Fisc. 930 363 001 63 della Onlus Amici dei Padri Bianchi


BURKINA FASO: IL RISCATTO DELLE RAGAZZE-MADRI Da anni, un Padre Bianco aiuta le ragazze rimaste incinte e allontanate dalle loro famiglie. Trova loro un posto accogliente e l’opportunità di un microprestito per iniziare un’attività

In Burkina Faso, rimanere incinte fuori dal matrimonio è una disgrazia. Se il compagno rifiuta un matrimonio riparatore, la donna viene emarginata non solo dalla famiglia ma anche dalla società. Ciò avviene soprattutto tra i Mossi, la secon-

da etnia del Paese. Da alcuni anni, Maurice Oudet, Padre Bianco, le accoglie nella comunità di Koudougou (la terza città del Paese) e permette loro di ricostruirsi una vita. «Quando queste ragazze vengono a trovarmi – racconta padre Maurice –, sono profondamente angosciate. Il mio primo “lavoro” è confortarle, per far capire loro che Dio non le ha respinte, al contrario! Dopo averle rassicurate, mi metto a cercare un posto nel quale possano essere ospitate. A volte riesco a convincere una zia o una parente. Altre volte le inserisco in famiglie disposte ad accettarle». Padre Maurice si fa in quattro per le ragazze. Se hanno problemi di salute, procura loro le medicine che servono. Quando il parto si avvicina, paga un’ecografia in ospedale

per evitare complicanze alla nascita. «Recentemente – spiega –, l’ecografia ci ha permesso di salvare una mamma e i suoi gemelli. Era impossibile farli nascere con un parto naturale e così la giovane è stata sottoposta a un cesareo. Oggi sta bene insieme ai suoi piccoli». Padre Oudet però non si ferma qui. Alcuni anni fa, ha iniziato a elargire prestiti di 150-200 euro alle ragazze. Con questo denaro, molte sono state in grado di avviare piccole attività generatrici di reddito. Le loro condizioni economiche sono cambiate in meglio e possono così affrontare una vita più serena. Per questo progetto, da gennaio a settembre, i lettori Africa hanno inviato 5.000 euro (5.400 euro nel 2016) «Finora – conclude padre Maurice – ho aiutato 76 ragazze. Io credo che, di fronte a queste giovani, si debba ricordare ciò che dice la Bibbia (Deuteronomio 30,19): «Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza».

Progetto N° 3

Se non sai quale progetto sostenere, sostieni il Progetto N° 8: «Aiuti da destinare»: la Onlus si incaricherà di destinare il tuo aiuto là dove è più urgente.


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