ANTOLOGIA del Maggio

Page 1

Quaderni del Museo del Maggio del Comune di Villa Minozzo (RE)

ANTOLOGIA

Trittico della Gerusalemme Liberata rappresentata per l’ultima volta nell’agosto del 1952 nella piazza di Villa Minozzo (RE) dalla Compagnia locale (olio su tela)

QUADERNO NUMERO DUE



INDICE

Maggio -

Tradizione dura a morire - di

Benedetto Valdesalici

1995

Il Maggio nella montagna reggiana di Umberto Monti

1923

Un Maggio di Giuseppe Lipparini

1933

La saga dei canta maggio nella cornice di Cervarolo CAI

1951

Il tempo si è fermato sull’Appennino di Pietro Alberghi

1954

Il Maggio spettacolo tradizionale di popolo di Armando Zamboni

1954

A Costabona alla ricerca dei “Maggerini” di Alan Lomax

1954

Il Maggio in didattica della storia di Giambattista Galassi

1966

Il portamento il gesto in il Gorilla Quadrumano

1974

Il buffone in il Gorilla Quadrumano

di G. Scabia

di G. Scabia

Riverita e colta udienza presentazione del cd di G. Vezzani

1974 1978

Terza giornata in Manuale minimo dell’attore di Dario Fo Cantiam Maggio di Demos Galaverni

1979

LO SPETTACOLO DEL MAGGIO NELLA CULTURA POPOLARE DELL' APPENNINO REGGIANO di Fausto Bonicelli e Mauro Pighinini

1980

La tradizione del Maggio di Giorgio Ferrari

1981

Il Maggio drammatico testo cdrom di Tullia Magrini

2003

Le aree del Maggio dalla tesi di laurea di Anna Bianchi

2006

Floripes bianca e nera di Benedetto Valdesalici

2002













Lindo Pieroni, il Vinaio della Compagnia Maggistica Monte Cusna – Busana








A Costabona, alla ricerca dei “Maggiarini” il 14 e il 23 novembre 1954 Alan Lomax effettuò varie registrazioni a costabona, uno tra i più noti centri del maggio drammatico emiliano. Pur essendovi giunto in data lontana dalle effettive rappresentazioni (le compagnie agivano e agiscono tuttora solitamente durante la stagione estiva), i cantori - localmente chiamati maggiarini o maggerini - si prestarono volentieri ad esemplificare i loro spettacoli. lomax definì il maggio drammatico (o “epico”) come “maggio storico” o “maggio di lavoro”, a seconda delle tematiche dei copioni. Complessivamente risultano raccolti a costabona dodici brani, che qui elenchiamo con i titoli e la numerazione della Raccolta n. 24-M: 46 - Brunetto, Amatore e Valentina (si tratta tuttavia di Brunetto e Amatore, di Stefano Fioroni. interpreti: sette uomini e una donna; violino, violoncello e chitarra. maggio storico). 47 - Orlando furioso (interpreti: come sopra). 48 - La storia dei due fratelli sconosciuti (si tratta, ancora, di Brunetto e Amatore). interpreti: come sopra. 49 - narrazione del maggio Brunetto, Amatore e Valentina (ma: Brunetto e Amatore). interprete non indicato (ma: romolo Fioroni, nipote dell’autore, che ne aveva realizzato una riduzione per alan lomax). 50 - Tamburi del maggio (per bandire lo spettacolo). 51 - Trenta mesi chiamato soldato (voci miste. maggio di lavoro). 52 - Sento le rane che cantano (voci femminili. canto di mondine). 53 - Avevo una ragazza (voci femminili). 54 - Checco, Checco, Checco (voce femminile. Giuoco per bambini). 55 - Ninna nanna (voce femminile). 79 - Martino e Marianna (due voci miste alterne). 80 – Umil Madonna non mi abbandonare (due voci femminili). Nella testimonianza inedita che segue, da noi registrata in data 23 aprile 2004, Romolo Fioroni, autore di maggi drammatici e componente di una storica famiglia di Costabona da generazioni impegnata a vario titolo nel “maggio”, ci fornisce una rilevante messe di notizie sulla campagna di rilevazione effettuata localmente da Alan Lomax. Nato a Costabona nel 1928, in quell’anno quindi appena ventiseienne, il maestro Fioroni già si stava segnalando come uno tra i più attivi divulgatori di questa forma di teatro popolare.

“Ero presente, qui a Costabona, alle registrazioni di Alan Lomax, e sono stato anche invitato per preparare una riduzione del “Maggio” Brunetto e amatore, che poi ho spiegato durante le registrazioni. Ricordo anche coloro che sono ritratti nella fotografia di copertina del recente Compac t Di s c italian treasury emilia-romagna: il violinista è Battista Prati, il chitarrista, giovanissimo, è Vilmo Gazzotti; dietro c’è Flaminio Bonicelli con il violoncello e anche un attore, Giuseppe Costaboni.


Esiste una serie di queste foto, sono almeno altre tredici, che furono scattate da Renzo Filippi, un grande fotografo del maggio. Tra le registrazioni di Lomax e di Carpitella figura anche un maggio dal presunto titolo i due fratelli sconosciuti. Questo copione non esiste, perché si tratta di Brunetto e Amatore, la cui trama è imperniata sulle vicende di due fratelli che sono sconosciuti l’uno all’altro. Brunetto e Amatore è il più famoso copione scritto da mio nonno Stefano. L’esperienza dei maggiarini di Costabona con Alan Lomax era stata preceduto, l’anno precedente, da una rappresentazione a Cervarezza con Francesco Maselli che, con una sua troupe, realizzò un famoso documentario, incentrato sempre su Brunetto e Amatore, la cui ripresa proseguì per qualche giorno. Maselli era al suo primo lavoro importante, che presentò in seguito al Festival di Cannes.Per le registrazioni di Alan Lomax, riducemmo Brunetto e amatore in una notte, dalla sera alla mattina. Andai a letto alle tre! Lomax non stava nella pelle, era felicissimo! Registrammo di sera e di notte, davanti al bar, nel giardinetto della Locanda Colombaro. Poi Lomax registrò anche dei canti di mondine, all’interno, nella sala superiore del bar. Le donne erano di Costabona e avevano imparato quei canti andando a fare le mondine nelle risaie del vercellese.Ricordo che furono registrazioni effettuate con grande serenità: ci portarono del vino, bevemmo, fu una cosa molto bella e importante per tutti noi e per la storia del maggio a Costabona riportiamo alcuni frammenti iniziali della registrazione del maggio Brunetto e Amatore, con il commento-narrazione di romolo Fioroni. Si tratta di brani compresi nel compact disc che la casa discografica statunitense Rounder ha dedicato alla nostra regione e per il quale rimandiamo alla discografia, alle pagine finali di questo lavoro: Paggio di Brunetto ed Amatore

Del re tartaro i gemelli cose udrete e ciò che a quelli fe’ suo padre con orrore. Innocente a morte dura danna l’un senza pietade per campar l’altro le strade fe’ d’Armenia a la ventura. Di quel re la figlia bella che da morte salvar viene dopo tanti affanni e pene in isposa tiene quella.


Narratore Il re di Tartaria, padre dei due gemelli Brunetto e Amatore, avendo avuto in sogno visione delle liti che sarebbero sorte dopo la sua morte per la successione al trono, decide di far uccidere uno dei due figli. La sorte decide e condanna Brunetto a morte e consacra Amatore futuro re. Brunetto: Pietà ti muovi o padre. Re:

Pietà non dèo sentire.

Brunetto: Crudel dunque morire. Re:

Dover, non crudeltà

Brunetto: Barbarie ed empietà.

Tullio Del monarca in sull’istante la sentenza va ad effetto ecco il capo di Brunetto sul terreno palpitante.

Amatore Del fratel ch’è ancor qui morto ribaciar vo’ il caro viso di dolor tutto conquiso sento il cuore, ah! Padre stolto.

Narratore Amatore, per la ribellione al re, viene tosto imprigionato. Per gli intrighi di Tullio, poi, luogotenente del re che ordisce persino una congiura ai danni del re medesimo, tentando di incolpare Amatore e gli amici. Amatore stesso viene condannato a morte e liberato in seguito sul luogo dell’esecuzione da Ormanno, Dione e i suoi amici. Deve però fuggire insieme ad Ormanno, anch’egli implicato nella congiura, dal quale viene poi disgiunto in seguito alla battaglia impegnata con Orgàno, signore dei dintorni. Ormanno è fatto prigioniero e Amatore, lasciato sul campo perché creduto morto, viene salvato da un eremita col quale viene poi a salvare Valentina, figlia del re d’Armenia, gettatasi nel fiume per sfuggire alle insane brame di assassini, improbi e rei.


Dalle forme liriche sacre e profane del canto rituale del “maggio” trae derivazione il cosiddetto “maggio drammatico” (o “epico”), che si ritiene possa avere motivi e influenze anche dalle sacre rappresentazioni. originario della terra toscana, si diffuse ampiamente, a partire almeno dal XVIII secolo, nella confinante area appenninica emiliana (modenese e reggiana soprattutto, ma anche bolognese, parmense e piacentina). il maggio drammatico è un’antica forma di teatro popolare da sempre rappresentata a diretto contatto con la natura (boschi, spazi/anfiteatro pianeggianti ecc.) e, in particolari occasioni, nelle piazze di paese o nelle adiacenze dei luoghi di culto (per feste patronali o santuariali). autori e attori facevano (e fanno tuttora) parte integrante della realtà culturale del loro territorio. un tempo della durata di un’intera fase pomeridiana, i copioni sono formati da quartine di versi ottonari a rima alternata cui si accompagnano, nelle scansioni di maggiore tensione emotiva, ottave o sestine, denominate localmente “sonetti”. Brevi stacchi musicali (chitarra, violino, fisarmonica e, negli anni in cui registra alan lomax, anche violoncello) facilitano la preparazione scenica e il canto dei versi successivi.

Sulle tracce di Alan Lomax a cinquant’anni dalle sue ricerche sull’Appennino Tosco-Emiliano Già pubblicato in “nuèter noialtri - Storia, tradizione e ambiente dell’alta valle del reno bolognese e pistoiese”, a. xxx, 59 (giugno 2004), pp. 161-192. nuèter-ricerche (26)

© Gruppo di studi alta valle del reno distribuito in digitale da alpes appenninae - www.alpesappenninae.it]

Pubblico del Maggio Busana – Parco Canevari 1977


Canto e dramma popolare è il «Maggio», che ancora si canta da noi. E' un argomento molto interessante che noi dobbiamo presentare per brevissimi cenni. C'è qualche pubblicazione sulla materia (anche di Pea, che parla però di un maggio toscano, diverso dal nostro). I pochi autori non sempre hanno centrato bene l'argomento. Il maggio nostro nelle sue forme tradizionali è quello che viene rappresentato («cantato») dalla Compagnia stabile dei maggiaioli del Centro di lettura di Costabona, o anche dalla Compagnia di Morsiano. Le origini del maggio si legano in qualche modo a una tradizione molto lontana, che passò per filoni e sotto forme diverse nel tempo (fescennini, sacre rappresentazioni, ad esempio, modi diversi - e chissà quanti dimenticati - di rappresentare la vita degli uomini, rilevandone gli aspetti ora grotteschi, ora religiosi, ora eroici, ecc.). Le fonti sono da ricercare soprattutto nel poema epico rinascimentale, ma anche in quello classico, anche nel romanzo cavalleresco di Re Artù (Tristano e Isotta, Lancillotto e Ginevra del Lago), nella storia dei Paladini di Francia e di Carlo imperatore (esemplare il maggio di Buovo d'Antona); ma anche la vita di nostro Signore, di qualche Santo o Santa, la storia di Genoveffa di Brabante, episodi storici veri e propri legati a qualche re o imperatore di gran marca, con la deliziosa contaminazione di elementi fantastici (Carlo Quinto in volo per il cielo con 1'Ippogrifo ... ) : notevole varietà di fonti e di materia. Il luogo della rappresentazione è uno spiazzo nel castagneto; intorno vengono rizzate nicchie di verzura dove stanno i re in trono, i cristiani e gli infedeli; però c'è una divisione netta dei «campi»: i « prodi » cristiani da una parte e dall'altra i « felloni » saraceni. L'azione si svolge attraverso il canto dei « campetti », quartine di ottonari a rima ABBA, staccate l’una dall’altra dall’intermezzo musicale di chitarra e fisarmonica a motivo fisso, dolcissimo, che ha l’allegria e l’accoramento che sentiamo nel canto del cuculo (ricordate Carducci?). Nel tempo che prende l’esecuzione dell’intermezzo musicale (oh qual trillar di brevi note in fuga!) il Re Erminione, poniamo, si toglie il sigaro toscano di bocca, appoggia il bicchiere colmo di vino (toscano anche lui) ai piedi del trono e nel breve tempo, dicevo, dell'intermezzo, attraverso tre frasche fitte nelle zolle (le foreste) e oltre la strisciola di carta turchina sull'erba (i fiumi), sta già dritto e torvo, più veloce di un « Titan » verso la luna, davanti al Sultano di Siria, per cantargli senza misericordia il campetto che si merita un infedele; un campetto come questo, per esempio (non è pertinente, è un esempio di una violenza insolitamente attenuata, ma non ricordo altri; è dal maggio di Buovo ) : «Sono il Cavalìer Borbone ( i Borboni allora non c'erano) / Son nipote al Re di Francia (che era l'imperatore Carlone) / Se provar vuoi la mia lancia / Mi dirai prima il tuo nome » (presentati se vuoi che t'infilzi: era la regola del Cavalier cortese). Questo per dirvi della commovente, incantevole semplicità ed ingenuità del nostro maggio. E' doveroso illustrare alcuni aspetti che non sono stati còlti o sono stati trascurati dai pochi autori. Il « campioniere » è colui che si occupa del campione (non del prode guerriero, ma del canovaccio, del testo); propone la rappresentazione per l'estate, già fin dai tempi in cui incomincia a cantare il cùculo; sceglie il maggio adatto, organizza le prove e le segue e corregge; è l'organizzatore, il regista, l'amministratore della compagnia; a suo tempo sarà il suggeritore; fa tutto lui, ma non può avere una parte nel maggio; però è lui ad assegnare, a suo giudizio, le parti agli attori; nell'occasione ai suoi volenterosi tiene un discorso così: «Tu, così grasso e pacioso, sarai il Re Erminione; tu, bellina dalle trecce lunghe, Fiordispina; tu (e la parte ti calza come un


guanto), sarai Pollicano, mezzo uomo e mezzo cane, spadaccino perverso e maligno, mostricciattolo nel corpo e nell'anima; tu, che hai la faccia torbida, ispida e l'occhio feroce (« la figure du róle » ... ), sarai Lucaferro, il campione saraceno ». E notate che da quel giorno l’assegnazione aveva la virtù di un nuovo battesimo: cancellava il nome vero e si diventava, nella vita vera e per sempre, Paris, o Vienna, o Lucaferro. o Drusiana, o Pollicapo, o l’imperatore; sicchè si poteva sentir dire: “Dov’è il Re Erminione?” e rispondere, per esempio: “Il Re Erminione è a mungere la vacca”; discorso che rinfrescava l’anima. Continuava cioè la finzione e diventava la verità della vita di ogni giorno, era un modo di evadere dalla vita frusta quotidiana in un clima esaltante di grandezza, di gloria, di bellezza. Queste cose io ho visto con i miei occhi e ve ne faccio testimonianza prima che se ne perda la memoria. Perchè non si ha più una partecipazione tanto intensa, una identificazione totale tra uomo e personaggio, un calare e risalire dalla realtà al sogno. Molto è cambiato, sotto questo riguardo, anche se il maggio continua, così come deve, nei modi tradizionali; è perchè i tempi sono finiti, i tempi della freschezza, della dolcezza, della cordialità, della semplicità e del calore nel cuore dell'uomo; il mondo umano ha progredito, ma è vero quel che diceva Jemolo (mi pare fosse lui): il progresso è un modo di soffrire più in alto. O forse perchè è il fascino della lontananza che rende belle le cose di quei tempi; forse dunque perchè è finita la mia età dell'oro, la mia favola (anche qui ritorna il complesso del paradiso perduto, di quell'Adamo caduto che siamo tutti noi). Dalla relazione del Dott. Giambattista Galassi al corso di aggiornamento: ”Didattica della storia e della geografia nella scuola elementare” Castelnovo Monti 21/30 Aprile 1966 Ed. AGE RE 1967

BUSANA Parco Canevari agosto 1977 La Compagnia maggistica Monte Cusna di Asta canta “Il Ponte dei sospiri” di Domenico Zannini


Il teatro popolare dell'Appennino toscoemiliano Le manifestazioni di benvenuto alla primavera, i riti di fertilità, occupano notevole spazio e importanza nella storia della cultura del mondo popolare. Anche se ridotti ormai a piccole isole arcaiche in seno alla cultura popolare dei nostri tempi, hanno ancora un significato che riescono a esprimere nonostante il contesto della vita attuale che tende ad annullare sempre più qualsiasi valore umano. Alcune di queste superstiti manifestazioni rituali di benvenuto alla primavera si svolgono nel mese di maggio ora con una celebrazione del rifiorire dell'albero con il quale si identifica il ritorno della buona stagione, ora con una questua e un corteo processionale (come i Maggi lirici dell'Emilia-Romagna e della Toscana), oppure con una rappresentazione teatrale all'aperto, come, ad esempio, i Maggi drammatici dell'Appennino toscoemiliano, anche se hanno progressivamente perduto nel corso degli anni gli elementi rituali per acquisire sempre maggiori caratteristiche di spettacolo e raggiungono ora il culmine con le rappresentazioni estive. Oggi, infatti, il mese di agosto, con la festa di Ferragosto, costituisce il vertice dell'interesse per questa forma di spettacolo: ancora una volta, come un tempo era lieta consuetudine di ogni festa o domenica, le famiglie montanare si ritrovano al completo: le fabbriche, i cantieri del nord sono chiusi e le ferie riconducono al paese gli emigrati. Particolari canzoni dedicate al mese di maggio e alla primavera si trovano nelle tradizioni popolari di qualsiasi paese, così come sono facilmente rintracciabili in diverse parti d'Italia: dalla Sardegna alla Sicilia, alla Calabria e, quindi, seguendo un itinerario segnato dalla dorsale appenninica, fino al Piemonte, nelle zone del Monferrato e del Canavese. La Toscana, nell'epoca del Magnifico (« Ben venga maggio e il gonfalon selvaggio», in particolare, fu la terra dove il "maio" pose le sue radici più profonde. La canzone di maggio che si identifica nel Maggio lirico (in contrapposizione al Maggio drammatico o epico), cosi come è giunta fino ai giorni nostri, si presenta in due versioni (a seconda del giorno e delle finalità per cui si canta) che danno origine al Maggio sacro e a quello profano. Il Maggio sacro, detto anche delle "Anime", si canta la prima domenica di maggio. Alcuni cantanti accompagnati da suonatori di fisarmonica, chitarra e violino vanno per le strade del paese cantando e questuando: infatti lo scopo di cantare il Maggio delle "Anime" è quello di raccogliere offerte per una messa in suffragio dei defunti. Il Maggio profano, invece, detto anche delle "Ragazze", che si svolge tra la notte del 30 aprile e il I maggio, ha lo scopo di propiziare la venuta della buona stagione. Anche qui un gruppo di cantori con accompagnamento di fisarmonica, violino e chitarra, percorre le strade del paese cantando una serenata in onore della primavera (« Ecco il ridente maggio, / ecco quel nobil mese, / che sprona ad alte imprese / i nostri cuori»). Alcune strofe particolari vengono cantate sotto le finestre delle ragazze: si tratta dell "Ambasciata". Questi canti rimangono inalterati nel corso degli anni: altri versi invece, pure essi cantati, cambiano ad ogni manifestazione; sono i "rispetti" dedicati alle varie famiglie del paese.


Da queste due forme di canzoni di maggio, che trovano la loro origine nell'arcaica matrice dei riti di fertilità, è derivato il Maggio drammatico o epico, influenzato certamente anche da altre forme drammatiche come le Sacre rappresentazioni. Il Maggio, una delle più vive realtà della cultura del mondo popolare di oggi, è uno spettacolo che oltre duecento anni fa ha trovato in Toscana la sua sede stabile, dalla quale è poi risalito lungo i crinali dell'Appennino tosco-emiliano toccando il Modenese, il Reggiano, il Parmense. Questa espressione popolare ha subito in seguito modifiche ed evoluzioni durante il processo di diffusione operato dagli emigranti stagionali dell'Emilia che rientravano alle loro case attraverso le antiche vie Vandelli e Giardini (le uniche strade che nell'Ottocento valicassero l'Appennino, dopo i" mesi passati lavorando nelle terre toscane della Garfagnana, della Lucchesia, della Versilia spingendosi a volte anche fino all'Isola d'Elba.

I disegni sono di Angelo Corsini

Oggi il Maggio è un vero e proprio spettacolo che consiste in una rappresentazione in versi, con accompagnamento strumentale. L'argomento del copione è affidato a trame fantastiche che si ispirano a volte anche a fatti storici. Gli attori (chiamati maggianti in Toscana, maggerini in Emilia), come anche gli autori, di questa forma di teatro popolare, sono gli abitanti (contadini, operai, artigiani, pastori) dei paesi dell'Appennino tosco-emiliano dove gli stessi Maggi vengono rappresentati. In questi paesi un tempo il Maggio costituiva l'unica forma di spettacolo, l'unico divertimento, che non si esauriva tuttavia nelle sole giornate della recita, ma teneva legato l'intero paese durante tutto l'anno: le trame più complicate, i personaggi più favolosi e fantastici, i passaggi più belli, gli interpreti più bravi erano motivo di conversazione nelle osterie, nelle stalle durante le lunghe veglie invernali. Il Maggio, diffondendosi dalla Toscana in Emilia, ebbe a subire modifiche ed evoluzioni ancora facilmente riscontrabili nelle varie rappresentazioni. In Toscana la parte più bella della rappresentazione è il canto: le interpretazioni dei maggianti sono talvolta perfette dal punto di vista vocale, arricchite dai preziosismi interpretativi propri dal modo di cantare alla toscana (stornelli e ottave rime). Il movimento scenico è ridotto all'essenziale: i duelli, più che combattuti, sono soltanto accennati, con i contendenti che si fronteggiano con corte spade di legno e con uno scudo pure di legno dalle dimensioni piccolissime che copre appena la mano. I costumi sono di grande semplicità: una specie di camice di diversi colori, di stoffa leggera, con un corto mantello, pantaloni neri di foggia civile con ricami laterali. Un elmo con un pennacchio di strisce di carta colorata o di nastri completa il costume del maggiante. Questo in Garfagnana: nelle province di Lucca e di Pisa (come anche nelle zone del Bruscello) i costumi vengono presi a noleggio dalle sartorie teatrali e cambiano di volta in volta, secondo lo spettacoli.In Emilia, oggi solamente nelle zone del Reggiano e del Modenese, lo spettacolo offre un maggiore dinamismo, pur mantenendo evidenti matrici mutuate dalla Toscana. C'è forse anche un maggiore interesse attorno al Maggio, come lo dimostrano anche i molti autori che continuano a scrivere copioni anche oggi, a differenza della Toscana. In Emilia ogni attore ha il suo costume che usa in ogni rappresentazione e lo accompagnerà nel corso di tutta la sua carriera di attore del Maggio. I costumi sono di proprietà degli attori o delle compagnie che qui, nella quasi totalità, sebbene a diversi stadi organizzativi, raggruppano i


maggerini dei paesi dove ancora oggi continua la tradizione del Maggio. I costumi vengono approntati da sarte di paese sulla scorta delle indicazioni certamente avute da chi un tempo aveva visto questi spettacoli in Toscana, e sono andati via via trasformandosi e arricchendosi (pur nella estrema semplicità che vediamo oggi) di fregi e disegni dettati dalla fantasia. Sono di velluto nero: una giubba con una corta mantellina, pantaloni alla cavallerizza, lunghi gambali. Sul nero del velluto spiccano stemmi e disegni dai colori vivaci. Un elmo con pennacchio, una spada di ferro e uno scudo completano il costume del maggerino emiliano. I duelli vengono combattuti con un urto degli scudi ad ogni assalto. La recitazione si avvale del gesto che è una componente essenziale dell'azione scenica. I copioni sono in quartine di versi ottonari alle quali nei momenti più patetici si alternano sonetti e ottave, con l'accompagnamento musicale di violino, fisarmonica e chitarra su motivi di valzer, polka, mazurca. Gli stessi strumenti (a volte anche un clarinetto) sì trovano in Toscana, dove la metrica dei copioni presenta quartine, quintine e ottave.Quasi ovunque la lunghezza dei copioni va orientandosi sulla durata di due ore e mezza, tre ore o tre ore e mezza. Un tempo duravano diverse ore fino a coprire l'intero pomeriggio, a giustificazione del fatto che il Maggio era l'unico divertimento allora esistente. E' stata un'esigenza imposta dal mutato ritmo di vita dei giorni nostri, che tuttavia non ha recato gravi danni all'economia dello spettacolo, rendendolo più accettabile e contribuendo in tal modo, in maniera determinante, alla sua sopravvivenza. Un tempo, nel secolo scorso, verso il 1850 i testi venivano pubblicati a stampa: esistono decine e decine di testi stampati dalla tipografia Sborgi di Volterra nel 1867. In seguito i testi venivano ricopiati a mano e quindi distribuiti di paese in paese. Questa tradizione dei copioni manoscritti è continuata fino a qualche tempo fa, sostituita poi dalle copie in ciclostile e, di recente, dalla pubblicazione da parte della "Società del Maggio Costabonese" dei copioni in numeri speciali della rivista "II Cantastorie" di Reggio Emilia. I luoghi delle rappresentazioni sono generalmente all'aperto, in radure naturali che accolgono gli spettacoli da maggio a agosto. A Buti le recite avvengono invece in teatro, mentre a Montepulciano sulla piazza del Duomo. II Bruscello è un'altra forma della drammatica popolare propria della provincia di Siena, che ha toccato anche le provincia di Grosseto, Lucca e Pistola, che presenta caratteri affini ai Maggi. Tre sono le matrici originali del Bruscello, che hanno dato vita nel passato ad altrettanti temi nei quasi si identificava questa manifestazione: l'argomento nuziale (l'amore contrastato che alla fine trionfa: era la forma più usata), l'argomento epico-cavalleresco (proprio dei Maggi), la rievocazione di una scena di caccia (che si faceva anticamente con una lanterna e con un ramoscello, da cui probabilmente derivò lo stesso nome di Bruscello). Di queste tre forme quella che è giunta sino ai giorni nostri è stata la prima, il Bruscello di argomento amoroso, che da manifestazione propria del Carnevale, oggi viene alternata alle recite del Maggio in alcuni paesi delle provincia di Lucca e di Pisa. Il Bruscello in una veste moderna lo possiamo trovare oggi a Montepulciano (nel Senese: di questa zona vogliamo anche ricordare un'altra compagnia di bruscellanti tradizionali, attiva fino a qualche tempo fa sotto la direzione di Irma Donatelli). A Montepulciano agisce la "Compagnia Popolare del Bruscello" costituita nel 1939 dal conte Lucangelo Bracci per continuare questa rappresentazione allora in vita nelle campagne, trasportandola però nel centro urbano sul palcoscenico formato


dalla piazza del Duomo. Queste rappresentazioni, pur continuando ad ottenere un notevole successo di pubblico, hanno perso molto dell'antica matrice in seguito a manipolazioni esterne ed estranee alla sensibilità popolare come, ad esempio, l'introduzione, verificatasi qualche anno la, di un organo elettrico in luogo della fisarmonica, l'uso di costumi sfarzosi noleggiati presso grandi sartorie teatrali, mentre invece nel Bruscello tradizionale erano nella maggior parte dei casi improvvisati. Altri elementi estranei sono riscontrabili sia nei testi che negli allestimenti che hanno assunto le caratteristiche del melodramma e dell'operetta: libretti d'autore colto e musiche scritte appositamente, come si può verificare dalle esemplificazioni presenti in questo disco. Le registrazioni di questo disco sono state effettuate da Romolo Fioroni e Giorgio Vezzani in un arco di tempo che va dal 1965 al 1976. i brani di Maggi e Bruscelli qui proposti provengono tutti (ad eccezione dei n. 1, 3, 4 solo per il "Paggio", 6, 7, della prima facciata) da registrazioni effettuate durante i diversi spettacoli: non si tratta di documenti di manifestazioni memorizzate, ma in funzione, raccolti pertanto durante le rappresentazioni con i commenti del pubblico che vi partecipa in maniera assidua e intensa (ne è anzi una componente non secondaria), i rumori di scena. Proponendo dischi di documenti etnici quali ballate, canzoni, esecuzioni strumentali, c'è la possibilità di scegliere, entro certi limiti, tra diverse registrazioni anche di uno stesso brano: a volte è addirittura lo stesso esecutore-strumentista che censura una propria esecuzione, come è pure possibile far eseguire una o più volte lo stesso brano, anche in epoche diverse, specialmente quando tra ricercatore ed informatore si instaurano certi rapporti (non solo di collaborazione, ma di reciproca stima) che vanno oltre il primo incontro. (E il mantenimento di certi rapporti è, in fondo, uno dei meriti maggiori del folk-revival, attraverso il quale l'esecutore tradizionale trova nuove occasioni per far conoscere la propria tradizione, la propria cultura). Ora l'utilizzazione di registrazioni ripetute, o effettuate appositamente per il disco, sarebbe possibile anche per il Maggio, ma abbiamo preferito presentare documenti (sebbene con alcuni inconvenienti propri della ripresa dal vivo) di una realtà culturale attuale e in funzione come quella del teatro popolare dell'Appennino tosco-emiliano, a testimonianza della sua permanenza e validità e quale omaggio a quanti operano oggi, con notevoli sacrifici, per la continuità di questa tradizione.

Giorgio Vezzani

(Presentazione del disco "Riverita e colta udienza. Teatro popolare dell'Appennino tosco-emiliano", a cura di Giorgio Vezzani, Cetra Ipp 362, 33 giri 30 cm., 1978)


Introduzione (testo contenuto nel cdRom il maggio drammatico di Tullia Magrini) Il Maggio drammatico è una forma di teatro in musica di carattere epico diffuso nell'Appennino emiliano e toscano, dotato di aspetti rituali e fondato sulla rappresentazione di una lotta armata che oppone in molti casi cristiani e pagani. Questo spettacolo, le cui radici sono complesse, è stato realizzato e fruito, fino a tempi recenti, unicamente dagli abitanti dei singoli villaggi come massima espressione culturale della comunità. Più recentemente, dopo una fase di decadenza, il Maggio ha attraversato un periodo di rivitalizzazione durante il quale ha mutato alcune delle sue caratteristiche e il suo significato. Oggi il Maggio si propone essenzialmente come espressione della resistenza culturale della montagna contro i modelli proposti dalla cultura urbana.

Origini del Maggio drammatico La natura del Maggio drammatico è fortemente sincretica, poiché esso riunisce aspetti rituali, letterari, drammaturgici e musicali di provenienza disparata e attribuibili a diversi contesti ed epoche storiche. In questo senso risulta estremamente difficoltosa ogni ricerca diretta a ricostruire la genesi del Maggio drammatico. Le ipotesi proposte dal secolo scorso ad oggi ne hanno proiettato le origini via via nell'epoca della nascita della letteratura in volgare (D'Ancona 1877), nella dimensione metastorica del rito, e infine "nel clima politico e sociale della restaurazione aristocratico-borghese dominante nella Toscana granducale degli anni 1820-1850" (Lo Nigro 1978: 212), dimostrando quanto lontane e non risolutive siano le direzioni di ricerca prospettate da un fenomeno culturale così complesso. E' vero infatti che gli aspetti rituali ricollegano il Maggio a cerimonie stagionali remote, come afferma Toschi: "Crediamo di non andare molto lontano dal vero opinando che fin dalla remota antichità, le varie popolazioni che abitarono l'Italia festeggiassero il ritorno della primavera e l'inizio di un ciclo annuale o stagionale in una data che ha per centro il 1° maggio: i riti che vi si compivano dovevano svolgersi secondo un principio generale comune, ma con la varietà di espressioni che la diversa formazione etnica e religiosa comportava" (Toschi 1976: 446). E' vero d’altra parte che il metro poetico adottato nel Maggio è noto sin dagli albori della letteratura italiana, come sottolinea D’Ancona, ed è vero infine che alla forma teatrale popolare hanno collaborato più o meno occasionalmente anche rappresentanti locali della cultura ufficiale (il parroco, il maestro), come nota Lo Nigro. La pluralità degli elementi che convergono nel Maggio e i loro legami con fenomeni eterogenei fra loro rende estremamente difficile individuare il momento in cui si è operata la sintesi che ha prodotto questo specifico tipo di spettacolo. E' certo comunque che le prime fonti scritte del Maggio risalgono alla fine del sec. XVIII (Conati 1992) e, per i temi trattati, questi copioni fanno pensare che lo spettacolo sia fiorito almeno per un certo periodo con il sostegno della Chiesa. Non solo esiste a questo proposito una ricca documentazione sulla rappresentazione di Maggi in occasione delle festività religiose locali, ma è anche verosimile che questo spettacolo sia stato influenzato dal teatro gesuitico, cui si avvicina per le tematiche trattate, l'uso della musica, la spettacolarità della manifestazione. La diversa evoluzione dello spettacolo nell'area dell'Appennino tosco-emiliano ha dato luogo a una variabilità dei modi rappresentativi che viene interpretata con la suddivisione del territorio in cui si estende la pratica del Maggio in tre aree stilistiche: l'area emiliana, l'area garfagnino-lunigianese, l'area pisano-lucchese (cfr. Venturelli 1992).


Il Testo Il testo letterario del Maggio (campione) ha una funzione analoga a quella del libretto d'opera ed è una composizione in versi elaborata da un autore e destinata alla rappresentazione teatrale. Come il libretto, raramente il campione si basa su materiali originali e, anche se alcuni autori affermano di aver composto Maggi "di fantasia" (ad esempio Domenico Cerretti, Dino Dallari, Romeo Sala, Alberto Schenetti, Tranquillo Turrini), la maggior parte di essi fa riferimento a materiali preesistenti. Normalmente questi non appartengono alla cultura orale tradizionale (si può considerare del tutto eccezionale il Maggio Ventura del Leone, ispirato a Stefano Fioroni da una favola), ma provengono piuttosto dalle fonti letterarie diffuse e assimilate nella montagna emiliana. Il caso di Pasquale Marchetti, che conosceva a memoria l'Orlando innamorato, l'Orlando furioso e La Gerusalemme liberata, è emblematico della profonda penetrazione dell'epica dei sec. XV-XVI nella cultura popolare dell'Appennino e della preparazione di base del compositore di Maggi. La diffusione della letteratura italiana nella montagna — l'epica innanzi tutto, ma anche il romanzo — attraverso edizioni popolari vendute nelle fiere e nei mercati è un dato di cui si deve obbligatoriamente tener conto per comprendere il canale di penetrazione nei villaggi delle opere da cui il Maggio desume eroi ed intrecci, servendosi pragmaticamente degli elementi che si prestano ad essere assimilati all'interno delle proprie espressioni culturali. Talora la materia letteraria necessaria per la creazione dei drammi è minima: basti ricordare che a Morsiano, paese di intensa produzione di Maggi, si conoscevano unicamente I Reali di Francia di Andrea da Barberino, opera di grandissima fortuna nel mondo popolare e in quello del Maggio in particolare. Ciò è inoltre indicativo della priorità riservata dalla cultura appenninica all'epica, intesa come repertorio di personaggi e situazioni destinati ad essere rimodellati (con grande libertà) in funzione della nuova struttura drammatica. Sulla scena del Maggio recitano Angelica e Orlando, Ruggero e Bradamante, Tristano e Isotta, Carlo Magno, Costantino imperatore, Pipino e Berta, insieme a Morgante, Rodomonte, Bovo d'Antona, Ginevra, Marfisa, Rinaldo, Lancillotto. Ma il dramma musicale offre anche incursioni nel mondo dell'epica classica (La distruzione di Troia di Giacomo Alberghi, Le avventure di Ulisse di Giuseppe Chiarabini, La guerra di Troia di Gelsomino Zambonini) e della tragedia (Antigone di Romolo Fioroni, I sette contro Tebe di Puro Stefani). Fonti presenti agli autori di Maggi, sono i testi biblici (ai "sacri testi"—e non all'Alfieri—si ispira il Saulle di Elia Del Fante, come il Re David di Francesco Alberi, I sette fratelli Maccabei di Romeo Sala, il Giuseppe Ebreo di Amilcare Veggeti), mentre appaiono occasionali gli accostamenti al teatro di Shakespeare (fonte parziale del lavoro di Ivo Campomagnani Dal pentimento di Malù all'Amleto) e a quello di Metastasio, che conosce ben altra fortuna nel mondo del Maggio toscano. Soggetti per il Maggio possono essere desunti ancora da una predica (Brunetto e Amatore di Stefano Fioroni), dalla storia orale l'Amorotto di Teobaldo Costi), da un fatto di cronaca letto sul giornale (Orazio del leone, ovvero il pentimento di una matricida di Nello Felici). Spesso i soggetti sono derivati dal romanzo, sia esso d'autore o appartenente alla letteratura "popolare" divulgata dalla stampa minore. Nella produzione di Domenico Cerretti figurano insieme I tre moschettieri e Gli esiliati a Barra—desunto da un romanzo di Montelieu pubblicato a dispense nel 1924 dalla casa editrice Gloriosa di Milano—; Luigi Pighetti deriva da un romanzo a puntate di G. Leggio i due Maggi Altamira e Meliardo e Guelfo e Aradea. Mentre fonti più note ispirano Il conte di Montecristo e il Nerone (da Quo Vadis) di Romeo Sala, Nadir il valoroso di Giacobbe Biondini (da Salgari), La freccia nera di Tullio Verdi, Guerra e pace di Giorgio Canovi. Gli autori del Maggio reagiscono con prontezza anche ai nuovi mezzi di


comunicazione di massa: nel 1925 Teobaldo Costi scrive Bevul, Sigmundo e Siglinda, seguito da Sigfrido, ispirandosi ad un film visto a Genova durante il servizio militare; nello stesso anno Luigi Pighetti scrive Marcantonio e Cleopatra, rifacendosi ad una pellicola vista a Roma. Negli anni '70 il cinema si dimostra ancora una volta fonte di ispirazione, suggerendo con La sepolta viva il soggetto di Storia d'amore e di sangue a Lorenzo Aravecchia. Ma da tempo esso è stato affiancato dalla televisione, interpretata essenzialmente come rielaboratrice del romanzo (Il conte di Montecristo e La freccia nera citati sopra si rifanno alla proiezione televisiva dello sceneggiato). É interessante notare a questo proposito che l'arrivo nella montagna dei nuovi mezzi di comunicazione non modifica i gusti tradizionali in materia di soggetti, mentre incontrano forti resistenze sia da parte del pubblico che delle compagnie i pochi tentativi di innovare la tematica del Maggio e di aggiornarne i contenuti. A questo proposito vanno citati almeno Il presente e l'avvenire d'Italia, scritto nel 1920 da Domenico Cerretti, un Maggio di Angelino Maestri — mai rappresentato —, due di Alberto Schenetti, e infine Marzo 1944 di Marco Piacentini, il più discusso fra i tentativi di introdurre soggetti estranei alla tradizione, anche per i problemi connessi alla sua realizzazione scenica.

Il Maggio come teatro Il Maggio drammatico si propone in primo luogo come una rappresentazione teatrale progettata nell'ambito di una circonferenza. Questo principio, che struttura l'intero spettacolo e che il Maggio condivide con il più arcaico teatro medievale europeo (cfr. Nicoll 1971: 65 ss.), implica la scelta di uno spazio scenico circolare, sia esso, come avviene il più delle volte, una radura in un'area alberata oppure una piazza nel paese (solo in Toscana si usa più modernamente un vero e proprio teatro). Ai margini dello spazio vengono collocati elementi scenici essenziali, in funzione di mansions o loci deputati, destinati a rappresentare simbolicamente le sedi dell'azione: sono le tende che raffigurano le dimore dei personaggi principali (e per estensione il loro regno), la torre o il carcere dove saranno trattenuti i personaggi in prigionia, la tomba cui si reca un personaggio per pregare, mentre l'albero o il cespuglio (collocati all'interno dello spazio) evocano la foresta, sede elettiva dell'avventura. Le mansions sono disposte ai bordi dell'area, spesso l'una accanto all'altra, nella completa indifferenza per le distanze immaginarie che le separano: sono i cartelli appesi sugli elementi scenici a chiarirne didascalicamente il valore simbolico. All'inizio dello spettacolo gli attori definiscono lo spazio scenico circoscrivendolo con un movimento processionale e andandosi a collocare nei diversi luoghi di appartenenza, per restare poi nell'area della rappresentazione durante tutto il tempo dello spettacolo. Non esiste nessuna dinamica visiva nel Maggio: l'assetto delle scene e i costumi sono visibili fin dall'inizio e non subiscono modificazioni. La finzione scenica viene esibita e non esiste alcuna volontà di illudere lo spettatore con pretese di realismo, mentre gli si chiede piuttosto una collaborazione attiva nell'interpretare il percorso altamente simbolico dell'azione. Va sottolineato, ad esempio, che il costume del "maggerino" (l'interprete del Maggio) è unico e non ha attinenza con la storia narrata. Generalmente nero e riccamente decorato, è composto di blusa con la "mantellina", calzoni, elmo (o corona per i re), stivaletti. Il maggerino porta la spada e lo scudo, su cui spesso è scritto il suo nome. I personaggi femminili portano abiti lunghi di diversi colori, talora con un manto. Al personaggio della donna guerriera spetta un costume simile a quello maschile e arricchito da una gonna cortissima di strisce colorate. Se il personaggio della donna guerriera è interpretato da un uomo, questo


indossa una lunga treccia adorna di nastri colorati. Solo eccezionalmente in alcune compagnie emiliane e più spesso in quelle toscane vengono usati costumi d'epoca. Dopo la processione iniziale gli attori si raggruppano inizialmente nelle mansions, segnalando visivamente la loro organizzazione interna in gruppi. Anche questo elemento, come altri appena citati, vale a richiamare precise continuità con le tecniche teatrali del dramma medievale (si veda il Prologo di una Résurrection francese del sec. XII-XIII). Il luogo simbolicamente rappresentato definisce, nel teatro medievale come nel Maggio contemporaneo, la collocazione dei singoli personaggi nella vicenda. Ma si tratta semplicemente di un luogo di appartenenza. L'azione infatti non viene svolta dentro le tende, ma al di fuori: gli attori "di scena" escono per recitare in prossimità della mansion e occupano, se necessario, anche l'intero spazio scenico. Questo, attraverso la loro presenza, assume il significato di estensione della dimora o viene ad evocare qualsiasi altro luogo appropriato all'azione rappresentata, grazie anche all'aiuto di qualche eventuale elemento scenico sussidiario (un telo bianco o azzurro steso sul terreno simboleggerà ad esempio il fiume o il mare da attraversare). La tecnica interpretativa, date queste premesse, è evidentemente basata sulla recitazione "a tutto campo" e non implica nessuna specifica prospettiva di osservazione dello spettacolo. L'attore non è obbligato a tener conto del pubblico e imposta la propria azione a 360 gradi, conservando una totale libertà di movimento. Ne fa ampio uso, fra l'altro, nel frequente passeggiare che inframmezza all'enunciazione del testo: raramente il maggerino assume una posizione per mantenerla nel corso della scena ed egli tende piuttosto ad avvalersi della possibilità di allontanarsi e riavvicinarsi all'interlocutore nel corso del dialogo, acquisendo alla sua recitazione una dinamica spaziale che lascia intuire un uso calcolato della prossemica. La postura del corpo è altrettanto caratteristica della sua tecnica interpretativa: il tronco è rigido, inarticolato; pare quasi essere costruito in un sol pezzo, destinato ad essere trasportato avanti e indietro per la scena e ad essere animato solo attraverso il movimento delle braccia. Con queste, e non con l'espressione del volto — tendenzialmente rigida e distaccata — il maggerino sviluppa tutta la sua arte di trasmettere il testo a livello cinesico, elaborando una sorta di linguaggio gestuale di cui si avvale per contrappuntare il messaggio sonoro con specifici segnali visivi. La comunicazione del testo appare dunque sdoppiata e l'enunciazione verbale viene spesso accompagnata da una puntuale illustrazione mimica della parola, realizzata con una tecnica che suggerisce più la volontà di tradurre il vocabolo nel gesto, esplicitandone il significato, che il desiderio di enfatizzarne il messaggio segnalandone i contenuti emotivi. Non è un caso, in questo senso, che fra i segni utilizzati dai maggerini emerga la categoria degli illustratori: basterà citare a livello esemplificativo il gesto con cui l'attore sfila velocemente per metà la spada dal fodero ogni volta che pronuncia le parole "cimento", "duello", "tenzone", "brando", ecc. (gesto ossessivamente presente per tutta la durata della rappresentazione); ma l'illustrazione sconfina ancor più nella didascalia nei rapidi movimenti con cui il maggerino tocca le varie parti del corpo implicate nelle parole che via via cita (un rapido cenno alla tempia accompagna i termini "sapere", "capire", "ideare", "udire", "intento", "dare ascolto" come "star sordo" e "scordare"; un movimento sulle labbra mima l'uscita della voce, in una sorta di fumetto, ai termini "dire", "parlare", "giurare", "chiedere", "chiamarsi", come "nome", "notizia" e "scherno"; toccare la fronte in mezzo agli occhi si associa a "lacrime", "pene", "dolore" e al verbo "sconvolgere" ecc.) o ne suggerisce visivamente il significato ("corona" e "regnare" vengono interpretati con un segno orizzontale sul capo, mentre la parola "consorte" viene tradotta accostando gli indici delle due mani). In breve, i maggerini realizzano una sorta di madrigalismo gestuale che mira alla chiarificazione visiva dei singoli vocaboli, come si può osservare nella rappresentazione del testo seguente.


Giasone Negli albor degli anni miei fui rapito dai corsari a quei volti tanto cari che baciare ancor vorrei Il fine di questa tecnica (usata principalmente dagli attori e non dalle attrici del Maggio) non è di suscitare un'illusione di verità nello spettatore, né di coinvolgerlo a livello emozionale. La comunicazione del testo non implica la partecipazione dell'attore: il suo straniamento, già così evidente nell'uso del corpo e del volto, è sottolineato dalla freddezza con cui egli illustra la parola con movimenti stereotipati, uniformandosi ad una specifica tecnica di recitazione tradizionale che tende alla negazione dell'enfasi con l'ostentazione del tono didascalico. La scelta antiillusionistica domina del resto tutta la rappresentazione del Maggio. Il combattimento, scena ricorrente nello spettacolo, è altamente stilizzato: esso alterna il momento del canto, eseguito mentre i contendenti si fronteggiano a pie' fermo vantando il proprio valore e prospettando una fine ignominiosa per l'avversario, con un movimento di avvicinamento che culmina nello scontro degli scudi e che termina con lo scambio delle posizioni iniziali degli attori. Più che di un combattimento, si tratta di una sorta di simbolica danza armata che talora, ad esempio nel Maggio rappresentato ad Asta di Villaminozzo, accentua particolarmente le proprie valenze coreutiche. Ma altre scene sono ancor più caratteristiche della volontà di rendere evidente la finzione: l'angioletto che "vola" verrà raffigurato talora da un bambino tenuto sollevato da terra, per tutta la durata del suo intervento, da due attori temporaneamente in funzione di servi di scena; il personaggio che avrà appena rappresentato la propria morte (se si tratta di suicidio, avrà conficcato la spada nel terreno a pochi centimetri dal proprio corpo per mimare il colpo inferto a se stesso) si solleverà da terra per uscire dalla scena senza alcuna preoccupazione di non farsi scorgere. Va aggiunto che nel Maggio non va preso in considerazione, ai fini della comprensione del dramma, alcun gesto degli attori eseguito al di fuori dei limiti dell'azione scenica o compiuto da persone che, pur agendo in scena, non partecipano alla finzione. In questo senso non appartengono alla rappresentazione le azioni compiute dal suggeritore (o dai suggeritori) che opera costantemente all'interno dello spazio scenico, ma che manifesta la propria estraneità all'azione rappresentata nel non portare il costume di maggerino. Il suggeritore, detto anche campionista (colui che regge il campione, ovvero il testo tradizionalmente manoscritto) o cerimoniere (titolo che evoca il maestro di cerimonie che agiva in scena con funzioni di suggeritore nel dramma medievale), è colui che regge le fila dello spettacolo, seguendo via via sulla scena i singoli attori per rammentare le battute. La convenzione secondo la quale lo spettatore ignora tutto ciò che avviene al di fuori dei limiti dell'azione rappresentata si estende però anche a questa figura, bandendola nonostante la sua onnipresenza da ciò che "si vede", grazie alla sua manifesta estraneità alla narrazione drammatica. Il suggeritore, che talora è lo stesso autore del testo, ha spesso un ruolo essenziale nella preparazione dello spettacolo, specie quando agisce anche come capomaggio e provvede quindi alla distribuzione delle parti, al coordinamento delle prove e alla "regia" concretamente effettuata in scena, con l'organizzazione degli


eventuali interventi del buffone. Quest'ultimo è l'unico dei personaggi del Maggio (ma non esiste in tutte le compagnie) che non ha generalmente una parte scritta e che improvvisa le sue battute (spesso, appunto, su sollecitazione del suggeritore), per animare un punto morto dell'azione drammatica o consentire agli attori un breve riposo inserendosi nella scena con estemporanei episodi comici, dove l'evocazione ironica della fame, del sesso e della paura vale a creare improvvisi squarci di realismo nel tono eroico del dramma. Gli aspetti illustrati fanno parte dei fondamenti dello spettacolo del Maggio e ne dimostrano la continuità, a livello delle tecniche di rappresentazione, con il teatro medievale e aspetti propri del teatro orientale. Ciò spiega anche l'effetto di singolare connessione con il teatro brechtiano che il Maggio produce sullo spettatore, alla luce del preciso riferimento del drammaturgo tedesco ai teatri tradizionali. Il gusto didascalico del Maggio, la recitazione straniata, la scelta antiillusionistica, sono tratti estremamente caratteristici della natura anticlassicistica e antiromantica di questo teatro popolare, che dimostrano la sua estraneità ai canoni del teatro aristocratico e borghese europeo.

La sceneggiatura Le fonti del Maggio sono eterogenee, anche se sostanzialmente fanno riferimento alla letteratura epica e romanzesca. Al di là della loro varietà, esse vengono rielaborate uniformandosi ad un unico modello di percorso drammatico, ad un unico modo di sceneggiare la vicenda e metterla in versi, ad un unico modo di metterla in musica, qualunque sia la materia narrativa di cui ci si avvale. Si può osservare come esempio il Maggio di Tristano e Isotta, una delle composizioni fondamentali del repertorio dei maggerini di Frassinoro, nel modenese (si veda la tavola sinottica). Il copione è anonimo, risale alla fine dell'Ottocento ed è basato su alcuni episodi della seconda parte del romanzo trecentesco La tavola ritonda. L'azione rivela una struttura a cornice del tutto caratteristica della forma del Maggio. La composizione drammatica si sviluppa fra i due limiti estremi del prologo — una serie di quartine di apertura che richiama talora il tema stagionale della rappresentazione e introduce il soggetto, anticipandone qualche volta lo svolgimento e la conclusione — e il coro finale — che segna il ritorno in scena di tutti i personaggi che hanno preso parte allo spettacolo e sanziona il raggiungimento del lieto fine (in questo caso la vendetta della morte di Tristano e la punizione di Re Marco). Il dramma sviluppato fra il prologo e l'epilogo mostra una struttura ciclica. Nella narrazione vengono presentate tre distinte avventure: la pazzia di Tristano originata dal presunto tradimento di Isotta e conclusa con il chiarimento della vicenda; l'esilio causato dalla gelosia di Re Marco, durante il quale Tristano incontra numerose vicende in cui manifesta il suo eroismo, concluso con il perdono e il rientro alla corte di Tintale; la morte di Tristano per mano di Re Marco e la vendetta di Re Artù e Lancillotto. L'azione dunque si segmenta in episodi dotati di una propria dinamica, sviluppati circolarmente nello spazio (vicino-lontanovicino), culminanti in un combattimento (anche durante la pazzia Tristano muove guerra ad orsi, tigri e leoni) e destinati a risolversi nel ritorno ad una provvisoria o definitiva staticità. L'andamento ciclico del dramma viene evidentemente dettato dalla ciclicità della materia epica cui esso si riferisce. Ciò che è interessante dal punto di vista della rappresentazione è che questa struttura implica una sistematica violazione delle unità aristoteliche che si può considerare connaturata alla forma del Maggio e che propone particolari problemi di realizzazione scenica in uno spettacolo, come questo, dotato di un assetto visivo statico. Non vi sono dunque intervalli o chiusure del sipario ad evidenziare la segmentazione dell'azione, né modificazione di scene e costumi che suggeriscano i mutamenti intervenuti nello spazio e nel tempo.


Il Maggio di Tristano e Isotta è un copione che si uniforma ad un'esigenza moderna di brevità (eliminando parte del testo ottocentesco, cfr. Fontana 1964: 117-150) e che risulta insufficiente a chiarire un ulteriore elemento caratteristico della scrittura tipica del Maggio: la molteplicità delle azioni. Il dramma chiama infatti in scena, normalmente, un numero elevato di personaggi (da dieci a venti, ma qualche volta perfino trenta) per impegnarli in una serie di avventure parallele destinate ad incrociarsi nel corso dello spettacolo per culminare in un decisivo scontro finale. Il percorso osservato nel Tristano e Isotta viene dunque frequentemente moltiplicato per un numero più ampio di personaggi, le cui azioni, sviluppate in luoghi separati, vengono giustapposte nel corso della narrazione, a puntualizzarne il sincronismo. Il prologo è seguito spesso da una serie di scene riferite a personaggi e a luoghi diversi, dove stanno maturando le varie situazioni destinate a evolversi nel corso del dramma. La pluralità dei luoghi sancisce l'estraneità delle vicende destinate ad incontrarsi durante lo svolgimento narrativo e, allo stesso tempo, determina i limiti dello "spazio" entro cui si svilupperanno le singole storie dei protagonisti ed esplicita la necessità del "viaggio". Un chiaro esempio di questo tipico esordio è l'inizio del Maggio Ventura del leone (scritto da Stefano Fioroni negli ultimi anni del sec. XIX) dove, in successione, si apre un'azione in Grecia (Riccardo salva il fratello Olinto dalla furia del suo maestro d'armi e viene esiliato dal re Silone, suo padre), una in Persia (il re Perseo annuncia alla figlia Selene che bandirà un torneo per scegliere il suo sposo), una in Siria (il re Polidoro affida il regno ad Egisto per recarsi al torneo). E' dunque attraverso il viaggio di Riccardo (che ha la sua prima avventura nella foresta durante il percorso) e di Polidoro che i rappresentanti dei tre reami si trovano temporaneamente riuniti alla corte di Persia per uno stesso evento, il torneo. Spesso il convergere delle diverse azioni in una situazione comune viene dilazionato fino alla conclusione del testo. Esemplare, in questo senso, l'Acherone di Giuseppe Cappelletti, Maggio "di fantasia" scritto nel 1922, che realizza una efficace sintesi di molteplicità e ciclicità dell'azione drammatica (Cappelletti 1981: 106-127). L'analisi dell'Acherone consente di mettere in evidenza molti aspetti tipici della sceneggiatura del Maggio e soprattutto mostra chiaramente che ciò che si intende rappresentare nel Maggio è essenzialmente il decorso della azione (o delle azioni) nei suoi momenti fondamentali: in questo senso il Maggio è teatro epico, non solo e non tanto nel senso prettamente latino di "teatro eroico", quanto piuttosto nel senso familiare ai paesi di lingua germanica di "teatro narrativo". Il momento affettivo, il sentimento, la riflessione, non hanno tradizionalmente che uno spazio ridottissimo in questo genere drammatico. I personaggi appaiono quasi privi di un mondo interno, vivono esclusivamente nel rapporto con la realtà esteriore, non esprimono nulla o quasi che non sia direttamente funzionale all'azione. Queste figure sono normalmente molto stilizzate e sono osservate nel loro modo di comportarsi, di agire la relazione con l'esterno, piuttosto che nella dimensione psicologica. Del resto, la stessa tecnica narrativa, con il continuo passaggio dall'una all'altra delle vicende rappresentate e il montaggio delle scene in una sorta di polittico drammatico, tende ad evitare nello spettatore l'insorgere di una attenzione e di una concentrazione emotiva "eccessiva" su uno solo dei personaggi e sulle sue avventure, per favorire piuttosto una partecipazione ispirata ad un interesse "agonistico" per i molteplici casi attraversati dagli eroi. Questo tipo di interesse risulta del resto ravvivato dalla natura degli episodi, che sono ossessivamente finalizzati alla realizzazione del combattimento, sia esso duello, torneo o battaglia: l'intreccio è costruito infatti, in modo ripetitivo, attraverso l'ideazione di avvenimenti che mirano sostanzialmente a provocare la lotta. A questo tendono le molte apparizioni di giganti, mostri, bestie feroci che sbarrano la strada agli eroi, l'uso delle arti magiche che ne ostacola la facile vittoria, e infine la permanente minaccia rappresentata da un gruppo rivale (emblematicamente rappresentato dai pagani in guerra con i protagonisti cristiani). Il


Maggio è dunque, in questo senso, uno spettacolo concentrato sullo spiegamento della forza, ostentata e agita attraverso la rappresentazione di avventure culminanti nel combattimento. Va aggiunto però a questo proposito che, se quella descritta è la struttura tradizionale e tipica del Maggio, a partire dagli anni Trenta sono stati scritti anche testi, come quelli di Stefano Fioroni, che hanno sostituito il Maggio "di forza" con un nuovo tipo di Maggio "elegiaco-sentimentale" (come lo definisce Romolo Fioroni), in cui la concentrazione dell'azione appare diluita, mentre si amplia la durata delle scene per il maggiore sviluppo di elementi psicologici e affettivi. A questa tendenza innovativa si è affiancata la pratica, del tutto tradizionale, di continuare a rielaborare copioni precedenti, ripercorrendo modelli di azione consueti pur adattando la narrazione alle istanze creative del nuovo autore e al gusto contemporaneo. Questo costante lavoro di rielaborazione chiarisce come il testo del Maggio non possieda il carattere di immutabilità proprio dell' "opera d'arte" e condivida piuttosto, almeno in parte, la natura dinamica delle espressioni della tradizione orale. Sono molte a questo proposito le testimonianze degli autori, che della rielaborazione dei Maggi arcaici hanno fatto spesso uno strumento di apprendimento delle tecniche compositive tradizionali e insieme di verifica delle nuove tendenze interpretative. A questo proposito è percepibile talora la volontà di indirizzarsi verso uno spettacolo più agile, che rinuncia in parte alla complessità dell'intreccio sfruttando le opportunità offerte dalla struttura episodica del testo.

Il Maggio come rito Il Maggio è stato tradizionalmente considerato un rito di rinnovamento stagionale che, similmente ad altre analoghe cerimonie, presenta come centrale il motivo agonistico: "i Maggi drammatici rappresentano la forma che il motivo della lotta, elemento essenziale dei riti propiziatori delle feste d'inizio d'un ciclo, ha assunto sviluppandosi via via, e adeguandosi all'ambiente, inteso in senso lato, a cui i Maggi appartengono" (Toschi 1976: 524). La struttura del Maggio è quella del rito in cui l'eroe (o più eroi), personificazione dei valori positivi dell'estate incipiente e dell'abbondanza della natura, combatte con i suoi alleati e con l'aiuto di aiutanti simbolici (l'angelo, l'eremita) i rappresentanti dello sterile inverno (il pagano, il malvagio intrigante, il gigante, il diavolo, le forze magiche negative) per conquistare una inevitabile vittoria, che è insieme la vittoria del bene sul male, della vita sulla morte, dell'estate sull'inverno. Pur affermando che i Maggi drammatici così come noi li conosciamo - rappresentano un'evoluzione tutto sommato recente del motivo agonistico proprio dei riti primaverili, Toschi ritiene che questo motivo costituisca comunque il nucleo fondamentale di questa forma rituale-drammatica: "E' nella gara che si sprigionano in tutta la loro intensità le forse fisiche e spirituali: è nella lotta suprema che si rivelano al massimo le virtù, quelle che caratterizzano gli eroi, i campioni, i duci, i re" (Toschi 1976: 442). Nonostante queste presenze non si può comunque affermare che il valore cerimoniale costituisca oggi il fulcro dello spettacolo. Per il pubblico dei "passionisti" il Maggio è, più che rito, innanzitutto teatro e soprattutto teatro in musica. Valori rituali di carattere stagionale sono comunque riconoscibili nei seguenti elementi della rappresentazione: - l'ambiente in cui si svolge la rappresentazione (una radura entro un bosco) e l'albero come presenza irrinunciabile nell'arredo scenico;


- la scelta di uno spazio scenico circolare (senza opposizione frontale fra attori e pubblico), che ricollega il Maggio ad altre forme di espressione rituale. - la processione iniziale dei maggerini (cantanti-attori, suonatori, suggeritori e portabandiera) accompagnata dalla marcia eseguita da un gruppo strumentale (violino, chitarra, fisarmonica e tamburo) che ricollega questa forma di spettacolo ad altre forme di riti primaverili; - la presenza del Paggio, un personaggio che, nei maggi del passato recando un ramoscello o fiori inneggiava al ritorno della buona stagione; oggi il suo ruolo, spesso privato di qualsiasi riferimento alla stagione, consiste nel cantare il Prologo; - l'antica tradizione della questua, i cui ricavati un tempo erano dedicati alla celebrazione di messe per la salvezza delle anime purganti.

Il Maggio come rappresentazione musicale L'azione del Maggio è interamente cantata e punteggiata da interventi strumentali: la rappresentazione implica dunque la disponibilità di musiche su cui eseguire il testo, interpreti dotati dal punto di vista vocale (una voce potente e la capacità di modularla in accordo con lo stile tradizionale di canto sono le caratteristiche più apprezzate dal pubblico dei paesi dell'Appennino, che dimostra una profonda capacità critica nei confronti della prestazione sonora) e infine la partecipazione di alcuni suonatori (che, come spesso avviene nel mondo popolare, hanno rispetto agli attori una maggiore qualificazione professionale). La musica riveste nel Maggio un ruolo tradizionalmente trascurato dagli studiosi e che appare al contrario direttamente in rapporto con l'effetto antiillusionistico e con lo straniamento perseguiti in questo tipo di spettacolo. La parola cantata in un contesto drammatico è per definizione "fuori del naturale", come notava Saint-Evremond nel tardo Seicento con riferimento al melodramma (Bianconi 1986: 11). Questo aspetto viene rinforzato nel Maggio dal manifesto distacco dell'espressione musicale rispetto alla situazione narrata: la musica esibisce la propria artificiosità, presentandosi come puro strumento della tecnica rappresentativa e caratterizzandosi per la spiccata intenzione antinaturalistica. L'esecuzione del Maggio è infatti basata in larghissima misura su un unico modulo melodico con cui si enunciano volta a volta parole di amore e di odio, si canta l'azione di guerra e l'agnizione, ci si esprime nel momento della sconfitta e della vittoria. L'espressione musicale del Maggio è quindi in gran parte uniforme, né si ricercano accenti drammatici o madrigalismi che valgano a riallacciare i legami con la parola o con la situazione rappresentata. Questo canto straniato, che nega il rapporto con il testo che veicola e con la favola che narra, non tende a sottolineare il senso della scena o ad amplificare la comunicazione del copione, arricchendola di significati affidati al messaggio sonoro. Esso si propone piuttosto come mero strumento di tale comunicazione, attrezzo per la performance teatrale che concorre a sottolineare la finzione della rappresentazione. Analogo al costume immutabile del maggerino, alla cinesica stereotipata della recitazione, al linguaggio altisonante e quanto mai avulso dal quotidiano cui si unisce, il gesto musicale si propone come elemento di una tecnica rappresentativa che rifiuta l'identificazione dell'attore nel personaggio e la ricerca dell'illusione e che puntualizza in ogni elemento la distanza fra l'azione narrata e la sua interpretazione scenica e musicale. In altri termini, il canto sembra essere il mezzo per eccellenza per realizzare una recitazione straniata, per porre uno iato fra l'interprete e il testo che egli trasmette: la parola passa attraverso il filtro di schemi di intonazione predeterminati e ripetitivi che agiscono come la maschera nei confronti del volto, neutralizzando la varietà dell'espressione, dei toni e degli accenti, e imponendo un modello di comunicazione sonora tendenzialmente uniforme.


L'esecuzione musicale del dramma ne determina ulteriori aspetti di rilievo. Lo scorrere uniforme dell'azione, la "monotonia" della recitazione, sono provocati dall'implacabile ripetitività melodica e agogica del veicolo sonoro, che sancisce il "tempo" della parola — un tempo che è comunque dilatato e che sottolinea l'assenza di verosimiglianza nella comunicazione. La musica esplicita inoltre l'inserimento nella narrazione di rari momenti lirici (in forma di ottava sonetto o, più raramente, sestina), codificando a livello melodico la varietà dell'espressione poetica. Ma una sola, anche in questo caso, è l'intonazione prevista per l'esecuzione dei testi in forma di ottava e sonetto: le melodie impiegate mirano semplicemente ad indicare il passaggio ad un diverso registro poetico e drammatico, senza instaurare per questo legami semantici con il testo. Va aggiunto inoltre che il ruolo della musica nella determinazione della forma rappresentativa del Maggio è dato a priori ed è già noto all'autore del testo drammatico: la tradizione orale fornisce infatti tutti gli elementi melodici per la realizzazione musicale dell'opera e al poeta resta solo il compito di curarne la distribuzione attraverso la variazione del metro. In questo senso, il dato sonoro appartiene alla struttura dello spettacolo: è elemento non solo irrinunciabile ma anche immutabile nelle singole tradizioni rappresentative. Ciò che in definitiva può cambiare, in questo spettacolo solidamente ancorato ad un unico assetto visivo, ad un'unica gestualità, ad un'unica interpretazione sonora, è solo la fabula narrata e la sua realizzazione poetica.

La musica del Maggio Fra gli elementi che determinano l'identità del Maggio nel panorama delle forme drammatiche della tradizione popolare italiana, la musica riveste un ruolo di primo piano. Il copione viene infatti interamente cantato, utilizzando moduli melodici di tradizione orale. Le melodie proprie del Maggio stabiliscono il ritmo e l'intonazione della parola. I tempi dell'azione scenica sono determinati dai tempi dell'azione sonora. In questo senso la musica va ad incidere profondamente sul processo di comunicazione e ne evidenzia in maniera immediata il carattere artificioso e antinaturalistico. Inoltre, nel Maggio la musica appare come una costante dello spettacolo, mentre il testo drammatico che si presta all'innovazione. Questo è un dato di estremo rilievo, che chiarisce come l'identità del Maggio e la sua efficacia comunicativa dipendano dall'adozione di particolari mezzi sonori, che sono propri non della singola rappresentazione ma dell'intera tradizione teatrale. Mentre il copione viene redatto per mezzo della scrittura, ha un autore, una data, una storia, la musica - di cui si vuole non la novità ma la continuità rispetto alla prassi esecutiva tradizionale - viene ricreata solo con lo strumento della memoria ed è prodotto comunitario per eccellenza, frutto ugualmente del presente e del passato. Va da sé che l'autore del testo drammatico ha un ruolo ben preciso nel determinare la veste musicale del Maggio: egli conosce a priori i mezzi sonori riservati all'esecuzione e ne fissa direttamente la distribuzione nello spettacolo attraverso la variazione delle forme poetiche, tradizionalmente associate a particolari veicoli melodici. Oltre che poeta, l'autore appare anche quindi responsabile della drammaturgia musicale, poiché la condiziona attraverso la elaborazione testuale della narrazione. Ma il suo ruolo, comunque non trascurabile, è limitato dalla tradizione musicale del Maggio, poiché da questa vengono desunti gli strumenti per l'intonazione dei versi e per le restanti azioni sonore che prendono vita nel momento della rappresentazione. Nella realizzazione musicale del Maggio si rileva l'impiego di una tipologia limitata di unità musicali: le forme principali sono il modulo melodico destinato all'esecuzione della quartina, l'ottava (o sestina), il sonetto, il ritornello strumentale, la marcia d'apertura, il coro finale. Questi elementi costituiscono "numeri" musicali in sé conclusi e dotati di una riconoscibile identità, che corrispondono alle strofe


numerate del copione o le integrano con episodi sonori non esplicitati nel testo. Essi vengono "montati"' a formare un organismo che resta fortemente frammentato a livello sonoro, pur risultando unificato dalla funzione drammatica. Due di questi "numeri" compaiono una sola volta nel corso del Maggio, in situazioni ben precise. La marcia accompagna la processione dei maggerini e segna l'apertura dello spettacolo. Viene eseguita dai suonatori che aprono il corteo, normalmente un violino accompagnato da fisarmonica, chitarra e (ad Asta di Villaminozzo) tamburo. Simmetrico rispetto alla marcia d'apertura è il coro conclusivo del Maggio, cantato dall'insieme degli interpreti che hanno preso parte alla recita. Le modalità dell'esecuzione sono tali da conferire a questo "numero" carattere di eccezionalità: gli attori si chiudono in cerchio per intonare insieme il sonetto finale escludendo visibilmente il pubblico dall'azione sonora, quasi si trattasse di un momento di comunione specificamente destinato al gruppo che ha rappresentato il Maggio. Appaiono insolite in questo episodio sia l’esecuzione corale che la presenza, a livello musicale, di un'omofonia arricchita da momenti accordali, che porta nel dramma musicale una traccia della tradizione polivocale emiliana in contrasto con il caratteristico stile monodico del Maggio. All'eccezionalità della condotta musicale, non a caso confinata in un "numero" a sé stante che segue la conclusione dell'azione, si accompagna l'estraneità del testo del sonetto nei confronti della narrazione: nei versi conclusivi si enuncia la morale e si invita il pubblico a dimenticare i lutti e a gioire ancora: Non più si stringe al seno dei morti la vendetta. Lieto ciascun si metta che troppo fu il penar. Il sopportato duolo dimenticar vogliamo pace fra noi godiamo finché viver si può Vogliamo ringraziare tutti i partecipanti che lieti i nostri canti accolsero e ascoltar (Tristano e Isotta, 218) La rappresentazione che si sviluppa fra la marcia d'apertura e il coro finale viene affidata al canto monodico non accompagnato, interrotto da brevi episodi strumentali. Al termine della processione, infatti, i suonatori si siedono ai bordi dello spazio scenico e si limitano ad intervenire con elementari accenni melodici, con cui "danno la nota" agli interpreti — primo fra tutti il Paggio, cui è affidato il prologo —, e con brevi spunti di


valzer, polca e mazurca (si veda l'esempio seguente) in funzione di ritornelli, che spezzano il susseguirsi di "numeri" vocali. I frammenti di "liscio", entrati ormai stabilmente nella tradizione del Maggio, costituiscono un repertorio da cui il suonatore può attingere gli elementi idonei a commentare le singole scene (una melodia "sensibile" si usa nelle scene di morte; durante i combattimenti si impiega un brano "allegro, sfidante"). L'interprete può introdurre eventualmente qualche nuovo elemento musicale, desumendolo dalla pratica ancora viva del "liscio", ma complessivamente il repertorio utilizzato oggi è lo stesso impiegato ai tempi delle prime documentazioni sonore del Maggio negli anni Sessanta. Normalmente il ritornello non viene menzionato nel copione ed è un elemento introdotto estemporaneamente nella rappresentazione, in accordo con una tradizione perfettamente nota ai suonatori del Maggio. Il suo impiego non appare però in alcun modo aleatorio ed è anzi possibile riconoscere al ritornello una funzione specifica nell'interpretazione del testo drammatico. Spesso è possibile osservare che gli interventi strumentali evidenziano la frattura del testo in episodi che si possono definire scene, intese come unità dell'azione drammatica caratterizzate dalla compiutezza del dialogo, dalla presenza di un numero di personaggi coinvolti in un'azione comune e dalla scelta di un luogo determinato. L'articolazione della rappresentazione in scene non è desumibile dal copione, che normalmente presenta l'intero testo in una sequenza ininterrotta, alternando subitaneamente i luoghi e il contenuto dell'azione. Essa viene però concretamente suggerita nella pratica della rappresentazione attraverso l'interruzione del flusso della recitazione con l'inserimento delle brevi frasi strumentali. Le scene definite dai ritornelli sono, dal punto di vista musicale, sequenze di ampiezza estremamente variabile di "numeri" vocali non accompagnati: dalla semplice quartina di ottonari, interpretata da uno o più personaggi in successione, fino ad una consistente serie di campetti con ottave e/o sonetti, che sviluppano con maggiore respiro l'azione drammatica. L'elemento minimo della scena, la quartina di ottonari o campetto, viene interpretato su uno schema di intonazione articolato in quattro segmenti melodici coincidenti con i versi ottonari, ampiamente soggetti all'elaborazione creativa dei singoli esecutori, sia per quanto attiene alla precisa definizione del profilo e della sua decorazione che per gli aspetti metrici. Ognuno dei quattro segmenti melodici si conclude con una cadenza e si divide in due sezioni melodiche discendenti normalmente separate da una pausa, spezzando il verso in emistichi asimmetrici. L'articolazione del modulo melodico consente un uso molto elastico della quartina dal punto di vista drammaturgico. Se è del tutto frequente la prassi di affidare ad un singolo personaggio interventi di uno o più campetti, e cioè uno o più interi "numeri" musicali (nel repertorio sono frequenti monologhi protratti per un'ampia serie di strofe), è altrettanto corrente l'uso di dividere la quartina fra due o più personaggi, alternando generalmente gli esecutori in corrispondenza delle cadenze melodiche che concludono i segmenti. In questi casi spesso si affida a ciascuno dei due interpreti una coppia di versi, interrompendo il modulo sulla cadenza del secondo segmento. Si hanno anche esempi di divisioni asimmetriche della quartina, che sfruttano le cadenze melodiche del primo o del terzo segmento. Nelle scene di maggiore concitazione drammatica un singolo personaggio può interpretare anche solo un verso o perfino un singolo emistichio del campetto. L'articolazione del modulo, che ne rende possibile la scomposizione in elementi melodici affidabili ad interpreti diversi, consente dunque un uso molto elastico del campetto, che infrange l'apparente unità del "numero" poetico-musicale e consente la varietà del dialogo drammatico. Dal punto di vista stilistico l'intonazione della quartina propone una dilatazione sonora del testo non


sottoposta a rigidi vincoli ritmici e finalizzato manifestamente alla enunciazione della parola. Va notato, comunque, che il gesto sonoro assume anche un valore intrinseco, e può essere utilizzato per comunicare ad esempio la potenza vocale dell'interprete (generalmente da parte di un guerriero) oppure la sua abilità nella manipolazione espressiva del modulo (si veda l'esecuzione femminile proposta nell'esempio video, caratterizzata dall'uso efficace della mobilità modale). In sintesi, non vi è dunque dipendenza della musica dalla poesia, ma piuttosto un rapporto di interdipendenza fra gli elementi sonori e testuali del canto, cosciente delle necessità della comunicazione verbale — e destinato quindi a produrre risultati impeccabili sotto l'aspetto della recitazione — come di quelle della comunicazione musicale. Sotto il profilo drammaturgico, il canto della quartina corrisponde all'azione scorrevole, al fluire degli avvenimenti secondo un ritmo costante che vuole suggerire una coincidenza, almeno simbolica, fra tempo della rappresentazione e tempo rappresentato. Il vasto impiego nel Maggio di questa forma poeticomusicale è indubbiamente in rapporto con la densità narrativa dello spettacolo e con la prassi di rappresentare gli avvenimenti in modo essenziale e conciso, senza digressioni. Partenze, incontri, promesse d'amore e abbandoni, combattimenti e tradimenti vengono cantati in successione in brevi scene costituite per lo più da sequenze più o meno ampie di quartine, senza soffermarsi né a livello poetico né a livello musicale sui particolari o sui risvolti emotivi della vicenda. In alcuni momenti l'autore concede comunque una pausa al costante progredire dell'azione e si sofferma sullo sfogo lirico del personaggio. Sostituisce in questo caso la consueta quartina di ottonari con l'ottava di endecasillabi (nella forma abababcc), che segna il passaggio dall'azione scorrevole all'azione frenata. Questo numero, di maggiore ampiezza e di maggior peso esecutivo, non viene usato con frequenza (eccezionalmente può anche mancare del tutto nel Maggio) ed e riservato generalmente a situazioni codificate: sono soprattutto la morte incombente (reale o supposta) e la prigionia che ispirano ai protagonisti riflessioni espresse in ottave. L'ottava possiede una precisa collocazione sul piano drammaturgico ed ha la funzione di consentire l'espansione emotiva in quei momenti culminanti dell'azione in cui il codice del Maggio consente di lasciare spazio all'espressione dei sentimenti. Come la quartina, l'ottava possiede un'unica intonazione musicale, che appare del tutto indipendente dall'articolazione solistica o dialogica del brano e dalla specifica situazione drammatica in cui si presenta. Questa melodia diventa la forma dell'espressione emozionale tout court e segnala senza ambiguità il passaggio dal tono narrativo al lirismo e quindi l'arresto dell'azione scorrevole del Maggio in un momento di raccoglimento interiore. La sua contrapposizione al modulo della quartina è evidente: l'arcata più ampia che si estende su un'ottava, l'ambito piagale, il modo minore, la presenza del moto ascendente, la più precisa definizione metrica, la forma basata sul distico, sono tutti elementi che concorrono a definire l'identità musicale di questo organismo melodico, segnalandone inoltre la tendenza ad acquisire la natura di "aria" più che quella di strumento flessibile della recitazione. È significativo in questo senso che il canto dell'ottava, a differenza di quello dei campetti, si riproponga con una marcata stabilità nelle diverse interpretazioni, dando luogo a microvariazioni che non ne alterano il profilo in modo sostanziale. La quartina e l'ottava incorporano i due regimi espressivi fondamentali del Maggio e spesso ne esauriscono la varietà formale. In altri casi a questi strumenti minimi del linguaggio poetico e musicale si aggiunge il sonetto ("arietta" in Toscana), una quartina di settenari dotata di proprie melodie. L'esempio riportato di seguito è caratterizzato dall'estensione sull'ottava, dall'ambito plagale, dalla presenza del moto ascendente, dalla forma basata sul distico e dall'adozione dell'impianto maggiore con tracce di mobilità modale e un uso marcato di processi di ornamentazione.


Riservato senza eccezioni al brano corale che conclude lo spettacolo, il sonetto può essere utilizzato anche nel corso del dramma sia per sostituire l'ottava sia con la specifica funzione di "aria minore", anche in forma di duetto , per sottolineare cioè il rilievo drammatico di alcune situazioni senza innalzarle al rango di momenti culminanti della rappresentazione.

L' Autore L'autore del copione è di norma un membro della comunità che rappresenta il Maggio, il cui ruolo nei villaggi dell'Appennino non si limita alla elaborazione di testi drammatici ma è piuttosto quello di poeta tout court, cui si devono anche composizioni estemporanee destinate ad esempio ai brindisi e alle nozze (cfr. Vezzani 1992). Nonostante la sua appartenenza alla comunità contadina, l'autore non appare come una figura vissuta esclusivamente all'interno della cultura tradizionale, priva di contatti con il mondo urbano. In molti casi, in questo secolo, la sua attività di poeta e drammaturgo è iniziata al contrario durante un periodo di forzato allontanamento dal paese (per emigrazione o servizio militare), nel tentativo di recuperare un'identità culturale minacciata dall'isolamento. All'interno del paese l'autore di Maggi si presenta, qualunque sia la sua attività economica (pastore, contadino o merciaia ambulante — è il caso di Luigia Correggi, l'unica donna ricordata come autrice —), come una persona dotata di un prestigio e di un bagaglio culturale superiore alla norma: si è servito della scrittura anche in epoche in cui l'analfabetismo era dominante, conosce approfonditamente un numero (anche minimo) di opere letterarie, è padrone di una tecnica di versificazione che gli consente di comporre opere di molte centinaia di strofe. La sua competenza in fatto di drammaturgia del Maggio è determinante per il suo ruolo di autore, poiché la stesura della narrazione è condizionata da specifiche tecniche rappresentative e deve tener conto dei mezzi tradizionali di realizzazione dello spettacolo. In sintesi, l'autore di Maggi è colui che è in grado di tradurre una vicenda, tratta dalle fonti più disparate, in un testo poetico organizzato fondato sull'utilizzazione di alcune forme poetiche fondamentali (la quartina di ottonari a rima incrociata — campetto —, l'ottava di endecasillabi, il sonetto, ed altre usate con minore frequenza). Ma egli è anche colui che regola il ritmo drammatico della rappresentazione, distribuendo gli episodi delle diverse azioni in scene "montate" secondo il particolare stile del Maggio. L'autore del copione è anche il responsabile della realizzazione musicale del testo, poiché conosce a priori i mezzi della realizzazione sonora del Maggio e ne determina la distribuzione nello spettacolo attraverso le scelte metriche. Egli si assume frequentemente anche il compito di coordinare l'allestimento, specie quando riveste le funzioni di capomaggio e suggeritore, curando la ripartizione dei ruoli nella compagnia e le linee fondamentali della regia e della disposizione scenica. Può talora partecipare alla rappresentazione infine anche come attore. Il suo ruolo è dunque per molti aspetti di grande rilievo per la creazione e la trasmissione del Maggio. Va sottolineato che la funzione dell'autore di Maggi va considerata secondo una prospettiva particolare, al di là degli schemi abituali nello studio della letteratura teatrale. Il ruolo dell'autore in questo mondo culturale non è quello di produrre un'opera d'arte, qualcosa che per la sua spiccata individualità e per l'intrinseca qualità aspiri ad una permanenza nel tempo destinata a testimoniarne il valore letterario. Il suo compito è piuttosto quello di rendere disponibile un materiale la cui prima funzione è di consentire la realizzazione del Maggio, inteso come manifestazione culminante della cultura della comunità: è il valore che la comunità riconosce allo spettacolo che dà senso al lavoro del "poeta".


In questa prospettiva l'autore si colloca all'interno di quello che si può definire "gruppo di lavoro" del Maggio (cfr. Magrini 1992: 32-33), cioè di quell'insieme di figure—gli attori, i suonatori, il suggeritore, il capomaggio, gli addetti alla preparazione degli elementi scenici e dei costumi—che concretamente collabora all'elaborazione e alla messa in scena dello spettacolo. Ha dunque, come questi, un ruolo strumentale rispetto al soddisfacimento di un'esigenza che non parte da questa ristretta comunità, ma che ha il suo punto di riferimento in quel gruppo allargato di produttori e fruitori che riconosce nel Maggio uno strumento idoneo all'affermazione della propria identità culturale e al soddisfacimento di proprie interne necessità. Questo gruppo allargato, che si può definire "gruppo di base" del Maggio, esprime dunque il "gruppo di lavoro" e lo delega a realizzare un evento che risponde ad una esigenza collettiva e che è destinato a prendere forma come espressione di una cultura comune. In questo senso esso esercita anche una forte azione di controllo sull'operato del "gruppo di lavoro" e ne è prova l'esito scoraggiante riservato ai tentativi di alcuni autori di crearsi uno spazio maggiore andando ad intaccare i modi espressivi tradizionali del Maggio (cfr. Vezzani 1992: 385-388). Questo spettacolo non è infatti comparabile in alcun modo con una manifestazione teatrale di giro, dotata di una propria autonomia e priva di legami con l'ambiente in cui viene rappresentata. Il Maggio, al contrario, è innanzi tutto espressione interna di un gruppo e riveste per questo un significato che è strettamente connesso alla forma e ai contenuti della rappresentazione, per quanto essi possano apparire in superficie lontani dalla realtà contemporanea.

I costumi del Maggio

di Natascia Zambonini

I costumi rappresentano una delle componenti essenziali dello spettacolo del Maggio: essi costituiscono infatti uno degli elementi simbolici più evidenti e facilmente decodificabili per attori e pubblico, all’interno di uno spettacolo dove la componente simbolica è di estrema importanza. L'abito indossato durante le rappresentazioni, corredato dalle armi (elmo, scudo e spada), viene colloquialmente chiamato "vestito da Maggio" ed è l'elemento attraverso il quale vengono distinti e riconosciuti i maggerini da tutti coloro che a vario titolo collaborano alla realizzazione e all'allestimento dello spettacolo e soprattutto dal pubblico. Ogni compagnia maggistica dell'area emiliana ha via via adottato un proprio stile nella scelta dei costumi, così come nella scelta dei testi, delle musiche, degli strumenti di accompagnamento, del modo di cantare, della scenografia. In altri termini, la scelta dei costumi è un elemento che identifica la singola compagnia e in questo modo ci dà sin dall'inizio un'indicazione sullo spettacolo che verrà rappresentato. Inoltre, l'osservazione dei costumi e degli accessori che li corredano ci permette di individuare la dinamica fra tradizione e innovazione che si è realizzata nelle singole compagnie. I "vestiti da Maggio" vengono ancora oggi confezionati a mano come nel passato. Oggi però i costumi, pur rispettando le regole dettate dalla tradizione (ad es. il colore, il taglio e le armi), presentano elementi nuovi non solo nei materiali utilizzati per la confezione e per il decoro (si è passati infatti da elementi di recupero --come vecchi indumenti, pizzi, nastri e vetri colorati -- a stoffe, guarnizioni e ricami appositamente scelti e acquistati) ma soprattutto nell'attenzione rivolta ai particolari. I disegni e gli stemmi non sono casuali ma vengono scelti recuperando le immagini utilizzate nei costumi del passato, rielaborate secondo il gusto degli attori di oggi. La personalizzazione dei costumi consente una partecipazione individuale alla creazione e all'arricchimento degli elementi simbolici visivi e di conseguenza del codice simbolico dello spettacolo. Questo aspetto è ancor più rafforzato se teniamo conto del fatto che i costumi non vengono cambiati da uno spettacolo all'altro ma rimangono gli stessi per anni e contribuiscono così a rafforzare a livello visivo l’identità della compagnia e dei singoli maggerini.


Il Maggio nel Novecento L'area emiliana di diffusione del Maggio consta di un ventina di piccoli paesi nell'alto Appennino modenese e reggiano, ai confini con la Toscana, un territorio povero, privo di risorse, da cui si è sviluppato, a partire soprattutto dagli anni 1950, un intenso flusso migratorio verso le città della pianura. Comparando i dati dei censimenti del 1951 e del 1981 si rileva che la popolazione di questi villaggi è diminuita in trent'anni del 50% e oltre. La storia del Maggio, massima espressione culturale degli abitanti di questa piccola zona montana, esprime in modo significativo le dinamiche che hanno preso vita in questo territorio. La documentazione relativa alle rappresentazioni effettuate negli ultimi decenni dell'Ottocento, a partire dall'epoca dell'unificazione italiana, e nei primi anni del Novecento è scarsa (il numero di spettacoli per anno è inferiore alla decina) e non dà certamente la misura reale del fenomeno, ma ne attesta la presenza a Frassinoro, Gova, Marmoreto, Monteragno, Morsiano, Novellano, Villa Minozzo. A partire dagli anni 1920 il numero di spettacoli documentati aumenta stabilmente, pur oscillando e presentando picchi presumibilmente riferibili a particolari circostanze (cfr. Fioroni 1992). La seconda guerra mondiale provoca in pratica la sospensione di ogni attività, mentre l'immediato dopoguerra vede una ripresa eccezionale del Maggio in tutto il territorio (50 rappresentazioni nel 1946, 46 nel 1947, 59 nel 1948): questi anni rappresentano l'apice della storia recente di questo spettacolo, immediatamente seguito da un drastico declino negli anni 1950 (meno di dieci rappresentazioni per anno). Negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta si assiste ad una moderata ripresa dell'attività, ma è a partire dalla metà degli anni Settanta e per tutti gli anni Ottanta che il Maggio recupera vistosamente terreno. La storia del Maggio nel Novecento, considerata globalmente, consente di percepire le dinamiche che investono questa forma di spettacolo e il particolare rilievo che assumono alcuni eventi nella vità di queste comunità, che reagiscono con maggiore o minore attività culturale alle vicende belliche che coinvolgono la nazione. Il primo picco di rappresentazioni nel ventesimo secolo si ha in coincidenza con l'anno della conquista italiana della Cirenaica e della Tripolitania, strappate al dominio turco (1911): la vittoria sugli infedeli che segna la conclusione rituale del Maggio trova un riscontro nell'esito felice dell'impresa coloniale italiana; rappresentazione epica e realtà storica sembrano così incontrarsi nel rito appenninico. La celebrazione del Maggio manifesta anche in seguito una dipendenza dagli episodi bellici che coivolgono l'Italia: se durante le due guerre mondiali il Maggio tace, perché gli uomini che ne sono gli interpreti quasi esclusivi sono impegnati in lotte molto meno simboliche, il loro ritorno è occasione per celebrare insieme la vittoria e la riunificazione della comunità con un elevato numero di rappresentazioni che si svolgono in quasi tutti i paesi dell'area. La fine della prima guerra mondiale e il ritorno dei reduci vengono celebrati triplicando il numero delle rappresentazioni. E' soprattutto nell'immediato secondo dopoguerra che si assiste ad una vera e propria esplosione del Maggio in questi luoghi che sono stati attivi centri della Resistenza contro il nazi-fascismo e di uno dei suoi più rilevanti episodi in Emilia: è qui che la divisione partigiana "Modena" costituì nel 1944 la Repubblica di Montefiorino, un'area di circa cento chilometri quadrati che operò come base avanzata degli Alleati a ridosso della linea gotica e dove nell'agosto dello stesso anno si svolse un aspro scontro fra forze partigiane e nazifascisti. Nel periodo successivo alle guerre il rinnovarsi del rito comunitario del Maggio assume un significato molto profondo, poiché ciò che viene messo in scena consente di rivivere e rielaborare a livello simbolico un'esperienza di lotta particolarmente aspra e recente, che ha segnato in modo indelebile l'esistenza di queste popolazioni appenniniche.


La felice stagione del Maggio che ha luogo nei tardi anni quaranta si esaurisce però ben presto, di fronte al prevalere di nuovi eventi e trasformazioni che investono la montagna. I fenomeni migratori degli anni Cinquanta svuotano i paesi dell'Appennino e incidono pesantemente sulla possibilità e la volontà di realizzare ancora la festa rituale dell'inizio dell'estate. A questa difficoltà obiettiva si aggiunge l'incidenza della "modernizzazione" o "acculturazione" che si manifesta in Italia proprio in questi anni. In pratica, in questo periodo di profonda trasformazione economica e sociale, basata sulla progressiva industrializzazione e la parallela deruralizzazione del paese, si assiste ad una diffusa defunzionalizzazione dei riti contadini e contemporaneamente si verifica inoltre in molti casi un allontanamento ben più ampio dalle espressioni culturali di carattere locale, dal dialetto alla musica, sulla spinta dei modelli proposti dai mezzi di comunicazione di massa. L'azione volutamente didattica della radio e della televisione, che nasce in questi anni, è determinante per la diffusione della lingua italiana e di modelli culturali di matrice urbana che rendono obsolete e marginali le espressioni del mondo contadino, percepite come simbolo di arretratezza, di ignoranza, e, in sintesi, dell'incapacità di avanzare trionfalmente nel cammino dello sviluppo e della modernità. Il contraccolpo che subisce la cultura contadina è fortissimo e non a caso in questi anni declinano definitivamente, in particolare nei territori più industrializzati del nord, molte fra le pratiche musicali principali della cultura orale (il canto femminile delle ballate, l'esecuzione dei balli di matrice contadina e i connessi repertori e prassi strumentali, cfr. Magrini in c.d.s.). Anche il Maggio avverte pesantemente il fenomeno: nel 1959, ad esempio, si ha un unico spettacolo di Maggio, Fermino o i misteri del monte Orziero, che viene rappresentato nel paese di Gova. Ma presto la montagna reagisce: nel 1962 si ricostituisce, dopo un primo esperimento fallito, la "Società del Maggio costabonese", una vera e propria compagnia che comincia a portare i suoi spettacoli anche fuori dal paese ed ottiene in questo modo piccoli finanziamenti a livello locale (per gli spostamenti, la pubblicazione dei copioni, ecc.). Sull'esempio di Costabona, che ha svolto un'attività fino ad oggi ininterrotta, si costituiscono negli anni '70 le compagnie di Asta di Villaminozzo e di Novellano e più tardi quelle di Frassinoro e Romanoro. Prende così forma un movimento interno di rivitalizzazione del Maggio che si intensifica a partire dalla metà degli anni Settanta, e culmina all'inizio degli anni Ottanta nell'organizzazione della "Rassegna del Maggio", un festival che da allora si ripete annualmente e che garantisce alle compagnie quel minimo di finanziamenti necessari al proseguimento della loro attività. Va da sé che la trasformazione del Maggio da rito comunitario a spettacolo esportabile, seppure in un'area limitata, comporta molteplici cambiamenti nella forma e nel significato di questa rappresentazione. Per comprendere questa trasformazione bisogna soffermarsi su ciò che viene concretamente rappresentato nel Maggio, e cioè la nascita e l'affermazione di un legame di gruppo che si manifesta nell'alleanza degli eroi che lottano contro l' "altro", il "diverso", lo "straniero", e che culmina nella distruzione fantastica dell'avversario. Non è difficile arguirne che ciò che la comunità proietta in questo percorso narrativo non è, in ultima analisi, che il fondamento del rapporto collettivo che la unisce: un rapporto che è basato sulla necessità di creare una rete di alleanze interne che conferisce agli abitanti del villaggio il carattere di gruppo, unito nella difesa dei propri valori e nella diffidenza e nella lotta contro ciò che al gruppo è estraneo o da cui il gruppo si sente minacciato. Questa capacità di cooperare viene evocata nella stessa conclusione musicale del Maggio, che, dopo essersi sviluppato interamente attraverso il canto solistico, termina con l'esecuzione collettiva di un coro—cui partecipa tutta la compagnia—che ha il valore di un rituale di sincronizzazione destinato a dare forma concreta alla relazione di gruppo.


Uno dei significati basilari del Maggio è in definitiva la rappresentazione dei valori su cui si basa l'identità della comunità che lo realizza e in questo senso si comprende come fino alla crisi degli anni '50, lo spettacolo sia stato concepito come un prodotto da creare e fruire all'interno del singolo paese, con la collaborazione di tutti: la persona più versata nella letteratura in veste di autore del copione, gli uomini dotati di una voce stentorea come attori-cantanti, le donne come realizzatrici dei costumi e, raramente in passato, come interpreti delle poche parti femminili, ecc. La rivitalizzazione del Maggio a partire dagli anni '60, culminata nella realizzazione della "Rassegna" annuale, è stata compiuta a scapito di questa concezione del Maggio. In diversi casi, i paesi che non sono più in grado di realizzare autonomamente la rappresentazione, per scarsità di cantanti e di mezzi, hanno dato vita a compagnie "miste": ciò rappresenta una rinuncia obbligata a fare del Maggio l'espressione dell'identità di un singolo paese e della sua capacità di rivaleggiare con i paesi vicini. La preparazione degli spettacoli, in vista della loro circolazione, è diventata più accurata: il copione, non viene più semplicemente ascoltato e cantato (con l'indispensabile ausilio del suggeritore) poiché i capimaggio, ispirandosi al modello delle compagnie teatrali e delle filodrammatiche, organizzano prove dello spettacolo già durante il periodo invernale. In alcuni casi l'influenza di questi modelli ha determinato uno svolta in senso realistico dello spettacolo, che ha portato a noleggiare costumi riferiti all'epoca storica del dramma, ad arricchire talora gli elementi scenici, ad adottare uno stile di recitazione di tipo filodrammatico. Infine, il periodo delle rappresentazioni si è dilatato in una vera e propria "stagione" del Maggio che copre l'intero periodo estivo ed è diretta ad un pubblico formato in buona parte da emigranti che ritornano al paese per le vacanze. Da questo complesso di trasformazioni emerge non solo che il valore del Maggio come espressione di identità culturale oggi prevale decisamente sull'arcaica configurazione di rito stagionale (che pure viene richiamata come simbolo della "tradizione"), ma anche che questa identità si sta profondamente trasformando. La cooperazione dei paesi nella formazione delle compagnie, la realizzazione della Rassegna e il "portare fuori" lo spettacolo - tutte condizioni per la sopravvivenza del Maggio - indicano che al concetto di identità del gruppo, originariamente riferito al singolo paese, si sta sovrapponendo il più ampio concetto di identità collettiva delle comunità montane che sono concretamente unificate dalla particolare scelta espressiva e dalla capacità di realizzare questa originale forma di teatro musicale. Ciò che è in gioco oggi in questa nuova ricerca di identità collettiva è dunque il conflitto montagna-città e il rifiuto dell'omologazione ai valori della vita urbana, che impone lo sforzo di cooperare a livello locale. Questo sforzo trova senso nella profonda trasformazione che si è verificata in un passato recente in molti luoghi d'Italia e d'Europa nell'atteggiamento dei contadini verso la propria cultura, non più concepita come segno di arretratezza, bensì percepita con ritrovato orgoglio come manifestazione di autonome capacità espressive. Affermando "noi non facciamo il Maggio perché lo facevano i nostri padri, lo facciamo perché lo abbiamo dentro" (Magrini 1992: 35), il maggerino chiarisce al mondo esterno che il loro spettacolo non è un'amena rappresentazione di villici intenti in riti agresti collocati fuori dal tempo e giustificati dalla "tradizione", ma un modo "forte" di rivendicare un'identità nel mondo contemporaneo. Questa svolta poggia su un vasto complesso di motivi, che vanno dalle crisi economiche e occupazionali che hanno seguito il periodo della ricostruzione postbellica e che hanno reso meno trionfali del previsto gli esiti del processo di industrializzazione, alla crescente consapevolezza degli aspetti negativi connessi alla "modernità", al riemergere dei localismi, al proliferare delle forme più svariate di turismo. Tutto questo, insieme ad altri elementi ancora, converge nell'alimentare la recente rivitalizzazione del Maggio come la reinvenzione di molte feste contadine in Italia e in altri paesi, dovunque la necessità di esprimere la propria identità locale attraverso una manifestazione culturale peculiare ha ripreso nuovo slancio.


Il gruppo Al di là della varietà delle vicende narrate, il Maggio propone di norma una storia che vede costituirsi, attraverso l'intreccio delle avventure di personaggi inizialmente estranei, un gruppo di eroi che ritualmente, alla conclusione, affronta il nemico comune sconfiggendolo. In questo tracciato narrativo convergono molti elementi. Il percorso dei singoli eroi sembra ricalcare lo schema del percorso iniziatico, tipico della fiaba: il giovane/la giovane parte da casa, dalla famiglia, per affrontare, con l'aiuto di eventuali aiutanti magici, una serie di prove in cui dimostra la propria forza e il proprio coraggio, acquisendo la dignità di eroe. Allo stesso tempo è essenziale che durante le avventure gli eroi stabiliscano alleanze reciproche che diventano il fondamento di un rapporto di gruppo. La formazione di questo gruppo può essere individuata come la meta dei singoli percorsi degli eroi e avviene sotto il segno di un comune sistema di valori connotato positivamente (simboleggiato per lo più dalla fede cristiana) per il quale esso si contrappone ad un gruppo avversario portatore di valori contrari. La contrapposizione culmina in una scena di battaglia, che vede le schiere affrontarsi in un confronto armato risolto con la sopraffazione e l'eliminazione dei nemici, destinati a perire in combattimento o a morire suicidi. Il senso centrale dell'azione rappresentata nel Maggio sembra dunque la costituzione di un legame di gruppo attraverso la manifestazione di una comune aggressività verso l' "altro", l'estraneo. L'identificazione del gruppo si attua attraverso la risposta collettiva al pericolo contenuto nel diverso, risposta che prende la forma dell'attacco e della distruzione fantastica dell'avversario. Nell'evidenziare questo valore come centrale alla rappresentazione, il Maggio si qualifica quale espressione emblematica di ciò che Wilfred Bion chiama un assunto di base di attacco e fuga (Bion 1971): questo assunto di configura come un'ipotesi inconscia sul significato del legame collettivo che il gruppo esprime per dare un senso alla propria esistenza, cioè un'ipotesi sul senso del rapporto interpersonale che plasma di sé la vita relazionale e le sue manifestazioni simboliche. In questa ipotesi si può rintracciare il significato del Maggio, il punto di contatto fra lo spettacolo in sé e il gruppo che lo produce e lo fruisce. Adottare un assunto di attacco e fuga come fondamento della dimensione collettiva della comunità significa supporre implicitamente che il gruppo esiste in rapporto ad una minaccia esterna e si manifesta dunque in quanto coopera per fuggire insieme o insieme aggredire un nemico. Sono valori, questi, che sono stati tradizionalmente forti nella vita quotidiana delle comunità appenniniche, notoriamente chiuse, conservative, diffidenti verso ciò che viene da "fuori", inclini a rivaleggiare fra loro. Allo stesso tempo, l'attenzione rivolta al pericolo esterno, da fronteggiare attraverso azioni di lotta, serve a distogliere l'attenzione da tutto ciò che riguarda il mondo interno del gruppo, cioè gli aspetti emozionali della vita della comunità. Questo elemento della cultura di queste comunità appenniniche, effettivamente poco inclini a dare spazio all'espressione emotiva, viene fortemente sottolineato nella stessa tecnica rappresentativa del Maggio a proposito della quale si nota un'insistente ricerca di straniamento. Se l'affermazione del legame di gruppo può essere riconosciuto come significato basilare del rito-spettacolo del Maggio, va aggiunto che l'evoluzione di questo genere teatrale nel corso del Novecento gli ha conferito ulteriori valori, legati alle nuove situazioni in cui esso viene praticato.

Da TULLIA MAGRINI testo contenuto nel cd Rom il maggio drammatico


Dario Fo MANUALE MINIMO DELL'ATTORE TERZA GIORNATA

Per quanti secoli schiere di intellettuali agnostico-letterati, hanno sdegnato i clown, i saltimbanchi, i burattini come si rifiutavano di prendere in considerazione il teatro religioso dei vari popoli, a cominciare dal proprio? Io ci ho trovato cose stupende in quel teatro. E quanti cosidettí marxisti hanno sghignazzato all'idea di venire a sfruculiare nel teatro popolare dei riti, specie in quello cosiddetto dei «maggi» ? Ho scoperto che gli anarchici dell'Ottocento recitavano e cantavano i maggi. Il maggio viene recitato ancora oggi specie nella zona dell'Appennino tosco-emiliano. Io ho assistito all'esibizione di gruppi della Garfagnana, del Pistoise e di Prato. Subito, il particolare che mi ha colpito è stata la presenza, durante la recitazione, di un uomo in borghese -tutti gli altri erano in costume -, che si aggirava per la scena con un copione fra le mani. Costui andava a porsi alle spalle ora di questo ora di quell'attore, seguendoli passo passo nella loro azione. Era il suggeritore-regista. E tutto avveniva a vista. Il teatro epico in assoluto. La tragedia del maggio era in rima cantata, versi ottonari antichissimi, su una melodia costante, che si ripeteva all'infinito. La prima impressione fu di fastidio. Sempre le forme espressive e gli stili che escono dal nostro schema mentale, dall'«abitudine», ci fanno scattare il rifiuto. E rifiutavo anche la gestualità, a mio avviso anch'essa troppo scarna e ripetitiva. Mi avevano affascinato alcuni bei passaggi, come quello del duello, per esempio, articolato in una vera e propria danza con gesti, stoccate, botti, fendenti e passi complessi di grande suggestione. La cosa che mi fece rimanere di stucco fu come questi duellanti riuscissero a saltare, sbracciarsi e muoversi con tutto il corpo continuando tranquilli a cantare senza manco farsi venire il fiatone. L'elemento piú suggestivo erano senz'altro i costumi. Lo si capiva bene, li avevano confezionati loro: cimieri ricavati da elmi di cavalleggeri ottocenteschi ai quali avevano aggiunto celate e sagome di leoni e aquile e poi piume e nastri. Le corazze erano di panno con elementi sovrapposti in metallo. Calzavano stivali o gambali da cacciatore e i pantaloni di fustagno erano guarniti di bande rosse, d'oro e azzurre. Per finire, ogni cavaliere portava un mantello decorato con ricami autentici che ricordavano quelli delle cappe dei sacerdoti nelle funzioni importanti. C'erano poi i costumi dei re, delle regine e delle dame... tutti personaggi di gente che conta. Ciò che mi pareva piú strano era l'assoluta mancanza di contrappunto ironico... nessun distacco comico. Anzi, quella seriosità continua dava l'impressione di un non so ché di stucchevole. Alla fine della rappresentazione mi sono avvicinato al responsabile culturale del gruppo. Un professore universitario, noto ricercatore di maggi. Aveva scritto un paio di volumi sull'argomento ed era considerato una «cattedra» del teatro popolare tosco-emiliano. Gli chiesi come mai non ci fossero né personaggi, né situazioni comiche. Mi rispose, con un sorriso quasi di compatimento: «Perché, ce ne sono, forse, di situazioni comiche nella tragedia greca? » Rimasi come un merluzzo, a bocca spalancata. Mi ripresi e, balbettando, azzardai un'altra domanda: «Esistono almeno maggi comici?» «Che io sappia no, fu la risposta. - Il maggio è tragico». Era troppo sicuro, sentii che mentiva. Cosí cominciai la mia inchiesta. Chiesi ad altri responsabili culturali presenti a1 convegno di Prato. Un ricercatore mi assicurò che, fino a circa cento anni fa, esisteva nei maggi un personaggio comico che rimaneva in scena per tutta rappresentazione col ruolo di contrappunto comico-satirico alle tirate dei cavalieri e delle dame. Questo personaggio era stato ripristinato proprio dai primi anarcosindacalisti che avevano inserito nel testo anche allusioni politiche dirette. Ma quell'invenzione arrivava da piú lontano. All'istante mi sono venute in mente le sotties del Medioevo francese. Testi morali dentro i quali si inseriva un sot, cioè un matto, che interveniva con commento sarcastico in ogni azione o dialogo. Shakespeare a sua volta aveva introdotto lo stesso personaggio nel Re Lear... il fool. Andando avanti nell'inchiesta arrivai a scoprire che quel personaggio comico, nei maggi, era fisso in ogni opera, e che non aveva solo il ruolo di alleggerimento o divagazione ma che, proprio come nel Re Lear col fool, determinava un ribaltamento continuo del discorso e un gioco dialettico che imponeva valori contraddittori nei personaggi e nella storia. Cosí ho scoperto del contrappunto nei «maggi». Dai contadini pistoiesi ho visto cantare e mimare una Medea, quella stessa Medea dalla quale ho ricavato il testo per Franca, dove il contrappunto è giocato da un gruppo di donne (un anticoro) che nella loro totale servitú al maschio provocano situazioni grottesche e ironie violente lanciate con sghignazzi da Medea.


CANTIAM MAGGIO

E' giorno di fiera. A Villa Minozzo si canta il Maggio dei Paladini di Re Carlone. Attenzione, zitti tutti e venite piu' avanti, che il chiasso della fiera con le sue trombe e i suoi tamburi non ci debba importunare; venite qui vicino ad ascoltare la mirabile storia dei Paladini di Re Carlone detta anche dei Reali di Francia. Io mi chiamo Andrea da Barberino perche' nacqui in Barberino la piu' bella terra di Valdelsa e sono il piu' famoso di quanti cantastorie vivono in terra di Toscana. Ma questo non vi importa: a voi interessano i racconti di belle gesta, di grandi colpi di spada, di imprese strabilianti come quelle compiute dai guerrieri di Francia e di terra saracina al tempo lontano di Carlo Magno detto anche Re Carlone: era di sì gran forza, che stendeva, come niente fosse, tre ferri di cavallo insieme uniti e levava in palma di mano da terra in aria un cavaliere armato. Con la sua spada Gioiosa ti tagliava netto un uomo a cavallo coperto di tutt'armi. Ma io voglio cominciare da più lontano ancora; da quando in Roma da poco cristiana regnava Costantino Imperatore e contro di lui e contro Roma s'eran mosse le intere forze dei pagani d'Asia, Africa ed Europa, gelose che la fede di Cristo si diffondesse. Le mie saranno quattro storie di cavalieri; i primi Paladini di Francia ed in essi vi diro' di Rizieri, di Fioravanti, del Buovo di Antona ed infine di Rolandino, il piu' celebre ed il piu' grande dei paladini di cui oggi ancora si rammentano le gesta. Di Rolando, Rinaldo e Astolfo e Bradimante molto hanno cantato gli illustri poeti; ma io che scrivo solamente in prosa mi limiterò a parlarvi dei meno celebri, di quelli che precedettero e fondarono la cavalleria di Francia e vennero chiamati i Paladini di Re Carlone. Ma anche vi parlero' di Pipino e della sua moglie che fu Berta dal gran piè, e come ella divenne sposa del Re di Francia e fu madre di Carlone Ma la musica della fiera si fa sempre più fragorosa, ecco le giostre pirlare con i loro caroselli di cavalli e barchette lucenti, le bandiere sventolano, i tamburelli rumoreggiano indiavolati, e' dunque bene scostarsi un poco da questa confusione; giriamo l'angolo dietro la chiesa, ove cantano il Maggio e racconterò la prima storia. Ma sapete, poi, che cosa e' il Maggio? Ascoltate.


SIAM VENUTI A CANTAR MAGGIO E' ancora viva in alcune parti dell'Appennino lucchese, reggiano e pistoiese, ma anche, seppure meno diffusa in Liguria e in varie zone dell'Italia centro-meridionale, una delle piu' liete e geniali costumanze che danno colore e significato alla vita tradizionale del nostro popolo. L'ultima sera di aprile o la mattina del I maggio usano i giovani, in allegre brigate, recarsi di casa in casa portando in mano un ramo verde infioccato di nastri di ogni colore o di fiori freschi e limoni, cantando una canzone che è insieme un annuncio di primavera e una richiesta di doni. Majo o Maggio si chiama il ramo verde che essi reggono a mo' di gonfalone, e maggio si chiama pure il canto che essi ripetono in coro con una melodia lenta e soave o comunque un motivo largo e piacevole. Le parole variano da luogo a luogo, ma spira in tutte un'aura di freschezza e di giovinezza, un senso agile e vivo di "novel tempo", una frenesia di sole e d'amore: Maggio giocondo, rallegra tutto il mondo, capo di primavera Benvenuto maggio, capo di primavera, di ogni stagion primavera • la rondinella che per l'aria va volando, maggio è' qui cantando, • il rosignolo che canta notte e giorno, maggio è qui d’ intorno. • sulla rama la bella dell'ulivo, canta il cardellino ...... Questo canto, di cui diamo solo i versi più significativi, rimasto finora, si può dire, ignoto (fu pubblicato nel '39) mentre costituisce una delle più felici espressioni della poesia del nostro popolo. Esso fu raccolto in territorio di Chiavari, il che mostra come l'usanza abbia una diffusione ben più larga di quel che in genere si pensi. Comunque, gli stessi motivi d'ispirazione ricorrono, pur atteggiati in altri modi, con quella varietà che è il principale dono del canto popolare, anche nei maggi di altre parti d'Italia.E Io spirito delle diverse regioni trova il mezzo di rivelarsi con accenti originali. Così in Toscana, al brio e al fervore giovanile si unisce spesso l'arguzia e il motteggio:


Ben venuta la rondinella a fare il nido sotto il tetto! Ci vorrebbe un giovinetto sì, per voi, ragazza bella! Cantiamo maggio a tutti gli usci, se dell'ova ce ne date si farà delle frittate, ed a voi si rende i gusci. In un canto d'Abruzzo e' il trionfo della piena fioritura sotto il sole sfolgorante che dà ai versi una vibrazione calda ed espansiva: Ecchete magge ca seme venute tutte de rose m'jeme vistute: e Vu patrune, che num i credete, uscete fora, ca lii vedete: e lu sole che spanne li ragge ros'e'ffiure lu mese de magge. Ma il sentimento poetico non è racchiuso solo nel canto: esso si manifesta anche in alcuni particolari usi che, data la natura della festa, hanno un chiaro significato propiziatorio, sia per gli alberi e le messi, sia per gli uomini. Il più comune è quello del ramo fiorito che il giovane pone presso l'uscio della sua bella, onde la frase proverbiale, ora quasi passata in disuso insieme al relativo costume "appiccare il majo a ogni uscio" detta per chi ha l'abitudine di far la corte a tutte le ragazze. Talvolta il ramo veniva senz'altro offerto subito dopo il canto alla ragazza che scendeva a prenderlo e a portare i doni al giovane nel cui nome la serenata era stata fatta: i doni consistevano in uova, noci, noccioline e zuccherini. Nell'alta Polcevera si appoggiava un albero con doni alla finestra della fanciulla amata e il giovane tutta la notte montava di guardia con fucile. La mattina la ragazza si affacciava distrattamente, e, visto il giovane a lei noto, altrettanto distrattamente lasciava cadere un garofanino spiccato sul davanzale. Il fiore, raccolto dal giovane, lo incoraggiava a parlare. Seguiva richiesta di-fuoco per la pipa, la quale (guarda caso!) non voleva accendersi; mentre dolci parole accendevano sempre più i cuori


Ma ecco la madre chiamare a sè la figlia e perché questa ......non sentiva, scendere impazientita a prenderla per un braccio, mentre il damo, intonata a piena gola una canzone in lode della bella, se ne andava. Abbiamo accennato ad alcuni usi, tanto per ambientare il canto del maggio nelle forme della vita tradizionale, ma non abbiamo certo la pretesa di ricordare tutte le costumanze a cui questa grande festa di primavera ha dato, e da' tuttora, luogo. Noi ci contentiamo di osservare qui le manifestazioni poetiche. Poiche' accanto al Maggio Lirico la tradizione ha conservato anche il Maggio Drammatico, una rappresentazione all'aperto che e' una delle più caratteristiche espressioni del nostro teatro popolare. Ma per comprendere la vera natura e la vera ragione sia del canto che del dramma, e' necessario conoscere l'origine antichissima da cui l'uno e l'altro hanno tratto ispirazione. Noi raggiungeremo lo scopo in una maniera un po' fuori del comune: attraverso la storia di una parola Maiale e' un aggettivo bellissimo alla sua origine, ma che poi sostantivandosi e riempendòsi (starei per dire ingrassandosi) di un significato particolare e ristretto, ha acquistato oramai, nell'uso comune, un non so che di spregiativo. Esso deriva dal nome della Dea Maja, una delle più antiche e venerate divinità laziali, che personificava il rigerminare della vegetazione al ritorno di ogni primavera, e quindi la fertilità della terra in maggio. Ecco perchè veniva identificato con Bona Dea cioè con fecondità, e ad essa veniva offerta in sacrificio una scrofa, un sus maialis. Sul significato di questo rito non esiste una certezza. In base al principio della magia simpatica, i Greci e i Romani sacrificavano delle vittime gravide alle dee del grano e della terra, senza dubbio perché la terra fosse feconda e la spiga granisse bene. Ma noi troviamo sempre come parte integrante del rito, oltre al canto e alla processione, anche qualche forma drammatica (processione o sfilata - canto - coro finale). Ne' essa poteva mancare in una delle cerimonie agresti che rivestiva per le antiche popolazioni una importanza di primo piano: e il suo valore non e' del tutto scomparso presso le nostre classi rurali. Ora, lo sviluppo del dramma nelle sue linee più semplici può vedersi così: invece dell'albero del majo, portato processionalmente a scopo augurale davanti alle case delle persone amate o riverite, viene vestito di fronde da capo a piedi un ragazzo (o una ragazza) col compito di rappresentare la stessa cosa che il majo, cioè lo spirito arboreo col suo benefico potere. E' questa la prima persona del dramma, conosciuta variamente coi nomi di Maggio, Padre Maggio, Signora del Maggio, Re o Regina o Contessa del maggio. Non si creda che queste forme primitive siano del tutto scomparse. A Lucito, in provincia di Campobasso, il Maggio e' rappresentato da un pagliaio coperto di fronde dentro cui si pone un uomo che cammina dondolandosi leggermente in cadenza di ballo. Ma gli elementi drammatici


prendono un decisivo sviluppo quando tra i partecipanti alla festa si stabilisce una gara, il cui vincitore viene proclamato Re del Maggio e ha quindi il diritto di essere il compagno della Regina del Maggio. In generale la gara consiste in una corsa a cavallo per raggiungere il majo, o in uno sforzo a chi primo si arrampica sulla cima del majo stesso: il nostro Albero della Cuccagna e' - ahime' - l'ultimo contadinesco e decadente, ma sicuro avanzo di una antichissima gara piena di fascino. Se chi arrivava primo veniva eletto Re, chi arrivava ultimo diventava il Giullare, personaggio comico che rappresenta una "prima parte" nelle feste di maggio come ce lo documenta il fatto che esso si e' perpetuato fino nei Maggi recitati tuttora nell'Appennino Toco-Emiliano (di qui, forse, il buffone). Abbiamo così: un Re e una Regina, col loro seguito (che può ricordarci il coro), un giullare, una scena di lotta. Questa lotta viene in molti luoghi rappresentata in forma di danza con la spada, e tuttora il duello che nei nostri maggi costituisce la scena madre, si esegue con moti e figure e ritmi tradizionali in cui traspare l'antico aspetto di danza. La rappresentazione acquista, fin dalle origini un carattere agonistico, guerresco, epico. A un certo momento, quando le gesta, gli ideali gli eroi del mondo cavalleresco medioevale colpiscono la fantasia popolare, il tono e il senso epico del maggio drammatico trova la sua materia preferita nella rievocazione delle gesta dei paladini e nascono così i maggi quali il "Buovo d'Antona", il "Fioravante", il "Fierobraccia", il "Rinaldo". Tuttora la materia epica e cavalleresca o storica, prevale nei maggi che si rappresentano sull'Appennino tosco-emiliano durante la bella stagione. La Chiesa per estirpare la gramigna del paganesimo, dedicò quasi per contrappasso, il mese di maggio a Maria; rovesciò i tronetti su cui false regine di un giorno sedevano a ricevere gli omaggi floreali delle ragazze reduci dalla gita notturna nei boschi ove avevano celebrato la festa dell'amore, e alloro posto mise gli altarini della Madonna, ai cui piedi l'umile fedele lascia la sua offerta di fiori campestri: e così trasformò le gioiose canzoni di maggio in canti di questua per le anime purganti, e al maggio epico-cavalleresco luccicante di elmi e risonante di spade cozzanti, sostituì il maggio sacro che esaltava le gesta dei campioni della fede. Ma i caratteri originali ancora possono riconoscersi nei "copioni" dei maggi che tuttora si conservano, e che purtroppo ci rappresentano soltanto forme tarde e decadute, improntate dei gusti del 700/800. Tratti antichi sono senza dubbio: i giri processionali compiuti dagli attori, i duelli a ritmo di danza, le figure del paggio e del giullare, e soprattutto il fatto che i Maggi si rappresentano ancora, talvolta in mezzo ai boschi. Così, indagando le manifestazioni di questa festa millenaria nei suoi aspetti lirici e drammatici, siamo giunti a stabilirne il preciso carattere e il significato. Festa della fecondazione arborea, quella del maggio esprime, in originali forme di bellezza, l'anelito della moltitudine a che la nostra terra sia sempre più ferace.


Il maggio non e' diviso in atti: e' un atto unico che dura tre o quattro ore. I costumi sono tradizionali e vengono tramandati di padre in figlio: maggerino era il bisavolo, maggerino è il pronipote. I costumi sono bellissimi: di velluto e di seta, a ricami originali e artisticamente ammirevoli. In questi costumi non c'è alcuna uniformità di stile ne' di epoca. Così si vedono elmi estrosamente conciati, aventi sulla fronte la placca o trofeo con la dicitura "Pio IX" oppure "Leopoldo I!" ed anche "Fur Kenig im Vaterland"; cosi' come certi spadoni, a guardia semplice o con la manopola, ricordi della guardia nazionale del 1848, si sposano a sciabole bersaglieresche, a lama ricurva ....; ma spadoni e sciabole non sono di latta, bensì di acciaio, ond'è che si prova un certo batticuore quando due rivali si gettano l'un l'altro contro, menando colpi all'impazzata, colpi da "orbi". Ma tanta e' l'abilita' dei contendenti che il morto non ci scappa mai fuori e neppure il ferito. Giubbe da carabiniere formano "il completo" con calzoni grigioverdi della prima guerra mondiale, così come pennacchi blu e rossi della "benemerita" adornano il cimiero di un re dei Tartari.

IL POEMA

Il poema e' una quartina di versi ottonari, in cui rimano il primo e il quarto, mentre gli altri due versi sono a rima baciata; lo schema è, dunque, A B B A. si veda ad esempio la seguente quartina: Dal gigante Scaldamasso

A

salvo alcun non puo' restare B Schiantera' come suo fare

B

giu' da rupe duro sasso.

A

Fra le quartine viene inserita un'altra forma chiamata sonetto. E' generalmente un soliloquio e corrisponde alla romanza del teatro d'opera. Delle romanze precedenti l'800 non e' rimasta traccia, ma di quelle posteriori esiste qualche reminiscenza. E' frequente trovare echi verdiani e donizettiani, ai momenti patetici e lirici prestandosi particolarmente il Trovatore e Lucia di Lammermoor. Forse i trascrittori udirono queste opere incise su dischi al tempo del fonografo ( ... ). I "modernizzatori" scendono all'operetta, affidandola al violino e alla chitarra, e allora trionfano i valzer languidi di Lhar (Vedova allegra e Conte di Lussemburgo). Gli attori, dal principio alla fine, cantano una melopea (melos + canto), la cui tonalità viene mantenuta uguale da una strofa all'altra grazie ad un violino, il quale, accompagnato da una


chitarra, fa un breve commento - uniforme per tutti i maggi - e ha la funzione del "la" solista nell'orchestra, servendo ad accordare le voci, anche se difficilmente le voci femminili sono in chiave con quelle maschili.

COMINCIA L'AZIONE

Colpi ritmati di tamburo avvertono che la rappresentazione sta per cominciare. La vestizione e la truccatura degli attori non avviene mai sul luogo dello spettacolo, ma in una casa vicina. Da questa specie di "camerino" la compagnia parte incolonnata per due: in testa l'alfiere, poiche' ogni compagnia ha una bandiera e i musici (violino e chitarra, talora fisarmonica), indi gli amorosi d'ambo i sessi, e gli eroi (gli uni e gli altri corrispondono, grosso modo, al tenore, al soprano, al baritono), ultimi i re scettrati e coronati (i bassi). A volte il corteo dei Maggerini e' accompagnato nell'area dello spettacolo dal complesso bandistico. Talvolta hanno parte nel dramma i briganti con ruolo grottesco e comico; diversamente si introduce nel dramma un giullare o buffone, che pur essendo estraneo all'azione vera e propria, ha il compito di dare vivacità allo spettacolo, sollevare gli uditori dalla pressante attenzione e dividere le scene. In questi casi, i briganti o il buffone prendono posto in testa alla colonna, subito dopo i musici. I1 buffone può dire tutto quello che vuole Il codice penale e il galateo perdono ogni efficacia .... il linguaggio scurrile popolare, e' anzi, fonte di diritto ed è perciò "legge". Il buffone punzecchia, deride, castigat homines et mores ... ma nessuno ovviamente oserebbe controbattere sapendo di perdere il favore del pubblico! Il buffone gode dell'immunità come un arbitro! ( ... ) e' un eroe del nostro popolo e' noi stessi! 11 corteggio, così composto, percorre solennemente la via principale del Paese, mentre tamburo, violino e chitarra cozzano terribilmente; quindi, vessillo e pennacchio al vento, la compagnia fa il suo ingresso nel recinto destinato allo spettacolo. Comincia la rappresentazione. I cantori si muovono nel cerchio segnato dalla radura, seguiti sempre, passo a passo, dal suggeritore e preceduti, spesso dalla banda musicale.

Il "declamato" alto, vibrato, concitato, esige mezzi vocali resistentissimi, e poichè il dramma si svolge senza interruzione, il caldo si fa sentire e le ugole si fanno riarse: bibere necesse est! Allora un servo di scena passa da un guerriero all'altro porgendogli il nappo che viene tracannato d'un fiato alzando la celata o la barba finta ( .... ).


HA INIZIO LA RAPPRESENTAZIONE

Per chi non ha mai assistito ad un maggio, è bene dire, che in questo genere di rappresentazione, la fantasia, anche quella dello spettatore - deve supplire alla realtà, e, che quella sobrietà scenica, che oggi si fa strada sui nostri palcoscenici fino ad essere simbolica e induttiva, e' stata precorsa fino al limite dell'espressione. Una fronda, piantata nel terreno, può significare un bosco ed anche una foresta. Una torretta di cartone può' significare un castello; una striscia di tela azzurra può significare un fiume o un mare. Non scenari dunque, ne' quinte. Nulla della comune finzione scenica. Il suggeritore c'e' ma non nella comune buca. I due campi avversari - generalmente cristiani e infedeli - che battagliano, hanno una specie di quartier generale rappresentato da due rudimentali tende coperte di frasche, contrapposte l'una all'altra come le "porte" nel gioco del calcio. La recitazione cantata segue norme fissate dalla tradizione. La ritualizzazione del gesto esprime i sentimenti del personaggio. L'andirivieni concitato, con egual numero di passi, tra due personaggi, indica ira e sdegno. Il roteare dell'uomo intorno alla donna, significa corteggiamento amoroso. Anche il duello ha la sua stilizzazione: uguale e' il numero dei colpi e l'urto degli scudi ad ogni assalto. Quando un personaggio viene ucciso giace sul terreno immobile per qualche tempo .... poi, esce di scena, con un piccolo salto.

DEMOS GALAVERNI

La Compagnia maggistica Monte Cusna di Asta canta “Il Ponte dei sospiri” di Domenico Zannini


di Bonicelli Fausto e Pighini Mauro(1980)

LO SPETTACOLO DEL MAGGIO NELLA CULTURA POPOLARE

DELL' APPENNINO REGGIANO

ciclostilato in proprio.

INDICE -Premessa. -Introduzione. -Origini del Maggio. -Lo spettacolo del Maggio. -il Maggio e la sua epoca. -Il Maggio nella societĂ moderna. -Conclusione. -Appendice.


INTRODUZIONE Le non mai sufficienti ma senz' altro abbondanti ricerche e studi,che si sono interessati sotto 1' aspetto però sempre letterario,o tutt' al più limitando le indagini socioculturali a brevi cenni,del resto sempre ripetitivi e non certo sufficientemente approfonditi,hanno consentito tuttavia alla nostra ricerca di basarsi sul più svariato materiale, come contenuto in se e come provenienza dello stesso. Dopo un' accurata lettura,preceduta da una non meno accurata consultazione degli strumenti indispensabili per 1' informazione e la ricerca (repertori bibliografici,riviste ecc.),ci è sembrato cosa opportuna, e del resto già nelle nostre intenzioni, considerare solo "lato sensu" il problema delle origini e 1' aspetto in genere letterario delle rappresentazioni in questione,cercando invece di focalizzare il più possibile le diverse,ma certamente non meno interessanti,problematiche sociali,economiche e culturali del tempo e del luogo,di cui tale genere di spettacolo altro non era che una forma di estrinsecazione artistica. Senonchè,proprio nell' ordine di queste intenzioni, per le ragioni sopra indicate,veniva a meno o meglio scemava in misura notevole (ci riferiamo sempre naturalmente a livello di ricerca locale) ,il materiale "ad hoc" e a questo abbiamo creduto bene di poter supplire con interviste e racconti di persone che nella loro giovinezza hanno vissuto e ancora conservano,oltre che i ricordi,in molti casi anche i sentimenti di un' epoca passata. Pur nella consapevolezza dei difetti che tale "materiale" -se così si può definire- ha,(considerazioni di ordine strettamente personale,molto spesso condizionate dalla particolare situazione dell' epoca -cui però la distanza nel tempo ha dato un certo distaccamento-) su buona parte di esso si basano le dedotte considerazioni qualitative e valutative in genere. Con questi "limiti dichiarati" cerchiamo .di condurre la ricerca che tanto ha incuriosito entrambi,del ruolo funzionale,rispetto alle diverse generazioni di questo ."teatro drammatico",che meglio si comprenderà cercando di intendere questo lavoro come inserito nel contesto globale della conoscenza dello spettacolo,di qualsiasi genere e provenienza, concepito soprattutto come forma artistica speculare di una determinata realtà socio-culturale. E' fuori di dubbio che quando il D' Ancona parla di "rap presentazioni drammatiche del contado toscano ... Le giostre, i


bruscelli e i maggi ... "(A.D' Ancona-Le origini del teatro italiano-2a ed.Vol.II pag.242) a secondo del luogo in cui queste si sviluppano e con non molte differenze sostanziali fra di esse o almeno con medesime matrici(origine e carattere)- si riferisce a quella forma,che altri ha definito più recentemente,di "teatro popolare"(G.Degani " Maggi" di Villa Minozzo in miscell.re.) che per varie ragioni dalla Toscana si è infiltrata nella montagna reggiana e nelle zone limitrofe,intersecandola con le sue rappresentazioni in modo continuo e direi, quasi metodico fino ai primi decenni del XX secolo e in modo più blando ,fino a ridursi a poche isole, dove esiste del resto con carattere recessivo, ai nostri giorni. A voler cercare di ritrarre puntigliosamente le origini di queste rappresentazioni non è cosa facile nè utile ai fini della nostra ricerca basti dire col Fontana che. "...speciali canzoni di maggio sono esistite si può dire in tutti i tempi e in tutti i paesi, dalla Grecia a Roma alle nazioni tedesche e slave...e alle nazioni latine ... E in Italia quasi ogni regione va ricordata per usanze e poesie maggiaiole sue particolari...e sopratutto la Toscana e nella Toscana Firenze,che si può dire la terra classica delle feste del Maggio,tra cui furono caratteristiche quelle dei tempi di Lorenzo il Magnifico,alle quali presiedeva il dio Amore, allietate dalle celebri canzoni: Ben venga maggio e il gonfalon selvaggio. oppure Lasciam ir malinconia, dappoichè di maggio siamo. Tra gli usi che distinguevano quelle feste vi era generalmente quello di piantare il "maio" (pianta alpestre simile alla ginestra -nota nostra-) davanti alla casa della donna amata...e 1' altro uso di proclamare lo regine o contesse di maggio simili alle odierne regine del mare di Napoli, di Genova, di Venezia ed altre innumerevoli regine del genere.." (S.Fontana -Il Maggio Firenze 1964 pag.39) L' opinione del Fontana è a questo proposito la sintesi dei pareri concordi di gran parte degli studiosi interessati all' argomento,fra i quali. il D' Ancona ancora precisa che è "Da questa antica e non mai dismessa e in ogni parte diffusa


costumanza di cantare il Maggio che è derivata per naturale e lenta esplicazione la forma drammatica dello stesso nome". Queste considerazioni ci sembrano sufficienti per poter continuare,senza ulteriori approfondimenti sul problema delle origini, il discorso sui Maggi, anche e soprattutto perché il periodo implicato in tale problematica è dì gran lunga anteriore a quello da noi considerato,compreso com' è lungo tutto il XV secolo,epoca della Sacra Rappresentazione; infatti lo stesso D' Ancona considera il Maggio forma gemella e coeva, anziché secondaria e derivata della Sacra Rappresentazione. E' altresì pii interessante e utile ai nostri fini cercare di analizzare la forma,la composizione,gli attori, gli autori e il carattere del Maggio cos' come ci è dato di osservare dai vari componimenti e dalle relative rappresentazioni caratteristiche dell'Appennino reggiano. I luoghi scelti per lo spettacolo possono essere piazze, prati, castagneti ecc. ma in genere sono essere maggiormente preferiti,non da ultimo, ragione che offrono ampi spazi di ombra dove nelle ore di permanenza al sole.

i più disparati, questi ultimi ad per la semplice potersi riparare

Il Maggio è in poesia, tessuto in strofe o come chiamano) i contadini stanze (o campetti) di quattro versetti che rimano insieme fra loro il primo col quarto e il secondo col terzo;tale poesia, anziché essere semplicemente declamata, si collega e si appoggia quasi al canto, costituito da una nenia che però non esclude del tutto qualche bravura e qualche trillo da parte di un destro attore, o per quanto monotona serve a coprire in qualche modo la soverchia povertà del metro. Gli attori, detti più precisamente maggiarini, cantano senza accompagnamento ed importante notare come il loro continuo ed elaborato gesticolare non sia semplicemente un momento ausiliario della recitazione ma costituisca un vero e proprio canale di comunicazione di tipo complementare,che agendo soprattutto a livello psichico - sull' immaginazione - supplisce adeguatamente alla pressochè assente scenografia. Nell' intervallo fra una strofa e 1' altra si fa spazio la musica di un violino con 1' accompagnamento di una chitarra che esegue lo stesso motivo in modo ripetitivo. Dopo aver definito i vari luoghi in cui si svolge la scena, per mezzo di scritte e stemmi diversi e dopo 1' entrata dei maggiarini, che si portano ciascuno al proprio luogo di


appartenenza,si da inizio allo spettacolo preceduto sempre da un prologo introduttivo detto da un personaggio apposta o da un interprete del Maggio stesso. Anche se 1' appartenenza di un Maggio a questa o a quella categoria è senz' altro opinabile si può accettare, in senso lato, la classificazione del D' Ancona che divide i componimenti,in base agli argomenti che trattano, in Eroici,Storici e Spirituali ricordando però,che nonostante ciò, la quasi totalità dei Maggi della nostra zona hanno dei soggetti di carattere epicocavalleresco e religioso. Scrive il D' Ancona a proposito del carattere del Maggio: "...11 maio appartiene per la forma drammatica al teatro libero, o romantico che dir si voglia a quella stessa forma,cioè a cui appartengono il dramna spagnolo e inglese. Non già che io (il D' Ancona) voglia far paragonare fra i capolavori dello Shakespeare e del Calderon e l'umile poesia del nostro contado, ma per que1lo che spetta al concetto drammatico e al modo col quale esso viene posto sulla scena, il maggio ha molte relazioni con 1' arte che fu detta romantica e nessuna con quella chiamata classica. Tuttavia più che nella forma dei dramma inglese esso si accosta a quella del dramma spagnolo, per questo principalmente, che l' importanza sta tutta nei fatti anzichè nei caratteri,e perciò piuttosto che dipingere una passione nel suo nascere, nel suo svolgersi e negli effetti che produce, il maggio ha per fine la rappresentazione di avvenimenti straordinari,compiuti con la forza dei braccio e con la santità della vita,e spesso col visibile aiuto del cielo." -aspetti che il D' Ancona definirà più avanti come spettacoloso e meraviglioso nel maggio.."(A. D' Ancona op. cit. pag. 304 e oltre). Misti al serio e all' eroico si trova spesso nei maggi il faceto e il comico,la cui parte è affidata talora ad un personaggio speciale (il buffone),tal' altra a personaggi anche eroici (come ad Orlando impazzito). Il tema più ricorrente che costituisce la morale del Maggio è la glorificazione della fede cristiana per la quale pugnano i cavalieri, soffrono e muoiono i martiri e in virtù della quale gli innocenti scampano dalle insidie del demonio e dalle persecuzioni dei malvagi. A concludere la rappresentazione provvede adeguatamente la licenza, che non manca quasi mai e, detta da personaggi apposta e


da uno degli interpreti come ne1 caso del prologo, serve ad un piacevole commiato con gli spettatori. Un' ultima, descrizione.

cosa

occorre

da

aggiungere

per

completare

la

Per quanto riguarda gli attori e gli autori insieme ci è parso, soprattutto dalle interviste che abbiamo condotto,che non si posso asserire -come al contrario abbiamo trovato indistintamente in ogni testo- che essi sono costituiti da gente del popolo ma si debba piuttosto puntualizzare che essi sono, almeno nella gran parte dei casi, costituiti da quella gente del popolo, che per ragioni contingenti erano costretti ad emigrazioni stagionali, ed è significativo a questo riguardo il fatto che, persone appartenenti a famiglie la cui indipendenza economica non obbligava necessariamente all' emigrazione ,non prendevano parte attiva allo spettacolo,o tutt' al più, se parte avevano in esso,si trattava sempre di personaggi di secondaria importanza. Oltre ad aver dato un' idea di ciò che è lo spettacolo del Maggio si sarà capito abbastanza facilmente,dalle ultime considerazioni , 1' importanza che ha avuto nella nostra zona il fenomeno dell' emigrazione dal quale è utile trarre alcune considerazione di importanza fondamentale. Già verso la fine del XVIII secolo le lotte sociali e politiche che avevano avuto nella Rivoluzione Francese la loro matrice,influirono sul cambiamento strutturale anche nella società contadina della nostra zona. E' storicamente accertato che lo truppe napoleoniche, durante la seconda fase della Campagna d' Italia (1796) nel periodo della Repubblica Cispadana,fecero un' incursione in Toscana, occupando il porto di Livorno. In questa circostanza, alcuni abitanti dell' appennino toscoemiliano nei pressi del Passo di Pradarena e delle Forbici,certamente influenzati dalle nuove idee riformatrici e cogliendo 1' occasione verso nuove esperienze, decisero di seguire le truppe napoleoniche nella vicina Toscana. Non è tanto il gesto avventuroso dei pochi che presero tale decisione quanto il significato di esso che va sottolineato. La vita degli abitanti di questa zona appenninica, che fino ad allora era stata caratterizzata da una sostanziale stanzialità, veniva in questo modo a colorirsi di una nuova attrattiva costituita appunto da questo movimento migratorio che, sempre crescente nel tempo, si arricchiva di effetti e significati propri. Dopo alcuni


decenni infatti, come diretta conseguenza di tutto ciò, cominciarono le vere e proprie migrazioni a carattere stagionale e l'economia e le composizione della famiglia e della società del tempo influenzò questo tipo di emigrazione. Le struttura famigliare di tipo patriarcale favoriva infatti mossa in primis da ragioni di insufficienza economica- lo spostamento della forza attiva di essa nel periodo autunnoinverno,quando la lavorazione della terra in montagna era ferma ed, essendo la società determinata in modo condizionante da un' economia agricola,non vi erano altre risorse alternative valide. La Toscana in genere restava il luogo preferito e in particolare la zona della Maremma, Castagneto, San Vincenzo, Follonica, Venturina e più tardi anche 1' isola d' Elba, ma non bisogna dimenticare come, più avanti nel tempo (primi decenni del XX secolo) già qualcuno praticava lo stesso tipo di emigrazione con mete però " ben più lontane,come la Francia,l' America, l' estero in generale. Uscendo per un attimo dal nostro tema, e scorrendo velocemente gli anni fino ad arrivare ai nostri giorni, si potrebbe ricordare la folta colonia di Garfagnini che esiste oggi in Australia, con caratteristiche naturalmente del tutto diverse, ma nella quale si ritrova un' eco, ancora sensibile, del desiderio di comunicazione con la cultura della propria terra, alla cui impossibilità si cerca di supplire in modo vicario con la lettura di riviste e giornali redatti e provenienti dal proprio paese. Tornando all' epoca in questione, abbiamo avuto modo di conoscere, dalle numerose testimonianze, che i lavori cui gli emigrati si dedicavano erano generalmente di carattere contadino e artigianale rispettivamente a contratto e in proprio. (Es. scasso per viti L. 0,40 -circa- al m3). Nell' inverno,quando non era possibile,per la cattiva stagione, dedicarsi alle lavorazioni agricole a contratto, queste persone svolgevano lavori di tipo artigianale,infatti molti di loro non erano solo prestatori d' opera ma anche discreti artigiani (sarti, calzolai, impagliatori,ecc.). Il più delle volte il proprietario terriero alle cui dipendenze lavoravano, dava loro un locale nel quale essi costruivano un rudimentale laboratorio artigianale. Non si può naturalmente parlare in questo periodo di emigrazione, o più precisamente di emigrazione stabile,poi che col ritorno della stagione primaverile il richiamo verso il luogo nativo,la famiglia e le feste popolari di vario genere, aveva un valore morale che fungeva da attrattiva verso la propria terra, senz'


altro superiore all' interesse economico che avrebbe potuto condurre alla decisione di rimanere nel luogo di lavoro. Si può certamente dire che tra i motivi principali del ritorno al propria paese - sottinteso alla possibilità di tornare a lavorare la propria terra e quindi ancora ad un movente economico- vi era anche la concezione personale della propria presenza partecipazione indispensabile alla esplicazione della vita comunitaria,che aveva modo di manifestarsi nella sua pienezza durante tutto il periodo primavera-estate. Nell' organizzazione pubblica delle feste estive la singola persona, aveva una parte e un' importanza fondamentale che gli era data essenzialmente dalla struttura della Comunità di tipo clanico, intendendo per "clan" in composizione di gruppi di persone legate da interessi e sentimenti comuni e che si frequentano soltanto fra di loro. Le concomitanti ugualmente accette, anche se con diversi e quasi opposti sentimenti, dell' interesse economico e dell' attaccamento alla società di origine,che erano alla base rispettivamente dell' emigrazione e de1ritorno alla propria terra, provocarono un conseguente scambio interculturale tra la popolazione emigrata e quella indigena della Toscana. Gli autori ed i testi consultati ai fini della ricerca non sono pienamente concordi sulla possibilità che uno scambio culturale di questo tipo sia alla base della trasformazione subita dallo spettacolo popolare del Maggio,che è passato da un originario carattere storico-religioso ad una successiva forma epicocavalleresca. Le interviste condotte "in loco" però ci hanno convinti a credere che la cultura ufficiale non ha approfondito sufficientemente particolari cui noi diamo la massima importanza. Scrittori di Maggi, anche se di tarda età,tuttora in vita hanno infatti esplicitamente avvalorato la nostra ipotesi. In questo modo i Maggi con argomenti religiosi e storici. reperibili nel reggiano vengono ad avere indubbie matrici nella terra toscana mentre,di contro,i componimenti epici e cavallereschi e principalmente le gesta dei paladini di Francia che si trovano in Toscana sono originari dell' appennino reggiano. E' necessario altresì precisare come,successivamente a questo "primario" scambio anche autori toscani si sono dedicati all' elaborazione di materia epico-cavalleresca e viceversa maggiaioli reggiani hanno diffuso ed elaborato scritti di Maggi di carattere storico-religioso. E' importante notare che lo scambio di queste opere non avveniva nella forma culturale istituzionalizzata,ma ad un livello dì cultura che possiamo definire contadina. I


protagonisti di questa forma di ibridazione culturale erano infatti,nella gran parte dei casi i contadini di entrambe le zone,la cui occasione di incontro era data dalla circostanza di trovarsi a lavorare insieme,a volte nelle medesime proprietà terriere, gli uni come mezzadri e gli altri come lavoratori stagionali. A questo proposito si può citare il fatto che un contadino di San Vincenzo, alle dipendenze del Conte della Gherardesca donò ad un nostro autore di Maggi un componimento storico -religioso in cambio di un altro di carattere epico. Si può così facilmente capire come, una volta che l'emigrazione aveva dato la possibilità di uno scambio culturale fra queste regioni,lo spettacolo, da religioso e storico che era in Toscana, venisse ad assumere, pur mantenendo invariate molte altre caratteristiche, l' influenza culturale popolare della materia epico-cavalleresca tipica dell’ appennino reggiano, sulle cui propaggini nacquero ed operarono due dei maggiori poeti di tale corrente: il Boiardo e l' Ariosto. La diversa accoglienza che fu fatta dal popolo e dai poeti di corte a questa materia fu l' inizio di una sua discriminazione fra poesia popolare o poesia aulica. I poeti di corte, maggiore fra tutti 1' Ariosto,raggiunsero la poesia attraverso l' ironizzazione di una materia che era il riflesso di un' altra civiltà che non aveva alcuna radice nel terreno storico sul quale essi vivevano. "Uomo mezzano e borghese come quasi tutti i letterati del suo tempo" ha scritto il De Santis dell' Ariosto. Poeta non impegnato diremmo oggi. Il popolo invece accolse questi racconti e leggende perché consoni alla propria "anima". Ritrovò in essi cioè quel sentimento di una giustizia immanente nelle cose e nello stesso tempo la possibilità di eludere in un mondo meraviglioso la realtà, intesa in quel modo un po' fatalistico che è proprio degli strati popolari che hanno subito la sventura delle dominazioni e delle guerre e dal vivere quotidiano al margine di un ceto egemone. Così fu per i Brettoni,autori della maggior parte di questi racconti e leggende, costretti a difendere la loro indipendenza etica dai costumi e dalle leggi dei vincitori romani. Ma non solo la trasposizione teatrale popolare di questa materia era per la comunità il modo più efficace di rivincita interiore nei confronti delle contraddizioni e dei conflitti derivati dai ruolo sociale del singolo elemento cioè indispensabile per la soddisfazione dei bisogni culturali secondari-, ma era anche all' origine di un processo di fermentazione culturale di notevole entità ed importanza.


Il D' Ancona,nella sua nota opera sulle origini del teatro italiano,ad un certo punto afferma che i1 valore di questi Maggi scemerebbe assai se si potesse provare che gli autori di essi non hanno inventato ma ridotto a maggio qualche opera anteriore. Dappoichè si può in generale asserire non esservi alcun maggio del quale l' argomento e la tessitura drammatica siano originale invenzione del rustico poeta ... Si veda dunque ... che il fare un Maggio non è difficile cosa, perchè l' invenzione non è generalmente propria dell' autore, il quale vi mette di suo soltanto la poesia e qualche volta la sceneggiatura.". E' fuori di dubbio che le maggiori opere dei più famosi poeti epici rinascimentali hanno avuto un' influenza determinante sulla composizione dei maggi della nostra zona; tuttavia non siamo d' accordo col D' Ancona sui valore che egli dà alla forma dei maggio come espressione di una sub-cultura derivata esclusivamente dalla copiatura di opere precedentemente scritte. Tale autore parte necessariamente dal presupposto, Condizionato non da ultimo da un' ottica conseguente ad un tipo di formazione esclusivamente accademica, che l' elaborazione -se elaborazione era- di questi scritti fosse cosa semplice, senza tenere nella dovuta considerazione il fatto che coloro che si dedicavano a questa opera erano completamente al di fuori di qualsiasi forma di istruzione, sia a livello elementare che superiore. Tra le numerose considerazioni emerse dalla nostra inchiesta risulta infatti che alcuni compositori di Maggi erano considerati dai pubblici uffici addirittura analfabeti. Come diretta conseguenza della presa di coscienza di questi singolari episodi e di altri non meno significativi ad es. che alcuni di essi si dedicavano anche all' insegnamento- è possibile sottolineare che a quell' epoca tale forma di spettacolo creata dal popolo, e più in generale 1' intero apparato che la circondava (discussioni, decisioni in proposito ecc.),costituiva,se non 1' unica, almeno una fonte culturale di grande valore non esistendo forme di cultura istituzionale, o meglio non essendo queste ultime (per ragioni di impedimento economico e di isolamento) alla portata di queste persone. Non appena il singolo autore aveva appreso da "chi sapeva di lettere" gli elementi indispensabili alla lettura; quasi sempre procedendo autonomamente con metodo autodidatta e soprattutto spinto da un indescrivibile interesse per la materia, si


dedicava,con uno sforzo intellettuale lodevole, alla composizione dei manoscritti. Naturalmente vi è differenza fra autore e autore ma è opportuno osservare che ognuno di essi ricalca, sebbene in forme diverse le stesse orme, se non lo stesso schema, sicuro di interpretare i sentimenti, le aspirazioni dell' animo popolare cui le opere sono destinate. Ogni autore, in sostanza si preoccupa di presentare al suo pubblico un mondo diverso da quello reale; un mondo ideale,dove il bene trionfa,l' ingiustizia è bandita,l' inganno è punito e la lealtà riceve il meritato premio; un mondo dove il dolore trova il suo posto come mezzo di espiazione e di purificazione, ma alla fine è fugato dalla gioia e sublimato dalla speranza riservata a coloro che hanno perseguito sempre e in ogni caso, il bene ed il vero. Come si può facilmente notare, è questo un mondo fittizio e artefatto, destinato in modo particolarissimo ad un ambiente che la giustizia e la gioia difficilmente ha posseduto nella realtà; è un mondo che deve far dimenticare le vicende di una vita comune e monotona legata ad un ambiente naturale infido e avaro, dove 1' esistenza si conquista quotidianamente in un' esasperante e difficile lotta con gli elementi naturali tacitamente alleati a11' incomprensione e all'oblio degli uomini. La triste e quotidiana realtà, quindi, è rifiutata dagli autori del Maggio,perché il pubblico non I' apprezzerebbe. Si è tentato infatti di realizzare un copione diverso da quelli in circolazione e in auge; un soggetto destinato particolarmente al complesso e al pubblico della nostra zona che si riteneva ormai maturo e preparato; un soggetto semplice, lineare,senza complicazioni sceniche, senza gli intrighi cari al pubblico del maggio; un soggetto in sostanza che lasciasse spazio all' estro interpretativo degli attori -(tale era il "Roncisvalle" rappresentato a Costabona di Villaminozzo nel 1967)-. Non ebbe, inspiegabilmente, successo, nonostante 1' imponente sforzo organizzativo sostenuto dal complesso che per la prima volta mise in scena ben 19 interpreti. In seguito si è poi compreso che la fredda accoglienza riservata al "Roncisvalle" derivava particolarmente dal fatto che il grande paladino,l' idolo del pubblico del Maggio, muore nella gola pirenaica e 1' idolo non può morire; la realtà


non può essere raccontata quando è triste; il tradimento non può trionfare...! I migliori autori sono uomini di modesta istruzione, ma che sono riusciti a penetrare profondamente nel mondo ideale che circonda e alimenta il maggio cantato e che questo compongono, non tanto in funzione di una fama personale ma soprattutto animati dalla profonda convinzione di utilità e di integrazione culturale che lo spettacolo ha nei confronti della propria comunità. Il modo di vita comunitario trova riflessione nel momento teatrale quando si noti come lo spettacolo dei Maggi poggi essenzialmente sull' unione fra gli autori, attori e spettatori, su una perfetta e dinamica "triade" (R.Fioroni- -"I Maggi" una raccolta di ottanta componimenti manoscritti in Bollettino Storico Reggiano Anno III luglio 1970 Fascicolo n°8 pag. 17) difficilmente rintracciabile nella storia del teatro, ad eccezione di quello greco. Il secondo elemento in questa "triade", l' attore, è l' uomo semplice del paese di montagna, anche lui appartenente ai ceti meno abbienti, che però noi momento dello spettacolo impersona,nella parte affidatagli, la figura, fantastica del cavaliere medioevale, difensore di quei diritti che, nella realtà, gli sono stati indiscutibilmente preclusi. L' attore è ai di fuori di qualsiasi forma di compenso materiale, che non sia la soddisfazione personale che egli prova e il plauso dei compagni e del pubblico; egli è il ponte tra l' autore e lo spettatore:per poter meglio servire da tramite, è necessario che sia uno di questi, partecipe cioè allo spirito che informa e anima lo spettacolo. E' interessante notare a questo punto come tale plauso che 1' attore riceveva dalla comunità, a guisa di vera e propria gratificazione, costituiva un tempo quella che potremmo definire la nota "mondana" dello spettacolo poichè sempre, l' attore che aveva buone capacità canore e interpretative era ben voluto e stimato da tutti e più di una volta persino corteggiato dal pubblico femminile. Ma quando parliamo del pubblico, cioè della terza importante componente dello spettacolo maggistico, ci riferiamo non agli spettatori occasionali, quali potremmo essere ciascuno di noi, anche se animati dalle migliori intenzioni,ma a quelli veri, affezionati al Maggio, che con 1' attore vivono la vicenda fino all' inverosimile, compenetrati nell' azione scenica,impegnati a sostenere e ad incitare 1'interprete buono e a condannare la mala


azione del perfido; disposti all' applauso non tanto perchè un particolare momento della vicenda è ben interpretato, quanto perchè esprime un bel concetto. Se ci considera poi che il pubblico del maggio è dotato di una fantasia eccezionale, che riesce cioè, a vedere nel telo azzurro disteso per terra il grande fiume,in una tenda il turrito maniero,in alcuni uomini disposti gli uni contro gli altri sterminati eserciti, vien fatto di pensare che la collaborazione che gli spettatori offrono agli interpreti è davvero singolare. Non vi è distanza fra gli elementi come nel teatro: spettatori,attori e autore formano un tutt' uno e si intersecano a vicenda: la fantasia arriva dove la realtà scenica non potrebbe, quasi a dimostrare che quando si è afferrato 1' intimo significato, il valore profondo di uno spettacolo, l' esteriorità ha un' importanza relativa e del tutto secondaria. Sono infine questi spettatori che trasmettono agli attori, silenziosamente, esprimendo con tanta passione i propri sentimenti di gioia e di dolore, una carica, una vitalità e una sensibilità indescrivibile che costituisce il filo invisibile che collega questi elementi ed influisce conseguentemente sulla buona riuscita dello spettacolo. Come espressione artistica popolare di questi contenuti il Maggio si presenta in modo coerente all' orientamento valori del tipo di società nella quale si manifestava e di cui era elemento tanto importante del processo di inculturazione. Ora però, non è possibile datare esattamente il momento in cui lo spettacolo ha cominciato ad essere tale per la semplice ragione che non è esistito un "momento", nel senso letterale del termine, ma una sequela di fattori concomitanti articolati in un periodo piuttosto lungo,che lo hanno in realtà determinato. Si può dire tuttavia che la fase,non molto avanzata ma già sufficientemente in atto, del processo di industrializzazione che l'Italia settentrionale ha subito agli inizi del XX secolo e maggiormente i suoi maggiori sviluppi in direzioni di consolidamento, sono alla base, questa volta, della nuova modifica strutturale operata nelle zone dell'appennino reggiano. Fermo restando il fatto che 1 ' economia di questo territorio era rimasta sostanzialmente invariata e si basava perciò in gran parte sull' agricoltura - costringendo così i suoi abitanti ad insistere nella ricerca di un miglioramento economico delle proprie condizioni attraverso la pratica dell' emigrazione- si assisteva


in questo periodo alla formazione di due fenomeni simultanei e fondamentali: il cambiamento di direttiva e il cambiamento di carattere del movimento migratorio. Sono state così le città di Milano e di Genova principalmente, in gran parte ancora 1' estero e in ogni modo più in generale la pianura padana coi suoi centri industriali minori, le mete dove si dirigevano coloro per i quali, a conti fatti, il restare in montagna, a "tirare a campare", era diventato ormai sinonimo di una condizione di stento che poteva essere facilmente migliorata. Analogamente, la diversa manodopera che esigeva il lavoro industriale costringeva necessariamente le persone ad un tipo di emigrazione a carattere stabile che ben poco tempo concedeva per il ritorno al proprio paese e di conseguenza dava al singolo il supporto necessario all' acceleramento dei processi concomitanti di obliterazione dei valori culturali originari ,che ormai appaiono desueti, e di assuefazione alla più moderna forma culturale, che meglio soddisfa le mutate esigenze. Se dunque queste persone e nella maggior parte i giovani,che nella società precedente erano stati gli eredi e a loro volta i portatori dei valori culturali che stavano alla base del successo dello spettacolo popolare del maggio, si staccavano, non tanto dalla famiglia, quanto dalla comunità e dalla cultura d'origine e non più provvisoriamente ma in modo stabile e permanente, veniva però gradualmente a mancare quella che era stata la linfa vitale, costituita dalla comunanza di interessi e di sentimenti, che aveva alimentato il successo e il mantenimento queste tradizioni popolari. Si veda dunque come, se alla base di quel "primario" processo di acculturazione vi era stato il carattere di un' emigrazione stagionale che aveva determinato, parallelamente ad un tipo di contenuto profondamente sentito e condiviso, la conseguente forma di espressione teatrale popolare; il cambiamento non solo di direttiva, ma soprattutto di contenuto ha determinato la fine del successo dello spettacolo che continua a proporre valori ormai disfunzionali al nuovo orientamento culturale o almeno li esprime in modo del tutto inadeguato. Gli è però che, la "fine del successo dello spettacolo" non significa necessariamente la "fine del Maggio", o si affermerebbe la sostituzione del "genio" (o carattere) di una cultura in troppo breve spazio temporale e si negherebbe nel contempo ogni forma di


proprietà "accumulativa" in virtù della quale la tesaurizza le esperienze di generazione in generazione.

cultura

Come sostiene infatti il Monti, l'esistenza del Maggio è legata inequivocabilmente alla sopravvivenza di persone "alla buona"; ma bisogna innanzitutto intenderci sul significato di questa affermazione che a noi sembra valida solo se interpretata in questo modo. (Vedi U.Monti -Il Maggio nella montagna reggiana1925).Le persone "alla buona" del Monti non è che siano scomparse fisicamente del tutto (sono infatti i nostri nonni, la generazione cioè a cavallo tra il XIX e XX secolo), anche se è cambiato il loro "status" sociale, è scomparso però il modello di società e di cultura che li aveva partoriti e, anche se i loro figli hanno avuto in parte da essi 1' eredità socio-culturale, non è stata di certo quest' ultima sufficientemente radicata per essere successivamente trasmessa ai nipoti, (che ora scrivono qui). L' esistenza di persone "alla buona" del Monti è quindi, a nostro avviso,legata alla sopravvivenza del "successo dello spettacolo" e non a quella del "maggio"; sono esse, infine che, attraverso la loro presenza fisica e soprattutto ideale costituiscono quella genuina "folk society" che si definisce in contrapposizione con la società urbana ma che in realtà vive in simbiosi con essa. Ad allargare quella che era in un primo momento una scissura in ciò che è considerato oggi un abisso -il processo cioè di socializzazione di queste generazioni svoltosi in contesti socioculturali diversi e che assume quindi carattere conflittuale - è valso senza dubbio ed in misura notevole, la funzione che hanno assunto i mezzi di comunicazione di massa in generale e il cinema e la televisione in particolare nella nostra zona intorno agli anni 50 e in tutta l'epoca successiva. Polo di attrazione di un originale esempio di promiscuità culturale,che si alimentava fondamentalmente dall' incontro degli abitanti provenienti dai diversi luoghi di emigrazione, la montagna reggiana era ora inserita in un "secondario" processo di acculturazione manifestatosi, questa volta, in un deciso rifiuto nei riguardi della cultura originaria. Non più la Toscana dei conti e il momento di scambio culturale dell' emigrante stagionale, ma le città del settentrione e il modo di vita tipico dei grandi centri industriali ne sono state la matrice. Nel nuovo contesto sociale lo spettacolo in genere ha assunto una forma e soprattutto una funzione completamente diversa.


Mentre in passato, nella società comunitaria patriarcale, era elemento tanto indispensabile di integrazione culturale, ora, mutate le condizioni economiche e socio-culturali, ha assunto quasi esclusivamente una funzione di svago che trova la sua collocazione temporale nel modo di impiegare il tempo libero. All' interno di questo fenomeno si potrebbe quasi "datare" la fine della rappresentazione popolare con 1'avvento delle comunicazioni di massa che hanno assorbito l' interesse creato da questi spettacoli, sostituendo valori legati alla tradizioni, con altri che poco importa definire ma che è necessario sottolineare come sostanzialmente determinati da condizionamenti di tipo economico e consumistico. Vi è stato a questo punto, da parte di persone particolarmente sensibili al problema dell'esistenza di un "arte autenticamente popolare", un interessamento orientato alla ripresa di queste tradizioni. Si è cercato allora di modificare lo spettacolo in base alle nuove esigenze,riducendo la reale durata della rappresentazione ad un tempo più breve, o adeguandola ad un pubblico infantile, e ancora partecipando con esso a concorsi di spettacoli folkloristici, o addirittura trasmettendo il Maggio per televisione; tutto questo, fra l'altro, collocato in un periodo dell'anno (ferragosto) totalmente diverso dall' originario e che viene ad avere così un 'evidente intento di richiamo turistico. In sostanza, con questi adattamenti, si vuole proporre ad un pubblico eterogeneo, qual ' è quello delle comunicazioni di massa, lo spettacolo, il successo e 1' essenza del quale è necessariamente 1egata ad un determinato tipo di spettatore che, da come lo si è, precedentemente descritto,non è, certo 1' utente atomizzato dei mass-media. La risultante nuova di tutto ciò è stato invece il deterioramento della vecchia cultura popolare con i suoi valori etnici e con essa la degradazione délla forma teatrale dello spettacolo ad un prodotto artistico commerciale. E' interessante infine rilevare come le comunicazioni di massa hanno avuto entro tale processo una funzione che non è stata meramente attivante, tale cioè da rendere più rapido un processo che si sarebbe ugualmente sviluppato in modo consimile, bensì una vera e propria funzione precipitante, tale cioè da fare in modo che il risultato della promiscuità culturale cui è stata soggetta la nostra zona fosse qualche cosa di diverso da quello che sarebbe


stato se non fossero intervenute le comunicazioni di massa con il loro potere emulsionante dei messaggi. E quando queste hanno agito più specificatamente nell' ambito della diffusione dello spettacolo popolare del Maggio hanno contribuito in misura notevole alla formazione di un vero e proprio movimento a carattere contro-acculturativo destinato però ad un successo solo superficiale e che ha comuque dato vita ad una produzione di tipo kitsch, avente una funzione sostitutiva nei riguardi di una mancata, originaria, autenticità. Perciò, anche se gli sforzi delle persone che attualmente si impegnano per il mantenimento di questa tradizione sono certamente lodevoli, dal momento che la loro opera non è orientata al raggiungimento di un profitto personale ma persegue un fine funzionale all' interesse di una determinata zona, bisogna tuttavia ammettere che, in questa direzione, lo spettacolo popolare del maggio ha cessato decisamente di assolvere alla funzione culturale che le era propria. E' necessario a questo punto porsi alcuni interrogativi. Il modo di esprimersi a voce piuttosto alta e con un gesticolare abbastanza evidente è forse una forma di eredità culturale del Maggio che continua a sussistere nel carattere tipico del montanaro reggiano? E ancora, si ritrova forse in questo modo di esprimersi, che a volte assume un tono "prepotente", il bisogno di riscatto alla propria situazione di sfruttamento che attualmente caratterizza 1' operaio emigrato proveniente dalla zona in considerazione? Per concludere quindi, cercando sempre di esimersi da qualsiasi valutazione che pretenda di essere strettamente ortodossa e parcellare e perseguendo invece una logica di natura possibilista, dobbiamo , a nostro avviso, aggiungere che nonostante 1' inevitabile fine del Maggio come forma di spettacolo popolare, il "Maggio" rimane, continuando ad esistere, in modo diverso od in misura minore, come elemento secondario e derivato da un tipo di cultura che tanto ha contribuito allo sviluppo del carattere degli abitanti della nostra zona e che ancora ha parte in esso.

ALLEGATI Descrizione di un Maggio


La scena si svolge in sei località principali: Persia,la Gallia,Trebisonda e il Monte Croce.

Parigi,

Roma,

Dopo I' entrate., con in testa il buffone poi i suonato e quindi i maggiarini,fatto due volte il giro del campo e appostatisi a gruppi nelle loro tende, un guerriero canta l' annunzio: -Resto pien d' ammirazione nel vedermi contornato da un contorno si pregiato di magnanime persone. Il Maggio è tolto dalle avventure di Guido Santo figlio di Ruggiero. Siamo fra gli epigoni della grande cavalleria. E' un maggio con diverse azioni principali. In primo Gandelino fa una spedizione, insieme con Sardio e Olibello, per liberare Parigi dalla dominazione di Rainiello,nipote di Gano della stirpe dei Negansesi. Mentre i tre guerrieri, che rappesentano un esercito, vanno, si incontrano con un romito che non ò altri che Uggero il Danese, paladino di Carlo Magno. Dice infatti: Per voler del sommo Iddio qui con me vi riposate fui già prima lo sappiate come voi guerriero anch' io.

Ero il quarto paladino presso a Carlo in tante imprese superai sono il Danese diventato pellegrino.

Dopo il colloquio col romito i tre guerrieri vanno sotto Parigi, difesa da Rainiollo,Grifone e Prinabello.


Parigi è presa e Rainiello fugge e si reco a Trebisonda, 'città conquistata e posseduta da Armida, pronto a rinnegare Cristo. Intanto la maga Rosetta estrae da sottoterra l'armatura di Pentesilea, Regina delle Amazzoni, per darla ad una guerriera che difenderà Parigi. Il re di Persia Rodoferro con Orloforte, meditano un attacco a Trebisonda.

Achille

ed

Ettorina

Durante la marcia si smarriscono Achille ed Ettorina i quali hanno strane vicende e duelli; fra 1' altro Ettorina riceverà la spada di Pentesilea dalla maga Rosetta. Rodoferro giunto sotto Trebisonda fa chiedere ad Armida la resa della città. La guerriera risponde all'ambasciatore: Riferisci come Armida rifiutò tale ambasciata; Trebisonda ho conquistata mia sarà: rendo la sfida. La lotta non è di lunga durata, anzi tra Armida e Rodoferro si fa pace ed alleanza col proposito di andare,col rinnegato Rainiello, a riconquistare Parigi. Canta la regina: Senza più fermata alcuna far vo' in Francia i miei prodigi sulle torri di Parigi vo' innalzar la mezzaluna. E dopo pochi passi: Eccolà la capitale della Francia o miei guerrieri; bei palazzi bei quartieri nostra sia se forza vale. Anche Cladinoro è ferito mortalmente ma ha ancora tanta forza, approfittando di una distrazione di Guidone,da atterrare la statua.


Sciolto l' incanto, Guidone riprende la sua conoscenza, riconosce il male fatto ma non è più in tempo per rimediano. Cladinoro morente canta: Contento morirò caro nipote poichè ti ho liberato dal recinto il mio sospir si arresta il cuor si scuote pochi minuti e poi rimango estinto. E Guidone gemendo: Tu mi trapassi il cuor con queste note 1' incanto m' inganno, sarai convinto; se conosciuto il vero avessi prima ; avrei punito quella sorda lima. E uccide la maga. Quindi Giudone va a Parigi ad aiutare Gandolino ma nel viaggio una brutta sorpesa l'attende.Trova morente in un bosco, Perinda, l'amante sua, uccisa poco prima da Idromoro. Arriva appena in tempo per riconoscerla. Perinda muore e Guidone canta: La vita che mi resta la passerò piangendo ansioso il punto attendo di ritrovarti in ciel. Idromoro,ferito anche lui gravemente nello scontro con Porinda, va dal Danese che lo cura,e gli rivelo l'esser suo. Egli è figlio naturale di Ricciardetto e accetta il battesimo.

Tesina per l’esame di antropologia culturale a Sociologia a Trento col prof.De Mauro.


Dalla tesi di laurea IL MAGGIO NELL’APPENNINO REGGIANO di ANNA BIANCHI Università di Parma 2006

Emilia e Toscana L’area del Maggio Drammatico può essere limitata alla zona dell’Appennino tosco – emiliano, in particolare le province di Reggio Emilia, Modena, Massa Carrara, Lucca e Pisa. In tempi passati lo si poteva ascoltare anche in alcuni paesi parmensi e bolognesi, tuttavia la tradizione è andata esaurendosi. Per potere delineare i tratti principali, sottolineando analogie e differenze tra tali esperienze, prendiamo in considerazione tre sub-aree, le quali hanno dato forma a generi diversi di Maggio, che sono stati analizzati a fondo da Venturelli.(1)

TOSCANA Area pisano lucchese “E’ la più meridionale delle aree e quella culturalmente meno omogenea; comprende la Val di Lima, la Lucchesia, il territorio dei Monti Pisani. I testi che sono stati rappresentati in quest’area dal 1970 in poi sono per lo più drammatici o religiosi, soltanto eccezionalmente si rappresentano Maggi epici. I temi drammatici prediletti sono per lo più tratti da storie o romanzi ampiamente diffusi tra il popolo, come Pia de’ Tolomei, Genoveffa, Bianca e Fernando, o da opere teatrali di origine colta, ma note ed apprezzate anche popolarmente, come Giulietta e Romeo, Cavalleria Rusticana, o da antichi miti e tragedie, come Medea e Demofoonte. I Maggi di quest’area sono sempre in quartine di ottonari a rima incrociata (a b b a): il metro più antico e tradizionale. A Buti (PI) l’insieme di quartine settenarie, che raramente si possono trovare, viene detta «romanza». In questa zona tutti i testi, come ovunque conservati manoscritti, quasi mai subiscono modificazioni o rifacimenti: tutt’al più si possono eliminare alcune stanze, ritenute non indispensabili, per accorciare lo spettacolo e renderlo più accetto al pubblico contemporaneo. Dopo avere scelto il testo, la compagnia passa all’assegnazione delle parti; in questi momenti si tengono presenti le caratteristiche di attori e personaggi, vale a dire che, ad esempio, non si farà interpretare un personaggio vecchio da un attore giovane e nel caso in cui non si possa evitarlo, si tenterà di renderlo il più veritiero possibile attraverso trucchi ed accessori. In tempi recenti le parti femminili sono interpretate da donne, una volta, invece, erano gli uomini che assumevano tutti i ruoli, opportunamente abbigliati.

1

G. Venturelli, “ Le aree del Maggio” in “Il Maggio drammatico. Una tradizione di teatro in musica” a cura di

T. Magrini, edizioni ANALISI, Bologna – 1992 – pag. 45 sgg.


In tutte le compagnie troviamo la figura del capomaggio, che è un regista sui generis. E’ quasi sempre un anziano con esperienza di maggiante; è sempre una persona che viene giudicata esperta dai più, alla quale si riconoscono doti organizzative. Si occupa della preparazione dello spettacolo come un normale regista, ma è anche un impresario che decide come e dove debba avvenire lo spettacolo, quali richieste accogliere e a quali condizioni. E’ caratteristica di tutta l’area pisano-lucchese rappresentare il Maggio in teatro o, quando non si disponga di un teatro, su di un palcoscenico costruito appositamente, con il pubblico disposto frontalmente. I fondali vengono ideati e dipinti dalla compagnia stessa, a seconda del testo rappresentato, i temi tuttavia sono limitati: un bosco, un giardino, un castello. In passato, poteva succedere che il Maggio venisse cantato all’aperto e tale modalità viene definita “a piazza”. Per ciò che riguarda i costumi, questa è un’area abbastanza eterogenea, vale a dire che alcune compagnie noleggiano i costumi nei teatri, altre portano avanti la tradizione di cucirli da soli. In quest’area, la maggior parte delle rappresentazioni avviene senza l’utilizzo di strumenti musicali, solo nel caso di Buti (PI) si ha l’intermezzo musicale, eseguito da un clarinetto, tra una stanza e l’altra. I personaggi rituali che compaiono in tali Maggi sono ormai ridotti al solo Paggio, che solitamente è interpretato da un ragazzo, che canta alcune quartine, ringraziando il pubblico, pregandolo di assistere silenzioso ed inoltre fa un augurio affinchè la stagione sia propizia e doni un abbondante raccolto. Altri personaggi, quali il Buffone e il Diavolo non vengono più inseriti nel copione. Poiché sono spettacoli rappresentati al chiuso, vengono divisi in atti e scene come le altre opere teatrali: così quando i personaggi non sono in scena, si rifugiano dietro le quinte, al fine di dare vite ad una storia più realistica possibile, cosa cercata anche attraverso i costumi, gli arredi e i gesti. Area garfagnino – lunigianese E’ limitata al territorio della Garfagnana, del Barghigiano e della Lunigiana. I testi qui più frequentemente rappresentati sono di carattere epico e drammatico, rari sono quelli religiosi. I primi non ha, se non sporadici, riferimenti alla tradizione colta e i fatti narrati sono invenzione degli autori. Invenzione sui generis, perché in realtà si tratta di variazioni ed elaborazioni di pochi nuclei tematici variamente combinati. La trama più ricorrente, può essere così riassunta: ci sono due regni antagonisti, uno dei quali è di fede cristiana, l’altro di fede pagana. Un qualsiasi pretesto fa scoppiare la guerra fra i due popoli con alterne vicende di vittorie e sconfitte. Il figlio del re cristiano è fatto prigioniero dai malvagi e la figlia del loro re si innamora del prigioniero, arrivando a farsi battezzare. Il re, venutolo a sapere, incaricherà i servi di ucciderla, ma questi, impietositisi, la lasceranno andare ed ella si rifugerà dall’esercito cristiano, mettendolo a conoscenza dell’imminente esecuzione del principe. Scontro finale tra i due eserciti,


gli infedeli saranno sconfitti e il loro re morirà in battaglia, o, in alternativa, si suiciderà per l’onta subita. I giovani riusciranno così a convolare a nozze. Dal punto di vista metrico, uno degli elementi tipici di quest’area è la stanza del recitativo, o stanza a Maggio, cioè la quintina di ottonari (a b b a a). Più frequenti che altrove sono le ariette e le ottave. I testi sono conservati manoscritti, ogni volta che vengono copiati subiscono numerose e vistose variazioni. Normalmente il nome dell’autore non viene tramandato e la tradizione vuole che, ad ogni copiatura, venga indicata la data in fondo e il nome del copiatore. Qui le parti vengono assegnate solo in base all’abilità nel canto, senza preoccuparsi dell’aspetto fisico o dell’età. Spesso i ruoli vengono tramandati da una generazione all’altra, per cui la parte del re verrà assegnata al figlio o nipote di colui che la interpretava anni prima. Un tempo capomaggio e suggeritore erano la medesima persona. Oggi, possiamo avere uno sdoppiamento dei ruoli e ciò avviene soprattutto quando tra i cantori ce n’è uno particolarmente apprezzato per doti vocali e capacità d’attore e, allo stesso tempo, riconosciuto dalla comunità come esperto ed intenditore di testi del Maggio, nonché dotato di capacità manageriali. Il suggeritore è l’anima dello spettacolo: senza di lui è inconcepibile cantare. E’ sempre in scena, col copione in mano segue passo passo ciascun maggiante e suggerisce i versi che dovrà recitare. Gli attori, infatti, imparano a memoria i versi solo raramente. Il pubblico che assiste allo spettacolo, non fa caso al suggeritore: preso dagli attori carichi di lustrini e colori, abili nel canto difficile e decoratissimo. Tutte le compagnie di quest’area rappresentano i loro Maggi all’aperto e quindi, gli spazi scenici possono essere vari. Il più comune è un prato con qualche albero che rechi ombra, o una radura nei boschi; ma può anche andare bene una piazza all’interno del paese, oppure il sagrato di una chiesa. Lo spazio scenico è delimitato da una recinzione, in modo tale da evitare la troppa vicinanza pubblico/maggianti. Non si utilizzano mai quinte o fondali; sulla scena soltanto due tavoli e tante sedie quanti sono gli attori; inoltre, vi si trova la prigione, la quale viene resa da una specie di stuoia fatta di rami fronzuti. Il pubblico, che assiste con partecipazione viva, è composto per lo più da persone di estrazione popolare, che sono appassionate al punto da prevedere lo svolgimento della storia e capire quando i personaggi vengono interpretati nel migliore dei modi. Nessuna compagnia prende a noleggio i costumi nelle sartorie teatrali, cosa che avveniva un tempo. In ogni compagnia i costumi maschili sono assai simili tra loro; non c’è quasi mai distinzione tra l’abbigliamento del re e quello dei principi, notabili o semplici guerrieri. Il re si riconosce dalla corona di latta o di altro materiale dorato, e dallo scettro in legno. Se è un re cristiano avrà una piccola croce, se è pagano avrà sulla corona la mezzaluna. Il costume maschile è costituito dal copricapo (elmo, turbante, corona), dal mantello, da un corpetto, da pantaloni e, a volte, un gonnellino corto. Il costume femminile è molto più semplice e non


presenta mai elementi decorativi, quali nastri, lustrini, coccarde, dei quali è ricco il costume femminile. E’ sempre un abito lungo, stretto in vita e con gonna assai ampia. Secondo l’intenzione dei maggianti dovrebbe essere un abito di foggia antica, elegante e degno di essere portato da personaggi regali. I personaggi non eroi, come il mercante, l’eremita, la balia, vengono vestiti in abiti quotidiani, possibilmente di foggia antiquata. Tutte le compagnie di quest’area cantano sempre con accompagnamento strumentale e la tradizione vuole che lo strumento di base sia il violino; in passato questo era accompagnato dal violoncello. I brani musicali che accompagnano questi Maggi, vanno da un minimo di tre ad un massimo di cinque. I tre adoperati costantemente sono: quello per le stanze a Maggio, quello per le ariette e quello per le ottave. Alcuni violinisti eseguono una quarta melodia: si tratta della cosiddetta marcia della processione con cui vengono accompagnati i maggianti sul luogo scenico e durante le tonde. Il quinto brano strumentale è la moresca: antica danza armata che un tempo veniva eseguita alla fine dei maggi versiliesi e garfagnini. Le figure rituali sono presenti in queste zone: il Paggio è interpretato da un ragazzo vestito di una tunica bianca, legata in vita da un nastro bianco o azzurro, in testa ha una coroncina di fiori, che, una volta finita la sua parte, lascia presso un albero della scena o getta sul pubblico. Il Diavolo viene quasi sempre eliminato, poiché percepito come figura irreale in mezzo a vicende sentite come vere. Le poche apparizioni sono “comiche”, vale a dire che il personaggio entra in scena per portare via le anime dei malvagi che non si sono pentiti in punto di morte. Il buffone ha la funzione di intervenire nei momenti di crisi dello spettacolo, cercando di evitare che il pubblico si accorga del disguido (una corda di violino rotta, l’ingresso in scena ritardato di un attore ecc…). All’inizio dello spettacolo i maggianti arrivano in processione sul luogo scenico dove già si trova il pubblico. Se c’è il paggio, è lui che apre la sfilata, seguito dal violinista, dagli altri suonatori e dal suggeritore. Quindi tutti gli altri componenti della compagnia, prima i cristiani e poi gli infedeli, tutti in rigoroso ordine gerarchico. Il buffone non ne fa parte e inizia già a questo punto dello spettacolo a cimentarsi in giochi e scherzi a danno dei maggianti. Giunti sul luogo della rappresentazione, compiono le cosiddette tonde: percorrono cioè per tre volte, sempre al ritmo di marcia, il perimetro dello spazio scenico e se il pubblico, che è disposto circolarmente, non ha lasciato uno spazio sufficiente, per mezzo di esse, che ogni volta si fanno più ampie, lo allontanano fino a quando non giudicheranno la scena essere idonea. Al termine dello spettacolo, sconfitti e vincitori, buoni e cattivi, si dispongono al centro della scena in un cerchio serrato e cantano coralmente alcune ariette, dove si ringrazia il pubblico per l’attenzione prestata e per le offerte elargite durante la questua; si chiede scusa per gli errori commessi e si invita allo spettacolo successivo.


Si può dire che lo spettacolo è condotto su passi di danza; tutti i maggianti infatti, mentre sono in scena, muovono continuamente i piedi, seguendo il ritmo degli strumenti musicali: ciascun attore si ferma mentre canta e, terminato il canto, riprende il movimento che consiste in brevi passi cadenzati, per lo più in direzione laterale. La gestualità degli arti superiori è sempre molto enfatica e conosce un limitato numero di mosse che vengono via via ripetute a seconda delle esigenze del copione. L’intera area garfagnino-lunigianese predilige i maggi epici, sempre ricchi di duelli, giostre e battaglie, anche se intermezzate da trame drammatiche. L’armatura dei guerrieri consiste in una corta spada di legno e in uno scudo romboidale dello stesso materiale. Duelli e battaglie sono combattuti sempre in maniera molto formalizzata, tanto da apparire come vere e proprie danze armate. Il rumore secco delle spade di legno che si incontrano con violenza è sempre a tempo con il ritmo suonato dagli strumenti, anche se non si canta mai nel momento dello scontro. Poiché le spade sono piuttosto corte, i guerrieri devono combattere fronteggiandosi da vicino, il che rende lo scontro serrato e faticoso. Il guerriero che canta immediatamente prima dello scontro, appena ha finito di cantare e prima di compiere la lotta, compie alcuni gesti per mostrare tutta la sua ira (un energico colpo di spada sul terreno o sul proprio scudo, oppure un salto con la spada sguainata)”.

EMILIA - ROMAGNA Area Reggiana - Il canto e la musica Per quanto riguarda il metro e le strofe usate nei Maggi, la preferenza va alla quartina di ottonari incrociati (a-b-b-a)(2), che può essere ritrovata nelle maggiori composizioni poetiche popolari e che viene chiamata “stanza a Maggio”. Propria del Maggio Reggiano è la quartina detta “campetto”, che prende il nome dalla sua forma quadrata, la quale ricorda un piccolo campo. Questa disposizione è un valido aiuto per il maggiante che deve ricordarsi il testo, anche se il suo non è un vero e proprio “imparare a memoria il copione”, dal momento che sulla scena è sempre presente il suggeritore(3), che interviene alla minima incertezza dell’interprete. Quest’ultimo deve ricordare il senso complessivo della quartina in modo tale che “[…]quando gli viene suggerito il primo verso, automaticamente la memoria scatta sull’ultima parola della 2

Altri metri vengono usati in situazioni “particolari” della narrazione, così ad esempio, troviamo

l’endecasillabo a sottolineare i momenti introspettivi, poiché la sua ricchezza permette di introdurre maggiori sfumature; il settenario, invece è più adatto alle invocazioni o all’oratoria, infatti pone accenti decisi sulle toniche e sulla “tronca” finale. Nella zona emiliana, tali strofe atipiche vengono chiamate “sonetti”. 3

Il suggeritore prende il nome di campionista (ovvero, colui che regge il campione tradizionalmente

manoscritto) o cerimoniere (titolo che evoca il maestro di cerimonie, cioè colui che, nel dramma medievale, aveva la funzione di suggeritore).


quartina, richiamando all’interno delle due sillabe omeotoniche il significato approssimativo dell’intera strofa”.(4) “L’elemento minimo della scena, la quartina, viene interpretato su uno schema di intonazione (definito modulo Q) articolato in quattro segmenti melodici coincidenti con i versi ottonari e conclusi ciascuno da una cadenza. Il segmento si divide a sua volta in due sezioni melodiche discendenti normalmente separate da una pausa. […] L’articolazione del modulo Q consente un uso molto elastico dal punto di vista drammaturgico”(5), questo perché tale articolazione consente di spezzare la quartina in elementi melodici che possono essere affidati ad interpreti diversi. “In questi casi spesso si affida a ciascuno dei due interpreti una coppia di versi, interrompendo il modulo sulla cadenza del secondo segmento. Si hanno anche esempi di divisioni asimmetriche della quartina, che sfruttano le cadenze melodiche del primo e del terzo segmento. Nelle scene di maggiore concitazione drammatica un singolo personaggio può interpretare anche solo un verso o un singolo emistichio del campetto. L’articolazione del modulo, che ne rende possibile la scomposizione in elementi melodici affidabili ad interpreti diversi, fa sì che l’apparente unità del numero sia infranta, consentendo la varietà del dialogo drammatico”.(6) L’equivalente del libretto operistico prende qui il nome di “campione” ed è l’unico che muta nel dramma popolare: viene steso per iscritto, ha autore, storia e data precisi. “Oltre che poeta, l’autore appare anche quindi responsabile della drammaturgia musicale del Maggio, poiché la condiziona attraverso la elaborazione testuale della fabula. […] conosce a priori i mezzi sonori riservati all’esecuzione e ne fissa direttamente la distribuzione nello spettacolo attraverso la variazione delle forme poetiche, tradizionalmente associate a particolare veicoli melodici.”(7) “Fra gli elementi che determinano l’identità del Maggio nel panorama delle forme drammatiche della tradizione popolare italiana, la musica riveste un ruolo di primo piano. Il copione viene infatti interamente cantato, utilizzando moduli melodici di tradizione orale. Le melodie proprie del Maggio stabiliscono il ritmo e l’intonazione della parola. I tempi dell’azione scenica sono determinati dai tempi dell’azione sonora. In questo senso la musica va ad incidere profondamente sul processo di comunicazione e ne evidenzia in maniera immediata il carattere artificioso e antinaturalistico. Inoltre nel Maggio la musica appare come una costante dello spettacolo, mentre è il testo che si presta all’innovazione. Nella realizzazione musicale

4

L. Dall’Aglio,”Gli elementi del Maggio drammatico attraverso testi e rappresentazioni dell’Appennino

Reggiano”, tesi di Laurea, pag. 172 5

T. Magrini, cit., pag. 142

6

T. Magrini, “Il Maggio drammatico”, cd – rom, SiLab Edizioni Multimediali, Firenze, 2003

7

T. Magrini, “La musica del Maggio” in “Il Maggio drammatico. Una forma di teatro in musica”, ed. Analisi,

Bologna – 1992 - pag. 130. L’autrice, inoltre, sottolinea come questo ruolo possa essere ricoperto non solo dall’ autore, ma anche dal capomaggio, cioè colui al quale è affidata la direzione dello spettacolo (il moderno regista).


del Maggio si rileva l’impiego di una tipologia limitata di unità musicali: le forme principali sono il modulo melodico destinato all’esecuzione della quartina, l’ottava (o sestina), il sonetto, il ritornello strumentale, la marcia d’apertura, il coro d’apertura”.(8) La rappresentazione si sviluppa tra una marcia iniziale, che accompagna la processione dei maggerini che entrano in scena, e il coro conclusivo. La marcia è eseguita da suonatori che aprono il corteo e solitamente vi si trovano un violino, una fisarmonica e un tamburo. Il coro conclusivo ha modalità del tutto diverse rispetto alla marcia d’apertura, infatti gli attori si chiudono a cerchio, come se volessero dedicare un momento solo a coloro i quali hanno partecipato attivamente alla rappresentazione, escludendo così il pubblico. .“Appaiono insolite in questo episodio sia l’esecuzione corale che la presenza, a livello musicale, di un’omofonia arricchita da momenti accordali, che porta nel dramma musicale una traccia della tradizione polivocale emiliana in contrasto con il caratteristico stile monodico del Maggio. All’eccezionalità della condotta musicale, non a caso confinata in un numero a sé stante che segue la conclusione dell’azione, si accompagna l’estraneità del testo del sonetto nei confronti della narrazione: nei versi conclusivi si enuncia la morale e si invita il pubblico a dimenticare i lutti e a gioire ancora: Non più si stringe al seno dei morti la vendetta. Lieto ciascun si metta che troppo fu il penar Il sopportato duolo dimenticar vogliamo pace tra noi godiamo finchè vivere si può. Vogliamo ringraziare tutti i partecipanti che lieti i nostri canti accolsero e ascoltar (Tristano e Isotta, 218)”.(9)

8

T. Magrini, “Il Maggio drammatico”, cit.

9

Ivi.


Eseguita la processione, gli strumenti interverranno pochissime volte, infatti si limitano ad esibirsi in brevi pezzi di polka, mazurca e valzer, che hanno la funzione di “ritornelli” e vanno a spezzare il continuum dei numeri vocali, e, a volte, danno un accenno melodico al fine di facilitare gli interpreti a “prendere l’intonazione giusta”. “Oltre alla marcia della processione, si hanno tre altre diverse melodie: una per le stanze a Maggio (le quartine del recitativo), una per le ariette e una per le ottave e le sestine di ottonari. Gli strumenti infatti suonano sempre un piccolo pezzo tra una stanza e l’altra, e di norma questo pezzo varia a seconda del tipo di stanza che segue: a seconda cioè che si tratti di stanza a Maggio, arietta o di ottava. Durante il canto, invece, gli strumenti rimangono in silenzio […]”(10) Soprattutto nella zona emiliana, si guarda più alla bellezza e potenza della voce, anche in considerazione del fatto che le melodie non sono complesse come nei Maggi rappresentati nella zona toscana. “[…]Sono voci aspre, sgranate e vigorose, sì che il canto, senza interruzioni e debolezze, è reso udibile in tutti i suoi passaggi anche ad alcune centinaia di metri. Il timbro di queste voci è di un colore pressochè inimitabile: forse, per raggiungere quel ruvido impasto vocale che distingue il maggiante dai cantanti che siamo abituati ad ascoltare, si è rivelato determinante il succedersi di parecchie generazioni nella vita dei campi. Il vino robusto, il tabacco forte, le raucedini mai curate, i rigori dell’inverno, la continua esposizione delle gole agli sbalzi di clima, il grido per sospingere o richiamare le mandrie, quel parlare mai sommesso, un’interpretazione diversa (da quella che sia per la città) della dolcezza, più consona ad una rozza nota di bordone che al sussurro soffiato, congeniale alle dimensioni della vita borghese, sono tutti fattori che concorrono ad alterare la capacità

di emissione dei suoni che, così distorti, vengono assorbiti per

consuetudine fin dalla più tenera età. Quando il maggiante lancia la voce, alza leggermente il collo in avanti in modo da tendere al massimo la muscolatura del collo e facilitare quella loro tipica emissione di gola. L’emissione di gola è un po’ come un costume uniforme fatto indossare allle varie voci per sottolineare il carattere unitario del canto che raconta frantumandosi nelle figure specifiche dei personaggi”.(11) La tecnica non è tutto, infatti, Luigi Dall’Aglio(12) propone una tesi interessante: sostiene, infatti, che i maggianti siano maggiormente apprezzati dal pubblico quando riescono a “spiegare il Maggio”. Ciò significa che la voce non deve semplicemente essere chiara e limpida, al fine di narrare la storia e dare risalto ai concetti, ma deve riuscire ad imprimere il sentimento alle parole; quindi, ascoltandola, si deve carpire il tremolio causato da un pianto, come lo scatto e la forza dati da un momento d’ira. Questo pensiero prende forza anche in virtù del fatto che sia gli interpreti che il pubblico “possiede un complesso di cognizioni sui modi di articolazione del modulo Q da cui dipende la possibilità di creare e recepire gli oggetti melodici […]. Si può parlare in questo senso di vere e proprie norme che fissano le linee di fondo e i limiti del 10

G. Venturelli, cit., pagg. 93/94.

11

L. Dall’Aglio, cit., pagg. 210/211

12

L. Dall’Aglio, cit., pag. 213


processo compositivo e che sono tese ad assicurare la riconoscibilità dell’evento sonoro e la sua attitudine a divenire parte del processo di comunicazione”.(13) Quindi su questa rete a maglie larghe, l’interprete può inserire una personale interpretazione. - Il gesto. E’ da considerare infine un ultimo aspetto originale di questa forma: il gesto. Si deve innanzitutto, sottolineare come la postura del maggiante sia caratteristica, infatti, il tronco è rigido ed inarticolato, come se fosse costituito da un unico pezzo, che viene trasportato da una parte all’altra della scena in modo quasi meccanico, animato solamente dal movimento delle braccia. Proprio queste hanno la funzione principale di trasmettere il testo a livello cinesico e riescono ad elaborare una sorta di linguaggio che accompagna e sottolinea i versi cantati. “La mimica accompagna in modo diacronico il canto e la parola, essa illustra, chiarisce, spiega, ed il maggiante se ne serve per quel tanto che rende necessaria alla situazione la presenza scenica del personaggio. […]La mimica facciale ha una gamma molto limitata di espressioni che vengono poi rese manifeste più col movimento di tutto il capo che con l’alterazione delle singole parti del viso.”(14) Così lo stupore verrà reso spalancando gli occhi e gettando indietro la testa, al contrario, scuotendola guardando in basso, dimostrerà incertezza o disapprovazione. Il medesimo discorso si può fare con tutti gli altri sentimenti che riguardano una parte del corpo “[…]tutte le volte che il maggiante pronuncia un verbo di dire, porta le dita alle labbra, come se sfilasse il fiato dalla bocca; quando nomina sventure e dolori avvicina la mano agli occhi, ad indicare le lacrime che stanno cadendo; quando nomina l’amore, l’affetto, se stesso, appoggia la mano sul petto; quando parla di un pensiero, di sogni o di cose comunque ineffabili si sfiora la tempia o ruota appena le mani al di sopra del capo […]”.(15) Bisogna leggere in tale recitazione la ricerca di straniamento di cui si è parlato sopra; in effetti l’attore non tenta di immedesimarsi nel personaggio, ne’, tanto meno, di coinvolgere il pubblico da un punto di vista “sentimentale”. Tali gesti stereotipati sono il modo migliore per “negare l’enfasi con l’ostentazione di un tono didascalico”.(16) D’Ancona chiama tutto questo “moto perpetuo”(17) ed è ciò che anima la rappresentazione ed impegna maggiormente i maggianti. - Lo spazio scenico. “Il Maggio emiliano viene cantato esclusivamente all’aperto; soltanto in caso di emergenza è possibile qualche rappresentazione al chiuso; il teatro poi, con il palcoscenico e il pubblico disposto frontalmente, è la

13

T. Magrini, cit., pag. 151

14

L. Dall’Aglio, cit., pag. 195 sgg.

15

Ivi, pag. 198

16

T. Magrini, “Identità del Maggio drammatico” in cit., pag. 11

17

A. D’Ancona, “Le origini del Teatro Italiano”, Torino – 1891- pag. 250


situazione peggiore”.(18) Ciò appare del tutto naturale e necessario quando si pensa che comunque è nato come rito stagionale propiziatorio. Lo spazio ideale è quindi una radura nel bosco, magari con la possibilità di trovare un po’ di ombra ristoratrice per il pubblico, che sarebbe altrimenti costretto a seguire uno spettacolo che dura in media tre ore, sotto il sole cocente del periodo estivo. Inoltre, coloro i quali hanno il compito di allestire la messa in scena, prediligono, ove sia possibile, luoghi che, per conformazione naturale, abbiano qualche somiglianza con gli anfiteatri, e cioè lievi pendii sui quali si possano accomodare gli spettatori, alla base dei quali si trova uno spazio che funge da palco. E’ da evidenziare il fatto che i luoghi deputati rimangono invariati nel tempo, e che, anzi, essi sono entrati a far parte della tradizione. “I luoghi improvvisati danno alla cornice della rappresentazione, un carattere di casualità che contrasta in modo violento con l’atmosfera rituale che si è conservata attorno allo spettacolo”.(19) Fontana ritiene, inoltre, che i Maggi rappresentati a stretto contatto con la natura abbiano il doppio vantaggio di far “godere del Maggio e della natura in festa”.(20) In genere gli spettatori si dispongono in cerchio e gli interpreti, cantando in ogni direzione, impediscono loro di individuare un fulcro fisso dell’azione, obbligandoli ad immaginare e raffigurarsi mentalmente l’azione così come potrebbe avvenire in situazioni reali. Il Maggio drammatico, quindi, condivide con il teatro medievale la struttura scenica dello spettacolo, vale a dire che il pubblico, gli attori e i musicisti vengono inseriti in un complesso d’azione progettato in una circonferenza, all’interno della quale essi si muovono, dando vita ad una sorta di mondo a sé, per qualche istante lontano nel tempo e nello spazio. - Gli arredi. Al suo interno vengono disposte, lungo il perimetro della circonferenza, tre, quattro, cinque “tende”, ognuna delle quali è aperta verso l’interno del cerchio, in modo tale che lo spettatore seduto di fronte ad essa possa vedere ciò che vi avviene, vale a dire i maggianti che si riposano in attesa del loro turno (logicamente ognuno all’interno della corte a cui appartiene), e che nel caso scambiano qualche parola con persone che per qualche ragione, hanno trovato riparo lì. Le “tende” non sono da considerarsi vere e proprie quinte, cioè luoghi necessari per ritirarsi dall’azione, ma punti di riferimento per il pubblico: infatti, sopra ognuna di esse si trova un cartello con scritto l’indicazione di un luogo, piuttosto che di una città, o di un castello. Oltre ad essi, vi si trova la prigione, che è una piccola area di al massimo due metri, recintata da uno steccato basso e, a volte, colorato di rosso, all’interno del quale vengono rinchiusi i prigionieri previsti dal copione. Questi padiglioni sono costituiti da una struttura metallica di tubi leggeri, simili a quelli utilizzati per i ponteggi 18

G.Venturelli, cit, pag. 87

19

L. Dall’Aglio, cit., pag. 180

20

S. Fontana, “Il Maggio”, pag. 38


nell’edilizia, che sono facilmente componibili e trasportabili. La struttura viene in seguito ricoperta da drappi colorati. L’azione solitamente si svolge al centro del cerchio, quindi uscendo da una tenda, gli attori trasportano simbolicamente la scena nel luogo indicato sulla tenda. Per uscire di scena, il maggiante deve semplicemente arretrare di qualche passo rispetto al luogo dell’azione, oppure adottare un atteggiamento più “quotidiano”, in modo tale che coloro i quali stanno seguendo la vicenda, capiscano che egli, temporaneamente, non sta recitando. La gran parte delle Compagnie, si attiene alla tradizione di questi arredi scenici, in altre, tuttavia, se ne inseriscono dei nuovi di anno in anno, che, pur rimanendo simbolici, cercano una via maggiormente realistica “Così un cartone merlato e dipinto, sistemato ai margini dello spazio scenico, sarà il castello; una chiesa dipinta su una tavoletta di compensato non più grande di un foglio di giornale ed appesa da un albero, sarà la dimora di un eremita (Frontino e Dovilia, compagnia «I Paladini della Valle»); un tavolo con qualche stoviglia e un fiasco di vino sarà l’osteria (I due Vichinghi, compagnia «Val Dolo»); […]”.(21) Oltre ad essi, troviamo una serie di oggetti che servono allo svolgimento della trama e che hanno anche la funzione di richiamare l’attenzione del pubblico: mobili, ad esempio un ceppo di legno su cui vengono “decapitati” i malfattori, oppure macigni di cartapesta, così come scrigni del tesoro, lapidi funebri costruite con vari tipi di materiale (legno, plastica, carta). Le compagnie emiliane avvertono anche la necessità di “[…] materializzare in qualche modo ambienti e situazioni. Così, per fare un esempio, se un personaggio deve attraversare un fiume, in Garfagnana, basta che, cantando, apra un paio di volte le braccia e mimi l’atto del nuotare; in Emilia, invece, verrà stesa sul prato una lunga striscia di panno azzurro che significa il fiume, che il personaggio farà materialmente atto di attraversare. E sulla striscia che significa il fiume, una cesta con un bambolotto – scena assai ricorrente in Emilia – starà ad indicare un bambino indesiderato, crudelmente affidato alla corrente; una piccola barca di compensato, sommariamente dipinta e posta sulla solita striscia azzurra, significherà un viaggio fluviale, o, più spesso, la traversata di un mare. Se poi un efferato tiranno è solito decapitare i nemici e conservarne le teste, avremo teste di manichino – quelle stesse teste talora esposte nelle vetrine di parrucchieri – appese al padiglione-corte del tiranno (Miedo, compagnia «Val Dolo»)”.(22)

- I costumi. “Gli attuali costumi dei maggi emiliani sono alquanto diversi, nella foggia e nei colori, da quelli delle altre compagnie maggesche e normalmente non vengono presi a nolo, ma sono proprietà delle compagnie o, più spesso, dei singoli maggianti. Anche qui i costumi sono sempre gli stessi, quale che sia il luogo o l’epoca della vicenda. Fa eccezione la compagnia di Frassinoro (paese dell’Appennino modenese), che invece, con l’intenzione di storicizzare, cambia i costumi a seconda del testo che rappresenta e ricorre quindi anche alla sartoria teatrale”(23). In essi ogni interprete può liberare tutta la sua fantasia e creatività “La base è un 21 22 23

G. Venturelli, cit., pag. 89 Ivi, pag. 90 G. Venturelli, cit., pag. 91 sgg. Tuttavia in alcuni paesi reggiani, ad esempio Villa Minozzo, gli anziani

ricordano che quando periodi di crisi non permettevano di creare costumi particolarmente curati, alcuni loro


costume guerresco: in genere si tratta di vecchie divise ritoccate, corredate da elmo, spada scudo e mantello. Su questa base ogni interprete lavora di fantasia ponendo tutta la cura possibile e gareggiano con gli altri in estro inventivo. Collocati con gusto semplice e sicuro, gli ornamenti più svariati intervengono a fare di questi costumi dei piccoli capolavori di collage ricchi e multicolori: pennacchi, piastre lucenti, fronzoli e collane, carta e bottoni dorati, stagnola e latta sfolgorante, nastri e fasci multicolori. Il costume rimasto in naftalina tutto l’inverno viene rispolverato in primavera, rimesso a nuovo ed eventualmente, arricchito senza evidentemente tenere conto della caratterizzazione dei ruoli se non con qualche dettaglio che i più scrupolosi, spesso con spirito e ironia aggiungono all’ultimo momento”.(24) D’Ancona osservava che ogni maggiante, per essere a proprio agio deve sentirsi “vestito all’eroica”.(25) Questa caratterizzazione guerresca, è legata alle origini e al motivo della lotta. “Probabilmente nelle forme più primitive il costume acquisiva significato come oggetto taumaturgico e simbolico proprio della comunità. In questo caso, grazie alla omogeneità dei costumi, la narrazione che nella sua struttura interna conservava un andamento simbolico, diventa unità rituale”.(26) In Emilia come in Toscana non c’è differenza nei costumi dei guerrieri per quanto riguarda il grado (guerrieri semplici o nobili), solo il re si riconosce per la corona, sulla quale è attaccata una croce, se si tratta del re Cristiano, o una mezzaluna, se è quello Moro. Un tempo se i pantaloni dei buoni erano neri e lunghi fino al piede, i cattivi li indossavano più corti e ampi, che ricadevano sul polpaccio(27). Anche il colore aveva una valenza simbolica, quindi i malvagi avevano i costumi rossi, mentre i buoni erano vestiti di nero. C’è un’ulteriore differenziazione tra il costume maschile e quello femminile. Il primo è costituito da un elmo (o dalla corona regale), dalla blusa con la mantellina, dai pantaloni e dagli stivaletti. “Gli elmi in qualche raro caso sono degli autentici elmi ottocenteschi, rivestiti esternamente da cuoio nero, con borchie e placche d’ottone recanti uno stemma nobiliare e il nome del sovrano.[…] Spesso hanno una visiera metallica mobile, sempre decorata, che talora viene calata sul volto durante i duelli e le battaglie. Ogni elmo porta poi ulteriori decorazioni vistosamente colorate: oltre ad un fascio di nastri spioventi e multicolori, si hanno alti pennacchi rossi e blu, del tutto simili a quelli dell’alta uniforme dei Carabinieri, oppure pennacchi di lunghe piume colorate. La decorazione dell’elmo emiliano è completata da una coda di lisci crini, che spiovono sulle spalle del guerriero. Nessun tratto distingue gli elmi dei cristiani da quelli degli infedeli”.(28) La blusa, o giacca, è di colore nero e arriva sino alla cintola (dove viene stretta una frangia di nastri dorati), ha le maniche lunghe ed è abbottonata sulla schiena. La parte anteriore viene decorata con stoffe, ricami e fili compaesani, emigrati nelle grandi città, che svolgevano qualche tipo di attività nei teatri (facchini, uscieri ecc…), inviavano i costumi di scena smessi, che venivano in seguito riutilizzati nelle rappresentazioni di Maggio. 24

L. Dall’Aglio, cit., pag. 184

25

A. D’Ancona, cit., pag. 264

26

L. Dall’Aglio,cit., pag. 188

27

Venturelli non manca di rilevare come, popolarmente, pantaloni dello stesso modello venissero

quotidianamente chiamati “braghe alla Turca”. 28

Ivi, pag. 90 sgg.


colorati (i colori ricorrenti sono oro e argento). Viene completata da vistose spalline metalliche con frange dorate. Il retro della blusa è ricamato anch’esso e vi è attaccata la mantellina, della medesima stoffa, la quale copre la schiena del maggiante sino alla cintura. I pantaloni sono della stessa stoffa e colore della blusa, hanno una banda longitudinale gialla o dorata, che dal ginocchio ai piedi è arricchita con frange, nastri e fiocchi. L’orlo di fondo ha anch’esso una frangia. Sotto i pantaloni troviamo gli stivaletti o gambali, che sono neri e senza decorazioni. La donna guerriera veste invece, un gonnellino corto, indossato sopra i pantaloni, fatto da strisce di colorate, non cucite tra di loro. Si differenzia anche per la mantellina, che, solitamente, è azzurra o verde. I costumi femminili sono “abiti lunghi, volutamente eleganti, che si ispirano ad abiti da sera di foggia antiquata. Spesso sono di un solo colore e non hanno ricami, e sono arricchiti con qualche gioiello e da un ampio scialle di un altro colore”(29). Se il copione prevede personaggi diversi, come marinai, spaccapietre, eremiti, la tradizione vuole che essi non abbiano un vero e proprio costume, ma è sufficiente che indossino abiti vecchi, smessi, nel caso con qualche oggetto o indumento particolare (come grembiuli, cappelli, attrezzi da lavoro) che li identifichi in modo preciso, al fine di evitare che lo spettatore li veda come appartenenti alla quotidianità, invece che alla rappresentazione. - L’inizio e la fine dello spettacolo: la ritualità Come detto in precedenza, l’ingresso in scena dei maggianti avviene con una processione. Questa inizia dal luogo in cui sono allestiti i “camerini” e vede gli interpreti disporsi in fila a due a due. I primi ad entrare nell’area dello spettacolo sono i suonatori ed il suggeritore, o, in alternativa, i cosiddetti portabandiera, vale a dire, uomini in abiti quotidiani che sorreggono vessilli vari: la bandiera italiana, quella francese, stendardi colorati e così via. Li seguono i maggianti divisi per corti o per popoli e, solitamente, i buoni precedono i cattivi. Arrivati in scena, compiono le “tonde”, cioè una sorta di sfilata eseguita in cerchio, che a volte, ha la funzione di fare arretrare gli spettatori, se sono disposti troppo vicino al centro dell’area. In seguito si fermano in mezzo all’area e il suggeritore chiama a gran voce i personaggi e i loro interpreti, i quali fanno un passo avanti e un inchino al pubblico. Tutto ciò si svolge seguendo l’ordine con cui i personaggi interverranno sulla scena. Quindi il corteo si scioglie ed ognuno si reca nel padiglione-corte cui appartiene. Dopo di ciò vengono cantate le Stanze del Paggio e lo spettacolo ha inizio. In conclusione si ha il coro finale, che viene cantato da tutti i personaggi disposti al centro della scena (a volte il coro viene saltato, se il Maggio ha un finale tragico). Si può inoltre avere una stanza di commiato e ringraziamento, che è affidata per lo più al Paggio, ma che può essere eseguita dal coro. Il Maggio non si chiude mai con una processione, bensì con una sorta di invasione di scena da parte del pubblico, che improvvisa danze e canti con i maggianti.

29

Ivi, pag. 93


- I personaggi e le trame. “[…] Considero i Maggi come altrettante scintille cadute dal fuso e dal razzo che espresse e portò fino a noi l’episodio di Paolo e Francesca e il trovatore…I Maggi sono melodrammi che non furono mai musicati e che probabilmente non ebbero mai bisogno di musica (o di una musica scritta invariabile)”.(30) Ai giorni nostri il tema dei Maggi è quasi esclusivamente epico, quelli a tema religioso hanno da sempre rappresentato un’esigua minoranza. Solitamente la fabula è una rielaborazione originale di testi preesistenti, che provengono da fonti letterarie diffuse nella zona. “Il caso di Pasquale Marchetti(31) […] è emblematico della profonda penetrazione dell’epica dei secoli XV – XVI nella cultura popolare dell’Appennino e della preparazione di base del compositore di Maggi. La diffusione della letteratura ufficiale nella montagna – l’epica innanzitutto, ma anche il romanzo – attraverso edizioni popolari vendute nelle fiere e nei mercati è un dato di cui si deve obbligatoriamente tenere conto per comprendere il canale di penetrazione nella montagna delle opere da cui il Maggio desume eroi ed intrecci, servendosi pragmaticamente degli elementi che si prestino ad essere assimilati all’interno delle proprie espressioni culturali”.(32) Tutta la cultura appenninica guarda all’ epica come fonte inesauribile di personaggi: Angelica e Orlando, Ruggero e Bradamante, Tristano e Isotta, Carlo Magno, Ginevra, Morgante, Marfisa, Rinaldo, Lancillotto ed altri. Tuttavia anche l’epica classica fornisce spunti (così abbiamo La distruzione di Troia di Giacomo Alberghi, oppure Le avventure di Ulisse di Giuseppe Chiarabini), nonché la tragedia (ed ecco Antigone di Romolo Fioroni e I sette contro Tebe di Puro Stefani). Si hanno rari testi biblici riorganizzati (Re David di Francesco Alberi, o Giuseppe Ebreo di Amilcare Veggeti), ma altri possono essere desunti dalla storia locale (Amorotto di Tebaldo Costi). La maggior parte è riproposta da romanzi, sia d’autore che appartenenti alla letteratura popolare, “nella produzione di Domenico Cerretti figurano insieme I tre moschettieri e Gli esiliati a Barra – desunto da un romanzo di Montelieu pubblicato a dispense nel 1924 dalla casa editrice Gloriosa di Milano -; Luigi Pighetti deriva da un romanzo a puntate di G. Leggio i due Maggi Altamira e Meliardo e Guelfo e Aradea. Mentre fonti più note ispirano il Conte di Montecristo e Nerone (da Quo vadis?) di Romeo Sala, Nadir il valoroso di Giacobbe Biondini (da Salgari), La freccia nera di Tullio Verdi”.(33) In tempi più recenti avviene una cosa singolare, vale a dire l’ispirazione viene data agli autori da film e programmi televisivi, quindi Luigi Pighetti scrive Marcantonio

30

E. Montale, Prefazione in Baroni: “I Maggi”, Nistri-Lischi, Pisa ,1954, pag. 8

31

Così ne parla Sesto Fontana nel suo “Il Maggio”, Olschki, Firenze -1964, pag. 9. “Pasquale Marchetti (1880 - ?), di S. Anna Pelago (MO), aveva una biblioteca di tre soli libri: l’Orlando

Innamorato, l’Orlando Furioso e la Gerusalemme Liberata, che sapeva tutti a memoria, e, con un sia pur così modesto corredo culturale, compose Maggi e poemi […]”. 32 33

T. Magrini, “Identità del Maggio Drammatico”, in cit., pag. 21 Ivi, pag. 22


e Cleopatra, tratto dalla pellicola omonima vista a Roma, mentre Lorenzo Aravecchia con Storia d’amore e sangue si rifà a “Sepolta viva”, film degli anni ’70. Gli autori si dimostrano così sensibili all’arrivo di mass media, mentre le tematiche nuove, ispirate a fatti recenti, non sempre riescono ad attecchire all’interno della tradizione, ed incontrano resistenze soprattutto da parte del pubblico. Tra i più importanti: Il presente e l’avvenire d’Italia scritto negli anni ’20 da Domenico Cerretti, un Maggio di Angelino Maestri - mai rappresentato – e Marzo 1944 di Marco Piacentini, il più discusso tentativo di immettere soggetti estranei alla tradizione. Gli spettatori prediligono i nuclei drammatici che descrivono “[…] loschi intrighi familiari, lotte dinastiche, caste fanciulle insidiate e punite per non aver ceduto, severe matrone ingiustamente accusate di infedeltà coniugale, ma soprattutto figli scambiati o venduti o rapiti, che, diventati adulti, riusciranno a fare giustizia e a ristabilire l’ordine svelando intrighi e sotterfugi, punendo i malvagi e premiando i buoni”.(34) Considerando il mondo dei personaggi che si presentano come elementi fissi/rituali di ogni Maggio, si può concordare che, come sostiene Venturelli, “Nessuna compagnia emiliana ha conservato fino ai giorni nostri la figura del giovinetto che, recando un ramoscello o un mazzo di fiori, impersona il Paggio e dà inizio alla rappresentazione. La parte del Paggio è tuttavia quasi sempre presente nei copioni emiliani e, se facciamo uno spoglio dei Maggi a stampa pubblicati nell’ultimo decennio, vediamo che sono pochissimi quelli in cui tale parte manca. In alcuni copioni abbiamo, al posto del Paggio, il Presentatore o il Prologo, in altri alcune stanze di Proemio, ma nella maggioranza dei casi sopravvivono le stanze iniziali, tradizionalmente affidate al Paggio”.(35) La figura tradizionale del Paggio aveva il compito di aprire la rappresentazione salutando e dando il benvenuto alla nuova stagione; col trascorrere del tempo il ruolo è cambiato ed ora dà un breve riassunto e la morale della storia che sta per essere cantata. “Alla schiera degli Arlecchini minori che corrono preannunciando l’arrivo del loro capo, come il Croquesos del Maggio delle fate, o allo stesso Robin Hood nel suo aspetto di Praecursor, che annuncia il ludus, possiamo accostare il Corriere e il Paggio […] Essi adempiono alla funzione del prologo, ma i loro nomi ci dicono chiaro che provengono dal corteo che precede, circonda e segue il Re del Maggio”.(36)Se un tempo un attore impersonava il Paggio, oggi le stanze che sono affidate a lui dal copione, possono essere cantate da uno o più maggianti, che in seguito daranno vita alla storia, oppure, in casi rari, possiamo trovare un ex-maggiante o l’autore in persona, che tuttavia non hanno costumi di scena e che, una volta eseguita la stanza, si accomodano tra il pubblico. Altra figura che ha origini dirette nel rito, è il Diavolo, che è riconoscibile per il costume rosso con la coda, le corna e il volto coperto da una maschera, che può essere fatta di plastica, legno, o stoffa. Solitamente compare sulla scena per portare via coloro i quali sono caduti in battaglia, con il significato simbolico della 34

G. Venturelli, cit., pag. 82

35

Ivi, pag. 95

36

P. Toschi, cit., pag. 517


discesa all’Inferno delle anime malvagie e violente. Si può concludere che la sua è una parte prettamente mimica, infatti non accenna nemmeno una nota, anche perché spesso deve contrastare gli scherzi che gli vengono fatti dal Buffone. Di essi ne avevano già ampiamente parlato il Toschi ed altri studiosi:“Elementi arcaici più precisi sono offerti da alcuni personaggi e dal nucleo centrale dell’azione, imperniato intorno ad un combattimento. Sono personaggi ancora legati alle antichissime forme rituali, e tuttavia necessari anche nei maggi odierni, il buffone, il diavolo, il corriere, il paggio. Si tratta in fondo di un solo personaggio, nel quale i diversi tratti che lo caratterizzano, hanno provocato degli sdoppiamenti o delle ipostasi. L’importanza del buffone e la sua identità col diavolo è messa pienamente in luce da un passo di Rezasco, geniale erudito ligure della seconda metà dell’Ottocento, a cui si deve una delle più importanti monografie sul Maggio. Ecco quanto egli dice:«Il Buffone, più grato in forma di diavolo, sia o non portato dal componimento, si vuole ad ogni modo; onde, se la poesia lo trascura, egli dovrà improvvisare o comporre di suo capo la parte, cantando e recitando, dacchè egli vi ha a fare l’uno o l’altro. Personaggio necessario, non tanto per rompere la severità del canto e spesso la mestizia del racconto, a somiglianza degli inframessi nelle antiche commedie, quanto per guidare la rappresentazione; talmente che se egli si ammala, o se ne cerca un altro, o addirittura lo spettacolo si manda ad un altro tempo.» […]”(37) Tutto ciò diventa particolarmente interessante se lo si confronta con la testimonianaza di Fontana, il quale descrive tali figure in questi termini “Il diavolo che ha la faccia tinta di carbone ed è vestito interamente di rosso vivo, o ha un’acconciatura di pelle con corna e calzoni di pelo di capretto, strascina una catena da forzato e brandisce un forcone di legno, o di ferro. Il Buffone poi, che è il naturale avversario del diavolo, dinanzi al quale fugge con dei grandi segni di croce biascicando rosari e paternostri, ha un vestito tutto a cenci strappati, con toppe di colori studiatamente contrari, tutto tintinnante di sonagli, ad ogni suo salto, e con altre bizzarrie, come collane di agli al collo, una calza nera ed una rossa, ed è munito di una grande stecca, o di un paio di molle di legno. Con esse corre per la palestra e afferra le mele, le pere, le patate, e i torsi gettatigli dagli spettatori, e li nasconde in una buca, la quale è come la sua dispensa, oppure mena dei gran colpi sulla schiena del diavolo, o percuote bonariamente gli attori, o finge di aiutare i guerrieri cristiani contro i mussulmani, i maghi e i mostri, fuggendo poi precipitosamente appena essi si voltano: o le fa scorrere sulle gambe degli spettatori che ardissero oltrepassare i limiti segnati dai sedili o da una corda”.(38) Oggi i costumi indossati dai Buffoni si differenziano di compagnia in conpagnia. A Frassinoro (MO) egli viene vestito come i buffoni di corte dell’iconografia popolare, quindi ha una blusa ampia con un colletto a lunghi pizzi, braghe che ricadono all’altezza del polpaccio, un cappello morbido che pende sulla schiena, il tutto a strisce di stoffa verticali, di colori sgargianti. Ad Asta (RE) indossa una blusa o una maglia bianca, il bavero di lunghi 37

60

38

S. Fontana, cit., pag. 41. Qualche pagina dopo, Fontana nota “La parte comica spetta anche al Diavolo, che si

Ivi, pagg. 514/515. Per la citazione riferita dall’autore, cfr. G. Rezasco, “Il Maggio” – Genova, 1886.

chiama coi bei nomi di Draghinazzo, Farfarello, Roncinello, ed è tutto affacendato a portare all’inferno i morti senza fede e a tormentare i santi e i cristiani”.


pizzi viola, così come il gonnellino corto messo sopra i pantaloni, i quali aderiscono alle gambe, che sono una di stoffa gialla e una verde. Questi stessi colori si trovano anche nel copricapo, che è simile a quello usato a Frassinoro. Il costume è più tradizionale nel maggio cantato a Cerredolo (RE) “Pantaloni rossi e goffi con la banda da maggiante, che corre dalla vita ai piedi, fatta con un vistoso filo di lustrini da albero di natale; blusa rossa, della stessa stoffa leggera dei pantaloni, attraversata all’altezza del petto da una larga banda orizzontale blu; sul davanti della blusa, al posto dei ricami tipici del costume da maggiante, un triangolo formato da sottili fili di lustrini argentati; mantellina nera da maggiante, senza particolari caratteristiche buffonesche; un copricapo ad elmo adorno di lustrini, con una gran quantità di crini biondi che scendono sulle spalle a mo’ di chioma femminile e sormontato da una radice d’albero ritorta e da un ombrellino variopinto che ogni tanto si apre; ai piedi un paio di stivali di diversa lunghezza, che durante lo spettacolo si toglie per calzare rozzi scarponi scalcagnati in foggia antiquata e lunghe calze di lana mora che arrivano fino alle ginocchia e che indossa al di sopra dei pantaloni. Durante le battaglie si arma di una buffa scimitarra di legno tinta d’argento. Sulle spalle porta un sacco-bisaccia dal quale ogni tanto toglie stracci e cianfrusaglie di ogni genere, simbolicamente allusive e licenziose”.(39)

In

39

IL MAGGIO NELL’APPENNINO REGGIANO di ANNA BIANCHI tesi di laurea Università di Parma 2006.

G. Venturelli, cit., pag. 97


“Perché i guerrieri pagani della Val Dolo portano gli occhiali da sole come i soldati africani dell’ammiraglio Balao?” Gabriella Canovi

FLORIPES BIANCA E NERA di BENEDETTO VALDESALICI

Il resoconto che segue proviene da due taccuini che mi hanno seguito a São Tomé e Prìncipe nell’Africa equatoriale nell’agosto 2001 e a Viana do Castelo nel nord del Portogallo nel 2002 e dal rapporto di missione che ho steso per lo sponsor del mio viaggio africano. Il taglio che vorrei dare a questa riflessione, è più quello del viaggiatore curioso, che quello dell’antropologo, anche per evitare di assumermi responsabilità ‘scientifiche’ in ambito non mio. I due viaggi di cui riferirò nascono dall’ingenua curiosità di chiarire eventuali parentele culturali tra fenomeni simili in aree distanti , fenomeni etnoteatrali che soddisfano desideri e paure differenti ma che possiamo riassumere col titolo di un famoso testo sul folclore santomense “O povo flogà o povo brinca” il popolo festeggia, il popolo si diverte. Lo stupore infantile col quale fanciullo guardavo alle rappresentazioni del Maggio di casa mia, si rinnova ancora quando penso che il Maggio ha offerto e offre identità e riscatto a classi subalterne che l’hanno spesso usato per costruirsi genealogie fantastiche (ancor oggi ci sono i figli di Gano o della Trebisonda) allucinando una nobiltà a volte più forte della realtà stessa. Ecco, quell’infantile stupore ha guidato i miei passi a santo Antònio do Prìncipe e a Neves do Viana do Castelo e con la sua ombra ancora negli occhi provo a trascrivere le mie risultanze. Premetto alcuni cenni di storia di São Tomé e Prìncipe che mi paiono indispensabili.

Un po’ di Storia Il giorno di san Tommaso del 1470, due navigatori portoghesi, Joao de Santarem e Pedro Escobar, scoprirono, 200 km al largo del Gabon, nel Golfo di Guinea, un’isola che descrissero come disabitata e di cui presero possesso in nome del re del Portogallo. Il 17 dicembre dell’anno successivo scoprirono e presero possesso di Santo Antonio, poi detta del Prìncipe, ed infine Prìncipe . Fino alla fine del XV° secolo furono introdotti schiavi dal continente per lavorare la canna da zucchero e São Tomé divenne rapidamente uno dei porti più frequentati dalle rotte negriere specie dopo la conquista portoghese del Brasile quando divenne il punto chiave della rotta triangolare delle flotte negriere transoceaniche della tratta degli schiavi40. Con l’abolizione della schiavitù nel 1876 São Tomé e Prìncipe (STP) visse un periodo di grande instabilità economica che cercò di superare prima con l’introduzione della coltura del caffè poi di quella del cacao. Nel 1951 STP divenne provincia portoghese d’oltremare e le autorità coloniali repressero con grande brutalità i moti nazionalisti del 1953.

40

São Tomé è sede del Museo della schiavitù.


Manuel Pinto da Costa, segretario del Movimento di Liberazione di São Tomé e Prìncipe, d’ispirazione marxista, divenne Presidente della Repubblica indipendente il 12 luglio 1975. La nuova Costituzione prevedeva un partito unico ed un regime di tipo marxista, le piantagioni furono nazionalizzate. Sia i coloni portoghesi che i lavoratori immigrati dal continente abbandonarono in massa São Tomé e Prìncipe. Nell’agosto del 1990, sotto la pressione dell’opposizione riunita nel Fronte democratico, con un referendum popolare si modificò la Costituzione in senso pluralista introducendo il multipartitismo. Con le successive elezioni del 1991, vinte dal fronte democratico capeggiato da Miguel Trovoada che divenne il nuovo Presidente, iniziò un periodo di privatizzazioni e di tagli voluti dal Fondo Monetario Internazionale. Il brusco crollo dei livelli di vita imposti dal piano furono all’origine dei gravi disordini sociali e politici del 1994 e il Movimento di Liberazione, ribattezzato Partito Social-Democratico (PSD), vinse le nuove elezioni del 1995. Il resto è storia contemporanea...

Contesto

credenze popolari e santeria

Esistono in São Tomé e Príncipe, nell'ambito della tradizione popolare, oltre a riti di purificazione (danza Congo), ai riti di divinazione (d’jenbì), ai riti danzati che portano alla transe (Puita) due espressioni teatrali che resistono immutate da secoli. Sono il Tchilolí a São Tomé e l'Auto41de Floripes (San Lorenço)42 a Príncipe. Il Tchilolí mette in scena la tragedia del Duca di Mantova alla corte carolingia43 e l'Auto de Floripes narra le gesta di Carlo Magno e dei paladini di Francia nella strenua lotta contro gli infedeli44.

41

O AUTO, in portoghese l’Atto, l’azione, le gesta. In senso estensivo Commedia, Rappresentazione.

42

Va ricordato che l’80% della popolazione è di religione cattolica e che São Tomé è stata la prima Diocesi africana.

43

Baltazar Diaz, “La tragedia del duca di Mantova e dell’imperatore Carlo Magno” 1737. Autore ignoto, “Storia dell’imperatore Carlo Magno e dei dodici paladini di Francia e della battaglia tra Oliviero e

44

Ferabras, re di Alessandria. (Edito in Siviglia, 1634)


Nonostante le molte difficoltà questo teatro popolare in costume sopravvive e gode di un seguito importante tra la popolazione. In Italia e più precisamente sull'Appennino tosco-emiliano in provincia di Reggio Emilia, Modena, Lucca e Pisa, sopravvive una forma di teatro popolare, detta Maggio drammatico, anch'essa in costume e anch'essa, per lo più, a tema cavalleresco. Il fenomeno "Maggio" é da oltre 20 anni raccolto in una Rassegna Nazionale che vede partecipi sia le compagnie emiliane che quelle toscane e che termina con una giornata finale l’ultima domenica d'agosto. In Portogallo45, a Neves di Viana do Castelo, nel giorno della festa della Madonna della neve il 5 agosto, anniversario della battaglia di Lepanto, si rappresenta ancora l'Auto de Floripes, oggi candidato dalla sua Municipalità all'Unesco quale patrimonio culturale dell'umanità. Le sorprendenti similitudini tra fenomeni culturali in aree che appaiono cosi distanti mi hanno convinto ad una missione a São Tomé e Príncipe e a Viana do Castelo al fine di valutare de visu e approfondire i possibili legami e le eventuali radici comuni tra i tre fenomeni, gettando le basi per ulteriori contatti mutuamente sinergici.

Maggi dinastici

Auto de Floripes

Tra atto devozionale e lignaggio teatrale

Tchilolì

Il 12 agosto 2001, dopo un viaggio di oltre 12 ore (Bologna-Parigi-Libreville-São Tomé) sono giunto alla meta dove mi attendeva Maurizio Filippi46, assistente tecnico all'ordinatore nazionale del Fondo Europeo di sviluppo (FED), che mi ha assistito e sostenuto durante tutta la missione e che qui vorrei, assieme alla moglie Gabriella Canovi, sinceramente ringraziare. Martedì 14, alle otto del mattino ci siamo imbarcati alla volta di Príncipe dove siamo giunti dopo 45 minuti di volo.

Si veda anche Codex Calixtinum (sec.XII), liber sancti Iacobi (cap.XXI PseudoTurpin) Santiago di Compustela Galizia

(Spagna) 45

Va detto, per completezza, che l’area di questo teatro popolare portoghese “si estende da Ribeira, in provincia di Ponte de Lima dove si rappresenta “La Turchia” a Subportela con l’Auto devozionale di San Giovanni, a Portela Susa con una complessa rappresentazione detta Auto di Sant’Antonio, a Palma de Barcelos dove si rappresentano i 12 Paladini di Francia. Pezzi carolingi s’incontrano anche in Galizia, nel Douro, in Tras o Montes, nella bassa Beira e nell’Algarve…come scrive A.Abreu in “L’Auto di Floripes e l’immaginario Miniotha 2001. 46 Mio compaesano che mi aveva segnalato le possibili consonanze tra il nostro Maggio e l’Auto de Floripes.


Se São Tomé é cosi bella, Príncipe é, sul piano naturalistico, stupefacente, un vero paradiso terrestre di 138 chilometri quadrati dove vivono circa 5 000 persone. Verrebbe da dedicarle la quartina di Maggio che dice: Quando il mondo fu creato fu creato un paradiso con bell' ordine preciso perché l' uom fosse beato

Principe (foto Filippi) Sono le sei del mattino quando Santo António de Principe, la città capitale più piccola del mondo, si risveglia al suono dei corni e dei tamburi degli ambasciatori dell'Auto che vanno, a raccogliere, casa per casa, gli azzurri cristiani e i rossi infedeli. Alle 13 in punto, dopo il saluto ai propri morti presso il cimitero locale, ha inizio la rappresentazione. Il testo “letterale", (trascritto nel Povó Flogá da Fernando Reis, ed.1969)47 é declamato, senza amplificazione, da attori non professionisti. Lo spettacolo è gratuito e senza questua.

La Corte cristiana (Marmianda)

47

La Corte pagana

La Corte di Floripes

Di cui possiedo estratto (100 pgg.con foto in b/n) per la cortesia di Nazaré Ceita, direttrice della Cultura a STP).


La vicenda narra l'uscita dall'adolescenza di una giovane principessa (Floripes) che affronta l'eterno dramma dell'abbandono per amore della casa paterna (la reggia dell’almirante Balão) per costruirsi una propria famiglia con l'amato (Guy de Bourgogne) di cui condividerà, convertendosi, il codice etico ma col quale non potrà consumare il matrimonio fino a che non sarà battezzata. Il tutto, come in ogni vicenda cavalleresca, si svolge tra ambasciate, provocazioni, scontri e duelli che hanno sullo sfondo il Gigante, fratello di Balão, che fa guardia all'unico ponte che unisce e divide i campi avversi. Il furto della Santa reliquia (un frammento della corona di spine) in San Pietro e della magica ampolla che sana ogni ferita (il sangue di Cristo raccolto sotto la croce dal centurione romano), i Bobos armati di verghe, buffoni che nel rappresentare la potenza del re moro sono anche gli esecutori delle sue sentenze e del controllo materiale delle invasioni di campo del pubblico indisciplinato, non sono che alcuni degli episodi del lungo racconto.

Il Gigante al ponte di Montible

Bobos, in primo piano la verga

Al centro due scontri: quello titanico (quasi 2 ore!) tra Ferabras e Oliviero che, pur ferito, sconfiggerà il principe mauritano e lo convincerà con la sua fede e il suo valore a convertirsi e quello circense e buffonesco tra Marradas e Orlando, vinto da quest’ultimo. Sette ore che non permettono a nessuno di tirare il fiato, né agli attori, alla fine duramente provati dai combattimenti con spade e scudi, né al pubblico che per seguire la vicenda é costretto a correre da un lato all'altro del centro del paese. Per questa ragione potremmo definire l'Auto di Floripes un teatro popolare multistages in movimento come se ne vedono pochi al mondo.48 Il finale, nel buio della notte tropicale, vede la resa del re Balão, abbandonato dai suoi figli e dai suoi idoli (Mafoma) e l'esplosione di gioia49 di Floripes e del pubblico che l'accompagna, dopo il battesimo, alla casa del talamo nuziale cantando e ballando per le polverose strade di Santo Antònio.

48

“il palco più grande del mondo” così lo definisce Augusto Baptista in "Floripes negra” ed. Cena Lusofona 2002 Questa gioia al femminile per la raggiunta emancipazione esplode in un canto d’amore collettivo che dice : « Se sono tua è perché tu sei mio, se sei mio è perché sono tua ». Che sottolinea la gioia dell’avvenuta deflorazione di Floripes. 49


Battaglie per le vie del paese Scrive Thomas Ribaz in “O Tchilolì e Outros aspectos do teatro popular de São Tomé e Prìncipe. Um caso original de aculturaciao teatral afro-europeia” Colloqui sul folclore Inatel 1981: “La carica negra è più evidente nella tragedia dell’imperator Carlos Mangano (Auto de Floripes) il tchilolì dell’isola di Principe. Per i primitivi, i nativi di Principe, i personaggi dell’Auto sono astratti, non significano nulla, per loro non c’è alcuna percezione del significato spirituale – la lotta tra i Cristiani e i Mori – né del suo sapore di novella cavalleresca; sanno, a mala pena, che si tratta di una principessa, Floripes, che si appassiona per il figlio di un re nemico e si converte a quella fede. La storia e il suo significato a loro sfugge e ne captano appena il lato sentimentale. Come teatro è poco, ma poiché il tchilolì è simultaneamente rituale e spettacolo, fu necessario dare alla cerimonia/spettacolo una carica magica tellurica. E a darla è Floripes, simbolo puro d’amore e fedeltà femminile che deve essere interpretata da una vergine, il che è sempre un problema in un’isola in cui è tra gli 11 e i 12 anni che la si perde. Ma quest’esigenza è rispettata e pretesa. Anticamente erano le vecchie fattucchiere che verificavano l’integrità della vergine prescelta, oggi, si dice siano le vedove della città ad incaricarsene. La vergine prescelta per interpretare la figura di Floripes nella festa dell’anno seguente è tenuta quotidianamente sotto osservazione fino al giorno della rappresentazione e, se nel frattempo avrà cessato di esserla, sarà un'altra ad essere prescelta, altrimenti il tchilolì non potrà essere rappresentato. Termino dicendo che non si hanno notizie che qualche volta qualcuna sia stata rifiutata, anche perché la rappresentazione dell’Auto è tanto importante per la comunità che se qualcosa d’anormale fosse ragione di rifiuto sia le vecchie fattucchiere sia le attuali vedove metterebbero a tacere il fatto” “Si Tratta di una moresca50 teatralizzata giunta a Principe attraverso gli agricoltori Minhioti del XVI sec. o i contadini del nord del Portogallo che vennero a dirigere l’introduzione della coltivazione del caffè e del cacao nel sec.XIX” che tra l’altro introdussero anche la danza Dexa e il Vindes menino in Thomas Ribaz . Ma l’Auto africano ha naturalmente un padre portoghese ( è un caso che sull’isola esista un paese di nome Neves?) e così ai primi d’agosto dell’anno successivo siamo andati a vederlo. Eccone il resoconto. C'è festa oggi a Neves. E' il 5 agosto anniversario della battaglia di Lepanto che oppose Venezia agli invasori turchi, ma anche la sua festa più grande: la Madonna della neve. Come ci racconta Leandro Quintas Neves51(1845-1872), l'etnoantropologo di casa, da oltre 400 anni dopo la romeria e la processione si rappresenta l'Auto di Floripes, il "maggio" portoghese. Ai suoi tempi si svolgeva ancora a terra in cerchio 50 51

Moresca, antica danza mora. Dallo spagnolo morisco appellativo con cui si designava il moro sconfitto e convertito Neves Leandro Quintas “Auto de Floripes” 1953, Vertice, Coimbra


e talora a cavallo, mentre oggi gode di un palcoscenico e di una assai complessa amplificazione radiomicrofonica e di un bello scenario di Chico.52 Floripes è la giovane figlia del Re moro Balao, sorella di F(i)erobraccio (Re d’Alessandria, Babilonia e Gerusalemme) che, per amore d’Oliviero, libererà i cristiani imprigionati proprio quando stavano per essere sconfitti. L'Auto ha inizio con la banda che annuncia l'ingresso di Carlo Magno che sale sul palco insieme ad Orlando ed Oliviero seguito da prodi fanti cristiani muniti di lance, mentre dal lato opposto entrano in contraddanza i turchi e il loro re, l’almirante Balao.

Manifesto della festa

Ingresso di Carlo Magno

Ferabras (foto Llauder)

Dopo i saluti rituali in sestine (abcdcd) tra i due fronti avversi, Ferabras provoca i cristiani mettendosi a dormire sul campo di battaglia vegliato dal fido buffone Brutamontes che regge tra le mani il bastone Mafoma (antico portoghese per Maometto). Oliviero lo sfida a singolar tenzone. Lo scontro ha alterne vicende: prima con la lancia poi con le spade. Più volte Brutamontes offre al paladino ferito il balsamo che sana ogni male ma Oliviero lo rifiuta e prega il suo dio di sostenerlo. Dopo aver subito un po' di colpi, Ferabras riesce a disarmare il paladino che d'improvviso però gli ruba la spada e lo sconfigge.

Oliviero prega

Lo scontro con le lance

Ferabras sconfitto

Dopo aver inviato, col fido Orlando, il figlio del re nemico a corte perché sia battezzato, Oliviero prosegue il cammino fino alla corte turca dove è bellamente imprigionato. Stessa sorte accadrà agli ambasciatori del re franco che andranno a cercarlo. Ma ecco che, perfetta deus ex machina, Floripes interviene e dopo aver ubriacato Brutamontes, rubate le grandi chiavi, libera i prigionieri e sposa l'amato mentre Brutamontes lancia confetti sul pubblico.

52

Si veda “O Auto de Floripes e o immaginario minhoto” di Alberto A.Abreu 2001 ed. Camara Municipal.


Brutamontes

L’ingresso di Floripes

Lo scontro tra i due sovrani

Re Carlo dalla barba fiorita, ripreso vigore, dopo aver cantato la Lode alla Vergine della neve, attacca e sconfigge i mori poi balla, riappacificato con loro una vera e propria moresca53 finale. Nell’ora e mezza trascorsa Brutamontes, il nostro Rodomonte, gioca la parte di un contrappuntistico arbitro, testimone ed ironico cronista e sottolinea con i suoi atteggiamenti tutta la vicenda. Scrive Leandro Quintas Neves54: “Non andremo molto lontano dal vero se la situassimo (Floripes) nel secolo XVII ma il nostro ragionare manca dei seguenti dati : a) Fu nel XVI sec, quindi sotto il regno di Dom Giovanni III, che nacque la tendenza a “volver oa divino” quello che prima era di dominio profano. b) La Lode, già correntemente utilizzata nel XVI sec. dagli italiani, solo nel sec.XVII invase davvero il teatro peninsulare. Gil Vicente55mai, se non erro, ha utilizzato questa parola nel Breve Sommario delle Opere di Dio, nella Foresta degli Inganni, nell’Auto Pastorale Portoghese, nell’Auto da Feira, nella Commedia di Rumena, nell’Auto de Alma, nella Commedia do Viùvo etc, non avrebbe chiamato come Prologo, Introito, Esordio, e altre parole e Monologo, ciò che avrebbe potuto chiamare Lodi. c) Il modo in cui si canta la Lode nell’Auto de Floripes è lo stesso che si ritrova in una canzone polifonica scritta nel 1517 dall’olandese Heinrich Isaak sotto il titolo Innsbruch, ich muss lassen La storia di questa composizione ci permette di affermare che “fu volta al divino” e passò al Corale protestante col titolo O Welt ich muss dich lassen (O Mondo voglio lasciarti). L’identica melodia, ridotta ai suoi elementi essenziali, fu trovata nel Baulhe, in pieno Minho56 e pubblicata da A.Guimarães come “motivo de rimance” nella Terra Portoghese (II-1916).

53

Scrive Rebelo Pinto nella « Gazeta musical » anno VII del maggio 1957 : “ L’Auto de Floripes mi pare il tipo perfetto di moresca coreo-drammatica dove s’incontrano, riuniti e ingranditi, i motivi del preludio tra mori e cristiani, così come si osserva nella danza dei turchi o nella cantata poetica della lode a Nostra Signora“ Scrive Luìs Chaves in “Danze, balli e mimiche guerriere in Portogallo” in “La moresca nell’area mediterranea” a cura di Roberto Lorenzetti, Forni ed. 1991 “Il successo delle Moriscas stimolò la nascita di ‘farse’ come quella di Floripes, o di semplici rappresentazioni di figuranti che combattono e cantano”. 54 in Leandro Quintas Neves “Auto de Floripes” 1952 cit.da Fernando Reis “O povo flogà o Povo brinca” 1969 55 Poeta e drammaturgo del cinquecento portoghese. Ha scritto, tra l’altro “Obras de devocao” che consiste di 17 pezzi di Commedie, Tragicommedie, Farse e Autos 56 Il Rio Minho è un grande fiume che divide la Spagna (la Galizia) dal Portogallo e sfocia nell’oceano Atlantico.


Il pubblico di Principe (STP)

di Neves in Portogallo

di Villaminozzo (RE)

Pensiamo opportuno riservare uno spazio finale al Tchilolì di São Tomé trascrivendo direttamente dal rapporto fatto a Proculture.

I flauti "Pito doxì" Venerdì 17, mi sono reimbarcato per São Tomé. Qui ho incontrato Guilherme Neto, giornalista della televisione di São Tomé (TVS), per una breve intervista sulla missione e poi João Carlos da Silva, consigliere del primo Ministro per gli affari culturali, che mi ha informato dell'intenzione, ancora in nuce, di organizzare un festival internazionale del teatro popolare carolingio a São Tomé. Così fantastichiamo insieme d’invitare, oltre ai 9 gruppi locali di Tchilolí e quelli dell'Auto di Príncipe e di Neves (Portogallo), anche la Caballadas delle Azzorre, i pupi siciliani, la sortiglia di Oristano, la quintana dell'anello brasiliana di Aloghoas. e viste le similitudini culturali del soggetto rappresentato, il Panghim de Goas indiano, il Ta'zieh iraniano, il teatro carolingio delle Filippine e, naturalmente, il Maggio drammatico dell'Appennino tosco-emiliano. Un bel sogno, se si riflette sui costi di un'operazione del genere ma un sogno che vale la pena di coltivare anche solo per intendere la dimensione del fenomeno e la potenza di un simbolo (Carlo Magno) pari solo alla paura dell'Islam che lo ha generato.

Carlo Magno del.Durer

Neves 1945

Principe 1968

São Tomé 2000

VillaMinozzo 1999

Da lui vengo a sapere che sia sabato che domenica alle 15 circa nel quartiere di Boa Morte il gruppo Formiguinha rappresenterà il Tchilolí, ovvero "La tragedia del Duca di Mantova e dell'Imperatore Carlo Magno"


Vado e registro in parte entrambe le rappresentazioni. Qui rincontro Augusto Nascimento, sociologo portoghese interessato alla storia ed alle tradizioni popolari santomensi57 e Audrey Antoni, la camerawoman in missione per la Maison de la culture du monde di Parigi.58

La corte alta di Carlo Magno

Il Duca (Foto Filippi)

La corte bassa dei Mantova

La vicenda (in portoghese antico misto a criollo forro, uno dei dialetti locali) narra dell'assassinio di Valdevinos, nipote del duca di Mantova, da parte di Carloto, figlio di Carlo Magno e del processo che segue alla richiesta di giustizia dei famigliari della vittima. Inizia col funerale-corteo dei figuranti, rigorosamente maschi, 59 mascherati e vestiti di costumi eterocliti (guanti bianchi, crinoline, bicorni, bastoni da passeggio) che trasportano una piccola cassa da morto accompagnati da una banda "pifferi e tamburi di napoleonica memoria" e dal solito stuolo festante di ragazzi nello spazio scenico che è più simile a quello del Maggio: una corte alta, dove vive Carlo Magno ed una corte bassa dove vive il duca di Mantova. La narrazione, 5 ore, narra del processo amministrato dal Ministro della Giustizia, delle testimonianze, degli avvocati (Anderson e Bertrand) e delle loro arringhe, di una perizia calligrafica e dell’inevitabile sentenza. E’ trapuntata dall'intervento della banda, che riproduce, con strumenti africani, una fanfara portoghese60 e sottolinea i momenti salienti della vicenda (entrate ed uscite dei personaggi, passaggi chiave, sentimenti ed emozioni in gioco) permettendo sostegno alle quadriglie e ai minuetti degli attori. Il Tchilolí é spettacolo complesso che mette in gioco la satira, la commedia dell'arte (Montalban, in scena tutto il tempo, é un perfetto Arlecchino tropicale), il seicento e il teatro barocco, oltre ad un'intera filosofia della sopravvivenza delle tradizioni umane nelle situazioni limite Le dosi d’ironia di questo spettacolo mi fanno escludere comunanze radicali col Maggio drammatico anche se posso elencare molte consonanze: l'ambito testuale carolingio, l'ereditarietà famigliare dei ruoli, una comune antropologia dello spazio teatrale, i nastri dei costumi di alcuni attori ricordano la festa di calendimaggio e infine, la presenza di parti rimate nel dialogo tra i personaggi (Carlo Magno recita sempre con enfasi rimata). Preferisco rimandare agli studi della Grund e della Neves chi volesse interessarsene,

57

Augusto Nascimento “São Tomé e Príncipe. Mutazioni sociali e politiche nei secoli XIX e XX. Una sintesi interpretativa.” Febbraio 2001. Pubblicato a cura del centro studi africani e asiatici. 58

Torneremo tutti e tre anche alla seconda rappresentazione col sapore di aver partecipato ad un magico rito teatrale. tra l’altro al termine dello spettacolo una donna tra il pubblico cadde a terra in trance con grande stupore di noi europei. 59 Il Tchilolì, come un tempo, il Maggio drammatico e l’Auto de Floripes, è teatro squisitamente maschile e sono rappresentati da maschi con treccia anche i ruoli femminili. 60 Scrive Alda do Espirito Santo, poetessa santomense “Il ritmo del pito doxì, come il canto angustiante dell’Ossobò veicola un messaggio d’inquietudine evidente…non è né bellicoso né pacifico, è tragico”.


convinto che, pur nella sua indiscussa bellezza e nella qualità di satira di costume, il Tchilolí esuli dalle ragioni di questo resoconto pur rimanendo "un'espressione artistica che ha permesso agli schiavi santomensi di reinventarsi un territorio immaginario, quello dell'Africa degli antenati, sotto un travestimento europeo" (F.Grund).

Il feretro

Le inconsolabili vedove

Il conte di Montalban e la banda

Conclusioni Non so cosa io abbia guadagnato da questo viaggio nel teatro popolare, certo mi è scomparso dalla testa un preconcetto manicheo che si era ficcato lì ai tempi delle scuole elementari e cioè che il Maggio è “la lotta del Bene col Male nel cerchio magico della Vita” come se fosse chiaro che i pagani mori fossero il Male e i cristiani bianchi il Bene, e non ad es. viceversa. Inoltre quel tertium non datur del mio manicheismo infantile si è frantumato contro tutte le funzioni terze che ho incontrato: i Bobos di Principe, il Montalban del Tchilolì, il Brutamontes portoghese e i nostri buffoni sono quel terzo incomodo che si è frapposto alle mie semplificazioni e come il coro nella tragedia greca mi ha offerto l’opportunità di farmi, di questa particolare forma di teatro popolare, una visione meno monocola e un po’ più prospettica. Vorrei terminare con un’email ricevuta dal prof. .Dell’Aira che aumenta la complessità e l’interesse per questa ricerca: ”São Benedito in Brasile era il San Francesco degli schiavi. La sua festa a Lisbona, nel 1609, si celebrava il 5 agosto, giorno della Madonna della Neve. Le ricorda niente questo? Se non sbaglio, a Viana do Castelo l'Auto da Floripes si celebra tuttora in quella data. Su questo dettaglio del 5 agosto ho trovato una preziosissima citazione indiretta in una cronaca francescana del Seicento, di cui ho dato notizia in uno dei miei saggi: la trascrizione di una lettera spedita dal convento dei francescani di Lisbona il 5 agosto 1620, indirizzata al convento di Palermo, con la richiesta di notizie sul frate nero morto in odore di santità, e con il racconto degli autos dei neri, che sfilavano per strada dietro agli stendardi della Madonna del Rosario e di un frate zoccolante nero. Nel 1619 alcuni notabili siciliani al seguito di Filippo III videro a Lisbona centinaia di schiavi africani in processione dietro a quello stendardo, chiesero chi fosse il frate e si sentirono rispondere una cosa che essi stessi non sapevano: è "São" Benedito de Palermo (la canonizzazione canonica sopravvenne solo nel 1807: nel caso del frate di Palermo, nato a San Fratello in provincia di Messina da due schiavi d’origine africana, si tratta di una forma di canonizzazione down-top, dal basso, prima ammessa, poi, dopo il 1630, tollerata dalla chiesa negli scenari continentali diversi da quelli europei). Nelle prime pagine dell'Auto da Floripes di Fernando Reis si parla di feste che duravano mesi, legati anche


alla devozione al rosario e al Sant'Antonio protettore degli animali. Quel Sant'Antonio in verità non è Sant'Antonio da Lisbona/Padova, ma Sant'Antonio abate. Sono orientato a pensare che ci sia, o se non c'è si potrebbe trovare, qualche nesso tra Auto da Floripes e devozione al Rosario. Se c'è questo nesso, doveva essercene uno tra l'Auto da Floripes e la devozione al "santo preto61" canonizzato dal basso. Anch'io vado un po' alla cieca. Ci sarebbe da studiare a fondo le tradizioni popolari di origine medievale legate ai re magi, uno dei quali, nero, fu proposto agli schiavi come modello di santità. Quello che è certo è che noi europei non sappiamo quasi nulla sulle contaminazioni culturali avvenute nei secoli della diaspora africana. Nel Brasile di oggi il culto per São Benedito è cambiato: ha subito una sorta di "branqueamento" da parte delle gerarchie, irreversibile sotto certi versi. Nel nord del Portogallo alcune tradizioni certamente risalenti alla devozione dei neri sono attribuite a San Benedetto Abate, da Norcia. Questo sono riuscito a dimostrarlo. Le confraternite del rosario dei neri, in Portogallo, in Angola, in Andalusia, in origine amministrate dai francescani, furono presto controllate dai domenicani dopo la battaglia di Lepanto (1571). In Brasile, come le dicevo al telefono, questo non è avvenuto. La devozione dei neri, organizzata intorno alle irmandades do Rosário e de São Benedito, con gli autos devocionais celebrati per strada al suono dei tamburi, casa per casa o sul sagrato delle chiese, è stata progressivamente assorbita dal folclore e dal carnevale.”

61

Preto :termine riferito ai corpi densi dal latino ‘pressus’, in portoghese è sinonimo di negro, con una nota dispregiativa che in Brasile ha perduto. (in A.Dell’Aira ‘Da san Fratello a Bahia’ Magazzini di Arsenale, 1999



2011


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.