I QUADERNI DEL MUSEO
IL MAGGIO DRAMMATICO un’indagine sociolinguistica di Valentina Bonicelli
numero cinque
2014
In copertina un’immagine da Le stagioni di A.Peleshian
Il mistero delle origini Le aree della rappresentazione maggistica Le trame dei campioni (copioni) La lingua del Maggio Drammatico Bibliografia
IL MISTERO DELLE ORIGINI
Il
Maggio
Drammatico
è
una
forma
di
rappresentazione popolare che affonda le sue radici nelle antiche feste per le Calende di Maggio; quest’ultime erano dei riti celebrati in tutt’Europa tra la notte del trenta aprile e la mattina del primo maggio: rappresentavano il modo con cui le comunità contadine rendevano omaggio alla primavera, stagione dalla quale dipendeva la loro sopravvivenza, lasciandosi alle spalle l’inverno, simbolo, al contrario, di staticità letargica, sterilità e privazione.1 Il centro del rito primaverile era l’albero fiorito: esso era portato in processione con cortei e questue
oppure
sistemato
nelle
piazze
e
attorniato da danze, canti popolari e competizioni 1
Paolo Toschi [1955], Carlo Borghi [1848] e Laura Artioli [1983] propongono un quadro dei riti allestiti in occasione delle Calendimaggio in Italia e in Europa.
tra gruppi di giovani, quali, ad esempio, la cuccagna o il palio; al termine di queste gare, il vincitore era eletto re di Maggio e affiancato dalla regina di Maggio, la sua amata o la ragazza più bella del paese, mentre il perdente era nominato giullare, personaggi che, secondo Paolo Toschi [1955],
collimano
col
nucleo
drammatico
elementare della rappresentazione maggistica. Già dal Cinquecento, tuttavia, le feste di Maggio iniziarono lentamente a scomparire, assorbite dalla consacrazione del mese omonimo alla Madonna e dall’istituzione del primo maggio dei lavoratori; nonostante questo, gli antichi caratteri rituali delle maggiolate si sarebbero conservati nel Maggio Drammatico, il quale, pur nascendo nel XVIII secolo, seguendo la datazione proposta dal Toschi [1955], costituirebbe il punto di approdo dell’influenza che la letteratura cavalleresca esercitò sui riti primaverili. Infatti, essa circolava ampiamente sugli Appennini, così anche un’altra
rappresentazione popolare diffusa in tutt’Europa, cioè la Moresca, una danza armata avente come protagonisti cristiani e saraceni.2 La
rappresentazione
Toscana,
importata
maggistica in
nacque
Emilia
in
grazie
all’emigrazione: fino al Secondo Dopoguerra, infatti, i due versanti del crinale appenninico erano legati da forti flussi migratori diretti verso la Toscana, per la transumanza in Maremma, i lavori agricoli nella Lucchesìa, per il commercio di bestiame, in particolare nelle fiere di Sillano, e di generi alimentari nei mercati di Castelnuovo in Garfagnana e Fivizzano.3 In queste occasioni si
2
Vezzani e Fioroni [2011: 135-145] propongono uno studio sulla Moresca eseguita dalla compagnia maggistica di Vagli di Sopra-Roggio (LU). 3 Giuseppe Giovannelli descrisse così il legame tra il Maggio Drammatico e l’emigrazione: “La consuetudine del Maggio era profonda e radicata. Segnava il ritorno dei pastori dalla Maremma dove, nelle lunghe soste invernali, si dedicavano a imparare forme e testi delle rappresentazioni sacre e popolari toscane per importare nei loro paesi del crinale emiliano (o
acquistavano i copioni dei Maggi, che di solito consistevano in fogli volanti stampati dalle tipografie di Lucca, Pisa e Volterra; essi erano, in seguito, ceduti alle compagnie emiliane, le quali provvedevano a ricopiarli, modificandone la trama, la lingua e la metrica: ciò fece sì che circolassero diverse redazioni di un solo Maggio attribuite ad autori differenti, mentre il nome del vero autore e l’originale andavano perduti.4 Se ci si attiene alle fonti scritte, le testimonianze in merito al Maggio Drammatico non risalgono oltre la metà del Settecento: un esempio sono i decreti
lombardo, come allora si diceva)” [Valdesalici 2010: 12]. 4 Poiché erano pochi i copioni in circolazione, essi erano considerati beni preziosi, tanto da essere rubati, episodio avvenuto per la celebre Gerusalemme Liberata, un Maggio di cui esistono moltissime redazioni attribuite a vari autori: “Il testo […] fu rinvenuto a Montefiorino, sottratto con alcune complicità al proprietario che non voleva cederlo, portato a Villa Minozzo per essere ricopiato in una notte dal Bonicelli e dal Ferrarini, e infine restituito al proprietario” [Fioroni 1992: 193].
emanati dalla Repubblica di Lucca dal 1781 al 1805, coi quali si vietarono indistintamente i Maggi, le Moresche e i Bruscelli [Toschi 1955: 492]. Un altro antico documento consiste in un’epistola datata al sette luglio 1792, scritta da Don Matteo Corti, parroco di Casola, nel comune di Montefiorino (MO), e indirizzata al Vescovo della sua diocesi; in questa lettera il mittente si lamenta del comportamento dei parrocchiani durante e dopo le Messe domenicali del mese di Maggio,
affermando
che
quest’ultimi
si
presentavano in Chiesa vestiti “da rè e da donne con cimieri e corone in testa, chi da combattenti con arnesi cincinnanti, che da innamorati ed innamorate, da ruffiani e buffoni e simili”, recandosi poi nel sagrato per allestire uno spettacolo fatto di “strepiti di urli, canti, buffonerie, atti guerreschi e da innamorati a suono di cetre, e violini, saltando ivi e balando con tutta libertà come fanno nelli altri luoghi pubblici
girando per la Parrocchia” [Aravecchia 2009: 99100]. Il più antico copione reperito consiste, invece, in un testo ritrovato da Marcello Conati nella Biblioteca Palatina di Parma, fatto risalire dallo studioso e altri esperti bibliografici alla fine del Settecento [Conati 1992]. I documenti rinvenuti in area reggiana non concordano
tuttavia
con
la
testimonianza
trasmessa da Don Matteo Corti: ad esempio, il 27 Agosto 1811 il Cancelliere Censuario del Cantone di Villa Minozzo, territorio allora compreso nel Dipartimento del Crostolo, elencò i riti popolari diffusi nel territorio reggiano, menzionando solo i riti delle Calendimaggio: “Fra l’anno si tiene la sola pratica di cantare qualche poesia sacra o profana del mese di maggio in segno di allegrezza per l’incominciata bella stagione e si eseguisce da diverse persone unite, le quali con violini passano da una famiglia all’altra, cantano delle poesie che
volgarmente si chiamano “cantar maggio” e ricevono delle offerte in formaggio, ova, denaro e prodotti, che vengono errogati, come mi si fa credere, nel far celebrare messe per le anime del Purgatorio”
[Gruppo
di
drammaturgia
2
dell’Università di Bologna 1974: 88]. Invece, la lettera di Don Matteo Corti conferma la diffusione del Maggio nei territori montani della provincia modenese sin dal 1792: si può dunque supporre che questa forma di teatro popolare si sia diffusa prima sull’Appennino modenese e, in seguito, su quello reggiano; come sostennero Fioroni e Vezzani [1983], il territorio di Frassinoro (MO)
avrebbe
potuto
essere
il
luogo
di
irradiazione della cultura maggistica, poiché attraversato dall’antica strada romana, la via Bibulca, la quale collegava l’Emilia alla Toscana tramite il Passo delle Radici ed era percorsa abitualmente da emigranti e commercianti.
LE AREE DELLA RAPPRESENTAZIONE MAGGISTICA
In
passato
il
Maggio
Drammatico
era
rappresentato in diversi territori del crinale appenninico: nel reggiano, nel modenese, in Garfagnana, in Lunigiana, in Versilia, nella Lucchesìa, sui monti pisani, nel bolognese, nel parmense e nel pistoiese; oggi, al contrario, il canto si è conservato solo lungo l’Appennino reggiano, modenese, garfagnino, in Lunigiana, nella Lucchesìa e sui monti pisani. La Versilia ha cessato di allestire il Maggio negli anni Cinquanta, mentre l’area del parmense negli anni Venti; invece, sulle montagne pistoiesi, la tradizione maggistica, detta “giostra”, si spense alla fine dell’Ottocento e così anche nel bolognese.5
5
Maggiori informazioni in merito al canto del Maggio Drammatico in area bolognese e parmense sono
Il
crinale
appenninico
rappresentazione
maggistica
elementi
nella
comuni
solitamente
di
genere
storico-leggendario,
e
propone con
scelta
una
numerosi
dei
copioni,
epico-cavalleresco nell’allestimento
o
della
scena. Le uniche differenze riguardano il canto, che in Garfagnana e in Lunigiana è più arcaico, complesso e ricco di abbellimenti, mentre in Emilia esso appare più uniforme, nonostante le diversità tra le varie compagnie; inoltre, i costumi toscani sono più semplici e a tinte unite sgargianti, mentre nel crinale emiliano essi sono di colore scuro, uguali per ogni maggerino e ornati con ricami, fili colorati e spalline. Al contrario, nelle aree collinari della Lucchesìa e dei monti pisani, il Maggio ha subito alcune modernizzazioni,
che
riguardano
soprattutto
l’allestimento della scena e l’accrescimento della
reperibili rispettivamente in G.P.Borghi [1992] e Conati [1992].
finzione scenica: la rappresentazione non avviene la domenica pomeriggio nei boschi o nelle piazze, come invece accade sull’Appennino, ma nei teatri di paese. I costumi sono noleggiati affinchÊ vi siano maggiori rimandi storici rispetto agli episodi narrati, con la preferenza di Maggi a carattere religioso o storico; le prove sono, inoltre, piÚ numerose e accurate e ciò rende superflua la funzione del suggeritore, figura anzi sempre presente nelle compagnie appenniniche.6
6
Venturelli [1992] propone un quadro ben delineato delle aree in cui si rappresenta il Maggio, evidenziandone le caratteristiche e le differenze.
LA TRAMA DEI CAMPIONI
I principali generi del Maggio drammatico sono tre: epico-cavalleresco, il più rappresentato in area appenninica e indicato da Paolo Toschi [1955] come il più antico; storico-leggendario e religioso, quest’ultimo molto più comune in Lucchesìa e sui monti pisani; nonostante questa suddivisione, lo svolgimento di un Maggio è sempre il medesimo e presenta diversi tratti comuni. Si possono riconoscere tre momenti di sviluppo nella struttura della trama dei copioni maggistici: quelli più antichi sono datati tra l’inizio e la fine dell’Ottocento, quelli moderni tra il primo Novecento e gli anni Settanta, mentre quelli contemporanei decenni.
sono
composti
negli
ultimi
I testi antichi 7 presentano delle analogie per quanto concerne lo svolgimento dell’azione, la lingua e il numero di quartine: questi copioni sono, infatti, piuttosto brevi, poiché contano, di norma, meno di cento strofe; la struttura è molto semplice e basata sullo svolgimento fiabesco della trama, elemento evidente innanzitutto per la circolarità dell’azione; essa si apre, come anche nei Maggi moderni e contemporanei, con una situazione
di
equilibrio,
infranta
dall’arrivo
dell’antagonista e terminante col ripristino di questa stabilità grazie alle imprese dell’eroe. I personaggi alla base del dramma sono sempre i medesimi: il protagonista cristiano, virtuoso e valoroso, la sua amata e l’antagonista, il quale 7
Per quanto concerne l’analisi dei Maggi antichi ci si è basati su due componimenti: “Maggio”, il copione reperito da Marcello Conati nella Biblioteca Palatina di Parma e datato agli ultimi decenni del Settecento [Conati 1992]; “Maggio sopra Carlo Magno Imperatore contro il re Amansore di Barberia per cagione di Bradamante figlia dell’Imperatore che la voleva il gran Turco” [Valdesalici 2012].
racchiude, al contrario, gli stereotipi di cinismo e crudeltà; di fondamentale importanza nei Maggi antichi, è infine il Buffone, la figura comica all’interno del dramma. La trama di questi copioni è quindi essenziale, priva di dettagli, spiegazioni in merito alle cause e ai motivi per i quali i personaggi operano in un certo modo: l’amore per una dama fa scaturire gli scontri e i duelli tra le due schiere di personaggi, in genere cristiani e saraceni, in cui i primi, esempi di virtù e integrità morale, trionfano sui pagani, dipinti, invece, come traditori e infimi. I dialoghi sono minimi, il tutto a favore di uno svolgimento che privilegia l’azione, in particolare la lotta manichea tra i due eserciti opposti e inconciliabili, fenomeno comune alla Moresca e alle già citate gare agonistiche allestite durante le feste per le Calende di Maggio. Secondo Tullia Magrini [1992] il motivo di questa opposizione irriducibile tra le due schiere sarebbe
scaturito
da
un
sentimento
di
fragilità
appartenente a comunità periferiche e isolate, vessate
da
problemi
quali
la
povertà,
l’emigrazione e l’emarginazione: la realtà esterna appariva come insensibile a questi problemi, lontana e minacciosa, davanti alla quale l’unica soluzione era quindi quella di rinsaldare i legami della propria collettività, cantandone i valori di solidarietà e fratellanza. Per questo motivo le vicende sono idealizzate, tale che i buoni trionfino sempre sui nemici grazie ad aiuti provvidenziali e fiabeschi; l’introspezione psicologica, il vaglio dei dubbi e delle responsabilità individuali avrebbero, quindi, proiettato il Maggio in un orizzonte quotidiano, dunque aberrante e fatto di umana fragilità, senza eroismi e vittorie assicurate.8 8
Un’indagine più approfondita dei legami tra la fiaba e il Maggio Drammatico sono stati proposti da Massimiliano Aravecchia [2009], mentre Tullia Magrini [1992] e Romolo Fioroni [1970] si occuparono di definirne i legami antropologici con la comunità appenninica.
I Maggi moderni, cioè quelli composti tra i primi decenni del Novecento e gli anni Settanta, presentano alcune differenze rispetto ai copioni antichi: innanzitutto la lunghezza, la quale si aggira attorno le trecento strofe, e la presenza di ottave, sestine, ariette e, almeno in area toscana, di quintine accanto alle più tradizionali quartine. Questi testi, inoltre, attingono a fonti diverse rispetto ai soli poemi cavallereschi, i quali avevano, invece, costituito la base dei Maggi antichi: tra questi si annoverano i romanzi di Sei, Sette e Ottocento, il cinema e, a partire dagli anni Sessanta, la televisione. Tuttavia, nonostante questa innovazione, la struttura della trama è rimasta
invariata,
poiché
permangono
l’essenzialità fiabesca e il vertere del dramma sull’azione e sugli scontri manichei tra le due schiere inconciliabili.
Il primo autore che propose una novità rispetto al passato fu Stefano Fioroni
9
(1862-1940) di
Costabona: nei suoi Maggi il tema dello scontro non si sviluppa a causa delle differenze religiose, ma per amore; i duelli, inoltre, occupano uno spazio molto minore rispetto al passato, mentre il nucleo delle vicende sono i drammi personali, le cause e l’indagine psicologica dei protagonisti, in particolare del nemico. Tutto ciò aveva, infatti, secondo Fioroni, un obiettivo pedagogico: nei testi da lui composti l’antagonista, prima di morire, si pente dei propri peccati e degli errori commessi, chiedendo di essere perdonato, spostando quindi l'attenzione sui sentimenti, sugli ideali e sul valore della comprensione, affinché risaltino i valori di giustizia e solidarietà. A crocevia tra i copioni moderni e contemporanei vi sono quelli composti da Romolo Fioroni (19299
Cenni più approfonditi sulla biografia e le opere di Stefano Fioroni sono contenute in Valdesalici [2010: 2532].
2010) 10 , nipote di Stefano, il quale rinnovò la tradizionale struttura fiabesca dei Maggi in cui il bene
trionfa
categoricamente
sul
male,
proponendo una trama più realistica, basata su “l’uman dramma”, nesso infatti ricorrente nei copioni di Fioroni: come accade in “Roncisvalle” e in “Isoletta”, l’eroe buono muore, senza che vi siano eremiti, maghi o amici a salvarlo. Il punto centrale risiede, tuttavia, in ciò che il pubblico può apprendere da questa morte, poiché, nel perire, il protagonista si fa testimone dei suoi valori, esprimendo la speranza che essi possano rivivere in altri uomini.11 Ancora più fondamentale è la 10
Vezzani [2010] ripercorre la biografia e i Maggi composti da Romolo Fioroni, intrecciando il tutto con numerose notizie riguardo la Società del Maggio Costabonese. 11 Fioroni ricorda, infatti, come il suo “Roncisvalle”, rappresentato per la prima volta dalla Società del Maggio Costabonese nel 1967, non riscosse molto successo, proprio perché Orlando, il paladino cristiano per eccellenza, muore vinto dal tradimento di Gano [Fioroni 1970]. Un esempio dell’intento realistico e pedagogico dei Maggi di Fioroni è contenuto in
morte del nemico che, prima di spirare, si redime e chiede perdono per le crudeltà commesse, ribandendo così il valore educativo dei Maggi Drammatici moderni. I testi
composti
dagli anni Novanta,
pur
mantenendo inalterata la struttura maggistica tradizionale della lotta tra due schiere opposte, fanno risaltare l’interiorità del personaggio, anche e soprattutto del nemico, ed esaltano i valori di solidarietà, giustizia, comprensione reciproca e pace. Nonostante
permanga la volontà di
attingere all’epica cavalleresca, numerosi copioni contemporanei ricevono le suggestioni di generi assenti nella tradizione maggistica, in particolare del fantasy, come in “Antinea” di Luca Sillari; altri componimenti si basano anche su leggende locali dell’Appennino, dimostrando un grande senso di “Roncisvalle” 183-4 “Tu non vuoi spezzarti, allora/dur giaciglio mi sarai/ed il mondo informerai/che in te Orlando vivrà ancora./Vivrà ancor simbol d’onore,/vivrà ancor simbol di gloria;/Roncisvalle sia memoria/al futuro traditore”.
appartenenza alla valle di origine, come nel caso, ad esempio, dei “i tre fratelli” di Luca Sillari e “la pietra del diavolo” di Luca Mariani.
LA LINGUA DEL MAGGIO DRAMMATICO
Nei Maggi Drammatici agiscono tre registri linguistici atti a creare una lingua mista: il primo è quello dell’italiano aulico e solenne, derivato dalle influenze della letteratura colta, in particolare dei poemi cavallereschi, estremamente diffusi lungo il crinale appenninico, delle ottave rime toscane, dei melodrammi e dell’opera lirica. Il secondo livello è quello dell’italiano popolare, cioè la lingua impiegata da coloro che, non disponendo di un alto livello di istruzione e partendo da basi dialettofone, cercarono di esprimersi nella lingua nazionale; il terzo registro è, infine, quello dell’italiano contemporaneo, la lingua utilizzata nei contesti quotidiani e familiari. Questi tre livelli linguistici si sviluppano nei Maggi in archi cronologici e in situazioni differenti: l’italiano aulico è evidente in tutta la tradizione
maggistica per l’utilizzo di termini arcaici, i quali ricorrono in modo piuttosto statico e fisso in tutti i copioni antichi e contemporanei. Ciò è dovuto al fatto che, in passato, per
le
popolazioni
appenniniche, il canto e la memoria avevano un valore
fondamentale;
autori e
appassionati
imparavano a memoria le ottave dei poemi cavallereschi
e
le
strofe
dei
Maggi,
trasmettendone così, attraverso il canto, la lingua, la gestualità, i personaggi delle vicende e la modalità stessa del canto.
12
Questa cultura
popolare non si esauriva solo col Maggio, ma si 12
Si ricorda, ad esempio, la figura di Pasquale Marchetti (1880-1940) di Sant’Anna Pelago (MO), il quale disponeva di una biblioteca composta esclusivamente dell’“Innamorato”, del “Furioso” e della “Liberata”, opere che circolavano molto sull’Appennino; Marchetti, conoscendo queste opere a memoria, scrisse alcuni poemetti in ottava rima e dei Maggi, dei quali però non permane nessun titolo Fontana 1964; Vezzani 1992]. Si ricorda anche il progetto con cui il Museo del Maggio di Villa Minozzo ha ricostruito il copione della “Gerusalemme Liberata”, avvalendosi della memoria del M° Orfeo Coloretti e delle competenze musicali del M° Ezio Bonicelli.
esprimeva anche attraverso canti popolari, ottave rime e stornelli di derivazione toscana, appresi grazie all’emigrazione e fondamentali per scandire i momenti della vita individuale e collettiva.13 I copioni maggistici presentano una fissità nella ricorrenza di termini colti e arcaici di memoria letteraria
ed
epico-medievale:
ad
esempio,
“desiderare” è reso con “bramare”, “spada” con “acciaro” o “brando”, “desiderio” diventa “desio”,
13
A dimostrazione di quanto la rappresentazione maggistica fosse radicata tra le comunità appenniniche, così parlava Giovanni Battista Galassi nel 1950: “[Il Maggio] È un modo di evasione dal carcere della umile vita della gente dal cuore semplice: per un giorno io sarò un re, tu un pari di Francia, tu un sultano, tu una nobile fanciulla di Trebisonda; ma senza finzione, compiutamente, nell’aspetto esteriore e dentro di me; e per ogni giorno dopo quel giorno glorioso si dimenticherà il mio nome di battesimo, perché per altri non sarò che Re Erminione, e tu Oggeri, tu Lucaferro e tu, bellina dalla voce bianca, Fiordispina. (potresti forse sentir dire: <<Dov’è il Re Erminione?>>, <<Il Re Erminione è a mungere la vacca>> […]” [Notari, Valdesalici 2012: 55,56].
“parlare” “favellare”, “pericolo” “periglio”, “fare piacere” “aggrada” “uccidere” “troncare” ecc. Frequente
è
anche
l’impiego
di
coppie
sinonimiche e pleonastiche, come “iniquo e fello”, “ardito e fiero”, “odi e ascolta”, “guarda e mira”, “al supplizio ed alla morte”, “desia e brama”, “di sdegno e d’ira avvampo”, “afflitta e mesta”, “stolto e infame” ecc. Oppure, la frequenza di alcuni particolari accostamenti di aggettivi e sostantivi, come “cruda sorte”, “aspra morte” o “vendetta”, “rio destino”, “sorte ingrata” ecc. Numerosi sono anche i suffissi poetici per impreziosire lo stile: tra i più ricorrenti si annoverano quelli in –ade femminili “bontade”,
astratti,
ad
“libertade”,
per i sostantivi
esempio
“beltade”,
“pietade”,
“cittade”,
“caritade”, “viltade” ecc.; in –glio, come “periglio” in luogo di “pericolo”; in –mente/o, come “prestamente”,
“immantinente”,
“ferimento”,
“arditamente”;
in
“gagliardia”,
–ìa,
come
“bramosia”, “genia” e in –za, come “allegrezza”, “lestezza”, “destrezza”, “temenza”, “fidenza” per “fiducia”. Il registro dell’italiano popolare ricorre, invece, solo nei copioni antichi e moderni, cioè in quelli composti tra l’Ottocento e gli anni Settanta del Novecento, secoli in cui la maggioranza della popolazione
era
dialettofona;
questi
componimenti sono dunque ricchi di fenomeni grafici
come
l’inserimento
impreciso
dell’interpunzione, spesso anche assente, delle maiuscole, degli accenti, degli apostrofi, dell’h, la frequenza di parole mal scisse, le degeminazione e le aggeminazioni, il passaggio da c a q. Altrettante
particolarità
tipiche
dell’italiano
popolare sono evidenti dal punto di vista morfologico e sintattico: il congiuntivo è spesso assente o impiegato in modo deviante, così anche si registra un uso improprio della flessione e dei tempi verbali; consueta è anche la mancata
concordanza tra soggetto-verbo, singolare-plurale e aggettivo-sostantivo. Seguono alcuni esempi di strofe significative che ne riassumono i tratti esaminati,
prima
concentrandosi
su
quelle
contenute nei Maggi antichi, in seguito sui Maggi moderni:
in
“Maggio
sopra
Carlo
Magno
imperatore” 73-74: “Re del Cielo o Somo Idio/da la forza ai miei campioni/che distrugiano i feloni/a ciò
vadano
in
oblio./Su
miei
fidi
ora
asalite/distrugete tal canaglia/date a lor cruda bataglia//busto e bracia a lor ferite”, quartine in cui è evidente l’accostamento di termini cari alla tradizione cavalleresca, come “fellone”, “cruda battaglia” e “ferire” per “colpire”, alle tipiche particolarità grafiche dell’italiano popolare. Alcuni esempi ripresi, invece, dai Maggi moderni che permettono di comprenderne i fenomeni linguistici più frequenti: ne “la nascita d’Italia” di Alberto Schenetti 26,3 “se il nemico non l’ò assale”, dove il pronome personale complemento
è mal scisso e accentato, probabilmente confuso con la forma del verbo avere; in “Paris e Vienna” di Luigia Correggi 246,4 “d’allofeso genitore”; in “Costantino” di Giuseppe Coltelli: 102,1-2 “quel Costante tanto amato/da Camilla forze sei?”. In “Eronte” 127,5 “all’aspetto quel guerriero/a me sembra mensognero”. Nei Maggi contemporanei permane l’impiego dei tradizionali stilemi aulici e arcaici, ma in misura minore rispetto al passato, poiché la tendenza è quella di sostituirli con termini e perifrasi tipiche dell’italiano d’uso quotidiano; se ciò avviene con più prudenza nelle ottave, nelle ariette e nei proemi, dunque nei momenti lirici o drammatici, dove il linguaggio tende a polarizzarsi verso locuzioni colte, nei dialoghi e nei duelli si registra, invece, la sostituzione delle espressioni altisonanti con quelle familiari e colloquiali. Questa evoluzione non riguarda solo il lessico, ma anche la morfologia e la sintassi: sono innanzitutto
assenti i suffissi poetici impiegati nei Maggi moderni; inoltre, il condizionale, il passato remoto e il futuro semplice sono, come nell’uso quotidiano, sostituiti dall’imperfetto, dal passato prossimo e dall’indicativo, così come si registra, l’utilizzo di dislocazioni e anacoluti. Gli esempi più evidenti riguardano l’aspetto lessicale, visto la frequente incursione di perifrasi e modi di dire appartenenti alla quotidianità e assenti nei copioni precedenti: ne “il medaglione di Gradessa” di Daniele Monti 92,3-4 “hai ragione ma il tuo dire/resti qui o siam spacciati”; ne “le vele dei crociati” di Luca Sillari 136,3 “ed ormai mi son stufato”; ne “l’Orlando Innamorato” di Luca Sillari 160,5 “tu ci sei cascato”, locuzione colloquiale nonostante si trovi si un’ottava; in “Beniamino” di Lorenzo Aravecchia e Viviano Chesi 125,2 “non potrai passarla liscia”. Frequenti sono anche le dislocazioni: ad esempio, ne “i figli di Tanus” di
Miriam Aravecchia 28,3-4 “scusa cara faccio ammenda/lo comprendo il tuo diniego”. La lingua dei copioni maggistici subisce anche un altro tipo di variazione: come già si è accennato, nei proemi e nei momenti lirici o drammatici, che solitamente coincidono con le ottave, le sestine e le ariette, il linguaggio diviene più aulico e si arricchisce di termini come “diletto”, “consorte”, “alma”, “duolo”, “strazio” ecc. Nei duelli la lingua si colora delle espressioni care alla tradizione cavalleresca: i paladini sono apostrofati come “valorosi”, “prodi”, “gagliardi” oppure “ribaldi”, “vili”, “iniqui”, “felli”, “rei”, “empi”; altrettanto tipiche sono le metafore animalesche per degradare il nemico: frequenti sono “serpe”, “verme o “iena indegna”, “belva ardita” ecc. Quando
interviene
il
Buffone,
invece,
la
grammatica è più libera e il lessico più polarizzato verso il dialetto e l’italiano popolare; ad esempio in
“Rodomonte”
402,
il
Buffone
esclama,
deridendo Ruggero: “Per amor di Bradamante/tu mi sembri inscemunito/ma Rinaldo forte e ardito/ti dà busse chi sa quante”. In questa strofa una delle dittologie tradizionali del Maggio, cioè “forte
e
ardito”,
appartenenti
al
è
affiancata
lessico
a
familiare,
termini cioè
“inscemunito” e “busse”, assenti negli interventi dei paladini e delle dame. Se nei Maggi composti negli ultimi decenni la figura del Buffone è a poco a poco scomparsa, i suoi tratti peculiari, anche quelli linguistici, sono stati sostituiti dai tre malandrini o altre figure affini: un esempio è l’intervento dei malandrini Frida, Podaia e Msora ne “la rivolta degli oppressi” di Daniele Monti, in cui i termini tipici del Maggio, come “vile”, “tosto”, “brando”, “pugnare”, sono accostati a espressioni colloquiali: 89,2: “vile insetto rinsecchito”; 93,1.2 “ferma tosto, posa il brando…/Ma chi sei, un travestito?”; 94,4 “me ne vò, m’è preso un crampo!”; 99 “e vabè, che mondo
infame/pur le donne san pugnare!/Non san fare da mangiare/ma ben sanno usar le lame”. Oppure ne “il medaglione di Gradessa” di Daniele Monti i tre briganti esclamano: “tu ribaldo quant’è il
soldo/che
detiene
nella
buggia?/neanche
l’ombra della ruggia/m’è rimasta”, con la congiunzione tra “ribaldo” e due termini dialettali, “buggia” e “ruggia”. Un altro mutamento linguistico sussiste nei Maggi politici o sociali, cioè quei copioni, come quelli composti
da
Domenico
Cerretti
e
Marco
Piacentini, le cui vicende si basano sullo scontro tra due ceti sociali, i padroni, i ricchi, i nobili e il popolo. Nei versi in cui sono rappresentati le madri, i bambini e i contadini, la sintassi e la morfologia
sono
libere
dai
vincoli
della
grammatica aulica del Maggio tradizionale, così anche il lessico si polarizza verso stilemi quotidiani e dialettali, probabilmente per dare al popolo un’immagine
più
innocente
e
familiare,
contrapposta all’avidità e alla crudeltà dei nemici; un esempio da “Marzo 1944” 7-8: Bambino: “Uffa proprio in sto momento./ Anna: Come uffa lazzerone/ se ti dò uno scapaccione/ dopo fili come il vento./ Guarda cosa ho da sentire./ Tē sfaciā da man dna musca!/ Se tuo padre poi ti busca/ non so come va a finire.” Nonostante la lingua dei Maggi moderni sia piuttosto omogenea, un ultimo tipo di variazione linguistica interviene a seconda del ceto sociale di appartenenza
dell’autore:
gli
scrittori
che
poterono accedere a un livello di istruzione più alto rispetto ai loro coetanei, arricchirono, infatti, i copioni con un lessico più ampio, meno ripetitivo e, pur rimanendo all’interno del tradizionale linguaggio maggistico, vi inserirono nuovi termini poi tramandati agli autori moderni. Ad esempio, Stefano Fioroni di Costabona, avendo potuto frequentare, anche se per pochi anni, la scuola seminarile di Marola, compose dei copioni dalla
grafia, dalla sintassi e dalla morfologia controllata e, pur attingendo alla tradizione maggistica, rinnovò
l’universo
terminologico
utilizzato,
inserendovi nuove locuzioni. Oltre a questi autori maggiormente istruiti, vi erano contadini, poeti pastori e artigiani, i quali impiegarono la lingua solenne e colta dei Maggi in modo più statico e rendendo frequenti le ripetizioni di termini uguali anche all’interno delle stesse strofe, soprattutto di espressioni come “indegno”, “iniquo”, “vile”, “diletto”, “alma”, “tosto” ecc. Accanto a questa fissità lessicale, sussistono le tipiche particolarità grammaticali dell’italiano popolare già esaminate, fenomeno che perdurò fino agli anni Settanta e Ottanta.
BIBLIOGRAFIA
-Bonvicini Fabio (a cura di), Con la guazza sul violino, Roma, Squilibri, 2009. -Borghi Carlo, Il maggio, ossia feste e solazzi popolari italiani, Modena, Rossi, 1848. -Fioroni Romolo, I “Maggi”: una raccolta di ottanta componimenti manoscritti, in <<Bollettino Storico Reggiano>> a.III, n.8, 1970, pp. 15-26. -Fioroni Romolo, Vezzani Giorgio, Vengo l’avviso a dare. Appunti per una bibliografia della drammatica popolare, estratto dal <<Bollettino Storico Reggiano>>, a. XVI, n. 56, 1983. -Fontana Sesto, Il Maggio, Firenze, Olschki, 1964. -Gruppo di Drammaturgia 2 dell’Università di Bologna, Il gorilla quadrumano. Il teatro come ricerca delle nostre radici profonde, Milano, Feltrinelli, 1974. -Magrini Tullia (a cura di), Il maggio drammatico: una tradizione di teatro in musica, Bologna, Analisi, 1992. -Notari Marina, Valdesalici Benedetto (a cura di), La tradizione del Maggio. Catalogo. Pubblicato a cura dell’autore tramite ilmiolibro.it, 2012. -Toschi Paolo, Le origini del teatro italiano, Torino, Einaudi, 1955. -Valdesalici Benedetto (a cura di), Romolo Fioroni. L’Epopea del Maggio. Cenni di Antropologia
Appenninica, pubblicato a cura dell’autore tramite ilmiolibro.it, 2010. -Valdesalici Benedetto (a cura di), Maggio sopra Carlo Magno Imperatore contro il re Amansore di Barberia per cagione di Bradamante figlia dell’Imperatore che la voleva il gran Turco, di autore ignoto, pubblicato a cura dell’autore tramite ilmiolibro.it, 2012. -Vezzani Giorgio, La tradizione del Maggio. Mostra documentaria, Reggio Emilia, Tecnostampa, 1983. -Vezzani Giorgio, Romolo Fioroni “Dal Maggio l’arte di una poesia antica, con il Maggio la continuità dei valori fondamentali della vita”, ne <<Il Cantastorie>>, terza serie n. 77, 2010, pp. 4990. -Vezzani Giorgio, La ricerca sul campo con Romolo Fioroni, Vol. II “La Toscana, 1969-2004”, ne <<Il Cantastorie>>, terza serie n. 78, 2011, pp. 71-161.