Omaggio a Pietro Gori

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VILLA MINOZZO 25 aprile 2011

OMAGGIO a

Nel centenario della morte

A cura del Circolo culturale Enrico Zambonini 1


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Parole comunemente ripetute Date i fiori ai ribelli caduti con lo sguardo rivolto all'aurora, al gagliardo che lotta e lavora al veggente poeta che muor P. Gori Non facciamo questa celebrazione come una sorta di beatificazione, né vogliamo far diventare Gori un oggetto di culto laico, distinguiamo sempre la memoria dall'idolatria. Per me, Gori, è un esempio dell'idealità di una fede scevra dall'egoismo e dal potere, "una fede che non tentenna, di una mente che non si piega", di una coscienza pura. Non importa che non tutti, anzi pochi, condividano le idee sociologiche e politiche di Pietro Gori. "Al di sopra delle differenze di scuole di parte, sta l'aspirazione unanime ad un avvenire di libertà e di giustizia, per cui tutti noi lavoriamo con armi diverse, ma con ugual intento, a questa aspirazione, e con questa aspirazione cantarono e cantano i lavoratori, nei giorni di gioia e di battaglia, con le parole del nostro Gori. Indipendentemente dalla sua propaganda e dal nostro impegno, e della sua attività specificamente anarchica." Pietro Gori, venne e viene visto non solo come l'esponente di una corrente, ma un esempio di coerenza e lealtà, valori che molti di altre correnti vorrebbero vedere nei loro leader, "ma anche il portavoce di comuni sentimenti di giustizia, ribellione, libertà, non tanto come l'emblema dell'anarchia, quanto come quello del riscatto dei poveri, delle plebi, dei morenti di fame, degli sfruttati, degli esclusi." "Si gettò a capofitto nel più folto della battaglia alla testa di migliaia di diseredati di oppressi infondendo lo spirito di solidarietà, di lotta, di gioia, di emozioni liberatorie e festose, da una notte immensa alla bella alba guerriera, il sol dell'avvenir" "Pietro Gori: il militante rivoluzionario, l'avvocato dei poveri, il poeta dell'anarchia, dalle idee rinnovatrici, come la figura del Cristo, l'anarchico dalla camicia rossa, il ribelle fustigatore dei mercanti del tempio, il malfattore fazioso, che ardeva levare la voce, come il Mosé che rifiutò la casa del faraone per schierarsi col popolo schiavo per la liberazione donando se stesso e ciò che aveva." 3


"L'immagine del cavaliere senza macchia e senza paura, l'apostolo dolcissimo dell'idealità umana, il poeta de l'amore, il proclamatore delle verità sociali, il predicatore della Pace tra gli oppressi e la guerra agli oppressor." "La sua vicenda, la sua opera, intrecciata nel movimento operaio dalle origini, al centro dei processi politici e organizzativi di notevole importanza come la fase di costituzione del Partito dei Lavoratori Italiani e dell'Internazionale operaia e socialista negli anni Novanta. Acuto osservatore, militante politico la cui visione del processo rivoluzionario era una visione di lungo periodo, una complessa trama organizzativa di preparazione e trasformazione lenta e profonda." Ma per molti rimane "Il cavaliere errante dell'anarchia"; per i poveri di allora, socialmente emarginati, colpiti nella loro dignità umana, traditi dai ciarlatani, rappresentava un sogno immediato di redenzione, di riscatto, di una vita vera e nuova. "Il Messia dell'idea" e l’idea era la fede nel liberato mondo, un esigenza, una speranza, un'affettività e lotta collettiva e partecipata. “Una striscia luminosa nella notte del tempo", un faro illuminante per le nuove generazioni. Per noi anarchici e compagni toscani Gori non morirà mai, e sarà sempre una scintilla, la fiamma che arde nel nostro cuore pieno d'amore e di speranza: la fiaccola dell'anarchia. Gori sarà sempre il vero amico, il compagno, il padre, il fratello ideale, lo sentiremo sempre vicino a noi con la sua forza, il suo ardore, la sua bontà, le sue parole, la sua volontà nelle nostre battaglie e camminerà con noi, nelle nostre bandiere al vento spinte verso nuovi e luminosi orizzonti, verso l'utopia. Allora compagni avanti! "Siam ribelli fieri vendicator, un mondo di fratelli di pace e di lavor. E voi anonimi compagni amici che restate le verità sociali da forti propagate è questa la vendetta che noi vi domandiam".

La libertà, sapete? ...ecco il delitto che pur oggi si volle in noi punir: e per amor di lei, nel gran conflitto, un dì sapremo vincere o morir P. Gori Paolo Becherini

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Da A rivista anarchica http://www.anarca-bolo.ch/a-rivista/355/dossier_Gori.htm

Con lo sguardo rivolto all’aurora Vita e pensiero di Pietro Gori, il poeta dell’anarchia. a cura di Franco Bertolucci

Franco Bertolucci Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci Pietro Gori Franco Bertolucci Franco Bertolucci

Dossier

Sommario Dossier Pietro Gori / Gori, il mito Dossier Pietro Gori / Una vita per l’ideale Dossier Pietro Gori / La mia anarchia Dossier Pietro Gori / La persistenza della memoria. Intervista a Maurizio Antonioli Dossier Pietro Gori / Sul filo della memoria

Pietro Gori

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Gori, il mito di Franco Bertolucci Riflettendo a voce alta sulle caratteristiche e sulle ragioni di un fenomeno unico – per profondità, estensione e durata – nella storia dell’anarchismo di lingua italiana. E non solo…

Viaggiando per la Toscana, soprattutto nella zona costiera, è facile incontrare vie, piazze e monumenti intitolati a Pietro Gori, anzi, chi ha la fortuna di visitare il Museo archeologico a Rosignano Marittimo, potrà ammirare alcune stanzette dedicate ad uno dei padri dell‟anarchismo italiano. Inoltre, quella stessa ridente cittadina ha l‟onore di conservare le spoglie di Gori nella tomba della famiglia che qualche anno fa fu restaurata insieme ai due monumenti che le fanno da cornice: quello dedicato al “poeta dell‟anarchia” dai lavoratori apuani nel Secondo dopoguerra e quello dello scultore Arturo Dazzi, mutilato della testa nel Primo dopoguerra dalla violenza iconoclasta dei fascisti. Ma oggi se domandate ad un qualunque ragazzo delle scuole medie superiori chi era Pietro Gori, nel 99% dei casi non sa rispondervi. La memoria è corrosa dall‟oblio, dall‟inesorabile costante fluire delle acque del fiume Lete che cancella dal territorio e dal ricordo collettivo la storia sociale e politica dei secoli XIX e XX, magari a volte anche con il concorso interessato di amministrazioni e forze politiche. Ma se la stessa domanda, con un salto all‟indietro nel tempo, fosse stata posta ad un ragazzino di un qualsiasi quartiere popolare di una città o di un borgo toscano dell‟epoca precedente allo scoppio della Grande guerra, sicuramente la risposta sarebbe stata assai diversa e probabilmente la conversazione su Gori si sarebbe protratta per molto tempo, tra storia e leggenda, tra aneddoti popolari e versi poetici ricordati a memoria. Tutto ciò perché all‟epoca il mito di Pietro Gori era un tutt‟uno con l‟identità di larghi settori delle classi subalterne italiane, un fenomeno che nonostante vent‟anni di fascismo si mantenne forte tanto da riemergere, come un fiume carsico, nell‟immediato Secondo dopoguerra. Un mito che faceva scrivere ad uno sconosciuto cristiano, certo G.F. D‟Anfiano, su «L‟Avanguardia libertaria» del 10 gennaio 1931 – periodico stampato nella lontana Australia –, questo commovente ricordo: «.…Consentano gli anarchici che anche uno spiritualista e un cristiano, qual io mi sono, abbia parole di memore devozione per il loro poeta. Consentano gli anarchici che anche io intrecci con umiltà, insieme con loro, una corona di lauro per deporla sulla tomba dell‟uomo che diede all‟umanità tutto quello che aveva, che lottò, soffrì, lavorò per i suoi simili; che viandante dell‟ideale, si esiliò dalla famiglia, dalla patria, valicò monti e mari, predicò nella solitudine, tra la folla, in carcere, nell‟esilio, instancabilmente, la dottrina che egli credeva la sola vera, la verità che egli credeva la sola giusta. Intrecciamo una corona di lauro, per il poeta ardente d‟una fede, 6


per il seminatore ideale, che affondò il suo vomere nel cuore degli uomini, e vi sparse i germi del bene; che, ricco, si fece fratello dei poveri; che, intellettuale, si fece incolto con gli incolti; giovine e appassionato, diede il suo cuore ad un più vasto amore, fino a offrire in olocausto la vita, che si spegneva di ora in ora, consumata dalla fatica della semina. Non fu cristiano, ma il suo intimo “sensu Christi” può esser il monito a molti che si dicono cristiani, e in realtà non lo sono». Il mito di Gori se ha salvaguardato in alcuni periodi storici il ricordo del «bardo dell‟anarchia» e il conseguente radicamento della sua figura tra alcuni strati delle classi subalterne, non sempre ha aiutato la ricerca storica: sia all‟interno del movimento anarchico, sia nel campo degli studi storici, per molti decenni non si è scavato con sufficiente attenzione negli archivi e nella documentazione per capire fino in fondo quale sia stato il ruolo di Pietro Gori nella storia del movimento anarchico e del movimento operaio a cavallo tra i secoli XIX e XX (1). Lo schema delle biografie scritte nel Secondo dopoguerra sono più o meno costruite sulla falsariga di quelle dei necrologi e delle commemorazioni degli anni immediatamente successivi alla sua morte riportando a volte errori e imprecisioni. Basta qui ricordare che un noto periodico elbano nel 1969 dedicò un lungo articolo su Gori in occasione del centenario dalla nascita, peccato però che Pietro Gori fosse nato nel 1865! (2) Negli ultimi vent‟anni qualche iniziativa – convegni, conferenze e concerti – si è svolta, soprattutto in alcuni comuni della Toscana, per ricordare la figura di Gori anche sull‟eco dello studio di Maurizio Antonioli (3) sul mito goriano ma niente altro è stato fatto e anche questo centenario rischia di passare inosservato e soprattutto senza un‟adeguata riflessione storica sulla vita di questo non comune militante libertario. Franco Bertolucci Note 1. Per brevità si riportano alcuni dei principali lavori riguardanti Gori usciti nel Secondo dopoguerra: La vita e l’opera di Pietro Gori, nei ricordi di S. Foresi in “Ultime battaglie”; Lettere e scritti inediti [di P. Gori], Milano, Editrice Moderna, 1948; Commemorando Pietro Gori nel 40° della morte, n.u. a cura del Gruppo anarchico “Il Pensiero”, Roma, 1950; C. Molaschi, Pietro Gori, Milano, Il Pensiero, 1959, rist., Pescara, Samizadt, 1999; Rosignano a Pietro Gori, raccolta di saggi e testimonianze a cura del comitato cittadino costituitosi per le onoranze a Pietro Gori, Cecina, 1960; G. Dinucci, Pietro Gori e il sindacalismo anarchico in Italia all’inizio del secolo, «Movimento operaio e socialista», n. 3-4, 1967; P. Bianconi, Il movimento operaio a Piombino, Firenze, La Nuova Italia, 1970; V. Emiliani, Gli anarchici: vite di Cafiero, Costa, Malatesta, Cipriani, Gori, Berneri, Borghi, Milano, Bompiani, 1973; S. Liberovici, M. Castri, E. Jona, L. Panti [a cura di], Documenti, testimonianze orali, interventi critici, riguardanti Pietro Gori, Rosignano Marittimo, 20 marzo 1974, 2 fasc.; I. Tognarini, Pietro Gori, in Movimento operaio italiano dizionario biografico, a cura di F. Andreucci e T. Detti, Roma, Editori riuniti, 1975-1979, vol. 4, pp. 522-530; P.C. Masini, Storia degli anarchici italiani nell’epoca degli attentati, Milano, Rizzoli, 1981; G. Zaragoza, Anarquismo argentino (1876-1902), Madrid, Ed. de la Torre, 1996; L. Fabbri, Luigi Fabbri storia d’un uomo libero, Pisa, BFS edizioni, 1996; M. Antonioli, Il teatro sociale di Pietro Gori, in Maschera e rivoluzione. Visioni di un teatro di ricerca, a cura di F. Mastropasqua, Pisa, BFS edizioni, 1999; M. Binaghi, Addio, Lugano bella. Gli esuli politici nella Svizzera italiana di fine 7


Ottocento, Locarno, Armando Dadò, 2002; Il fondo Pietro Gori, opere, libri e cimeli [a cura di] A. Porciani, F. Tamburrini, Rosignano Marittimo, Comune di Rosignano Marittimo, Assessorato alla cultura, 2004; M. Antonioli e F. Bertolucci, Pietro Gori in Dizionario biografico degli anarchici italiani, vol. 1, Pisa, BFS edizioni, 2003, pp. 745-751; A. Bellandi, Carlo Della Giacoma e Pietro Gori: musica e politica nella Livorno di fine Ottocento, Comune di Livorno, 2005; È arrivato Pietro Gori, a cura di T. Arrigoni, Piombino, La bancarella, 2007; G. Vatteroni, Pietro Gori a Carrara. Legami e visite del cavaliere errante dell’anarchia nella città del marmo, in Atti e memorie dell’Accademia Aruntica di Carrara, vol. 14 (2008), pp. 167-2002; P. Piscitello, S. Rossi, È tornato Pietro Gori: frammenti della vita di un anarchico raccontati dalla gente dell’Elba, Portoferraio, Elbareport, [2008]; A. Marinari, Pietro Gori nella stampa elbana, in «Elba ieri, oggi, domani», 2008; Pietro Gori elbano: lettere, interviste, inediti di S. Foresi e altri autori, edizione a cura di A. Canestrelli, [S.l.], [s.n.], [s.d.]. 2. Cfr. G. Rabaioli, Nel centenario della nascita di Pietro Gori (13 agosto 1869-13 agosto 1969), «Corriere elbano», 7 agosto 1969. 3. Cfr. M. Antonioli, Pietro Gori, il cavaliere errante dell’anarchica. Studi e testi, Pisa, BFS edizioni, 1995 e 1996.

Maurizio Antonioli

Pietro Gori, il cavaliere errante dell’anarchia Studi e testi €13.00, 224 pp, ill., 2ª ed. ampliata e riveduta, 1996. Le richiesta vanno indirizzate a: BFS edizioni/Libercoop Via I. Bargagna 60, 56124 Pisa, Italy tel/fax: +0390509711432 e-mail: posta@bfs-edizioni.it – http://www.bfsedizioni.it Per versamenti utilizzare il conto corrente postale: n. 11268562 intestato a Libercoop, via I. Bargagna n. 60 – 56124 Pisa Le spese di spedizione sono a carico del destinatario.

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Una vita per l’ideale di Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci Quarantasei anni vissuti intensamente, tra piazze e aule di tribunali (come imputato o come avvocato), in carcere e in esilio, in 4 continenti (anche nelle Americhe e in Africa), a fare conferenze, dirigere riviste, incontrare sovversivi, scrivere poemi, testi di canzoni e opere teatrali, organizzare sindacati e… Fino alla morte, sull’amata isola d’Elba. Una famiglia di patrioti borghesi Pietro Gori nasce a Messina alle tre pomeridiane del 14 agosto 1865, come risulta dall‟estratto dell‟atto di nascita. Il padre Francesco Gori, nato nel 1823, ufficiale di artiglieria dell‟esercito regio con alle spalle un‟esperienza nelle guerre risorgimentali, non nasconde le sue simpatie mazziniane, sembra che all‟alba della Prima Guerra d‟Indipendenza fosse stato iscritto alla Giovine Italia. Da ufficiale dell‟esercito piemontese prima e italiano poi seppe guadagnarsi due medaglie al valor militare nella battaglia di Castelfidardo (18 settembre 1860) e nel successivo assedio di Ancona contro le truppe papaline. La scelta militare del padre di Pietro è sicuramente determinata dalla tradizione familiare. La sua famiglia originaria dell‟Isola d‟Elba, ha avuto il nonno Pietro ufficiale della Vecchia Guardia di Napoleone I. Una scelta che lo ha portato a seguire l‟imperatore da Marengo ad Austerlitz, dall‟esilio all‟Elba a Waterloo.

Francesco Gori, ritratto ad olio del pittore N. Orlandi, Buenos Aires 1901 (Fondo Gori – Rosignano Marittimo)

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Giulia Lusoni, la madre di Pietro, è nata nel 1840 ed è discendente di una famiglia benestante di Rosignano Marittimo. All‟anagrafe Pietro è registrato con i nomi di Ernesto, Antonio, Giuseppe, Cesare e Augusto. Tre anni dopo, la famiglia costretta a peregrinare da una città all‟altra dello stivale per gli impegni del padre, accoglie la nascita della sorella Berenice, comunemente chiamata Bice, che nasce ad Ancona il 29 gennaio 1868 e che rimarrà sempre legata da un profondo sentimento fraterno al fratello Pietro.

Giulia Lusoni Gori (Fondo Gori – Rosignano Marittimo)

Non conosciamo molto della fanciullezza di Pietro, sappiamo che il padre intorno alla metà degli anni Settanta dà le proprie dimissioni dall‟esercito e ritorna in Toscana, stabilendosi a Rosignano Marittimo. Il giovane Pietro, che probabilmente fin da piccolo è stato seguito nella sua formazione scolastica con attenzione, come si addiceva all‟epoca per una famiglia medio borghese, dopo le scuole primarie viene iscritto al Ginnasio Niccolini di Livorno. La scelta di mandare a Livorno Pietro non è casuale. Il Ginnasio Niccolini, fondato nei primi anni post unitari, è una scuola prestigiosa, sia per il corpo docente sia per gli alunni. Tutta la borghesia livornese, compresa la comunità ebraica, inviava i propri figli a questa scuola. Pietro si iscrive al primo anno del ginnasio nel 1880 e tutto il suo curriculum studiorum è contrassegnato da ottimi voti soprattutto nelle materie letterarie e in filosofia (1). Allo stato attuale degli studi si sa poco delle sue passioni e interessi di questo periodo, alcune fonti riferiscono di una sua adesione ad una “Associazione Monarchica” dalla quale viene espulso per imprecisate “indelicatezze”. Lo stesso Gori ricorda di quel periodo: “Da ragazzo […] ho battuto parecchie volte le mani alla marcia reale; che seria professione di fede politica! Mio dio, sì, ho perpetrato qualche rugiadoso telegramma al re” (2). La Livorno dell‟epoca era una città in forte crescita economica, con un porto e dei cantieri 10


navali – quelli della famiglia Orlando – che attiravano un numeroso e vivace proletariato. La città si era distinta durante le rivolte contro i Lorena e nel mazziniano Francesco Domenico Guerrazzi aveva trovato una forte guida. Non mancavano garibaldini che avevano seguito il Generale dei Due mondi in diverse imprese, come i fratelli Sgarallino e, ovviamente, dai tempi della Comune di Parigi esisteva un forte nucleo di internazionalisti. È probabile che in questa fase adolescenziale Pietro abbia avuto i suoi primi approcci con la politica in senso lato. Nel giugno 1885 prende il diploma liceale con ottimi voti e decide di iscriversi all‟Università di Pisa nel noto corso di laurea di giurisprudenza. In autunno si trasferisce nella città della Torre pendente dove lo accoglie una comunità vivace culturalmente e politicamente e non solo per la presenza degli studenti universitari, che vantano i propri eroi caduti nella battaglia di Curtatone e Montanara del 29 maggio 1848. Accanto ad un forte nucleo di mazziniani e garibaldini nel corso degli anni si è radicata una robusta componente internazionalista.

Bice Gori (Fondo Gori – Rosignano Marittimo)

L‟ateneo di Pisa all‟epoca era un centro di élite, con circa 600 studenti iscritti in media per anno di cui un quarto frequenta la facoltà di giurisprudenza. A guidare lo studio legale c‟è un gruppo di docenti autorevoli come Francesco Carrara, che insegna diritto e procedura penale e Francesco Buonamici, che ha la cattedra di storia del diritto romano. Accanto ai due insigni giuristi ci sono altri professori come Carlo Francesco Gabba, Lodovico Mortara, Filippo Serafini, Davide Supino e Giuseppe Toniolo. La formazione culturale, scientifica e giuridica del giovane Gori si abbevera alla scuola classica ma ben presto inizia una svolta verso quella positivista che allora era in ascesa. Lo stesso Gori ricorderà, un decennio dopo, questa esperienza in un articolo dedicato a Francesco Carrara nel decennale dalla sua morte avvenuta a Lucca il 15 gennaio 1888. In questi anni Gori incontra altri studenti che avranno vicende biografiche importanti come il pisano Nello Toscanelli che diventerà un esponente liberale di spicco e deputato in parlamento o 11


Enea Noseda che avrà una brillante carriera di magistrato ma la chiuderà ingloriosamente ricoprendo alti incarichi durante il regime fascista. In particolare un altro studente, Luigi Molinari originario di Mantova, stringerà con Gori un‟amicizia duratura e condividerà con lui, oltre la professione di avvocato – si laurea nella stessa sessione del nostro Pietro – la scelta anarchica.

Studenti laureandi in giurisprudenza a Pisa (luglio 1889), Pietro Gori è il secondo seduto a terra da sinistra in prima fila (Fondo Gori – Rosignano Marittimo)

Pensieri ribelli L‟ambiente universitario è sicuramente stato l‟incubatore nel quale il giovane Gori si è formato sul piano culturale e scientifico ma sono gli ambienti popolari di Livorno e Pisa che lo tengono a battesimo politicamente come ci ricorda Virgilio Salvatore Mazzoni, un altro noto anarchico originario di Livorno ma pisano d‟adozione e suo coetano: “[…] la di lui evoluzione verso le dottrine libertarie incominciò dopo la frequenza alle conferenze di Livorno ed alle veglie goliardiche del caffè dell‟Ussero a Pisa ove gli studenti chiassosi si frammischiavano volentieri agli operai studiosi e a non pochi vecchi militi dell‟Internazionale: fra i quali Oreste Falleri, Enrico Garinei, Raffaello Parenti, Teodoro Baroni e altri molti” (3). La conferma dei ricordi di Mazzoni viene anche da quelli di Amedeo Boschi, livornese della classe 1871, che scrive: “Venne un giorno all‟Ardenza a far propaganda delle nuove idee un giovane studente in legge che prese a parlare con una colorita eloquenza e con argomenti veramente persuasivi. Era Pietro Gori, divenuto poi un valente avvocato e un propagandista anarchico di fama internazionale. Alle sue conferenze accorrevano le folle, attratte dalla sua parola dolce e suadente, entusiasmate dalla sua oratoria, anche se non afferravano pienamente i concetti profondi o se li comprendevano soltanto vagamente. Io fui ben presto conquiso dalla propaganda di Pietro Gori. Gli divenni, oltreché compagno, amico e fu amico intimo della mia famiglia” (4).

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L‟anarchismo in Toscana alla metà degli anni Ottanta non ha perso in forza e radicamento nonostante la svolta politica di Andrea Costa, che ha intrapreso una strada possibilista per un socialismo “legalitario”. Errico Malatesta, ritornato in Italia all‟inizio del 1883, ha scelto come sede delle proprie attività proprio Firenze dove ben presto ha fatto uscire il periodico «La Questione sociale» (1883-1884). Non è testimoniato al momento nessun rapporto fra Malatesta e Gori in questo periodo, sicuramente però il giovane avrà sentito parlare del leader del movimento anarchico italiano e delle sue intransigenti concezioni politiche, che successivamente saranno fatte proprie dallo stesso Gori. Certamente, in quel torno di tempo, legge e usa per la propaganda il Fra contadini scritto e pubblicato da Malatesta a Firenze nel 1884. Ne sono testimonianza gli stessi ricordi di Gori che scrive riferendosi ai compagni elbani: “Voi, antichi compagni rosei della mia puerizia, oggi precocemente invecchiati dal lavoro, sedevate intorno al fuoco. Io vi leggevo un opuscolo di propaganda anarchica – il dialogo fra Beppe e Giorgio, di mirabile semplicità” (5). Si può ipotizzare che Gori abbia fatto la sua scelta di campo nell‟inverno 1885/1886 al momento in cui frequenta il primo anno di corso all‟Università di Pisa. Come ci riporta Boschi nella sua testimonianza Gori è già in grado di tenere conferenze nel 1886 e anche nell‟ambiente studentesco si fa notare divenendo in breve tempo segretario dell‟Associazione Studentesca. A nome di quest‟ultima all‟inizio del 1888 organizza una commemorazione di Giordano Bruno. Nell‟ottobre del 1887 invia una corrispondenza al «Corriere dell‟Elba» nella quale si presenta come studente in legge e collaboratore dei giornali «Riforma», «Tribuna» e «Telegrafo». Successivamente, sempre sullo stesso periodico, viene data la notizia che Gori è diventato il presidente della Società Operaia di S. Ilario. La polizia inizia a sorvegliarlo e le autorità capiscono che si trovano di fronte ad un giovane spigliato con una vivace intelligenza (6). La stretta sorveglianza poliziesca accompagnerà Gori per tutta la vita, assumendo a volte proporzioni kafkiane. Gori, grazie alle sue doti oratorie e nonostante la giovane età inizia a tenere conferenze e incontri con altri gruppi regionali tanto che quando il movimento decide di far uscire la terza serie de «La Questione sociale», Malatesta nel frattempo ha dovuto rifugiarsi in Argentina per sfuggire ad una condanna, lo affida proprio al giovane universitario e ai gruppi pisani. Il 1889 è un anno cruciale non solo perché è l‟anno nel quale Gori conclude i suoi studi universitari ma perché è in quel periodo che le autorità, di fronte all‟ascesa carismatica del militante anarchico, cercano di bloccarne l‟attività costringendolo a difendersi nel primo processo della sua storia. Gori, nei mesi in cui cerca di sostenere l‟uscita del nuovo giornale, mette insieme i testi delle sue prime conferenze e nel maggio fa uscire un opuscoletto firmato con l‟anagramma Rigo, col titolo di Pensieri ribelli, stampato a Pisa dalla tipografia il “Folchetto”. Il pamphlet riscuote un buon successo grazie anche all‟inaspettata pubblicità procuratagli dal sequestro, ordinato dalle autorità il 12 maggio 1889, e dal successivo processo – il primo della lunga serie subita da Gori – cui è sottoposto l‟autore per alcune affermazioni contenute nell‟opuscolo (7). Il processo si apre il 20 novembre 1889 e la stampa locale e regionale segue l‟evento: nel collegio di difesa compaiono molti compagni di studi universitari di Gori, ma il nome di maggior spicco è quello del deputato 13


radicale e futuro esponente socialista Enrico Ferri. La presenza del deputato, che ha già difeso in un celebre processo i contadini della bassa mantovana per le agitazioni agrarie di qualche anno prima, non è casuale. Ferri è arrivato a Pisa invitato dall‟Università a tenere la cattedra di sociologia criminale e Gori lo conosce bene avendo ampiamente utilizzato i suoi testi per la preparazione della tesi di laurea. Le autorità imbastiscono il processo sottolineando il carattere “sovversivo” dell‟opuscolo che contiene “concetti ed espressioni offensive le inviolabilità del diritto di proprietà, provocanti l‟odio tra le varie classi sociali, attaccanti l‟ordinamento delle famiglie e la religione di stato” ma, nonostante il tentativo di addossare a Gori gravi accuse i magistrati inquisitori non riescono a sostanziare i reati contestati e la difesa ha buon gioco e il giovane militante libertario viene assolto. Un folto pubblico ha seguito il processo manifestando a più riprese la propria simpatia per l‟imputato. Il pamphlet illustra i principi del comunismo anarchico che Gori ha il merito di esporre con semplicità ed efficacia. Dopo aver sostenuto l‟origine ingiusta della proprietà privata – frutto del furto quotidiano del lavoro degli operai, autorizzato dalle leggi a vantaggio di pochi sfruttatori – ed aver denunciato l‟oppressione dominante nell‟“attuale società” – consentita da istituzioni come l‟autorità, la patria, la famiglia, Gori auspica una “società nuova” basata sulla proprietà comune, sul lavoro “liberato” e sul noto principio “da ciascuno secondo le proprie forze, a ciascuno secondo i propri bisogni”. Coniugando l‟aspirazione libertaria ad una formazione culturale positivistica Gori, non senza un‟ombra di millenarismo, conclude annunciando “l‟alba radiosa” in cui “cadranno le mostruose decrepite istituzioni del presente, e l‟organismo della grande famiglia umana rifiorirà spontaneamente secondo le leggi immutabili della natura”. Su questi temi continuerà a tenere numerose conferenze, in questi mesi, in molti paesi della costa tirrenica toscana e all‟Isola d‟Elba.

Copertina della prima edizione di “Prigioni e Battaglie”, Milano, F. Fantuzzi, 1891 (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

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Un nuovo leader Gori, nel frattempo, a giugno ha sostenuto gli ultimi esami e il 5 luglio 1889 consegue la laurea in giurisprudenza discutendo una tesi di sociologia criminale dal titolo La miseria e i delitti. La lettura della tesi, che verrà pubblicata nel 1907 in sei parti sulla rivista «Il Pensiero» con il titolo Pauperismo e criminalità, dimostra che lo studente Gori ha già una notevole padronanza della materia che gli permette di polemizzare con lo stesso Ferri, citando con disinvoltura sia autori classici, sia contemporanei. Inoltre, durante la preparazione della tesi è entrato in corrispondenza con Filippo Turati che gli invia alcuni libri e opuscoli di diritto. La discussione della laurea avviene con una commissione presieduta dal professore Davide Supino e in sintesi la sua esposizione, nell‟alveo della cultura giuridica positivista, consiste nell‟affermare che il delitto è la conseguenza di una patologia sociale che ha le sue radici nella miseria e che solo il cambiamento della condizione economica delle classi subalterne, cioè l‟instaurazione di una nuova società, potrà far scomparire questa piaga che affligge l‟umanità. Quanto il ventiquattrenne neo laureato sia ormai una personalità conosciuta e affermata nel milieu pisano-livornese lo dimostra la sua partecipazione ai cenacoli frequentati da artisti e letterati (tra i quali Mascagni, Pascoli – da poco assunto come professore al Liceo Niccolini dove Gori si era diplomato –, Marradi, Sabatino Lopez e, talvolta, Carducci). Gori in queste frequentazioni conosce Carlo Della Giacoma, direttore della banda del 38° fanteria, a cui affida proprio nell‟anno della laurea un manoscritto, Elba, scene liriche in 3 atti, per comporne la partitura musicale. E sarà proprio la banda militare ad eseguire, l‟anno seguente in piazza, il primo atto della nuova opera. In questa opera giovanile Gori dimostra una sensibilità e una passione per la letteratura, la poesia e la commedia che lo caratterizzerà per tutta la vita tanto da essere definito, per il successo di alcune sue canzoni e di alcune opere teatrali, il “poeta dell‟anarchica”. Il suo ruolo di leader politico è confermato dalla manifestazione e dallo sciopero di lavoratori che si tiene a Livorno in occasione del 1° maggio 1890. In quel giorno Gori tiene una conferenza di fronte alla solita folla di lavoratori, al termine della quale viene promosso un corteo che viene ben presto sciolto dalle autorità. La presenza di Gori, come sappiamo, non è occasionale; già nelle settimane precedenti ha tenuto altre conferenze e con i gruppi anarchici locali, alleati per la circostanza con alcuni circoli repubblicani intransigenti e socialisti, ha organizzato lo sciopero del 1° maggio. Sempre gli anarchici hanno fatto uscire in questo ultimo periodo due numeri unici dal titolo esemplificativo «Sempre avanti!...» con alcuni supplementi; in quello del 6 aprile compare la poesia Inno socialista a firma di Rigo, come abbiamo già visto anagramma di Gori (8). L‟agitazione che coinvolge i lavoratori delle principali industrie e cantieri della città, che ha caratteristiche rivendicative e politiche, si protrarrà per diversi giorni con manifestazioni di piazza e corredo finale di scontri tra “la folla varia di operai, di marinai, di studenti” e “gli assoldati di polizia”. Gori con altri 15 operai è arrestato a metà maggio e condotto in tribunale, accusato di “ribellione ed eccitamento all‟odio fra le diverse classi sociali” nonché indicato come l‟organizzatore dello sciopero preparato per “la prima pasqua del lavoro”. Il dibattimento, che la stampa battezza “processo Gori”, è condizionato dai pregiudizi della corte e dalle testimonianze dei poliziotti. Nonostante le scarse prove, i giudici emettono una condanna esemplare nei confronti di Gori, un anno di reclusione, e di altri 5 imputati condannati a varie pene. La condanna di Gori, che nei mesi seguenti sarà annullata dalla Cassazione per inesistenza di reato, fece trascorrere al militante libertario diversi mesi in carcere. Gori poco prima del processo cerca invano di convincere Filippo Turati a difenderlo ma senza successo (9). La lettera che invia 15


all‟avvocato socialista milanese con la richiesta di patrocinio della sua difesa è importante perché dimostra, anche in questo caso, come Gori cerchi di fare del suo caso e quello dei suoi compagni di sventura un avvenimento nazionale. Rinchiuso nel carcere di Livorno e poi in quello di S. Giorgio a Lucca, viene liberato il 10 novembre 1890. Durante la carcerazione scrive una raccolta di poesie che darà alla stampa l‟anno successivo per la Biblioteca popolare socialista di Flaminio Fantuzzi. Nei due volumetti con il titolo di Prigioni e battaglie, che riscuotono un certo successo di pubblico, già si delinea l‟immagine del “buono e forte cavalier” dell‟Ideale nel contrasto tra il “bel sogno luminoso” e “la orrenda spira/d‟un fato inesorabile e crudel”. Libero dalle “catene” Gori raggiunge Milano e poi il Canton Ticino per partecipare, il 4, 5 e 6 gennaio 1891, all‟Osteria dell‟Ancora di Capolago, insieme con altri noti esponenti dell‟anarchismo italiano, Malatesta, Galleani, Merlino e Cipriani, al congresso di costituzione del Partito Socialista Anarchico Rivoluzionario.

Pietro Gori, Ettore Croce, Giovanni Borghetti e Eduardo Milano, esuli nel 1895 (Archivio IISG – Amsterdam)

A Milano a combattere i “legalitari” Dopo Capolago, Gori decide di stabilirsi a Milano, dove, prima di aprirne uno proprio, lavora nello studio di Filippo Turati. Il suo obiettivo è – secondo la questura – quello di “organizzare a Milano il Partito Anarchico sfasciato dai processi del 1889 e 1890”. Obiettivo che Gori raggiunge, sempre a parere della polizia, infiltrandosi “in varie associazioni, nella classe operaia, nelle conferenze, nelle dimostrazioni e manifestazioni pubbliche, prendendo un po‟ in ogni dove la parola”, diventando “l‟anima del Partito anarchico milanese”. Grazie al suo frenetico attivismo e alle sue doti di propagandista il movimento libertario riprende rapidamente consistenza. L‟ascendente di Gori sia su militanti maturi, come Fantuzzi e Panizza, passati attraverso l‟esperienza del Partito Operaio Italiano, sia su giovani operai è comunemente visto come la causa del rilancio dell‟anarchismo milanese. Nell‟agosto 1891, in qualità di rappresentante della Federazione cappellai del lago Maggiore, partecipa, sempre a Milano, al Congresso Operaio Italiano che vede la nascita del Partito dei Lavoratori Italiani ed attorno a lui si coagula la minoranza anarchica che tenta, con scarso successo, di contrastare la linea di Turati. Non perde occasione, inoltre, di tornare in Toscana a mantenere i rapporti con i gruppi e i compagni e a svolgere la sua attività prevalente di propagandista.

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Durante l‟anno la polizia non cessa di sottoporlo ad un‟assidua vigilanza e in più di un‟occasione lo trascina in carcere. In una di queste circostanze, come Gori stesso ricordò anni dopo (10), scrive un‟opera teatrale in tre atti dal titolo Gente onesta, lavoro che lo stesso Gori definì “non opera di fini artistici, ma di ribellione alle accidie del carcere, ed al lievito venefico che esso sprigiona negli animi, capace di ben più atroci misfatti”. L‟opera doveva poi essere rappresentata la prima volta in un teatro di Milano nel 1894 ma la censura mutilò il testo obbligando l‟autore a recedere dal proposito di rappresentarlo in pubblico, limitandosi ad una messa in scena in privato presso i locali dell‟Arte Moderna di Milano (11). Nel dicembre dello stesso anno dà vita al periodico «L‟Amico del popolo», un piccolo foglio che i continui sequestri portano alla chiusura dopo appena 6 numeri. “L‟Amico del popolo cade, non vinto, ravvolto nelle pieghe della propria bandiera” (12). Al periodico seguirà una serie di numeri unici – dei 27 menzionati da Sandro Foresi (13) ne abbiamo rintracciati solo 5 – uno dei quali successivo alla partenza di Gori per Lugano. Sempre nel ‟91 Gori collabora anche al «Sempre avanti!» di Livorno, a «Il Grido dell‟operaio» di La Spezia e a «La Plebe» di Firenze. Parallelamente alla sua attività di agitatore coltiva la passione per lo studio traducendo, nel 1891, per la Biblioteca popolare socialista di Flaminio Fantuzzi Il Manifesto del partito comunista di K. Marx e F. Engels. Una traduzione criticata da Turati, che iniziava sempre più a vedere in Gori un fiero antagonista delle proprie posizioni politiche (14). Le ripetute denunce e la sua reale o presunta influenza in tutte le manifestazioni potenzialmente “sovversive” fanno sì che in una nota riservata del Ministero degli Interni a tutti i Prefetti del Regno (22 novembre 1891) venga sottoposto a “speciale sorveglianza” per il suo carattere “audace” e per il suo “ingegno svegliato”. Il 4 aprile 1892, nella sede del Consolato operaio di Milano, Gori tiene una conferenza dal titolo Socialismo legalitario e socialismo anarchico, nella quale chiarisce le posizioni critiche dell‟anarchismo nei confronti del socialismo cosiddetto “autoritario”, nel tentativo, ormai senza speranza, di contenere i progressi dei “legalitari” in vista del congresso nazionale delle organizzazioni operaie e socialiste. Durante il 17


congresso, svoltosi a Genova il 14 agosto 1892, difende, insieme con Luigi Galleani e agli operaisti, le posizioni intransigenti della “corrente anti-parlamentare” contro la linea di quelli che definisce “socialisti democratici”, che, abbandonata la Sala Sivori e riunitisi separatamente, “sotto i pergolati della Società Carabinieri Italiana”, danno vita al Partito dei Lavoratori Italiani poi Partito Socialista Italiano. Negli anni tra il 1892 e il 1894 l‟attività di Gori si esplica su diversi fronti: poeta, avvocato, propagandista. Pubblica il poemetto Alla conquista dell’Avvenire (1892) e il 3° volume di Prigioni e battaglie. Patrocina in più occasioni diversi compagni milanesi, tra cui Sante Caserio, e partecipa, in qualità di difensore, a processi come quello di Viterbo a Paolo Schicchi (maggio 1893). Continua nel frattempo la sua incessante attività di conferenziere, sia nel capoluogo lombardo (affrontando anche temi come la disoccupazione e la condizione femminile) sia in altre località italiane. Il 1° maggio 1893 è nel “gran quadro verde della campagna di Pisa, col saluto lontano delle Alpi Apuane!...” (15). Il 5 giugno seguente tiene ad Ancona una conferenza dal titolo Obbiezioni all’anarchia dichiarando che il vero socialismo non può che corrispondere al comunismo anarchico. Nell‟agosto partecipa al congresso dell‟Internazionale socialista a Zurigo e ne viene espulso insieme con Amilcare Cipriani. Il 1° novembre svolge a Mantova nell‟Anfiteatro Virgiliano una conferenza dal titolo Uguaglianza e libertà dichiarando che l‟anarchia è vita, moto, procedere infaticabile, incessante e se socialismo vuol dire uguaglianza anarchia vuol dire libertà. Agli inizi del 1894 fonda la rivista «Lotta sociale», subito sequestrata, nel cui primo numero inizia la pubblicazione della Sociologia criminale. Il 1° maggio 1894, reduce da un‟altra breve carcerazione, è alla Spezia dove a causa del divieto delle autorità, Gori e gli operai spezzini “presero imbarco sopra i battelli preparati, all‟improvviso, e andarono a far la commemorazione in alto mare – ultimo rifugio della libertà nella patria di Dante e di Garibaldi” (16).

Comizio di Pietro Gori a Porto Azzurro (LI) 20 settembre 1905 (Fondo Gori – Rosignano Marittimo)

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La bufera reazionaria Alla fine del 1893 in tutta la Sicilia si accendono moti di rivolta contro il rincaro delle farine. Crispi, tornato al governo, reprime con estrema energia le agitazioni dei contadini siciliani. Ai primi del gennaio del 1894 in Sicilia viene decretato lo stato d‟assedio con pieni poteri dati al generale Morra di Lavriano, i Fasci dei lavoratori vengono sciolti e sono istituiti i tribunali militari che mettono sotto processo centinaia di lavoratori. A metà gennaio giungono al governo e alla corona altre notizie di rivolte che fanno temere il peggio. A Carrara è stato proclamato per il 13 gennaio 1894 uno sciopero generale in solidarietà con i lavoratori di Sicilia e di protesta contro lo stato d‟assedio ivi proclamato. Ben presto però le manifestazioni degenerano in aperta rivolta con barricate, blocchi stradali, taglio dei fili del telegrafo e assalto a diverse armerie e uffici del dazio. Si formano bande armate che al grido “Viva la Sicilia, viva la rivoluzione!” ingaggiano scontri violenti con le forze dell‟ordine. Iniziano a contarsi i morti e i feriti tra i rivoltosi e la polizia, e Crispi decide di proclamare lo stato d‟assedio a Carrara e di nominare commissario straordinario il generale degli alpini Nicola Heusch. L‟arrivo della truppa riporta l‟ordine nelle contrade della città ma con un costo umano altissimo: difatti oltre ai morti e ai feriti si contano circa 600 arresti tra i cavatori, molti dei quali dichiaratamente anarchici. Il tribunale di guerra si mette all‟opera comminando pene severissime e le carceri e il domicilio coatto si riempiono di carrarini. Il governo però ha bisogno di un capro espiatorio per dimostrare la tesi del complotto pianificato e lo trova nell‟avvocato Luigi Molinari di Mantova, amico di Gori, che sul finire del 1893 ha tenuto delle conferenze di propaganda nella zona di Carrara. Il 31 gennaio del 1894 Molinari viene condannato, senza prove, a 23 anni di galera e a tre di segregazione cellulare. In tutto il paese si alza un grido di protesta contro l‟enormità della condanna. In seguito, la sentenza sarà riformata e la pena ridotta a sei anni e mezzo. Una campagna di protesta della stampa democratica sottrarrà poi Molinari dalla segregazione e una successiva amnistia nel settembre 1895 lo restituirà alla libertà. Il governo Crispi è soddisfatto dell‟azione repressiva; altre notizie giungono a tranquillizzare il capo di gabinetto. Il 30 gennaio a Napoli viene arrestato – su delazione di una spia, l‟“anarchico” Giovanni Domanico – Francesco Saverio Merlino, da oltre dieci anni imprendibile leader degli anarchici che, a suo tempo, era stato condannato a quattro anni di carcere, insieme con Malatesta e altri compagni, e poi a ulteriori sette anni. Dopo i numerosi processi di Carrara e l‟arresto di Merlino gli anarchici rimangono sempre nel mirino delle autorità. Il 6 aprile inizia a Chieti presso la Corte d‟Assise il processo contro l‟editore anarchico Camillo Di Sciullo, direttore del periodico «Il Pensiero». Pietro Gori difende l‟imputato che alla fine risulterà assolto. A Genova si svolge un processo contro un gruppo di 35 anarchici liguri e piemontesi fra i quali Luigi Galleani, Eugenio Pellaco, il pittore Plinio Nomellini e altri. Difensori sono l‟infaticabile Pietro Gori e Giovanni Rosadi. Luigi Galleani viene condannato a tre anni di carcere, Pellaco a 16 mesi e gli altri a pene minori. Gori è instancabile nella difesa dei compagni, non perdendo occasione di “processare” a sua volta la società borghese e “liberticida” e offrendo un modello di arringa politica che verrà usato a scopi di propaganda con la pubblicazione delle sue più note “difese”. Alla repressione indiscriminata alcuni anarchici rispondono con una resistenza disperata, fatta di attentati e gesti terroristici. Ora si apre una nuova stagione di conflitti e tensioni, a volte artatamente preordinata e confezionata dalle forze dell‟ordine che hanno tutto l‟interesse a dimostrare che gli anarchici sono solo dei “sanguinari nemici della nazione, della famiglia e dell‟ordine” ed è dunque necessario prendere provvedimenti eccezionali 19


per combatterli. La reazione del movimento dimostra sicuramente una notevole forza di resistenza, che però ne provoca l‟isolamento dalle masse e dalle altre forze politiche. È lo stesso Malatesta ad accorgersi di questa grave crisi e segnalarla all‟attenzione dei compagni con un articolo, Andiamo fra il popolo pubblicato originariamente su «Il Grido degli oppressi» di New York il 17 marzo 1894 e poi ripreso dal giornale di Ancona «L‟Art. 248». Al contrario di ciò che Malatesta pensa e desidera, una piccola parte del movimento si fa trascinare nella logica del colpo su colpo e questi mesi sono caratterizzati da una serie impressionante di attentati che culminano il 16 giugno in quello di Paolo Lega, un anarchico originario di Lugo in provincia di Ravenna, contro lo stesso primo ministro Francesco Crispi. L‟attentatore, condannato a oltre vent‟anni di carcere, morirà dopo appena un anno e mezzo nella colonia penale agricola di San Bartolomeo in provincia di Cagliari. Nel frattempo accade un altro grave episodio che alimenta la caccia agli anarchici. A Lione, il 24 giugno, il presidente della Repubblica francese, Sadi Carnot viene ucciso dal giovane anarchico italiano Sante Jeronimo Caserio, fornaio originario di Motta Visconte in provincia di Milano. L‟anarchico, arrestato, viene successivamente processato e condannato a morte a mezzo di decapitazione. A questi episodi se ne aggiungono altri di minore risonanza, come quello dell‟uccisione, da parte dell‟anarchico Oreste Lucchesi, del direttore del quotidiano «Il Telegrafo» Giuseppe Bandi, autore di numerosi articoli contro gli anarchici, avvenuto a Livorno il 1° luglio. Processato l‟anno seguente con i suoi sei complici, Lucchesi sarà condannato a 30 anni di galera. La stampa moderata e reazionaria si scaglia, ancora una volta, contro gli anarchici con una campagna violenta che spesso rasenta il linciaggio. Ne fa le spese, ad esempio, Pietro Gori. Dopo l‟attentato di Caserio, Gori viene indicato dalla stampa, in particolare dai periodici «La Lombardia» e «La Sera», quale mandante dell‟“efferato delitto”. Gori si difende come può ma alla fine è costretto a riparare in Svizzera, sottraendosi ad una sicura condanna (gli saranno, infatti, comminati 5 anni di domicilio coatto) e ad alcune minacce anonime di morte. L‟8 luglio 1894, anticipando di pochi giorni l‟approvazione da parte del Parlamento delle leggi eccezionali volute da Crispi, Gori parte per Lugano con la sorella Bice.

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Numero dedicato a Gori de «Il Pensiero», 16 gennaio 1911 (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

L’esule A Lugano Gori, espulso preventivamente dalla Francia per timore che intendesse assumere la difesa di Caserio, diventa ben presto il polo d‟attrazione degli esuli anarchici. Secondo la polizia ticinese: “entrano a casa Gori in media da 20 a 30 persone al giorno. […] Ogni giorno arrivano nuovi compagni”. Anche sotto l‟aspetto pubblico la presenza di Gori diventa sempre più inquietante: mette in scena al Teatro Rossini il suo atto unico Ideale, assume la difesa di alcuni anarchici italiani, rilascia interviste ed invia corrispondenze alla stampa. Agli attacchi dei giornali francesi e della stampa conservatrice ticinese nei confronti di colui a cui si addebita il “traviamento” di Caserio si aggiungono le pressioni delle autorità italiane, il misterioso attentato subito da Gori nel settembre, il continuo andirivieni di anarchici tra l‟Italia e il Canton Ticino. Tanto basta per indurre le autorità federali a decretare l‟espulsione di un primo gruppo di 18 indesiderabili, cui seguirà un secondo. Gori, con altri 17 italiani, tra cui Milano, Baracchi, Redaelli, i due Bonometti, Borghesani e l‟immancabile spia Domanico, viene prima arrestato alla fine di gennaio (mentre è in carcere compone Il canto degli anarchici espulsi, meglio nota come Addio a Lugano) (17) e, dopo breve detenzione, accompagnato alla frontiera con la Germania. Dalla Germania, passando per Bruxelles, dove conosce Augustin Frédéric Adolphe Hamon e Elisée Reclus. Dell‟incontro Gori ci ha lasciato una testimonianza vivace nel necrologio che scrisse per la scomparsa del geografo francese su «Il Pensiero» nel numero del 16 luglio 1905: “Era nell‟inverno rigidamente glaciale del 1894-1895, quando l‟uragano della reazione crispina, – che aveva trovato modo di sollevare contro di noi in onde burrascose perfino le tranquille acque repubblicane dei laghi elvetici, – ci aveva cacciati verso il nord e fatti cadere (eravamo in quindici, espulsi dalla Svizzera) nella capitale belga. 21


Nella Maison du Peuple, dove eravamo andati in cerca di altri compagni, che dovevano averci preceduto, ci incontrammo con Eliseo Réclus, che era venuto a chercher les camarades chassés de la libre Suisse (com‟ei diceva). Fummo con lui, che era particolarmente affettuoso con i giovani, – caratteristica comune a quasi tutti i più grandi maestri della scienza, – e andammo insieme a casa sua (una casetta linda, che ricorda curiosamente quella di Guglielmo Froment, in Parigi di Zola) e vi trovammo tutto il confort morale, di cui più abbisognavamo in quell‟ora triste, in cui ci si cacciava da tutte le parti, mentre non sapevamo neppure dove avremmo potuto essere l‟indomani”. Dopo la modesta refezione, però piena di allegria, ch‟egli ci offrì, il buon vecchio, – sostenendo con Hamon, che era della comitiva, una discussione accalorata e riboccante di humour, – ci si rivelò in tutto l‟ardore della sua vecchia fede, ringiovanita ad ogni nuova prova. […] Mentre il vecchio maestro parlava, con fede d‟un cuor nobile che non invecchia mai, e con la mente penetrante che vede più lontano della oscurità dell‟ora presente, io osservavo con legittimo orgoglio di un fratello minore, quella magnifica testa leonina, dalla grande aureola immacolata della venerabile canizie, e vedevo nella pallida fronte dei giovani operai, miei compagni d‟esilio, la nobile soddisfazione di appartenere, spiritualmente, alla famiglia di questi precursori gloriosi della scienza e dell‟idea”. Nei mari del Nord Successivamente Gori si trasferisce ad Amsterdam, dove si lega in amicizia con Domela Nieuwenhuis, per poi approdare ai più sicuri lidi inglesi. A Londra, come narrerà nell‟articolo Tra fucinatori di bombe, apparso ne «L‟Avvenire sociale» del 5 giugno 1902, entra in relazione con i principali esponenti dell‟anarchismo internazionale, da Kropotkin a Louise Michel, da Charles Malato a Sebastien Faure. Kropotkin e Michel, insieme a Stepniak, li incontra nella casa del grande pensatore russo, nella cittadina di Bromley, poco distante da Londra. All‟appuntamento con Kropotkin Gori è accompagnato da Elisée Reclus e da un gruppo di compagni italiani. Gori ci ha lasciato una ricca testimonianza dell‟incontro poliglotta, infatti, intorno al tavolo della cena si raccolse un cenacolo di rivoluzionari dove si sentiva parlare russo, francese, inglese e meneghino (18). A Londra Gori, tra i tanti rivoluzionari, naturalmente incontra il solito Errico Malatesta, e collabora a «The Torch» (19), pubblicando – nel marzo 1895 – un lungo pezzo su Sante Caserio, nel quale spiega come “il grande amore che Caserio sentiva per l‟umanità oppressa, si convertì in odio contro i tiranni della terra”. Il 18 marzo celebra l‟anniversario della Comune a Milton Hall, impressionando per il suo talento oratorio Georges Clemenceau, e il 1° maggio parla, a fianco di Kropotkin, Malatesta, Louise Michel, alla “imponente massa di popolo” radunata in Hyde Park. Dopo un imbarco come marinaio su di un piroscafo nei mari del Nord, nel luglio si dirige alla volta degli Stati Uniti, dove inizia un lungo viaggio di propaganda, durato circa un anno, viaggiando dall‟Atlantico al Pacifico, tenendo centinaia di conferenze e cantando anche le proprie canzoni, accompagnandosi con la chitarra. A Paterson contribuisce alla nascita del periodico «La Questione sociale». L‟11 novembre 1895 commemora a Chicago i “cinque martiri”, alla fine di gennaio 1896 è a S. Francisco, dove il 15 marzo nella “Bersaglieri Hall” tiene la notissima conferenza Il vostro ordine e il nostro disordine. Nel marzo (a Barre, nel Vermont) pubblica il bozzetto sociale in un atto Primo Maggio e lo rappresenta per la prima volta a Paterson, improvvisandosi anche attore. Da quel momento il bozzetto si diffonde in Italia e nei gruppi anarchici sparsi lungo le rotte dell‟emigrazione, diventando uno dei testi più rappresentati del teatro sociale, mentre 22


l‟Inno cantato sull‟aria del coro del Nabucco accompagna per trent‟anni le manifestazioni operaie, a gara con l‟Inno dei lavoratori di Turati. Poco prima di ripartire per Londra a Paterson nel New Jersey, città di industrie tessili dove vive una forte comunità di lavoratori immigrati italiani, tiene una conferenza dal titolo Scienza e religione, nella quale afferma che la “guerra alla religione, al clericalismo, interessa dunque immensamente la classe operaia, la quale ha tutto da guadagnare col progredire della scienza e del pensiero libero, a danno della secolare antagonista della luce e della verità”. Alla fine di luglio è nuovamente a Londra, per partecipare al III Congresso dell‟Internazionale operaia e socialista (27 luglio-1° agosto) su mandato di alcuni sindacati italiani del Nord America. Dopo l‟esclusione degli anarchici rappresentanti gruppi politici, Gori rimane con i pochi delegati di associazioni sindacali, Francesco Cini, Malatesta e Fernand Pelloutier, il quale rappresenta la Federazione delle Camere del Lavoro italiane, e con loro firma un documento di protesta “contro il tentativo di monopolizzazione del movimento operaio internazionale da parte dei socialdemocratici”. Subito dopo il Congresso Internazionale è colpito da una grave malattia e viene ricoverato al National Hospital di Londra, dove è assistito da Louise Michel, di cui ricorderà più tardi “gli occhi grigi pieni d‟infinita dolcezza anche tra i lampi dello sdegno umano”. L‟interessamento dei compagni e dei parlamentari Bovio e Imbriani, che fanno pressione sulle autorità, permettono a Gori di ritornare in Italia con l‟obbligo però di risiedere all‟isola d‟Elba. Ritorno in patria Nel dicembre del 1896, trasferitosi a Rosignano Marittimo presso la famiglia, riprende i contatti con il movimento anarchico, che, dopo la caduta di Crispi e il ritorno di Malatesta in Italia, sta riorganizzandosi su base nazionale. Tornato a Milano, alla fine di aprile 1897, in libertà condizionale per adempiere a quella che ritiene la missione degli anarchici, “sentinelle perdute di questo esercito infinito di tutte le speranze e di tutte le angosce” (20), da un lato invita ad una campagna unitaria con i partiti popolari per la difesa del “diritto costituzionale” (21), dall‟altro ribadisce il ruolo dei socialisti libertari “nel folto della contesa fra capitale e lavoro, anche sulla base delle organizzazioni per arti e mestieri” (22). A Pisa nel dicembre partecipa alle manifestazioni anticlericali in onore a Giordano Bruno, parlando al comizio finale al velodromo Stampace accanto ad Andrea Costa. Nel 1898 in occasione dell‟inaugurazione del monumento commemorativo delle Cinque giornate a Milano tiene un acclamato discorso che è poi assunto come uno dei capi di accusa durante il processo in contumacia intentatogli davanti alla Corte marziale dopo i moti del “caropane” di Milano del maggio 1898. Il 5 febbraio 1898 difende gli operai e i contadini di Campiglia Marittima che hanno partecipato alle agitazioni popolari d‟inizio d‟anno e sempre nel medesimo anno di fronte alla Corte d‟Assise di Casale Monferrato patrocina con successo un gruppo di operai socialisti e anarchici di Carrara. Principale protagonista della campagna per la libertà d‟associazione e contro l‟articolo 248, che vede l‟adesione anche di molte sezioni delle Trades Unions britanniche, dell‟Indipendent Labour Party, della Socialist Democratic Federation e del London Trades Council, siede ad Ancona tra i difensori della redazione de «L‟Agitazione» (Malatesta, Smorti, Felicioli e compagni), che segue il processo con un supplemento quotidiano dal 21 al 30 aprile. E proprio in questa occasione conosce Luigi Fabbri, al quale si deve il resoconto processuale.

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Pietro Gori [1900 circa] (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini, Pisa)

Nella terra del tango A causa delle agitazioni per il caro pane e delle successive azioni repressive del governo Gori è costretto ancora una volta ad emigrare. A Marsiglia si imbarca per l‟America del Sud, mentre le autorità italiane lo condannano a 12 anni di galera. L‟America meridionale, ed in particolare l‟Argentina, era sempre stata una meta agognata da Gori. Fin dal suo iniziale apprendistato politico aveva mantenuto rapporti epistolari con anarchici emigrati che già allora lo avevano invitato a raggiungerli (23). Inviti, che tra il 1896 e il 1897 si erano fatti insistenti tant‟è che lo stesso Gori in una lettera rispondendo ad un nuovo sollecito dei compagni così si esprimeva: “Se la malvagia imbecillità dei governanti italiani non volesse trattenermi relegato in questo paese (…) a quest‟ora avrei già risposto, accettando gli urgenti e cordiali inviti per un pellegrinaggio per l‟ideale attraverso le città e i paesi dell‟Argentina” (24). Il movimento anarchico argentino nell‟ultimo decennio del secolo XIX ha consolidato la propria presenza non solo nei settori popolari dei grandi centri urbani ma anche tra i ceti intellettuali provenienti dalla media borghesia. Tale diffusione è rafforzata dal diffondersi di pratiche sindacali derivate dall‟esperienza francese e dal radicamento della rete dei periodici, dei circoli e delle case del popolo d‟impronta libertaria che costituiscono una “contro società in divenire” contrapposta ai modelli borghesi. Nella capitale argentina la comunità italiana è tra le più numerose e al suo interno i libertari hanno un peso e una tradizione importante che si concentra intorno ad alcuni periodici e case editrici fra cui quella di Fortunato Serantoni. Gori giunto a Buenos Aires, dopo aver fatto tappa a Madera, Santos e Rio de Janeiro, si inserisce subito in un ambiente in cui era tutt‟altro che sconosciuto, visto che già due anni prima «L‟Avvenire» si era augurato il suo arrivo per “far uscire moltissimi operai 24


dall‟indifferenza” in cui erano sprofondati. L‟attività argentina di Gori è multiforme: da un lato tiene una lunga serie di conferenze davanti ad ogni tipo di pubblico; dall‟altro lavora come avvocato (tanto da aprire un “consultorio jurídico” con Arturo Riva, un avvocato anarchico), giurista, criminologo, studioso e, occasionalmente, come docente universitario. La prima conferenza argentina la tiene nel Circolo della Stampa il 26 giugno 1898 su “La funzione storica del giornalismo nella società moderna”. Poco dopo svolge una seconda conferenza al teatro Doria dove parla di fronte a 2.000 persone entusiaste. Si può dire che “la voce di Gori si udì in tutti gli ambienti sociali e in tutti gli angoli dell‟Argentina, sia in locali operai che in grandi teatri, in italiano o in spagnolo” (25). Gori inizia subito a collaborare con i giornali anarchici argentini ed in particolare con la rivista «Ciencia Social», una rivista culturale e scientifica che annovera tra i suo collaboratori le più prestigiose firme internazionali del movimento libertario. Una particolare attenzione Gori dedica all‟organizzazione operaia nonché a quella degli anarchici, fondate sulla “morale della solidarietà” in opposizione al “dogma individualista”, e scontrandosi perciò con le frange più radicali dell‟individualismo locale che lo attaccano con estrema violenza verbale e non solo. Pochi giorni dopo il suo arrivo a Buenos Aires, in una conferenza organizzata dagli edili, alcuni individualisti, scontenti dei propositi di Gori, alla fine salirono in gruppo sul palco e tentarono di aggredirlo. Questi, indignato, li affrontò e li invitò a partecipare a un pubblico dibattito “di controversia”. L‟appuntamento ebbe luogo il 21 agosto nel teatro Iris di Barracas con il titolo “La morale solidaria nella lotta e nella vita sociale, in opposizione al dogma individualista”. Ma l‟attivismo di Gori è straripante. Ne «L‟Avvenire» pubblica articoli teorici, analisi sulla situazione della classe operaia europea, incitamenti all‟organizzazione, polemiche con gli individualisti e i socialisti, poesie, canzoni, opere teatrali (Primo maggio, Proximus tuus, Ideale, Senza Patria, Gente onesta). Dopo il regicidio e il famoso attacco di Giovanni Bovio agli anarchici, con l‟articolo Anarchico, discuti. Giù il coltello!, dà alle stampe a Buenos Aires La nostra utopia, che può essere considerata la sintesi del suo pensiero politico. L‟ideale anarchico inteso come “l‟ascensione accelerata e trionfale della vita dell‟individuo, nelle multiformi sue attitudini; la armonia con l‟innalzamento di tutte le vite che formano il tessuto organico della società” è inserito in un processo evolutivo che si fonda da un lato sull‟ineluttabile sviluppo della tecnica, dall‟altro sulla lotta quotidiana di “falangi sempre più coscienti di lavoratori, sul terreno pratico delle conquiste economiche strappate al capitale dalla resistenza e dalla solidarietà operaia”. La conquista della libertà, non in “virtù della scheda”, ma in “quella della stampa, del comizio, [della] forza suprema della logica, della persuasione”, passerà attraverso l‟evento rivoluzionario, “mezzo inevitabile di trasformazione proporzionata ai nostri ideali, e corrispondente al processo accelerato della evoluzione moderna, in cui i fatti sociali son troppo distanti dai bisogni e dalle aspirazioni generali per non far prevedere le scosse brusche, che il nuovo ordine di cose dovrà produrre nel sovrapporsi a quello che già si sta screpolando”. Una rivoluzione, in definitiva, “necessaria” nel quadro dell‟inarrestabile corso della storia: “La evoluzione delle idee, trascinate dai fatti e rischiarate da una coscienza nuova della vita, muove rapidamente per mille alvei alla fiumana vigorosa che di tutte le correnti raccoglie gl‟impulsi e le energie”. Nel novembre 1898 pubblica, dirige e coordina la rivista «Criminologia moderna», sulle cui pagine espone la sua teoria “ambientale” del delitto accanto a contributi di Cesare Lombroso, Guglielmo Ferrero, Adolfo Zerboglio, Scipio Sighele, Augustin Hamon, Pio Viazzi, Napoleone Colajanni (26). Nel 1899 inizia lungi giri di conferenze per il paese, recandosi anche in Uruguay, Brasile e in seguito, nel 1901, in Patagonia, Cile (ritornando in Argentina per la via della cordigliera), Paraguay. Il 25 novembre 1900 tiene al Teatro Iris 25


di Buenos Aires una conferenza dal titolo La donna e la famiglia, dove presenta un approccio originale alla questione dell‟emancipazione femminile: “le donne, – negli usi e nelle leggi, – sono asservite alla tirannia del sesso maschile” e “l‟emancipazione della donna sarà sempre vacua affermazione verbale se ad essa non porrà mano la donna medesima” (27). Nel 1901 parte per esplorare le sorgenti del Paraná, accompagnato per una parte del viaggio da Cesare Pascarella. La sua attività di propaganda attrae all‟anarchismo numerosi lavoratori e intellettuali e contribuisce “a hacer del anarquismo una ideologia atractiva y moderna” (28). Uno dei giovani che rimasero impressionati da Gori fu Alberto Ghiraldo che, con il nome di Ruggero Aicardi, lo descrive in uno dei suoi romanzi: “Un uomo straordinario, propagandista di alte idee sociali, di un rivoluzionarismo allarmante, ma che era ascoltato con rispetto da tutti gli ambienti per l‟ammirevole forma con cui le esprimeva. (…) Figura superba, modi distinti, dialettica brillante e un‟inflessibilità a tutta prova. Era un oratore, oratore per eccellenza; sentiva la voluttà della parola e viveva nella tribuna (…). Attore consumato, dominava ogni segreto dell‟oratoria e i suoi discorsi erano affascinanti opere d‟arte che egli levigava giornalmente con la passione dell‟orafo” (29). Particolarmente rilevante il contributo di Gori alla nascita della Federación Obrera Regional Argentina, costituita nel maggio 1901. Solo grazie alle sue doti di mediatore e alla sua concezione unitaria del movimento operaio si riesce ad evitare lo scontro frontale tra anarchici e socialisti, segno questo dell‟importanza attribuita da Gori all‟unità del movimento operaio organizzato. Sua infatti la mozione, approvata a maggioranza, che si riserva di accettare , in particolari casi, il “juicio arbitral”, come suoi sono i documenti in favore di una “enérgica agitacion” per la protezione del lavoro femminile e minorile e sullo sciopero generale che, pur “base suprema de la lucha economica entre capital y trabajo”, rimane una delle possibili e non immediate opzioni. Accusato di eccessiva moderazione, Gori illustrerà, poco dopo, ai suoi compagni non solo la necessità di conciliare le opposte tendenze, ma definirà la lotta sindacale una “lucha de transacciones continuas” e soprattutto, di fronte alle inquietudini suscitate dalla questione dell‟arbitrato, distinguerà nettamente il piano dei principi anarchici da quello dell‟attività rivendicativa quotidiana. Nel settembre seguente infatti, in occasione dello sciopero dei ferrovieri del Ferrocarril Sud, Gori e Montesano riescono ad ottenere un accordo con il direttore inglese e il mediatore del governo che è, di fatto, una vittoria operaia. In Sud America Gori matura una concezione che può definirsi protosindacalista. Se fin dai primi anni Novanta Gori aveva sempre considerata importante la presenza e l‟azione libertaria all‟interno delle società operaie, l‟esempio di Pelloutier, conosciuto a Londra, e della sua Féderation des Bourses du Travail, lo induce ad individuare negli organismi orizzontali la cellula di una nuova organizzazione sociale. Il 12 gennaio del 1902, due giorni prima di partire, tiene l‟ultima conferenza nel teatro Victoria rimasta a lungo impressa nella memoria degli intervenuti, e ritorna in Italia, agevolato da un‟amnistia, per motivi sia familiari, sia di salute

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Il “cavaliere dell’ideale” Il suo arrivo a Genova suscita notevole entusiasmo tra gli anarchici: “Noi non siamo corrivi alle idolatrie, ma pure non possiamo esimerci dal manifestare il nostro giubilo per la venuta, o meglio il ritorno, del compagno nostro Pietro Gori, tra noi”, scrive «L‟Avvenire sociale» il 12 febbraio 1902. Il rientro in patria significa per Gori la ripresa dell‟attività di conferenziere, pubblicista e avvocato. Invitato da circoli anarchici, Camere del Lavoro, leghe di resistenza tra il 1902 e il 1904 Gori gira l‟intero paese (Roma, Firenze, Milano, Spezia, Ancona, Pisa, Carrara, Torino, Imola, Napoli, la Sicilia, ma anche molte località minori) suscitando ovunque entusiasmo per la sua “parola alata”. Il 1° maggio è a Roma dove nella mattinata tiene un comizio e nel pomeriggio una conferenza alla festa campestre libertaria dal titolo Aspettando il sole. Pochi giorni dopo il 6 maggio, sempre nella Capitale, svolge un‟altra conferenza nella sala della Lega di Resistenza dei Pittori dal titolo Gli anarchici sono socialisti? Il 2 giugno in occasione del ventesimo anniversario della scomparsa di Giuseppe Garibaldi partecipa a Caprera, in rappresentanza di una ventina di Camere del lavoro italiane, alle commemorazioni ufficiali con un discorso nel quale definisce l‟eroe dei due mondi un “poeta dell‟azione” che amava la spada “solo quando essa lampeggiava per una idea di giustizia”. All‟inizio di ottobre a Corato in provincia di Bari rievoca la figura dello scrittore francese Émile Zola, scomparso il 29 settembre. L‟anno successivo su invito di Luigi Fabbri assume la condirezione della rivista quindicinale «Il Pensiero», alla quale collaborerà soprattutto con studi di sociologia criminale. In realtà, se è vero che Gori avrà sempre un ruolo secondario nella redazione del periodico, la sua funzione non è puramente esornativa, ma testimonia la profonda affinità tra lui e Fabbri nella concezione di un anarchismo organizzato, profondamente radicato nelle realtà operaie, lontano dalle esasperazioni individualistiche e frutto non più della necessità storica ma del progressivo evolvere della coscienza dei produttori verso il “lavoro redento”. Ancora nel 1903 continua il suo peregrinare nei borghi italiani portando la parola degli anarchici. Il 26 aprile è a Terni a sostenere un contraddittorio con Nicola Barbato, che si svolge al Teatro comunale, su Autoritari e libertari nel socialismo. A settembre è a Viareggio per partecipare alle onoranze al poeta inglese Percy Bysshe Shelley. L‟occasione è di quelle che piacciono al nostro Gori. Un cenacolo di artisti e liberi pensatori si riunisce solennemente con larga partecipazione di popolo in un rituale laico a ricordare il cantore del Prometeo liberato. All‟iniziativa partecipano molti intellettuali e artisti come il pittore Plinio Nomellini, il poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi e il giovane scultore Corrado Spadaccini (30). Il 18 ottobre parla a Genova, al Politeama Alfieri gremito all‟inverosimile di lavoratori, sul tema Guerra alla guerra! Il 27 novembre, mentre Pietro Gori è impegnato in un tour di conferenze in Romagna, muore a Rosignano Marittimo Giulia Lusoni, la madre, dopo una lunga malattia (31). A gennaio del 1904 torna nella sua città natia, Messina, su invito della locale Camera del lavoro per una conferenza di protesta contro l‟ennesimo eccidio proletario compiuto dalle forze dell‟ordine a Giarratana. L‟incontro si svolge al Teatro di Villa Mazzini il 18 gennaio con grande concorso di pubblico, il tema In difesa della vita è una condanna dei metodi “antiproletari” del governo Giolitti, che si ripeteranno durante l‟anno provocando a settembre il primo sciopero generale. Nel 1904 effettua un viaggio in Egitto e in Palestina di cui relazionerà in una brillante conferenza, Dalla terra dei Faraoni al paese di Gesù, tenuta all‟Associazione della Stampa in Roma e che diventerà uno dei temi dei suoi tour propagandistici. Tuttavia le sue precarie condizioni di salute lo costringono a più riprese a soste più o meno lunghe all‟Elba. La redazione de «Il Pensiero» nel numero del 16 settembre dà notizia della malattia di Gori affermando che 27


egli è “gravemente malato da più di due mesi e mezzo” e solo recentemente si è ripreso trasferendosi per la sua convalescenza a S. Ilario (32).

Passaggio dei funerali di Gori a Piombino (LI), 9 gennaio 1911 (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Il mal sottile Nel novembre 1905 partecipa al convegno sindacalista organizzato da Ottavio Dinale a Bologna intervenendo sulla vexata quaestio dei rapporti tra sindacato e partiti politici, sostenendo, come aveva già fatto in Argentina, l‟estraneità dell‟organizzazione sindacale alle lotte politiche e la necessità dell‟unità operaia. In quei mesi interviene anche a sostegno dell‟amico Fabbri nella polemica ingaggiata con il tipografo Baraldi sulla proprietà della rivista «Il Pensiero» (33). Nella prima metà del 1906 attua un capillare giro di conferenze “scientifiche e libertarie” in Piemonte, Emilia Romagna e Lombardia dove nel Salone Massimo della Camera del lavoro, il 1° aprile tiene una brillante conferenza a beneficio delle vittime del disastro minerario di Courrieres dal titolo Le vittorie e le sconfitte del lavoro e della vita. Il tour di conferenze deve però essere interrotto improvvisamente per il riacutizzarsi della malattia. Alla fine dell‟anno Gori è colpito da un grave lutto familiare: a Pisa il 28 dicembre, dopo una “breve e violenta malattia”, muore il padre Francesco (34). Impossibilitato, a causa di un intervento chirurgico, a partecipare al Congresso anarchico italiano di Roma nel giugno 1907, è attivo nell‟agosto successivo nelle agitazioni che si verificano all‟Isola d‟Elba per la morte di tre operai ed il ferimento di molti altri per lo scoppio di un altiforno e agli inizi del 1908 presenta alla Corte di Lucca opposizione al proscioglimento dei “potenti padroni degli alti forni” con l‟arringa In difesa delle vittime del lavoro. Nello stesso anno è tra gli animatori dei grandi scioperi dei minatori di Capoliveri. Gori rimarrà profondamente turbato dalla notizia del disastroso terremoto di Messina del 28 dicembre 1908 e dedicherà “alla città che mi fu madre ed alla sua rinascita” un componimento poetico dal titolo In morte di Messina (35). Nel 1909 tenta di intraprendere un nuovo giro di conferenze, ma la malattia lo costringe all‟inattività. In una lettera a Nella Giacomelli scrive: “Ma io son dannato, ormai, ad essere un naufrago della vita vera, della lotta ritempratrice, in questa mia sconsolata zuffa 28


con le insidie del male...” (36). L‟ultima sua battaglia, nonostante sia sfibrato dalla malattia, Gori la conduce per salvare Ferrer dalla condanna capitale. Dal suo rifugio di S. Ilario all‟Isola d‟Elba – dove è costretto a causa delle precarie condizioni fisiche – manifesta a più riprese la sua preoccupazione per il destino di Ferrer inviando lettere e, compatibilmente con i suoi problemi di salute, partecipando a manifestazioni e conferenze, sempre più preoccupato per l‟evoluzione sfavorevole del processo e per la campagna reazionaria e repressiva in atto in Spagna. “Difendendo la vita, e la integrità personale di Francisco Ferrer e dei suoi compagni, contro la risorta inquisizione che ne strazia i corpi, per dannarli alla morte, non è il libertario od i rivoluzionari che si difendono; ma è la esistenza stessa dei più alti principii di libertà e di giustizia che sono ormai il patrimonio insopprimibile della convivenza umana” (37). Con queste parole Pietro Gori, il 2 ottobre 1909, conclude una lettera destinata ai promotori del Comizio “pro Ferrer” di Roma mentre pochi giorni dopo ne manda un‟altra a Paolo Schicchi (38) in occasione dell‟iniziativa organizzata a Pisa per il 10 ottobre dall‟Associazione Razionalista, in cui ribadisce l‟importanza di questa comune battaglia (39). In un‟intervista rilasciata a «Il Giornale d‟Italia» del 12 ottobre, Gori parla di Ferrer: “Egli è un idealista, ed un apostolo nel senso più moderno della parola […]. Egli ha profuso molto del suo, nella propaganda dei principi razionalisti. È un libero pensatore, ma non un vacuo mangiapreti. Libertario nella concezione di un migliore domani sociale – è soprattutto un credente nella forza trionfale della ragione e della scienza. Si potrebbe chiamare un tolstoiano del razionalismo, se egli non avesse al suo attivo il senso della modernità. Ma ha certo col grande filosofo russo comune una grande fede nella virtù educatrice delle idee” (40). Il 13 ottobre 1909 Ferrer è giustiziato. In tutto il mondo si alza un grido di protesta e l‟Europa è attraversata da un‟onda di agitazioni che si trasforma in un moto anticlericale violento spontaneo che per tre giorni sconvolge buona parte della penisola italiana. Un mese dopo la morte dell‟educatore catalano a Portoferraio, nell‟Isola d‟Elba, in un teatro gremito all‟inverosimile Pietro Gori commemora Ferrer, in quella che sarà la sua ultima apparizione pubblica (41). I cronisti dell‟epoca ci hanno lasciato diverse testimonianze di questo evento che coinvolge emotivamente le masse operaie, soprattutto minatori, legate profondamente all‟avvocato dei “diseredati”, al “cavaliere dell‟ideale”, che ha la sensibilità per cogliere gli umori e le aspirazioni di quel popolo che attende l‟ora del riscatto. E in questo scenario la figura di Ferrer, si lega ad un altro mito vivente, quello di Gori (42): “Alla fine [della conferenza di Gori] egli si ebbe una calorosa ovazione e forti strette di mano. Le bande intonarono l‟inno dei lavoratori. All‟uscita del teatro venne formato un lungo corteo che fra lo sventolio dei bene auguranti rossi labari e al suono degli inni popolari percorse le principali vie della città. Nelle ore pomeridiane le associazioni dei vari Comuni elbani prima di lasciare Portoferraio vollero recarsi con musiche e bandiere sotto l‟abitazione dell‟avv. Pietro Gori il quale acclamato dall‟enorme onda di popolo, parlò nuovamente ringraziando ed inneggiando alla bellezza della terra elbana e al lavoro fonte di benessere e di civiltà umana” (43). Gori nei mesi successivi è subissato di richieste, che provengono da comitati e gruppi anarchici di varie località, perché scriva epigrafi da immortalare nelle lapidi commemorative di Ferrer. È la sua ultima fatica di militante libertario. Il 13 marzo 1910 al teatro “La Pergola” di Firenze viene rappresentata, con un buon successo di pubblico l‟opera teatrale di Gori, Calendimaggio, musicata dal maestro Giuseppe Pietri (44). L‟8 gennaio 1911 alle ore 6,30 Gori muore a Portoferraio, ove si è rifugiato per cercare di trovare sollievo per la sua malattia, fra le braccia della sorella Bice e quelle dell‟operaio anarchico di Piombino Pietro Castiglioli. La salma viene trasferita da Portoferraio a 29


Piombino via mare e poi con il treno a Rosignano, dove viene tumulata. I funerali si protraggono per ben per tre giorni, durante i quali migliaia di lavoratori da tutta la Toscana si fermano per porgere al poeta dell‟anarchia l‟ultimo commosso e profondamente sentito estremo saluto. Attilio Deffenu, giovane d‟origine sarda studente di giurisprudenza a Pisa, allora idealmente vicino al sindacalismo rivoluzionario poi interventista, presente al funerale di Gori scrive queste addolorate parole ad un amico: “Ho ancora l‟anima oppressa d‟angoscia, sanguinante. La morte di Pietro Gori, del poeta dell‟anarchia, che anarchico fu nel senso più bello, più aristocratico della parola, significa la perdita di uno dei più coraggiosi, dei più grandi per mente e cuore fra quanti militi la causa della rivoluzione, della redenzione degli oppressi e degli sfruttati ha mai avuto. I funerali, che furono celebrati nel cuore della notte, riuscirono imponenti” (45). Al cordoglio popolare si unisce il coro dei giornali, anarchici ma non solo, che lo descrivono come il “cavaliere errante”, “l‟apostolo”, “il luminoso arcangelo” dell‟anarchia. L‟8 gennaio diventa una data da celebrare e, anno dopo anno, fino al fascismo il ricordo di Gori viene perpetuato da cerimonie commemorative, poesie, conferenze, articoli rievocativi e molti paesi e città, soprattutto della Toscana, ma anche dell‟Umbria e del Lazio, affiggono epigrafi a lui dedicate, al “poeta gentile insaziabile sempre/di Giustizia e Verità”. Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci Note 1. Per tutte le notizie riguardanti il percorso degli studi sia liceali che universitari rimando ai rispettivi documenti conservati presso gli archivi del Liceo classico Niccolini di Livorno e quelli dell‟Università di Pisa. 2. Cfr. P. Gori, Come perpetrai i miei primi delitti, «Il Pensiero», 16 marzo 1907, p. 90. 3. Cfr. V.S. Mazzoni, Pensieri e ricordi ed opere di P. Gori, Pisa, Tip. Cursi, 1922, pp. 12-13. 4. Cfr. A. Boschi, Ricordi del domicilio coatto, Torino, Seme anarchico, 1954, p. 9. 5. Cfr. P. Gori, Pagine di vagabondaggio, La Spezia, Cromo-Tipo La Sociale, 1912, p. 7. 6. Per tutti i documenti d‟archivio citati prodotti dalle autorità si fa riferimento a quelli conservati in aspi, Ispez. ps, b. 935 categ. 21/10, Gori Pietro anarchico. 7. Successivamente, sempre nella stessa città, l‟opuscolo verrà ristampato altre due volte nel 1910 e nel 1920. 8. Rigo, Inno socialista, «Sempre avanti!...», 6 aprile 1890, p. 3. 9. Cfr. Lettera di P. Gori a F. Turati del 27 [giugno 1890] in Filippo Turati e i corrispondenti italiani, vol. 1 (1876-1892), a cura di M. Punto, Manduria-BariRoma, Lacaita, 2002, pp. 436-438. 10. Cit. dalla Prefazione alla prima ed. italiana dell‟opera stampata da F. Serantoni nel 1905, pp. 3-4. 11. Citato dalla recensione pubblicata in «Il Pensiero» 1° maggio 1905, p. 143. 12. ([P. Gori], Al popolo, «L‟Amico del popolo», 23 gennaio 1892. 13. Cit. da S. Foresi, La vita e l’opera di Pietro Gori nei ricordi di Sandro Foresi, cit. p. 9. 14. Cfr. Lettera di F. Turati a M. Rapisardi del 1 marzo 1891 in Filippo Turati e i corrispondenti italiani, vol. 1 (1876-1892), cit., pp. 509-510. 15. Cit. P. Gori, Pagine di vagabondaggio, «Il Pensiero», 1 dicembre 1907, p. 40. 30


16. Ibidem. 17. Saggi di letteratura di delinquenti e d’anarchici in Conto-reso del Dipartimento di Giustizia. Anno 1895, Bellinzona, Tipografia e litografia cantonale, 1896, pp. 86-89. 18. Cit. in Pagine di vagabondaggio, «Il Pensiero», 1° maggio 1906, pp. 139-140. 19. «Torch. A revolutionary journal of anarchist-communism». Il giornale viene pubblicato tra il 1894 e il 1895. 20. P. Gori, All’opera, «L‟Agitazione», 4 giugno 1897. 21. P. Gori, Per la libertà, ivi, 16 luglio 1897. 22. P. Gori, Postilla alla polemica, ivi, 4 novembre 1897. 23. Sul numero unico «Venti settembre» di Buenos Aires del 20 settembre 1889 si legge nella piccola posta una risposta dei compagni che rivolgendosi a Gori, in riferimento alla sua ipotesi di trasferimento in Argentina, gli chiedono “Quando sei deciso far questa passeggiata?”. 24. Cfr. Lettera di Gori ai compagni del 26 marzo 1897 in Hojeando papeles viejos. Dos cartas de Pietro Gori, suppl. quincenal de la Protesta, 30 abril 1930, pp. 131133. 25. Cfr. G. Zaragoza, Anarquismo argentino (1876-1902), Madrid, ed. de la Torre, [1995], p. 236. 26. La rivista verrà pubblicata dal novembre 1898 all‟agosto del 1900. In totale usciranno venti numeri. N. Colajanni vi pubblica nel n. 19 del giugno 1900 un interessante articolo su La Mafia. Sus causas y su historia. 27. P. Gori, La donna e la famiglia. Conferenza, Roma, Il Pensiero, 1906. 28. Cfr. G. Zaragoza, Anarquismo argentino (1876-1902), cit., p. 244. 29. A. Ghiraldo, Humano ardor, Madrid, Compañía Ibero-Americana de publicaciones, 1930, p. 143. 30. Cfr. G. Del Guasta, Le onoranze a Shelley, «L‟Arno», 19 settembre 1903. 31. Cfr. La Redazione, Il nostro lutto, «Il Pensiero», 10 dicembre 1903, p. 145. 32. Cfr. «Il Pensiero», 16 settembre 1904, p. 254. 33. Si v. la lettera di P. Gori pubblicata nell‟inserto speciale “Agli amici e lettori del Pensiero”, 1-16 dicembre 1905. 34. Cfr. Il nostro lutto, «Il Pensiero», 16 gennaio 1907, pp. 17-18. 35. Cfr. P. Gori, In morte di Messina: ritmi e rime, Castrocaro, Tipografia Moderna, 1909. 36. Lettera di Pietro Gori a Nella Giacomelli in «La Protesta umana», 23 febbraio 1909. 37. Lettera di P. Gori ai promotori del Comizio pro Ferrer e Compagni di Roma, S. Ilario 2 ott. 1909 in P. Gori, Per la vita e in morte di Francisco Ferrer, Roma, Libreria editrice libertaria, 1910, pp. 8-9. 38. Paolo Schicchi (1865-1950) militante anarchico siciliano. In gioventù ha conosciuto i rigori delle carceri spagnole e ha diretto nel 1891 «El Porvenir anarquista» pubblicato a Barcellona. Schicchi residente a Pisa in questi anni è particolarmente impegnato nella campagna “pro Ferrer”. Tiene comizi e partecipa a manifestazioni in diverse località della Toscana. 39. Lettera di P. Gori…, cit., pp. 11-14. 40. Ibidem, p. 17. 41. All‟iniziativa partecipano le associazioni di Portoferraio: Sez. del Libero Pensiero G. Bruno, Loggia Massonica Luce dell‟Elba, Pubblica Assistenza Laica Croce Verde, Società di Mutuo Soccorso, Società fra gli Alti Forni, sez. Repubblicana, quella socialista e i gruppi anarchici; Rio Elba: Lega di resistenza fra minatori ed affini e la sez. socialista; Portolongone: Lega di resistenza fra minatori; Rio 31


Marina: sez. giovanile PSI, Lega di resistenza fra marinai; Capoliveri: Corpo musicale G. Bruno; Piombino: sez. repubblicana, Pubblica Assistenza Laica; Livorno: Loggia Massonica Scienza e Lavoro. 42. Le storie di Ferrer e di Gori si intrecciano fin dai primi anni dopo la morte di entrambi. In molte località accanto alla targa commemorativa dell‟educatore catalano c‟è quella dell‟avvocato dei diseredati e viceversa. Casi emblematici sono ad esempio quelli di Rosignano Martittimo dove le due lapidi, poste sul medesimo edificio, si trovano una accanto all‟altra e Colle Val d‟Elsa (SI) dove tra gennaio e febbraio del 1921, quasi contemporaneamente, vengono inaugurati due marmi. 43. Cfr. P. Gori, Per la vita e in morte di Francisco Ferrer, op. cit., p. 36. 44. Si veda la recensione sull‟opera Calendimaggio di Pasquale Binazzi su «Il Pensiero», 1-16 aprile 1910, pp. 111-113. 45. Lettera di A. Deffenu a Francesco Cucca del 10 gennaio 1911 in A. Deffenu, Epistolario 1907-1918, a cura di M. Ciusa Romagna, Cagliari, Editrice sarda Fossataro, 1972, p. 49.

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La mia anarchia di Pietro Gori Lo stato, il capitalismo, la religione, la guerra, gli anarchici, l’emancipazione della donna, libertà ed eguaglianza, la società futura. Su questi temi così la pensava oltre un secolo fa “il poeta dell’anarchia”.

Lo Stato Lo Stato, il potere esecutivo, quello giudiziario, l‟amministrativo, e tutte le ruote grandi e piccole di questo mastodontico meccanismo autoritario, che le anime deboli credono indispensabile, non fanno che comprimere, soffocare, schiacciare ogni libera iniziativa, ogni spontaneo aggruppamento di forze e volontà, impedire insomma l‟ordine naturale che risulterebbe dal libero giuoco delle energie sociali, per mantenere l‟ordine artificiale – disordine in sostanza – della gerarchia autoritaria assoggettata al loro continuo e vigile controllo. Ben definisce lo Stato Giovanni Bovio: «...oppressura dentro e guerra fuori. Sotto specie di essere l‟organo della sicurezza pubblica è, per necessità, spogliatore e violento; e col pretesto di custodire la pace tra‟ cittadini e tra le parti, è provocatore di guerre vicine e lontane. Chiama bontà l‟obbedienza, ordine il silenzio, espansione l‟eccidio, civiltà la simulazione. Esso è, come le Chiese, figlio della comune ignoranza e della debolezza de‟ più. Agli uomini adulti si manifesta qual‟è: il nemico maggiore dell‟uomo dalla nascita alla morte. Qualunque danno possa agli uomini derivare dall‟anarchia, sarà sempre minore del peso dello Stato sul collo ».I governanti fanno credere, e il pregiudizio è antico, che il governo sia strumento di civiltà e di progresso per un popolo. Ma, per chi bene osservi, la verità invece è che tutto il movimento in avanti dell‟umanità è dovuto allo sforzo dei singoli individui, della iniziativa anonima delle folle, dell‟azione diretta del popolo. Il mondo ha camminato sempre fin qui non con l‟aiuto dei governi, ma loro malgrado, e trovando in essi l‟ostacolo continuo diretto ed indiretto al suo fatale andare. Quante volte i più gloriosi rinnovatori nella scienza, nell‟arte, nella politica non si trovarono sbarrato il cammino, oltre che dai pregiudizi e dall‟ignoranza delle masse, anche e soprattutto dai bavagli e dalle persecuzioni governative? Quando il potere legislativo ed il governo accettano e soddisfano sotto forma di legge o di decreto qualche nuova domanda sorta dalla coscienza pubblica, – ciò è sempre in seguito a reclami innumerevoli, ad agitazioni straordinarie, a sacrifici non indifferenti del popolo. E quando i governanti si sono decisi a dire di sì, a riconoscere un diritto nei loro sudditi, e, mutilato ed irriconoscibile, lo promulgano nelle carte, nei codici, quasi sempre quel diritto è già sorpassato, l‟idea è già vecchia, il bisogno pubblico di quella tal cosa non è più sentito; e la nuova legge serve allora a reprimere altri bisogni più urgenti che si affacciano, che devono attendere di essere sterilizzati, ipertrofici, prima di essere riconosciuti da una legge successiva. Chi ha studiato e osservato con passione i parti curiosi e bizzarri del genio legislativo, le leggi passate e le presenti, resta sorpreso dalla frode sottile che riesce a gabellare per diritto il privilegio, per ordine il brigantaggio collettivo, per eroismo il fratricidio della guerra, per ragione di stato la conculcazione dei 33


diritti e degli interessi popolari, per protezione degli onesti la vendetta giudiziaria contro i delinquenti, che, come dice Quételet, non sono che gli strumenti e le vittime nel tempo stesso delle mostruosità sociali.

P. Gori, Ricordi, Milano, Casa editrice sociale, 1910 (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Ora, noi, che tutti questi mali, causa ed effetto insieme di tanta infamia e di tanti dolori, vogliamo combattere per abbattere tutto ciò che ostacola il trionfo della giustizia, noi siamo chiamati fautori del disordine. Certo, proprietà, stato, famiglia, religione sono istituzioni di cui alcune meritano il piccone demolitore, altre aspettano il soffio purificatore che le faccia rivivere sotto altra forma più logica ed umana. Ma ciò potrà dirsi sul serio passaggio dell‟ordine al disordine? E chi non desidererebbe allora, se si desse un così contrario significato alle parole, il trionfo del disordine? Ma se le parole conservano il loro significato, non gli anarchici possono essere chiamati amici del disordine, e ciò neppure se lo si vuol considerare dal solo punto di vista di rivoluzionari. In questo periodo storico di sfacimento e di transizione, fra una società che muore ed una che nasce, gli odierni rivoluzionari sono veri elementi di ordine. Essi hanno negli occhi fosforescenti la visione delle idealità sublimi che fanno palpitare il cuore dell‟umanità, che l‟avviano sull‟infinito ascendente cammino della storia. Dopo il rombo del tuono, torna sul capo degli uomini il bel cielo luminoso e sereno; dopo la vasta tempesta che purifichi l‟aere, pestifero, questi militi dell‟avvenire sognano le primavere fulgenti della famiglia umana, soddisfatta nella uguaglianza, e ingentilita dalla solidarietà e dalla pace dei cuori. (Estratto da: Il vostro ordine e il nostro disordine, conferenza tenuta il 15 marzo 1896 alla “Bersaglieri Hall” di S. Francisco California – USA –, 2. ed., Roma-Firenze, F. Serantoni, 1905) 34


P. Gori, Ensayos y conferencias, México D.F., Vertice, 1947 (Archivio fotografico Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Il capitalismo E come adunque il proprietario ha cominciato a diventare ricco? Ha avuto forse questa ricchezza in eredità da suo padre, dal suo nonno, seppure non l‟ha ricevuta per mezzo di qualche intrigo vergognoso o di qualche inganno; ma in ogni modo quelli che a lui trasmisero questa eredità, come è che divennero ricchi? Voi sapete già che col lavoro continuo, accasciante di generazione in generazione, le vostre famiglie non furono mai ricche. Dunque questi proprietari non accumularono per avventura la ricchezza col lavoro proprio; ma bensì sfruttando il lavoro degli altri. Ed ecco come forse, cominciando dai pochi operai che ebbero da principio, tolsero a ciascuno di essi sul salario una parte e non la più piccola; ciascuno operaio producendo 5, 4 andarono nella tasca del padrone e all‟operaio restò solamente 1; è questa la proporzione più o meno esatta fra il salario ed il costo dell‟intera produzione. Così anche avendo sotto di sé due soli operai, il padrone togliendo a ciascheduno d‟essi 4, ebbe in totale 8, cioè quanto avrebbero di salario 8 operai insieme; così cominciò la ricchezza del proprietario a innalzarsi sulla miseria dell‟operaio; con questa progressione fatale, che più quello arricchiva, più questo diveniva miserabile, per leggi inevitabili della concorrenza vedendosi continuamente scemato il salario. Così la ricchezza dell‟uno e la miseria dell‟altro andarono mano a mano aumentando; e il proprietario divenne ricco, sfruttando giornalmente l‟operaio, con un furto continuo e progressivo sul salario di lui. Dunque solamente coll‟inganno, colla frode e col furto mascherato, cominciò la ricchezza dei proprietari. E pel furto quotidiano degli sfruttatori sul lavoro degli operai sfruttati, ebbe origine la cosiddetta proprietà individuale. 35


Per questa proprietà individuale la terra, che la natura, questa gran madre di tutte le cose, aveva dato a tutti gli uomini indistintamente, venne divisa solo fra pochi, i ricchi, i quali costrinsero l‟operaio a lavorare anche per loro che non facevano nulla, se pure volevano vivere: e l‟operaio piegò il collo e lavorò, ed accettò vilmente, quasi come un dono, quanto ai ricchi piacque dargli per non lasciarlo morire di fame. Dico per non lasciarlo morire di fame, perché i ricchi considerano i poveri come una macchina e nulla più; e solo perché questa macchina era loro utile e affinché essa non si distruggesse, e terminasse così la vita beatamente oziosa, che essi menavano, i proprietari, i borghesi, i ricchi lasciarono che il popolo, stentando e spegnendosi di fame a poco a poco, divenisse più sottomesso; perché se la terra avesse prodotto da sé la mésse ed i frutti, e le macchine avessero potuto lavorare senza bisogno del braccio dell‟operaio, i ricchi forse lo avrebbero fatto morire di fame acuta, per restare meglio padroni del mondo. (Estratto da: Pensieri ribelli: appunti, Pisa, Tip. Folchetto, 1889)

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P. Gori, Ideali e battaglie, Roma-Firenze, F. Serantoni, 1905 (Archivio fotografico Biblioteca F. Serantini – Pisa)

La religione Ma, poiché dicono che vogliamo distruggere la religione, ragioniamo un po‟, e vediamo se la negazione nostra idea è irrazionale oppure confortata dalla logica, dall‟esperienza, dalla scienza e dalle ragioni della vita. Innanzi tutto sarà bene chiedere di quale religione si parli. Ce ne sono tante a questo mondo. Forse di quella che promette il paradiso cristiano e minaccia, bambinescamente, le fiamme dell‟inferno, (come ai bimbi buoni o cattivi si promette lo zuccherino o lo scapaccione) e che fa consistere tutto lo stimolo alle opere buone nella speranza usuraia o nella paura infantile di godere o di soffrire... nell‟altra vita! O invece si vuol parlare della religione di Maometto che promette ai suoi fedeli la gioia pagana delle hourri giovani e belle, fatte intravedere voluttuosamente dietro il fumo dell‟oppio? O non piuttosto di quella di Confucio o di Budda, o di qualsiasi altra che abbia ottenebrata lungo i secoli e ottenebri ancora ed ingombri le menti umane?... Di quale fra tutte queste s‟intende parlare – dappoichè i preti di ognuna sostengono che la religione vera è la loro? Naturalmente, a seconda che noi fossimo in Turchia, nelle Indie, o nella Cina, ciascuna di queste religioni per bocca dei suoi preti ci muoverebbe aspra l‟accusa di miscredenza. E noi potremmo, dovunque, ribattere l‟accusa e confondere gli accusatori con una quantità di argomenti speciali che qui è inutile enumerare. Ma, poiché siamo nati e viviamo in paesi ove predomina la religione cristiana, e coloro che più si scagliano contro di noi sono i fanatici e i mercanti del cristianesimo e del cattolicesimo in specie, noi possiamo dispensarci dal cercare troppo a lungo gli argomenti poiché migliori sono gli stessi sacerdoti della religione cristiana che ce li forniscono; sono essi che hanno dato i più tremendi colpi di distruzione alla propria fede. Dal momento che 37


il discendente di Pietro pescatore dimenticò la umiltà originaria del Cristianesimo, – religione dei poveri e per i poveri, – dal momento che i principi della Chiesa invece di cilicio, di spine e di un ruvido manto, si coprirono di bisso, di porpora, di gemme come tutti gli altri potenti della terra; dal momento che le indulgenze, i passaporti per il paradiso, le amnistie parziali o totali del purgatorio poterono comprarsi come una merce qualunque o come un favore da impiegati e ministri corrotti; quando insomma la religione di Cristo cessò di essere apostolato e divenne ciarlataneria da cerretani e la chiesa si tramutò, fine naturale di tutte le chiese, in bottega di anime e di coscienze, – fin da allora l‟illusione del misticismo cristiano cominciò a rivelarsi menzogna, come un vile metallo d‟oro che con l‟uso perde la sua apparenza e non inganna più l‟occhio del villano che fino a ieri l‟avrebbe creduto oro di coppella. Il dogma cattolico, una volta prese decisamente le parti dei grandi contro gli umili ed i miseri, tanto cari a Gesù, si rivelò ognora più, quale per la sua stessa essenza doveva divenire, nemico della scienza e della libertà. È questa tendenza invincibile di ogni religione verso il bigottismo e fanatismo cieco da un lato e l‟asservimento ai potenti ed ai padroni contro i sudditi ed i servi dall‟altro, che costituì e costituisce tuttora il germe di dissoluzione anche del cristianesimo, questa fede ormai troppo vecchia. Noi la trasciniamo, questa fede, come una palla al piede la quale ci impedisce di camminare spediti verso la mèta nostra della liberazione integrale. Sarebbe ora che questa cosa morta, e pur gravante con tutto il suo peso in cima alla catena di schiavitù che andiamo trascinando, noi la staccassimo una buona volta e ce la togliessimo dai piedi. (Estratto da: Scienza e religione, Conferenza tenuta il 14 luglio 1896 a Paterson negli Stati Uniti d‟America, 2. ed., Roma ; Firenze, F. Serantoni, 1904)

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La guerra La guerra oggi ha perduto parecchio del suo carattere primitivo; ora la guerra, secondo i suoi apologisti, non è più selvaggia come una volta, perché è diventata... scientifica. Quale cinismo! quale profanazione d‟una sacra parola! la guerra scientifica, e cioè, le doti dell‟ingegno, le notti insonni dello studioso dedicate al problema della distruzione. Scienza in questo caso è sinonimo di maledizione. Ma servitevene, o uomini, della scienza, di questa benefica Dea, per strappare i suoi segreti alla natura, per dar vita alle macchine, la forza al carbone, per rendere l‟elettricità produttrice di ricchezza, – ristorare i tendini rilassati delle pecchie umane nella fatica del lavoro quotidiano; servitevene per tagliare le montagne, per irrigare le valli, per rendere l‟aria salubre, per allacciare fra di loro i popoli e stringerli in un patto fraterno di solidarietà e di collaborazione, affinché procedano insieme alla conquista del progresso e della felicità. Fate della scienza uno strumento di civiltà, – non di distruzione e di morte! La guerra moderna, abbiamo detto, è cinica. Infatti, la guerra scientifica, per cui si possono recidere a migliaia di metri di distanza migliaia di uomini che non si conoscono, ha perduto anche la forma del culto primitivo della forza e della destrezza nelle armi, che si aveva nella Grecia antica. Gli Agamennone, gli Achille, gli Ettore, gli Enea non sono più possibili ora, coi fucili a ripetizione, colle palle dum dum, colla dinamite e colla melenite, con tutte quelle sostanze esplodenti insomma, che han la desinenza molto simile a quella di altri malanni dell‟umanità (la bronchite, la polmonite, la pleurite, ecc.). Oggi giorno è Moltke [maresciallo prussiano] che trionfa, disponendo serenamente nella carta topografica le bandierine rosse, per studiare più facilmente a tavolino le mosse del nemico ed i felici attacchi dei suoi. Ma se un grande occhio pensoso si affacciasse domani, durante una guerra, alla volta del cielo per assistere alla tragedia umana, a vedere le giovani vite mietute come spighe d‟oro dalla immensa falce inesorabile, e le armi da fuoco vomitanti la morte, – inconsapevoli esse non meno di coloro che le caricano, – se quest‟occhio pensoso vedesse i cadaveri ammucchiati, orribilmente mutilati, gli uni sugli altri, e il sangue scorrere a rivi, senza una lacrima, e senza un rimorso da parte di chi n‟è la cagione, verrebbe fatto a quel grande occhio pensoso di domandarsi se non sia un destino cieco, inesorabile, che condanna gli uomini dalla loro origine a un mutuo macello, o non piuttosto una grande sciagurata follia che soggioga il genere umano e pervade la storia e ne trionfa. (Estratto da: Guerra alla guerra! Conferenza tenuta il 18 ottobre 1903 nel Politeama Alfieri in Genova, 2. ed., Firenze, Roma, F. Serantoni, 1904)

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P. Gori, Las bases morales y sociológica de la anarquía, Barcelona, Biblioteca de “Salud y Fuerza”, 1907 (Archivio fotografico Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Gli anarchici Chi sono i socialisti anarchici? – Se voi rivolgete la domanda a un poliziotto, costui vi risponderà senza esitare: «Gli anarchici sono dei malfattori». E le sentenze dei magistrati indipendenti daranno loro ragione. Se lo domandate ai padroni che pur vivono alle spalle di voi lavoratori, senza lavorare, costoro risponderanno che gli anarchici sono degli scansa fatiche, della gente che non ha voglia di lavorare! Se lo domandate infine agli uomini serii e pratici vi diranno, con uno sforzo di benevolenza, che gli anarchici sono matti da legare. E i governi, monarchici o repubblicani, danno ragione a codesta gente, e mandano i socialisti-anarchici a popolare le prigioni, le galere, ed a insanguinare i patiboli. Che importa? Chiunque è interessato a difendere privilegi e sinecure non può esser giudice imparziale di uomini, che hanno per grido di guerra l‟abolizione di ogni privilegio e di ogni forma di sfruttamento. Ma voi, o lavoratori, che siete le vittime, i martiri ignoti di tutto un sistema sociale a base di ladrocinio, di frode, e di menzogna, voi farete giustizia delle stolide accuse, che il volgo dorato dei soddisfatti e degli ambiziosi ci lancia da tergo. Gli anarchici sono, o lavoratori, uomini di popolo come voi; soffrono quello che voi soffrite: le dure catene di un lavoro esauriente, mal retribuito, e spregiato dagli oziosi gaudenti. Come voi essi hanno ricevuto, in compenso di tante fatiche, dai loro padri, pur lavoratori, la povertà, unico e triste retaggio. Come voi lasceranno ai figli propri, lavoratori essi pure, il frutto lagrimoso d‟una affaticata esistenza, il pesante fardello della miseria. 40


Voi sapete, ormai, che, anzi tutto, i socialisti anarchici vogliono l‟uguaglianza, ma la uguaglianza vera, non quella bugiardamente proclamata dalle leggi e brutalmente smentita dalla realtà dei fatti sociali. Ma come è possibile l‟uguaglianza in una società in cui pochi sono i possidenti, ed i più nulla possiedono di modo che questi ultimi, costretti dal bisogno, devono vendere le braccia ai proprietari della terra, delle macchine e degli strumenti di lavoro? La uguaglianza sociale dunque non sarà possibile se non allorquando tutti gli uomini saranno in possesso delle terre, delle macchine e di tutte le altre fonti della ricchezza, e fino a che codesta ricchezza, che è il prodotto del lavoro di tutti non sarà posta in comune a tutti. Questo è il comunismo. Dalla comunanza dei beni materiali cioè degli strumenti di produzione e della produzione stessa si svilupperà l‟armonia degli interessi dell‟individuo con quelli della collettività, secondo il principio tutti per ciascuno e ciascuno per tutti, in contrapposto alla egoistica morale borghese del ciascuno per sé. Dalla associazione dei beni e delle forze di tutti deriverà l‟associazione dei cuori e si svilupperà spontaneamente un alto e diffuso senso di solidarietà e di fratellanza sconosciuto affatto alla società borghese dilaniata dalla più feroce antropofagia legale e da un‟implacabile guerra civile, che avvelena e strazia questa sedicente e moribonda civiltà fin de siècle. In questa pura atmosfera, in luogo della famiglia chiusa, egoistica dell‟oggi, crescerà serena e felice, la grande famiglia eguali e dei liberi, la famiglia di cui sarà membro ugualmente amato ogni uomo, ogni cittadino del mondo; e le nuove generazioni cresceranno rigogliose ed affratellate, non come oggi frutto tisicuccio e malsano di freddi amplessi, di calcolati ed interessati contratti matrimoniali; non più come oggi prodotto anemico ed epilettico di tristi amori e di prostituzioni più o meno legali. Scomparso con la proprietà individuale ogni istinto di basso interesse personale l‟accoppiamento di un uomo e di una donna non sarà più un affare nel senso moderno e mercantile della parola. L‟unione libera sulle solide basi dell‟amore e della simpatia: ecco l‟unico logico vincolo sessuale, ecco la famiglia dell‟avvenire, senza la menzogna convenzionale del giuramento civile in faccia al sindaco, o di quello religioso in faccia al prete… E il prete? Cominciate a combattere il prete, strillano gli anticlericali, ed avrete emancipato l‟umanità… Oh, il prete, gli anarchici rispondono, scomparirà con l‟ignoranza e con l‟abbrutimento dei più; e col prete scompariranno tutte le menzogne religiose fugate dal raggio vivificatore della scienza. Intanto il prete lo combattiamo anche noi, molto meglio degli eterni sbandieratori di professione nei cortei commemorativi e funebri, e lo combattiamo additandolo sopratutto a voi, lavoratori, come l‟eterno alleato dei vostri oppressori e sfruttatori, e cercando sfatare al lume della ragione innanzi tutto l‟impostura del soprannaturale. Ma, prima d‟ogni altra cosa, rivendichiamo per tutti il nutrimento allo stomaco – giacché la grande questione vitale è pur troppo una prosaica questione di ventre, o politicanti... a ventre pieno, e poi nutrimento al cervello ed al cuore (se è permessa la metafora), largo nutrimento di scienza e di affetti – istruzione ed educazione; rivendicazioni codeste delle più alte facoltà dell‟essere umano. Ma sopra tutto, innanzi tutto, libertà! Non libertà mutilata, resa irriconoscibile da quella carta stampata, che porta il nome di legge; non libertà amministrata dagli scherani di qualunque codice più o meno plebiscitario, sieno essi democratici, repubblicani o socialisti, – ma libertà esercitata integralmente da ogni individuo, fusione di tutte le attività, e di tutte le iniziative liberamente e per tendenze naturali associate, per il benessere di tutti. Tu dirai, o popolo, che noi possiamo ingannarci, quando affermiamo che l‟avvenire è la gran pace, la vera uguaglianza, la infinita fratellanza fra tutti gli uomini della terra. Potremmo forse ingannarci; non ingannarti. Quale lo scopo sarebbe? quale l‟interesse? 41


Tu lo vedi a qual sorte riserba noi anarchici l‟ardita parola di guerra che gettammo in faccia alla camorra mondiale dei padroni e dei governi coalizzati ai tuoi danni. Non c‟è grazia, non c‟è quartiere per noi. E noi grazia, né quartiere mai domandammo. Di contro alle forche repubblicane su cui nel 1887 il democratico governo degli Stati Uniti impiccava quattro eroici nostri, che commisero l‟orrendo delitto di dire ad alta voce la verità in faccia ai dissanguatori delle plebi operose, sorsero nella Spagna monarchica e cattolica gli strumenti crudeli della garrota, e lì presso, nella Francia repubblicanissima, si sono fatte apposite leggi per colpire i nemici implacabili dell‟ingiustizie e della bancocrazia. L‟un governo equivale l‟altro; tutti i governi sono contro di noi – e noi contro tutti i governi, contro tutte le oppressioni contro tutte le tirannidi. Noi soli siamo votati a tutti i sacrifici per rivendicare agli uomini la uguaglianza vera nel comunismo, con la soppressione d‟ogni sfruttamento dell‟uomo sul l‟uomo, con l‟abolizione della proprietà individuale; noi soli vogliamo l‟emancipazione completa della personalità umana, dal giogo opprimente d‟ogni autorità politica, civile, militare e religiosa – noi soli vagheggiamo per il genere umano la libertà integrale, la libertà delle libertà: l‟Anarchia. (Estratto da: Socialismo legalitario e socialismo anarchico, conferenza tenuta in Milano al Consolato operaio il 4 aprile 1892, 2. ed., Roma, Casa editrice libraria “Il Pensiero”, 1906)

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P. Gori, La donna e la famiglia, Roma, Il Pensiero, 1906 (Archivio fotografico Biblioteca F. Serantini – Pisa)

L’emancipazione della donna Come gli operai subiscono la tirannia economica della classe capitalista, così le donne, – negli usi e nelle leggi, – sono asservite alla tirannia del sesso maschile. La liberazione degli uni dal giogo economico e quella delle altre dal giogo sessuale, non può essere l‟effetto che dello sforzo collettivo di tutti i calpestati della società. Come l‟emancipazione dei lavoratori non può essere opera che dei lavoratori stessi, secondo il dettame dell‟Internazionale, così l‟emancipazione della donna sarà sempre vacua affermazione verbale se ad essa non porrà mano la donna medesima. E poiché le rivendicazioni femminili sono per mille ragioni e cagioni collegate alle rivendicazioni operaie, e d‟altra parte il diritto operaio non avrà la sua vittoria se la donna se ne starà neghittosa fuori dalla lotta, perciò i lavoratori hanno l‟interesse e il dovere di non trascurare il problema femminile ch‟è parte integrante della vasta questione sociale, e le donne hanno l‟interesse e il dovere di preoccuparsi con intelletto d‟amore della questione sociale, staccato dalla quale il femminismo sarebbe vana accademia di poche pettegole ambiziose. Ecco perché parlando della donna e della famiglia, io mi rivolgo contemporaneamente a voi, donne che mi ascoltate, e a voi operai, compagni miei di lotta e avversari più o meno affini a noi per idee. C‟è questo errore, minaccioso di gravi effetti, anche in mezzo alla falange dei combattenti le battaglie dell‟avvenire. Da un lato gli operai, anche intellettualmente emancipati, prendendo troppo alla lettera la teoria del materialismo storico, secondo cui non si dovrebbe tener conto che del fattore economico nella valutazione dei fatti sociali e nel movimento di rinnovazione umana, non si preoccupano di emancipare la propria donna e 43


le donne che vivono la sua stessa vita, nella sua stessa classe. Bisogna essere proprio ciechi per non capire che la donna costituisce nel mondo la metà e più del genere umano, e che fino a quando la lasceranno sotto l‟influenza del prete e nella sottomissione di ogni prepotenza, essa sarà per noi e per l‟umanità in cammino, come una palla di piombo al piede che le impedirà di camminare spedita. Né, molti, si limitano a trascurare la donna; vanno anche più in là… C‟è e non bisogna negarlo, chi pensa ancora che un po‟ di religione per la donna ci vuole; c‟è chi impedisce alla donna di occuparsi delle questioni più urgenti di rivendicazione sociale. Quante volte mi è succeduto di sentire qualche repubblicano o socialista dire alla propria donna nel bel mezzo di una discussione: «Senti, cara, tu va nell‟altra stanza; queste cose che non ti interessano», – e quindi, rivolto a me e agli altri convenuti aggiungere: «La politica non è cosa per le donne!». Ora, se per politica s‟intende l‟arte malvagia di governare e governare, siamo d‟accordo. Ci mancherebbe altro che la donna dovesse mescolarsi a questa cosa turpe che è la vita parlamentare e governativa, in cui tutto ciò che v‟è di buono nell‟anima umana viene soffocato e capovolto! Ma noi pensiamo che non solo bisogna tener lontano da questa specie di politica le donne, ma anche gli uomini. E gli anarchici infatti ne stanno lontani. Però, se per politica s‟intende l‟occuparsi della vita pubblica, l‟interessarsi delle questioni più ardenti della vita sociale, il prender parte al movimento di elevazione economica e morale di sé, della propria classe e del proprio sesso, ebbene questa è sana politica che tutte le donne dovrebbero e potrebbero fare, senza per ciò perder nulla della loro grazia innata e delle loro attrattive, – che ne sarebbero anzi aumentate. Allo stesso modo molte donne, che pure si occupano di questa benedetta politica, sono giunte a farsi di questa il falso concetto che appunto noi or ora abbiamo deplorato; e danno la massima importanza al fatto di diventare elettrici od elette e di mescolarsi anch‟esse alle lotte poco decorose del potere. Invece di pensare a emancipare sé e gli altri dalle varie forme di schiavitù e di oppressione, desiderano solo il potere alla loro volta anch‟esse partecipare all‟opera di oppressione e di schiavitù esercitata dai governi e dai parlamenti. Queste preoccupazioni poco degne della loro bontà e gentilezza le porta a concepire il movimento di elevazione ed emancipazione della donna, come una cosa separata da tutte le altre questioni sociali, e separata anzitutto dal problema operaio; mentre la verità è tutto l‟opposto, perché come ben dimostrò il Bebel nel suo magistrale libro sulla Donna e il socialismo, la donna non avrà la sua vera emancipazione se non quando sarà sparito il privilegio economico e cioè finché l‟operaio non sarà anche lui emancipato dalla oppressione economica – essendo in gran parte la condizione attuale della donna una risultante della cattiva organizzazione economica della società. (Estratto da: La donna e la famiglia. Conferenza tenuta a Buenos Aires il 25 novembre 1900 nel Teatro Iris, Roma, Casa editrice libraria “Il Pensiero”, 1906)

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Libertà ed eguaglianza Accennammo già, in precedenti pagine, alle basi sociologiche su cui si fonda la dottrina anarchica; e vedemmo come solo a patto d‟un profondo cambiamento della società nei suoi rapporti economici, può essere possibile uno stato di cose che garantisca all‟uomo l‟integrale libertà voluta dagli anarchici, per cui non sia possibile la sopraffazione e la violenza organizzata a governo e a milizia, come oggigiorno. La soluzione anarchica del problema della libertà presuppone una soluzione socialista del problema della proprietà. Ecco perché gli anarchici sono socialisti, – allo stesso modo che tutti i socialisti dovrebbero essere anarchici, perché non vi sarà uguaglianza vera se non allorché gli individui potranno liberamente disporre di sé, senza doverne rendere conto ad alcuno. Io, che pur mi sento intimamente anarchico, sono socialista, e ciò fino da quando (ed ero giovinetto) compresi, che il moderno accentramento industriale, coi suoi sistemi di produzione, spogliando i più e socializzando il lavoro, contiene al tempo stesso e la spinta alla rivendicazione d‟ogni ricchezza alla intera società, e le linee embrionali del futuro ordinamento economico. Questa, in me come in altri, convinzione socialista non può essere che il risultato di sentimenti e ragionamenti combinati. La prima ribellione contro le iniquità sociali è quella impulsiva del cuore o del bisogno; poi viene la logica austera e fredda, che risalendo alle cause profonde degli avvenimenti umani, critica, demolisce e combatte serenamente – senza odio e senza paura. Non è dogma prestabilito, questa fede nell‟avvenire dell‟umanità; non è teorema arido né ruminazione sterile di formule algebriche. È poesia e scienza ad un tempo. È certezza matematica, che ha la sua genesi nel cuore, e la sua vitalità nel cervello, e che, sfidando ogni ironia ed ogni persecuzione, si riaffaccia alla lotta come la più alta trasfigurazione del sentimento. Il socialismo, nella sua applicazione integrale, quale gli anarchici soli ne fanno, conduce al comunismo scientifico; e sarà un ordinamento economico, nel quale l‟armonia dell‟interesse di ciascuno con l‟interesse di tutti risolverà il sanguinoso dissidio tra i diritti dell‟individuo e quelli della specie. Ma nel socialismo, che è la base economica della futura società, devono essere praticamente conciliati i due grandi principi della uguaglianza e della libertà. Donde l‟ardito e sì mal compreso concetto dell‟anarchia: libertà delle libertà. Essa non sarà che il coronamento politico necessario del socialismo, domani – come oggi ne è la corrente schiettamente libertaria. L‟anarchia non è, come il socialismo autoritario, l‟umanità che soffoca l‟uomo. Non è, come il disordine borghese, l‟uomo che calpesta l‟umanità. Ma riassume l‟ideale d‟uno spontaneo accordo delle volontà e delle sovranità individuali nel godimento del benessere, creato dal lavoro di tutti. Senza sfruttamento: ecco la idealità economica; senza coazione: ecco l‟idealità politica del socialismo vero. Lungi, dunque, dall‟essere contradditori, i due termini, – socialismo e anarchia, – si integrano e si completano a vicenda. Applicate la critica e i postulati scientifici del socialismo in politica, ed avrete la conclusione più libertaria che immaginar si possa; e viceversa rivolgete all‟economia borghese la critica che i nemici dello Stato fanno alle istituzioni politiche attuali, e giungerete per altra via al riconoscimento della dottrina socialista. Il socialismo significa ricchezza socializzata (non divisa e spartita, come ironicamente si suol dire dal volgo, dorato o no); e l‟anarchia significa libera associazione delle sovranità individuali, senza potere centrale e senza coercizione. Immaginate una società in cui tutti i cittadini, liberamente federati in gruppi, associazioni, corporazioni di professione, arte o mestiere, sieno comproprietari di tutto: terre, miniere, opifici, case, macchine, strumenti di lavoro, mezzi di scambio e di produzione; – 45


immaginate che tutti codesti uomini, associati da una evidente armonia di interessi, amministrino socialmente, senza governanti, la cosa pubblica, godendo in comune dei vantaggi, ed in comune lavorando ad aumentare il benessere collettivo, – ed avrete l‟anarchia ideale. È utopia? Chi è che, conoscendo anche superficialmente la storia delle grandi utopie umane, potrebbe affermarlo? Che il socialismo così detto scientifico (lo hanno i suoi dottori modestamente così battezzato da sé) sia un altro paio di maniche è indubitato. Ma se i socialdemocratici si affrettano, come Ferri nel suo Socialismo e Scienza positiva, a respingere ogni solidarietà, anche ideale, coi perseguitati dell‟oggi, e contestano ad essi il diritto di dirsi socialisti, dimenticano o ignorano che il movimento socialista popolare in tutta l‟Europa latina è stato in principio, e in alcune parti si mantiene ancora, schiettamente anarchico. Giacché, teoricamente – come concludevo altrove – dalla critica economica del socialismo (accettate le premesse), si deve giungere logicamente alle conclusioni matematiche dell‟anarchia. (Estratto da: La questione sociale e gli anarchici, in P. Gori, Scritti scelti, vol. 1, Cesena, L‟Antistato, 1968, pp. 74-76.)

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La società futura Così, se non possiamo con esattezza dire quale come sarà la forma della società futura, non ostante, si può affermare (sulla guida dell‟esperienza storica) che l‟attuale ordinamento a base capitalista dovrà cedere il posto ad un ordinamento più ampio, che sia in armonia con le nuove necessità collettive, e risponda meglio alla profonda rivoluzione avvenuta, nel secolo XIX, in tutti i mezzi di produzione. Si può credere nel materialismo storico di Marx e nella conseguente teoria catastrofica derivante dalla concentrazione dei capitali in poche mani e dalla proletarizzazione – mi si permetta la parola – della gran massa della società; si può fidare nell‟opportunismo riformista che spera ottenere una trasformazione per mezzo di graduali concessioni della classe dominante; oppure si può pensare che con la forza delle idee appoggiata da quella dei fatti, il proletariato agguerrito nelle sue associazioni possa da sé rivendicare collettivamente tutto quanto il suo lavoro creò attraverso i secoli. Ma indubbiamente i lavoratori, che sono la immensa maggioranza della società, in un modo o nell‟altro a questo vogliono giungere ed hanno interesse di giungere, – e per tale via da gran tempo si sono incamminati, – ad una più equa e soddisfacente distribuzione fra tutti dei beni che furono da essi prodotti. Che tale trasformazione si effettui sotto una forma od un‟altra – come dicono i socialisti autoritari oppure gli anarchici, è però in ogni modo indubitabile che la trasformazione avverrà. Se la evoluzione sociale procede d‟accordo con le sue leggi naturali, logicamente la reazione storica che si presenta come inevitabile di fronte alla concentrazione capitalista, che crea la grande usura industriale sul lavoro e la conseguente schiavitù economica dell‟operaio sotto la forma del salariato, è il socialismo. Però vano ed assurdo sarebbe indagare e prevedere in questo articolo in quale delle sue forme e scuole il socialismo trionferà. Che abbia la prevalenza la forma autoritaria o la libertaria, con base comunista o collettivista, quasi certo nella nuova società, almeno per molto tempo, permarranno parecchi residui degli organismi passati; di qui la probabile multiforme fisonomia della società umana all‟indomani della scomparsa del regime capitalista. (Estratto da: Come sarà la società futura? in P. Gori, Scritti scelti, vol. 1, Cesena, L‟Antistato, 1968, pp. 82-83) Pietro Gori

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La persistenza della memoria intervista di Franco Bertolucci a Maurizio Antonioli A colloquio con uno dei principali storici dell’anarchismo italiano, certo il massimo conoscitore del “poeta dell’anarchia”. Ragionando sul suo ruolo e ancor più sulla sua figura mitica.

Che ruolo hanno avuto nella storia dell’anarchismo la tradizione e il mito? Ancora non molti anni fa parlare di tradizione e di mito nell‟ambito culturale della sinistra suscitava un certo sospetto. Delle idee di tradizione e di mito sembrava essersi impadronita una certa destra, quella che ne faceva un uso politico di basso profilo, ma anche quella più culturalmente attrezzata alla ricerca di un sostegno storico di lunga durata. Tutto questo dimenticando, come è stato ampiamente dimostrato in sede storiografica negli ultimi venti-trent‟anni (il volume di Hobsbawm e Ranger, L’invenzione della tradizione, uscì in italiano per Einaudi nel 1983 e da qualche tempo gli storici anglosassoni lavoravano su questi temi) che anche le tradizioni ritenute più autentiche spesso si sono rivelate semplici “invenzioni” neppure tanto antiche. E che comunque espressioni come “tradizionalisti” o, all‟opposto, “progressisti” sono interpretabili solo se contestualizzate in modo preciso, riferite ad un determinato momento storico, ma non sono utilizzabili per tutte le stagioni. Non è un caso se oggi, da parte di esponenti del governo, i sindacati, in specie la Cgil, vengono accusati di essere “conservatori”, quindi “tradizionalisti”, perché vogliono conservare l‟articolo 18 a scapito di un futuro di flessibilità. Non esiste perennità di “tradizione” come il cosiddetto “progresso” non è sempre un automatico passaggio dal peggio al meglio. La storia non è un processo lineare di passaggi dal meno al più, e neppure il 48


contrario. Come non sono esistite “età dell‟oro” non esiste, ahimé, nessuna “terra promessa”, né in senso religioso né politico. Le parole stesse mutano il loro significato e i loro contenuti. Basti pensare a “destra” e “sinistra”. Nell‟Ottocento i liberali danesi, svedesi e norvegesi si chiamavano semplicemente “sinistra” (“Venstre”) come quelli italiani cosiddetti “progressisti” sono stati definiti “sinistra storica”. L‟“Estrema sinistra” italiana di fine Ottocento comprendeva, oltre ai socialisti, anche i repubblicani e i radicali. Tenuto conto di tutto questo, non dobbiamo diffidare delle parole quando esprimono bisogni radicati nel profondo della mentalità umana. E “tradizione” e “mito” sono tali a qualunque latitudine e in qualunque cultura. Bisogna solo distinguere, accettando il fatto che esiste una molteplicità di “tradizioni” e di “miti”. Esistono quindi “tradizioni” e “miti” anche all‟interno dell‟anarchismo, come in tutti i movimenti che si proiettano nel futuro e che fanno della trasformazione sociale, culturale, politica, economica l‟asse della propria azione e la giustificazione della propria esistenza, senza tuttavia dimenticare che anche chi sostiene un determinato status quo in realtà non sta affatto fermo ma ha una visione del futuro altrettanto dinamica. C‟è però una differenza nell‟uso di espressioni come “tradizione” e “mito”. Nel primo caso, parlando di anarchismo, gli anarchici stessi si sono resi conto che stavano creando una tradizione e che questa era necessaria. Non si spiegherebbe altrimenti l‟attenzione di molti militanti, a partire dalle fine dell‟Ottocento, per la “memoria”. Non dimentichiamo che il primo vero storico dell‟anarchia, Max Nettlau, era un anarchico e non soltanto uno studioso “simpatizzante”. Anche l‟anarchismo insomma “inventa” (si tratta di un‟invenzione a caldo, spesso spontanea, non artefatta) una propria tradizione che è intessuta di eventi e di persone. Ogni movimento politico ha bisogno di una tradizione, ha necessità di riallacciarsi a qualcosa, a qualcuno, di avere dei lontani progenitori e dei padri riconoscibili, in una parola di legittimarsi. Abbiamo fatto caso che il termine è lo stesso che viene usato per indicare la progenie non “illegittima”? Quando prima della “grande guerra” Oberdan Gigli scriveva sulle “fonti elleniche dell‟anarchismo” non faceva altro che cercare di rintracciare una lunghissima “tradizione” di pensiero che potesse “nobilitare” l‟anarchismo stesso grazie ad una sorta di “perennità” del suo nucleo ideale. La “tradizione” quindi come patrimonio di memorie, come ricchezza da spendere per dare senso all‟azione e alla visione del futuro. Anche l‟anarchismo più radicalmente nichilista ha sempre mostrato un coté tenacemente attaccato al passato. Naturalmente si tratta di vedere di quale passato, e perciò di quale tradizione, si sta parlando. Ma anche i “cavalieri del nulla”, anche coloro che sono stati pronti a gettare “gli atomi della propria vita nella ridda urlante della fiamma” creavano una tradizione rinunciando al proprio futuro. Sul mito bisogna 49


essere più prudenti, perché il termine stesso evocava forme di memoria vicine al culto, dando luogo spesso a forme di rifiuto tipiche dei movimenti antiautoritari. Nonostante ciò anche il movimento anarchico si costruì il suo Pantheon di eroi e la rituale celebrazione degli eroi portò, quasi inevitabilmente, alla mitizzazione di alcune figure individuali (ad esempio Gori) nonché di gruppi di persone (i martiri di Chicago) o momenti collettivi (la Comune di Parigi). I miti non sempre hanno un volto, ma sempre esprimono una carica di mobilitazione, sono l‟esempio e lo stimolo dell‟azione, danno il calore della fiducia e il rassicurante senso di appartenere ad una storia. Pietro Gori è stata una figura mitica dell’anarchismo italiano tra Otto e Novecento, per la capacità di sintetizzare con la propria vita la forza utopica del pensiero libertario e di trasmetterla a larghi settori popolari e del movimento operaio: possiamo affermare che subì un processo di “beatificazione laica”? Quali forme ha assunto nel suo caso il passaggio dalla memoria al mito? Pietro Gori è stato certamente una figura “mitica” dell‟anarchismo italiano ed ha subito una sorta di “beatificazione” laica. Come ho scritto in passato: “Nella sua figura infatti, in una sorta di processo spontaneo di eroizzazione, si raccoglievano, si concentravano quei valori esemplari di cui egli si faceva e si sentiva portatore e che le sue poesie, i suoi scritti e la sue parole evocavano: l‟assoluta fedeltà all‟Idea, la coerenza di vita, il coraggio, la combattività, la bontà virile, il senso del sacrificio”. Del processo di “mitizzazione” di Gori ho appunto dato conto anni fa (Pietro Gori. Il cavaliere errante dell’anarchia, Pisa, Bfs, 1995(1), 1996(2). Gori appartiene alla generazione successiva a quella degli internazionalisti. Non fa parte dei padri fondatori dell‟anarchismo, ma per motivi contingenti è colui che più di ogni altro incarna in Italia l‟anarchismo della delicata fase di differenziazione e di separazione dal socialismo “legalitario”: Appare quindi agli occhi di molti anarchici italiani come espressione dell‟identità anarchica agli inizi degli anni Novanta dell‟Ottocento. Ma al tempo stesso è figura la cui immagine condensa in sé gli aspetti dell‟eroe politico postromantico: ha le physique du rôle (è alto, slanciato, elegante nei modi), ha un‟oratoria trascinante nei comizi ma mai demagogica, è poeta affetto anche da mal sottile, come avvocato si batte nei tribunali per difendere i compagni, fa della sua emigrazione politica un‟epopea, i suoi inni e le sue canzoni hanno una straordinaria diffusione, il suo atto unico Primo maggio viene rappresentato in tutto il mondo, si sacrifica fino all‟ultimo per la propaganda e muore in un‟aura di “santità” laica soffuso di virtù rivoluzionaria. Anche Gori ebbe qualche detrattore (Libero Tancredi, 50


Ciancabilla, il sedicente Pio Spadea) che però ebbe più a contestare la “idolatria” da cui era circondato che non le sue posizioni politiche. Il carisma di Gori era tale da imporsi anche agli avversari politici o comunque a coloro che non condividevano le sue idee, ma si trattava di un carisma, potremmo dire, dal volto umano, non costruito da un apparato di consenso ma soprattutto non prodotto dall‟odio e dal fanatismo, come altri carismi che ben conosciamo. Nel caso di Gori il passaggio dalla memoria al mito avvenne molto presto, prima ancora della morte, nell‟ultima fase della sua vita, quando la sua attività era continuamente interrotta dalla malattia. Gori era certo un militante politico, molto più importante di quanto siamo abituati a pensare, ma agli occhi di ceti popolari abbruttiti, socialmente emarginati, colpiti nella dignità umana, rappresentava un sogno di redenzione, di riscatto, di nuova vita. Era in un certo qual modo il “Messia dell‟anarchia”. È interessante un paragone con Malatesta, il cui carisma fu certamente enorme, soprattutto dopo la Prima guerra mondiale. Ma venne chiamato “il Lenin d‟Italia”, riconosciuto cioè come grande leader rivoluzionario, lontano però dall‟“apostolo” Gori. Le cerimonie commemorative per Gori, a partire dal funerale, dimostrano come il processo di mitizzazione si fosse già perfezionato, fin da subito. Il bassorilievo, scoperto a Rosignano in occasione del primo anniversario della sua morte, opera dello scultore Bozzano, raffigurava il busto di Gori “sulle palme della gloria e del martirio con fiaccola, simboleggiante la libertà” e l‟epigrafe, dettata da Mario Foresi, parlava di “esempio e conforto degli apostoli futuri”. Anche Bresci venne dipinto come un martire e in un disegno apparso su di un periodico statunitense, poco dopo la sua morte, veniva assunto in cielo da un angelo. Ma il suo martirio non comportò forme di beatificazione. Lo stesso può dirsi di altre figure dell‟anarchismo italiano, dotate spesso di grande prestigio e continuamente ricordate, ma per le quali non abbiamo segnali veri e propri di processi di mitizzazione. Nonostante la brevità della vita di Gori e l’affermazione successiva del fascismo, come ti spieghi la durata e la persistenza, almeno in alcune regioni d’Italia, del suo mito? Non è semplice pronunciarsi sulla persistenza della memoria. Per quanto riguarda Pietro Gori è indubbio che le lapidi e i busti che erano stati collocati dopo la sua morte, in numerosi casi ripristinati dopo il fascismo, si trovano principalmente nell‟Italia centrale, soprattutto in Toscana (all‟Elba, a Rosignano, Castagneto Carducci, Piombino ecc.), ma anche in Umbria (Gubbio) e nel Lazio (Civitavecchia). Anche le vie dedicate a Gori si trovano soprattutto in città toscane. Testimonianze orali raccolte quarant‟anni fa da Castri, Jona, Liberovici e Panti nell‟area della Toscana tirrenica mostravano 51


ancora la vivacità del ricordo in persone ormai anziane che avevano avuto modo di vedere Gori di persona o avevano partecipato ai suoi funerali, che costituirono una delle manifestazioni di cordoglio pubblico spontaneo più imponenti viste all‟epoca per una figura politica antagonista. Se è quindi vero che la fama di cui godette Gori si diffuse in tutto il mondo, laddove esistessero comunità anarchiche (e non solo), è altrettanto vero che la memoria del “poeta dell‟anarchia” si conservò molto a lungo nelle persone che ebbero modo di vederlo e di sentirlo parlare. Soprattutto di sentirlo parlare. Oggi probabilmente la sua oratoria ci farebbe sorridere, ma allora era difficile che qualcuno sfuggisse all‟incanto delle sue parole “alate”. Basti pensare che una casa discografica dell‟epoca voleva effettuare delle registrazioni da diffondere. Molti erano allora gli oratori da comizio, alcuni dei quali di notevoli capacità affabulatorie, ma evidentemente Gori spiccava su tutti al punto da lasciare tracce indelebili. Nonostante Gori fosse in qualche modo cittadino del mondo, per le sue peregrinazioni “di terra in terra”, come recita Addio Lugano bella, il senso di appartenenza a quella sorta di triangolo che va da Pisa a Livorno all‟Elba era fortissimo. Nelle fasi acute della malattia Gori si rifugiava a Sant‟Ilario, all‟Elba, o a Rosignano e in quei luoghi erano le sue radici. Mi è capitatato, quindici anni fa, di trovarmi nella minuscola e bellissima piazzetta di Sant‟Ilario a chiedere ad un anziano signore quale fosse la casa di Gori e ad avere pronta e sicura la risposta. Tuttavia è indubbio che la memoria si sia complessivamente molto affievolita. Potrei ripetere in proposito quanto ho scritto: “La «communauté d‟imagination» su cui si fondava la figura di Gori si era nel frattempo disgregata, si era dissolta non solo con la scomparsa dei vecchi militanti ma anche con i mutamenti profondi avvenuti all‟interno del corpo sociale della sinistra e nella mentalità delle classi subalterne, ed ogni tentativo di tenerla in vita a tutti i costi appariva chiaramente artificiale. Era tutto un mondo – modi di vita, rapporti sociali, credenze, sogni, speranze – che lentamente, non senza vischiosità e resistenze di tipo culturale ed emotivo, stava tramontando. E questo tramonto oscurava il cammino di quel «misterioso straniero» (uno dei protagonisti di Primo maggio) che, una volta nell‟immaginazione di molti e da allora in poi nel ricordo di pochi, continuava a viaggiare senza posa «verso la parte donde si leva il sole». Nel Secondo dopoguerra sia gli storici – a parte qualche rara eccezione –, sia gli anarchici – a parte le iniziative commemorative – non hanno riservato un grande interesse al ruolo di Gori nella storia del movimento operaio e libertario: come ti spieghi questa disattenzione?

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Non sono mai propenso ad accusare gli storici di aver trascurato qualcosa. Gli storici, come tutti, seguono i propri interessi e a volte anche le mode storiografiche o quello che paga accademicamente. Una collega americana mi diceva tempo fa che ormai negli Stati Uniti c‟è poco interesse per la storia d‟Europa e sei à la page se studi l‟Africa, le correnti migratorie o fai storia di genere. Il che significa avere o non avere borse di studio, avere o non avere finanziamenti per la ricerca, avere o non avere posti all‟Università. Ma se a qualcuno non interessa studiare determinati argomenti perché dovrebbe farlo, in nome di quale interesse storiografico superiore? La questione è complessa ed esula dal nostro discorso. Voglio però aggiungere che trovo prive di senso le lamentazioni di coloro che accusano “gli storici” di non aver studiato questo o quest‟altro, magari, come capita oggi, di non aver parlato male di Garibaldi. Quando ho iniziato a studiare e a pubblicare il cosiddetto “movimento operaio” aveva molti cultori, oggi ne ha pochi. La maggior parte di loro erano mossi da quella passione politica che ha contraddistinto gli anni Sessanta e Settanta. Poi l‟interesse è andato gradatamente scemando. Quando ho iniziato ad insegnare Storia del movimento sindacale avevo l‟aula piena, oggi gli studenti sono scarsi. Né ci si può stupire, dato il clima politico-culturale attuale nel quale i sindacati vengono spesso dipinti come un elemento di conservazione. Per quanto mi riguarda, studio alcune cose e ne trascuro moltissime altre e non mi sento in colpa per questo. Lasciamo quindi da parte la storiografia. Ciò che mi ha sempre stupito non è stato il disinteresse degli storici, ma degli anarchici stessi nei confronti di Gori. Bakunin, Malatesta, Merlino, Fabbri, Berneri sono stati più volti affrontati e discussi, ma non Gori. Perché? Perché di Bakunin e compagni si è potuto fare un uso politico sia all‟interno del movimento sia all‟esterno. La pur comprensibile ossessione tutta politica del passato portava a valutare i personaggi secondo il grado della loro presunta utilità. Mi ricordo la serie di “attualità di Bakunin”, “attualità di Proudhon”, “attualità di Berneri”, con l‟obiettivo di ribaltare le accuse di inattualità che venivano rivolte agli anarchici soprattutto da parte dei “compagni” della sinistra, della sinistra dei grandi partiti, quelli che sapevano fare politica, che avevano un corretta visione della storia ecc., ma anche dei gruppi che conoscevano la “giusta via rivoluzionaria”. Dove siano finiti tutti questi lo sappiamo benissimo. Dove sono mai l‟arroganza, il senso di superiorità o di condiscendenza con cui i solidi realisti, i detentori del segreto dell‟evoluzione storica guardavano quei poveri illusi degli anarchici? E allora per ribattere, per essere ammessi alla stessa tavola politicoculturale bisognava dimostrare che no, che gli anarchici non erano affatto degli illusi perché avevano ancora molte cose da dire, erano insomma “attuali”, come e più degli altri. Non che questo atteggiamento non fosse comprensibile. Ci siamo 53


cascati un po‟ tutti, chi più chi meno. Ma quale uso politico si poteva fare di un personaggio che tutti ricordavano solo come un poeta, un militante generoso e appassionato, una sorta di simbolo, ma che risultava refrattario ad ogni utilizzazione attuale? È insomma il discorso dell‟inattualità di Gori, che ho fatto nel mio lavoro del 1995. Ma se Gori era inattuale, perché perdere tempo a studiarlo, al di là degli aspetti folkloristici? Cantare Addio Lugano bella ogni tanto andava bene. Ma ci si fermava lì. In realtà – ma non è questa la sede per parlarne – Gori fu anche un militante politico di grande acutezza, un personaggio-chiave in alcune fasi. Basti pensare al ruolo centrale da lui sempre assegnato all‟organizzazione sindacale, ma soprattutto alla funzione svolta nella fase di formazione del Partito dei lavoratori italiani nella quale fu il rappresentante principale della corrente anarco-operaista che si batté contro i socialisti guidati da Turati. Ma, senza entrare nel dettaglio, mi importa far rilevare come sia esistito anche un Gori squisitamente politico la cui azione in Italia fu di necessità interrotta dall‟esilio e poi dalla malattia. Mi rendo però perfettamente conto di quanto Gori sia rimasto inattuale e che di lui si sia potuto fare un uso politico quasi nullo. Ma è poi questo quello che conta? O la storia è qualcosa d‟altro e non può essere ridotta al rango di supporto, di volta in volta, della celebrazione dello Stato unitario o, al contrario, del Regno delle due Sicilie o del potere temporale dei papi? Franco Bertolucci

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Maurizio Antonioli professore ordinario di Storia contemporanea: insegna Storia dell’Europa contemporanea e Storia del movimento sindacale presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano. Da sempre si è occupato di storia dell’anarchismo e dell’anarcosindacalismo, partecipando ad incontri, convegni e progetti editoriali come il Dizionario biografico degli anarchici italiani, dimostrando una peculiare sensibilità e attenzione all’universo dei movimenti libertari. Tra le sue molte pubblicazioni si ricorda: La Fiom dalle origini al fascismo, 1901-1924, Bari, De Donato, 1978 (con B. Bezza); Sindacato e progresso. La Fiom tra immagine e realtà, Milano, F. Angeli, 1983; Vieni o maggio. Aspetti del Primo maggio in Italia tra otto e novecento, Milano, F. Angeli, 1988; Azione diretta e organizzazione operaia. Sindacalismo rivoluzionario e anarchismo tra la fine dell’ottocento e il fascismo, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1990; Armando Borghi e l’Unione sindacale italiana, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, 1990; Il Sindacato ferrovieri italiani dalle origini al fascismo, 1907-1925, a cura di M. Antonioli e G. Checcozzo, Milano, Unicopli, 1994; I Sindacati occidentali dall’800 ad oggi in una prospettiva storica comparata, a cura di M. Antonioli e L. Ganapini, Pisa, BFS edizioni, 1995; Pietro Gori, il cavaliere errante dell’anarchia, Pisa, BFS edizioni, 19951, 19962; Il sindacalismo italiano. Dalle origini al fascismo. Studi e ricerche, Pisa, BFS edizioni, 1997; Il sol dell’avvenire. L’anarchismo in Italia dalle origini alla prima guerra mondiale, Pisa, BFS edizioni, 1999 (con P.C. Masini); Le scissioni sindacali in Italia e in Europa, a cura di M. Antonioli, M. Bergamaschi e F. Romero, Pisa, BFS edizioni, 1999; Lavoratori e istituzioni sindacali. Alle origini delle rappresentanze operaie, Pisa, BFS edizioni, 2002; Dizionario biografico degli anarchici italiani, diretto da M. Antonioli, G. Berti, S. Fedele, P. Iuso, Pisa, BFS edizioni, 2003, 2004, voll. 1, 2.; Riformisti e rivoluzionari. La Camera del lavoro di Milano dalle origini alla grande guerra (con J. Torre Santos), Milano, F. Angeli, 2006; E. Verzi, I metallurgici d’Italia nel loro sindacato, introduzione e cura di Maurizio Antonioli, Roma, Ediesse, 2008; Sentinelle perdute. Gli anarchici, la morte, la guerra. Pisa, BFS edizioni, 2009; The International Anarchist Congress. Amsterdam 1907, edited M. Antonioli, translation and english edition by Nestor McNab, Edmonton (Ca), Black Cat Press, 2009); Contro la Chiesa. I moti pro Ferrer del 1909 in Italia, a cura di M. Antonioli, A. Dilemmi. J. Torre Santos, Pisa, BFS edizioni, 2009.

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Sul filo della memoria di Franco Bertolucci Una mappa in Toscana dei luoghi goriani tra storia e leggende.

Provincia di Livorno Livorno ha dedicato nel Secondo dopoguerra importanti manifestazioni commemorative a Pietro Gori e anche nel recente passato è stata sede di un convegno di studi (2008). Nella città labronica la presenza anarchica è sempre stata forte fin dai tempi della Prima internazionale e ha scritto pagine importanti della storia dell‟anarchismo toscano. Pietro Gori è legato alla storia popolare di questa città, non solo perché qui aveva concluso i suoi studi liceali ma perché vi aveva fatto il suo apprendistato politico e vi aveva ricevuto la prima condanna per la manifestazione del 1° maggio 1890. Dal Secondo dopoguerra gli anarchici hanno avuto sempre una sede in città e alcuni gruppi della Federazione anarchica locale sono stati intitolati al “cavaliere dell‟ideale”, come il circolo antireligioso dell‟Ardenza e ancora oggi a Livorno, nella zona sud del centro storico, c‟è una strada dedicata a Pietro Gori, che è una traversa di viale Guglielmo Marconi. Anche Collesalvetti, cittadina distante 15 km circa dal capoluogo di provincia, che già negli anni successivi alla morte di Gori aveva inaugurato una lapide al “vate 56


dell‟anarchia” – ricordo marmoreo che poi venne distrutto dai fascisti –, aveva un gruppo anarchico che portava il suo nome, e oggi memore di quel passato ha ancora una via dedicata al “poeta gentile”.

Lapidi dedicate a F. Ferrer e P. Gori a Rosignano Marittimo (Li) (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Il luogo che in provincia di Livorno conserva il maggior numero di testimonianze su Gori è certamente Rosignano Marittimo, una ridente cittadina che dall‟alto di un colle si affaccia sul mar Tirreno. Città natale della madre di Gori, Giulia Lusoni, ospita la tomba di famiglia, dove è sepolto Gori stesso e un piccolo museo storico. Giungendo dalla via Aurelia e salendo verso il paese attraverso la strada che congiunge Rosignano Solvay a Rosignano Marittimo si incrocia un primo bivio e girando a sinistra si imbocca via dei Lavoratori dove troviamo il cimitero. Entrati nel vialetto principale, al centro della parte più antica del camposanto, si trova in fondo la tomba di famiglia di Gori, dove sono sepolti il padre, la madre, la sorella e Pietro. La tomba è preceduta da un monumento in marmo, raffigurante il militante anarchico, donato dai lavoratori delle Apuane nel Secondo dopoguerra. All‟interno della tomba di famiglia, che è stata restaurata qualche anno fa, è stato collocato il busto, opera dello scultore Arturo Dazzi, decapitato dalla violenza iconoclasta dei fascisti e che per molti anni nel Secondo dopoguerra era stato sistemato all‟aperto poco sotto il torrione del castello. Uno sguardo veloce alle tombe che fanno da cornice a quella di Gori ci fa capire subito in che territorio ci troviamo. I nomi di battesimo di molti ci richiamano subito le storie e le tradizioni del movimento operaio e libertario che è stato assai vivace in quella zona tra la fine dell‟800 e il principio del „900, passato che ci viene anche ricordato dai nomi delle strade del paese. Ripresa via dei Lavoratori, si sale al borgo passando davanti al Municipio e imboccando via Gramsci dove all‟inizio troviamo una piazzetta dedicata a Gori (ex piazza delle Logge) con un 57


busto in bronzo inaugurato il 15 maggio 1960. Continuando per via Gramsci dopo poche decine di metri, sul lato monte, all‟altezza del secondo piano del palazzo della famiglia Lusoni/Gori, è possibile ammirare due belle lapidi: la prima a sinistra del portone d‟ingresso dedicata a Francisco Ferrer riporta l‟epigrafe di Gori, la seconda a destra dedicata al “Poeta dell‟anarchia” opera dello scultore Antonio Bozzano. Ritornando indietro si sale verso il castello dove, presso il Palazzo Bombardieri, è possibile visitare la raccolta documentaria e oggettistica goriana negli orari d‟apertura del museo archeologico (Via del Castello n. 13 Tel.0586/724298). Il nucleo documentario e dei cimeli della collezione goriana fu istituito nei primi anni Sessanta durante le ultime grandi celebrazioni per il cinquantenario della morte di Gori. Nel museo sono raccolte oltre una piccola biblioteca con alcuni volumi appartenuti a Gori stesso, diversi cimeli della famiglia, la scrivania, alcuni ritratti ad olio dei familiari e una serie di belle foto d‟epoca. Scendendo da Rosignano Marittimo verso sud si incontra Cecina. Anche in questa città la toponomastica ci rammenta che siamo in un territorio dove la tradizione socialista e libertaria ha avuto trascorsi notevoli. È da ricordare che un sindaco di Cecina, Ersilio Ambrogi, originario di Castagneto Carducci – in gioventù militante anarchico del Gruppo Pietro Gori, poi divenuto socialista e comunista – insieme ad alcuni socialisti e libertari affrontò nel 1921 una squadraccia di fascisti armi alla mano. In questa cittadina una traversa di Corso Matteotti è dedicata a Pietro Gori. Percorrendo sempre la via Aurelia verso sud a Donoratico, frazione di Castagneto Carducci, troviamo un‟altra strada dedicata a Pietro Gori, posizionata tra via Michelangelo Buonarroti e via Piave. Anche in questa frazione c‟è sempre stato un gruppo libertario fino a tutti gli anni Settanta. Saliamo poi a Castagneto Carducci, una delle prime cittadine toscane a dedicare già nel 1911 un ricordo marmoreo a Gori. In questo paese troviamo tracce consistenti di “anarchia popolare”. Tanto per non tornare indietro con gli anni alcuni ricordano che nel 1944, ad esempio, il calzolaio Ottorino Busotti, già membro del gruppo scioltosi nel 1924, ricostituiva – con una decina di vecchi compagni – un nuovo gruppo Pietro Gori. Come primo atto il ciabattino libertario smurò dalle arcate di un ponte la scatola di metallo contenente le opere dell‟“avvocato dei diseredati”, che aveva nascosto vent‟anni prima. Il 30 settembre 1945 il gruppo si faceva promotore della ricollocazione della lapide del 1911 ripristinata, dopo la cancellazione ad opera dei fascisti e la successiva riutilizzazione, con una epigrafe diversa. La lapide è ancora oggi visibile in piazza del Popolo e riporta la seguente iscrizione: “A / Pietro Gori / Apostolo e poeta del liuto gentile / che per primo in questo paese / diffuse la semenza dell‟ideale anarchico / ai figli del dolore / e agli schiavi della plebe 58


irredenta / parlò di un giorno felice / in cui tutti gli uomini saranno fratelli e uguali / perseguitato / in ogni plaga della terra / ovunque / la sua voce portò amore giustizia libertà / Gli anarchici e i liberi pensatori / di Castagneto Carducci / posero questa pietra / qual lampada votiva / che additi agli oppressi la meta fulgida e sublime / della sua resurrezione”. Nella zona mineraria di Campiglia Marittima, sede di un bel parco minerario e dove sono ancora leggibili in profondità nelle gallerie iscrizioni inneggianti a Bresci e Gori lasciate da anonimi minatori, si trova un‟altra via dedicata al “cavaliere dell‟ideale”. Tra le altre cose anche in questo luogo c‟era un gruppo anarchico intitolato a Gori che è stato attivo fino ai primi decenni dopo la fine della II guerra mondiale. In quel periodo, addirittura, anche una sezione del Partito comunista venne dedicata a Gori. Un anziano militante socialista nel 1996 organizzò una piccola ma interessante mostra documentaria intitolata a Pietro Gori e in questa città è ancora visibile nella piazza principale nei pressi della Torre dell‟orologio una targa dedicata a Francisco Ferrer, inaugurata nel Secondo dopoguerra dal locale gruppo FAI.

Lapide dedicata a Gori a Piombino (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Ultimo approdo di questa prima parte dell‟itinerario goriano è Piombino, la città del ferro, che in tante occasioni ha dimostrato, in passato, il suo attaccamento alla figura di Pietro Gori. Bisogna fare una premessa: agli inizi del „45, nella parte di penisola liberata, si tenevano le prime commemorazioni goriane: nel gennaio a Terni, a Narni e a Civitavecchia e nel 59


febbraio a Roma. All‟indomani della Liberazione nazionale, in occasione del «Primo maggio di libertà», la Federazione comunista libertaria laziale pubblicava un‟edizione speciale di «Umanità nova» dedicata a Pietro Gori, «nobile e incomparabile fratello e Maestro», la cui «dolce e nera figura, [...] vive[va] immortale ed immutabile» fra gli anarchici. In quello stesso numero la Federazione comunista libertaria di Piombino, ricordando come la targa del 1920 fosse stata «divelta dal suo alveolo e gettata nell‟immondizie» dagli «assertori della nuova civiltà del littorio», lamentava la perdurante impossibilità di «cancellare l‟insulto, rimettendo al suo posto il ricordo marmoreo del grande scomparso». Bastavano pochi mesi e il 19 agosto «Piombino la rossa» riparava il torto, ricollocando la targa e rendendo «omaggio a colui che tutta la sua vita aveva dedicato alla redenzione umana». La targa che oggi è posta in via Pietro Gori nei pressi della stazione è poi accompagnata da un‟altra strada intitolata a Francisco Ferrer che fa angolo con via Giuseppe Pietri dove è situata la sede storica della Federazione anarchica di Piombino. Via Pietri poi sfocia infine in via Giordano Bruno.

Inaugurazione della lapide dedicata a Gori a Piombino (19 agosto 1945) (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Isola d’Elba Nell‟isola d‟Elba, a Portoferraio, il 5 maggio 1946, la lapide originaria, «violata» dal fascismo, veniva «riconsacrata», con l‟intervento di Riccardo Sacconi, al termine di una grande manifestazione con gonfalone comunale, banda, bandiere, rappresentanti dei partiti politici e grande partecipazione di popolo. La targa di marmo in memoria dell‟apostolo, scolpita 60


dall‟artista Arturo Dazzi, ed inaugurata la prima volta il 30 novembre 1913, ha dimensioni notevoli: 2 tonnellate di peso, di circa 3 metri d‟altezza su cui si staglia «una giovane figura nuda di donna, cinta la testa di un‟aureola dolorante di spine (a ricordo dell‟infelice vita trascorsa dallo sventurato apostolo) rappresentante l‟Idea. Ad un lato della targa, quasi amorosamente protetto dalle ali dell‟Idea stessa, il medaglione di Pietro Gori. Nel 1996 la piazza dove è posta la lapide, che non è il luogo originale dove venne inaugurata, è stata intitolata a Gori.

Lapide dedicata a Gori dello scultore Arturo Dazzi a Portoferraio (Li) (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Portoferraio è l‟unica città in Italia che contemporaneamente ha una via e una piazza dedicata al “poeta dell‟idea”. Sempre a Portoferraio è possibile ammirare nella Galleria foresiana un bellissimo ritratto ad olio del pittore Plinio Nomellini raffigurante Gori da giovane. Nell‟aprile/maggio 2008 ci sono state le ultime iniziative commemorative con spettacoli musicali e dibattiti promossi da vari enti locali e con la partecipazione del complesso musicale Les anarchistes. Iniziative contestate dagli anarchici per il loro taglio “folklorico e istituzionale”. Altra località di questo “percorso laico di memoria libertaria” è Sant’Ilario, il luogo tanto prediletto dallo stesso Gori per i suoi riposi e per i periodi che vi ha trascorso di convalescenza dalla sua malattia. La storia della lapide che ancora oggi si può 61


ammirare in questo piccolo paese dell‟Elba occidentale è emblematica dello stretto legame tra la memoria di Gori e le classi subalterne del territorio. Già al momento dell‟inaugurazione negli anni Venti vi furono scontri tra gli anarchici e i fascisti perché quest‟ultimi non volevano essere esclusi dalla manifestazione commemorativa. Quando poi gli squadristi ebbero il sopravvento non furono capaci di imitare i propri commilitoni di altre zone e distruggere il ricordo lapideo e lo nascosero nella propria sede. Caduto il fascismo, il popolo e gli anarchici di S. Ilario recuperarono la targa e la ricollocarono al posto dove ancora oggi si può ammirare all‟ingresso del paese in piazza alle Mure. Oltre alla lapide, c‟è anche una via dedicata a Gori che attraversa il centro del paese. A Capoliveri la lapide che raffigura Gori nell‟atto di tenere una conferenza o un comizio fu scoperta in occasione del decennale della morte il 30 gennaio 1921. Per evitare che i fascisti la distruggessero fu nascosta nel cimitero e ricollocata subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale. La lapide che ancora oggi si può ammirare è prospiciente la bella terrazza panoramica che guarda il mar Tirreno verso sud. Il testo dell‟epigrafe recita: “Questo marmo effigiato presso le rupi / ferrigne di Capoliveri dica ai futuri / che non furono vani l‟apostolato il / sacrificio la fede del dolce poeta / Pietro Gori / 30 gennaio 1921”. A Capoliveri c‟è anche una lunga strada dedicata al “propagandista dell‟ideale” che unisce il centro storico con la parte est del paese. Infine, a Porto Azzurro nella piazza Matteotti quella che si affaccia sul piccolo porticciolo, è ancora ben visibile su uno dei palazzi il medaglione marmoreo raffigurante Giuseppe Garibaldi inaugurato con una grande manifestazione da Pietro Gori il 20 settembre 1905, di cui ancora oggi si conserva l‟istantanea dell‟avvenimento.

Inaugurazione della lapide dedicata a Gori a Rio nell’Elba (1 maggio 1920) (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

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Anche a Rio Marina e Rio nell‟Elba, località di pescatori e minatori, era giunta, amata e apprezzata, la voce di Gori. Lo testimoniano alcuni episodi. A Rio Marina, poco dopo la morte del “gentil poeta”, il consiglio municipale rifiutava di dedicargli la piazza principale, ma nella notte veniva murata da mani anonime – di fronte alla lapide a Francisco Ferrer – una lastra di marmo con la scritta Piazza Pietro Gori. Ovviamente tale lapide venne poi successivamente rimossa. Altra storia a Rio nell’Elba, dove una lapide venne inaugurata con grande concorso di popolo il 1° maggio 1920 in Piazza del Popolo sul Palazzo Ciummei, sopra il bar Internazionale. La lapide raffigurava Gori incoronato di alloro da una figura alata. La voce popolare racconta che tale lapide rimase al suo posto durante tutto il ventennio e solo nel 1944 venne distrutta dai tedeschi con una cannonata. Nel 2004 venne ritrovato in una discarica un frammento della lapide con la scritta “Pietro” ed il comune con una solenne cerimonia collocò il frammento nel teatro sociale Garibaldi – che oggi si può visitare – con sopra la riproduzione della fotografia della manifestazione popolare dell‟inaugurazione del 1920 e con l‟iscrizione completa della lapide distrutta.

Busto dello scultore Arturo Dazzi dedicato a Gori, mutilato della testa da parte dei fascisti, conservato nella tomba a Rosignano Marittimo (Li) (Archivio fotografico Biblioteca F. Serantini – Pisa)

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Provincia di Pisa Pisa è la città che ha ospitato Gori durante i suoi studi universitari, di cui è testimonianza una bella fotografia del giorno della laurea conservata presso il Museo Gori di Rosignano Marittimo. Già pochi anni dopo la morte del “poeta dell‟anarchia”, Pisa gli rese omaggio con una grande manifestazione. Oggi, nel centro storico della città, una traversa di via S. Martino – dove per tanti anni nel Secondo dopoguerra ha trovato ospitalità la sede della Federazione anarchica pisana –, c‟è via Pietro Gori. La sua intitolazione a Gori non è casuale, questa strada ospitava il teatro Redini – la cui insegna è ancora oggi visibile – e prima del fascismo era dedicata a Francisco Ferrer. Questa via era uno dei luoghi preposti a rappresentazioni teatrali di molte opere dello stesso Gori, ma anche luogo di ritrovo per manifestazioni come quelle del Primo maggio. A Pisa inoltre, oltre che visitare il Palazzo della Sapienza, sede della Facoltà di Giurisprudenza (via Curtatone e Montanara), dove Gori ha studiano e si è laureato, è possibile visitare la Biblioteca Franco Serantini, che conserva tante testimonianze legate alla storia dell‟anarchismo toscano e allo stesso Pietro Gori (largo C. Marchesi – tel. 050 570995) In provincia di Pisa poi troviamo largo Pietro Gori a Navacchio (frazione del comune di Cascina), inaugurato nel 1947 alla presenza di Umberto Marzocchi, iniziativa voluta dal gruppo locale che guarda caso portava il nome del “cavaliere dell‟idea”. Il gruppo libertario locale, di cui si conserva presso la Biblioteca Serantini la bandiera, ovviamente era intitolato a Gori. Il gruppo era erede di una tradizione libertaria locale vivace di cui è testimonianza ancora oggi il monumento ad uno dei suoi martiri Comasco Comaschi in viale Gramsci, militante anarchico e ardito del popolo ucciso dai fascisti nel marzo del 1922. Vie dedicate a Gori si incontrano ancora a Ponsacco e Pontedera dove nell‟atrio del comune è possibile ammirare due lapidi dedicate ai caduti antifascisti durante la guerra civile del 1921-‟22 e durante quella Spagnola del 1936‟39, con la presenza di alcuni nomi di anarchici locali. Nel Secondo dopoguerra era ancora attivo in questa città il gruppo “Governa te stesso”. Anche a Santa Croce sull’Arno una via ricorda Pietro Gori, città dove prima del fascismo vi era una lapide che fu distrutta dagli squadristi. Oggi nella città del cuoio, inoltre, c‟è anche una via dedicata a Francisco Ferrer e guarda caso anche qui nel Secondo dopoguerra c‟era un gruppo anarchico intitolato a Pietro Gori aderente alla FAI. Il gruppo era animato da un anziano militante, Gino Giannotti, la cui biblioteca oggi è ancora consultabile presso la Biblioteca Franco Serantini. Ultima città nella provincia di Pisa a dedicare nel 1971 una 64


piazza (traversa di via Porta Diana) e una piccola lapide in bronzo a Pietro Gori è stata Volterra. La Piazza si trova in un quartiere nuovo fuori dalle mura. Anche qui nell‟immediato Secondo dopoguerra era attivo un gruppo Pietro Gori erede di una presenza libertaria che risaliva ai tempi della Prima internazionale. L‟inaugurazione della targa bronzea avvenne alla presenza dell‟infaticabile Umberto Marzocchi. Sempre in questa città, d‟origini etrusche, nel centro storico è possibile ammirare sulla facciata del palazzo Fattorini – nei pressi della piazza monumentale dei Priori prospiciente il palazzo vescovile – due targhe in bronzo dedicate a Giordano Bruno e Francisco Ferrer. A Volterra potete incontrare ancora oggi un attivo gruppo libertario denominato “Kronstadt”.

Inaugurazione della lapide dedicata a Gori a Capoliveri (30 gennaio 1921) (Archivio fotografico Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Provincia di Grosseto Un discorso a parte merita Monterotondo Marittimo, piccolo centro minerario della provincia di Grosseto dove, oltre una via dedicata a Pietro Gori fa bella mostra di sé una lapide posta nell‟atrio di ingresso del Comune dedicata al nostro Pietro accanto a quelle di Francisco Ferrer e Giordano Bruno. L‟epigrafe recita: “Il 5 ott. 1901 [recte 1902] passò da questa laboriosa terra il cavaliere dell‟umanità / Pietro Gori / la sua parola lasciò in noi fede e speranza / fede nell‟idea – speranza nei miseri / a ricordare l‟uomo che propugnò il diritto dei popoli con ammirabile sacrificio / i compagni di fede questa lapide posero / Monterotondo M.tto 20–7–1947”. Nelle colline metallifere di tutta questa zona che confina con il 65


Monte Amiata la presenza libertaria tra „800 e „900 è stata sempre vivace, basta qui ricordare come a Massa Marittima ancora nel dopoguerra c‟era un gruppo attivo denominato Pietro Gori, che aveva una bella bacheca sotto le logge di un bar del centro, presenza libertaria ricordata anche in un noto libro curato da Luciano Bianciardi e Carlo Cassola. Infine, come non ricordare il bel busto dedicato a Ferrer presente all‟ingresso di Roccatederighi un altro paese di minatori di questa zona?

Lapide dedicata a Gori a Monterotondo Marittimo (GR) (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Provincia di Lucca All‟ingresso della vecchia rocca medievale di Pietrasanta che dà accesso alla bella Piazza del Duomo sulla sinistra in alto si può ammirare un bellissimo busto di marmo dello scultore Antonio Bozzano dedicato a Giordano Bruno. L‟epigrafe di questo bel monumento, che venne inaugurato nel 1909 con una solenne cerimonia e con la partecipazione di decine di associazioni anticlericali, socialiste, repubblicane e anarchiche, è di Pietro Gori. Documento che ancora oggi testimonia il legame tra questo militante e la terra di Versilia. Dopo la morte di Gori il gruppo anarchico locale prese il suo nome che mantenne anche quando si ricostituì alla fine della Seconda guerra mondiale.

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Bandiera del gruppo anarchico “P. Gori” di Cascina (Archivio fotogr. Biblioteca F. Serantini – Pisa)

Provincia di Massa Carrara A Carrara, nella città del marmo e dell‟anarchia il nome di Gori è già noto alla fine del XIX secolo per la difesa che sostenne di 30 sovversivi carraresi – anarchici e socialisti –, accusati di tentato omicidio di un delegato di pubblica sicurezza. Il processo che si svolse alla Corte d‟Assise di Casale Monferrato si concluse con un‟assoluzione generale. Nel giugno del 1902 Gori tenne poi due conferenze memorabili al Politeama Verdi – quello che ancora oggi ospita la sede dei Gruppi anarchici riuniti e l‟Archivio storico del Germinal (1) – alla presenza di una folla strabocchevole. Conferenze poi ripetute anche qualche mese dopo sempre con il solito successo di pubblico. La Camera del lavoro, infine, chiese a Gori di scrivere un‟epigrafe in onore dei martiri del lavoro. L‟epigrafe, ancora oggi ben visibile in piazza Alberica, venne inaugurata con una grande manifestazione il 28 settembre 1902 con la partecipazione straordinaria dello stesso Gori. Il testo dell‟epigrafe recita: “O Marmo Sacro al Martirologio Operaio delle Valli Apuane / Trasmetti la Voce dei Lavoratori della Lunigiana / Ai secoli che avranno per Monumento / La Giustizia Sociale”. Anni dopo lo scultore Arturo Dazzi, con cui Gori strinse un‟amicizia fraterna, dedicò al “poeta dell‟anarchia”, come abbiamo già scritto, diverse opere e una di queste venne collocata nella sede della Camera del Lavoro di Carrara. Questa scultura venne danneggiata irrimediabilmente dalle squadre fasciste penetrate nei locali della CdL la sera del 29 maggio 1921. Ovviamente a Carrara ancora oggi fanno bella mostra di sé tanti altri monumenti che 67


ci ricordano la storia dellâ€&#x;anarchia: dal busto di marmo in ricordo di Francisco Ferrer in piazza Alberica al bel monumento in piazza Gramsci dedicato ad Alberto Meschi; come non citare poi la scultura, presso i giardini del cimitero di Turigliano, in ricordo di Gaetano Bresci e per finire alla targa in memoria di Sacco e Vanzetti nella piazza che porta il loro nome, ecc. ecc.

Monumento a Giordano Bruno dello scultore Antonio Bozzano con epigrafe di Pietro Gori inaugurato nel 1909, Pietrasanta (Lu)

Provincia di Arezzo A Cavriglia, zona mineraria dove negli anni Venti vi sono state agitazioni sindacali e scontri memorabili con i fascisti e dove la presenza degli anarchici era visibile e incontestabile, ancora oggi câ€&#x;è una via dedicata a Pietro Gori, che si snoda dalla strada statale di Montevarchi verso il centro storico. Franco Bertolucci 1. Attualmente la sede degli anarchici e dellâ€&#x;archivio per motivi logistici sono stati trasferiti nella frazione di Torano.

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Canzoni di Pietro Gori

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Addio a Lugano Addio, Lugano bella, o dolce terra pia: scacciati senza colpa, gli anarchici van via. E partono cantando colla speranza in cuor [con la speranza in cor] Ed è per voi, sfruttati, per voi, lavoratori, che siamo ammanettati al par dei malfattori! Eppur la nostra idea non è che [è solo] idea d’amor! Anonimi compagni, amici che restate, le verità sociali da forti propagate. È questa la vendetta che noi vi domandiam. Ma tu che ci discacci, con una vil menzogna, repubblica borghese, un dì ne avrai vergogna. Ed oggi t’accusiamo in faccia a l’avvenir. Banditi senza tregua, [scacciati senza tregua] andrem di terra in terra, a predicar la pace, ed a bandir la guerra. La pace fra gli oppressi, la guerra agli oppressor. Elvezia, il tuo governo schiavo d’altrui si rende, di un popolo gagliardo le tradizioni offende. Ed insulta la leggenda del tuo Guglielmo Tell. Addio, cari compagni, amici Luganesi! Addio bianche di neve montagne ticinesi! I cavalieri erranti son trascinati al nord. Pietro Gori

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(…) Gori, arrestato con altri 17 profughi italiani, viene espulso dalla Svizzera dopo una breve prigionia durante la quale compone due poesie, una delle quali titola Il canto degli anarchici espulsi che poi sarebbe Addio a Lugano presumibilmente nella sua prima versione “...che presenta alcune varianti, sia nel testo che nella disposizione delle strofe, rispetto a quelle comunemente pubblicate e diffuse”(1) . Un’altra testimonianza sull’origine del canto la troviamo nel libro Gli scariolanti di Ostia antica. Storia di una colonia socialista (2) allorché Pietro Gori si reca ad Ostia presso la comunità dei braccianti ravennati per passare con loro alcuni giorni. Siamo nel 1902 dopo il suo rientro in Italia dall’America del Sud dove si reca nel 1898 per sfuggire ad una condanna (3) in seguito ai tumulti contro il carovita che si sono succeduti in tutta Italia con epilogo a Milano dove la monarchia ordina a Bava Beccaris la violenta repressione costata oltre 80 morti. Scrive Liliana Madeo: “...Era un poeta, e aveva un bel viso, un corpo snello, elegante. Si accarezzava il baffo appuntito, e sapeva ascoltare i coloni ravennati che raccontavano la loro storia. Provava un profondo rispetto per il coraggio che avevano speso in quella impresa, e glielo diceva con calore. Gli ricordavano gli uomini della Pampa, ripeté. Avevano anche cantato insieme, fino a sgolarsi, quella notte. Avevano cantato le sue canzoni, gli Stornelli dell’esilio, Sante Caserio, Amore ribelle... Di Addio Lugano Bella Gori aveva raccontato com’era nata. Dopo che Caserio aveva pugnalato a morte Carnot, lui era dovuto riparare in Svizzera. Qui l’avevano arrestato, insieme con altri 150 fuorusciti italiani, anarchici e socialisti. Tutti poi erano stati espulsi. Quando li conducevano alla frontiera, avevano le manette ai polsi e i loro passi affondavano nella neve...Con le lacrime agli occhi, si era girato indietro a guardare Lugano e pensava agli anarchici scacciati senza colpa che partono cantando con la speranza in cuor...” (4) Addio a Lugano diviene popolarissimo con l’inizio del nuovo secolo anche grazie a numerose edizioni de Il Canzoniere dei Ribelli (5 ) apparso per la prima volta nel 1904 a Barre Vermont - e ancor oggi è uno dei canti politici più eseguito. Con lo stesso titolo Addio a Lugano esiste una romanza del 1830 circa che canta anch’essa di un esilio politico in terra elvetica con testo siglato D. P.e musica di Fabio Campana (Santo Catanuto-Franco Schirone, Il canto anarchico in Italia nell'ottocento e nel novecento, Edizioni Zero in condotta, Milano 2001, pp. 112-113)

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Addio compagni addio [Canto dei coatti] Addio compagni addio sorelle spose e madri. La società dei ladri ci ha fatto relegar sepolti in riva al mar! Siamo coatti e baldi per l'isola partiamo e non ci vergognamo perché questo soffrir è sacro all'avvenir. Ma la sublime idea che il nostro cor sorregge sfida l'infame legge che ai cari ci strappò e qui ci incatenò. A viso aperto i diritti al popolo insegnammo e a liberar pugnammo da tanta iniquità l'oppressa umanità. Sognammo una felice famiglia di fratelli perciò fummo ribelli contro ogni sfruttator contro ogni oppressor. Vedemmo l'alba immensa delle speranze umane lottammo per il pane e per la libertà contro ogni autorità. Vi giunga o plebi ignare da questa fossa infame del freddo e delle fame sdegnoso incitator quest'inno di dolor. O borghesia crudele tu non ci fai paura la società futura per la tua gran viltà te pur condannerà. Ma voi lavoratori voi poveri sfruttati per questi relegati rei di bandire il ver avrete un pio pensier. Addio dolente Italia d'illustri ladri ostello di tresche ree bordello stretti alla nostra fé oggi partiam da te. Ma un dì ritorneremo più fieri ed implacati finché rivendicati non sieno i diritti ancor di ogni lavorator!

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Straziate o sgherri vili le carni e i corpi nostri ma sotto i colpi vostri il cor non piegherà l'idea non morirà.

Fonte: S. Catanuto e F. Schirone, Il canto anarchico in Italia nell'Ottocento e nel Novecento, Milano, zeroincondotta, 2009. Informazioni: Scritto da P. Gori probabilmente in seguito alla sua condanna al domicilio coatto all'isola d'Elba nel 1896, entra subito nel repertorio politico e di protesta italiano. Se ne conoscono due versioni dal punto di vista musicale: la prima, sull'aria toscana de “La sofferenza del carcerato”, la seconda su aria di “Addio Lugano bella”.

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Amore ribelle All'amor tuo fanciulla Altro amor io preferìa E' un ideal l'amante mia A cui detti braccio e cor. Il mio cuore aborre e sfida I potenti della terra Il mio braccio muove guerra Al codardo e all'oppressor. Perché amiamo l'uguaglianza Ci han chiamati malfattori Ma noi siam lavoratori Che padroni non vogliam. Dei ribelli Le bandiere E innalziam Per la vera

sventoliamo insanguinate le barricate libertà.

Se tu vuoi fanciulla cara Noi lassù combatteremo E nel dì che vinceremo Braccio e cor ti donerò. Se tu vuoi fanciulla cara Noi lassù combatteremo E nel dì che vinceremo Braccio e cor ti donerò.

Fonte: AA.VV., Avanti popolo - Due secoli di popolari e di protesta civile, Roma, Ricordi, 1998 Informazioni: Sull’aria de “L’inno dei nichilisti”. Di “Amore ribelle”, che è pure conosciuta come “Canzonetta del libero amore”, esistono altre incisioni pubblicate su melodie differenti.

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Inno dei lavoratori del mare Lavoratori del mar s'intoni l'inno che il mare con noi cantò da che fatiche stenti e cicloni la nostra errante vita affrontò quando con baci d'oro ai velieri l'ultimo raggio di sol morì e giù tra i gorghi de' flutti neri qualcun de' nostri cadde e sparì. Su canta o mare l'opra e gli eroi tempeste e calme gioia e dolor o mare canta canta con noi l'inno di sdegno, l'inno d'amor. Canto d'aurore di rabbie atroci sogni e singhiozzi del marinar raccogli e irradia tutte le voci che il nembo porta da mare a mar e soffia dentro le vele forti che al sole sciolse la nostra fè e chiama e chiama da tutti i porti tutta la gente che al mar si die'. Su canta o mare l'opra e gli eroi tempeste e calme gioia e dolor o mare canta canta con noi l'inno di sdegno, l'inno d'amor. Solo una voce da sponda a sponda sollevi al patto di redenzion quanti sudano solcando l'onda per questa al pane sacra tenzon mentre marosi gonfi di fronde e irose attardan forze il cammin noi da la nave scorgiam le prode dove le genti van col destin. Su canta o mare l'opra e gli eroi tempeste e calme gioia e dolor o mare canta canta con noi l'inno di sdegno, l'inno d'amor. Già da ogni prora che il corso affretta la evocatrice diana squillò e all'alba il grido della vendetta la verde terra già salutò terra ideale dell'alleanza tra menti e braccia giustizia e cor salute o porto de la speranza che invoca il mesto navigator. Su canta o mare l'opra e gli eroi tempeste e calme gioia e dolor o mare canta canta con noi l'inno di sdegno, l'inno d'amor. Noi sugli abissi tra le nazioni di fratellanza ponti gettiam coi nostri corpi su dai pennoni dell'uomo i nuovi diritti dettiam ciò che dai mille muscoli spreme con torchi immani la civiltà portiam pel mondo gettando il seme che un dì per tutti germoglierà.

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Su canta o mare l'opra e gli eroi tempeste e calme gioia e dolor o mare canta canta con noi l'inno di sdegno, l'inno d'amor.

Fonte: non ancora presente, ci stiamo lavorando... Informazioni: Questo inno era stampato nella penultima di copertina del libretto di navigazione dei marittimi del primo Novecento, e vi rimase per un certo tempo anche sotto il fascismo, informazione di Mario Landini, 1906 -1999, vicesindaco della Liberazione a Livorno sino al 1955, comunicata nel 1997 a Pardo Fornaciari

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Inno del Partito Socialista Anarchico Fratelli di pianto Sorelle d’amore Torrente rigonfio D’umano dolore Straripa Precipita Giù giù per la china Abbatti, travolgi, ruina, ruina… Noi siam dell’ingiustizia i picconieri Noi siamo i produttori senza pane Gli alfieri d’un pacifico dimane E d’ogni privilegio i giustizieri All’armi, o plebi erranti E combattiamo per l’umanità Avanti, avanti, avanti Per l’uguaglianza e per la libertà

Fonte: non ancora presente, ci stiamo lavorando...

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Inno del primo maggio Vieni o Maggio t'aspettan le genti ti salutano i liberi cuori dolce Pasqua dei lavoratori vieni e splendi alla gloria del sol Squilli un inno di alate speranze al gran verde che il frutto matura a la vasta ideal fioritura in cui freme il lucente avvenir Disertate o falangi di schiavi dai cantieri da l'arse officine via dai campi su da le marine tregua tregua all'eterno sudor! Innalziamo le mani incallite e sian fascio di forze fecondo noi vogliamo redimere il mondo dai tiranni de l'ozio e de l'or Giovinezze dolori ideali primavere dal fascino arcano verde maggio del genere umano date ai petti il coraggio e la fè Date fiori ai ribelli caduti collo sguardo rivolto all'aurora al gagliardo che lotta e lavora al veggente poeta che muor!

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Inno della canaglia O fratelli di miseria o compagni di lavoro che ai vigliacchi eroi dell’oro deste il braccio ed il vigor. O sorelle di fatica o compagne di catene nate ai triboli alle pene e cresciute nel dolor Su moviamo alla battaglia vogliam vincere o morire su marciam santa canaglia e inneggiamo all’avvenir Noi la terra fecondiamo noi versiam sudore e pianto per ornar d’un ricco manto questa infame civiltà Le miniere le officine le risaie i campi il mare ci hanno visto faticare per l’altrui felicità Su moviamo alla battaglia.... I padroni ci han rubato sul salario e su la vita, ogni gioia ci han rapita, ogni speme ed ogni ardor. Le sorelle ci han sedotte o per fame hanno comprate, poi nel trivio abbandonate senza pane e senza onor. Su moviamo alla battaglia.... I signori ci han promesso eque leggi e mite affetto ed i preti ci hanno detto che ci attende un gaudio in ciel. E frattanto questa terra di noi poveri è l'inferno, sol pei ricchi è il gaudio eterno de la vita e de l'avel. Su moviamo alla battaglia.... Se noi scienza e pan ciedemmo ci buttaron su la faccia un insulto e una minaccia nel negarci scienza e pan. Se ribelli al duro giogo obliammo le preghiere, ci hanno schiuso le galere e ribelli fummo invan. Su moviamo alla battaglia.... Se scendemmo per le vie i fratelli a guerra armata dei fratelli ammutinati venner le ire ad affrontar. Mentre i ricchi dai palagi che per loro abbiam costrutto senza pietà e senza lutto ci hanno fatto mitragliar. Su moviamo alla battaglia....

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Su leviamo il canto e il braccio contro i vili ed i tiranni; ribelliamoci agli inganni d'una ipocrita società. Oltre i monti ed oltre i mari i manipoli serriamo, combattiamo, combattiamo per la nostra umanità. Su moviamo alla battaglia.... Innalziam le nostre insegne, sventoliamo le bandiere, le orifiamme rosse e nere de la balda nova età. Combattiam per la giustizia con l'ardor della speranza per l'umana fratellanza, per l'umana libertà. Su moviamo alla battaglia.... Combattiam finché un oppresso sotto il peso della croce levi a noi la flebil voce, fin che regni un oppressor. Splenda in alto il sol lucente de la Idea solenne e pia... Viva il sol dell'Anarchia, tutto pace e tutto amor. Su moviamo alla battaglia....

Fonte: non ancora presente, ci stiamo lavorando... Informazioni: Pubblicato nel volume “Battaglie” di P. Gori (La Spezia 1911), con sottotitolo Marcia dei Ribelli, fu scritto nel luglio 1891 a Milano nel carcere di S.Vittore. Da: S. Catanuto e F. Schirone, Il canto anarchico in Italia nell'Ottocento e nel Novecento, Milano, zeroincondotta, 2009.

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Sante Caserio [Canto a Caserio] Lavoratori a voi diretto è il canto di questa mia canzon che sa di pianto e che ricorda un baldo giovin forte che per amor di voi sfidò la morte. A te, Caserio, ardea nella pupilla de le vendette umane la scintilla, ed alla plebe che lavora e geme donasti ogni tuo affetto, ogni tua speme. Eri nello splendore della vita, e non vedesti che notte infinita; la notte dei dolori e della fame, che incombe sull'immenso uman carname. E ti levasti in atto di dolore, d'ignoti strazi altero vendicatore; e t'avventasti, tu si buono e mite, a scuoter l'alme schiave ed avvilite. Tremarono i potenti all'atto fiero, e nuove insidie tesero al pensiero; e il popolo cui l'anima donasti non ti comprese, e pur tu non piegasti. E i tuoi vent'anni, una feral mattina gettasti al mondo dalla ghigliottina, al mondo villa tua grand'alma pia, alto gridando: «Viva l'Anarchia!». Ma il dì s'appressa, o bel ghigliottinato, che il tuo nome verrà purificato, quando sacre saranno le vite umane e diritto d'ognun la scienza e il pane. Dormi, Caserio, entro la fredda terra donde ruggire udrai la final guerra, la gran battaglia contro gli oppressori la pugna tra sfruttati e sfruttatori. Voi che la vita e l'avvenir fatale ofriste su l'altar dell'ideale o falangi di morti sul lavoro, vittime de l'altrui ozio e dell'oro, martiri ignoti o sciera benedetta, già spunta il giorno della gran vendetta, de la giustizia già si leva ilsole; il popolo tiranni più non vuole.

Fonte: Vettori Giuseppe, Canzoni italiane di protesta 1794 - 1974, Roma, Newton Compton, 1975 Informazioni: Musica forse di A. Capponi. Sante Caserio fu ghigliottinato a Lione per aver pugnalato Sadi Carnot, presidente della repubblica francese. Anche nota come Canto a Caserio

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Stornelli d'esilio O profughi d'Italia a la ventura si va senza rimpianti nè paura. Nostra patria è il mondo intero nostra legge è la libertà ed un pensiero ribelle in cor ci sta. Dei miseri le turbe sollevando fummo d'ogni nazione messi al bando. Nostra patria è il mondo intero nostra legge è la libertà ed un pensiero ribelle in cor ci sta. Dovunque uno sfruttato si ribelli noi troveremo schiere di fratelli. Nostra patria è il mondo intero nostra legge è la libertà ed un pensiero ribelle in cor ci sta. Raminghi per le terre e per i mari per un'Idea lasciamo i nostri cari. Nostra patria è il mondo intero nostra legge è la libertà ed un pensiero ribelle in cor ci sta. Passiam di plebi varie tra i dolori de la nazione umana precursori. Nostra patria è il mondo intero nostra legge è la libertà ed un pensiero ribelle in cor ci sta. Ma torneranno Italia i tuoi proscritti ad agitar la face dei diritti. Nostra patria è il mondo intero nostra legge è la libertà ed un pensiero ribelle in cor ci sta.

Fonte: Vettori Giuseppe, Canzoni italiane di protesta 1794 - 1974, Roma, Newton Compton, 1975 Informazioni: Probabilmente scritti dopo l'espulsione dalla Svizzera a seguito dell'attentato di Caserio, pubblicata in “Canti anarchici rivoluzionari”, Paterson, N.J., Biblioteca della Questione Sociale, 1898. Canzone molto popolare, in alcune regioni presenta delle varianti, non solo nel ritornello (“libero” al posto di “ribelle”) ma anche nelle strofe che vengono adattate al momento contingente. Da: S. Catanuto e F. Schirone, Il canto anarchico in Italia nell'Ottocento e nel Novecento, Milano, zeroincondotta, 2009.

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Pensiero ribelle

Va pensiero ribelle in mezzo alle donne e agli uomini e si oda il triste canto, il singhiozzo operaio che non ha lacrime e che non vuol rimpianto. E tu, con la nascita del nuovo secolo, canta la maledetta strofa dell’odio. Tu sarai l’assiduo tarlo della mia vendetta. E maledetta la patria di figli miseri matrigna infame bollata in fronte dallo stigma tragico dei morenti di fame E maledetto iddio bieco fantasma di menti paurosa puntello antico di vecchie tirannidi dalla marea corrose Stramaledetta ancora la madre patria che i suoi figli giovani e forti mandò sul campo di battaglia e lì sono morti Stramaledetta ancora iddio che nella sua bontà infinita nella sua infinita potenza permette le guerre le malattie e la fame e non salva l’innocenza E maledetto chi crede e sulla povera folla sospinge il piede maledetto chi geme e lacrima maledetto chi crede e maledetti gli oppressi, i turpi, i tiepidi dalla dimessa voce che senza un grido, una bestemmia, vili, strisciano sotto la croce.

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Da Anarcopedia.

Per la felicità di tutti gli uomini (di Pietro Gori) Amici e compagni miei. Voi queste cose le avete pensate altre volte; oggi io che ho vissuto molto tra voi e tra il popolo sempre, anche nelle città, ho cercato di farvi meglio conoscere le ingiustizie della vostra condizione; ma a voi, che avete forse sentite più di me le strette del bisogno, e gli stenti di una travagliata esistenza, queste idee saranno più d‟una volta venute in forma più o meno chiara alla mente. Ma voi siete anche qui venuti, e vi siete raccolti. Voi avete anche compreso che solo l‟unione di tutte le forze vostre può prepararvi un avvenire migliore. Entrando qui, voi eravate già ribelli contro le ingiustizie di questa società corrotta, voi avete avuto la speranza e il desiderio di una esistenza migliore, voi entrando qui eravate già degni di migliori destini, perché era in voi la coscienza dei vostri diritti. Voi entrando qui eravate già anarchici per sentimento. Voi nelle giornate lunghe, eterne nel lavoro senza tregua e senza riposo, tra i geli dell‟inverno, e sotto la sferza del sole di estate, o seduti innanzi alla vostra tavola, dove è scarso il pane, e attorno alla quale i figli mal vestiti tremano dal freddo, avete forse avuto come in un sogno la visione di una grande, di una immensa famiglia, composta di tutta la umanità vivente fraternamente in un comune e reciproco amore, in una santa concordia; tutti eguali nei diritti e nei doveri, tutti lavoratori attivi e fecondi, a cui la fatica non fosse come ora insopportabile e dura, allietati di un conforto, di un sano e largo nutrimento, di un riposo ristoratore, di una qualche ricreazione dello spirito. Voi forse l‟avete sognata ed avete un desiderio ed una speranza che questo sogno diventi realtà. E voi avete nel vostro cuore il patto solenne e il giuramento che combatterete uniti per il conseguimento di questa grande felicità di tutti gli uomini. Ma se voi tutte queste cose avete pensato entrando qui dentro, eravate già anarchici nel cuore e nel desiderio. Se voi avete fermo nella mente il proposito che lo stato attuale delle cose abbia in un modo o nell‟altro termine; ed il vostro ideale possa essere compiuto quanto più presto possibile; e se anche avete compreso le poche cose, che stasera ho cercato alla meglio di esporvi, voi fin da questo momento cominciate a far parte della grande famiglia anarchica che cospira a rivendicare i diritti di tutti gli oppressi contro le prepotenze di tutti gli oppressori. - Ma se voi desiderate conoscere come questa grande famiglia anarchica vive, e come pensa di raggiungere il suo ideale, e qual debba essere la sua missione nelle nuovissime battaglie del pensiero moderno, io vi dirò brevemente. Se a tutte le angustie del presente sistema economico-sociale voi vi sentite e vi dichiarate ribelli, voi siete anarchici, perché avete la coscienza dei vostri diritti di uomini. Voi siete anarchici perché volete distruggere questa putredine dell‟oggi per edificare la società umana sotto una forma nuova e differente, sulle basi dell‟amore, della fratellanza e della solidarietà. Ecco perché voi siete, e vi chiamate anarchici. Il grande partito anarchico internazionale, è come una immensa famiglia composta dei lavoratori e degli oppressi di tutto il mondo. Esso si prepara ad una grande battaglia e questa sarà la più gloriosa, la più giusta, la più santa battaglia dell‟avvenire; la rivoluzione sociale, la battaglia finale di tutti gli oppressi contro gli oppressori, di tutti gli sfruttati contro tutti gli sfruttatori. 84


La rivoluzione sociale sarà la rivendicazione di tutti i diritti del popolo, sarà il gran giorno dell‟uguaglianza umana: la rivoluzione sociale spazzerà via come il soffio potente di una immensa tempesta, tutti i privilegi e tutte le ingiustizie del presente, tutte le barriere e tutti i confini tra popolo e popolo. L‟aria sarà purificata da quella ultima lotta di tutto l‟avvenire contro tutto il passato. Cadranno le mostruose e decrepite istituzioni del presente, e l‟organismo della grande famiglia umana rifiorirà spontaneamente, secondo le leggi immutabili della natura. (...) Il lavoro è dunque il primo elemento della vita sociale, e attorno alla gloriosa bandiera del lavoro l‟umanità affratellata si stenderà amorosamente la mano, allorquando sotto lo scroscio formidabile della grande rivoluzione, sarà caduta la proprietà individuale, e sarà subentrata a questa la proprietà comune. Colla proprietà individuale cadranno tutti i privilegi di casta. Avendo tutti gli uomini gli stessi diritti e gli stessi doveri nelle relazioni reciproche, nessun lavoro sarà più disprezzato di un altro, giacché tutti i lavori, anche quelli considerati ora come i più abbietti, sono nobili, perché sono utili all‟uomo, e tutti più o meno necessari alla convivenza sociale. Il lavoro sarà diviso fra gli uomini a seconda delle attitudini e della capacità e dell‟ingegno di ciascuno; nobile e rispettato del pari il lavoro intellettuale, non meno faticoso di quello manuale, del medico, dell‟ingegnere, del meccanico, come il lavoro materiale dell‟operaio e dell‟artigiano. Ognuno darà l‟opera sua nella corporazione d‟arte e di mestieri, a cui appartiene, a seconda delle proprie forze; e le produzioni dei diversi generi di lavoro, i raccolti della campagna, i prodotti dell‟industria e dell‟arte saranno custoditi nelle varie località in depositi comuni, da cui ciascuno prenderà quanto gli abbisogna per se e per la famiglia. La formula del lavoro e del consumo si riassume nella massima: Da ciascuno secondo le proprie forze, a ciascuno secondo i propri bisogni. Il lavoro essendo allora divenuto un dovere per tutti, ed essendo moltissimi più i lavoratori, la produzione di tutti i generi avrà un grandissimo aumento; tanto da essere più che sufficiente ai bisogni di tutti, e la divisione del lavoro tra un numero di persone assai maggiore di quelle che attualmente devono produrre per tutti, risparmierà a ciaschedun lavoratore parecchie ore di fatica. Tutto quello che verrà accumulato nei magazzini e nei depositi della comunità, prodotti della terra, tessuti, manifatture, commestibili ed ogni oggetto infine necessario alla vita, essendo il frutto del lavoro di tutti, dovrà appartenere a tutti indistintamente. Pietro Gori

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