N°26 GENNAIO 2015
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PRIMO PIANO TRA GLI ALTRI
THE IMITATION GAME AMERICAN SNIPER THE WATER DIVINER FURY 5 CURIOSITà
the imitation game fury RECENSIONI FILM
the imitation game la teoria del tutto fury COLONNE SONORE
big eyes unbroken SPECIALE FILM
BIG EYES. GRANDI OCCHI 15 FILM PER IL 2015 GLAMOUR
10 GLAMOROUS ICON SERIE TV
TUTTO IL MEGLIO DEL 2015 E ... THE FACE
CHRISTOPH WALTZ
EXODUS DEI E RE dal 15 gennaio al cinema
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SOMMARIO
oggi al cinema
Fury La recensione
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Magazine
COLONNE SONORE
PRIMO PIANO
Big Eyes La colonna sonora con Lana del Rey
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Unbroken La colonna sonora con i Coldplay
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Le colonne sonore che hanno creato il cinema
La lente di ingrandimento di Oggi al Cinema sui film del momento The Imitatione Game A beautiful mind
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Amarican Sniper Bradley Copper cecchino per Eastwood
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Come ammazzare il capo.. e vivere felici 2 di S. Anders
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The Water Diviner Debutto alla regia per Russel Crowe
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Exodus-dei e re Ridley Scott apre le acque del Mar Rosso
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Fury Brad Pitt al fronte con Shia La Beouf
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SPECIALE FILM
Volete qualcosa di diverso dalle solite recensioni? In Speciale Film trovate un punto di vista diverso, un’analisi originale e particolare Big Eyes. Grandi Occhi
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15 Film per il 2015
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GLAMOUR
Tutto ciò che è glamour e fascino: dagli ultimi fashion trends agli outfit consigliati 10 Glamorous Icon 28
5 CURIOSITà
Cosa si nasconde dietro la nascita di una pellicola? The Imitation Game 13 Fury 14
SERIE TV
Tutto ciò che è glamour e fascino: dagli ultimi fashion trends agli outfit consigliati Serie TV, tutto il meglio del 2015 31
RECENSIONI FILM
True Detective 32 Downton Abbey 34
Le recensioni approfondite ed esclusive dei film in programmazione The Imitation Game La recensione
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La Teoria del Tutto La recensione
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THE FACE
Il volto del mese Christoph Waltz. Adorabile bastardo
Direttore responsabile
Segreteria di redazione
In redazione
Direzione pubblicità e marketing
Emma Mariani
Antonio Valerio Spera, Marco Valerio, Carlo Lanna, Elisabetta Bartucca, Maurizio Ermisino, Antonio Gentile, Massimo Padoin, Marco Goi, Valeria Ventrella, Katya Marletta
Hanno collaborato Antonella Brianza
Greta Cortesi
Alberto De Palma
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PRIMO PIANO
the imitation game,
a beautiful mind AL CINEMA DAL 1 gennaio 2015
di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net L’enigma di un genio – The Imitation Game è la storia di Alan Turing, scienziato inglese che contribuì alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Alan Turing contribuì più di ogni altra persona alla fine della Seconda Guerra Mondiale. È il pensiero di Winston Churchill, e scusate se è poco. La sua storia viene raccontata nel film inglese L’enigma di un genio – The Imitation Game. Scienziato, inventore e filosofo inglese, considerato erroneamente autistico in gioventù (quando aveva solo un problema di balbuzie) è
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considerato oggi uno dei padri dell’informatica. Durante la Seconda Guerra Mondiale riuscì a ideare una macchina in grado di decrittare i codici segreti tedeschi, e contribuì in questo modo alla fine della guerra. Durante l’inverno del 1952 le autorità britanniche entrarono in casa sua per indagare su una segnalazione di furto con scasso, e finirono per arrestare Turing per atti osceni, che lo portarono all’incredibile condanna per il reato di omosessualità. E al suicidio, a soli 41 anni. La storia era stata già raccontata nel poco fortunato Enigma, film di Michael Apted tratto dal romanzo di Robert Harris del 2001 che annoverava nel cast Dougray Scott e Kate Winslet, il cui protagonista era solamente ispirato a Turing, e prendeva spunto dalla sua storia per costruire un misto di spy story e love story. È stato dimenticato ben presto. Cosa che non capiterà sicuramente a L’enigma di un genio – The Imitation Game, che The Indipendent ha definito il miglior film inglese dell’anno. Il film stavolta si concentra sulla figura di Turing, interpretato, anima e corpo, da Benedict Cumberbatch (Sherlock, Into Darkness – Star Trek, 12 anni schiavo), che ha anche avuto un esaurimento nervoso, scoppiando a piangere durante una scena del film, per essersi immedesimato troppo nella tragica sorte di Turing.
Accanto a Cumberbatch c’è Keira Knightley, nel ruolo di Joan Clarke, brillante matematica, fattasi strada lottando in un mondo per soli uomini, legata da un legame molto particolare, fatto di complicità e di collaborazione, a Turing. La storia de L’enigma di un genio - The Imitation Game nasce nel lontano 2009, quando i produttori Nora Grossman e Ido Ostrowsky lessero un articolo in cui l’allora premier Gordon Brown si scusava a nome del governo britannico per il trattamento riservato ad Alan Turing. I produttori, incuriositi, si misero a fare delle ricerche e opzionarono la biografia di Turing di Andrew Hodges. Durante una festa, poi, incontrarono il giovane romanziere Graham Moore che mostrò molto interesse per la storia, e si offrì di scrivere la sceneggiatura. La chiave è stata un articolo scritto da Turing nel dopoguerra in cui descriveva il metodo inventato da Turing per capire se qualcosa fosse una macchina o una persona reale. Turing lo chiamava un “gioco”. E da qui il film è diventato The Imitation Game. L’enigma di un genio – The Imitation Game cerca di combinare il più classico biopic con l’analisi di un personaggio e il thriller. Alla regia è stato scelto Morten Tyldum, regista norvegese (qui al suo primo film in lingua inglese) che aveva colpito i produttori per la sua capacità di analizzare i personaggi nel suo precedente Headhunters. Dopo la scelta del regista era fondamentale trovare il protagonista giusto. Ancora prima che diventasse famoso anche negli Stati Uniti, il regista ha sempre pensato che quel ruolo dovesse andare a Benedict Cumberbatch. “Penso che abbia quel giusto mix di sensibilità e di forza” racconta il regista. “Non molti possono impersonare un genio e farlo diventare credibile. Trasmette così tanto della sua vita interiore che pensi che Benedict diventi Alan Turing e che quest’uomo dia in grado di partorire grandi idee”.
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Accanto a Cumberbatch doveva esserci poi l’attrice giusta per interpretare Joan Clark, la sua partner sul lavoro, una donna moderna per i suoi tempi. Si presentò Keira Knightley. “Ha dato così tanta forza e vulnerabilità al personaggio” ha dichiarato il regista. “Impersona qualcuno che è abile e intelligente quanto Turing. Ed è proprio perché possiede le qualità che mancano ad Alan che diventa fondamentale per lui”. Anche se è riuscita a mettere fine alla guerra, la macchina di Turing non è mai stata perfezionata. Ma ha dato vita a un campo di ricerca noto come “la macchina di Turing”. Oggi li chiamiamo computer.
American Sniper,
Bradley Copper cecchino per Eastwood AL CINEMA DAL 1 GENNAIO 2015
di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net “Ho chiamato Steven e gli ho detto: sono anni che faccio i tuoi scarti. Come possiamo fermare questa cosa?” Lo Steven in questione è Spielberg e a parlare è niente meno che Clint Eastwood. Perché è dai tempi di I ponti di Madison County che l’ex eroe della trilogia del dollaro si ritrova a dirigere progetti inizialmente affidati al regista di Schindler’s List. Dopo il film con Meryl Streep, infatti, era già risuccesso con il primo capitolo di quello che poi sarebbe diventato il dittico eastwoodiano sulla seconda guerra mondiale (Flags of Our Father-Letters from Iwo Jima) e ora, nuovamente, con American Sniper, biopic sul miglior cecchino della recente storia bellica americana, il Navy Seal Chris Kyle, più volte inviato in Iraq, diventato una vera e propria leggenda tra le forze armate statunitensi e soprannominato addirittura Al-Shaitan (il diavolo) dagli iracheni.
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A raccontare questo passaggio di mano, è il protagonista nonché produttore del film Bradley Cooper: “Jason Dean Hall aveva appena finito di scrivere la sceneggiatura, tutto era pronto, ma non avevamo un regista. Poi è arrivato Spielberg. Ci siamo visti diverse volte, abbiamo discusso del film, degli altri interpreti che mi avrebbero affiancato, ma dopo Steven si è fatto da parte, una scelta che ho rispettato. Insieme alla Warner Bros, abbiamo deciso di affidare la regia a Clint ed il gioco è cambiato completamente”. Per Chris Kyle, dalla cui omonima autobiografia è tratto il film, in realtà Eastwood era la prima scelta, e forse lo stesso Spielberg l’avrebbe considerato il regista più giusto per questa storia. In fondo, American Sniper affronta il tema dell’ironia della guerra, già trattato dal cineasta californiano nei due film su Iwo Jima e nel poco ricordato Gunny (Heartbreaker Ridge, 1986). E’ sulla scia di questi film che si pone il nuovo lavoro di Clint. Da una parte perché, in pieno stile Eastwood, American Sniper spinge il racconto bellico verso una riflessione sulla guerra stessa e sulle conseguenze psicologiche sui soldati; dall’altra perché, così come nel film del 1986 Eastwood ci raccontava la storia di un ex-eroe dell’esercito americano in Corea e Vietnam, muovendosi tra una dimensione narrativa bellica ad una più intimista, con il racconto della vicenda sentimentale del suo protagonista, anche con American Sniper fa lo stesso: la guerra sul fronte iracheno, nel film, si sviluppa parallelamente alla battaglia di Kyle nel tentativo di essere un buon marito e un buon padre nonostante il suo lavoro lo allontani dalla famiglia.
PRIMO PIANO
Per Cooper, coadiuvato sullo schermo da Sienna Miller, Luke Grimes e Kyle Gallner, non è stato semplice entrare nei panni di Chris Kyle: “Non di certo per una questione ideologica – racconta lo stesso interprete - non credo che il film abbia un’anima politica, tutt’altro. E’ stato difficile perché ho dovuto fare una tremenda preparazione, ho dovuto mettere su diversi chili, e poi dovevo dimostrare dimestichezza con fucili da cecchino”. Un’interpretazione che potrebbe portare Cooper alla sua terza nomination all’Oscar consecutiva dopo quelle per Il lato positivo e American Hustle. Per lui, per Eastwood e per il film non sarà però semplice rientrare nelle prestigiose cinquine. Dopo esser stati snobbati dai Golden Globe, i bookmakers non li danno più tra i probabili candidati. Ma con l’Academy le sorprese non mancano mai.
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Come ammazzare il capo… e vivere felici 2 di S. Anders AL CINEMA DAL 8 gennaio 2015
di Antonio Gentile per Oggialcinema.net
“Il trio criminale più fuori di testa che si possa conoscere, ritorna per il grande schermo dopo un’attesa durata circa tre anni”. Il sequel “Come ammazzare il capo… e vivere felici 2” con il titolo originale “Horrible Bosses 2” è diretto da Sean Anders (“Three Mississipi”, 2013), un abile sceneggiatore di commedie (“Come ti spaccio la famiglia”, 2013) con qualità registiche certamente non inferiori a Seth Gordon, che ha diretto la regia del precedente “Come ammazzare il capo… e vivere felici” (“Horrible Bosses”, 2011), campione d’incassi con 210 milioni (di questi 117 solo negli U.S.A.) a fronte di un budget di appena 35 milioni. Per la sceneggiatura oltre ad Anders hanno preso parte John Morris, John Francis Daley, (quest’ultimo già autore della sceneggiatura del primo film) e Michael Markowitz per la scrittura del soggetto. La nuova commedia sulla stessa scia della prima e con gli stessi protagonisti e interpreti promette bene e assicura un divertimento garantito, nonostante presenti un linguaggio molto colorito e situazioni dichiaratamente esplicite in riguardo ad un forte contenuto sessuale, al punto tale da essere vietato ai minori di anni 18.
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PRIMO PIANO
Il secondo film vede riconfermare il trio composto da Nick, Dale e Kurt, questa volta alle prese con un’attività in proprio, stanchi di essere sfruttati dai loro capi, e con la voglia di gestirsi da soli. A vanificare il loro progetto ci pensa un cinico magnate petrolifero, Christoph Waltz, premio oscar in “Django Unchained”, che manda senza grandi difficoltà all’aria la loro azienda. I tre simpatici e sconclusionati protagonisti, non avendo più alcuna possibilità di inoltrare un ricorso legale per le loro precedenti situazioni burrascose, ideano un piano per uscire dall’impasse, organizzando il rapimento del figlio del ricchissimo investitore (Chris Pine), per poi chiedergli un riscatto, un escamotage utile per ricavare somme di denaro da reinvestire per salvare la loro attività finanziaria. Riusciranno nel loro intento? Lo spassoso “Come ammazzare il capo… e vivere felici 2” di S. Anders è stato girato a Los Angeles, riproponendo il vecchio cast già collaudato nel precedente film nel ricoprire i rispettivi ruoli, composto da: i tre protagonisti Jason Bateman (Nick), Charlie Day (Dale) e Jason Sudeikis (Kurt), e inoltre Kevin Spacey (che ricordiamo in “American Beauty” e “I soliti sospetti”), Jennifer Aniston (la mangiauomini), Jamie Foxx (Ray), (nei panni di Motherfucker Jones, consulente in misfatti), supportati dalle new entry; Christoph Waltz, e Chris Pine ( Star Trek – Into Darkness). L’insolita e scanzonata commedia prova a bissare il grande successo ottenuto con “Come ammazzare il capo… e vivere felici” del 2011, puntando sulla comicità intrisa d’avventura con un pizzico di sale nelle rocambolesche situazioni per un genere cinematografico che sembra funzionare bene. “Come ammazzare il capo… e vivere felici 2” di S. Anders, dopo diversi rinvii, ci attende al cinema dall’8 Gennaio 2014, per una distribuzione “Warner Bros”. “Nick, Dale e Kurt; un terzetto collaudato pronto ad attirare il pubblico nelle sale”.
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The Water Diviner,
Debutto alla regia per Russell Crowe AL CINEMA DAL 8 GENNAIO 2015
di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net
Un epico melò, un’avventura romantica alla ricerca di quel che rimane delle macerie della Grande Guerra tra l’Australia e Gallipoli in Turchia. Il debutto alla regia di Russell Crowe parte da qui, più precisamente dal romanzo di Andrew Anastasios, The Water Diviner, che l’attore neozelandese decide di adattare per il grande schermo e che nelle sale italiane arriverà l’8 gennaio 2015. Protagonista della storia l’agricoltore e rabdomante Joshua Connor (Russell Crowe), che quattro anni dopo la battaglia di Gallipoli, durante la Prima Guerra Mondiale, si mette in cammino verso la Turchia sulle tracce dei tre figli dati per dispersi sul campo. Un viaggio di speranza e rinascita nel corso del quale Joshua dovrà affrontare gli ostacoli della burocrazia militare, la diffidenza e il senso di spaesamento generale in un paese dilaniato dal conflitto, aiutato prima dalla bellissima Ayshe (Olga Kurylenko), poi dall’ufficiale turco Hasan (Yilmaz Erdoğan) che ha combattuto contro i tre giovani. Una storia che non avrebbe mai visto la luce se Anastasios non si fosse accidentalmente imbattuto durante un progetto di ricerca sulla storia australiana, nella lettera di Cyril Hughes, colonnello della Commissione Imperial War Graves, incaricato di ripristinare l’ordine nel campo abbandonato di Gallipoli, negli anni successivi alla fine della Guerra. Una frase di quella missiva bastò a colpire la sua attenzione: “Un vecchio è riuscito ad arrivare qui dall’Australia, per cercare la tomba di suo figlio.” Fu questo il punto di partenza di The Water Diviner, girato prevalentemente in Australia: tre settimane di riprese tra gli studi cinematografici di Sidney e alcune vecchie zone della città e oltre un mese di ciak nel sud del continente australiano, tra la campagna e le coste, per le scene ambientate a Gallipoli e nella Turchia rurale.
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Una sfida per l’intera troupe, soprattutto per le condizioni climatiche particolarmente ostili durante il periodo estivo.“Sapevamo che le riprese si sarebbero svolte in piena estate, ma un clima come quello, insolitamente afoso, no… - racconta il produttore Keith Rodger - Non ce lo saremmo aspettato. C’erano 49.5 gradi… Ricordo che un giorno dovevamo girare la scena di un agguato a un convoglio ferroviario. È una cosa molto difficile da fare, già in condizioni normali, figuriamoci in condizioni simili. La sicurezza personale viene prima di tutto. E per non farci mancare niente, per le scene della battaglia e delle trincee, ci aspettava il clima opposto: le piogge torrenziali ci hanno imposto uno stop”. Ma questo non ha impedito a una parte della troupe e del cast di spostarsi in seguito ad Istanbul per girare alcune scene: così il Palazzo di Topkapi, le strette e affollate stradine della zona di Balat o la Moschea Blu sono diventate un set a cielo aperto. Un team di esperti in effetti speciali, compositori e ingegneri del suono hanno poi completato l’opera in fase di post produzione, affiancando l’equipe del montaggio.
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Exodus-dei e re, Ridley Scott apre le acque del Mar Rosso AL CINEMA DAL 15 gennaio 2015
di Antonio Valerio Spera per Oggialcinema.net
“E’ il più grande progetto della mia carriera”. Queste parole di Ridley Scott su Exodus – Dei e re, in uscita il 15 gennaio nelle nostre sale, non si riferiscono tanto all’enorme budget a disposizione (ben 140 milioni di dollari), quanto alla difficoltà e al rischio di un nuovo film sulla figura di Mosè, dopo il classico I dieci comandamenti di Cecil B. De Mille e il cartoon Il principe d’Egitto. Una sfida importante, quella affrontata dal regista de Il gladiatore, che dopo lo sfortunato The Counselor ha deciso di tornare alla grande epica in costume. Un’epica, come da sempre nel cinema di Scott, attenta sì allo spettacolo, ma anche ai personaggi. Grazie anche allo sceneggiatore premio Oscar Steve Zaillian, Exodus non è solo battaglie e piaghe d’Egitto, ma soprattutto il racconto di un conflitto tra fratelli, Mosè e Rhamses. “Il mio non è un film di effetti speciali, come solitamente si tende a classificare certe pellicole” – dichiara Scott. “Ci sono 1300 effetti, ma ciò che viene fuori con forza è la realtà dei personaggi”. Non è un caso, quindi, che il regista, come sua abitudine, si sia affidato ad attori di livello. Nel ruolo di Mosè troviamo infatti un tanto intenso quanto misurato Christian Bale, che ha una evidente metamorfosi fisica parallela al suo cambiamento interiore, e nei panni di Rhamses, un ottimo Joel Edgerton che per rabbia e avidità ricorda molto il Commodo di Joaquin
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Phoenix del Gladiatore. Vicino a loro dei “comprimari” d’eccezione: una Sigourney Weaver silenziosa ma dalla presenza scenica importante, una raggiante Maria Valverde, un inedito John Turturro nei panni del faraone Seti e un calibratissimo Ben Kingsley nel ruolo di Nun. Così com’è giusto aspettarsi una versione assolutamente nuova e originale della storia dell’esodo dall’Egitto, è opportuno attendersi anche un Mosè come mai l’abbiamo visto al cinema e sul piccolo schermo. “Abbiamo affrontato il personaggio di Mosè in modo diverso da chi ci ha preceduto” – racconta lo stesso Christian Bale. “Abbiamo guardato a Mosè, non tanto come il profeta che tutti conosciamo, ma come un uomo cresciuto in un determinato sistema sociale e religioso che poi viene assalito dai dubbi e sopraffatto dalla fede”. Un’esperienza recitativa senza dubbio complicata per l’ex Cavaliere Oscuro, ma resa più semplice dal minuzioso lavoro di Ridley Scott: “Non parla molto, dirige spesso a gesti, ma è stato un piacere essere diretti da lui – prosegue Bale – gira con diverse macchine da presa contemporaneamente e questo abbrevia nettamente i tempi di lavorazione e rende meno faticoso il lavoro degli attori”. profeta che tutti conosciamo, ma come un uomo cresciuto in un determinato sistema sociale e religioso che poi viene assalito dai dubbi e sopraffatto dalla fede”. Un’esperienza recitativa senza dubbio complicata per l’ex Cavaliere Oscuro, ma resa più semplice dal minuzioso lavoro di Ridley Scott: “Non parla molto, dirige spesso a gesti, ma è stato un piacere essere diretti da lui – prosegue Bale – gira con diverse macchine da presa contemporaneamente e questo abbrevia nettamente i tempi di lavorazione e rende meno faticoso il lavoro degli attori”. Ad impreziosire e a rendere ancor più maestoso l’impianto scenico del film è senza dubbio l’utilizzo della stereoscopia, vera novità per Scott che mai aveva sperimentato questa tecnica nella sua carriera: “Non lavorerò mai più senza – afferma entusiasta il cineasta britannico -, il 3D ci consente di aprire letteralmente l’universo che si vuole raccontare. Anche per i piccoli dialoghi è fondamentale, non lo abbandonerò più”. Chissà dunque cosa ci riserverà il futuro cinematografico di Scott. Di sicuro, però, viene la curiosità di immaginarsi cosa avrebbe potuto fare di Blade Runner e di Alien con l’uso della stereoscopia. Ma questa è un’altra storia.
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Fury,
Brad Pitt al fronte con Shia LaBeouf AL CINEMA DAL 29 gennaio 2015
di Elisabetta Bartucca per Oggialcinema.net
“E’ il più grande progetto della mia carriera”. Queste parole Un’operazione costata poco più di 68 milioni di dollari e un incasso di 60 milioni dopo solo due settimane dall’uscita negli Stati Uniti. Il cast, nonostante il budget, è quello delle grandi produzioni hollywoodiane (Brad Pitt, Shia LaBeouf, Logan Lerman, Michael Pena, Jon Bernthal); il film, Fury, che in Italia arriverà il prossimo 29 Gennaio 2015 è un war movie duro e puro diretto e prodotto da David Ayer. Che per il suo ritorno sulle scene non poteva scegliere diversamente: è sua infatti la firma della sceneggiatura di “U-571” di Jonathan Mostow, scritta all’indomani del servizio militare trascorso su un sottomarino del US Navy. Ma per molti il nome di David Ayer è legato soprattutto a film come “Training Day” (2001) di Antoin Fuqua o “Harsh Times - I giorni dell’odio” (2006), gangster movie indipendente in parte autobiografico che segna il suo debutto alla regia. L’ultima volta che i fan italiani lo hanno apprezzato sul grande schermo risale al 2012, in quell’occasione Ayer sfoderò “End of Watch – Tolleranza zero” che metteva insieme Michael Pena e Jake Gyllenhaal, poliziotti per le strade di Los Angeles, in un mockumentary.
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La storia questa volta è ambientata in Europa nell’aprile del 1945, durante la fine della Seconda Guerra Mondiale. Un agguerrito sergente dell’esercito americano, Wardaddy (Brad Pitt), si ritrova al comando di un’unità di cinque soldati che a bordo di un carro armato Sherman tenteranno di colpire il cuore della Germania nazista. Per Brad Pitt un ritorno alla divisa di ufficiale americano dopo quella indossata nei “Bastardi senza gloria” di Quentin Tarantino, ma a fare la differenza qui è l’approccio ad uno scenario storico praticamente identico: “Fury lo scenario storico lo prende molto sul serio”, dichiara alla stampa l’attore. A partire da quei tre mesi di addestramento con carri armati veri a cui tutto il cast è stato sottoposto prima dell’inizio delle riprese: “Abbiamo voluto rendere la spossatezza dei soldati per il freddo e la fame, giorno dopo giorno”, confessa Pitt, che non si è risparmiato in nulla tanto da trascorrere diversi giorni al fianco dei reduci americani dei carri Sherman; un ruolo che non avrebbe potuto interpretare senza “uno studio sulla leadership per imparare a farsi rispettare”. Il film, che ha chiuso lo scorso London Film Festival, è destinato a far parlare di sé anche per alcune criticate scene di sangue e devastazione a cui il regista risponde così: “C’è un guerriero in ognuno di noi, ‘Fury’ è un film sull’azzardo morale e psicologico”. Destabilizzante l’impatto emotivo che l’intero periodo di riprese avrebbe avuto sugli attori, rimasti sul set per tutta la lavorazione: di qualche tempo fa la notizia che Shia LaBeouf, ad esempio, non si sia lavato per mesi e che abbia dormito in un bed and breakfast lontano dal resto della troupe per poter ricreare al meglio le condizioni di vita al fronte. Cinque uomini e gli orrori della guerra osservati quasi sempre a bordo dell’inseparabile tank; punto di vista certo non nuovo, adottato da qual Lebanon di Samuel Maoz che nel 2009 si meritò il Leone d’oro al Festival di Venezia. Precedente illustre e difficile da dimenticare.
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5 CURIOSITà
IL GENIO DELLA MACCHINA
L’enigma di un genio the imitation game in 5 curiosità AL CINEMA DAL 01 gennaio 2015 di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net
l genio a cui fa riferimento il titolo italiano di The Imitation Game è Alan Turing, matematico inglese che durante la Seconda Guerra Mondiale ideò una macchina in grado di decifrare Enigma, il codice segreto usato dalle forze armate tedesche, e che in questo modo diede un contributo fondamentale alla vittoria degli alleati. Ne L’enigma di un genio Alan Turing è interpretato da Benedict Cumberbatch, colui che è stato Sherlock Holmes sul piccolo schermo e Khan in Into Darkness – Star Trek al cinema, oltre all’indimenticabile drago Smaug nella trilogia de Lo Hobbit. Accanto a lui ci sono Keira Knightley, sua buona amica nella vita reale, Matthew Goode e Matthew Beard. Dirige il norvegese Morten Tyldum. 1. The Crying Game. Benedict Cumberbatch ha dichiarato che durante una delle scene finali de L’enigma di un genio – The Imitation Game non riusciva a smettere di piangere e ha avuto un esaurimento nervoso. Secondo l’attore, si era talmente appassionato del personaggio e in quel momento non lo stava interpretando, ma stava soffrendo per lui.
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2. Christopher. La macchina usata ne L’enigma di un genio – The Imitation Game, Christopher, è una replica basata sulla vera macchina di Alan Turing, che si trova al museo di Bletchley Park. Maria Djurkovic, la production designer del film, ha tuttavia ammesso che la macchina è stata resa più “cinematografica”: è diventata più grande, e i meccanismi interni sono stati resi più visibili. 3. 17 gradi di separazione. Pare che Benedict Cumberbatch e Alan Turing siano legati da una lontana parentela: sarebbero infatti cugini di 17esimo grado, in quanto entrambi discendono, da parte di padre, da John Beaufort, il primo Conte del Somerset. Parliamo di una parentela che nasce nel 14esimo secolo! 4. Denti. Sia Benedict Cumberbatch che Alex Lawther, che interpreta Alan Turing da giovane, hanno indossato delle dentiere che erano le copie esatte di quelle usate dal vero Turing. Quella di indossare una dentiera è stata un’idea di Cumberbatch: nessuno gli aveva chiesto di farlo. 5. Google. Google, che ha sponsorizzato la prima del film a New York, ha lanciato un concorso chiamato “The Code-Cracking Challenge”, in cui i partecipanti erano invitati a craccare un codice creato appositamente da Google. Il sito ufficiale del film, theimitationgamemovie.com, permette invece di vedere dei contenuti esclusivi a chi risolve dei cruciverba ideati da Turing.
5 CURIOSITà
TANK PITT Fury,
in il nuovo film con brad pitt in 5 curiosità AL CINEMA DAl 29 gennaio 2015 di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net
Il film si chiama Fury, e Brad Pitt è il sergente Don Collier, conosciuto come Wardaddy, il “papà della guerra” per la sua esperienza. Ma alzi la mano chi, vedendo le prime immagini di Pitt in divisa e con taglio di capelli “marziale” non ha pensato al tenente Aldo Raine, il comandante del manipolo di soldati di Bastardi senza gloria di Tarantino. Qui siamo in un altro terreno. Ma è un piacere ritrovare Pitt in abiti militari. Fury, scritto e diretto da David Ayer (lo sceneggiatore di Training Day), racconta 24 ore di un gruppo di soldati nell’aprile del 1945, alla fine della Seconda Guerra Mondiale: cinque soldati e il loro carro armato lanciati in una missione disperata dietro le linee nemiche. Accanto a Pitt, ci sono Shia LaBeouf, Michael Pena, John Bernthal e il giovanissimo Logan Lerman. 1. Vecchio a chi? Il cast di Fury si è sottoposto a un mese di duro allenamento “sul campo”, un vero e proprio addestramento per reclute, il cui esame finale è stato manovrare un vero carro armato durante un’esercitazione. Gli attori hanno anche incontrato dei veri veterani. Nonostante sia considerato più “vecchio” rispetto ai suoi compagni di addestramento, Brad Pitt ha assicurato di aver fatto tutti, ma proprio tutti, gli esercizi dei colleghi più giovani.
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2. Non ho l’età. Sì, parliamo ancora dell’età di Brad Pitt (51 anni appena compiuti e, possiamo dirlo, portati benissimo). La sua età è molto più avanzata di quella dei sottoufficiali incaricati nella Seconda Guerra Mondiale. Ma, considerando la sua età, la sua scelta di armi bianche, e il suo lungo stato di servizio menzionato nel film, il suo personaggio potrebbe essere un veterano della Seconda Guerra Mondiale. Questo spiegherebbe perché il suo personaggio conoscesse la lingua tedesca prima che la Seconda Guerra Mondiale iniziasse, come vediamo all’inizio del film. 3. Eye Of The Tiger. Fury vede per la prima volta un vero tank Tiger usato per un film sulla Seconda Guerra Mondiale. Il carro armato in questione è un Tiger 131 e arriva direttamente dal Tank Museum di Bovington, nel Regno Unito. Si tratta dell’unico carro armato Tiger completamente funzionante al mondo. Anche molti degli abiti del film sono basati su vere divise provenienti da musei.
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4. Belli capelli. Quelli di Brad Pitt e di Jon Berthal in Fury non sono propriamente dei tagli di capelli tipici dei soldati del periodo della Seconda Guerra Mondiale. Ma tagli di questo tipo erano comunque popolari tra soldati con molta esperienza di guerra, come sono loro. 5. Guerra dei sessi. È tempo di guerra per la coppia Brad PittAngelina Jolie. Niente paura, non c’è nessun problema tra di loro. È solo che entrambi, contemporaneamente, hanno lavorato a due film di guerra. Mentre Pitt girava Fury in Inghilterra, tra il Dorset e l’Oxfordshire, Angelina Jolie era in Australia sul set di Unbroken, il suo film da regista dedicato a Louis Zamperini, eroe della Seconda Guerra Mondiale. Per la prima volta divisi mentre stavano lavorando, Brad e Angelina si sono tenuti in contatto come ai tempi della Seconda Guerra, mandandosi lettere dal Pacifico all’Atlantico…
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Recensioni Film
THE IMITATION GAME,
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La frase chiave del film: “Sometimes it is the people who no one imagines anything of, who do the things that no one can imagine” “Alcune volte a fare le cose più inimmaginabili sono le persone che nessuno immaginerebbe mai”.
Christopher in ricordo del suo amore giovanile) per decodificare Enigma. Tra le menti di questi giovani geni della matematica emerge quello della bella Joan Clarke, interpretata da Keira Knightly. Joan aiuta Turing a trovare un modo per risolvere il codice, e anche per socializzare con il resto del gruppo. I due legano molto e trascorrono tanto tempo insieme, non tardò ad arrivare la proposta di matrimonio. Nel frattempo la misteriosa personalità del prof. Turing incuriosisce le autorità britanniche che credendolo una spia infiltrata iniziano una serrata indagine nei suoi confronti. Indagini che porteranno a ben altra scoperta, infatti verrà alla luce la sua omosessualità che, nella Gran Bretagna dell’epoca, era un reato perseguito penalmente con la castrazione chimica. Turing decide di non portare più avanti la messinscena del fidanzamento con Joan che, suo malgrado avrebbe proseguito. Con il matrimonio lei avrebbe potuto affrancarsi dalla famiglia e proseguito il suo lavoro da scienziata. Ma l’inflessibile prof. Turing decide di andare avanti per la sua strada da solo, con tutto ciò che di drammatico accadrà.
Trama: Sono i giorni più bui della seconda guerra mondiale, il Governo della Gran Bretagna assume le sue menti migliori per decifrare i messaggi dei nemici, così da poterne anticipare gli attacchi. Il difficile compito di violare i cifrari tedeschi, creati mediante la macchina Enigma, viene affidato al matematico Alan Turing (Benedict Cumberbatch), genio della crittoanalisi e della logica. Ben presto al rigido e narcisista di Turing si affiancherà un gruppo di giovani studiosi, insieme ai quali perfezionerà le tecniche per realizzerà una macchina (che lui la chiama
Recensione: Ispirato alla storia vera di Alan Turing, il matematico, logico e crittoanalista inglese, “The Imitation Game” con Benedict Cumberbatch e Keira Knightley, è un biopic molto speciale. E’ più dell’adattamento cinematografico della vita di uno degli eroi “non celebrati” dalla Gran Bretagna e dei più grandi innovatori del mondo (è stato il pioniere della moderna informatica e del pc); 113 minuti di film raccontano infatti con estremo realismo uno spaccato dell’epoca, quello della seconda guerra mondiale e delle sue macchinose e feroci regole.
La recensione AL CINEMA DAL 1 GENNAIO 2015
da Londra, Katya Marletta per Oggialcinema.net
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Recensioni Film
Il regista norvegese Morten Tyldum (Buddy 2003; Fallen Angel 2008; Headhunters 2011), è riuscito a rendere semplice la complessità della storia, sviluppando film in strati, come fosse un fiore, i cui petali si schiudono agli occhi dello spettatore, uno alla volta, mantenendone sempre lo stesso intenso profumo. A ogni scena arriva la forza delle emozioni, sia quando queste nascono da una risata spontanea sia quando sopraggiungono dopo un momento drammatico, mantenendo così il ritmo del film sempre alto e avvincente. La grandezza del lungometraggio di Tyldum è racchiusa essenzialmente nelle pieghe delle sue diverse linee di racconto, parallele o intersecanti, in perfetto equilibrio tra il tema morale, politico, storico e sociale. Temi analizzati dal punto di vista particolare e universale supportati da un finissimo lavoro di scrittura. L’omosessualità repressa, la condanna sociale e politica, l’emancipazione della donna, il genio, la follia degli illuminati della Guerra, l’omissione, il suicidio, in The Imitation Game c’è tutto questo, e altro. Così le emozioni del giovane e timido Alan Turing, innamorato di un suo compagno di classe, diventano un momento catartico intriso di poesia. La linea drammatica del Turing adulto impreziosisce i momenti più leggeri, dall’autentico british humor, mischiandosi magistralmente agli attimi al cardiopalma della corsa contro il tempo. Sebbene la natura del film sia soprattutto il dramma non distorce l’elemento “humor”, che s’innesca perfettamente nel racconto portando in scena un Cumberbatch strepitoso, che con i suoi tempi comici, i tic e i comportamenti da vita ad un personaggio assolutamente perfetto. Brava Knightly, all’altezza di questo ruolo nuovo e inatteso che funziona molto bene al fianco del Turing di Cumberbatch. Non trascurabile l’accuratezza dei personaggi del resto del preziosissimo cast composto dagli attori Matthew Goode, Mark Strong, Charles Dance, Allen Leech e Matthew Beard.
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LA TEORIA DEL tUTTO,
Il tutto tutto, niente niente di Stephen Hawking La recensione AL CINEMA DAL 15 GENNAIO 2015
di Massimo Padoin per Oggialcinema.net
Voto: 2/5 Riuscire a rendere la grandezza del tutto attraverso la piccolezza dell’essere non è un’operazione semplice, anzi difficilissima, perché riuscire a trovare l’equilibrio tra le proporzioni non è cosa immediata, ma necessita della capacità di condensare un racconto che tenga costantemente lo spettatore di fronte a un rapporto discorsivo tra narrazione e significato quasi fossero antagonisti.
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La teoria del tutto inevitabilmente non poteva che affrontare il tema sotto questo punto di vista, la storia del celebre astrofisico Stephen Hawking diviene esempio concreto di due moti contrastanti. Il primo è quello, più evidente, di una lenta e progressiva inabilità fisica dovuta da una malattia del motoneurone che lo costringerà alla paralisi sulla sedia rotelle, affianco a questo che ne mostra l’inesorabile caducità del corpo umano, invece troviamo una persona in grado di espandere il proprio pensiero a dispetto di ogni tipo di handicap fisico. La formulazione di gran parte delle proprie teorie avviene proprio dal momento in cui la malattia inizia il suo incontrovertibile corso, in particolare la termodinamica dei buchi neri e lo stato di Hartle-Hawking sono i concetti dell’astrofisico che sommariamente sono esplicati lungo la pellicola. La nascita dell’universo, anzi in particolare la nascita del tempo, sono il vero trait d’union dell’intera pellicola, tutta l’esistenza di Stephen Hawking si condensa nel tempo, proprio lui a cui avevano stimato un massimo di due anni di vita dall’inizio della malattia al contrario è riuscito a proseguire i propri studi, ma soprattutto a realizzare una vita normale, sposandosi e diventare padre di tre figli. Proprio da un libro autobiografico La teoria del tutto è tratto, ma non di Stephen ma quello della ex-moglie, Jane Hawking, che per gran parte della sua vita lo ha accudito diventandone di fatto insostituibile colonna portante dell’esistenza privata. Una donna che ha accettato di restare nell’ombra per riuscire a garantire il più possibile una vita dignitosa al marito. Il punto di vista di Jane nel corso della vicenda assume un ruolo sempre più di rilievo, fino a diventare la vera protagonista nella seconda parte. Le difficoltà di una
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donna che ha sacrificato gran parte della sua vita per amore iniziano a pesare, le scelte fatte in passato cominciano a farla vacillare, anche se a non esser mai messa da parte è la determinazione con cui persegue il proprio ruolo. Proprio sotto questo progressivo cambiamento però La teoria del tutto mostra i limiti maggiori, l’indecisione sul cosa realmente essere. Ha il sicuro pregio di rifiutare l’anonima aura di biopic, ma allo stesso è innegabile che la ricerca di diverse vie narrative in qualche modo le porta ad accavallarsi l’una sull’altra. Perché se il dramma di una persona affetta da handicap rappresenta il nucleo centrale di tutta la prima parte, via via tale elemento finisce sullo sfondo per diventare il ritratto di una donna in cerca di un equilibrio della sua vita. La stessa importanza delle teorie di Hawking è molto limitata, in cui ad essere esplicate sono solo alcune delle linee principali di pensiero dell’astrofisico. Ovvio nessuno si aspettava un trattato sull’espansività dell’universo, ma queste spesso appaiono troppo marginali nell’economia del narrato, soprattutto considerando la dedizione che Stephen Hawking ha donato ai propri studi.
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Sotto questo punto di vista il vero riverbero delle teorie di Stephen si hanno nella raffigurazione del conflitto proprio con Jane, sulla possibilità dell’esistenza di un Dio in grado di dare inizio al tempo e quindi all’universo. E la presa di coscienza di ciò passa attraverso un atto d’amore, che è sia fine che inizio di tutto come la vita di due persone e la genesi di quel che conosciamo e non. In questo c’è l’unione tra l’infinitamente grande con l’infinitamente piccolo, arrivando a una sintesi che però in La teoria del tutto è troppo programmatica e artificiale per emozionare veramente, soprattutto per colpa anche di una serie di discutibili scelte stilistiche che retoricamente cercano di ricordarci l’importanza del tempo nel vissuto umano. La pellicola di James Marsh in questo cerca di raggiungere una sintesi non solo su quello che dicevamo all’inizio dell’articolo, ma anche attraverso differenti strade narrative ma senza tenere conto che ognuna di esse inizi a perder forza via via nella prosecuzione del racconto. Un film che rimane quasi a metà quando in realtà avrebbe dovuto essere, come il titolo stesso suggerisce, un tutto.
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FURY,
La recensione AL CINEMA DAL 29 GENNAIO 2015
da Londra, Katya Marletta per Oggialcinema.net
La frase chiave del film: “Kill him!”- “Uccidilo!” Voto: 3, 5/5 Trama: E’ l’aprile del 1945, l’Europa è piegata dalle cruenti battaglie della seconda guerra mondiale. Un agguerrito sergente dell’esercito americano, dal nome Wardaddy (Brad Pitt), è al comando di un carro armato Sherman (Fury). Con il suo equipaggio di cinque uomini si butta a capofitto nel cuore della Germania nazista per l’attacco finale, una missione mortale dietro le linee nemiche. Il più giovane del gruppo, Norman (Logan Lerman), ha grosse difficoltà a integrarsi in quella realtà tanto violenta e rifiuta le regole di quel sistema disumano. Ma quella è la guerra e non si può cedere ai momenti di debolezza. Occorre soffocare le lacrime, la paura e continuare a uccidere per l’ideale, per la sopravvivenza del gruppo e per se stessi; è questo che fa il sergente Wardaddy. E costi quel che costi indottrinerà il suo giovane soldato all’arte della guerra. Fury è tutto ciò che ha, è la sua casa e lui vive per combattere. L’arguzia, il coraggio e la tenacia dei soldati guideranno le loro gesta eroiche in un combattimento disperato contro il nemico. Recensione: La 58° edizione del “London Film Festival” è stata caratterizzata da due importanti proiezioni: quella d’apertura con “The Imitation Game” e quella di chiusura con “Fury”. Certamente quest’ultima, orgogliosamente designata dalla direttrice della kermesse londinese Clare Stewart, “un successo clamoroso”, è stata quella più attesa e apprezzata sia dal pubblico che dalla critica. Raramente un film riesce a bilanciare così bene il dramma umano con le sequenze d’azione estremamente realistiche. E’ proprio questo perfetto equilibrio a caratterizzare l’opera del regista e sceneggiatore statunitense David Ayer (Sabotage; End of Watch - Tolleranza zero; Street Kings - La notte non aspetta; Harsh Times - I giorni dell’odio), che in 120 minuti di film catapulta lo spettatore in una ricostruzione fedele della ferocia della guerra. A metà strada tra il dramma e il film d’azione tout court Fury è arricchito dall’alternanza di momenti contrastanti, nei quali le scene cruenti dei combattimenti cedono il passo a quelle che esaltano la fragilità emotiva. Feroce, agghiacciante, doloroso, dal ritmo serrato ma anche emozionante e profondamente umano, l’opera di Ayer racconta la guerra brutale, così com’è. Brad Pitt, più bravo che bello in questa pellicola, da vita ad un eroe imperfetto e credibile. Il suo sergente Wardaddy è spietato e duro, incapace di manifestare le sue debolezze, nasconde i suoi momenti di sconforto e paura.
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E’ un leader e deve guidare i suoi uomini alla vittoria o alla morte. La guerra non ammette incertezze, tutto si paga con il dolore, persino una breve parentesi di normalità. Un film dal successo annunciato che però ha tutte le carte in regola per ottenerlo. Da plauso tutto il suo cast stellare composto oltre che dal Brad Pitt anche da Shia LaBeouf; Logan Lerman; Micheal Pena; Jon Bernthal.
COLONNE SONORE
Big Eyes,
la colonna sonora con Lana Del Rey AL CINEMA DALL’1 GENNAIO 2015
di Marco Goi per Oggialcinema.net
Big Eyes vanta già la colonna sonora più bella dell’anno? Il 2015 è appena cominciato, ma ha trovato subito un degno pretendente a questo titolo. Il nuovo di Tim Burton Big Eyes non è solo uno dei film più promettenti dell’annata appena iniziata, non sfoggia soltanto una grande Amy Adams come protagonista, ma ha pure tirato fuori una soundtrack di primissimo livello. Il merito va diviso tra due nomi: quello della popstar Lana Del Rey e quello del compositore Danny Elfman. Cosa sarebbe il cinema di Tim Burton senza le musiche di Danny Elfman? Difficile, anzi impossibile immaginarlo. I due fanno coppia fissa fin dal lungometraggio d’esordio di Burton Peewee’s Big Adventure e da allora la loro partnership è proseguita con successo, regalandoci alcune pagine di poesia assoluta, da Edward mani di forbice ai musical animati Nightmare Before Christmas e La sposa cadavere. La loro collaborazione prosegue ora con Big Eyes, un nuovo score di Danny Elfman che non delude, è ricco di delicati pezzi per lo più pianistici accompagnati da lievi orchestrazioni, ed è imperdibile per tutti i fan della premiata accoppiata regista/compositore. La vera chicca, o meglio le vere chicche della colonna sonora di Big Eyes sono però merito di Lana Del Rey. La femme fatale che sembra uscita da un film di David Lynch ha composto due nuovi pezzi appositamente per la colonna sonora della pellicola. Si tratta dell’elegante “I Can Fly” e di “Big Eyes”, una ballata sontuosa accompagnata da una frizzante trombetta, due brani che sono uno splendore e che consacrano sempre più la Del Rey come autrice prediletta da Hollywood. Lana si era già fatta notare con la sua inconfondibile languida voce all’interno della soundtrack de Il grande Gatsby con il brano “Young and Beautiful” e aveva cantato la sua versione del classico Disney “Once Upon a Dream” sui titoli di coda di Maleficent. Il detto dice che non c’è due senza tre e così Lana Del Rey ha realizzato la sua tripletta personale di colonne sonore con il suo contributo vocale a Big Eyes. Forse, ma solo forse, è ancora un pochino prematuro parlare di soundtrack dell’anno. In compenso la pellicola di Tim Burton rientra fin da subito tra i film assolutamente da vedere, e pure da ascoltare per bene, nel corso di questo 2015. YouTube: http://youtu.be/jBLXjR7zQ4A
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COLONNE SONORE
Unbroken,
la colonna sonora con i Coldplay
Una canzone sognante molto nel loro stile che non farà gridare al miracolo, ma è comunque parecchio emozionante e rappresenta la ciliegina sulla torta ricchissima cucinata da Angelina Jolie. YouTube: http://youtu.be/FYogZ1KER_k
AL CINEMA DA 29 GENNAIO 2015
di Marco Goi per Oggialcinema.net
Con Unbroken Angelina Jolie c’è davvero andata giù pesante. Per il suo secondo film nelle vesti di regista, la diva americana ha deciso di circondarsi di pezzi da novanta, sotto tutti i punti di vista. Se il suo lungometraggio d’esordio dietro la macchina da presa In the Land of Blood and Honey del 2011 aveva ottenuto qualche buona critica, ma era passato sostanzialmente inosservato agli occhi del grande pubblico e dei grandi premi cinematografici internazionali, per il secondo Unbroken le cose potrebbero andare diversamente. La Jolie questa volta ha fatto davvero le cose in grande, selezionando per prima cosa un cast che vanta parecchi tra gli attori più promettenti attualmente in circolazione, come Jack O’Connell (Skins, Eden Lake), Domhnall Gleeson (Frank, Questione di tempo), Garrett Hedlund (Tron: Legacy, On the Road) e Jai Courtney (Die Hard - Un buon giorno per morire, Divergent). Non è certo finita qui. A firmare la sceneggiatura di Unbroken ci sono nientepopodimeno che i fratelli Coen e pure per la parte musicale la Jolie ha puntato parecchio in alto. Le musiche originali del film sono state realizzate da Alexandre Desplat, uno dei compositori più richiesti degli ultimi anni. Il fenomeno francese vanta nel suo ricco curriculum vitae gli splendidi lavori per The Tree of Life, Argo, Zero Dark Thirty, Moonrise Kingdom e Grand Budapest Hotel, giusto per citarne alcuni, oltre a 6 nomination agli Oscar che per ora non gli hanno però portato ancora alcuna statuetta; inoltre, quest’anno il compositore ha avuto l’onore di presiedere la Giuria del Festival di Venezia. Per l’appuntamento con il nuovo film di Angelina Jolie, Desplat non delude le attese e confeziona un nuovo score sì di solido mestiere, ma non privo dei suoi soliti momenti di magia sonora. Oltre a una serie di orchestrazioni più epiche ed enfatiche rispetto al suo solito, il francese ci regala anche qualche pezzo più rarefatto e pianistico, che a tratti ricorda il memorabile score di American Beauty firmato da Thomas Newman. Non basta. La moglie di Brad Pitt, non ancora contenta, ha convocato per completare la colonna sonora di Unbroken anche i Coldplay, “solo” uno dei gruppi più famosi dell’intero pianeta. Chris Martin e soci, dopo aver contribuito alla soundtrack di Hunger Games: La ragazza di fuoco con “Atlas”, hanno scritto il nuovo pezzo “Miracles” apposta per la soundtrack di Unbroken.
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Tracklist 1. We Are Here 2. Torrance Tornado 3. Coming Home 4. Olympic Kick 5. God Made The Stars 6. Surprise Mac Attack 7. Albatross 8. Mac’s Death 9. Solitary 10. Making Gnocchi 11. Drive To Radio Tokyo 12. Japanese Attack 13. Trip To Omori 14. Bombing Tokyo 15. Rain 16. Dead Comrades 17. To Naoetsu 18. Broken Ankle 19. The Bird’s Farewell 20. Radio Reading 21. The Plank 22. The War Is Over 23. Unbroken 24. Miracles – Coldplay
Speciale Film
BIG EYES. GRANDI OCCHI.
PIU’ CHE UNO SPECCHIO DELL’ANIMA AL CINEMA DALL’1 GENNAIO 2015
di Valeria Ventrella per Oggialcinema.net
Questa è l’incredibile testimonianza di una delle più leggendarie frodi artistiche della storia. A cavallo tra gli anni cinquanta e sessanta, il pittore Walter Keane raggiunse un enorme e inaspettato successo, rivoluzionando la commercializzazione dell’arte con i suoi enigmatici ritratti di bambini dai grandi occhi. Finché non emerse una verità tanto assurda quanto sconvolgente: i quadri, in realtà, non erano opera di Walter ma di sua moglie, Margaret. A quanto pare, la fortuna dei Keane era costruita su un’enorme bugia, a cui tutto il mondo aveva creduto: una storia così incredibile da sembrare inventata. Inaspettatamente vera. Sembra di assistere in diretta allo sgretolamento della coppia causati dai dissapori sulla paternità della loro prole pittorica. Diventiamo spettatori, quasi complici, mentre Margaret accusa il marito, un vero genio del marketing, di essersi appropriato delle sue creazioni, smerciandole come opere sue in infinite riproduzioni a costi stracciati e pavoneggiandosi in mille talk show. Poi, seduti in tribunale, assistiamo al duello a olio, l’unica prova che può dimostrare la vera mano dell’autore. Lui rifiuta di operare, giustificandosi con un male terribile alla
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spalla, lei esegue un ritratto in 53 minuti. Era il 1986: Margaret fu autorizzata a firmare da quel momento i suoi quadri e lui condannato a un risarcimento di quattro milioni di dollari. Più che un affresco sul senso profondo del fare arte e della sua compravendita, il film indaga il rapporto di una coppia, la cui felicità è destinata presto a svanire. La pellicola osserva con pungente attenzione gli abusi psicologici di un marito pronto a oscurare il talento della moglie perché avido di popolarità, svela le menzogne all’interno del matrimonio. Trasforma una qualsiasi casalinga degli anni cinquanta in una donna consapevole del suo talento, pronta ad affermare se stessa, a incarnare lo spirito del nascente movimento femminista. Ci sono tutti questi elementi in Big Eyes, il nuovo film di Tim Burton che racconta la vera storia dei coniugi Keane (interpretati da Amy Adams e Christoph Waltz), celebri negli anni Cinquanta e Sessanta grazie ai loro quadri che raffiguravano bambini con gli occhi grandi. Nonostante fossero tra le più vendute, le opere di Keane non erano accettate dal mondo dell’arte istituzionale che le giudicava kitsch. I ritratti stilizzati e sentimentali di bambini tristi erano quanto di più lontano dall’espressionismo astratto tanto in voga alla fine degli anni cinquanta. Eppure, i lavori divennero un vero successo di massa.
Speciale Film
Il risveglio di coscienza della Keane fa di questa pellicola, in uscita il 1° Gennaio con Lucky Red, una ballad femminista, in cui emergono due identità ben definite. Lei, Margaret, una donna dalla spiccata sensibilità artistica. Lui, Walter, un piccolo uomo che sgomita, il capofamiglia che detta le regole, calpestando la parte debole e tutti gli affetti collegati. Il risultato è un plagio che, sotto dolci apparenze, nasconde un’inaudita violenza: Walter ruba l’anima a Margaret come in un gioco di prestigio. Tim Burton rappresenta una pagina speciale della contorta storia del cinema, sentendo il bisogno di tornare alla logica dei faits divers, alle storie vere. Rappresentando, dunque, un dramma domestico con robusti agganci alla cronaca. Non si rintracciano tutti i 55 anni di orrore e tenerezza del visionario regista in questo progetto. La macabra poetica, che non teme la morte, le favole dark che rendono la realtà un regno di humour disperatamente divertente, fanno largo ad un racconto intimo e psicologico. Non c’è traccia del sensibile ‘padre-artefice’ di emarginati e mostri irresistibili. Di quell’universo cupo ed eccentrico che ci ha concesso di scendere negli abissi di Gotham City, che ha sublimato la poesia con la favola di Edward mani di forbice e che ci ha fatto tornare a passeggiare da adulti nel paese delle meraviglie di Alice o ci incantato, facendoci perdere ancora una volta nella fabbrica di cioccolato di Charlie. Eroi nati dalla genialità visionaria di Burton, dal suo legame con le arti visuali, generati dal flusso creativo influenzato anche dai dipinti della Keane. Molti dei suoi personaggi hanno grandi occhi tondi e non è certo una coincidenza. Oggi assistiamo a un live action che ci fa rivivere una storia intensa e profonda, vera. Un omaggio di Burton a questa donna che ha condizionato in qualche misura la sua formazione artistica, la sua cifra stilistica. Oggi Margaret ha 86 anni e vive alla periferia di San Francisco. Walter è morto nel 2000, molti anni prima che la sceneggiatura cominciasse a prendere forma. Chissà che il destino non abbia fatto in modo che fosse solo lei ad assistere alla proiezione cinematografica del suo successo. E finalmente compiacersi del successo con i suoi grandi occhi.
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Speciale Film
15 FILM
PER IL 2015 di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net
1. Big Eyes. Di Tim Burton. È il primo grande film a uscire. Data: 1 gennaio 2015. Racconta la storia di una pittrice, una donna degli anni Cinquanta, che fece credere a tutti che le sue opere fossero dal marito. Una riflessione sull’arte, vicina a Ed Wood, con Amy Adams e Christoph Waltz, che ci riporta un Burton più semplice e sincero rispetto ai suoi recenti (e futuri) blockbuster. 2. Mia madre. Di Nanni Moretti. Un Nanni Moretti è sempre un Nanni Moretti, come si direbbe da un’opera d’arte. Lo si ami o lo si odi, ogni suo film è un evento. E, cosa rara per il cinema italiano, è un evento internazionale. È un film in qualche modo biografico, che parla dell’elaborazione del lutto per la morte di un genitore, per arrivare a discutere della crisi culturale e sociale che ci coinvolge tutti. Pubblico e privato: puro Moretti. Esce a maggio: destinazione Cannes?
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Si è appena concluso il 2015, l’anno del ritorno dell’Italia all’Oscar con La grande bellezza, l’anno del grande esperimento tra arte e vita di Boyhood di Richard Linklater, l’anno del ritorno di Martin Scorsese al cinema sovraeccitato delle sue origini con The Wolf Of Wall Street, l’anno della grande ambizione di Christopher Nolan e del suo Interstellar, e dell’ultima ossessione di David Fincher, L’amore bugiardo – Gone Girl. Ma che anno sarà il 2015? Noi abbiamo scelto 15 film. Speriamo che siano di vostro gradimento.
6. Cinquanta sfumature di grigio. Di Sam Taylor-Johnson. Uscita strategica: 12 febbraio, in tempo per San Valentino. Film da appuntamento romantico/hot? Sicuramente cronaca di un successo annunciato, come accade quando un film è tratto da una serie di libri di grande successo, come la trilogia erotica scritta da E.L. James. Nei panni di Christian Grey e Anastasia Steele, miliardario e studentessa che intraprendono una relazione sadomaso, ci sono Jamie Dorman e Dakota Johnson (figlia di Don Johnson). La prenotazione dei biglietti è già iniziata, con due mesi d’anticipo, e sta avendo grande successo. Attenzione, però: il film sarà più casto del libro…
3. Il racconto dei racconti. Di Matteo Garrone. Esce a maggio, e punta ovviamente a Cannes anche lui. Matteo Garrone è, con Moretti e Sorrentino, il nostro autore che all’estero aspettano di più. Lontanissimo da Gomorra, è un “fantasy” ambientato nel 1600, liberamente tratto da “Lo cunto de li cunti” di Gianbattista Basile, l’autore le cui fiabe sono le antesignane di tutti i racconti fiabeschi dei secoli successivi. Nel cast ci sono Vincent Cassel, Salma Hayek, Toby Jones e John C. Reilly. 4. La giovinezza. Di Paolo Sorrentino. Se parliamo di nostri autori di livello internazionale e di Cannes non può mancare lui, Paolo Sorrentino, il nostro premio Oscar per La grande bellezza. La giovinezza è il suo secondo film in lingua inglese, e come This Must Be The Place, è incentrato su un grande attore: Michael Caine, leader di un cast con Harvey Keitel, Rachel Weisz e Paul Dano. La storia è quella di due uomini, un regista e un direttore d’orchestra, che, alla soglia degli 80 anni, decidono di fare un viaggio insieme in montagna. Indovinate quando esce? A maggio… 5. Chiamatemi Francesco. Di Daniele Luchetti. Ma c’è un altro regista italiano, forse un po’ sottovalutato, che negli ultimi anni non ha sbagliato un colpo, o quasi. È quel Daniele Luchetti che proprio Nanni Moretti in Aprile prendeva in giro perché girava pubblicità. Il 2015 è l’anno del suo attesissimo film su Papa Francesco: girato in Argentina con protagonista Rodrigo De La Serna (I diari della motocicletta) racconta la vita di Bergoglio prima di diventare Papa, le sue scelte e il suo impegno per i diseredati.
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7. Hunger Games: Il canto della rivolta – Parte II. Di Francis Lawrence. Cronaca di un successo annunciato, parte II. Una saga miliardaria (di Suzanne Collins), tre film che hanno avuto un grande apprezzamento di pubblico, ma anche di critica (sì, sono intelligenti, e fatti molto bene) e Jennifer Lawrence, cresciuta sempre di più come attrice dal primo al terzo capitolo. Per Katniss Everdeen si prepara la rivolta finale contro Capitol City, la resa dei conti con il Presidente Snow, e la scelta tra Peeta e Gale. Cosa volete di più dalla vita? Che arrivi il 19 novembre, certo…
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8. Insurgent. Di Robert Schwentke. Cronaca di un successo annunciato, parte III. Anche qui veniamo da una saga di successo (ovviamente è una trilogia, di Veronica Roth), e da un primo film che ha incassato molto (300 milioni di dollari). Meno intenso e potente di Hunger Games, ma con una sua originalità: la divisione della società in caste orizzontali, secondo l’inclinazione di ognuno, lascia il segno. Come i protagonisti: Shailene Woodley è una bellezza più discreta di quella di Jennifer Lawrence, e favorisce l’identificazione. E Theo James è un James Franco più macho… Uscita: 19 marzo. 9. Terminator: Genisys. Di Alan Taylor. A proposito di saghe che marciano spedite verso il successo, ecco una che si rinnova: quella di Terminator. Dopo una trilogia cult tra il 1984 e il 2003 (ma solo i primi due sono firmati James Cameron) e una falsa ripartenza nel 2009 con Terminator Salvation, la saga torna con il suo grande protagonista: Arnold Schwarzenegger. Nella nuova storia Kyle Reese si trova in un tempo diverso rispetto agli altri film, e si coalizza con Sarah Connor, la madre di John Connor, per provare a fermare il “giorno del giudizio”. Schwarzie sarà un Terminator alleato a loro, che con il passare del tempo si è un po’ deteriorato… Uscita: 9 luglio.
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11. American Sniper. Di Clint Eastwood. Clint Eastwood che dirige Bradley Cooper già di per sé fa venire l’acquolina in bocca. La storia è vera: è quella del Navy Seal Chris Kyle, inviato in Iraq per proteggere i propri commilitoni, e diventando una leggenda presso le forze armate americane. Dopo il dittico sulla Seconda Guerra Mondiale, sarà interessante vedere il punto di vista di Clint su un conflitto recente. Non dovrete aspettare molto. Esce il 1 gennaio. 12. Vizio di forma. Di P.T. Anderson. Ecco un altro autore cult. Dopo The Master, l’autore di Magnolia e Il petroliere ritrova Joaquin Phoenix per un film tratto da un libro di Thomas Pynchon: un investigatore privato tossicodipendente viene chiamato da una sua ex fiamma perché eviti che l’uomo con cui ha una relazione venga internato dalla moglie e dall’amante. Ne vedremo delle belle. Uscita: 26 febbraio. 13. The Avengers: Age Of Ultron. Di Joss Whedon. Secondo episodio del Dream Team di supereroi, in un universo, quello Marvel, ormai coordinato tra film di singoli personaggi e film collettivi: ritroviamo Iron Man, Thor, Captain America, Hulk e La vedova nera, cioè Robert Downey Jr., Chris Hemsworth, Chris Evans, Mark Ruffalo e Scarlet Johansson, che dovranno salvare la Terra dopo che un programma per il mantenimento di una pace duratura di Tony Stark ha creato qualche problema… Il precedente Avengers è stato uno dei maggiori incassi di tutti i tempi Uscita: 22 aprile. 14. Spectre. Di Sam Mendes. È il nuovo film di James Bond, il quarto dell’era Daniel Craig. Dopo aver fatto piazza pulita delle nostre certezze su Bond, dal terzo film, Skyfall, diretto come questo da Sam Mendes, si ricominciano a rimettere in gioco i pezzi storici, collegandosi ai classici di Connery. Qui, lo dice il titolo, entra in scena la Spectre. Il villain è Christoph Waltz, le Bond Girl sono Monica Bellucci e Léa Seydoux. Imperdibile. Uscita: 29 ottobre 2015. 15. Star Wars: Episodio VII – Il risveglio della forza. Di J.J. Abrams. È il film che aspettiamo tutti, il nuovo episodio della saga con cui siamo cresciuti. Abrams ci ha confessato di amarla e di pensare a lei anche mentre dirigeva Star Trek. È un vero fan, e ci fidiamo di lui. Ci saranno ancora Mark Hamill, Harrison Ford e Carrie Fisher, cioè Luke Skywalker, Han Solo e la principessa Leia. E poi Chewbacca, R2-D2 e C-3PO. Nella storia, Leia è a capo della Repubblica, ma l’Impero e i Sith non sono spariti, e… Uscita: 18 dicembre 2015.
10. Jupiter – Il destino dell’universo. Di Andy e Lana Wachowski. Restiamo nell’ambito della fantascienza e del cult: dagli autori di Matrix stiamo aspettando ancora il nuovo capolavoro, dopo che i loro film, dai due sequel della saga di Neo a Cloud Atlas, sono stati spesso una delusione. Mila Kunis è Jupiter, un’immigrata russa che pulisce toilette, e che incontra Caine (Channing Tatum), un guerriero interplanetario, che le racconta che la razza umana non è nata sulla Terra… Uscita: 5 febbraio.
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Glamour
10 Glamorous Icon di Valeria Ventrella per Oggialcinema.net
Fascino, eleganza, sensualità, seduzione.Questo è il significato di glamour secondo Wikipedia. Un concetto certamente sfumato, soggettivo, effimero. Difficile da classificare, da contenere in una sola definizione, da insegnare. Abbiamo voluto tentare di raccogliere le sfumature glamour che hanno tracciato nel corso dell’anno appena concluso alcune celebrities, per raccontarvi il loro mondo dorato come spunto per far brillare anche il vostro. Non abbiamo definito un paradigma, né scoperto la vera radice della bellezza che da sempre irradia questo universo parallelo, ma, se vi accontentate, possiamo proporvi qualche scintilla.
Queste le star che abbiamo scelto, quelle più cool, quelle da cui prendere appunti.
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La regina delle copertine, almeno quet’anno, è lei. Amal Alamuddin ha rubato la scena a tutti: bella, elegante, intelligente, di certo glamour. Profilo sobrio ed elegante. Una donna d’intelletto. La bella avvocatessa inglese di origini libanesi non sbaglia un colpo. Affascinate, fine, sensuale. E con un marito da sogno. Un modello per tutti quelli che credono che le donne bellissime abbiano il cervello di galline e quelle intelligenti debbano assomigliare ad Ugly Betty.
Gwyneth Paltrow, una donna dalle mille sfaccettature: attrice pluripremiata, scrittrice, business woman, moglie e madre impegnatissima. Una bellezza naturale, raffinata, eterea e candida, forse algica e distaccata come personalità, ma con un affermato ruolo d’influencer fashion di rilievo, tutto è perdonato. Una tela perfetta su cui esprimere glamour e bellezza senza tempo. Un esempio di donna che può essere contemporaneamente uno, nessuno e centomila.
Rossa, ma anche bionda, la camaleontica Emma Stone è una sperimentatrice nata. Sempre raffinata, l’attrice dimostra un alto tasso di fashion awarness giocando con la moda e ammiccando agli stilisti, che la corteggiano in massa. E’ la diva del momento. La nuova fidanzata di Hollywood. L’attrice che ha conquistato persino l’uomo ragno. La prova concreta che alcune donne possiedono super poteri.
Una delle attrici più in voga del momento. Ecco Shailene Woodley, 20 anni, in tutta la sua semplicità e leggerezza. Naturalista, di talento e decisamente glamour. Degna di nota perché si presenta come la ragazza della porta accanto, nonostante il clamore e il successo improvviso. Da suggerire come modello per le fashion victim che credono che senza tacco 12 la donna smetta di essere tale.
Keira Knightley. Ah honorem. Perchè il vestito verde indossato da Keira in Espiazione è stato considerato uno dei più bei costumi cinematografici di sempre. Perché è la musa di Chanel. Per il suo sguardo penetrante e broncio raffinato ma mai snob. A dimostrazione che anche la taglia zero ha successo.
Jennifer Lawrence. Ad incoronare la giovane protagonista di Hunger Games è la classifica delle cinquanta donne più alla moda dell’anno, stilata dall’edizione inglese del magazine Glamour. Lontana anni luce dalla goffa diva che ha inciampato nell’abito mentre saliva sul palco per ritirare l’Oscar, Jennifer Lawrence si è trasformata nella sofisticata Lady per Dior. Ci piace perché ha un’aria da dura in un corpo da bambola.
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Glamour
Lupita Nyong ’o. Una donna che in quanto a eleganza, stile e classe ha molto da insegnare. I critici e gli esperti di moda apprezzano ogni vestito che indossa. Sublimato con il suo portamento e disinvoltura. Lontana dall’immagine stereotipata di star hollywoodiana, Lupita porta sotto i riflettori un nuovo e fresco prototipo di bellezza: capelli cortissimi dal taglio maschile, pelle d’ebano messa in risalto dai colori vivaci dei suoi abiti. Anna Wintour l’ha messa al primo posto tra le “10 rising style stars of 2014” di Vogue America. Se lo ha fatto lei, non potevamo non farlo noi.
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Jude Law meritava il podio, ma ci pareva scontato, anche se rimarrà indiscusso metrosexual fino alla fine della storia del mondo. Perdonateci in anticipo se non citeremo Robert Pattinson, che sappiamo essere radicato tra le certezze esistenziali di tante fanciulle, ma lui sta al glamour come Britney Spears sta alla moda.
Indelebile Johnny Depp. Un po’ intellettuale, po’ pirata, un po’ poeta maledetto, un po’ gipsy. Johnny Depp possiede uno stile unico e speciale. Nel suo modo di vestire ogni dettaglio conta e concorre a creare il suo personaggio, composto da una pluralità di accessori, che hanno significati particolari, divenuti veri e propri segni di riconoscimento del suo mood. Dovrebbero stilare una sorta di Bibbia per sintetizzare lo stile di Depp, comprensiva di tutte le sue fissazioni moda, che lo hanno reso un’icona intramontabile. Per chi volesse prendere spunti dal Made in Italy, può cercare assonanze e giochi di rimandi con lo stile del nostrano Morgan. Baudelaire ne sarebbe felice.
E gli uomini?
Scegliamo James Franco, autore, regista, attore, eclettico talento e sex symbol indiscusso. Ma soprattutto una personalità dotata di quel fascino ambiguo che lo rende interessante. James oltre al cinema ha anche una passione sfrenata per gli autoscatti postati sui social network tanto che la stampa americana lo ha incoronato il “Re dei Selfie”. Imparate dal nostro esperto se volete diventare un Gucci boy o farvi un selfie artistico. Non aggiungiamo altro, perché al giorno d’oggi, secondo Franco, una foto vale più di mille parole.
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Serie tv, tutto il
meglio del 2015 di Carlo Lanna per Oggialcinema.net
Le 5 serie tv più attese dell’anno che verrà
5. Marvel’s Agents Carter. I fumetti saranno la costante anche del prossimo anno e, questa serie tv che debutterà il 4 Gennaio (con un doppio episodio) sull’ABC, conferma il grande appeal dei comics nella moderna serialità americana. E’ lo spin-off di Agents Of SHIELD ma sarà ambientato negli anni ’40, e racconterà le vicende dell’Agente Carter appunto, ex spasimante di Captain America, e del suo lavoro presso la Strategic Scientific Reserve. Una serie action a tutti gli effetti che grazie al suo enorme bagaglio culturale, saprà catturare lo spettatore. Gli sceneggiatori descrivono questa serie tv come un action drama dalle tinte rosa, invitante ed elettrizzante. Sono previsti 8 episodi. 4. Galavant. Il tema fiabesco è il fiore all’occhiello dell’Alphabet Network. Il dilagante successo di Once Upon a time – giunto quest’anno alla sua quarta stagione – ha permesso di realizzare un progetto inusuale e dalle grande speranze. Galavant infatti vuole essere la prima fantasy comedy a tema musical. Ambientata in un’epoca di spadaccini e principesse da salvare, la serie racconta le imprese di Galavant, abile condottiero, determinato a recuperare la sua reputazione e il “lieto fine”, rovinatogli dal malvagio re Riccardo che gli ha rubato l’amore della sua vita, ovvero la bellissima Madalena. L’ABC quindi decide di portare in tv una sere tv molto rischiosa che potrebbe piacere e quindi diventare un cult a tutti gli effetti, oppure rivelarsi un flop (forse annunciato). Debutterà il 4 Gennaio e sono previsti 8 episodi.
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3. Empire. L’America cerca senza sosta l’erede morale di Glee. Lo show che quest’anno chiuderà i battenti dopo 6 anni, ha lanciato una nuova moda nel panorama televisivo mondiale. Su questa scia arriva Empire, il nuovo drama musicale che la FOX lancerà il 7 Gennaio. La serie è incentrata su Lucious Lyon (Terrence Howard) carismatico imprenditore e star della musica che sta per quotare in borsa la sua Empire Entertainment, ma a rovinargli i piani torna l’ex moglie Cookie (Taraij P. Henson) che vuole la parte della società che le spetta. Un dramma familiare dalle tinte musical che, sicuramente, vincerà per charme ed affabilità. 2. American Crime. Debutta invece a Marzo la prima serie antologica dell’ABC. La rete di Revenge e Once Upon a Time, ispirandosi a True Detective e The Killing, porta in tv una vera scommessa della serialità. In un mondo complessato, American Crime, illustra un difficile dramma familiare alla luce di un fatto di cronaca nera che sconvolge l’opinione pubblica. La rete quindi porta in tv qualcosa di diverso dal solito, e punta ad abbracciare una fetta di telespettatori, che sono in cerca di una serie brillante e dai risvolti sociali. 1. Wayward Pines. L’omonimo romanzo diventa una serie tv che debutterà a Maggio sulla FOX e in altri 150 paesi. Una strategia che permetterà a questa limited-series di abbracciare quanto più pubblico possibile, perché a conti fatti porta con sé un hype sconfinato. Liberamente ispirata alle atmosfere di Twin Peaks, Wayward Pines, racconta la storia alquanto bizzarra, di un detective dell’FBI – interpretato da Matt Dillon che per un caso fortuito si trova imprigionato nella città che da il nome alla serie. Senza nessuna via di fuga, il protagonista, cercherà di risolvere il più grande mistero di Wayward Pines. Divisa in 10 episodi è lo show più atteso del 2015 per qualità e ricercatezza del plot. Aspettare per credere.
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True detective. Un vero capolavoro seriale. di Valeria Ventrella per Oggialcinema.net
È difficile che non ne abbiate sentito parlare. Se però non l’avete ancora vista, è il momento di recuperare. I protagonisti sono i detective Rust Cohle e Marty Hart, interpretati magistralmente da McConaughey e Woody Harrelson, le cui vite s’intrecciano nella lunga caccia a un serial killer in Louisiana, durata diciassette anni. Attraverso diversi archi temporali e adrenalici flashback sono raccontate le vite private e le indagini dei due detective, dal 1995 al 2012 anno in cui il caso viene riaperto. La serie di Nic Pizzolatto è stata seguita da un numero stratosferico di telespettatori, con dodici milioni di followers a puntata. I critici televisivi si sono sperticati nelle lodi. Nove nomination agli Emmy Awards, con due statuette conquistate.
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Se tutto questo clamore non vi basta, ecco 5 buoni motivi per cui guardare True Detective. 1) Per poter fremere in attesa della nuova stagione. True Detective è stata concepita come una serie antologica: avrà per ogni stagione interpreti e storie differenti. HBO ha ultimato i preparativi della seconda stagione della serie. Abbiamo seguito mese dopo mese gli sviluppi, le operazioni di casting e ci siamo rassegnati al fatto di non vedere i nuovi episodi prima del prossimo autunno. Saranno otto puntate e le riprese dureranno quattro o cinque mesi. I primi due verranno diretti dal regista Justin Lin. Le riprese avverranno dalle parti di Los Angeles, dunque si può presumere che la seconda stagione sarà ambientata in California. I nuovi protagonisti, da soli, meritano la visione. Colin Farrell apparirà nei panni di Ray Velcoro, un detective corrotto; Vince Vaughn in quelli del malvivente Frank Seymon; Kelly Reilly nei panni di sua moglie; Rachel McAdams sarà Ani Bezzerides, uno sceriffo intransigente; Taylor Kitsch interpreterà un poliziotto in motocicletta di nome Paul Woodrugh. 2) Perché è un invito alla lettura. True Detective ha una ricchezza di richiami, citazioni, riferimenti letterari e fonti d’ispirazione che crediamo sia difficile che Pizzolatto avesse già in mente durante la scrittura. E’ più verosimile pensare che la ricchezza della narrazione sia tanto nella penna di chi scrive quanto nella testa di chi guarda. Comunque True Detective è nato come romanzo, ma non trovando editore, Pizzolatto ha deciso di trasformarlo nel copione di una sceneggiatura. È lui il deus ex machina della serie. Sin dal titolo si intuisce che la serie si ispira alle riviste americane di genere pulp nate nel 1924, sulle cui pagine ha scritto anche Dashiell Hammett, in cui la narrativa gialla si alternava ad articoli riguardanti casi criminosi realmente accaduti. Proprio quel giornale ha cessato di esistere nel 1995, l’anno in cui ha inizio la storia narrata in questa serie. Coincidenza?
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3) Perché Rust ha lasciato il segno. Il Detective Cohle è forse il personaggio televisivo più memorabile del 2014. I colleghi lo chiamano “l’esattore” perché non usa i bloc notes, come gli altri, ma uno di quei libroni che servono per fare i conti, con la copertina nera. Interpretato da uno strepitoso McConaughey che sembra essersi “ridotto” alla sua vera essenza, abbandonando la virilità da belloccio di Hollywood a cui eravamo abituati. L’attore si è spogliato della massa di muscoli che lo aveva reso ammirato e desiderato (ha perso 25 kg per girare “Dallas Buyers Club”) e ha svelato un’intensità non comune, una “concentrazione” di energia che si riflette sul suo volto scavato e nei suoi occhi febbrili. 4) È senza definizioni. Non si può definire True Detective come un semplice crime o detective story: i protagonisti non sono supereroi, non incarnano il mito machista del poliziotto, non sono portatori di messaggi e lezioni morali. True Detective parla di due uomini che lottano contro i loro stessi demoni, e che si ritrovano a lavorare insieme sul caso di un serial killer, ed è questo caso che porta a galla tutti i loro problemi. Alla fine il mistero non riguarda l’assassino ma chi gli dà la caccia. La struttura a flashback ci restituisce il loro ritratto più intimo. L’esplorazione delle loro debolezze e della loro evoluzione esistenziale mette in luce due individualità opposte, l’approccio alla vita diretto e quasi rozzo di Martin si contrappone alle riflessioni filosofiche di Rust. Spazi sconfinati e desolanti si contrappongono ad ambientazioni molto raccolte, l’interno dell’auto dei due detective che sfreccia in mezzo al nulla. Si tracciano scenari onirici in cui dominano viaggi mentali, in cui è d’obbligo il confronto sulle sfaccettate visioni dell’esistenza, antitetiche dei due poliziotti, perché il non-luogo circostante ha il potere di ridurre le cose alla loro essenza, di far emergere gli istinti violenti, così come le riflessioni filosofiche. 5) Per le sue note. Intense e malinconiche. La canzone che accompagna i titoli di testa è Far From Any Road di The Handsome Family, gruppo composto da Brett e Rennie Sparks. Un capolavoro.
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Downton Abbey. A lezione dai Grantham …
di Valeria Ventrella per Oggialcinema.net
Se una volta era il cinema a influenzare la moda ora sono le serie televisive a dettare tendenze. L’eleganza di Downton Abbey sembra così lontana dal nostro universo contemporaneo, eppure il suo fascino ispira collezioni, il concetto di costume in senso lato e un modus vivendi che ci rimanda all’epoca di Edoardo VII. Saloni eleganti, abiti di velluto, gioielli, tiare, cappelli, ombrellini da sole, guanti di pizzo, ecco lo schizzo della serie che sta facendo impazzire l’America e l’Europa. Un mood che ha pervaso anche Ralph Lauren che nella collezione autunno inverno ha reinterpretato lo stile degli anni Venti in chiave moderna e ha voluto ambientare gli scatti della campagna pubblicitaria nella stessa location in cui viene girata la serie televisiva. Se non sapete di cosa stiamo parlando, vi facciamo un piccolo riepilogo della serie scritta da Julian Fellowes. Ladies and Gentlemen, Downton Abbey in 10 righe. Un castello nello Yorkshire, una famiglia artistocratica del primo Novecento, una vicenda di eredità intrecciata a una tormentata storia d’amore, lo stile della lontana Belle Époque e un sottile humor inglese. La saga della famiglia Crawley si consuma tra rituali del tè pomeridiano in abiti sartoriali, caccia alla volpe a cavallo, cene in tight in sconfinati saloni, serate tra gentleman che degustano Sherry e fumano sigari, passeggiate nelle sontuose aree della dimora di Highclere Castle, garden party e partite di cricket. Distribuita in ventisette paesi, ispiratrice di moda, libri e arte, Downton Abbey è la fortunata serie che ha convinto e che continua a convincere il pubblico e la critica. 120 milioni di persone a seguirlo, in 220 nazioni nel mondo, tra cui George Clooney, avvistato sul set della serie, perché apparirà in uno sketch natalizio, dal titolo «Text Santa». Tra gli appassionati, c’è anche la first lady Michelle Obama. Persino i Simpson hanno omaggiato le aristocratiche avventure di Lady Mary con una puntata speciale. Nel film Iron Man 3 c’è una scena in cui Robert Downey junior segue Downton Abbey. I Rolling Stones guardano Downton Abbey. Un profilante successo anche per Highclere Castle, set della serie, nella contea inglese dello Hampshire, che con i suoi splendidi giardini, è diventato meta di innumerevoli pellegrinaggi e visite guidate (www.highclerecastle. co.uk). Un boom planetario che fa proseliti. Nei magazzini Marks & Spencer è arrivata la prima linea di bellezza targata “Downton Abbey”: candele profumate, pochette, lucidalabbra, balsami, creme per il corpo, bagnoschiuma e smalti. Il packaging richiama l’eleganza dell’età edoardiana, sulle confezioni c’è una citazione presa dalla serie. Arriveranno anche oggetti d’arredo e abbigliamento. Ma per chi vuole saperne di più sulla lavorazione, studiare i dettagli dei costumi e le
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scenografie, “Il mondo di Dowton Abbey” di Jessica Fellowes (Rizzoli), è un libro guida con bellissime foto dei protagonisti sul set e dietro le quinte. Lo stile della serie tv ha influenzato non poco il nostro orizzonte, con un revival di quel famoso british style che caratterizzò il primo ventennio del ‘900, riscoprendo la magia di pizzi, il candore di abiti intarsiati di trine e dentelle, la raffinatezza di gonne plissettate, l’educazione e la misura di un atteggiamento che impone disposizioni ferree ed etichette severe. La serie inglese giunta alla sua quinta stagione (ma in Italia siamo indietro di una) racconta un mondo fatto di regole e tradizione, ancorato in classi sociali rigide e quasi inespugnabili e che però evolve, si adatta al tempo. Con più o meno buona volontà, cavalca l’onda lenta del progresso che ha segnato il passo del XX secolo. Se volete immergervi in questo spirito, riscoprendo quella raffinatezza che abbiamo trascurato a vantaggio dei cinepanettoni o delle gesta nostrane alla “Cesaroni”, ecco un piccolo vademecum per afferrare la sublime bellezza di quel contesto storico. L’abito. Nell’età edoardiana, in base all’occasione o all’ora della giornata, è previsto un frenetico susseguirsi di cambi d’abito. Gli abiti da mattina prevedono pochi ornamenti, gioielli semplici, guanti e cappello sì, ma mai pietre preziose ad eccezione degli anelli. I tessuti, poi, sono sempre chiari. L’abbigliamento dell’ora del tè predilige colori più scuri. D’inverno la pelle di capretto è un must. L’ombrello. Naturalmente, il ruolo degli ombrelli non è solo civettuolo: serve per proteggere la pelle aristocratica dai raggi del sole. Capelli e Cappelli. Obbligatori per i garden party, sono sempre ingentiliti da decorazioni floreali e fasce di tessuto che riprendono i colori dell’abito. I capelli hanno un preciso significato: dalla fine degli studi fino al matrimonio sono sempre raccolti in acconciature elaborate con tiare, punti luce o fiori. Segno che si è in cerca di marito. Il bastone. Non serve unicamente a sostenere la persona ma è simbolo di supremazia sulle opinioni. Da non dimenticare. Per chi vuole imbandire la tavola come Lady Cora e Lord Grantham o servire squisiti biscotti e torte all’ora del tè, ricordate: non conta solo come si cucinano arrosti, pudding e sformatini, il segreto è come si presentano i piatti. Se non vi sentite ancora pronti ad affrontare il severo giudizio di corte, rispolverate tutta la serie e siate fiduciosi. Ne vale la pena. Il revival aristocratico ha contagiato persino i già reali William e Kate.
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Christoph Waltz. ADORABILE BASTARDO di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net
È entrato nelle nostre vite all’improvviso, quando meno ce lo aspettavamo. In un casale della campagna francese, da una famiglia di contadini. La divisa da nazista ma i modi cortesi, una parlata che dal francese passava all’inglese. Poi avremmo scoperto che sapeva, oltre al tedesco, anche l’italiano. Parliamo di Christoph Waltz, e del suo personaggio di Bastardi senza gloria, Hans Landa, aka “il cacciatore di ebrei”. Un’interpretazione che ha cambiato totalmente il modo di vedere i criminali nazisti: siamo agli antipodi dell’ufficiale di Ralph Fiennes in Schindler’s List. Anche l’Hans Landa di Waltz è tremendamente cattivo. Ma è anche una persona raffinata, elegante, di gusto, ha un eloquio affascinante. Ed è cortese con le donne. Fino a quando non deve ammazzarle.
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Quel tono da imbonitore, quel sorriso di plastica stampato in volto che abbiamo imparato ad amare – e a odiare – in Bastardi senza gloria ritorna in Big Eyes, il nuovo film di Tim Burton in cui Waltz è Walter Keane, sedicente artista che sposa Margaret e si finge l’autore dei suoi quadri, perché nessuno avrebbe preso sul serio una donna nell’America degli anni Cinquanta. Sembra farle un favore, e le farà avere un sacco di soldi. In realtà la prevarica, le nega la sua stessa essenza di artista. La inganna, e inganna anche noi, con i suoi modi suadenti, spacciandosi per quello che non è. È un gran bastardo, anche qui. Ma ancora una volta è irresistibile. Nei suoi film Christoph Waltz è sempre l’uomo colto, l’uomo di grande esperienza (il suo Walter Keane ha studiato arte a Parigi, almeno lo dice lui). In realtà, Waltz colto lo è davvero. Austriaco (è nato a Vienna il 4 ottobre 1956), è figlio di scenografi e ha sempre vissuto nel mondo dello spettacolo: ha studiato recitazione al Max Reinhardt Seminar di Vienna e al Lee Strasberg Film Institute di New York. Parla fluentemente inglese, francese e tedesco. L’italiano no, anche se le sue battute nella nostra lingua in Bastardi senza gloria sono memorabili. Quentin Tarantino è stato lo spartiacque della sua carriera: decine di film che non abbiamo visto e non vedremo mai (anche un episodio de Il commissario Rex…) fino all’incontro che gli ha portato due Oscar, due Golden Globe e un premio come miglior attore a Cannes. Dopo Bastardi senza gloria, il sodalizio con Tarantino è continuato con Django Unchained, dove finalmente, per il nostro sollievo, interpreta un “buono”, il Dr. Schultz. Certo, è sempre uno che ammazza le persone a decine, ma si tratta di schiavisti. Accanto al Django di Jamie Foxx, Waltz è il mentore, il liberatore, l’ispiratore. Un cacciatore di taglie ma dalla parte giusta. Ancora una volta colto, brillante. Irresistibile. E ancora una volta uno che gioca in un doppio ruolo: gira con un camioncino con un grande dente, e dice di essere un medico dentista. Quella di Christoph Waltz infatti è una recita nella recita. I suoi sono dei personaggi che a loro volta interpretano una parte, vivono un ruolo. È così il cacciatore di taglie/dentista di Django, è così il cortese/perfido nazista di Bastardi senza gloria. Ed è così anche Walter Keane, artista figurativo formatosi a Parigi, autore dei quadri con i Big Eyes, i grandi occhi, quando non è niente di tutto questo. Anche quando deve andare in tv per difendere la “sua” arte, Walter Keane ha bisogno di un copione, di un testo, di un’imbeccata. E una volta in tv recita un’altra parte ancora rispetto a quella che ci ha fatto vedere, quella dell’artista commosso e sensibile, attento al destino dei bambini, il soggetto dei “suoi” quadri. Mentre i suoi small eyes ci dicono che è tutto il contrario. Ha gli occhi piccoli, accesi, attentissimi a scrutare ogni particolare, Christoph Waltz. Si tratti di capire il gioco di un ebreo, o di chi lo nasconde, durante la Seconda Guerra Mondiale, o il pensiero di una donna che intende conquistare, come fa Walter con Margaret Keane. Gli occhi che sembrano quelli di
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un animale veloce, di un predatore. Occhi di chi può spalmare miele e o iniettare fiele. “Non è facile trovare un attore che in dieci secondi di dialogo riesce a essere minaccioso e insieme simpatico, tanto da lasciarti assolutamente spiazzato” dice di lui Amy Adams, che in Big Eyes interpreta la moglie Margaret. La mascella volitiva di Waltz sembra quella di un personaggio dei fumetti, una sorta di Dick Tracy, tanto che l’attore austriaco sembra un personaggio disegnato. Insomma, non è cattivo. È che lo disegnano così. Il grande merito di Tim Burton, con questo Big Eyes, dopo Roman Polanski in Carnage (altro ruolo di adorabile bastardo), è stato quello di regalare a Waltz un altro ruolo alla sua altezza, dopo che Holywood rischiava di racchiuderlo nel ruolo del villain puro e semplice, come è accaduto ad esempio in The Green Hornet. E vedremo come sarà il suo villain nel prossimo 007, Spectre. Quello di Walter Keane invece è un ruolo doppio, o triplo, quelli a cui Waltz ci ha abituato finora. E non a caso è stata subito candidatura al Golden Globe. È THE FACE di gennaio perché: il Walter Keane di Big Eyes di Tim Burton ce lo riporta a quei ruoli ambigui di adorabile bastardo visti nei film di Tarantino. Prima di ritrovarlo come villain nel prossimo James Bond, Spectre. “Su Hollywood, in Europa tutti direbbero: vogliono solo spremerti come un limone! Beh, sapete, se io ho il succo, perché non dovrebbero?” “L’unico vantaggio di essere cresciuto nel mondo dello spettacolo è che non ci fantastichi su. Cose del tipo ‘Non è meraviglioso? Bla bla bla’. Io non l’ho mai idealizzato. Ma dall’altro lato, la convinzione e la dedizione che vedi in questo mondo è tremenda. Sarebbe terribile se tutto lo show business fosse fatto di brontoloni come me”. “Diventare un attore è come diventare padre. Non è difficile diventarlo. La vera sfida è farne la tua vita”.