e di Troisi»
otto il segno del cinema (Edizioni abinae). Al ritiro non ci pensa: Adesso farò un film difficile, Aspromonte, con la regia di Mimmo Caloresti e un bellissimo cast, Valeria runi Tedeschi, Fabrizio Gifuni e il Marcello Fonte di Dogman». I film di più grande soddisfazione a gli oltre 130?«Ricomincio da tre 1981), il primo film diretto da Massimo Troisi. E poi Un marito in collegio 1977) e Il ladrone (1980) con Monteano venduto bene anche all’estero. E Notte prima degli esami, apripista di n genere, un grande successo e penare che anche per quel film ho faticao: fu il debutto di Fausto Brizzi che ur avendo fatto la sceneggiatura on si sentiva pronto alla regia, Neri arenti lo consigliò». Lucisano ha empre avuto grande fiuto, «mi sono dato del mio istinto, non tutto è anato secondo le attese ma in fondo i mpianti sono pochi». Quali? «Non ver preso per l’Italia i diritti di Ramo, lo giudicai troppo violento e in uell’epoca, 1982, il divieto della cenura significava perdere i diritti per la v». Si è rifatto con tanti altri: Quattro matrimoni e un funerale, successo lockbuster e più recentemente Drie del danese Nicolas Winding Refn.
amovic
piedi 2500 chilometri ciascuno. Neli anni Novanta il dramma della uerra in Bosnia ispira l’opera Balkan aroque (1997), con cui Abramovic ince il Leone d’Oro alla Biennale di enezia. A presentare The cleaner iea Firenze c’era la stessa Abramovic. arlando del rapporto tra genere emminile e carriera artistica, ha deto di ritenere che non è «difficile essee una donna artista: quello che è imortante è non aver paura di niente e i nessuno».
sollecita il giudizio. Splendidi Hatsue (Kirin Kiki) la moglie attori e uno stile molto Nobuyu (Ando Sakura), la personale, ma non tutto è cognata Aki, che dividono con drammaturgicamente risolto loro la modestissima casa di nel bel film di Kore-Eda. legno, dove regna il disordine, Qualche ellissi di troppo, ma anche l’allegria e del un’invidiabile intesa.19/09/2018l’eccessiva lunghezza e quella tendenza ai lunghi silenzi e agli Apprendiamo poco alla volta estenuanti primi piani che che a tenerli insieme non sono legami di sangue ma una libera puntano sull’intensità degli sguardi, causano stanchezza. Il scelta che nasce da circostanze film comunque apre un più o meno dolorose che li interessante dibattito e ha tengono ai margini della momenti alti di profonda, società civile. Alla luce di trattenuta commozione. (ELI) queste premesse, quale futuro
Musica
Nuovo disco per Malika Ayane: «L’autostima prima di tutto» Esce domani «Domino» Poi parte il tour con tappe a Catania e Palermo Franco Gigante MILANO «Essere donna è difficile, avere delle idee ed essere rispettate è ancora più difficile». Così ha esordito Malika Ayane alla presentazione del suo nuovo album «Domino» in uscita domani. La cantautrice milanese è tornata con questo disco dopo tre anni di silenzio. «Volevo fare un disco che fosse urbano, interno – ha rivelato – È venuto fuori con estremo facilità ed ero molto impaziente che uscisse per farlo conoscere a tutti, perché alla base ci ho messo una necessità di ricerca e la voglia di dire qualcosa, anche di nuovo. Mi affascinava questo titolo perché potrebbe prestarsi ad essere un verbo, ad avere fiducia in se stesi – ha osservato – Per me sono i tanti brani messi insieme che vanno in una direzione diversa, una specie di tessere che si incastrano fra loro». Il disco contiene dieci brani che
sono stati anticipati dal singolo «Sogni tra i capelli»: «Ho scritto questa e le altre canzoni in camere d’albergo, nelle stanze dove c’è una percezione diversa della quotidianità – ha sottolineato – Mi sono accorta che in quegli ambienti vedi le cose con occhi diversi. Trovo naturale e più facile rivolgersi a un interlocutore che non esiste e in queste canzoni lo faccio spesso. Non tutte le mie canzoni sono autobiografiche». La cantautrice si divide la vita artistica e quella di mamma. «Insegno a mia figlia di 13 anni di rispettare e farsi rispettare – ha confidato – Sono una mamma severa ma giusta e la rispetto, e abbiamo gusti musicali diversi: alla sua età io ascoltavo artisti che erano già morti mentre lei invece preferisce i rapper di oggi, ma italiani». Malika Ayane si accinge ad intraprendere il Domino tour che sarà ambientato tra teatri e club con il debutto al Teatro Politeama di Genova il 6 novembre, per essere il 23 gennaio al Teatro Metropolitan di Catania e il 24 al Teatro Golden di Palermo: «Sarà uno spettacolo ambientato in teatri con i brani proposti simili al disco e nei club con la parte più viscerale». (FR.G.)
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MUSICA ITALIANA/1
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Uscito ieri il quinto disco della Ayane
«Esseri se stessi è difficile, per una donna lo è ancora di più. Un testo politico non saprei scriverlo, ma ogni canzone aiuta ad affrontare le sfide quotidiane». In gennaio tappe a Catania e Palermo
MUSICA
Il difficile Tommas malincon «A volte e metter
“Domino”, la forza di Malyka The «Andrei in piazza per le libertà» «Nu MARIELLA CARUSO
MILANO. Il «quinto figlio musicale» di Malika Ayane è un disco che si può ascoltare «rimescolando i pezzi a piacere». Per la cantautrice milanese, quindi, è stato naturale battezzarlo “Domino”, «una parola - fa notare - che usata come verbo denota sicurezza». Una sicurezza che, insieme all’ottimismo che la pervade al momento, si riflette nelle dieci canzoni del nuovo album uscito ieri. «È un disco fatto come volevo farlo che continua il percorso cominciato con “Naif”, ma che tiene alto il ritmo. Finalmente ho smesso di chiedermi chi essere e ho deciso di osare con questo disco scritto in tre città diverse e prodotto in una quarta», continua l’autrice di “Stracciabudella”, “Sogni tra i capelli” (il secondo singolo estratto da Domino), “Per abitudine” e “Imprendibile”, pezzo in cui Malika recita il suo amore per la libertà. In verità in tutti i testi di “Domino” la cantautrice si sofferma sulla quotidianità e sul significato del vivere. «Sono convinta che la noia sia un generatore di possibilità e che anche la routine, pur nella continuità di gesti, può non essere alienante», osserva Ayane autrice di un disco onesto. «Dietro tutti i dischi ci deve essere una motivazione artistica. Il disco - fa notare - non è un catalogo dal quale attingere per i live, è qualcosa che ci sopravvive». Per questo motivo Malika Ayane ne ha curato la confezione affidando il progetto grafico a Federico Pepe e
al cinema CATANIA
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Via Duca degli Abruzzi, 8 t095.373760 UNA STORIA SENZA NOME. H. 1,40. Di Roberto Andò con Micaela Ramazzotti e Alessandro Gassman. Ore - 18,15 - 20,45. LOLA + JEREMY. H. 1,25. Commedia romantica. Ore - 18,30. GOTTI - IL PRIMO PADRINO. H. 1,52. Con John Travolta. Ore - 20,45. SALVADOR DALI' - LA RICERCA DELL'IMMORTALITA'. Solo IL 24, 25 E 26/09 ore: 18,00 - 20,45. Torna il
facendolo impreziosire con le immagini senza fronzoli e ritocchi scattate da Jacopo Benassi. «Essere se stessi è forse la cosa più difficile del mondo. E lo è ancora di più per una donna per la quale essere rispettata è molto complicato - dice -. Tanto dipende anche da come si riempiono le pagine dei giornali e la tv». Un esempio? «Mi incuriosisce il fatto che se un uomo scrive qualcosa sulla vita è un conoscitore dell’anima; se lo fa una donna si pensa sempre che stia scrivendo qualcosa di autobiografico. In tanti, per esempio, hanno pensato che “Quanto dura un’ora” parli di corna, invece del senso d’infinità della vita». La cosa di cui, invece, Malika confessa di non sapere scrivere sono i problemi sociali. «Un brano politico non saprei scriverlo, ma sono convinta che ogni canzone che emoziona possa aiutare le persone ad affrontare meglio le sfide quotidiane. Ciò detto, se dovessero essere messe in discussione le libertà personali, scenderei in piazza col forcone». Per adesso, invece, Malika andrà su e giù per l’Italia con un doppio tour che la vedrà nei teatri (al Metropolitan di Catania il 23 gennaio e al Politeama di Palermo il 24) con cinque musicisti e nei club in trio dove suonerà i synth e si avvarrà di un chitarrista e un batterista. E chi troverà la sua voce più matura avrà ragione. «Stavolta l’ho usata come uno strumento. A venirmi in aiuto è stata l’esperienza in “Evita”, una palestra che mi ha fatto ricordare l'importanza di cantare le note giuste al posto giusto».
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Edizione restaurata a cura della Cineteca di Bologna; solo Mercoledì 26 ore - 18,30 - 21,00 - sala1 Sala1: 280 posti; sala 2: 66 posti; lunedì e mercoledì under 26 euro 3,00 www.cinestudio.eu TORO SCATENATO
LO PO' MULTISALA mm700|f|DS|R|U|M|DTS Via Etnea, 256 t095.316798 THE NUN: LA VOCAZIONE DEL MALE Horror 16,30 18,30 - 20,30 - 22,30 UN AMORE COSÌ GRANDE Commedia 16,30 - 18,30 20,30 - 22,30
MILANO. Una b ne: questo è p ve”, nuovo alb moziona quan momenti che dice il cantaut pate dai succe pida canzone In apertura suono che, pu cerca una dim l’ultimo pezzo con la romant vivo: anche da no, la ricerca d passione per i film di quanto persone che m riportano per Una poetica pervade l'albu tà, e questo pa trarla da solo, miliare. Chi fa trario». Le rass re”, “Zero sta “Milano Rom
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Contatto I spettacoli@gds.it
Giornale di Sicilia I D
Oggi a Palermo presenta il nuovo disco
Curva Minore ai C
Ayane torna in Sicilia: ecco il mio Domino
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Fra i tanti appuntame quello con la cantant sciamanica Namtchi PALERMO
A gennaio due concerti, il 23 a Catania e il 24 nel capoluogo Tancredi Bua PALERMO Il nuovo disco di Malika Ayane s’intitola Domino, e arriva a distanza di ben tre anni dal precedente Naïf. Tre anni che hanno portato la cantautrice milanese in Germania, a lavorare sull’album nel Jazzanova Recording Studio di Berlino, al fianco di musicisti jazz del calibro di Axel Reinemer e Stefan Leisering. Tre anni che l’hanno vista «rimettersi a studiare, come non succedeva dai tempi del conservatorio», con Evita, il musical di Andrew Lloyd Webber e Tim Rice che in Italia è arrivato per la regia di Massimo Romeo Piparo. È dalla fine del tour di Naïf, nell’estate di due anni fa, che Malika non fa concerti: «Il pubblico mi reclama, ma in realtà sono io stessa a reclamarmi. A casa non vogliono più vedermi, mi dicono sempre “Vai a lavorare!” (ride, ndr.). Adesso ci siamo». Perché con la pubblicazione di Domino, riparte finalmente anche la tournée, che sbarca in Sicilia con una doppia tappa a gennaio (il 23 al Metropolitan di Catania, il 24 al Golden di Palermo), anticipata dall’unica presentazione del disco per l’isola, oggi pomeriggio alla Feltrinelli di Palermo (ore 17). «Mentre portavo in giro il tour
passato stavo già preparando Domino – racconta la cantautrice – . Soprattutto mentre cambiavo gli arrangiamenti di Naïf, poco a poco scoprivo l’intuizione del mondo che sarei andata a scoprire in questo nuovo album. Poi è arrivata Evita, che è stata un’esperienza in cui mi sono trovata a “ristudiare” la musica come quando andavo al conservatorio. Noi “del pop” – ammette a malincuore – un po’ ci impigriamo. Scegliamo di fare sempre una cosa rispetto a tutto il resto. Evita mi ha fatto riscoprire che la musica ha tantissime sfumature. Talvolta la melodia è ritenuta l’unica cosa che conta, ma tutto quello che le si muove intorno ha lo stesso peso, dalle questioni armoniche al ritmo». Durante le pause del tour di Naïf, la Ayane raggiungeva gli autori che l’avevano aiutata per quell’album e iniziava a gettare le basi per Domino, stavolta confrontandosi con loro di persona: «Quando ci siamo incontrati sembrava che tutto fosse già lì, come se avessi elaborato ogni canzone consapevolmente durante il tour di Naïf. È stato quasi un processo automatico, perché Domino era già contenuto nel mio passato». La «lezione», il «messaggio» che dà poi il titolo all’album è contenuta in quello che Malika immagina sia lo scenario ideale di Domino: «È un disco che racconta stanze e piccole scene che si svol-
Malika Ayane. Esce il suo nuovo disco e parte in tournée
Muti e la Caselli i suoi talent scout l Malika Ayane nasce a Milano nell’84 da padre marocchino e madre italiana. A 11 anni entra nelle Voci Bianche della Scala. Riccardo Muti la scopre e la fa cantare da solista. l Nel 2007 la scopre Caterina Caselli e le fa firmare un contratto con la Sugar Music. l Nel 2010, con «Ricomincio da qui» guadagnò il Premio della Critica Mia Martini ma la esclusero dalla finale di Sanremo e l'orchestra insorse. (*SIT*)
gono dentro queste stanze. Sono momenti intercambiabili della quotidianità, momenti in cui tutti si possono immedesimare. Il domino è basato sulla possibilità di ricombinare continuamente i pezzi. Se nella nostra quotidianità spostiamo un atteggiamento o un’abitudine andremo inevitabilmente verso cose differenti. Secondo me dovremmo più spesso guardare a tutto come una possibilità. Anche lo sconforto. Non pensiamo a reprimere qualcosa perché c’è un disegno o un modo “giusto” di fare le cose. Non esistono modi giusti o sbagliati in assoluto, bisogna vivere il momento in cui siamo. Ovviamente facendo dei piani, che non ci facciano però prendere da aspettative capaci di distrarci dal momento in cui siamo». (*TABUA*)
Ribelle per definizione, per c zione, per assonanza. La mu quel lontano 1968 non le m va mai a dire. Anni di ribellio nuovi linguaggi, di prese d zione e di grandi innamora 1968: è cambiata l’Europa e cinquant’anni si sta rischia cambiare di nuovo, anche non ci si riconosce più in qu dità. Su questi ricordi, rend contemporanei, si è innes nuova stagione di Curva M fondata e guidata da Lelio netto. Primo capitolo a m ora tocca al secondo che pa sera alle 19 allo Spazio Perri Cantieri Culturali alla Zisa compositore ragusano G Occhipinti. Tre weekend puntamenti, fino al 12 nove racchiusi sotto un titolo ch tutto: «Ri(e)voluzione - mu belle». Con una data da segn agenda immediatamente: il vembre, ritorna dopo parec ni, la famosa cantante sciam di Tuva (Siberia) Sainkho tchilack, vera leggenda v della voce, che darà vita a spettacolo Urban Tribe bas canto originario delle stepp riane, accompagnata dal c armonico e polistrum Mauro Tiberi (disponibili so posti). Il festival si apre dunque con i «Less of Five», uno dei p portanti e originali gruppi ni, guidato dal pianista e c sitore ragusano Giorgio Occ ti, e composto dal contrabb Giuseppe Guarrella, da Giam Fronte al sassofono e dal bat e compositore ennese Em Primavera. Domenica 28, jazz siciliano con «Perle di S doppio concerto, con i vir giovanissimi sassofonisti Marotta e Maria Merlino. A ventenni, i due ragazzi han lasciato la Sicilia: Marotta pe dra da dove parte di frequen tournée in tutto il mondo;
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Portare la danza in prima serata su Rai Uno e il 1° gennaio per me è una grande soddisfazione Roberto Bolle
Giornale di Sicilia I Mercoledì 19 Dicembre 2018
Contatto I spettacoli@gds.it
Domani sera in concerto al Politeama Garibaldi
A Palermo presentato il libro «Il patto sporco»
Ughi torna a Palermo: io legato a quest’Isola
Di Matteo: la trattativa non evitò altro sangue «Questa vicenda resta scabrosa e scomoda per il potere di ieri e di oggi» Giovanni Tarantino
«La musica che suono con l’Oss è un’arte che emoziona» Tancredi Bua PALERMO Il violino di Uto Ughi torna a Palermo al fianco dell’Orchestra Sinfonica Siciliana, e lo fa domani sera con un concerto al Politeama Garibaldi (si inizia alle 21, i biglietti sono ancora disponibili sul circuito VivaTicket, sul sito Internet www.orchestrasinfonicasiciliana.it, scrivendo all’indirizzo e-mail biglietteria@orchestrasinfonicasiciliana.it o direttamente al botteghino del teatro, un’ora e mezzo prima del concerto. Il costo va da un minimo di 18 euro a un massimo di 35). A portarlo ancora una volta nell’Isola è il progetto Energia in musica per l’Italia, promosso da Terna, l’operatore che gestisce in Italia le linee elettriche in alta tensione. «È un po’ come ai tempi dei mecenati – commenta il musicista, classe 1944, uno dei massimi esponenti della scuola violinistica italiana – in cui la cultura e l’arte erano veicolate in maniera non tanto diversa. L’operazione di “avvicinamento al pubblico”che oggi fanno alcune aziende o certe banche assolve un po’al compito che nella storia è stato dei papi, i principi, degli imperatori, dei nobili». Il fine è la conoscenza, la divulgazione della musica, due aspetti con cui Ughi si è già cimentato esattamente dieci anni fa, quando la Rai gli affidò la conduzione del programma Uto Ughi racconta la musica:
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«Quel progetto spiegava la musica anche in termini abbastanza illustrativi – racconta il Maestro – . Spiegavo cosa avrei suonato e poi lo eseguivo in certi posti molto belli anche dal punto di vista artistico. L’Italia è così ricca di siti archeologici, storici e artistici… mi piacerebbe ritornare a fare un programma del genere». Perché a distanza di dieci anni da quell’avventura, il pubblico forse ha ancora più bisogno di cultura, di arte, di musica. E non è vero che il gusto tende a un livellamento verso il basso: «Il pubblico – continua Ughi – accetta un po’quello che gli viene dato. Se la musica classica viene spiegata in modo piacevole, non noioso, non cattedratico, allora il giovane se ne lascia conquistare. La prova diretta l’ho avuta qualche giorno fa, a Messina. Ho dato un concerto e mi hanno chiesto di dedicare la mattina prima ai giovani. Ho tenuto un incontro a cui hanno partecipato i ragazzi di scuole medie e liceo, ed è stata un’esperienza piacevolissima. Mi facevano tutti domande, erano molto coinvolti. I giovani assorbono quello che viene dato loro, ecco. Sia in positivo, sia in negativo». Per il concerto di domani Ughi sta preparando una scaletta che «parte dal Concerto in La maggiore di Mozart, comunemente chiamato Concerto alla turca perché nell’ultimo tempo venne innestata una marcia turca, e arriva a una trascrizione per violino e orchestra della Carmen di Bizet. In mezzo, tanti pezzi emble-
Il violinista Uto Ughi. Domani a Palermo per un concerto promosso da Terna matici per violino, che risalgono al tardo romanticismo». Al fianco del musicista bustocchio, l’Orchestra Sinfonica Siciliana, con cui negli anni s’è instaurato una saldissima amicizia: «Non suono con loro dalla scorsa estate – ricorda Ughi – , quando andammo insieme al Teatro Antico di Taormina. Il rapporto con la Sicilia va avanti da metà anni Sessanta. Avevo diciotto o diciannove anni quando feci i primi concerti a Palermo, dapprima al Teatro Massimo, con la loro orchestra, e poi con
La scaletta Si parte dal Concerto in La maggiore di Mozart e si arriva alla Carmen di Bizet
l’Orchestra Sinfonica del Garibaldi. La musica che suono con loro è un’arte che non può mai far mancare l’emozione». Bach, Beethoven, Mozart o Čajkovskij «appartengono tutti a quella “grande musica” in cui si scoprono sempre grandi idee innovative. Ogni volta che ripeto quelle sinfonie, ogni volta che le ristudio, trovo sempre un lato da rispolverare. Ogni capolavoro che si esegue è una riscoperta che permette di rinnovarsi, di non lasciarsi andare all’abitudine, alla routine. Una pagina di musica non va mai ripetuta nello stesso modo due volte. Il lato creativo, in un certo senso il lato dell’improvvisazione, deve sempre essere sveglio e attivo. Ci sono delle regole, naturalmente, altrimenti parleremmo di musica anarchica, ma seguendole si può ancora creare tantissimo». (*TABUA*)
«La trattativa tra lo Stato e la mafia ci fu e provocò vittime innocenti. Le mani che muovevano i fili erano ben visibili». Ma per lungo tempo quelle mani non sono state viste, o meglio non le si è mai volute vedere. Il dialogo tra gli attori Claudio Gioè e Carmelo Galati, che interpretano Nino Di Matteo, sostituto procuratore nazionale antimafia, e Saverio Lodato, giornalista e scrittore, introduce in un teatro Biondo gremito la presentazione de «Il patto sporco. Il processo Stato-mafia nel racconto di un suo protagonista» (Chiarelettere). La narrazione di un processo storico nella testimonianza di Nino Di Matteo «protagonista - secondo Lodato - di un processo destinato a lasciare il segno», culminato in una sentenza che attesta che «un pezzo di Stato si è piegato ai boss». La sentenza che, per la prima volta, accosta il protagonismo della mafia a Berlusconi esponente politico e in cui carabinieri di alto rango, Subranni, Mori e De Donno, sono ritenuti colpevoli di avere tradito le loro divise. Una ferita nella memoria collettiva dell’Italia contemporanea. Quale memoria? È possibile ipotizzare una memoria condivisa su questi fatti? «Il patto sporco» in questo senso ribalta le prospettive già fornite da altri studiosi del fenomeno mafioso («La mafia non ha vinto» di Lupo e Fiandaca su tutti). Nel caso de «Il patto sporco» presentato dal direttore di AntimafiaDuemila Giorgio Bongiovanni, con gli interventi tra gli altri dell’avvocato Armando Sorrentino, di Giuseppe Lombardo, procuratore aggiunto di Reggio Calabria, e Carlo Smuraglia, presidente emerito Anpi - si sostiene che è la verità giudiziaria che sta contribuendo alla formazione della verità storica.
Secondo Armando Sorrentino: «Oggi abbiamo una pronuncia che chiarisce. Anche se non chiarisce tutto». «Non ci sono tante mafie, il sistema criminale è uno solo», il monito di Giuseppe Lombardo. «Di Matteo va avanti, se ne infischia delle critiche, delle invidie e delle minacce. E mi ricorda quelli che provavano fastidio per Falcone», il commento di Smuraglia sottolineato dagli applausi. Agevola, dunque, la comprensione della sentenza lo stesso Di Matteo: «La vicenda della trattativa resta scabrosa e scomoda per il potere di ieri e di oggi. Si è consolidato un atteggiamento negazionista. Il 20 aprile 2018, dopo la sentenza della corte, si è alzato il muro di gomma del silenzio. È utile ricordare: la trattativa fu avviata da uomini delle istituzioni, al di fuori e al di là di ogni previsione di legge. Quella trattativa riconobbe ai mafiosi la dignità di interlocutori paritari dello Stato. La trattativa non evitò altro sangue, le intenzioni stragiste non furono bloccate, anzi l’effetto fu devastante perché di fronte a uno Stato in ginocchio Riina e Cosa nostra pensarono che la strategia delle bombe pagasse. La sentenza sancisce che tre governi subirono le minacce di Cosa nostra ma nessuno degli uomini dello Stato denunciò quello che stava accadendo. Penso che questo Paese abbia paura della verità». (*GTA*)
L’autore. Nino Di Matteo FOTO FUCARINI
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Giornale di Sicilia Giovedì 20 Dicembre 2018
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L’artista del Capo in mostra a Dubai
Pepper, il fotografo a caccia dell’anima nella luce dei deserti Italo americano, da anni vive a Palermo: mi sento ambasciatore della Sicilia Antonella Filippi PALERMO
Un fantasy per l’attrice romana. Paola Cortellesi in una scena del film «La Befana viene di notte»
Da giovedì in sala il fantasy distribuito da Lucky Red
Cortellesi: io, Befana femminista faccio la guerra a Babbo Natale L’attrice romana: «Con questo film spero di alimentare il sogno dei bambini». E nel futuro nuovo impegno anche come autrice Emanuela Castellini ROMA «Con questo film spero di alimentare il sogno dei bambini», dice Paola Cortellesi – di giorno maestra elementare e di notte vecchietta che, a cavallo di una scopa, porta il 6 gennaio, regali, dolciumi e a volte un po’ di carbone ai piccini – nel fantasy «La Befana viene di notte», di Michele Soavi, nei cinema dal 27 dicembre con Lucky Red. L’attrice romana, nei panni della Befana viene rapita da uno strano personaggio, Mr Jhonny (Stefano Fresi) che ce l’ha con lei perché l’accusa di avergli rovinato l’infanzia, causa un dono che non gli ha consegnato. Tra scene mozzafiato ed effetti speciali girati tra Bolzano, Merano e la Val di Siusi, sulla neve sotto zero, i bambini della scuola dove insegna al mattino, scoperta la sua identità, tenteranno di liberala inforcando le proprie biciclette salendo
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verso il cielo, in una scena che richiama «Miracolo a Milano» di Vittorio De Sica. Cortellesi che ama la nostra città: «Adoro Palermo per la sua storia, la sua cultura, per la squisita ospitalità e anche per il buon cibo». E osserva: «Sia Palermo, che Ortigia che Taormina , che le isole minori, sono incantevoli e con la famiglia vengo tutte le volte che posso. Il mare, poi, è una favola». In attesa di capire se la Befana italica incasserà di più al boteghino della planetaria Mary Poppins- Emily Blunt si racconta con sincerità. Nella cinematografia internazionale
Il rapporto con la Sicilia «Adoro Palermo, la sua storia e anche il cibo... Quando posso vengo qui a staccare la spina»
ci sono molti film su Babbo Natale, mentre sulla Befana no. Come mai? «Forse perché è femmina? La mia Befana avverte una certa sofferenza per tutte le attenzioni destinate a Babbo Natale che viaggia a bordo di una slitta trainata da bellissime renne; che indossa un bel costume mentre lei porta una vecchia gonna da stracciona, ha il nasone e il ghigno che incute paura. In più lui fa anche la pubblicità a una cola famosa, mentre lei non è mai stata chiamata a reclamizzare nulla. E questa “guerra” dei sessi tra la Befana e Babbo Natale mi intrigava rappresentarla sul grande schermo». Lei ha una figlia piccola, Laura (avuta dal marito-regista Riccardo Milani), cosa ha detto nel vederla truccata da Befana? «Mia figlia sa che faccio l’attrice, le ho spiegato la mia trasformazione e che fingevo di essere lei. E’ venuta con me sul set e si è divertita. Il film lo vedrà il 27 dicembre».
Sta girando il nuovo film diretto da Riccardo Milani, con la stessa squadra di autori, lei compresa, di Come un gatto in tangenziale, può anticipare di cosa si tratta? «È una storia che ci piaceva raccontare, come facciamo di solito nei nostri film, affrontiamo un argomento che ci sta a cuore legato all’attualità, lo trattiamo con levità e sempre in chiave di commedia. Al mio fianco ci sarà ancora Stefano Fresi, non solo una bravo attore, ma anche un vero amico». Lei è diventata sceneggiatrice dei molti dei suoi film perché può avere più controllo sul piano lavorativo? «Sono autrice dei miei spettacoli teatrali e televisivi da oltre vent’anni. E quando i registi hanno iniziato a chiedermi di mettere qualcosa di mio anche nei personaggi che interpretavo per il cinema, mi sono buttata. Sento di avere più libertà nel raccontare storie alle quali tengo».
Le immagini che John Pepper ha scattato nei deserti di mezzo mondo - distese infinite di sabbia, di roccia o di sale arido - sono una radiografia di ciò che non è fotografabile, l’anima. «Dio creò il deserto affinché gli uomini potessero conoscere la loro anima», recita un detto tuareg. Infatti la prima foto da cui partire è proprio la sua, vestito di bianco, cravatta compresa, mentre lavora: è facile intuire come vibri a frequenze inconsuete per saziare l’implacabile esigenza di orizzonti infiniti. Anima inquieta, tra il 2015 e il 2017, John Pepper ha percorso 18 mila chilometri intorno al mondo, dalla Russia all’Egitto, dalla Mauritania all’Oman, agli Stati Uniti, e le sue foto oggi compongono la mostra «Inhabited Deserts» tra dune roventi, «kalut» e «pan», forme bizzarre, l’armonia delle distese di sabbia e la risorsa di cui abbondano i deserti, ovvero la luce. Tutto ciò che è arido e inanimato si trasforma e assume forme nuove. Come in un caleidoscopio in bianco e nero. Per provare un sentimento di meraviglia davanti a questo mondo devi avere prima il coraggio di perderti, come fa Pepper, fotografo italo-americano – nato a Roma dove il padre Curtis Bill è stato a capo della redazione romana del Newsweek, mentre Beverly, la mamma, è una famosa scultrice sceneggiatore, attore, regista, che si è formato sotto l’influenza di Henri Cartier-Bresson, Sam Show, John Ross e a soli 14 anni è diventato l’assistente di Ugo Mulas. «Io sono nato a Roma ma sono siculo d’adozione. Vivo al Capo e questa mostra, anche se lontana da Palermo, è il mio contributo alla città capitale italiana della cultura nel 2018. Mi sento un ambasciatore della Sicilia quando porto le mie foto in giro per il mondo. Non capita a molti di esporre in Israele le immagini del Dasht-e Lut, il deserto iraniano,
superando ogni divisione, grazie al direttore dell’Istituto italiano di cultura Fabio Ruggirello, o quando da Tel Aviv la mostra si sposta a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti per merito dell’ambasciatore Liborio Stellino che è di Alcamo. Amo attraversare barriere culturali, sociali, religiose e politiche, la cultura crea ponti». E il viaggio continua: «Inhabited Deserts» dopo Dubai andrà a Venezia, in Russia, fino a raggiungere la Svizzera, il Regno Unito, gli Stati Uniti e poi tornare a Roma nel 2021. Ancora John: «I deserti hanno sempre affascinato i fotografi ma io volevo andare oltre. Il mio obiettivo era quello di usare il deserto come un pittore usa una tela bianca: ho cercato il punto d’incontro tra ciò che era davanti a me e le immagini sepolte dentro di me. Come se fosse la fotografia a trovare me, non il contrario». Sfilano paesaggi surreali che fanno sentire intrappolati in un quadro di Salvador Dalì. Ha ragione Kerill Petrin quando scrive nel suo saggio critico che «nelle mani di Pepper, l’obiettivo diventa il pennello o lo scalpello con cui lui sfuma i confini tra il catturare qualcosa di già fatto e il creare qualcosa che non è mai esistito prima». Che, a pensarci bene, fa una gran bella differenza. (*ANFI*)
Anima inquieta. John Pepper durante i suoi viaggi nel deserto
del
21/12/2018
44 l Sport
Giornale di Sicilia Venerdì 21 Dicembre 2018
La telenovela della cessione
Palermo al bivio Inglesi nel cda, ma Zamparini riapre le trattative Cariche pronte per Richardson e Facile, ma Follieri ritenta la scalata al club Benedetto Giardina PALERMO Mentre il nuovo Palermo prende forma, il vecchio Palermo tiene in bilico un affare che non è ancora chiuso. Se in viale del Fante si prepara il terreno all’insediamento del nuovo consiglio di amministrazione, in Friuli Zamparini sembra aver riallacciato i contatti con tutti i soggetti già incontrati prima di «chiudere» con gli inglesi. Non solo: uno di questi avrebbe già assoldato uno studio legale per rifare ex novo la due diligence. Per chi si chiedesse dove fosse finito Follieri, la risposta è a Roma, presso lo studio legale Giambrone & Partners. È stato lì e il motivo della sua visita dovrebbe essere lo stesso di circa un mese fa: acquistare il Palermo. Impresa ancor più complessa, ora, perché ieri si sono poste le basi per l’ingresso di Richardson e Facile nell’organigramma amministrativo, in attesa di chiudere il proprio accordo entro il 30 dicembre. Data che, in realtà, è a forte rischio slittamento. Gli inglesi hanno a disposizione oggi, lunedì e altri due giorni, ovvero 27 e 28 dicembre. Tra sabati, domeniche e festività, la loro corsa al closing è di fatto ridotta a quattro tappe, salvo improbabili sorprese natalizie a mercati chiusi. Il tutto senza novità sostanziali da quella che si chiamerà Sport Capital Group, ma almeno fino a fine anno porterà il nome di Pelican House Mining. La società quotata in borsa nel listino NEX di Londra
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non ha ricevuto ulteriori iniezioni di capitale da parte del fondo Eight Capital, per mano di John Treacy. Intanto ieri è «spuntata» un altro Sport Capital, con Treacy e Richardson nel consiglio di amministrazione, l’ennesimo veicolo creato per un’operazione legata principalmente alla società che cambierà nome il prossimo 2 gennaio, dunque quella quotata. È attraverso di essa che Richardson intende raccogliere investitori per il progetto, ma al momento l’unico ad aver messo soldi risulta essere Treacy (e solamente 150 mila euro, messi in tre tranche nelle scorse settimane). Da Londra arriva solamente un commento da un portavoce del gruppo, che non si discosta da quanto comunicato a più riprese dagli attori di questa trattativa: «Sport Capital Group Investments ha un accordo preliminare per l’acquisizione del club al prezzo simbolico di dieci euro, ma ci sarà anche l’assunzione di determinati debiti riguardanti il club. Sarà necessario, per ogni nuovo investitore, fornire risorse finanziarie sostanziali al club per sviluppare l’infrastruttura». Insomma, un messaggio a chi ancora non c’è e dovrà esserci. Ogni nuovo investitore dovrà
Un’altra Sport Capital Il gruppo londinese ha creato un nuovo veicolo per portare a termine l’operazione
mettere cifre di un certo rilievo e al momento non c’è alcuna evidenza pubblica in merito alle finanze di chi acquisirà il Palermo. Solamente un viavai di società da capitali irrisori, alcune delle quali addirittura sottoposte ad una modifica del nome (è il caso della Jonzi23 Limited, in precedenza una delle varie Sport Capital create per l’occasione), che dovranno apportare in tempi brevissimi soldi freschi nelle casse del Palermo. Anche perché il 16 gennaio sarà già tempo di metter mano al portafogli, dato che bisognerà versare le ritenute fiscali e previdenziali sugli stipendi saldati negli scorsi giorni. Stipendi pagati da Zamparini, dato che il periodo di riferimento è quello in cui la proprietà fa riferimento all’imprenditore friulano. Anche quest’ultimo pagamento potrebbe essere effettuato dalle tasche dell’attuale patron, rendendo così la data del 16 febbraio quella della prima scadenza per i nuovi proprietari. Sempre aspettando di capire chi siano, visto che lo stesso Zamparini sembra aver riallacciato rapporti dati per chiusi con gente che ha cercato di rilevare le quote societarie. Nel caso di Follieri, inoltre, definirlo un rapporto chiuso sarebbe un eufemismo, perché da ambo i lati non sono mancate le minacce per adire le vie legali dopo le reciproche accuse scambiate pubblicamente ad affare sfumato. Eppure dall’avvocato sembra esserci andato solo per l’ultimo tentativo di scalata nel club rosanero. Due le ipotesi: cercare di in-
Inglesi in un esterno. Dean Holdsworth, Clive Richardson e Jake Lee
Il closing, sempre nei festivi... l Sempre di domenica, tanto per trovare delle giustificazioni agli slittamenti. E sempre in mezzo alle festività, per complicare situazioni che semplici già di per sé non lo sono. Quando Zamparini fissa una data per cedere il Palermo, c’è sempre qualcosa nel calendario che si trasforma in un intoppo. È successo con Baccaglini e sta succedendo anche ora con lo Sport Capital Group Investments, il gruppo con base a Londra che ha siglato un pre-contratto per l’acquisizione dell’intero pacchetto azionario. Il tutto con un closing da realizzare entro il 30 dicembre, che cade proprio di domenica. Fosse solo questo: cinque giorni prima è Natale e due giorni dopo è Capodanno. Un campo minato,
più che un calendario, tanto da rendere l’ipotesi di un rinvio a 2019 sempre più concreta. Nulla di diverso da quanto accaduto nel 2017, quando Zamparini sembrava aver chiuso l’operazione con Baccaglini. Primo closing fissato il 30 aprile, due settimane esatte dopo Pasqua, quindi anche in questo caso di domenica. E infatti la chiusura dell’affare slittò, fino a fissare l’incontro decisivo al 1° luglio e concludere con un nulla di fatto. Di buono c’è che in entrambe le domeniche il calendario ha piazzato una partita: in quella del 30 aprile 2017 il Palermo batté la Fiorentina per 2-0, vedremo cosa succederà in quella del 30 dicembre a Cittadella. (*BEGI*)
serirsi tra gli investitori cercati dagli inglesi, strada a dir poco impervia vista l’intenzione di rilevare il club in toto, oppure rinviare tutto dopo il 30 dicembre. Tutto questo mentre la pratica relativa alla variazione soci in camera di commercio rimane «sospesa» e il mese di gennaio si avvicina. Il mese in cui si avranno «evidenti difficoltà per far fronte alle obbligazioni», come scritto dal revisore dei conti Baker Tilly Revisa nell’ultimo bilancio, chiedendo interventi immediati per evitare situazioni critiche. Resta da capire chi sarà ad intervenire, vista la confusione emersa in queste settimane. Gli inglesi preparano il loro ingresso nel consiglio di amministrazione, Follieri e gli altri «rimbalzati» delle scorse settimane sembrano pronti all’ultimo assalto e il Palermo è ancora di Zamparini. In attesa del nuovo anno, quello che dovrà regalare un minimo di chiarezza sul futuro societario. (*BEGI*)
del
22/12/2018
38 l Cultura Spettacoli
Giornale di Sicilia Sabato 22 Dicembre 2018
Scatti d’autore Con «Guardando Artemide» il fotografo palermitano crea un atlante di volti dell’Isola lontano dagli stereotipi. Protagonista è il viso: «La parte del corpo da cui fluiscono le emozioni»
Morello racconta la bellezza siciliana
C Antonella Filippi
Le ragazze sono ritratte senza alcuna pruderie o voyerismo, con una naturalezza che abbraccia il sentimento e la ragione
Le ragazze In alto a sinistra Giulia Maenza e a seguire alcune delle giovani siciliane che hanno posato per il libro di Morello
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hissà quanto dovesse apparire bizzarro e ammaliante, per i primi soggetti fotografati, guardarsi su quello specchio di carta che tenevano tra le mani, riconoscendosi pur senza riconoscersi. Non esiste nessuna opera d’arte che venga osservata con attenzione quanto la propria fotografia, scriveva Alfred Lichtwark, nel 1907. Un pensiero contemporaneo, eppure lontano nel tempo da quella stranezza autoreferenziale che è il selfie. Quella che segue, invece, non è una storia di compulsiva autorappresentazione ma di pensati ritratti. A volte scattano dei meccanismi particolari che ci guidano verso dei percorsi inaspettati e qualcosa di simile deve essere successo a Paolo Morello, fotografo e storico della fotografia, quando decise, quattro anni fa, di intraprendere un lavoro che si discostava non poco dalla sua produzione: una potente e delicata raccolta di foto per indagare la profondità espressiva dei volti di giovani donne siciliane, che sarebbe inappropriato chiamare atlante della bellezza, perché c’è una narrazione dietro a ogni sguardo. È forse più una registrazione attraverso i visi di quella pièce teatrale chiamata società contemporanea, con tutte le sue contraddizioni, una conferma che la bellezza sta nelle differenze, e non c’entra con la moda o le etnie: è sinonimo di diversità. Belle perché diverse. Un progetto ambizioso, portato avanti con passione e dedizione, che ha prodotto il volume «Guardando Artemide» (Glint London), presentato ieri a Villa Zito. L’opera è stata in parte supportata dall’Ars: «Questi volti – commenta il presidente Gianfranco Miccichè - sono la metafora migliore di un’isola che è sintesi di grande bellezza estetica, morale e intellettuale, e di integrazione. Sono queste le immagini che devono rappresentarci». Spiega Morello: «Ho voluto offrire una veduta d’insieme della ricchezza multietnica e multiculturale della Sicilia ma anche riflettere su una società in rapida evoluzione, che si batte per affrancarsi dagli stereotipi della donna nera, baffuta, gracile e sottomessa, comuni a tanto cinema e a tanta letteratura degli anni Sessanta. Con questo progetto ho voluto innescare una riflessione collettiva, sulla discriminazione di genere». Il viso è la parte del corpo da cui fluiscono le emozioni, quelle che una bella immagine riesce a incastonare nei pixel della macchina o negli alogenuri d’argento dei rullini. Qui le ragazze sono ritratte senza alcuna pruderie o
voyerismo, ma con una naturalezza in realtà studiatissima: le pagine sono inondate da una ipnotica bellezza che abbraccia il sentimento e la ragione, e Morello si trasforma in cacciatore di quell’infinito istante, di quel lampo che poi «ferma» in un approccio quasi clinico, frontale, spoglio di orpelli. Basta l’espressione del viso e degli occhi per suggerire fragilità, sicurezza, eleganza, sensualità, sogno: «Guardando Artemide» è il prodotto di uno straordinario laboratorio sociale. Delle ragazze ritratte, solo alcune vantavano piccole esperienze di posa, di non grande rilievo, mentre la maggior parte si trovava per la prima volta di fronte a un apparecchio fotografico in uno studio professionale. La determinazione e il coraggio con cui hanno deciso di mettersi in gioco merita la più grande ammirazione. Davanti all’obiettivo, ciascuna di loro ha dovuto confrontarsi non solo con le proprie aspirazioni e le proprie insicurezze ma, soprattutto, con retaggi culturali atavici, con il sistema di pregiudizi e di valori entro cui è stata allevata”. Unica professionista, Giulia Maenza, finita dritta in copertina: la ricordate, bionda e bellissima, aprire la sfilata di Dolce&Gabbana a piazza Pretoria con un vestito ispirato a «Il Gattopardo»?
Già nel titolo Morello tira in ballo il mito di Artemide e Atteone, la dea e l’uomo. Lui che vede lei nuda, lei che lo trasforma in cervo che i cani sbraneranno. Come può un mortale immaginare di possedere il corpo di una dea? Riprende Morello: «Ma tra le righe del mito si legge anche la scoperta del proprio corpo come oggetto di desiderio». Le ragazze sono entrate nel tempio dell’insicurezza e dell’ansia quando hanno dovuto abbandonare il maquillage, come richiesto: «Il trucco è una maschera, un artificio per alterare o celare agli altri la propria identità; essere invitata a privarsene può far sentire una giovane donna estremamente vulnerabile». Infine la psicoanalisi, il tema del doppio: «Spunti di riflessione preziosi abbiamo tratto da un celebre saggio di Jacques Lacan, “Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io”, nel quale l’autore individua come uno dei momenti fondativi nel processo di costruzione dell’identità del bambino l’istante in cui, per la prima volta, riconosce sé stesso, guardando la propria immagine riflessa allo specchio». Ormai cresciute, le 70 protagoniste raccontano semplicemente una storia visiva che riconduce a un unico viso, quello della Sicilia più bella. Quella del futuro. (*ANFI*)
del
23/12/2018
Cultura Spettacoli l
Giornale di Sicilia Domenica 23 Dicembre 2018
45
Il piacere di leggere
Giornalisti, gli ultimi guardiani della verità Antonio Calabrò
L
a copertina di Time sulla «persona dell’anno» 2018 è dedicata ai «Guardiani» e alla «guerra alla verità». Ai giornalisti, cioè, che dall’Arabia Saudita alla Russia, dal Bangladesh alla Birmania, dagli Usa alla Turchia etc. cercano di fare buona informazione, nonostante pressioni, minacce, violenze del potere, sino a rischiare e talvolta perdere la vita. Vale così la pena dare retta all’inchiesta del settimanale Usa e ragionare sul mestiere del giornalista, anche prendendo in mano alcuni libri sul tema. «Grandi firme» e storie ben documentate. Si può cominciare con «Il mio Novecento» di Bernardo Valli, edito da Archinto. Una lectio magistralis all’università di Firenze, in origine. Un riepilogo asciutto d’un secolo visto e raccontato con l’occhio sia partecipe che disincantato (non è una contraddizione) del giornalista che ha visto cambiare il mondo, dall’Algeria alla Cina, dal Vietnam alla Russia e al Medio Oriente. Un secolo di stragi, ma anche di straordinari progressi, grazie ai progressi della ricerca scientifica. Valli ha intervistato politici, grandi intellettuali
Bernardo Valli «Il mio Novecento»
Giorgio Bocca «Miracolo all’italiana» FELTRINELLI
Cesare Roccati «L’uomo che coltivava conchiglie» ADD
Lucio Luca «L’altro ieri ho fatto quarant’anni» LAURANA EDITORE
(Lukacs, Lévi Strauss), rivoluzionari, persone del popolo. E ha raccontato, frasi brevi e dense, memoria colta, spirito d’osservazione affilato. La grande cronaca ha sapore di storia. Il giornalismo è, appunto, andare, vedere, cercare di capire e raccontare. Giorgio Bocca ne è stato maestro, fin da quando, giovane inviato speciale de Il Giorno, scriveva originali reportage sulle trasformazioni
economiche e sociali in Italia. Pagine memorabili, raccolte in «Miracolo all’italiana», un libro del 1962 che Feltrinelli ristampa, con prefazione di Guido Crainz. Vigevano, città d’industria delle scarpe, «milionari a battaglioni, librerie nemmeno una». Siena, potente centro di banche. Carpi con i magliai. Foggia con le speranze, poi frustrate, che lo sviluppo tocchi anche il Sud. E tante altre città ancora. «Fare
soldi, per fare soldi, per fare soldi». E una deludente borghesia che non capisce che «la società in cui vive non può continuare senza una civiltà che non sia quella pura e semplice dei consumi». Più di mezzo secolo dopo, quel giudizio resta purtroppo attuale. C’è un altro modo di guardare al giornalismo, quello sul lavoro in redazione. Di cui scrive Cesare Roccati in «L’uomo che coltivava conchiglie», edito da ADD. Storie e
memorie d’un giornalista che ha mescolato la cronaca sul campo e i reportage in tante aree del mondo all’essenziale lavoro di chi titola, impagina, «passa» i pezzi del colleghi, costruisce ogni giorno lo scheletro e i muscoli che tengono in piedi quel prodotto straordinario che è un quotidiano. Roccati, animato da una robusta passione per i temi politici e sociali, radici nelle campagne piemontesi, occhio lucido e
ARCHINTO
ironico sulla Torino della grande industria e dei conflitti, ha lavorato alla Gazzetta del popolo (compreso un periodo di autogestione dei redattori) e poi a La Stampa. Ha fatto il sindacalista. Ha scritto di cultura. Per la buona informazione è stato «un tranquillo combattente». Ed è proprio a persone come lui che si deve la qualità del nostro migliore giornalismo: curioso, indipendente, severo. Tutt’altro che incline alle fake news. Si rischia la vita, talvolta, per fare buona informazione. La si perde. Com’è successo ad Alessandro Bozzo, protagonista del romanzo-verità di Lucio Luca «L’altro ieri ho fatto quarant’anni», Laurana Editore. Cronista in un giornale di Cosenza, Bozzo. Appassionato, intransigente nella vischiosità dei compromessi locali di poteri e interessi, inviso al suo stesso editore (poi condannato per usura) che faceva di tutto per impedirgli di scrivere. Umiliato dalla cancellazione del contratto, malpagato quattro centesimi a riga, ricattato nel tentativo di piegarlo ai potentati calabresi. Sino alla crisi. E al suicidio. In vita, una lezione di resistenza e di dignità. In morte, un richiamo costante a quanto sia indispensabile una civile coscienza, soprattutto per cercare di fare fronte al degrado del Sud.
Prime cinema
Martone a Capri: la rivoluzione è anche arte e libertà Capri - Revolution Regia e Sceneggiatura MARIO MARTONE
Con MARIANNA FONTANA, REINOUT SCHOLTENN VAN ASCHAT, ANTONIO FOLLETTO
Origine ITALIA 2018
Eliana L. Napoli l Capitolo conclusivo di una trilogia che inizia nell’Italia risorgimentale con «Noi credevamo» e «Il giovane favoloso», Mario Martone con «Capri-Revolution» prosegue fino alla
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Prima Guerra Mondiale la sua ricerca di elementi anticipatori e rivoluzionari nel nostro patrimonio storico-culturale. Ma rivendica la contemporaneità dei temi trattati dal rapporto uomo natura, alle vecchie e nuove frontiere della medicina, dalla libertà in amore alla funzione dell’arte - in un film che vive di suggestioni e di armonie musicali e visive, in sintonia con un’isola mitica, da sempre naturale rifugio di chi sogna un mondo ideale e utopistico. E vi ambienta nel 1914, una comune pacifista, naturista e omeopata, guidata da Seybu (l’olandese Reinout
Scholten van Aschat), simile a quella realmente fondata a Capri dal pittore tedesco Karl Wilhelm Diefenbach che, con danze e riti mitici e ancestrali, esaltava la libertà del corpo e dello spirito. Di indole ribelle e indipendente, la capraia Lucia (la 21enne sensibile Marianna Fontana) vagabondando col suo gregge, la frequenta contro la volontà dei fratelli, che gridano allo scandalo. A far da contraltare anche un giovane medico (Antonio Folletto), che all’individualismo narcisistico di Seybu, contrappone la difesa del bene comune e della libertà,
Capri-Revolution. Marianna Fontana in una scena del film di Mario Martone
minacciati dall’imminente conflitto mondiale. Scritto insieme ad Ippolita Di Majo, elegante, colto, pieno di echi e di riferimenti, «Capri-Revolution» è un affresco affascinante e sperimentale che delinea appena i singoli personaggi privilegiando la visione d’insieme. Ancora Sascha Ring a connotare di sonorità elettroniche la suggestiva colonna sonora, mentre Michele D’Attanasio fotografata con magica tavolozza una Capri protagonista, selvaggia e omerica. Da segnalare il cameo di Donatella Finocchiaro, nel ruolo della saggia madre di Lucia. (*ELI*)
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31/12/2018
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