Dalle Parish Maps britanniche alle Mappe di Comunità italiane.

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Dalle Parish Maps britanniche alle Mappe di ComunitĂ italiane: semplice trasposizione o differente interpretazione? I contesti, gli obiettivi, gli approcci, gli effetti. di Turchi Agnese

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“La pianificazione urbana e territoriale mette le mani nella vita delle persone, ne organizza il quotidiano e cerca di interpretarne le speranze. Misura gli interessi in campo. […] Alle domande delle persone bisogna dare risposte che le affezionino al disegno complessivo previsto per il luogo in cui si svolge la loro vita e che le rendano partecipi delle scelte.”1 Leonardo Benevolo Abstract Nel presente testo sono esposte alcune riflessioni circa le Prish Maps britanniche e le Mappe di Comunità italiane: l’attenzione si è focalizzata sulle discrepanze riscontrate in seguito al confronto dei relativi processi partecipativi i quali, seppur puntino ad essere la trasposizione l’uno dell’altro nei rispettivi contesti di applicazione, tuttavia riportano differenze sostanziali. Il paper nasce con l’intento di fornire delle risposte ad alcuni dei molteplici interrogativi che potrebbero sorgere in merito alla questione. Il lavoro è strutturato in tre parti: la prima introduce il concetto di Parish Map (secondo l’accezione britannica del termine), ne specifica le origini, le componenti, gli scopi e gli utilizzi. La seconda parte consente di capire perché questo percorso di democrazia partecipativa è preferibile ad altri, di natura affine. Segue una terza ed ultima sezione in cui s’instaura un diretto confronto tra le Parish Maps britanniche e le Mappe di Comunità italiane evidenziandone le differenze e prestando particolare attenzione al caso di Montespertoli.

Oggigiorno la conoscenza dei luoghi e della loro identità è indispensabile per progettare il futuro: le differenze, gli stili di vita insorgenti, i saperi locali, le abitudini ed il rapporto dell’individuo con il contesto d’appartenenza risultano essere le chiavi di lettura di qualsiasi territorio2 si prenda in esame. Essendo il risultato di una serie di processi3 susseguitisi nel corso del tempo, è evidente come il territorio passi dall’essere considerato mero supporto di attività antropiche a vero e proprio essere vivente. L’ambito territoriale di cui facciamo parte non ha visto un’evoluzione lineare: alcuni rapporti d’interdipendenza tra le parti sono permasti, altri sono mutati, altri ancora decaduti. I sedimenti che dobbiamo riconoscere ed interrogare per poter dare origine ad un progetto (che sia puntuale o a scala territoriale) sono di due tipi: materiali e cognitivi. I primi costituiscono permanenze o persistenze fisiche, che consentono di individuare le regole insediative per lo sviluppo del territorio; i secondi riguardano tutto ciò che rientra nella sfera dei modelli socioculturali e dei saperi relativi ai processi evolutivi della comunità insediata. Nel momento in cui s’intraprende un percorso volto ad attuare uno sviluppo di tipo locale4 è opportuno adottare un metodo che veda nel rapporto dialettico tra contesto5 e progetto le sue fondamenta: le risorse ambientali, i caratteri patrimoniali, il modello urbano, le tipologie edilizie di un luogo devono rapportarsi direttamente con tutte quelle energie culturali e sociali che BENEVOLO Leonardo, 2011. La fine della città. Bari: Laterza & Figli, 2011. Il termine territorio è da intendersi secondo un’accezione prettamente territorialista. Questo non esiste in natura: si tratta del risultato delle interazioni tra ambiente fisico, naturale e antropico. È il prodotto di atti culturali dell’uomo in rapporto con l’ambiente: il territorio è l’ambiente dell’uomo. 3 Si fa specifico riferimento all’alternarsi di processi territorializzanti e deterritorializzanti. Questi comportano la continua trasformazione delle relazioni sul territorio e l’accumularsi (o il venir meno) dei sedimenti. 4 Lo sviluppo locale può intendersi come un progetto di crescita della società locale attraverso il riconoscimento e la valorizzazione del patrimonio territoriale: si assiste ad una reinterpretazione dei saperi i quali determinano la qualità dello sviluppo, le sue specificità e le sue differenziazioni. 5 Il contesto è qui inteso in senso globale come insieme di tutti i caratteri (materiali e immateriali) di un territorio. 1 2

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provengono dal luogo stesso e fanno di esso un territorio. Ecco quindi che assumono rilevanza le relazioni tra i soggetti coinvolti, i saperi e le tecniche di gestione del suolo, le interazioni tra città e territorio agricolo, i criteri di localizzazione di un insediamento (rispetto alla morfologia del terreno, alla geologia, al clima, alla vegetazione, alle comunicazioni, ecc…) ma anche le permanenze linguistiche, etniche e culturali, la tradizione artistica e il senso di appartenenza. È evidente pertanto come sedimenti materiali e sedimenti cognitivi siano complementari e come gli uni non possano prescindere dagli altri. Nel momento in cui si parla di progetto territoriale o, a maggior ragione, di piano territoriale è necessario sottendere un approccio multidisciplinare: non si opera in modo settoriale quanto secondo una visione d’insieme che considera l’interdipendenza tra i settori. In quest’ottica appare evidente la necessità di adottare una strategia che miri a valorizzare le relazioni esistenti tra attori e contesto e ad instaurarne di nuove. La funzione di progettazione dovrebbe stimolare il progetto comune, portando gli esperti che operano in essa a mettere le loro competenze specifiche a disposizione degli attori. È importante che il bagaglio culturale degli esperti interagisca in maniera costruttiva con i linguaggi e le competenze locali, con i saperi contestuali che possono incrementare la valorizzazione del patrimonio territoriale. Tutto questo secondo un’ottica del tutto partecipativa per cui l’attore principale è costituito dagli abitanti (che generalmente hanno maggiori difficoltà a relazionarsi con il linguaggio degli esperti). “In questo modo, restituendogli un’identità collettiva, il territorio viene sottratto al mondo del “semplicemente a disposizione” per entrare in quello della “responsabilità sociale” e quindi del progetto condiviso” (Magnaghi, 2010). Così la partecipazione va intesa come capacità degli abitanti di riappropriarsi di tutte quelle competenze necessarie a partecipare alla progettazione e alla gestione dell’ambiente in cui vivono: in questo modo hanno la possibilità di esprimere pareri su ciò che gli altri devono fare e, ciò che è più importante, esprimere saperi e culture per la riproduzione, la cura, la manutenzione e la valorizzazione del territorio che abitano. Inoltre è opportuno considerare che non sempre i tecnici sono in grado di riconoscere i molteplici elementi che definiscono l’identità fisica di un luogo e definire regole che la riproducano. “La pianificazione territoriale urbanistica usualmente praticata rivolge l’attenzione, nei casi migliori, a garantire la riproducibilità delle risorse naturali, la funzionalità dei nuovi insediamenti, un minimo di giustizia distributiva fra i beneficiari della rendita fondiaria ed edilizia derivante dalle nuove espansioni e coloro che invece ne subiscono le conseguenze in termini di maggiore carico urbanistico, trasformazioni del paesaggio, ecc… La qualità dell’identità fisica delle nuove trasformazioni, e il rispetto della preesistente architettura del territorio da parte di queste sono generalmente affidate all’eventuale sensibilità dei progettisti del singolo intervento, ai vincoli e/o al parere delle competenti Sovraintendenze...” (Marson, in Magnaghi, 2010) È in tale contesto che assumono un ruolo significativo gli strumenti partecipativi finalizzati all’auto-conoscenza e all’auto-rappresentazione. Strumenti basati su una forte inter-azione tra amministrazione o governi locali, esperti e società civile non sono la soluzione ai limiti della pianificazione ma certamente costituiscono un buon modo per prendere coscienza della propria identità e fare di quest’ultima la “grammatica”6 della pianificazione (Marson, in Magnaghi 2010).

L’aspetto dei luoghi sottende una grammatica estremamente complessa. Tale grammatica può essere rivoluzionata ma conoscere le sue regole è di fondamentale importanza per trasgredirle in modo consapevole. 6

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Strumento particolarmente adatto a questo tipo di approccio è quello della Parish Map7 britannica. Ritengo opportuno specificare il contesto d’origine non solo per collocare geograficamente questo strumento ma anche e soprattutto per distinguerlo da quella che reputo essere la sua diversa interpretazione8 una volta trasposta in ambito italiano: la Mappa di Comunità9. Di questo aspetto, tuttavia, si parlerà più avanti. Costruire una Parish Map significa esprimere valori riconosciuti collettivamente, essere coinvolti nelle questioni che interessano il luogo e farsi carico delle problematiche che lo riguardano. L’obiettivo dominante è la messa in evidenza della ricchezza del patrimonio locale facendo emergere in che modo gli abitanti di una determinata area percepiscono il loro territorio. Quando si parla di patrimonio, oltre a considerare tutti quegli elementi, non solo puntuali, che costituiscono dei capisaldi (i quali conferiscono valore aggiunto), si presta particolare attenzione a come i soggetti interessati vivono e sentono tali capisaldi. Pertanto una Parish Map è molto di più che una semplice rappresentazione del territorio: è opportuno andare oltre comunicando, attraverso segni semplici, l’infinita complessità del sistema di relazioni che intercorrono tra i luoghi e i loro abitanti, mettendo in evidenza la significatività degli elementi. Quindi per dare rilievo a quelli che precedentemente sono stati definiti sedimenti cognitivi, è necessario fare degli abitanti del territorio i principali attori del processo partecipativo. Attraverso una serie di domande preliminari,10 questi ultimi si trasformano in “esperti” e ciò li incoraggia a liberare passioni e conoscenze rispetto al luogo in cui vivono. È chiaro che nel momento specifico di costruzione della mappa si può decidere cosa includere e cosa escludere senza preoccuparsi della convenzione; inoltre si è liberi nell’utilizzo di materiali, simboli, parole, nella scelta o meno della scala, nella definizione dei confini, nei riferimenti a leggende e credenze locali. Si può dire che una Parish Map è espressione dello spirito del luogo, più precisamente del genius loci.11 È proprio questa estrema libertà di rappresentazione che avvalora l’efficacia dello strumento: se il soggetto interessato si sente libero di esprimere se stesso (consapevole del fatto che qualsiasi contributo egli dia possa costituire un tassello importante di un complesso mosaico da costruire), automaticamente le informazioni che apporterà saranno tanto soggettive quanto vere. Pertanto,

L’espressione Parish Map, nata in seno all’esperienza britannica del Common Ground (ente no-profit dedicato a promuovere il sentimento di appartenenza degli abitanti ai luoghi attraverso azioni che ispirino la dimensione creativa), è costituita di due componenti. La prima è individuata dal termine Parish che letteralmente significa “parrocchia” e deriva da una ripartizione amministrativa di tipo ecclesiastico, unità di misura del paesaggio sin dai tempi degli Angli e dei Sassoni: qui è usato con il significato di “piccola comunità”. In Italia potrebbe corrispondere a un “piccolo comune” o a una borgata (erroneamente, poiché si ha la tendenza a considerare non tanto la dimensione locale in senso generico quanto quella amministrativa), quindi viene tradotto con “comunità”. La seconda componente è individuata dal termine Map, “mappa”, sintesi del territorio che essa rappresenta, espressione di una volontà di gestione e presa di coscienza del luogo. 8 Trasporre uno strumento di democrazia partecipativa da un luogo (d’origine) ad un altro può significare adattare lo strumento al contesto preso in esame. Talvolta ciò comporta trasformazione delle modalità d’approccio a discapito della riuscita del processo. 9 La Mappa di Comunità, secondo l’accezione italiana, nasce come declinazione della Parish Map. I primi esperimenti riguardano gli ecomusei: questi ultimi intervengono sullo spazio di una comunità e propongono come “oggetti del museo” non solo quelli della vita quotidiana ma anche i paesaggi, l’architettura, i saperi, le testimonianze orali della tradizione. 10 Le domande poste ai cittadini partecipanti sono tra le più varie: Cosa si ritiene importante e significativo del luogo esaminato? Cosa lo rende diverso da tutti gli altri luoghi? A cosa si attribuisce valore? Cosa si vorrebbe conoscere? Quali sono i miglioramenti possibili? ecc… 11 Per genius loci s’intende lo spirito del luogo: più specificatamente significa sentire un luogo e saperlo abitare, riconoscersi nelle sue parti e appartenergli. 7

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se si pensa al progetto “West Sussex Parish Map”12 si può affermare con assoluta certezza che ciò che distingue questo strumento partecipativo da tutti gli altri sino ad oggi incontrati è la volontà di creare una sorta di registro permanente delle persone e dei luoghi appartenenti a ciascuna contea, entro una data prestabilita. Sebbene le limitazioni di tempo per la redazione della mappa possano apparire un ostacolo alla buona riuscita del processo, tuttavia, essendo la mappa un documento estremamente flessibile perché non imbrigliato dagli schematismi del sapere tecnico, può essere assoggettata a rivisitazioni successive13. Rispetto ad un Focus Group, ad uno Scenario Building o ad un World Cafè (basati rispettivamente su “interviste” di gruppo, discussioni collettive o discussioni in raggruppamenti di 4-5 persone) la Parish Map, oltre a stimolare un dialogo intorno a tematiche d’interesse sociale, consente il raggiungimento di un risultato concreto. Per di più se si pensa alle modalità di redazione della mappa è chiaro come il documento sia un prodotto tutto cittadino: non è la diretta conseguenza di domande strutturate consequenzialmente, quanto piuttosto la conclusione di una discussione sviluppatasi da sé; infatti dopo alcuni input iniziali dati attraverso una serie di domande generiche, le argomentazioni prendono campo da altre argomentazioni e raggiungono un più alto grado di complessità. Le Parish Maps, necessitando di tempistiche mediamente lunghe che possono raggiungere la durata di 4-5 mesi (di contro allo Scenario Building che occupa solo alcuni week-end, al Focus Group e al World Cafè che necessitano entrambi di un lasso di tempo di circa 1 mese) permette ai partecipanti di metabolizzare le informazioni ottenute di volta in volta durante gli incontri e, conseguentemente, porsi ulteriori domande in grado di alimentare nuovi dibattiti. “Tempistiche mediamente lunghe” significa dover sostenere costi minori (rispetto, ad esempio, a quelli che bisogna affrontare quando si utilizzano strumenti di democrazia deliberativa come il Consensus Conference o il 21st Century Town Meeting, della durata di oltre un anno). Trattandosi di uno strumento che si basa sostanzialmente sul libero dialogo tra i cittadini, svincolato da qualsiasi tecnicismo e schematizzazione di percorso, la Parish Map non corre il rischio di porre i partecipanti su piani differenti. Un Focus Group, ad esempio, necessita di un moderatore che crei un’atmosfera adatta affinché i partecipanti si sentano a proprio agio e liberi di esprimere le proprie opinioni; questi non deve assumere il ruolo di leader, che il gruppo vorrebbe affidargli spontaneamente, ma stimolare le persone a parlare e, allo stesso tempo, conoscere le dinamiche di gruppo per capire quando è necessario il suo intervento, per affrontare e gestire eventuali problemi. Rischi simili si corrono nell’ambito del World Cafè e dello Scenario Building se si pensa alla figura del facilitatore e al ruolo che assume nell’assemblea plenaria finale (che sia aggregativa dei vari gruppi o semplicemente collettiva). Certo è che, nel caso di questi ultimi strumenti, il rischio d’interferenza da parte del facilitatore è comunque minore: la fase del grouping permette ai partecipanti di riunirsi in piccoli gruppi e discutere liberamente sulle tematiche proposte/affrontate in fase plenaria.

Si tratta di un progetto svoltosi nel West Sussex (sud-est dell’Inghilterra) a partire dal 1998 e tutt’ora in corso. Originariamente previsto della durata di quattro anni, il processo prevedeva la redazione di 83 mappe; ad oggi si è giunti alla redazione di ben 183 mappe “parrocchiali”. 13 Nel caso del Focus Group, dello Scenario Building e del World Cafè, il processo partecipativo si conclude con un’assemblea plenaria, solitamente accompagnata da documenti riassuntivi. Una volta terminato, il suddetto processo può definirsi chiuso. Invece il percorso di Parish Map, concludendosi con la redazione di una mappa, consente di apportare in itinere modifiche al documento (qualora gli incontri precedenti e le assemblee tra gli attori siano risultati insufficienti al chiarimento di alcune questioni trattate). 12

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Si potrebbe pensare che uno strumento equiparabile alle Parish Maps sia il Planning for Real in quanto il processo si conclude con la costruzione di qualcosa di concreto14, in cui la manualità e la creatività dei cittadini sono i protagonisti. In realtà i due strumenti siano profondamente differenti. Nel primo caso lo scopo primario è il consolidamento dell’identità locale attraverso la riflessione, la scomposizione delle peculiarità del luogo e l’analisi delle problematiche. Nel secondo caso invece il risultato del percorso è un plastico funzionale alla rappresentazione delle nuove proposte di riqualificazione, scaturite dagli incontri preliminari durante il processo partecipativo. Quest’ultimo strumento, diversamente dalle Parish Maps, sin dai primi steps vuole raggiungere una conclusione che possa essere concreta e, perché no, realizzabile. Se si mettono in parallelo i due strumenti si nota come, già dalle prime battute, le modalità di azione siano differenti: da un lato la parish map intende porre le basi per una pianificazione consapevole, attraverso la sensibilizzazione generale dei cittadini, la riscoperta dei valori e delle proprie origini (la concretezza di questo strumento sta nell’acquisire una coscienza del luogo che funga da ponte verso la pianificazione); dall’altro il Planning for Real ambisce a raggiungere un risultato immediato, nel tentativo di risolvere uno o più problemi. La chiave della Parish Map risiede nel potere comunicativo del disegno: che sia un collage, una tela ricamata o una rappresentazione astratta non ha importanza. Non si tratta di giudicare la qualità della rappresentazione quanto piuttosto l’efficacia, o meglio la forza, con cui trasmette i valori di una comunità, quindi “il sentire” locale. Il modo con cui viene steso un colore, i simboli utilizzati, le connessioni grafiche tra le componenti del disegno e i materiali aggiungono qualcosa in più rispetto alle parole pronunciate nel corso di un Focus Group, di uno Scenario Building o di un’assemblea di un Forum. Nel momento in cui si effettua un confronto visivo tra una mappa britannica e una mappa italiana, risulta evidente come il processo di democrazia partecipativa per la costruzione di una Parish Map abbia risentito di interpretazioni differenti. A tal proposito c’è da chiedersi se sia il caso di distinguere i percorsi e considerarli due forme di partecipazione distinte. Si riportano di seguito tre esempi di mappe, ognuna prodotta in un contesto differente: la prima è il risultato di un percorso svoltosi a Montespertoli (FI) nel 2008, tra maggio e settembre; la seconda e la terza sono due esempi molto diversi di mappe britanniche, redatte nel corso di un processo partecipativo svoltosi nella contea inglese del West Sussex a partire dal 1998 e tutt’ora in corso (nel tentativo di “mappare” ben 183 mappe parrocchiali).

Questo strumento si basa sulla costruzione di un plastico dell’area esaminata con l’intento di simulare le trasformazioni che si vogliono apportare. 14

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Figura 1 - Mappa di ComunitĂ di Montespertoli, 2008. In: Magnaghi Alberto (ed.), Montespertoli: le mappe di comunitĂ per lo statuto del territorio, 2010.

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Figura 2 - Parish Map britannica. Lo stile utilizzato è quello più tradizionale che affianca, all’inquadramento generale del territorio preso in esame una serie di oggetti, simboli, monumenti, vedute di paesaggi, leggende, ecc... come se si rattasse di un’unica grande narrazione, attraverso gli occhi degli abitanti del luogo. In: www.commonground.org.uk

Figura 3 - Parish Map britannica. In questo caso la rappresentazione è meno tradizionale ed utilizza i materiali più vari: stoffa, carta, fili, ecc… Il risultato è un disegno astratto, a metà tra una mappa e un’opera d’arte. In: www.commonground.org.uk

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Si cerca di dare qui di seguito una spiegazione a questa strana vicenda nel tentativo di capire perché entrambi i processi, pur tentando di valorizzare l’identità del luogo e creare valore aggiunto territoriale, siano giunti a risultati così lontani tra loro. Il primo aspetto determinante è l’origine dello strumento. La Parish Map nasce intorno alla metà degli anni ’80 grazie all’associazione ambientalista noprofit Common Ground. L’intento dell’operazione di community mapping era quello di riaprire il dialogo tra l’uomo e la natura al fine di conservare, arricchire e migliorare la qualità dei luoghi di tutti i giorni. Per celebrare il territorio era necessario conoscere le sue componenti, prestando particolare attenzione a quei caratteri identitari sui quali si basava l’inscindibile connessione tra uomo e luogo. Quindi si può dire che la mappa di comunità doveva essere (e dev’essere tutt’ora) un mezzo attraverso cui imparare ad apprezzare le proprie origini, tradizioni e usanze. In Italia queste mappe si sono sviluppate all’interno delle esperienze degli Ecomusei, ambito ben definito e con scopi precisi quali: promozione di attività didattiche e di ricerca grazie al coinvolgimento diretto della popolazione e delle istituzioni locali, riappropriazione del proprio patrimonio culturale, valorizzazione dei beni patrimoniali. È opportuno sottolineare che l’“esposizione vivente” nasce già proiettata in direzione di una pianificazione. Ciò significa che proprio il produrre una mappa significa rispondere alla necessità di organizzare il lavoro sulla base di un progetto futuro. Ciò è ancora più evidente se si pensa al caso di Montespertoli. In questa circostanza le mappe di comunità hanno avuto una finalizzazione addirittura più complessa:  la costruzione del quadro conoscitivo dei valori rappresentanti il territorio, l’ambiente e il paesaggio è stata funzionale alla formazione di uno statuto partecipato; per cui la stesura delle mappe di comunità è stata piuttosto originale poiché costituita da quadri identitari che solo successivamente sono stati interpretati da carte di obiettivi statutari condivisi;  l’articolazione per laboratori di frazione ha portato alla rivendicazione e attuazione di “statuti di frazione” con elementi identitari peculiari al luogo (quindi molto più ricchi e articolati di uno statuto comunale);  le invarianti strutturali individuate riguardano i valori patrimoniali relativi all’intero territorio come individuati dalle mappe. Pertanto, iniziare un processo partecipativo per la costruzione di una mappa con intenti di questo tipo significa intraprendere un percorso piuttosto rigido, difficilmente assoggettabile a possibili variazioni in itinere. Se poi si rende la mappa di comunità il principale strumento di supporto della fase analitica per la formazione di un Piano Strutturale, ecco che automaticamente la mappa tende ad accogliere tutti quei tecnicismi che dovrebbero restarne fuori: in questo modo la rappresentazione si colloca in una posizione intermedia tra una rappresentazione artistica (propria delle Parish Maps britanniche) e una tavola di analisi (caratteristica della rappresentazione territoriale, in chiave tecnica). Quindi si veda come il secondo aspetto determinante sia costituito dal linguaggio specifico di ciascuna mappa. Nel caso della Parish Map le tecniche utilizzate possono essere molto varie. Le rappresentazioni più fedeli alla tradizione solitamente riportano l’inquadramento del territorio preso in esame senza però far ricorso a documenti cartografici veri e propri: il disegno può essere una prospettiva “a volo d’uccello”, una semplice pianta fuori-scala (in cui gli elementi puntuali preminenti sono sovradimensionati rispetto al contesto), oppure uno schema indicativo. L’intera 9


rappresentazione è dominata da tutte quelle componenti che gli attori hanno messo in rilievo nel corso degli incontri e che costituiscono l’essenza del luogo: monumenti, opere d’arte, specie animali e vegetali, paesaggi e leggende. Centrale è il rapporto tra uomo e natura. Invece le rappresentazioni più artistiche escono dallo schema tradizionale dell’illustrazione accurata per abbracciate tecniche più astratte: collage, collage misti a pittura, sola pittura, ricami, ecc… L’utilizzo di queste tecniche è estremamente importante in quanto permette agli abitanti di approcciarsi più facilmente allo strumento partecipativo. Inoltre lavorare con i materiali e i colori più diversi consente agli attori di liberare la creatività nascosta, consapevoli del fatto che ogni forma d’espressione è importante per la riuscita del processo. Nettamente diverso è stato fino ad ora l’approccio delle mappe in ambito italiano. Nella redazione di una Mappa di Comunità come quella di Montespertoli i sistemi di narrazione e visualizzazione delle relazioni tra persone e luoghi raccontano il territorio con linguaggi grafici comprensibili a tutti. È evidente come gli strumenti informatici siano stati essenziali per la redazione di questa immagine: il “disegno a mano libera” (costituente una sorta di scenario strategico condiviso e raffigurante il centro di Montespertoli, le direttrici da valorizzare e le riqualificazioni del verde agricolo e della trama agraria) è sovrapposto ad una base cartografica ottenuta con tecniche digitali (si tratta dell’hillshade, un’ombreggiatura che consente di avere la modellazione del terreno). In questo modo si predilige il segno semplice, scarno di elementi ma comunicativo di concetti complessi e articolati: il linguaggio può definirsi selettivo. Altri esempi in cui è possibile riscontrare un approccio tecnico per la redazione della mappa sono: la Mappa della Comunità di Raggiolo (AR), conclusione di un progetto promosso dalla Comunità Montana del Casentino e dall’Amministrazione Comunale di Ortignano Raggiolo, nell’ambito dell’Ecomuseo del Casentino, al fine di conoscere la percezione che gli abitanti hanno del proprio contesto di vita e per produrre un risultato concreto e tangibile, di programmazione delle attività (una sorta di “piano disegnato”); la Mappa di Comunità di Parabiago (MI), progetto promosso dagli assessori alle Politiche Ambientali, Urbanistica e Istruzione volto a conoscere il patrimonio materiale e immateriale per creare un promemoria e progettare consapevolmente il futuro; ecc… Tutti questi documenti sono caratterizzati, come nel caso della mappa di Montespertoli, dall’utilizzo di una base cartografica funzionale a guidare la rappresentazione. Gli elementi che contraddistinguono il territorio esaminato sembrano giustapposti alla carta sottostante: si ha l’impressione che quest’ultima sia la reale protagonista e che tutte le componenti che si riferiscono all’identità del luogo siano solo di completamento. Probabilmente queste sono le dirette conseguenze di differenti modalità di redazione delle mappe. Le Parish Maps sono prodotte dalle stesse comunità locali che conoscono tutto del luogo in cui vivono. I soggetti che vi lavorano sono persone che disegnano in maniera amatoriale. La loro professionalità risiede nel fatto che conoscono i dettagli, la vita di tutti i giorni e gli aspetti principali. Sono persone che abitano il territorio con le loro abilità e i loro saperi, con un sentimento personale rispetto al luogo dove vivono. Le Mappe di Comunità invece, sono generalmente redatte da cartografi, paesaggisti, pianificatori, architetti, artisti, storici, naturalisti di professione; in questo modo, sebbene si ottenga un risultato equilibrato in tutte le sue parti e facilmente sfruttabile per documenti ufficiali, tuttavia si produce un documento che si discosta nettamente dagli intenti delle originarie Parish Maps britanniche. A Montespertoli, nello specifico, gli incaricati alla produzione delle mappe sono stati esperti di associazioni locali (ambientaliste e di salvaguardia e valorizzazione del territorio), studenti della Facoltà di Architettura di Firenze 10


(Polo di Empoli) e alcuni ricercatori coordinati dal Prof. Alberto Magnaghi: “I gruppi [cittadini] di lavoro15 hanno indicato luoghi, paesaggi, percorsi che caratterizzano l’identità del territorio riportando le informazioni, con l’aiuto dei tecnici, su mappe e schede; hanno dato indicazioni di tipo statutario e hanno avanzato proposte per il PS su temi d’interesse collettivo (la percorribilità, i servizi, gli spazi pubblici, la qualità e quantità dell’edificazione, la valorizzazione ambientale, ecc. )” (Giani & Rubino, in Magnaghi, 2010). A questo punto dell’analisi è evidente come il processo di Community Mapping abbia risentito di una differente interpretazione nel momento in cui si è passati dal contesto britannico al contesto italiano. C’è da chiedersi il perché. Una spiegazione, alquanto semplicistica, potrebbe essere quella secondo cui la trasposizione di uno strumento partecipativo così poco “tecnico” dal suo luogo d’origine a un altro luogo comporterebbe inevitabilmente un fraintendimento. In realtà i motivi reali sono di ben altra portata e riguardano una serie di pregiudizi circa la partecipazione. Spesso si percepisce il generale timore, da parte delle amministrazioni, che un processo partecipativo possa in qualche modo comportare l’entrata in pieno campo di cittadini e associazioni. Sembra che l’affermazione della figura del tecnico o dell’esperto (come intermediario tra amministrazione e cittadinanza) sia un modo per ristabilire i ruoli e le posizioni. La Parish Map, o meglio la Mappa di Comunità secondo la traduzione italiana del termine, si fonda esclusivamente sul contributo libero che la collettività dà nel corso processo di ricostruzione dell’identità locale. Poiché è espressione del genius loci di un territorio, quest’ultima andrebbe ricercata nei luoghi, nei manufatti, nella gente. Una volta conosciuto il contesto attraverso gli occhi di chi lo vive, è possibile procedere con la progettazione/pianificazione del territorio. Risulta evidente che privare la mappa del suo significato comporta il dare origine ad un documento che non risponde più allo scopo per cui era stato concepito: si ha, in sostanza, un documento diverso. Ecco quindi che forse è opportuno chiarire ciò che si dovrebbe intendere per partecipazione. Questa, non solo in quanto partecipazione dei cittadini ma, più in generale come strategia di coinvolgimento degli attori interessati, è un processo di progettazione collettiva avente come obiettivo principale sia la produzione che l’utilizzo della conoscenza (che sia scientifica, ordinaria o di altro tipo); ciò significa sviluppare processi di apprendimento da parte degli attori coinvolti nel processo, con lo scopo di aumentare sia l’efficacia che l’efficienza del processo decisionale. Quindi la Parish Map/Mappa di Comunità non deve essere il punto di arrivo ma il punto di partenza.

Il processo partecipativo è stato articolato in due fasi: la prima è consistita in una serie d’interviste, un sondaggio telefonico, incontri con associazioni locali e diverse iniziative pubbliche; la seconda è stata caratterizzata da una serie di incontri pubblici nelle diverse frazioni del comune di Montespertoli, e si è conclusa con tre giornate tematiche di discussione pubblica. Questa seconda fase è stata affiancata da gruppi di lavoro che si occupassero della redazione delle mappe partecipate. 15

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Bibliografia: BAILETTI Franca (ed.), 2007. Sapere tecnico-Sapere locale. Conoscenza, identificazione, scenari per il progetto. Firenze: Alinea Editrice s.r.l., 2007. BENEVOLO Leonardo, 2011. La fine della cittĂ , Bari: Laterza & Figli, 2011. CROUCH David & MARTLESS David, 1996. Transaction of the Institute of British Geographers. The Royal Geographical Society (with the Institute of British Geographers), 1996. MAGNAGHI Alberto (ed.), 2001. Rappresentare i luoghi. Metodi e tecniche. Firenze: Alinea Editrice s.r.l., 2001. MAGNAGHI Alberto (ed.), 2010. Montespertoli: le mappe di comunitĂ per lo statuto del territorio. Firenze: Alinea Editrice s.r.l., 2010. NORBERG-SCHULZ Christian, 2011. Genius Loci. Paesaggio, ambiente, architettura. Verona: Mondadori Editori S.p.A., 2011.

Sitografia: http://commonground.org.uk/ http://www.jstor.org/ http://www.mondilocali.it/ http://www.mappadicomunita.it/ http://lapei.it/ http://cityandeurope.unifi.it/

*Immagine di copertina: www.commonground.org.uk

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