n° 80 - dicembre 2013
Poste Italiane Spa
Meteorologia alpina, Glaciologia, Prevenzione Sicurezza in montagna
SPECIALE GLACIOLOGIA Clima e manto nevoso su Alpi Italiane Evoluzione 100 anni ghiacciai dolomitici Criosfera sotterranea Ghiacciaio Canin Stima volumetrica Ghiacciaio M. Sobretta Rischi glaciali in Valle d’Aosta Monitoraggio del permafrost in Piemonte Nuovi geotessili al Ghiacciaio del Presena
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Indirizzi e numeri telefonici dei Servizi Valanghe AINEVA dell’Arco Alpino Italiano REGIONE PIEMONTE ARPA Piemonte Dipartimento Sistemi Previsionali Via Pio VII 9 - 10135 TORINO Tel 011 19681340 - fax 011 19681341 http://www.arpa.piemonte.it e-mail: sistemi.previsionali@arpa.piemonte.it REGIONE AUTONOMA VALLE D’AOSTA Assessorato Opere pubbliche, difesa del suolo e edilizia residenziale pubblica Direzione assetto idrogeologico dei bilanci montani Ufficio neve e valanghe Loc. Amèrique 33/A - 11020 QUART (AO) Tel. 0165 776600/1- fax 0165 776804 Bollettino Nivometeorologico Tel. 0165 776300 http://www.regione.vda.it e-mail: u-valanghe@regione.vda.it REGIONE LOMBARDIA ARPA Lombardia Settore Tutela delle Risorse e Rischi Naturali U.O. Centro Nivometeorologico Via Monte Confinale 9 - 23032 Bormio SO Tel. 0342 914400 - Fax 0342 905133 Bollettino Nivometeorologico Risponditore telefonico e fax on demand 02 69666554 http://www.arpalombardia.it/meteo e-mail: nivometeo@arpalombardia.it PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Servizio prevenzione rischi Ufficio previsioni e pianificazione Via Vannetti 41 - 38122 Trento Tel. 0461 494877 - Fax 0461 238305 Bollettino Nivometeorologico Tel. 0461 238939 Self-fax 0461 237089 http://www.meteotrentino.it e-mail: ufficio.previsioni@provincia.tn.it PROVINCIA AUTONOMA DI BOLZANO Ufficio Idrografico, Servizio Prevenzione Valanghe e Servizio Meteorologico Via Mendola 33 - 39100 Bolzano Tel. 0471 414740 - Fax 0471 414779 Bollettino Nivometeorologico Tel.0471 270555 Tel.0471 271177 anche self fax http://www.provincia.bz.it/valanghe Televideo RAI 3 pagine 429 e 529 e-mail: Hydro@provincia.bz.it REGIONE DEL VENETO ARPA-Veneto Centro Valanghe di Arabba Via Pradat 5 - 32020 Arabba BL Tel. 0436 755711 - Fax 0436 79319 Bollettino Nivometeorologica Tel 0436 780007 Fax polling 0436 780009 http://www.arpa.veneto.it/csvdi e-mail: cva@arpa.veneto.it REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA Direzione centrale risorse rurali, agroalimentari e forestali Servizio del corpo forestale regionale Settore neve e valanghe Via Sabbadini 31 - 33100 UDINE Tel. 0432 555877 - Fax 0432 485782 Bollettino Nivometeorologico NUMERO VERDE 800860377 (in voce e self fax) http://www.regione.fvg.it/asp/newvalanghe/welcome.asp e-mail: neve.valanghe@regione.fvg.it
Gli utenti di “NEVE E VALANGHE”: • Sindaci dei Comuni Montani • Comunità Montane • Commissioni Locali Valanghe • Prefetture montane • Amministrazioni Province Montane • Genii Civili • Servizi Provinciali Agricoltura e Foreste • Assessorati Reg./Provinciali Turismo • APT delle località montane • Sedi Regionali U.S.T.I.F. • Sedi Provinciali A.N.A.S. • Ministero della Protezione Civile • Direzioni dei Parchi Nazionali • Stazioni Sciistiche • Scuole di Sci • Club Alpino Italiano • Scuole di Scialpinismo del CAI • Delegazioni del Soccorso Alpino del CAI • Collegi delle Guide Alpine • Rilevatori di dati Nivometeorologici • Biblioteche Facoltà Univ. del settore • Ordini Professionali del settore • Professionisti del settore italiani e stranieri • Enti addetti ai bacini idroelettrici • Redazioni di massmedia specializzati • Aziende addette a: produzione della neve, sicurezza piste e impianti, costruzione attrezzature per il soccorso, operanti nel campo della protezione e prevenzione delle valanghe.
REGIONE MARCHE Dipartimento per le Politiche Integrate di Sicurezza e Protezione Civile Centro Funzionale Multirischi per la Meteorologia e l'Idrologia Via del Colle Ameno, 5 - 60126 ANCONA Tel. 071 8067763 - Fax 071 8067709 http://protezionecivile.regione.marche.it e-mail: centrofunzionale@regione.marche.it Sede AINEVA Vicolo dell’Adige, 18 38122 TRENTO Tel. 0461 230305 - Fax 0461 232225 http://www.aineva.it e-mail: aineva@aineva.it
Periodico associato all'USPI Unione Stampa Periodica Italiana
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Meteorologia alpina, Glaciologia, Prevenzione e Sicurezza in montagna
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Rivista dell’AINEVA - ISSN 1120 - 0642 Aut. Trib. di Rovereto (TN) N° 195/94NC del 28/09/1994 Sped in abb. postale Gr. IV - 50% Abbonamento annuo 2013: Euro 18,00 da versare sul c/c postale n. 14595383 intestato a: AINEVA Vicolo dell'Adige,18 - 38122 Trento
Direttore Responsabile Anselmo CAGNATI ARPA Veneto Coordinatore di redazione Alfredo PRAOLINI ARPA Lombardia Comitato di redazione: Luciano LIZZERO, Maria Cristina PROLA, Mauro VALT, Giovanna BURELLI, Elena BARBERA, Walter BEOZZO, Stefano SOFIA Comitato scientifico editoriale: Valerio SEGOR, Alberto TRENTI, Secondo BARBERO, Francesco SOMMAVILLA, Daniele MORO, Maurizio FERRETTI, Michela MUNARI, Giovanni PERETTI Segreteria di Redazione: Vicolo dell’Adige, 18 38122 TRENTO Tel. 0461/230305 Fax 0461/232225 Videoimpaginazione e grafica: MOTTARELLA STUDIO GRAFICO www.mottarella.com Cosio Valtellino (SO) Stampa: LITOTIPOGRAFIA ALCIONE srl Lavis (TN) Referenze fotografiche: Foto di copertina: Flavio Berbenni Alfredo Praolini: II, 2, 13, 69 Stefano Pivot: 4, 5 Eraldo Meraldi:13, 14, 15 Roberto R. Colucci: 27, 28, 29, 30, 31, 33 Antonio Ferrucci: 29 (sopra) ARPA Piemonte: 51, 53, 55, 56, 58 ARPAV Veneto: 21, 72 Univ. Studi di Milano: 61, 62, 63, 65, 70 Fondazione Montagna Sicura: 43, 46, 47, 48
Hanno collaborato a questo numero:
Serena Mottarella, Stefania Del Barba, Nadia Preghenella, Monica Rossi, Igor Chiambretti, Sergio Buricelli.
Gli articoli e le note firmate esprimono l'opinione dell'Autore e non impegnano l'AINEVA.
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ULTIM'ORA: CISA IKAR 2013, APP DI RICERCA IN VALANGA PER SMARTPHONE
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CLIMA E MANTO NEVOSO SU ALPI ITALIANE M. Valt, P. Cianfarra
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EVOLUZIONE 100 ANNI GHIACCIAI DOLOMITICI A. Crepaz, G. De Luca, A. Cagnati
26 I dati forniti dagli abbonati e dagli inserzionisti vengono utilizzati esclusivamente per l’invio della presente pubblicazione (D.Lgs.30.06.2003 n.196).
CRIOSFERA SOTTERRANEA GHIACCIAIO CANIN R. R. Colucci, E. Forte
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STIMA VOLUMETRICA GHIACCIAIO M. SOBRETTA M. Rossi, M. Belò, M. Fioletti, L. Bonetti
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RISCHI GLACIALI IN VALLE D’AOSTA D. Bertolo, M. Curtaz, C. Lucianaz, M. Vagliasindi
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MONITORAGGIO DEL PERMAFROST IN PIEMONTE L. Paro, M. Guglielmin
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NUOVI GEOTESSILI AL GHIACCIAIO DEL PRESENA A. Senese, R. Azzoni, B. Mosconi, D. Maragno, C. Smiraglia, G. Diolaiuti, A. Trenti
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editoriale Neve e ghiacciai sono intimamente connessi in quanto registrano, seppure con tempi e modalità diverse, gli effetti delle condizioni meteorologiche e climatiche che stanno progressivamente mutando nel corso dei decenni. E’ ormai noto come tutti gli apparati glaciali alpini mostrino, prevalentemente alle quote intermedie, consistenti riduzioni di volume, spessore ed area glacializzata. Per effetto dei cambiamenti climatici degli ultimi 30 anni si è riscontrata una significativa variazione dei principali parametri ambientali, in particolare l’aumento della temperatura dell’aria, nei valori medi, minimi e massimi. Questa indubbia variazione che incide sulle entità e distribuzione delle precipitazioni nevose e sull’evoluzione dei ghiacciai è riconducibile, almeno in parte, alle attività antropiche. Il recente andamento stagionale delle temperature ha comportato estese e intense piogge nelle aree vallive, con conseguenze diffuse e a volte gravi, mentre le nevicate spesso intense e ripetute si sono concentrate alle quote medio alte con la formazione di un manto nevoso caratterizzato da spessori elevati e da persistenti condizioni di scarsa stabilità. Lo scenario descritto è direttamente correlato all’aumento delle temperature delle masse d’aria, principalmente di origine mediterranea e nord-africana, che hanno caratterizzato questa prima parte della stagione invernale in Italia, invertendo la tendenza prevalente degli ultimi anni caratterizzata da scarse precipitazioni nevose soprattutto nei mesi di dicembre e gennaio. Tali mutamenti, le cui cause sono ancora incerte e da approfondire, hanno influenzato le caratteristiche del manto nevoso determinando scenari di pericolo per valanga poco usuali sia in termini di Protezione civile, sia per gli incidenti agli sportivi/escursionisti. In Lombardia, come in gran parte delle regioni alpine, dal 26 dicembre ad oggi numerose valanghe hanno interessato la viabilità e alcuni centri abitati, rendendo necessari sforzi e risorse ingenti per fronteggiare le criticità legate all’interruzione dei collegamenti stradali. Lo testimoniano i bollettini neve e valanghe emessi i tale periodo: nel 70% circa delle giornate il grado di pericolo è stato tra 2 (moderato) e 3 (marcato), indicante probabilità di distacchi di valanghe prevalentemente provocate a seguito di sovraccarico per il passaggio di scialpinisti/escursionisti. Nell’ 11% circa delle giornate si è resa necessaria, per la maggior parte dei settori, l’emissione di bollettini caratterizzati da grado 4 (forte) e 5 (molto forte), indicanti probabilità di distacchi di valanghe prevalentemente spontanei. Anche il numero già elevato di incidenti avvenuti sembra registrare un aumento dell’utenza praticante il fuori pista (13 incidenti su 28) forse poco avvezza alla corretta valutazione del rischio connesso alla propria attività in scenari valanghivi poco o non usuali. Sui cambiamenti climatici molto si è detto e scritto, è certo che in una prospettiva di medio e lungo termine dovranno essere messi in atto interventi di grande impegno e respiro, economicamente sostenibili per limitarne gli effetti. Nell’immediato è prioritario agire sulla previsione tramite un progressivo e continuo miglioramento dei bollettini neve e valanghe e sugli avvisi di criticità, contando sulle capacità e le competenze che AINEVA è in grado di offrire. In termini di prevenzione – ambito che necessita di un nuovo impulso - occorre puntare sulla formazione e informazione degli utenti della montagna, evitando di ricorrere a misure restrittive, inefficaci, eticamente discutibili e sicuramente impopolari, proponendo invece codici di comportamento consapevole, nel rispetto della libertà di scelta individuale.
Simona Bordonali Ass. Regione Lombardia alla Protezione Civile Presidente AINEVA
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CISA IKAR
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Stefano Pivot Regione Autonoma Valle d’Aosta Assetto idrogeologico dei bacini montani Ufficio Neve e Valanghe s.pivot@regione.vda.it
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L’annuale congresso della commissione internazionale del soccorso alpino CISA-IKAR si è svolto in Croazia nell’inusuale cornice dell’isola di Brac. E’ stata l’occasione per fare un resoconto sulla stagione passata, analizzando i numerosi incidenti da valanga mortali avvenuti lungo l’arco alpino, con un’attenzione particolare verso gli incidenti da valanga accaduti in estate in quota. Continua anche quest’anno lo sviluppo e la proliferazione di nuovi software per smartphone, applicati al soccorso in valanga e iniziano ad emergere alcuni risvolti negativi che andranno monitorati.
La tecnologia attuale (siti internet, social network) favorisce e moltiplica lo scambio d’informazioni, così oggi veniamo a conoscenza di molti incidenti, anche quelli che hanno lievi conseguenze e che prima restavano nascosti. In Svizzera si stima che solo il 20% d’incidenti da valanga rimane sconosciuto, grazie alla collaborazione dei travolti che forniscono spontaneamente le informazioni all’istituto SLF di Davos. Seppure più informati, non possiamo però sentirci più sicuri. Lo scialpinismo sta diventando sempre più popolare: succede così che tanti piccoli gruppi si ritrovano inaspettatamente nello stesso posto – scelto magari dopo aver visto sul web i report che evidenziano condizioni favorevoli – trovandosi ad affrontare problematiche di gestione della sicurezza molto più complesse, tipiche di grandi gruppi. In primavera nell’arco alpino ci sono stati molti più incidenti che d’abitudine, probabilmente a causa delle condizioni nivometeorologiche: le persone si comportavano come se fosse primavera (condizioni generalmente più stabili, con cicli di fusione/rigelo), ma in realtà il manto nevoso aveva caratteristiche invernali. Il forte aumento di sciatori svedesi vittime d’incidenti da valanga, soprattutto all’estero, ha consigliato un approfondimento statistico (1127 questionari) che ha evidenziato il tipico sciatore svedese in fuoripista: ottima tecnica, ben equipaggiato (spesso possiede ARTVA, pala, sonda, casco e airbag), ma non si allena per sapere come utilizzare al meglio l’attrezzatura in suo possesso. Proprio in relazione all’attrezzatura, la Francia evidenzia che quasi tutti
gli scialpinisti utilizzano il trittico della sicurezza, ARTVA-pala-sonda: è questo il risultato positivo di circa 30 anni di educazione alla prevenzione attuata, tra gli altri, dall’ANENA. Adesso il messaggio deve raggiungere gli sciatori fuoripista, i ciaspolatori e gli alpinisti che, in percentuale considerevole, affrontano le uscite sul terreno innevato senza l’attrezzatura indispensabile per l’autosoccorso. Ne è un esempio tipico il primo incidente mortale registrato in Francia nel comprensorio di Tignes: alcuni giovani aspiranti maestri di sci si stanno allenando sulla pista di slalom, ma vista la pessima qualità della neve decidono di andare fuoripista senza prendere con sé ARTVA, pala e sonda; purtroppo staccano una valanga che causa il decesso di una ragazza (vedi foto). Altro esempio: tre ciaspolatori causano il distacco a distanza di un lastrone che li seppellisce (vedi foto). In zona sono presenti molti altri escursionisti con sci e racchette e quindi intervengono immediatamente per cercarli; purtroppo i ciaspolatori non indossano l’ARTVA, così il soccorso tempestivo diventa inutile. Solo il 15% degli escursionisti con racchette da neve indossa l’ARTVA. E’ vero che il tempo medio d’intervento delle squadre di soccorso alpino si è dimezzato negli anni (passando in Svizzera da 120 a 60 minuti), ma la sopravvivenza dei travolti è ancora fortemente legata all’autosoccorso. In alcuni incidenti le vittime hanno dimenticato l’ARTVA a casa o in macchina; in un caso l’ARTVA non funzionava perché è fuoriuscito il liquido corrosivo dalle batterie, rimaste
ULTIM'ORA inserite nel dispositivo tutta l’estate. Le valanghe estive in alta quota sono un altro aspetto del problema: spesso queste valanghe causano un seppellimento limitato degli alpinisti travolti che, in genere, muoiono soprattutto a causa dei traumi; nel contempo le squadre del soccorso alpino organizzato si trovano a dover operare in zone ostili, esponendosi per lungo tempo al rischio di distacco di ulteriori valanghe. Se gli alpinisti che percorrono zone potenzialmente valanghive anche in estate (per es. il pendio del Mont Blanc du Tacul nella salita al Monte Bianco) indossassero l’ARTVA, potrebbero limitare l’esposizione al rischio valanghe delle squadre di soccorso impegnate nella ricerca. Un altro aspetto negativo che emerge: aumentano i giovani coinvolti negli incidenti; per esempio negli Stati Uniti d’America sono morti in valanga due bambini di 8 e 13 anni. Aumentano gli sciatori con airbag e di conseguenza aumenta la casistica delle vittime in possesso di quest’attrezzatura: negli Stati Uniti in un caso la vittima non è riuscita ad aprire l’airbag, in un altro caso è morta per traumi contro gli alberi. In Canada uno scialpinista non aveva utilizzato il gancio sul cosciale, alquanto scomodo se si deve togliere/ rimettere lo zaino più volte, e quindi la forza della valanga è riuscita a “svestire” lo zaino airbag dallo sciatore travolto. Infine si è parlato di “slush avalanches”: valanghe di neve molto bagnata, lente e molto pesanti che si possono staccare anche da pendii dolci e percorrere diversi chilometri, raggiungendo zone senza neve. Queste valanghe si possono anche staccare d’inverno perché la causa del distacco è l’influenza del
mare: infatti sono valanghe che si verificano in Norvegia, Giappone e Nuova Zelanda; sono pericolose perché il momento del distacco è scarsamente predicibile.
App per smartphone Continua il proliferare e lo sviluppo di applicazioni per smartphone dedicate alla richiesta di soccorso in montagna e in particolare alla ricerca di travolti in valanga. Iniziano a emergere alcune problematiche (vedi articolo canadese) che generano una gran confusione: basti sapere che le applicazioni non sono compatibili fra loro ed hanno funzioni a volte similari, ma con diverse varianti. A volte funzionano solo in una nazione, mentre in quella adiacente si sta sviluppando tutt’altra applicazione, così gli escursionisti che si muovono lungo i confini dovrebbero scegliere quella giusta a seconda della ricezione del segnale. Bisogna poi tenere conto che alcune applicazioni funzionano con sistemi Android, altri con gli Iphone, altri ancora solo con Iphone versione 5 o successive… insomma, per riassumere, è incoraggiante la ricerca e la sperimentazione, ma per il momento tutte queste applicazioni non possono certo sostituirsi alla ricerca ARTVA che, ricordiamo, si basa su una frequenza unica, valida per tutte le tipologie e marche di dispositivi. Oltre alle applicazioni evidenziate l’anno scorso (vedi Neve e Valanghe n. 77 dicembre 2012), tuttora in sviluppo, segnalo l’app gratuita Alpify www.alpify.com. Infine “Talk Finder” è un’applicazione orientata al soccorso organizzato, per aiutarne la gestione e migliorare la sicurezza degli operatori; è sviluppata da Age-
sic, in collaborazione con il Soccorso alpino della Guardia di finanza.
Argomenti vari emersi durante il convegno Avalanche Victim Resuscitation Checklist: la Commissione medica CISA-IKAR ha presentato un algoritmo, costruito sotto forma di cartellino da mettere ad ogni paziente soccorso in valanga (vedi foto). E’ una specie di checklist che guida il medico rianimatore e, nel contempo, registra le condizioni del paziente e le manovre di rianimazione effettuate. La Commissione del soccorso aereo CISA-IKAR ha illustrato numerosi casi in cui, per motivi diversi,
durante un’operazione di soccorso l’elicottero è stato vincolato al terreno dal soccorritore, manovra molto pericolosa. Dall’anno 1982 ad oggi ci sono stati ben 16 incidenti, 11 durante interventi di soccorso e 5 durante le esercitazioni, con un bilancio di 8 morti e 5 feriti. Per scongiurare ulteriori incidenti, si ribadisce quanto sia essenziale una buona comunicazione tra il pilota di elicotteri ed il soccorritore. Se possibile, è meglio predisporre dei punti di sicurezza differenti per il paziente e per il soccorritore che si trovano in parete o su terreno impervio, possibilmente utilizzando colori differenti. Infine è buona norma avere sempre un coltello in mano, per
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poter tagliare le “longe” in caso di emergenza. Per tentare di risolvere questa problematica e nel contempo non trascurare la sicurezza dei
INCIDENTI DA VALANGA IN ITALIA In generale la stagione invernale 2012/2013 è stata decisamente nevosa lungo tutto l’arco alpino italiano, caratterizzata in particolare da un “secondo inverno” tra la metà di maggio e la fine di giugno, con grandi differenze di innevamento tra le alpi occidentali e orientali. Ci sono state ben 28 vittime da valanga contro una media ultra-venticinquennale di 19 decessi annui. Gli incidenti si sono succeduti lungo tutti i mesi della stagione invernale, con una predominanza in dicembre, gennaio e marzo. Ancora troppe persone non utilizzano l’ARTVA: non solo gli alpinisti e i ciaspolatori, notoriamente meno avvezzi, ma anche gli scialpinisti. I numerosi organismi che si occupano di prevenzione dovranno quindi insistere su questo tema perché il consueto e ritrito messaggio di portare sempre con sé ARTVA, pala e sonda in realtà non ha ancora raggiunto
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soccorritori, il PGHM di Chamonix sta testando, in collaborazione con la ditta PETZL, un nuovo dispositivo da utilizzare per assicurarsi in parete, appena prima della verricellata. Si affaccia sul mercato un nuovo airbag, denominato Jetforce, realizzato dalla Pieps per la parte elettronica e dalla Black Diamond per il sistema che insuffla l’aria. A differenza degli altri airbag che si avvalgono di una bombola con gas compresso, questo sistema utilizza un miniventilatore, che soffia aria ad
una velocità di 60.000 rotazioni al minuto, alimentato da una batteria al litio, ricaricabile alla presa elettrica e quindi riutilizzabile più volte, anche per esercitazioni. Il pallone, in cordura e per un volume di 200 litri, viene gonfiato in pochi secondi e poi ulteriormente gonfiato ogni venti secondi, così se il pallone è danneggiato dalla valanga mantiene comunque la sua forma anche durante il travolgimento. Dopo circa tre minuti (tempo massimo teorico di durata del travolgi-
mento, stimato per eccesso) il pallone viene sgonfiato dal ventilatore, cosicché l’eventuale sepolto si trova dentro una sacca d’aria. L’airbag è stato testato in laboratorio e sul terreno: funziona fino a -30°, con qualsiasi condizione meteo e su tutti i tipi di neve; il pallone resiste anche con impatti su ostacoli che riesce ad alzare fino a 200 kg. Lo zaino airbag Jetforce da 24 litri pesa circa 3 kg e sarà venduto ad un prezzo (non ancora fissato) in linea con gli altri airbag.
efficacemente tutti i frequentatori della wilderness invernale. In un caso lo scialpinista travolto aveva l’ARTVA con le pile scariche; un altro ha lasciato di proposito l’ARTVA in macchina, perché inizialmente pensava di sciare solo in pista. Poi ha cambiato idea e si è aggiunto solo all’ultimo momento ad un gruppo di amici per una discesa estemporanea in fuoripista. Aumentano i possessori di airbag, soprattutto tra gli sciatori fuoripista, e quindi si amplia anche la casistica di utilizzo in incidente da valanga. In alcuni casi gli sciatori non sono riusciti ad attivare il meccanismo; in particolare una guida alpina francese non è riuscita ad attivare la maniglia del proprio zaino airbag sia perché impugnava i laccioli dei bastoncini sia perché, a causa delle temperature rigide, indossava un paio di moffole, tipologia di guanti sicuramente più calda ma purtroppo con una manualità limitata. La valanga aveva dimensioni limitate, così lo sciatore travolto è rimasto illeso e in superficie con l’unica conseguenza di aver perso gli sci. In un altro incidente, lo sciatore tra-
volto ha attivato l’airbag, ma la forza della valanga, di notevoli dimensioni, ha strappato il pallone dallo zaino con conseguente seppellimento e decesso. La maggior parte degli incidenti avvengono con un grado di pericolo 3-marcato (70% degli incidenti mortali in fuoripista nel decennio 2001-2011 e 67% nello scialpinismo), seguito dal grado di pericolo 2-moderato (17% incidenti mortali in fuoripista e 27% nello scialpinismo). Solo pochi incidenti avvengono con il grado 4-forte e in maggioranza riguardano il fuoripista (10% fuoripista; 5% scialpinismo); condizione che si ritrova con la stessa proporzione in Svizzera, mentre in Francia la situazione è ben diversa: dopo il grado 3-marcato (46% degli incidenti mortali nel decennio 2001-2011), gli incidenti avvengono con grado 4-forte (ben il 43% degli incidenti mortali in fuoripista e il 29% nello scialpinismo). Sono coinvolti soprattutto gli sciatori fuoripista che sono molto più numerosi oltreconfine e soprattutto molto agguerriti, con una mentalità “freerider estrema”: basti pensare che nelle
stazioni sciistiche più rinomate per il fuoripista (per es. La Grave, Grands Montets) per poter riuscire a fare la traccia nella neve vergine bisogna sciare mentre sta nevicando; sovente il giorno dopo la nevicata è già tutto “tritato”! Sono ancora molti i professionisti e gli esperti coinvolti negli incidenti da valanga: sicuramente il maggior numero di giornate passate sulla neve aumenta la probabilità di essere travolti, ma analizzando la dinamica dei vari incidenti si notano anche alcune situazioni in cui – col senno di poi – la prudenza è stata decisamente messa in secondo piano. Tra i professionisti/esperti coinvolti in incidenti troviamo: guide alpine e nivologi, personale SAGF, personale della polizia dedicata al servizio piste, tracciatori di gare mondiali di scialpinismo, ex-presidente sezione CAI e esperti locali. Ben tre incidenti hanno visto coinvolti bambini o ragazzi. Nel primo caso un ragazzo di 15 anni, tecnicamente molto esperto, muore in seguito ad una valanga da lui provocata facendo scialpinismo con un coetaneo. Malauguratamente il ragazzo non ha
ULTIM'ORA VITTIME DA VALANGA PER REGIONE Stagione invernale 2012/2013
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Sci alpinismo (in discesa) © AINEVA
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VITTIME DA VALANGA IN ITALIA PER CATEGORIA Stagione 2012-2013
VITTIME DA VALANGA IN ITALIA Stagioni 1986 - 2013
in italia in media (media lineare)19 persone muoiono ogni anno in incidenti da valanga
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seguito le raccomandazioni dell’allenatore che sconsigliava di sciare fuori pista, a causa delle condizioni del manto nevoso particolarmente instabili. Nel secondo incidente due bambini undicenni stanno sciando in pista quando decidono di deviare lungo una rampa nevosa battuta, utilizzata come pista di lancio dai paragliders (parapendio + sci) per rientrare, deviando poco prima del termine della rampa, sulla pista
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© AINEVA
stessa. Questa deviazione li porta ad attraversare l’imbocco di un canale, e provocano il distacco di un lastrone di neve ventata. Un bambino muore a causa dei traumi subiti. Nel terzo caso due bambini undicenni stanno giocando a bordo pista, scavano una buca con le mani, quando inaspettatamente si stacca un lastrone dal ripido pendio soprastante e li seppellisce sotto 10-20 cm di neve. Per fortuna i soccorsi sono immediati
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e i due bambini vengono dissepolti illesi in pochi minuti. Analizzando gli incidenti in base alle categorie, vediamo che, come d’abitudine, la maggior parte delle vittime da valanga stava praticando lo scialpinismo seguita a ruota dallo sci fuoripista. Solo un alpinista deceduto e, caso particolare, uno sfortunato pescatore che si trovava nei pressi del torrente, a valle di un canalone naturale da cui si è staccata una piccola valanga puntiforme
che, nella discesa, ha acquistato velocità e massa. Il pescatore è stato ritrovato solo il giorno successivo sepolto sotto quattro metri di neve. Ringraziamenti: è stato possibile scrivere l’articolo grazie al prezioso lavoro di analisi e raccolta dati da parte di tutti i colleghi previsori degli uffici neve e valanghe, in particolare Fabio Gheser, Mauro Valt e Igor Chiambretti.
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APP
DI RICERCA IN VALANGA PER SMARTPHONE
una recensione James Floyer Previsore Valanghe Senior Canadian Avalanche Centre
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Questo articolo presenta una discussione tecnica sul funzionamento e sui limiti di questi dispositivi. L'idoneità di questa tecnologia viene analizzata da un punto di vista della sicurezza pubblica. La letteratura esistente è stata controllata e sono stati contattati gli sviluppatori delle applicazioni per ottenere dettagli sul funzionamento dei loro sistemi e sui test eseguiti. Sono stati consultati esperti tecnici e di soccorso per una consulenza specifica. Non è stato eseguito alcun test sul campo quale parte di questa recensione e i dettagli sul funzionamento delle App sono desunti in parte attraverso la letteratura pubblicitaria, compresi i video postati sui siti web degli sviluppatori e in parte attraverso considerazioni teoriche. Si noti inoltre, che sino a questo momento, nessun test o recensione indipendente è disponibile.
Introduzione Gli smartphones sono popolari in Canada, circa il 56% delle persone ne utilizza uno (in Italia circa il 41% N.d.t.). Recentemente, sono apparse sul mercato applicazioni (Apps) progettate per consentire allo smartphone la ricerca di un altro apparecchio cellulare in scenari di soccorso in valanga. In questo modo, gli utenti dispongono della funzionalità di ricerca vittima valanga sul proprio dispositivo di telefonia mobile. Attualmente ci sono tre applicazioni disponibili: iSis Intelligent (Mountain) Rescue System; Snøg Avalanche Buddy e SnoWhere. Le App iSis e SnoWhere sono disponibili solo per iPhone®. Snøg è l’unica App per piattaforma Android. Tali applicazioni sono indicate come App di ricerca in valanga con smartphone (smartphone avalanche search apps).
Come funzionano le App Le applicazioni di ricerca in valanga mediante Smartphone fanno uso di varie tecnologie di comunicazione a due vie tra cui: rete cellulare, WiFi e Bluetooth. Inoltre, due delle applicazioni fanno uso del segnale GPS. Ogni applicazione utilizza un insieme diverso di tecnologie per comunicare la sua posizione ad un altro smartphone, che deve avere installato la medesima App. Ciascuna App per smartphone consente ricerche in modo simile a un ARTVA analogico di vecchio stile utilizzando i segnali WiFi o Bluetooth. La potenza del segnale ricevuto può essere visualizzata come un numero (SnoWhere) o su un grafico a barre (Snøg), con un aumento di potenza del segnale che indica l'avvicinamento alla vittima. La direzionalità del segnale è di diffi-
cile risoluzione poiché gli smartphone hanno una sola antenna (utilizzata per la comunicazione), e l'orientamento dell'antenna nello smartphone non è noto all’utente. Le App SnoWhere ed iSis utilizzano le coordinate ottenute dal GPS per agevolare la ricerca della vittima. La posizione della vittima compare su una mappa, permettendo al ricercatore di utilizzare le funzioni di mappatura per essere guidati verso la vittima. Due App includono anche la funzionalità di notifica agli altri soccorritori di un incidente in valanga sia automaticamente (iSis) sia manualmente (SnoWhere). Queste caratteristiche potrebbero essere utili nel contesto più ampio di ricerca e soccorso organizzato, tra cui la ricerca e soccorso in valanga. Tuttavia, poiché questo documento si concentra sulla funzionalità di ricerca travolti in valanga di queste applicazioni, talo caratteristiche non sono ulteriormente trattate.
Problema delle portate I segnali WiFi e Bluetooth sono fortemente influenzati dalla trasmissione attraverso i mezzi contenenti acqua, tra cui la neve. Pertanto, la potenza del segnale si riduce quando il dispositivo di trasmissione è sepolto in una valanga, questo effetto viene amplificato se il deposito è denso e umido, una eventualità frequente per tutte le valanghe salvo quelle più piccole. La potenza del segnale è influenzata anche dalla presenza di alberi, rocce o dal corpo della vittima se giace sopra il proprio telefono cellulare. Nei loro materiali pubblicitari, gli sviluppatori riportano portate di ricerca tra i 40 ed i 50 m per il WiFi / Bluetooth. Questi intervalli probabilmente riflettono i migliori scenari per seppel-
ULTIM'ORA limenti relativamente poco profondi, o dispositivi posti sulla superficie della neve. Gli svillupatori di Snøg Avalanche Buddy hanno riferito che le aree boscate presentano difficoltà per la trasmissione WiFi. La portata utile si è ridotta a circa 12 metri durante le loro prove entro le aree boscate. Nonostante test indipendenti non siano stati effettuati, ci si potrebbe aspettare riduzioni di portata simili anche per i seppellimenti profondi nel deposito di una valanga e/o quando il dispositivo è schermato dal corpo della vittima. Riduzioni di portata simili sono attese anche per i segnali Bluetooth. La precisione del GPS è insufficiente per una precisa localizzazione della vittima. Gli sviluppatori di SnoWhere sostengono che la “migliore precisione possibile” è di circa 5 m con un iPhone 4/5. Precisioni tra i 7,5 ed i 15 m sembrano valori probabilmente più realistici per i dispositivi sepolti sotto due metri di neve, dal momento che la prestazioni del segnale GPS degrada rapidamente con la profondità di seppellimento. I soccorritori dovranno ancora passare alla modalità di ricerca del segnale WiFi / Bluetooth per la fase di ricerca di precisione. Se il GPS non è già acceso e collegato ai satelliti (attività che richiede una notevole potenza erogata dalla batteria), potrebbe essere necessario del tempo per acquisire un segnale mentre è sepolto, ammesso che possa farlo. La tecnologia GPS offre, nella migliore delle ipotesi, una funzione di ricerca grossolana per portare il soccorritore entro circa 10 m della vittima. Nel peggiore dei casi, se le coordinate GPS non fossero corrette, i soccorritori potrebbero in realtà allontanarsi dalla vittima, credendo invece di avvicinarsi.
Compatibilità Le norme internazionali stabiliscono che gli ARTVA debbano trasmettere e ricevere ad una frequenza di 457 kHz. Indipendentemente dalla marca, tutti gli ARTVA attuali sono compatibili tra di loro. La compatibilità tra ARTVA è un principio fondamentale del soccorso in valanga; ancora gli ARTVA analogici più vecchi operano sulla frequenza 457 kHz e sono compatibili con i modelli digitali più recenti (Il Canadian Avalanche Center raccomanda l’uso esclusivo di ARTVA digitali a 3 antenne a causa delle loro migliori prestazioni in diversi scenari di seppellimento ). Al contrario, gli smartphone non trasmettono a 457 kHz e quindi non rispettano (e non possono rispettare) gli standard internazionali per gli ARTVA, indipendentemente da quale App sia stata installata. Essi non sono compatibili con gli ARTVA a 457 kHz. Inoltre, le applicazioni di ricerca smartphone in valanghe non sono tra loro compatibili. Questo significa che tutti i membri di un gruppo di escursionisti devono utilizzare la stessa piattaforma per smartphone e con lo stesso software installato per disporre di uno strumento di soccorso utilizzabile. Ciò crea un’elevata probabilità per qualcuno di assumere che i propri compagni abbiano un dispositivo smartphone compatibile, mentre in realtà essi hanno un dispositivo diverso ed incompatibile con quelli usati dai loro partner. Questa incompatibilità con gli ARTVA esistenti e la mancanza di interoperabilità tra le App rende queste applicazioni, al loro attuale livello di sviluppo, particolarmente inadeguate dal punto di vista del soccorso in valanga.
APP
RICERCA PRIMARIA (portata)
RICERCA DI PRECISIONE
COMUNICAZIONE
iSis (iPhone 4s/5)
Punto GPS inviato tramite WiFi o connessione a Internet via UMTS-GPRS (entro 1000 m dichiarati) o via Bluetooth (entro 45 m dichiarati)
Ricerca per microgreche utilizzando segnale Bluetooth
Automatica (sulla base dell’analisi della traiettoria); invio allerta da parte della vittima o da parte del soccorritore
Snøg (Android)
Analisi intensità segnale WiFi (entro 50 m dichiarati)
Analisi intensità segnale WiFi
Nessuna
SnoWhere (iPhone 3/4/5)
Punto GPS inviato tramite Bluetooth (entro 40 m dichiarati per iPhone 3, 45 m per iPhone 4 o 5)
Analisi intensità segnale Bluetooth assistita mediante mappa
Il soccorritore può condividere il punto GPS mediante email o sms © AINEVA
Durata delle batterie La durata della batteria è un altro limite critico per lo stato attuale della tecnologia smartphone . Le Norme internazionali per gli ARTVA impongono che i dispositivi devono essere in grado di trasmettere per 200 ore a +10 °C e poi ancora avere energia sufficiente per ricercare un segnale per 1 ora a -10 °C. Molte batterie di smartphone non durano con una sola carica per una giornata di pieno utilizzo, soprattutto quando sono impiegati funzioni di elevata potenza come la definizione di una posizione GPS , o modalità di comunicazione ad alta intensità quali Bluetooth o WiFi. Il consumo della batteria è maggiore nelle aree con nessuna o scarsa copertura di segnale, poiché i telefoni ricercano costantemente tale segnale. L'effetto del freddo riduce ulteriormente la durata della batteria . Molti telefoni (compresi i modelli di iPhone®) non dispongono di batterie sostituibili dall'utente. I gruppi SAR (soccorso organizzato – N.d.T.) segnalano come spesso le vittime soccorse abbiano difficoltà a comunicare con i soccorritori, alla fine della giornata, come i loro smartphone a corto di carica della batteria. AdventureSmart , programma di prevenzione del SAR nazionale Canadese, consiglia agli utenti di mantenere i
loro telefoni spenti per risparmiare la batteria in caso di situazioni di emergenza. Gli utenti di applicazioni di ricerca in valanga mediante smartphone potenzialmente devono affrontare una scelta inaccettabile: mantenere il loro telefono spento per risparmiare la batteria per la comunicazione di emergenza, ma disabilitare il loro dispositivo di sicurezza in valanga (App – N.d.T.), o mantenere in funzione il loro dispositivo di sicurezza valanga ma correre il rischio di non avere una comunicazione efficace per la richiesta di soccorso d’urgenza.
Robustezza, affidabilità e facilità d'uso Le Norme internazionali per gli ARTVA comprendono prove di resistenza all’acqua ed all’immersione nei liquidi rigorose e che devono essere superate prima che qualsiasi dispositivo venga reso disponibile sul mercato. Inoltre, i dispositivi devono comprendere un sistema di trasporto progettato per evitare di essere strappati dal corpo del travolto durante una valanga. Mentre alcuni modelli di smartphone sono abbastanza robusti, molti non lo sono, e possono essere soggetti a infiltrazioni di acqua o corto circuiti. I sistemi operativi degli smartphone sono generalmente stabili ma si verificano, spesso, crash delle App che, a volte,
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http://www.isis-application.com/
richiedono un riavvio a causa di conflitti con altri software installati; i crash non necessariamente riguardano le App di ricerca in valanga. Se questo dovesse accadere durante un soccorso, si perderebbe tempo prezioso per la ricerca. I telefoni non sono dotati di un sistema di trasporto, aumentando la possibilità che il dispositivo venga separato dalla vittima durante una valanga, o che possa cadere nella neve durante una ricerca. La maggior parte degli smartphone si basano su touch screen, che non sono utilizzabili con guanti o muffole spesse e potrebbero non funzionare in modo efficace se lo schermo è coperto di neve o acqua. Le grandi dimensioni degli schermi aumentano la vulnerabilità dell’apparecchio, in quanto potrebbero essere facilmente incrinato. A loro credito, gli sviluppatori di App sembrano aver favorito interfacce relativamente semplici per il loro software, tuttavia, potrebbe essere ancora necessario navigare in un sistema di menu, o attivare altri software o disattivare alcune funzioni del telefono per operare correttamente la
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ricerca tramite l’App. Vi è la possibilità di venir distratti da una chiamata in arrivo, una e-mail o un sms durante lo svolgimento di una ricerca, tale evento potrebbe essere meno facilmente ignorato se lo smartphone è in uso nella mano del soccorritore, piuttosto che nascosto in una tasca o nello zaino.
Interferenza Recenti studi hanno analizzato gli effetti d’interferenza sulle prestazioni degli ARTVA con una gamma di dispositivi, tra cui i telefoni cellulari. Sulla base di questi studi, il Centro Valanghe Canadese (CAC) raccomanda le seguenti distanze di separazione tra un ARTVA ed altri dispositivi elettronici: - Modalità di trasmissione (Invio): 20 cm - Modalità di ricerca (ricezione): 50 cm Non si sa con certezza se ricetrasmettitori valanghe dedicati potrebbero sperimentare ulteriori problemi se utilizzati in prossimità di smartphone con applicazioni di ricerca in valanga.
Tuttavia, dato che le frequenze WiFi / Bluetooth (~ 2,4 GHz) sono molto diverse dalla frequenza 457 kHz, il rischio di interferenze aggiuntive dall'uso prossimale di queste applicazioni è probabilmente bassa. (Nota: come detto in precedenza, le applicazioni per smartphone di ricerca in valanghe non sono compatibili con i ricetrasmettitori 457 kHz. La discussione è se l’utilizzo incidentale di una tale applicazione avrebbe un impatto su una ricerca tra due o più ricetrasmettitori 457 kHz dedicati). L’interferenza tra i segnali Bluetooth e WiFi è stata documentata e si verifica perché le frequenze di funzionamento sono vicine. Questo non dovrebbe costituire un problema se una tecnologia di comunicazione è utilizzata mentre l'altra modalità di trasmissione è disattivata. Tuttavia, le altre applicazioni installate o le funzioni attivate dall'utente possono attivare i segnali WiFi o Bluetooth, aumentando la possibilità di interferenze. Altre possibili fonti di disturbo sono la ricezione di una chiamata cellulare e l’utilizzo del ricevitore GPS e altri dispositivi elettronici con segnale Bluetooth usati dagli utenti, come telecamere, cuffie ecc.. L'effetto di questi apparecchi sulla performance della App di ricerca mediante smartphone è attualmente sconosciuto.
Commercializzazione Le App di ricerca in valanga vengono attivamente commercializzati come software che trasforma uno smartphone in un ARTVA. Nessuno degli sviluppatori afferma che la combinazione software/telefono aderisca alle Norme internazionali per gli ARTVA. In realtà, almeno due sviluppatori hanno specifici disclaimer che notificano all'utente che il sistema non è certificato e non
soddisfa gli standard internazionali per ARTVA. Nonostante i disclaimer, le strategie pubblicitarie traspaiono chiaramente da testi, video e discussioni sulle pagine del web developer, sugli account di Facebook ed altre comunicazioni: queste applicazioni vengono pubblicizzate specificamente per l'uso nella ricerca di vittime sepolte in caso di valanga. Un testo pubblicitario presente nel Google Play Store riguardante l’App Snøg Avalanche Buddy afferma: "Snøg è un strumento di 'ricerca persona dispersa' . Uno strumento progettato per individuare e trovare rapidamente una vittima sepolta sotto una valanga". Gli sviluppatori dell’App SnoWhere include questa personale dichiarazione connessa ad una valanga: "20 anni fa, il nostro fondatore è stato sepolto da una valanga ai margini di una pista in condizioni di scarsa visibilità. Sopravvisse solo perché è stato rapidamente scoperto da un ragazzo di passaggio che pensava di aver trovato un cappello. Questa esperienza ha ispirato SnoWhere: per contribuire a garantire che la sopravvivenza di nessun altro si basi sulla fortuna.". Gli sviluppatori della App Isis sono probabilmente i più aggressivi nell’indicare la propria applicazione quale un sistema dedicato di soccorso in valanga e accludono un video professionale (http://www.youtube.com/watch?v=q pqnszYXdmg&feature=player_embedded ) contenente un finto incidente in valanga con un finto gruppo di sciatori che hanno apparentemente lasciato i confini del comprensorio sciistico. L'incidente è completato con le immagini di uno sciatore che innesca una valanga e rimane sepolto dalla neve prima che i suoi compagni, utilizzando il proprio telefono con l’App iSis, lo soccorrano.
ULTIM'ORA Questioni legali ed etiche Mentre è chiaro che le applicazioni di ricerca in valanga sono attivamente commercializzate come un software che permette agli smartphone di essere utilizzati come dispositivi di ricerca in valanga, non è chiaro il percorso legale di marketing/vendita di un App che trasforma uno smartphone, adeguato ad altri standard, in un dispositivo di ricerca valanga che non soddisfa le Norme internazionali per gli ARTVA. Inoltre, non è una semplice questione di stabilire se gli standard internazionali per gli ARTVA sono vincolanti o meno nel contesto canadese. Uno parere legale specifico sarebbe necessario per stabilire, in Canada, queste questioni. Indipendentemente dallo stato di diritto, gli sviluppatori hanno l'obbligo morale di garantire che i prodotti che immettono sul mercato non abbiano un impatto negativo sulla sicurezza pubblica. E’ imperativo effettuare test indipendenti in scenari reali per un dispositivo salvavita, con parametri operativi “mission-critical”, che si basa sulla possibilità di comunicare con successo con altri dispositivi simili. Noi non abbiamo potuto eseguirli e, per quanto ne sappiamo, nessuno test è stato ancora effettuato. I numerosi e gravi difetti nello stato attuale della tecnologia di ricerca in valanga mediante App per smartphone danno fondato motivo di temere che la sicurezza pubblica può essere compromessa con l'introduzione di questo tipo di dispositivo di soccorso in valanga.
Conclusioni e discussione Il CAC non considera qualsiasi delle applicazioni esistenti, qui discusse,
quali dispositivi adatti al soccorso di travolti in valanga. Ci sono serie preoccupazioni e vulnerabilità connesse a diversi ed importanti aspetti della tecnologia. I più critici di questi sono: - mancanza di compatibilità con gli ARTVA esistenti; - mancanza di compatibilità tra i diversi sistemi operativi e le marche di software; - la durata della batteria dello smartphone; - preoccupazioni per la portata in scenari reali (cioè quando il seppellimento sia un deposito di valanga). Ulteriori preoccupazioni sono: la robustezza del sistema; l’affidabilità degli smartphone; la facilità d'uso; i problemi d’interferenza; e la possibilità di distrazione durante una ricerca. Ci sono buone ragioni per avere operative delle Norme internazionali per gli ARTVA5. Naturalmente, tali norme possono cambiare ed evolversi con il tempo per riflettere le nuove tecnologie. Ma questo deve essere fatto in modo trasparente e collaborativo mantenendo, al centro, il migliore interesse per la pubblica sicurezza. L’attuale sviluppo delle Apps per smartphones di ricerca in valanga appare casuale, non regolamentato ed è potenzialmente pericoloso per gli utenti, che possono confondere questa tecnologia con gli ARTVA legittimati. L'opzione di spendere solo pochi dollari su un App a buon mercato al posto di spendere diverse centinaia di dollari su un ARTVA dedicato può tentare molti utenti, in particolare se alle prime armi. Tuttavia, la scelta dell'utente di utilizzare tale applicazione come un dispositivo di sicurezza quando si entra in terreno valanghivo può porre in pericolo tutti i membri del gruppo di escursionisti.
Alcuni potrebbero obiettare che la diffusione dei dispositivi smartphone potrebbe compensare il deficit, in termini di prestazioni, delle applicazioni di ricerca in valanga. Tale pretesto si basa sulla minore probabilità che una vittima di valanga si trovi senza alcuna forma di dispositivo di soccorso in valanga, il che compenserebbe eventuali ridotte prestazioni di ricerca. Questo argomento non è valido per le seguenti ragioni: - In primo luogo, le criticità di compatibilità incrociata tra App e l’intercompatibilità (con gli ARTVA – N.d.T.), la scarsa durata della batteria e la portata sotto il deposito di una valanga precludono qualsiasi tipo di beneficio dalla diffusione degli smartphone. - In secondo luogo, le applicazioni devono essere installate e attivate manualmente, pertanto la diffusione degli smartphone non equivale alla diffusione degli ARTVA. - In terzo luogo, a causa dell'urgenza dell’autosoccorso in valanga entro i tempi di soccorso standard (cioè la combinazione di ricerca del primo segnale, ricerca sommaria, ricerca di precisione, localizzazione con sonda e scavo) di 10 minuti o meno di 10, i dispositivi di ricerca in valanga sotto standard possono avere un notevole impatto negativo sulla mortalità vittima. - In quarto luogo, vi è il potenziale per un significativo impatto negativo sugli utilizzatori di ARTVA per la presenza della tecnologia di ricerca in valanga mediante App per smartphone: cioè la possibilità per le persone che altrimenti avrebbero acquistato ( o presi in prestito o in affitto) un ARTVA di essere tentate dallo scaricare un App sul proprio smartphone. Queste persone possono non essere consapevoli del fatto che la loro App per smartphone
per la ricerca in valanga non è compatibile con gli ARTVA degli altri membri del gruppo, ponendo in tal modo a rischio se stessi ed i loro compagni.
Raccomandazioni Alla luce delle carenze della attuale tecnologia delle applicazioni di ricerca in valanga per smartphone, il Centro Valanghe Canadese sta attuando le seguenti strategie: Mantenere la cultura prevalente di utilizzare ARTVA 457 kHz durante le attività sportivo-ricreative invernali in fuori pista, continuando a promuovere le campagne di sensibilizzazione esistenti del Centro Valanghe Canadese e di altri partner che raccomandano l'uso di ARTVA, sonde e pale per tutti i membri del gruppo. Scoraggiare l'adozione della tecnologia delle applicazioni di ricerca in valanga per smartphone a posto degli ARTVA 457 kHz. Questo potrebbe assumere la forma di campagne di educazione mirate rivolte a specifici gruppi di utenti. Le campagne dovrebbero evidenziare i vantaggi per gli utenti di ARTVA 457 kHz versus le Apps di ricerca in valanga per smartphone. Rispondere alle richieste di informazioni dei media e del pubblico riguardo a questa nuova tecnologia, compreso l'essere pronti a reagire in caso di un incidente che abbia coinvolto (l’uso di - N.d.T.) applicazioni di ricerca in valanga, sia in Canada sia altrove. Pretendere che le nuove tecnologie di ricerca in valanghe, soprattutto quelle che si discostano dagli standard internazionali concordati, siano sviluppate in modo collaborativo, accuratamente e con trasparenza. Gli sviluppatori devono ricordare il loro obbligo morale di garantire la piena ed autonoma sperimentazione dei propri sistemi di soccorso prima d’immetterli sul mercato.
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VARIAZIONI CLIMATICHE e MANTO sulle NEVOSO ALPI ITALIANE
Mauro Valt ARPAV DRST SNV Centro Valanghe di Arabba, Via Pradat, 5, 32020 Arabba BL, Italy mvalt@arpa.veneto.it
Paola Cianfarra Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Scienze Roma, Italy paola.cianfarra@uniroma3.it
Nel V rapporto AR5 del WGI dell’IPCC di Stoccolma è stato ribadito che l’estensione della copertura nevosa dell’Emisfero Nord è in diminuzione e che nei mesi di marzo e aprile sussiste un’elevata correlazione fra questa diminuzione e l’anomalia delle temperature. Recenti lavori hanno già dimostrato che anche sulle Alpi italiane (6.6-13.7 E e 47.1-44.1 N) l’estensione della copertura nevosa e il cumulo di neve fresca sono in diminuzione specie nei mesi di marzo e aprile e alle quote fra gli 800 e i 1500 m. Nel presente lavoro sono stati invece analizzati i dati di temperatura, precipitazione nevosa e durata del manto nevoso con spessore superiore ai 30 cm (neve sciabile) del periodo 1930-2013. Le analisi condotte hanno evidenziato, nel periodo 1987-1988, un cambiamento di regime di tutti e tre i parametri analizzati. Inoltre nel periodo 1991- 2000 il deficit è stato più importante che negli ultimi 10 anni. Nel periodo 2004-2013 si osserva un minor incremento della temperatura nei mesi di dicembre-febbraio rispetto alla media 1961-1990 e una precipitazione nevosa quasi nella norma. Invece, nei mesi di marzo – aprile, le temperature sono in netto aumento e il deficit della precipitazione nevosa è importante (-30% circa) specie alle basse quote, con conseguente minor durata del manto nevoso al suolo. Per quanto riguarda la linea della neve sciabile (LAN), la quota si è innalzata di oltre 300 m a fronte di un aumento stagionale della temperatura di 0.7 °C, pari ad un innalzamento molto maggiore di quello indicato in altri studi di 150 m per 1.0 °C. Infine, nel periodo 1961-2013, sussiste un’elevata correlazione fra l’andamento delle temperature in primavera con il cumulo di neve fresca (R=0.81) e con la permanenza della neve con spessore superiore ai 30 cm (R=0.90).
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INDRODUZIONE
La diminuzione dell’estensione della copertura nevosa nell’emisfero nord (NH) è ben dimostrata da diversi lavori come anche ribadito nel V rapporto AR5 WGI I dell‘IPCC approvato a Stoccolma il 28 settembre 2013 (http://www.ipcc.ch/). Infatti, i dati da satellite indicano, nel periodo 1967-2012, una diminuzione dell’estensione annuale della copertura nevosa, specie nei mesi di marzo – aprile (MA) (IPCC-WGI 4.52, 2013). Nei mesi di marzo e aprile la riduzione media per decennio nel periodo 1922-2012 è stata dello 0.82%, nel periodo 1967-2012 del 1,59% e nel periodo più recente, 19792012, ancora più elevata e pari a 2.24% (IPCC-WGI 4.52, 2013). Inoltre, sempre nei mesi MA, nelle aree fra i 40°N-60°N del NH, è stata dimostrata un’elevata correlazione lineare (R=0.76) (Brow e Robinson, 2011) tra l’anomalia della temperatura della superficie dell’NH (Jones et al., 2012) e l’innevamento (Snow Covered Area). Questa diminuzione della copertura nevosa è stata dimostrata anche per le regioni alpine (Micu 2009; Ke et al., 2009; Morin et al., 2008; Xuet al., 2008), e in particolare per le Alpi Europee (Wielke et al., 2004; Hantel e Hirtl-Wielke, 2007; Schoner et al,. 2009; Valt e Cianfarra, 2010). Una diminuzione delle altezze massime di neve al suolo sono state evidenziate sia sul versante nord delle Alpi (Marty e Blanchet 2012) che sul versante sud (Valt et al., 2009). Diversi studi hanno dimostrato che l'altezza media della neve e i giorni di neve sono diminuiti nelle Alpi negli ultimi 20 anni (Marty, 2008; Durand et al., 2009; Valt e Cianfarra, 2010), soprattutto ad altitudini inferiori a 1500 m (Laternser e Schneebeli, 2003; Scherrer et al., 2004). La temperatura media della superficie della terra, è aumentata di circa 0.89 °C nel periodo 1901-2012 e di circa 0.72 °C solo nel periodo 1951-2012. Comunque, in particolare per le Alpi, l’elevata variabilità interannuale delle precipitazioni e l’impatto del NAO hanno creato difficoltà a quantificare l’impatto dell’incremento
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delle temperature sul manto nevoso (Serguet et al., 2013; Scherrer e Appenzeller, 2006; Scherrer et al., 2004; Marty, 2008; Schoner et al., 2009; Morin et al., 2008; Durand et al., 2009). La variazione della durata del manto nevoso al suolo, incluse le sue variazioni annuali, hanno un notevole impatto sulle regioni alpine, non solo dal punto di vista idrologico, geologico e glaciologico ma anche socio-economico per il turismo invernale. E’ stato stimato che un aumento di 1 °C della temperatura media dell’aria determina un innalzamento del limite della neve sicura di 150 m con conseguenze dirette sul turismo invernale (HaubnerKöll, 2002). Nel presente lavoro vengono presentate le elaborazioni preliminari inerenti alle variazioni recenti della temperatura dell’aria sulle Alpi Italiane nel periodo compreso tra i mesi di dicembre-aprile (DJFMA), le variazioni della precipitazione nevosa e della neve al suolo ed il variare della quota della neve sciabile.
DATI E METODO Nel presente lavoro sono stati utilizzati i dati di temperatura media mensile, del contributo mensile della precipitazione nevosa cumulata, di spessore medio del manto nevoso al suolo. Tali dati derivano da una serie di stazioni di misura ubicate a differenti fasce altimetriche in numero variabile a seconda del dataset analizzato. Le stazioni di osservazione e misura sono state scelte in base alla disponibilità di serie storiche già omogeneizzate o pubblicate, sulla distribuzione geografica areale e altimetrica e sulla lunghezza della serie storica. I dati di temperatura dell’aria derivano da 12 stazioni fra i 254 m e i 2200 m di quota (Tab. 1), ubicate nel versante meridionale delle Alpi ed appartenenti a diverse istituzioni. Sono state consultate le banche dati on line della Provincia Autonoma di Trento, Provincia Autonoma di Bolzano, Società Meteorologica Italiana, Meteosuisse, Arpa Veneto, Arpa Piemonte, Progetto Histalp, Progetto RiskAlp, Osservatorio di
Oropa e consultati gli Annali Idrologici pubblicati dal Ministero dei Lavori Pubblici e pubblicazioni (Mercalli et al., 2003, 2007; Tarolli et al., 2007; Bellin e Zardi, 2004; Barbi et al., 2013; Faletto et al., 2013). Sono stati utilizzati i dati di temperatura media mensile dell’aria, come aggregazione delle temperature minime e massime (WMO n. 100, Cap. 5.2.4.1.1.). I dati di temperatura dell’NH derivano dal sito http://www.cru.uea.ac.uk/ cru/data/temperature/ (Climatic Research Unit, University of East Anglia). Anche per queste elaborazioni è stato utilizzato il valore medio mensile. Le analisi del cumulo stagionale mensile della neve fresca (calcolato come sommatoria dei valori giornalieri misurati alle 8:00 di ogni mattina) sono state effettuate utilizzando 18 stazioni (Tab. 1) di misura della neve ubicate fra i 750 m e i 2529 m. Nelle elaborazioni è stato utilizzato il cumulo mensile di neve fresca. Lo studio dello spessore medio di neve al suolo, è stato effettuato considerando il numero di giorni in cui la neve al suolo aveva uno spessore maggiore di un valore prestabilito. La scelta di tale spessore limite, dipende dalle attività praticate sulla neve alle diverse quote come ad esempio 5 cm per la realizzazione di un pupazzo di neve, 30 cm per la pratica dello sci nordico o 50 cm per la pratica dello snowbord (Marty, 2008). Lo spessore limite dei 30 cm viene utilizzato per definire la sciabilità di una area geografica in funzione del numero di giorni in cui lo spessore della neve è superiore al limite di 30 cm nel periodo dicembre –aprile. Tale limite viene chiamato “Linea Affidabilità della Neve (LAN) (OECD, 2007). Nel presente studio è stato utilizzato il suddetto spessore limite di 30 cm sulla base del quale è stata calcolata la quota minima in cui la durata di neve al suolo superiore ai 30 cm è stata di almeno 100 giorni in una stagione invernale (Laterser e Schneebeli, 2003; Uhlmann et al., 2009). Le stazioni utilizzate sono state 22 fra i 750 m e i 2529 m di quota (Tab. I). Tutti i dati relativi alla neve, sono stati ricavati dalle banche dati delle reti di
STAZIONI
LAT (°N)
LONG (°E)
ALTITUDINE (m)
TEMP. ARIA
Belluno
46.16
12.24
340
X
Vipiteno
46.89
11.43
948
X
Anterselva
46.86
12.10
1236
X
Passo Rolle
46.30
11.79
1990
X
Cavalese
46.22
11.45
958
X
Cima Paganella
46.13
11.03
2125
X
Torino
45.06
7.24
254
X
Oropa
45.37
7.58
1100
X X
Lago Toggia
46.44
8.43
2200
Lago Piastra
44.23
7.39
920
CUMULO NEVE FRESCA
ALTEZZA NEVE AL SUOLO
X X
Balme
45.30
7.21
1450
X
Saretto
44.48
6.93
1540
X
Diga di Beauregard
45.62
7.05
1772
X
Gressoney
45.89
7.03
1850
X
Lago Rochemolles
45.13
6.76
1926
X
Passo Fedaia
46.46
11.86
2050
X
Ghirlo
46.34
11.97
750
X
X
Asiago
45.89
11.92
1000
X
X X
Tonezza
45.85
11.34
990
X
Auronzo
46.54
12.46
835
X
X
Cortina d'Amp.
46.54
12.13
1265
X
X
Passo Mauria
46.46
12.51
1270
X
X
Andraz
46.50
11.87
1440
X
X
Arabba
46.48
11.98
1630
X
X
Lago di Cavia
46.36
11.82
2100
X
X
Careser
46.35
10.70
2500
X
X
X
Rosone
45.43
7.42
714
X
Noasca
45.45
7.41
1062
X
Formazza Ponte
46.38
8.42
1280
Ussin
45.85
7.60
1321
Ceresole Reale
45.43
7.23
1579
Lago Telessio
45.48
7.37
1917
Tab. I
X X
X
X
X
X
X
X
X
Lago Serrù
45.46
7.10
2275
X
Lago Golliet
45.93
7.67
2529
X
X © AINEVA
monitoraggio regionale e provinciale dei Servizi Valanghe AINEVA e dagli Annali Idrologici pubblicati dal Ministero dei Lavori Pubblici (Ministero Lavori Pubblici, 1927-1996). Sono stati utilizzati anche dati rilevati presso le dighe delle diverse compagnie di gestione delle acque superficiali dell’arco alpino (CVA, ENEL). Nello specifico per il Canavese, i dati sono stati redatti dalla banca dati on-line a risoluzione mensile della Società Meteorologica Italiana realizzata con il finanziamento della Fondazione Vodafone Italia. In tutte le serie analizzate, i dati mancanti, mai superiori al 10% dell’intera serie storica, sono stati ricostruiti come specificato nel Cap.5.2.7.3.2 del WMO.100, utilizzando, come riferimento serie storiche omo-
geneizzate vicine con coefficiente di correlazione lineare R superiore a 0.7 (Auer, 1992). Disponendo di serie di dati di neve sufficientemente lunghe per quasi tutte le stazioni considerate, le elaborazioni sono state effettuate sulla base del trentennio di riferimento 1961-1990, come indicato dal WMO (WMO, Climate Normals, CLINO, nota tecnica 847). In tutti i grafici e le tabelle del presente lavoro l’anno di riferimento è l’anno idrologico (ad esempio l’anno 2013 inizia il 1 ottobre 2012 e termina il 30 settembre 2013). L’analisi dei trend dei dati è stata effettuata con metodi statistici diversi quali la regressione lineare semplice, la media mobile e l’analisi del regime shift con la libreria Strucchange (Bai e Perron,
2003) del software R (Zeileis et al., 2003) che permette di individuare un punto di discontinuità (Regime shift) di due fasi climatiche contigue (Chiaudani et al., 2008; Marty e Blanchet, 2012).
RISULTATI Temperatura dell’aria E’ ampiamente dimostrato che le temperature dell’aria del NH sono in aumento (IPPC 2007, 2013). Alcuni lavori recenti hanno quantificato anche la variazione della temperatura sulle Alpi. Ad esempio per la Svizzera, Marty e Meister (2012), indicano per gli ultimi 30 anni in sei stazioni significative di alta quota, un aumento della temperatura annuale di
15
Fig. 1
y = 0,0119x - 0,3177 R2 = 0,4635 2
0
-2
2
0
Alpi NH Lineare (NH-media mobile 11) Fig. 2
2015
2010
2005
2000
1995
1990
1985
1980
1975
1970
1965
1960
1955
1950
1945
1940
1935
1930
y = 0,015x - 0,489 R2 = 0,7082
Alpi media mobile 11 NH-media mobile 11 Lineare (Alpi media mobile 11)
-2
NH-Anomalia °C
SA-Anomalia °C
TEMPERATURA DELL’ARIA
© AINEVA
TEMPERATURA DELL’ARIA 4
Anomalia °C
3 2 1 0
DJFMA Tab. II
Regime shift
DJFMA
2015
2010
2005
2000
1995
1990
1985
1980
1975
1970
1965
1960
1955
1950
1945
1940
1930
-2
1935
-1
© AINEVA
DJF
MA
1961-1990
+/-°C
+/-°C
+/-°C
1991-2010
+0.69
+0.56
+0.91
1991-2000
+0.74
+0.75
+0.84
2001-2010
+0.65
+0.38
+0.97
2004-2013
+0.70
+0.38
+1.13 © AINEVA
Fig. 3
CUMULO NEVE FRESCA DJFMA 3
SAI Index
2 1 0
DJFMA
16
Regime shift
Media mobile 11
2015
2010
2005
2000
1995
1990
1985
1980
1975
1970
1965
1960
1955
1950
1945
1940
1930
-2
1935
-1
© AINEVA
0.8 °C, valore inferiore rispetto alle stazioni alle quote medio basse +1.2/+1.4 °C. In Austria, nella regione della Carinzia, è stato osservato un aumento delle temperature, dal 1900 al 2008, di 1.5 °C -1.7 °C (Stockinger, 2010). Cacciamani et al. (2003) hanno indicato per le Alpi Italiane un aumento di +1.1 °C/+0.9 °C per il periodo DJF e di 0.8-1.0 °C per il periodo MAM (marzo-aprilemaggio). Lo scarto rispetto alla media del periodo 1961-1990 della temperatura dell’aria DJFMA ha un trend positivo con coefficiente di correlazione lineare R 0.70 con la temperatura del NH (Fig. 1). I risultati preliminari dell’andamento della temperatura media dell’aria, per il versante sud delle Alpi, indicano un aumento della temperatura di 0.6-0.7 °C (DJFMA) negli ultimi 30 anni. L’anno più probabile di discontinuità climatica individuato sulla media mobile di 11 anni della serie storica è il 1987 (Fig. 2). A livello sinottico tale discontinuità coincide con il netto cambiamento di fase della circolazione atlantica evidenziato dall’indice NAO (Werner et al. 2000). Proprio dal 1987 in poi, la temperatura media è stata sempre superiore al valore di riferimento 1961-1990, eccetto nelle stagioni invernali 1991, 2005, 2006, 2010 e 2013. Tuttavia negli ultimi 10 anni (2004-2013) sono state ben 4 le stagioni invernali più “fredde” della media ma anche 3 le stagioni invernali con una temperatura “molto mite” con valori superiori allo 0.90 percentile (2007=+3.09 °C, 2008=+1.56 °C, 2012=+1.44 °C). I decenni 1991-2000 e 2001-2010, di DJFMA mostrano quasi un decimo di grado di differenza fa di loro (+0,74 °C/+0,65 °C) (Tab. II). La temperatura di DJF 20012010 ha uno scarto positivo inferiore (+0.38 °C) rispetto al periodo DJF 19912000 (0.75 °C) mentre MA 2001-2010 ha uno scarto positivo superiore (+0.97 °C) rispetto al decennio precedente (+0.84 °C). Inoltre i periodo 2004-2013 evidenzia ancora un andamento più “fresco” in DJF (+0.38 °C) e ancor più mite in MA (+1.13 °C).
Spessore neve al suolo, quota neve sciabile Laternser e Schneebeli (2003) hanno individuato a 1300 m la quota minima delle aree sciabili (LAN) in Svizzera.
DJFMA 800-1500 m (cm) 1961-1990
218
DJFMA 1500-2500 m (cm)
%
407
Tab. III
%
1991-2010
174
-20%
361
-11%
1991-2000
164
-25%
353
-13%
2001-2010
183
-16%
370
-9%
2004-2013
199
-9%
395
-3% © AINEVA
DJF 800-1500 m (cm)
DJF 1500-2500 m (cm)
1961-1990
146
%
233
%
1991-2010
124
-15%
213
-9%
1991-2000
114
-22%
205
-12%
2001-2010
135
-8%
221
-5%
2004-2013
148
1%
231
-1%
Tab. IV
© AINEVA
MA 800-1500 m (cm) 1961-1990
72
MA 1500-2500 m (cm)
%
174
Tab. V
%
1991-2010
49
-31%
149
-15%
1991-2000
50
-30%
148
-15%
2001-2010
49
-32%
149
-14%
2004-2013
52
-28%
164
-6% © AINEVA
Fig. 4
NEVE SCIABILE (HS>30 cm) 160 y = -0,1429x + 121,62 R2 = 0,0936
140 120
Giorni (cm)
100 80 60 40 20
800-1500
1500-2500
Lineare (1500-2500)
Questo limite altimetrico è riferito alla quota dove si hanno almeno 100 giorni con una altezza delle neve naturale al suolo di 30 cm nel periodo DJFMA. Questa quota non è fissa ma varia nel tempo e geograficamente in funzione delle aree climatiche. Ad esempio Wielke et al. (2004), ha comparato la durata del manto nevoso fra Austria e Svizzera e ha individuato una quota di 1050 m per Austria orientale. Questa differenza altimetrica è da attribuire alla transizione fra il clima atlantico marittimo della Svizzera occidentale e il continentale dell’Austria orientale.
2015
2010
2005
2000
1995
1990
1985
1980
1975
1970
1965
1960
1955
1950
1945
1940
y = -0,1695x + 59,712 R2 = 0,1012
1935
0
1930
Cumulo stagionale di neve fresca Sul versante meridionale delle Alpi, nel periodo 1990-2009, il cumulo stagionale (DJFMA) di neve fresca, è diminuito, specie fra gli 800 e i 1500 m di quota (Valt e Cianfarra, 2010). Anche la durata del manto nevoso al suolo è diminuita, soprattutto nel periodo MA (Valt e Cianfarra, 2010) come avviene nel NH (Dye, 2002). Per 18 stazioni italiane è stato calcolato l’indice di anomalia standardizzato (SAI Index) (Giuffrida e Conte, 1989) rispetto alla media 1961-90 della precipitazione nevosa e il punto di cambiamento di regime (Bai e Perron, 2003). L’anno più probabile della discontinuità climatica è stato individuato nel 1987 (Fig. 3). Tuttavia proprio dal 1987 in poi e fino al 2002, la media mobile dell’indice è sempre stata negativa. Dal 2003 in poi, l’indice, pur rimanendo confinato nel settore negativo, è in aumento. E’ stata calcolata la variazione quantitativa in cm del cumulo stagionale di neve fresca per le fasce altimetriche 800 - 1500 m e 1500 - 2500 m. Nella Tab. III sono riportati i valori di precipitazione media per i diversi periodi di DJFMA. E’ evidente il grande deficit degli anni ’90, il deficit minore degli anni 2000 e i valori quasi nella norma del periodo recente 2004-2013. Nelle Tab. IV e Tab. V sono riportati i valori di precipitazione media per i diversi periodi ma divisi per DJF e MA. Le variazioni e i deficit di precipitazione, sia a bassa quota che in quota, non sono molto importanti nella stagione DJF mentre in MA, i deficit rimangono importanti anche nel periodo recente, specie alle basse quote. Come anche per le temperature, le tendenze più importanti sono nel periodo MA- 2004-2013 e nel caso della precipitazione nevosa, in modo più marcato nella fascia altimetrica 800- 1500 m.
Lineare (800-1500)
© AINEVA
Oltre ad una variazione ovest – est della quota della neve sciabile, Marty (2008) ha evidenziato una variazione fra il versante nord e sud delle Alpi Svizzere. Utilizzando un livello minimo di altezza neve di 50 cm, ha riscontrato una diminuzione di circa il 20% di giornate sul versante sud, rispetto al versante nord delle Alpi. Questo indica che la quota della neve sciabile sul versante meridionale delle Alpi, influenzato dal clima mediterraneo, è più elevata rispetto al versante settentrionale delle Alpi. Per le Alpi italiane, OECD (2007) ha posi-
17
Tab. VI
DJFMA 800-1500 m (giorni) 1961-1990
61
DJFMA 1500-2500 m (giorni)
%
123
%
1991-2010
42
-31%
107
-13%
1991-2000
36
-41%
105
-15%
2001-2010
49
-21%
109
-11%
2004-2013
56
-9%
112
-9% © AINEVA
Tab. VII
DJF 800-1500 m (giorni)
DJF 1500-2500 m (giorni)
1961-1990
40
%
72
%
1991-2010
31
-21%
66
-9%
1991-2000
28
-29%
65
-10%
2001-2010
35
-12%
67
-7%
2004-2013
39
-1%
70
-3% © AINEVA
Tab. VIII
MA 800-1500 m (giorni)
MA 1500-2500 m (giorni)
1961-1990
22
%
51
%
1991-2010
11
-50%
41
-19%
1991-2000
8
-64%
40
-22%
2001-2010
14
-36%
42
-17%
2004-2013
16
-24%
42
-17% © AINEVA
Fig. 5
QUOTA LAN - NEVE SCIABILE 3000 2500 Altitudine (m)
2000 1500 1000
Altitudine Tab. IX
Media mobile 11
LAN (quota m)
Regime shift
2010
2005
2000
1995
1990
1985
1980
1975
1970
1965
1960
1955
1950
1945
1940
1930
0
1935
500
© AINEVA
+/- (m) RISPETTO AL 1961-1990
1961-1990
1534
1991-2010
1774
240
1991-2000
1834
300
2001-2010
1714
180
2004-2013
1665
131 © AINEVA
zionato la LAN a 1500 m di quota, come per il Ticino nelle Alpi Svizzere. Fhoen (1990) e Haeberli e Beniston (1998) hanno anche stimato una variazione di 150 m di quota per ogni 1 °K di
18
riscaldamento delle Alpi. Nel presente studio sono state presi in considerazione i valori di altezza neve giornaliera di 22 stazioni delle Alpi meridionali dislocate fra i 850 e i 2600 m di quota.
Molte serie storiche iniziano già dagli anni ’30 ma sono stati considerati i valori dal 1950 al 2013 che sono disponibili per le 22 stazioni analizzate. Per tali stazioni è stato calcolato il numero di giorni con un’altezza della neve al suolo maggiore di 30 cm e sono stati raggruppati per mesi DJFMA (Fig. 4), DJF e MA e per due fasce altimetriche 8001500 m e 1500-2500 m. Per ogni raggruppamento è stato calcolato lo scarto dalla media 1961-90 rispettivamente per le due decadi seguenti e per il periodo recente 2004-2013. E’ stata inoltre calcolata la media mobile e la sua linea di tendenza che è risultata decrescente per tutte e due le fasce altimetriche. In Tab. VI sono riportati i valori medi per fascia altimetrica della durata del manto nevoso rispettivamente per il periodo 1961-90, 1991-2000, 1991-2010, 20012010 e 2004-2013. I valori calcolati di DJFMA evidenziano la carenza di neve del periodo 1991-2000, caratterizzata da minor precipitazione nevosa e la ripresa della decade successiva 2001-2010. Il periodo recente 2004-2013 evidenzia una ripresa ancora maggiore, seppur inferiore alla media 61-90. Per il periodo DJF Tab. VII, oltre ai deficit riscontrati nei decenni 1991-2000 e 2001-2010, si osserva per il periodo recente uno scarto minimo di -3/-2 giorni di permanenza della neve Per il periodo MA Tab. VIII, si osservano poche variazioni in quota, dove il deficit rimane quasi stazionario e maggiore del periodo DJF. Il deficit è sempre importante della fascia altimetrica 800-1500 e nel periodo 2004-2013 è attenuato dai nevosi inverni fino a bassa quota del 2008 e del 2013. Sulla base di questi dati è stata elaborata la LAN per il versante meridionale delle Alpi (Fig. 5). In Tab.IX è riportata la quota per singolo periodo. Rispetto al periodo di riferimento 19611990, la quota si è alzata fino a oltre i 1834 m di quota nei decenni successivi e dopo aver raggiunto il suo massimo
nel periodo 1991-2000 è in leggera diminuzione.
CONCLUSIONE Nel presente lavoro sono stati analizzati i dati di temperatura, precipitazione nevosa, durata del manto nevoso con spessore superiore ai 30 cm, di una serie di stazioni del versante meridionale delle Alpi. Le analisi condotte hanno evidenziato nel periodo 1987-1988 un cambiamento di regime di tutti e tre i parametri analizzati e nel periodo 1991- 2000 il deficit è stato più importante che nei periodi successivi. Nel periodo recente, 2004-2013, si osserva un minor incremento della temperatura nel periodo dicembre-febbraio rispetto alla media 1961-1990 e precipitazioni nevose quasi nella norma. Invece, nel periodo MA, le temperature sono in netto aumento e il deficit della precipitazione nevosa rimane importante (-30% circa) specie alle basse quote con conseguente minor durata del manto nevoso al suolo. Per quanto riguarda la linea della neve sciabile (LAN), la quota si è innalzata di oltre 300 m a fronte di un aumento stagionale della temperatura di 0.7 °C, pari ad un innalzamento molto maggiore di quello indicato in altri studi 150 m per 1.0 °C. Infine sussiste un’elevata correlazione fra l’andamento delle temperature in primavera e il cumulo di neve fresca (R=0.81) e la permanenza della neve con spessore superiore ai 30 cm (R=0.90) nel periodo 1961-2013. In sintesi, molti parametri analizzati nel presente lavoro seguono gli stessi andamenti di quanto succede nel NH e sembra che negli ultimi 10 anni ci sia una variazione delle tendenze generali in atto ascrivibili per ora alla variabilità climatica ma che forse, i ghiacciai del versante meridionale delle Alpi, abbiano già iniziato a risentirne.
RINGRAZIAMENTI Un particolare ringraziamento a Emanuele Eccel e a Daniele Cat Betto per i suggerimenti e i consigli forniti.
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EVOLUZIONE DEI GHIACCIAI DELLE DOLOMITI NEGLI ULTIMI CENTO ANNI e recenti bilanci di massa in tre apparati glaciali
Andrea Crepaz, Anselmo Cagnati ARPAV - DRST Centro Valanghe Arabba
Giovanni De Luca ARPAV - DRST Servizio Idrologico Regionale
Questo lavoro si propone di fornire dati quantitativi sui mutamenti avvenuti nei piccoli ghiacciai dolomitici nell’ultimo secolo e mostrare un bilancio di massa recente su tre apparati, tra i maggiori presenti in Dolomiti. Oggi in Dolomiti ci sono circa 75 apparati glaciali, generalmente molto piccoli, spesso glacionevati, alcuni non rilevati nel passato. Per questo motivo è stato preso un campione di 27 apparati, per i quali sono disponibili dati storici. Inoltre per Marmolada, Antelao Superiore e Fradusta, dove è stato condotto un rilievo GPR e GPS nel 2004 e un rilievo Lidar da elicottero nel 2009, è stato calcolato il bilancio di massa. Se ne è desunta una perdita di superficie di 4.48 km2 in cento anni, pari al 49%, di cui circa il 30% negli ultimi 30 anni. Il calcolo del bilancio di massa, nel periodo 2004/2009, ha rivelato una perdita media annua, rispettivamente, di 1.05 m w.e a-1 nell’Antelao Superiore, 1.16 m w.e a-1 nella Fradusta e 1.01 m w.e a-1 nel Ghiacciaio della Marmolada.
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cano incertezze e assunzioni; diversi lavori comparano differenti metodi (Kaser, 1996; Hagg, 2004; Cox, 2004; Thibert, 2009; Fischer, 2011). Riguardo ai ghiacciai alpini, Fischer (2011) ha trovato un bilancio di massa, calcolato con metodo geodetico, di -0.5 m w.e. a-1 fra il 1953 e il 2006 su sei ghiacciai austriaci. In Alto Adige il catasto del 2006 ha riscontrato una perdita di area del 32% (Knoll, 2009) a partire dal 1983.
I GHIACCIAI DELLE DOLOMITI
Fig. 1 - Localizzazione degli apparati glaciali delle Dolomiti, con indicazione dei 27 apparati campione e dei 3 oggetto di calcolo del bilancio di massa.
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INTRODUZIONE I bilanci di massa dei ghiacciai sono un importante indicatore dei cambiamenti climatici. La conoscenza della superficie dei ghiacciai e i corrispettivi bilanci di massa nel passato e nel futuro sono cruciali per la comprensione dell’evoluzione del riscaldamento su scala globale. Esistono molti catasti che documentano i cambiamenti areali dei ghiacciai (Lambrecht and Kuhn, 2007; Cogley, 2009; Knoll and Kerschner, 2009) e, nell’ultima decade, numerosi autori hanno rilevato un’importante perdita di volume dei ghiacci in ambito alpino (Diolaiuti, 1999; Lambrecht, 2007; Abermann, 2009) e nel mondo (Rabatel, 2011; Bolch, 2011). Ci sono quattro metodi per la misura del bilancio di massa: glaciologico (diretto), geodetico, idrologico e un altro basato sulla perdita di massa e sui meccanismi di flusso dei ghiacci (Hagg, 2004; Farinotti, 2009). Tutti questi metodi impli-
Le Dolomiti, con un’estensione di circa 16000 km2, sono posizionate nell’Italia Nord-Orientale, fra il Trentino Alto Adige, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia. In quest’area, caratterizzata da diversi gruppi montuosi che raggiungono quote relativamente modeste (intorno a 3000 m), sono attualmente censiti 75 apparati glaciali (ghiacciai e glacionevati) (Fig. 1), generalmente di piccolissime dimensioni, che presentano una reazione molto importante e rapida all’attuale fase di riscaldamento globale (IPCC, 2013). In questo contesto lo studio della loro evoluzione diventa significativa soprattutto in un’ottica di cambiamenti paesaggistici, anche in considerazione del fatto che, a partire dal 2009, le Dolomiti sono entrate a far parte del patrimonio mondiale UNESCO e, in secondo luogo, per verificare i cambiamenti del regime idrologico, visto che, da alcuni di essi (Marmolada), viene prelevata l’acqua derivante dalla fusione del ghiacciaio per la produzione di energia idroelettrica. Le prime misurazioni dei ghiacciai delle Dolomiti risalgono a fine ‘800 e inizio ‘900; alpinisti austriaci collezionavano informazioni sull’estensione dei ghiacciai percorsi (Grohmann, 1877; Richter, 1888; Eckert, 1891; Aegerter, 1905). Il primo lavoro organico, riguardante i Ghiacciai in Veneto, risale al 1910, quando Marinelli, ne “I Ghiacciai delle Alpi Venete”, descriveva 39 apparati glaciali, con informazioni relative alla superficie, quota minima, massima e media, cui allegava schizzi e foto (Fig. 2). Negli anni ’30 diversi autori (Castiglioni, 1925; Dainelli, 1930; Porro, 1925; 1927) indagavano alcuni ghiacciai dolomitici,
citando l’area, ma solamente fra il 1958 e il 1960 veniva realizzato, a cura del Comitato Glaciologico Italiano, il Catasto dei Ghiacciai Italiani, che comprendeva anche quelli dolomitici. Esso segnalava 56 ghiacciai, di cui 22 erano dichiarati estinti. Negli anni ’80 veniva realizzato il World Glacier Inventory (WGI), nel quale erano riportate informazioni riguardo a 60 apparati glaciali. Negli ultimi 15 anni, sui ghiacciai delle Dolomiti, sono state condotte alcune campagne glaciologiche a cura dell’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto (ARPAV). Nei rilievi del 2001 e del 2004 i dati sono stati ricavati da fotografie prospettiche da aeromobile e ortofoto e, nella campagna del 2004, sono stati effettuati rilievi GPS e GPR su tre apparati particolarmente significativi (Principale della Marmolada, Superiore dell’Antelao e Fradusta). Nel 2009 è stato effettuato, invece, un rilievo completo mediante Lidar da elicottero, con produzione di modelli tridimensionali e ortofoto.
VARIAZIONI AREALI NEGLI ULTIMI 100 ANNI Allo stato attuale il database di ARPAV contiene informazioni relative alla superficie dei ghiacciai dolomitici dal 1888 al 2009. Esso permette di avere un quadro del trend negli ultimi 100 anni. L’analisi, sui 27 apparati di cui si dispone di dati storici, è stata condotta considerando solamente le 5 campagne che risultano essere più complete: 1910 (Marinelli), 1956/59 (CGI), 1980/82 (Regione Veneto. WGI), 2001 (ARPAV) e 2009 (ARPAV) (tabella di Fig. 3). Vengono inoltre riportati i dati del Richter; essi fornivano informazioni di 13 ghiacciai, alcuni dei quali risultavano uniti fra loro (Marmolada Principale e Occidentale, Cristallo e Popena, Sorapis Centrale e Orientale), subendo poi, nei decenni, processi di fusione e frammentazione molto importanti. La superficie occupata da questi apparati glaciali costituisce il 72% dell’area glacializzata totale, risultando, quindi, un buon indicatore dell’evoluzione del glacialismo in zona dolomitica. In tabella di Fig. 3 i dati storici possono essere confrontati con
le più recenti indagini ARPAV. Lo stato di salute dei ghiacciai delle Dolomiti non è molto dissimile da quello degli altri ghiacciai alpini. A partire dalla Piccola Età Glaciale (PEC), attorno al 1850, vi è stata una fase di continuo declino della superficie dei ghiacciai, interrotta solo parzialmente, negli anni Ottanta, da un periodo caratterizzato da minori tassi di arretramento. Solo in alcuni casi si nota un aumento dell’area rilevata, ma tale comportamento è esclusivamente dovuto al fatto, che, negli ultimi rilievi, grazie all’interpretazione delle ortofoto, sono state, con una certa accuratezza, rilevate masse di ghiaccio sepolte, che nel passato non erano state considerate (Val d’Arcia, Travignolo). Per quanto riguarda il Ghiaccio Pensile del Popera, per il quale si registra un lieve incremento, il Marinelli sottolineava come la sua fosse una stima, anche suscettibile di errore, data l’impossibilità di raggiungerlo direttamente. Si vuole inoltre sottolineare come i valori di superficie del passato fossero calcolati con mezzi notevolmente ridotti rispetto ai giorni nostri; talvolta questi hanno senz’altro portato a degli errori, ma, globalmente, si Ghiacciaio/Campagna 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27
Antelao Inferiore Antelao Superiore Cantoni Cresta Bianca Cristallo Cristallo Civetta Fanes Fradusta Froppa Dentro Froppa Fuori Marmolada Occidentale Marmolada Principale Meduce Dentro Meduce Fuori Pelmo Popena Popera Alto Popera Basso Popera Pensile Sella Sorapis Centrale Sorapis Occidentale Sorapis Orientale Tofana Occidentale Travignolo Val D'Arcia Vernale AREA TOTALE
Incluso marmolada Occidentale
è avuto l’impressione che i lavori svolti nel passato siano stati effettuati con una certa accuratezza. In particolare, soprattutto per l’epoca in cui è stata fatta, si vuole sottolineare l’enorme quantità e anche qualità
Richter 1888
0,60
1,62
4,95
0,56 0,25 0,14 0,29 0,32 Incluso Popera
di dati contenuta nella pubblicazione del Marinelli. Considerando quindi la somma dei 27 apparati considerati la superficie totale è passata da 9.1 km2 del 1910 a 4.7 km2 nel Fig. 2 - Rappresentazione del Ghiacciaio Superiore dell’Antelao (chiamato anche Orientale), “I Ghiacciai delle Alpi Venete”, 1910. I tratti in matita sono stati aggiunti dal Castiglioni negli anni ’20 (per gentile concessione della Biblioteca della Fondazione Angelini).
Marinelli 1910
CGI 1959
WGI 1982
ARPAV 2001
ARPAV 2009
Diff 1910/ 2009
Diff %
0,31 0,45 0,16 0,15 0,33 0,04 0,11 1,07 0,06 0,23 0,57 3,35 0,08 0,22 0,13 0,19 0,13 0,06 0,05 0,14 0,22 0,21 0,26 0,09 0,14 0,15 0,28 9,18
0,29 0,41 0,12 0,15 0,35 0,03 0,09 0,65 0,04 0,20 0,47 3,05 0,03 0,22 0,13 0,17 0,14 0,06 0,06 0,06 0,22 0,25 0,31 0,07 0,14 0,15 0,12 7,98
0,20 0,37 0,08 0,08 0,32 0,07 0,06 0,43 0,05 0,17 0,38 2,60 0,05 0,10 0,07 0,12 0,11 0,05 0,07 0,08 0,15 0,22 0,22 0,06 0,28 0,18 0,15 6,72
0,22 0,34 0,09 0,09 0,32 0,02 0,05 0,28 0,08 0,11 0,38 1,99 0,07 0,10 0,02 0,12 0,10 0,05 0,08 0,04 0,15 0,20 0,21 0,08 0,31 0,29 0,10 5,91
0,19 0,27 0,07 0,08 0,24 0,02 0,05 0,11 0,03 0,13 0,31 1,60 0,07 0,09 0,01 0,12 0,09 0,05 0,06 0,01 0,14 0,19 0,17 0,06 0,23 0,27 0,05 4,70
-0,12 -0,18 -0,09 -0,07 -0,09 -0,02 -0,06 -0,96 -0,03 -0,10 -0,26 -1,75 -0,01 -0,13 -0,12 -0,07 -0,04 -0,01 0,01 -0,13 -0,08 -0,02 -0,09 -0,03 0,09 0,12 -0,23 -4,48
-39,1 -41,0 -56,2 -48,9 -26,1 -55,5 -53,3 -89,4 -49,8 -42,7 -45,1 -52,2 -17,5 -58,8 -93,3 -37,7 -34,5 -19,7 29,1 -92,8 -35,6 -11,2 -33,7 -35,5 64,4 78,4 -82,1 -48,8
Incluso Sorapis Orientale
Dato approssimativo
Dato incerto
Fig. 3 - Variazioni areali di 27 ghiacciai delle Dolomiti negli ultimi 100 anni (Area in km2).
© AINEVA
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2009 (-4.48 km2, pari al 49% in 100 anni) (Fig. 4); dal 1910 al 1982 c’è stata una perdita di 2.46 km2 (-28.6%), mentre negli ultimi 30 anni l’area glacializzata si è ridotta di 2.02 km2 (-30%). Prendendo in considerazione alcuni singoli esempi, la Fradusta è passata da 1.07 km2 del 1910 a 0.11 km2, con una riduzione dell’89%, di cui circa il 73% negli ultimi trenta anni; la Marmolada, il più importante ghiacciaio in Dolomiti, ha visto ridursi la superficie coperta da ghiaccio da 3.35 km2 a 1.60 km2 (-52%); l’Antelao Superiore ha perso 0.185 km2 (-41.05%), con una brusca accelerazione negli ultimi 30 anni (-0.105 km2, pari al 28.30% dal 1982, -0.08 km2 dal 1910 al 1982). Fra i 27 apparati indagati, solamente tre hanno registrato una perdita inferiore al 20% nel corso dell’ultimo secolo
BILANCI DI MASSA RECENTI La stima dei bilanci di massa recenti su tre apparati glaciali (Principale della Marmolada, inclusa una piccolissima parte, limitrofa, del Ghiacciaio Occidentale Superiore dell’Antelao e Fradusta), è stata effettuata, con metodo geodetico, confrontando i dati dei rilievi GPS-GPR del 2004 con i rilievi Lidar del 2009. Nei rilievi GPS e GPR del 2004 sono stati Fig. 4 - Variazione totale areale dei 27 ghiacciai campione negli ultimi 100 anni.
utilizzati PULSEKKO IV (Sensor & Software) e SIR-3000 (GSSI), a frequenze diverse, utili, in alcuni casi, per determinare in maniera migliore la quota della roccia madre. Il contemporaneo rilievo mediante GPS (TOPCON - Legacy E GGD; “Stop and Go” Channels: 20 L1 + 20 L2 GPS/GLONASS - RTK (Real Time Kinematic)) ha permesso la produzione di un Dtm (Modello Digitale del Terreno), sia della roccia madre, sia della superficie del ghiaccio. Le misure GPR e GPS non sono state effettuate in modo uniforme, ma percorrendo la superficie secondo dei transetti, anche in funzione delle zone caratterizzate da crepacciamento, specie sugli apparati della Marmolada e dell’Antelao. Sulla Marmolada sono stati percorsi 18370 m totali, 8300 m sull’Antelao e 4930 m sulla Fradusta. (Sonda, 2005; Pasta, 2005). Per il rilievo Lidar del 2009 è stato utilizzato il sistema ALTM3100EA (Opthec l.t.d.), con GPS/POS Novatel Millenium DL 2H/AV 510, ad una densità di 2 punti/m2 e altitudine di volo attorno ai 1000 m. Al fine della determinazione del confine dei ghiacciai sono state impiegate immagini di intensità Lidar, visto che i corpi freddi hanno una differente risposta all’impulso laser, rispetto alle rocce e detriti, con il concomitante ausilio dell’indagine da ortofoto, utile specie in
10.0 9.0 8.0
Area (km2)
7.0 6.0
y = -0.0423x + 90.276 R2 = 0.925
5.0 4.0 3.0 2.0 1.0
0.0 1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020 2030 Anno
© AINEVA
Fig. 5 - Dati volumetrici, di spessore e bilancio di massa per Antelao Superiore, Fradusta e Marmolada relativi al periodo 2004/2009.
SPESSORI (m)
APPARATO MEDIO Antelao Superiore Fradusta Marmolada
2004 32,44 11,86 16,46
2009 31,71 7,9 15,01
caso di ghiaccio sepolto. Dai dati GPR del rilievo 2004 è stato ricostruito il TIN della roccia madre, utilizzando anche i punti del rilievo Lidar del 2009, risultanti esterni alla delimitazione del ghiacciaio 2009 e compresi all’interno della delimitazione del 2004. Questo procedimento ha permesso di individuare, tra i punti del rilievo Lidar, quelli la cui quota è riferibile alla roccia madre e non alla superficie ghiacciata, in quanto appartenenti a quelle zone che nel periodo 2004-2009 sono state scoperte a causa del ritiro del ghiacciaio. Su questi punti è stata effettuata una verifica di validità, confrontando i valori delle quote 2009 con il valore di roccia madre dei punti rilievo più vicini ed escludendo quei punti per cui la differenza delle quote è risultato ≥1 m (precisione del rilievo Lidar). Questa analisi ha dimostrato, in linea di massima, la corretta interpretazione fatta nel 2004 del segnale georadar nella determinazione della quota della roccia madre e anche dello spessore del ghiaccio, pur con zone in cui la densità di punti non era particolarmente elevata. Il rilievo Lidar, eseguito nel 2009, ha permesso l’individuazione della sola quota ghiaccio, su tutta la superficie dei ghiacciai, e non solo sulle localizzazioni raggiungibili con la strumentazione utilizzata nel 2004. La valutazione dei volumi è stata eseguita considerando il volume totale e della roccia madre rispetto ad una quota di riferimento per cui idealmente è stato fatto passare un piano di taglio (quota minima del ghiaccio). Il volume di interesse è stato calcolato per differenza. Infine, sono stati realizzati i Grids degli spessori e, conseguentemente, è stata calcolata la perdita di spessore nelle varie zone degli apparati (Fig. 6). Per la realizzazione di questo procedimento sono stati usati i software ArcMap rel. 9, incluse le estensioni Spatial Analyst, 3D Analyst, Geostatistical analyst e Grass rel. 6.4.2.
VOLUMI (mc)
Equivalente in acqua medio annuo mm a-1
D 2004 2009 7666110 6155824 -1510286 1915798 1206603 -709195 36617233 27279492 -9337742
Variazione -1047,19 -1162,61 -1011,67
MASSIMO D -0,73 -3,96 -1,45
2004 82 36,9 53
2009 81 33,33 52
D -1 -3,57 -1
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Fig. 6 - Mappe delle variazioni di spessore fra il 2004 e 2009 per Antelao Superiore, Fradusta e Marmolada.
Come si evince dalla Tabella di Fig. 5, dal 2004 al 2009 (cinque anni), la Marmolada ha perso circa 9.33*106 m3, passando da 36.62*106 m3 a 27.28*106 m3, per un equivalente medio annuo di 1.01 m w.e. a-1; sulla Fradusta si sono fusi complessivamente 0.71*106 m3, per un equivalente medio annuo di 1.16 m w.e. a-1, mentre sull’Antelao Superiore il volume perduto è stato di 1.51*106 m3, corrispondenti a 1.05 m w.e. a-1. La perdita di spessore medio è stata più significativa sul Ghiacciaio della Fradusta, passando da 11.9 m a 7.9 m. Per il prossimo futuro sono in programma ricerche storico/bibliografiche, tese ad individuare l’estensione degli apparati glaciali durante la Piccola Era Glaciale, e nuove campagne di rilievo, sia mediante GPR, al fine di migliorare la base di dati esistente, in alcuni casi non così completa, sia attraverso Lidar da elicottero, per aggiornare in maniera continua il catasto dei ghiacciai delle Dolomiti, nonché verificare i bilanci di massa su un numero maggiore di apparati glaciali, tentando di individuare potenziali trend futuri, in relazione alle precipitazioni nevose e alle variazioni termiche in corso sull’area alpina.
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LA CRIOSFERA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA IL CASO STUDIO Renato Roberto Colucci
CNR - Dipartimento di Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente (ISMAR, Trieste) Unione Meteorologica del Friuli Venezia Giulia www.umfvg.org
Emanuele Forte Dipartimento di Matematica e Geoscienze, Università di Trieste
Negli ultimi anni le ricerche glaciologiche in Friuli Venezia Giulia stanno vivendo un periodo di rinnovato interesse, in particolare grazie allo sviluppo di nuove tecnologie come il Laser Scanner, usato da terra o da rilievi aerei, più efficienti attrezzature Georadar ed una più larga diffusione di stazioni meteorologiche di alta quota. Queste tecniche ed attrezzature sono state usate nell’area del monte Canin (Alpi Giulie) per meglio interpretare gli attuali resti glaciali, sia da un punto di vista glaciologico che climatologico, sia per affrontare lo studio della criosfera sotterranea, che rappresenta un nuovo approccio per gli studi paleoclimatologici in aree montane. In questo lavoro presentiamo alcuni casi studio ed alcuni risultati preliminari connessi all’uso della geofisica in aree glacializzate.
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DEL MONTE CANIN
ALPI GIULIE
INTRODUZIONE
Fig. 1 - La prima immagine dei ghiacciai del Canin di Giacomo Savorgnan di Brazzà nell’autunno 1880 (sopra). Nell’immagine sotto (Renato R. Colucci, autunno 2012), con punto di vista simile, è evidente la quasi totale scomparsa del ghiacciaio avvenuta nell’ultimo secolo.
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L’uso delle tecniche elettromagnetiche per lo studio delle masse ghiacciate, e per misurare le proprietà di neve e ghiaccio, è consolidato da molti anni. Le metodologie più utilizzate sono il Time Domain Reflectometry (TDR), a scala puntuale (Stein and Kane, 1983; Stacheder et al., 2005), e il Ground Penetrating Radar (GPR o Georadar) applicato a larga scala (Annan et al., 1994; Arcone, 1996; Godio, 2009). Il GPR in particolare mira al raggiungimento di vari obiettivi, ma è tradizionalmente usato per evidenziare la stratigrafia del ghiaccio, misurare lo spessore di neve e ghiaccio e stimare il volume di ghiacciai e glacionevati, talvolta anche con l’ausilio di aerei o elicotteri per ottenere rapidamente un gran numero di misure anche in zone logisticamente complesse o inaccessibili. L’obiettivo finale, e forse il più importante, è la stima dell’equivalente in acqua di un ghiacciaio che è espresso in metri di acqua equivalente (mWE). Per poter raggiungere questo scopo, oltre a stimare il volume di un corpo glaciale, sono indispensabili accurate misure per
valutarne la densità media che, applicata all’intera massa, porta a stabilire la quantità d’acqua contenuta in un determinato ghiacciaio. Solitamente, per queste stime, si usa una densità costante pari a 0.9g/ cm3 (Paterson, 1994) che è una buona approssimazione se ci troviamo di fronte ad una calotta di ghiaccio o un ghiacciaio grande e spesso, ma non è applicabile su apparati glaciali di piccole dimensioni composti non solo da ghiaccio ma da vari livelli di neve, firn e sedimenti a diversa granulometria intrappolati all’interno. Si è portati generalmente a credere che i piccoli ghiacciai e glacionevati, come quelli del Canin ad esempio, siano trascurabili nella stima dell’acqua immagazzinata, a scala globale, nelle masse ghiacciate del pianeta, ma, come recentemente puntualizzato da alcuni autori (ad es. Bahr e Radic, 2012), siccome i maggiori ghiacciai alpini hanno aree dell’ordine di 100 km2, per contenere l’errore nelle stime globali al di sotto del 10%, tutti i ghiacciai più grandi di 1.43X10-2 km2 (0.014 km2) vanno necessariamente inclusi nei bilanci di massa. Anche lo studio di piccoli ghiacciai e glacionevati, caratterizzati spesso da importanti variazioni di massa in breve tempo, risulta quindi estremamente importante. Più semplice, in termini di bilancio di massa, ma più complesso in termini di interpretazione della stratigrafia interna, invece, è l’uso del GPR nelle applicazioni in grotta. Qui i depositi di ghiaccio permanente mostrano generalmente poche variazioni di densità, ma la corretta interpretazione delle strutture basali e interne, le sottili inclusioni di sedimenti, la presenza di bolle d’aria o di acqua e le concentrazioni di blocchi di roccia possono dare informazioni importantissime sull’evoluzione di queste masse ghiacciate ipogee. Determinare in maniera precisa il volume e le caratteristiche morfologiche delle masse ghiacciate e dei limiti della grotta, dal punto di vista strettamente geofisico, non è certamente facile anche a causa della morfologia delle cavità che normalmente è complessa e irregolare, e della
roccia che è spesso parzialmente ricoperta da detrito e/o intensamente fratturata. Nel corso degli ultimi anni sono state eseguite varie campagne GPR su alcuni glacionevati del Monte Canin ed in alcune cavità interessate da depositi di ghiaccio permanente e stratificato. In particolare nel corso del 2011 sono stati eseguiti un rilievo completo del glacionevato orientale del Canin (World Glacier Inventory ID number: IT4L00003002; Haeberly et al., 1988) e del glacionevato del Prevala, oltre che di una grotta di ghiaccio nella zona del monte Leupa. Nella primavera 2012 è stato eseguito un rilievo GPR completo della porzione orientale del glacionevato occidentale del Canin (WGI ID number: IT4L00003004¸ Haeberly et al., 1988) mentre nel corso dell’autunno è stato eseguito un rilievo ipogeo nella “caverna del Vasto” nei pressi di Sella Ursic, alle spalle di un piccolo glacionevato di cui si trova traccia in bibliografia appena nel 2002 (Almasio, 2002) e che è stato recentemente denominato glacionevato del Vasto (Colucci, 2012). Nel corso del 2013 i rilievi glaciologici nel complesso del Canin sono proseguiti con la consueta valutazione dei bilanci di massa dei principali apparati glaciali monitorati. In autunno è stata estratta una carota di ghiaccio di circa 8 m di lunghezza da un deposito di ghiaccio permanente di cavità, che verrà analizzata e datata presso i laboratori dell’Eurocold, Università di Milano Bicocca.
AREA DI STUDIO Ghiacciai Il massiccio del Monte Canin, all’interno del Parco Naturale delle Prealpi Giulie, è caratterizzato da potenti successioni di dolomie (Dolomia Principale) e calcari stratificati (Calcari del Dachstein) oltre che da porzioni di calcari massicci di età giurassica (circa 200-150 milioni di anni fa). Le ripide pareti settentrionali proteggono dalla radiazione solare i resti dei ghiacciai omonimi che, seppur figurino nel WGI ancora come tali, dagli anni ’90 andrebbero
Fig. 2 - Estensione areale del ghiacciaio del Canin al massimo della piccola età glaciale di prima metà ‘800 (LIA), e la dimensione dei glacionevati residui tra il 2006 e 2011. Le 3 aree verdi residuali più estese dell’autunno 2006 rappresentano, da sx a dx, il glacionevato occidentale settore est e settore ovest ed il glacionevato orientale . Gli areali gialli rappresentano la situazione al 4 ottobre 2011 quando è stato eseguito il sondaggio LiDAR da UMFVG.
riclassificati come piccoli glacionevati di circo alimentati da valanghe e da trasporto eolico, localizzati tra i 2150 m ed i 2300 m di quota. Non esistono al momento dati sul movimento di questi piccoli glacionevati, informazioni queste che però sono in corso di acquisizione. I ghiacciai del Canin furono raggiunti per la prima volta alla fine del XIX secolo da Giacomo Savorgnan di Brazzà, ed è grazie a lui che si deve la prima e più antica immagine del ghiacciaio occidentale che documenta la situazione nell’autunno del 1880 (figura 1). Secondo Marinelli (1894) Il ghiacciaio, alla fine del XIX secolo, misurava circa 3 km in larghezza e 0.7 km in lunghezza. Già allora la fase di ritiro glaciale sembrava evidente, e dalle prime osservazioni il trend di generale contrazione nel corso degli ultimi 130 anni è stato interrotto da moderate fasi di avanzamento tra il 1910 ed il 1920 e tra il 1946 ed il 1961, mentre una forte accelerazione nella riduzione glaciale è stata registrata a partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso e fino al 2000 (Desio, 1927; Serandrei Barbero et al., 1989; Armando et al., 2006). Oggi, dei 4 ghiacciai principali un tempo presenti (Prestrelenig, Ursic, Canin orientale e Canin occidentale,) rimangono
soltanto 3 piccoli glacionevati maggiori (Canin orientale est, Canin occidentale est ed ovest) ai quali va aggiunto il glacionevato di Prevala che, nonostante non sia presente nel WGI, per dimensione e tipologia risulta simile agli altri. Da menzionare anche il piccolo glacionevato del Vasto, oltre ad alcune piccole placche di ghiaccio visibili ancora sotto il Monte Forato e la Torre Gilberti, a testimoniare l’imponente contrazione subita dai ghiacciai delle Alpi Giulie in poco più di un secolo (figure 2 e 3).
Ghiaccio in grotta Nella catena alpina, numerose cavità di alta quota ospitano depositi di ghiaccio di varie dimensioni, frequentemente con spessori di parecchi metri. L’età di questo ghiaccio può superare le centinaia o addirittura le migliaia di anni, tuttavia la struttura, la formazione e lo sviluppo di queste masse glaciali sotterranee non sono state ancora interamente interpretate e solo di recente sono oggetto di studi specifici e mirati da parte del mondo scientifico. Allo stesso modo, il comportamento del
Fig. 3 - Da sinistra a destra: i ghiacciai Ursic, Canin Orientale e Canin Occidentale nel 1893 (sopra, Antonio Ferrucci) e nel 2011 (sotto, Renato R. Colucci). Il ghiacciaio dell’Ursic è da considerarsi estinto, mentre piccoli glacionevati resistono ancora al piede delle pareti dell’Ursic e del Canin.
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ghiaccio perenne sotterraneo nelle cavità carsiche in relazione al clima esterno non è ancora stato ben compreso, e questo aspetto rappresenta potenzialmente uno strumento importantissimo per gli studi paleoclimatici. Sulle Alpi esistono alcuni laboratori naturali realizzati all’interno di cavità interessate da significativi depositi di ghiaccio che operano ormai da alcuni anni, in particolare in territorio austriaco (ricordiamo gli studi condotti ad esempio nella Eisriesenvelt nel Tennengebirge, Austria). Altre indagini sono condotte in molte nazioni dell’Europa alpina ed orientale, anche in collaborazione con ricercatori italiani. Nel nostro Paese degne di nota risultano le indagini condotte nel comprensorio delle Grigne (Citterio et al. 2002), e sui depositi di ghiaccio ipogei della Grotta dello SpecFig. 4 - Un deposito di ghiaccio permanente e stratificato all’interno di una grotta di ghiaccio del massiccio del Canin.
Fig. 5 - Mappa delle precipitazioni medie annuali nell’area montana del FVG; rilievi in 3D e vista da Nord Est.
chio e del Castelletto di Mezzo in Dolomiti di Brenta, Trentino (Borsato et al. 2006). In Friuli Venezia Giulia l’unico esempio di indagine finora condotta sul ghiaccio di cavità risale al 2003 presso la Grotta del Pic Chiadenis in Alpi Carniche (Muscio e Mocchiutti 2009). L’area del Canin, fin dagli anni ’60, è oggetto di numerose indagini speleologiche ed idrologiche (e.g. Casagrande & Cucchi, 2007) che hanno permesso la scoperta di alcuni tra i più importanti sistemi ipogei a livello nazionale ed internazionale. In molte di queste cavità sono stati rinvenuti depositi di ghiaccio permanente e stratificato (ad esempio figura 4), in alcuni casi anche di dimensioni importanti, ma nessuno studio in merito alla loro formazione, dinamica ed evoluzione è mai stato intrapreso.
Nel corso dell’estate 2011 una cavità del complesso del Canin interessata da ghiaccio permanente è stata attrezzata con numerose stazioni di monitoraggio della temperatura: in roccia a varie profondità, in aria e nel ghiaccio stesso. Lo spessore e il volume dei corpi di ghiaccio sono stati inoltre stimati tramite tecniche GPR.
INQUADRAMENTO CLIMATICO L’area del monte Canin è interessata da precipitazioni medie annue molto elevate, anche superiori ai 3000 mm (Figura 5). Dal dicembre 1972, inoltre, sono raccolte presso il rifugio Gilberti (1850 m s.l.m.m.) regolari osservazioni giornaliere invernali della copertura nevosa, mentre dalla fine degli anni ’90 una stazione meteorologica automatica (AWS) è installata al Livinal Lunc a 1830 m di quota a circa 2 km in linea d’aria dai residui glaciali. Dai dati registrati si evince come la media della neve caduta tra l’1 dicembre ed il 30 aprile di ogni anno sia di circa 7 m. La temperatura media annua misurata nel periodo 2000-2012 risulta uguale a 3.9±0.8 °C. Usando il gradiente medio atmosferico di 6.5°C al km la temperatura alla fronte dei glacionevati è stata stimata in 1.5±0.9°C. Nel 2011 una nuova AWS è stata installata nei pressi dei glacionevati e permetterà in futuro di ottenere maggiori informazioni sulla climatologia dell’unica area con caratteristiche ancora glaciali delle Alpi Giulie, assieme a quelle del Montasio e del Triglav (Slo).
LA NUOVA STAZIONE METEOROLOGICA La nuova stazione meteorologica del Canin è stata installata grazie al progetto CLIMAPARKS (Cambiamenti climatici e gestione delle aree protette, cooperazione territoriale europea e programma per la cooperazione transfrontaliera, Italia-Slovenia 2007-2013) che vede coinvolto in prima linea il Parco Naturale delle Prealpi Giulie. Collabora anche il progetto MONICA (Monitoring of Ice within caves, FRA 2012 Università di Trieste) che vede coinvolti il Dipartimento di Matematica e Geoscienze
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dell’Università di Trieste (DMG), il Dipartimento di Scienze del Sistema Terra e Tecnologie dell’Ambiente dal Consiglio Nazionale delle Ricerche presso l’ISMAR di Trieste, l’Università dell’Insubria (BICOM Varese), l’Unione Meteorologica del Friuli Venezia Giulia (UMFVG) e l’Università di Milano Bicocca. La stazione è collocata su alcune bancate di roccia non lontano dalle morene terminali (LIA) del ghiacciaio Orientale (figura 6). Le serie di dati raccolti permetteranno di conoscere con maggiore dettaglio la climatologia di una delle ultime aree glacializzate del Friuli Venezia Giulia, attualmente in una fase di stasi dopo la forte e repentina contrazione degli anni 1980-2000. La stazione, georeferenziata grazie alla collaborazione della Direzione Centrale Risorse Agricole, Naturali e Forestali – ufficio neve e valanghe, è posta ad un’altitudine di 2202 m s.l.m. e rappresenta attualmente il più elevato sito di rilevamenti meteorologici di tutto il Friuli Venezia Giulia. La prima installazione ha visto l’implementazione di strumentazione precedentemente impegnata in una campagna osservativa in Antartide, messa a disposizione dal BICOM, Università dell’Insubria (VA). In seguito, nel corso dell’estate 2012, è stata acquistata ed installata una stazione NESA progettata per fornire dati di temperatura dell’aria, umidità, precipitazioni, altezza neve, radiazione solare diretta, radiazione solare riflessa e temperatura del suolo in roccia a varie profondità. La manutenzione è attualmente curata da UMFVG.
RISULTATI DEI RILIEVI GPR Il GPR emette onde elettromagnetiche nel sottosuolo e registra le riflessioni che si originano ogniqualvolta siano presenti discontinuità elettromagnetiche che, a loro volta, sono legate a specifiche caratteristiche dei diversi materiali presenti. I dati GPR vengono acquisiti utilizzando antenne che sono normalmente mantenute in contatto con la superficie topografica (ma esistono anche applicazioni in remoto) e vengono traslate nello spazio,
Fig. 6 - La stazione meteorologica automatica, fotografata a dicembre 2011. In basso a sinistra nella foto è visibile una parte avanzata degli ultimi resti del ghiacciaio orientale del Canin.
permettendo di ottenere informazioni sul sottosuolo con intervalli molto piccoli, anche di qualche centimetro. Si possono utilizzare antenne che emettono segnali con diversa frequenza ed in questo modo è possibile variare la massima profondità di indagine (che per materiali ghiacciati può raggiungere centinaia di metri) o il grado di dettaglio (che può arrivare al centimetro). Una volta registrati, i dati sono elaborati con la finalità di migliorarne l’interpretabilità. Si effettuano infatti vari tipi di filtraggi e il recupero dell’ampiezza delle onde riflesse che, altrimenti, risultano fortemente attenuate. Inoltre, i dati registrati lungo pendii scoscesi, come nel caso di ghiacciai e glacionevati, devono essere corretti in modo da tener conto delle variazioni topografiche, oltre che convertiti in profondità a partire da dati originariamente acquisiti in funzione del tempo trascorso dall’istante di immissione dell’onda elettromagnetica nel sottosuolo. I dati GPR elaborati sono quindi rappresentazioni di “profili” o “sezioni” verticali lungo il percorso di acquisizione e mostrano in ascissa e ordinata la distanza lineare lungo la superficie di acquisizione e la profondità dalla superficie topografica, rispettivamente. I profili GPR possono venir interpretati, dapprima bidimensionalmente e successivamente in 3D, integrando e correlando in un volume tuttei dati. In figura 7a viene mostrato l’insieme dei profili interpretati relativi al ghiacciaio orientale del Canin, acquisiti nell’ottobre
2011. Con diversi colori sono stati indicati i principali orizzonti presenti, in particolare in rosa è evidenziato il contatto tra il ghiaccio e la roccia/detrito sottostante, mentre tra gli orizzonti verde (al top) e giallo (alla base) è presente, mista a materiale ghiacciato, una grande quantità di detrito. La figura 7b pone in evidenza un profilo trasversale al ghiacciaio, con evidenziati i medesimi orizzonti già descritti precedentemente e la superficie basale, estrapolata fino al perimetro del ghiacciaio al momento dell’acquisizione dati. In figura 7c sono rappresentate le due superfici che racchiudono il volume del ghiacciaio al momento dell’acquisizione: in azzurro la superficie topografica definita da indagini LIDAR, in viola la base del ghiacciaio, ottenuta tramite l’interpolazione dei dati GPR. Grazie a queste indagini e a specifiche analisi quantitative effettuate sui dati (Forte et al., 2013) è stato possibile ricavare diverse nuove informazioni sul corpo glaciale esaminato. Lo spessore massimo è risultato di quasi 30 m, nella parte settentrionale, non lontano dalla fronte glaciale, mentre l’estensione areale era di circa 17.000 m2 (ottobre 2011). Integrando dati GPR con dati LiDAR e rilievi topografici puntuali è stato anche stimato il volume del ghiacciaio che nell’autunno 2011 era pari a oltre 200.000 m3. Le indagini condotte sul glacionevato del Prevala hanno portato a nuove e, per certi versi, inaspettate informazioni.
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Fig. 7 - Dall’alto in basso: A) Integrazione 3D dei profili GPR sul Ghiacciaio orientale del Monte Canin con evidenziati i principali riflettori; B) profilo longitudinale al ghiacciaio con evidenziata la superficie basale del ghiacciaio e i principali riflettori interni (la scala verticale mostra la quota sul lmm); C) rappresentazione 3D del volume del ghiacciaio delimitato dalla superficie topografica (in azzurro) e dalla superficie basale (in viola).
Come risulta infatti evidente dalla figura 8, lo spessore massimo del materiale ghiacciato è risultato pari a circa 15 m e, al di sotto del firn, i dati GPR hanno evidenziato la presenza di ghiaccio (“ice” in figura 10). Data la quota del corpo glaciale (media 1900 m slmm) e la sua limitata estensione (lunghezza massima di circa 300 m), in passato il Prevala non è stato preso in considerazione probabilmente non ritenendo vi fosse presenza di ghiaccio ed ipotizzando spessori molto limitati.
A 378 579 333
1214
1
597
1
1414
E N Z
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 10000
0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 7000 8000 9000 10000
© AINEVA
B m 2210
P7
2200
m 2210
2190 2200 2180 2190 2170 2180 2160 2170 2150 2160
E N
2140
2150 Z 2140 © AINEVA
Fig. 8 - Esempio di profilo GPR interpretato acquisito nel luglio 2011 sul glacionevato del Prevala. I riflettori in blu e azzurro rappresentano stratificazioni interne alla neve e al firn, mentre in viola è evidenziato il top del ghiaccio. La base del glacionevato è evidenziata dall’orizzonte verde. Si noti la presenza della morena frontale (al di sotto del livello verde scuro). Il profilo è rappresentato senza correzione topografica per meglio evidenziare la continuità laterale delle superfici.
Profondità indicativa (m)
0
C
2210
2210
2200
2200
2190
2190
2180
2180
2170
2170
2160
2160
2150
2150
2140
2140
2130
2130 N 2120 m
E
Z
2120 m
© AINEVA
SUD
NORD
5
10
15
0
50
32
100
150 Distanza (m)
200
250 © AINEVA
Le tecniche GPR sono state usate anche per quantificare gli spessori , la stratigrafia e la struttura interna dei corpi di ghiaccio sotterraneo. Sono state acquisite decine di profili in due cavità usando antenne schermate bistatiche a 250 MHz, 500 MHz e 800 MHz. Le sezioni GPR sono state combinate per ottenere il volume e quindi una interpretazione 3D dei depositi. Tutti i dataset sono stati elaborati adottando un procedimento di elaborazione standard (DC removal, drift correction, background removal, analisi spettrale e filtraggio, recupero di ampiezza, analisi di velocità/conversione in profondità, migrazione) integrato da specifici algoritmi quali la deconvoluzione per aumentare la risoluzione verticale e rendere più semplice l’identificazione di stratificazioni sottili, e l’analisi degli attributi per meglio evidenziare continuità e variazioni laterali. L’interpretazione dei dati della Grotta nella zona del Monte Leupa ha evidenziato interessanti caratteristiche morfologiche che, in alcuni casi, è stato possibile verificare con ispezioni dirette grazie alla peculiare topografia della cavità. All’interno del ghiaccio sono stati riconosciuti numerosi orizzonti così come il contatto tra ghiaccio e roccia a circa 5 m di profondità al di sotto dell’attuale superficie. Oltre a questo, i dati acquisiti hanno evidenziato una cavità d’aria che è poi stato possibile ispezionare direttamente (figura 9). Nei primi 70 cm al di sotto della superficie attuale del ghiaccio si evidenzia una alta concentrazione di detrito e blocchi che non si riscontra nella parte più profondadel deposito (Figura 10).
CONCLUSIONI La criosfera del massiccio del Monte Canin è stata indagata con un dettaglio mai raggiunto in precedenza rendendo possibile la misura di bilanci di massa sia stagionali sia annuali. I resti glaciali si sono ridotti in maniera molto considerevole, anche solo rispetto alle dimensioni possedute all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, ma depositi cospicui di ghiaccio ancora persistono raggiungendo il massimo spessore nella placca orientale di quello che era il ghiacciaio orientale del Canin. L’assenza di evidenti crepacci trasversali, in tutti gli apparati, porta a ritenere che il movimento dei glacionevati del Canin sia quasi assente o comunque molto contenuto, ma misure in questo senso sono in corso di acquisizione. Gli anni 2000, in particolare a partire dalla seconda metà, mostrano una sostanziale stabilità degli apparati glaciali delle Alpi Giulie se non addirittura un debole segnale di ricostituzione degli stessi così fortemente ridottisi in particolare nel corso degli anni ’80 e ’90. Ciò è verosimilmente dovuto agli apporti nevosi invernali più consistenti degli ultimi anni, che sono riusciti a contrastare le comunque frequenti e intense ondate di calore estivo. Per quanto concerne i depositi di ghiaccio sotterraneo, che hanno una maggior inerzia nei tempi di risposta ai mutamenti del sistema climati-
co, gli studi in corso potranno permettere di caratterizzare in maniera più completa l’evoluzione olocenica recente della criosfera delle Alpi Giulie.
RINGRAZIAMENTI Queste ricerche sono state supportate dal Finanziamento di Ateneo per progetti di ricerca scientifica – FRA 2012 – Integrated Monitoring of Ice within Caves – MonICa dell’Università di Trieste, dal progetto Climaparks, dall’Unione Meteorologica del Friuli Venezia Giulia e dalla Comunità Montana del Gemonese, Canal del ferro e Val Canale. Vogliamo ringraziare Marco Basso Bondini, Francesca Bearzot, Alice Busetti, Mauro Colle Fontana, Veronica Franco, Costanza Del Gobbo, Daniele Fontana, Stefano Pierobon, Marco Venier e Suzy Vizyntin, studenti del Dipartimento di Matematica e Geoscienze dell’Università di Trieste, che hanno contribuito in maniera encomiabile alle operazioni sul campo. Un sentito ringraziamento va anche all’ufficio neve e valanghe della Regione FVG, in particolare nelle persone di Daniele Moro, Luciano Lizzero, Gabriele Amadori, Sergio Buricelli e Doriana Belligoi, alla Protezione Civile del FVG, alla stazione della Guardia di Finanza di Sella Nevea, e al Parco Naturale Regionale delle Prealpi Giulie per il supporto logistico offerto in svariate occasioni.
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Fig. 10 - La cavità al di sotto del ghiaccio evidenziata anche dal rilievo GPR.
0.0
profondità indicativa (m)
Leindagini preliminari condotte nelle grotte di ghiaccio del Canin hanno permesso di iniziare una attività di ricerca mai compiuta in precedenza in Friuli Venezia Giulia ad esclusione di una datazione tramite trizio di un piccolo deposito di ghiaccio in Alpi carniche effettuato agli inizi degli anni 2000, e con pochissimi esempi sparsi nel resto delle Alpi, ma potenzialmente in grado di sviluppare interessanti applicazioni future. In questa fase è stato quindi possibile stabilire lo spessore, la geometria e la struttura interna di due depositi di ghiaccio permanente in cavità, inquadrare la microclimatologia ipogea di questi ambienti compresa l’interpretazione della probabile circolazione d’aria predominante.
SUD 0.5
1.0
1.5
4.2
0.0 distanza (m)
© AINEVA
Fig. 9 - Il gran numero di diffrazioni nei primi 70 cm del deposito di ghiaccio è stato correlato ad un’alta concentrazione di sedimenti e blocchi probabilmente concentrati in questa zona a causa delle ripetute fasi di fusione e ricongelamento che interessano la parte più superficiale.
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STIMA VOLUMETRICA
tramite misure Ground Penetrating Radar e rilievi GNSS
DEL GHIACCIAIO DI ALPE SUD
Matteo Rossi Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Geoscienze; NEOS srl
Marco Belò Trimble Navigation
Matteo Fioletti, Luigi Bonetti ARPA Lombardia, Centro Nivometeorologico Bormio
Il Ghiacciaio di Alpe Sud è un apparato glaciale Lombardo, situato nel comune di Valfurva in provincia di Sondrio, sul massiccio del Monte Sobretta (3296 m s.l.m.). Su tale ghiacciaio vengono regolarmente svolte, dai tecnici del Centro Nivometeorologico di ARPA Lombardia, analisi sia nel periodo invernale che in quello estivo. Mediante le misure differenziali su paline ablatometriche, supportate da accurate misure GNSS (Global Navigation Satellite Sistems) in superficie, è possibile ricostruire le variazioni di massa dell’apparato glaciale. Tuttavia questo tipo di misurazioni non tiene conto della superficie basale del ghiacciaio, non permettendo l’effettuazione di modelli previsionali volti a stimare la risorsa idrica immediatamente disponibile. A tale scopo nel settembre 2011 è stata effettuata una campagna di misure Georadar in concomitanza con il rilievo GNSS della superficie glaciale e la lettura delle paline. La superficie del bedrock, che costituisce il substrato sedimentario-roccioso, è stata ricostruita grazie all’elaborazione di profili Georadar, acquisiti con antenne da 100 MHz e distribuiti uniformemente sull’intera superficie del ghiacciaio. La superficie basale, una volta ricostruita nella sua tridimensionalità, produce un modello digitale del terreno, che diviene un caposaldo di riferimento per l’analisi delle variazioni volumetriche nel tempo. La disponibilità di rilievi GNSS superficiali dal 1997 ad oggi permette inoltre di valutare le variazioni spaziali di spessore di ghiaccio attraverso gli anni. Questo consente di enfatizzare quali siano le dinamiche di ablazione e di localizzare eventuali processi di ablazione differenziale. La comprensione di tali fenomeni permette di incrementare la nostra conoscenza sulle dinamiche glaciologiche ed apporta essenziali informazioni per ottenere modelli accurati e previsioni attendibili sulla disponibilità della risorsa idrica di origine glaciale.
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INTRODUZIONE
Lo studio dei bilanci di massa dei ghiacciai è un argomento di grande interesse, balzato alla ribalta delle cronache soprattutto negli ultimi anni a fronte del cambiamento climatico in atto. I ghiacciai e i nevai alpini rappresentano la riserva idrica principale del bacino padano e il loro progressivo processo di ablazione è una delle principali cause delle ripetute crisi idriche, soprattutto estive, che hanno interessato la pianura padana e, di recente, anche alcune zone prealpine. Le informazioni sulle variazioni di massa sono usualmente ottenute con misure differenziali su paline talvolta supportate da rilievi GNSS (Global Navigation Satellite Systems) in superficie.
Sotto, dall'alto verso il basso, Ghiacciaio di Alpe Sud nel 1989 (superficie: 44 ha); ghiacciaio di Alpe Sud nel 2011 (superficie: 6 ha).
A partire dagli anni 50 la tecnologia di Radio Echo-Sounding seguita dopo qualche decennio da quella dei sistemi Ground Penetrating Radar (GPR) iniziano a portare un concreto contributo per le indagini glaciologiche. Le prime esperienze in assoluto di misure GPR per applicazioni glaciologiche risalgono al 1929, grazie al lavoro
condotto da Stern sul ghiacciao di Hintereis (Stern, 1929) in Tirolo. Nella seconda metà dello scorso secolo i sistemi GPR vengono sempre più apprezzati per risultati, operatività e portabilità anche per impiego in ambiente glaciale, con la finalità di investigare principalmente gli spessori degli apparati raccogliendo dati sull’interfaccia ghiaccio-badrock (Gudmandsen P., 1975; Hodge at al., 1990). Investigazioni principalmente orientate allo studio delle grandi calotte polari artiche ed antartiche, e sucessivamente condotte sui ghiacciai alpini hanno permesso di individuare nella tecnologia radar un valido strumento per lo studio delle caratteristiche fisiche, meccaniche e idriche degli apparati glaciali. Alcuni paesi si sono recentemente dotati di significativi database contenenti dati radar relativamente ai principali apparati glaciali (Fischer at al., 2013). Il dato di spessore ottenuto da GPR diviene fondamentale per la stima della risorsa idrica calcolabile a partire dalla volumetria del ghiacciaio. La ricostruzione della superficie del bedrock attraverso modelli digitali del terreno (DEM) diviene quindi uno strumento essenziale per ottenere un’accurata quantificazione degli spessori assoluti di ghiaccio (Villa et al., 2008; Rippin et al., 2003). Il presente lavoro illustra come questa metodologia sia stata applicata per un apparato glaciale del Gruppo Ortles-Cevedale, il Ghiacciaio dell’Alpe Sud.
AREA DI STUDIO Il Ghiacciaio di Alpe Sud è un apparato glaciale Lombardo, situato nel comune di Valfurva in provincia di Sondrio, sul massiccio del Monte Sobretta (3296 m s.l.m.). Esso occupa la porzione sommitale della Valle dell’Alpe, tributaria di sinistra della Valle del Gavia. E’ un ghiacciaio di tipo montano, ha un’esposizione rivolta a Sud-Est e riceve un’alimentazione diretta (legata prevalentemente alle nevicate sul ghiacciaio). E’ caratterizzato da un corpo principale di forma triangolare con il vertice rivolto verso valle e una debole inclinazione media. Nel settembre 2011 era compreso tra una quota massima
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di 3233 m s.l.m. e una quota minima di 3118 m s.l.m. Tra le caratteristiche che rendono tale apparato “ideale” per uno studio costante nel tempo vi sono: - la posizione: è facilmente raggiungibile durante tutto l’anno dai tecnici del Centro Nivometeorologico (CNM) di ARPA Lombardia. Il sito di Alpe Sud viene monitorato sia nella stagione invernale di accumulo che in quella estiva di ablazione. - le caratteristiche morfologiche - un apporto nivologico esclusivamente per accumulo diretto. Dall’ottobre 1997 è in atto una collaborazione tra il CNM di ARPA Lombardia e il Servizio Glaciologico Lombardo, la quale prevede l’esecuzione di campagne di misura di alta precisione. L’attività di studio e monitoraggio è organizzata in questo modo: Rilievi invernali: svolti a cadenza mensile, prevedono l’esecuzione di misure dell’altezza del manto nevoso, profili stratigrafici e monitoraggio fotografico. Rilievi estivi: svolti a cadenza quindicinale, prevedono l’esecuzione di misure di ablazione, esecuzione di profili stratigrafici e monitoraggio fotografico. A partire dall’anno 2006 una collaborazione con la società Trimble Navigation permette di affiancare ai rilievi glaciologici svolti nel periodo estivo accurate misure di dettaglio GNSS. I risultati di queste misure vengono in questo lavoro usati come riferimenti superficiali per la determinazione delle variazioni volumetriche. L’insieme dei dati ottenuti forniscono informazioni di estrema importanza per valutare l’andamento dell’annata glaciologica.
STRUMENTI E METODI Dall’anno 2006 (Belò at al., 2006), con cadenza annuale, sul Ghiacciaio dell’Alpe Sud vengono condotti rillievi GNSS per la stima delle variazioni volumetriche del ghiacciaio. Inoltre un ricco database di osservazioni glaciologiche classiche (paline
ablatometriche), nivologiche e meteorologiche concorrono a fare del Ghiacciaio dell’Alpe Sud un candidato ideale per l’effettuazione di indagini glaciologiche. Nell’estate 2011 si è deciso di affiancare al rilievo GNSS RTK una campagna di misure di dettaglio GPR. La restituzione del DEM (Digital Elevation Model) dettagliato della superficie basale è stata quindi abbinata ai modelli DEM ottenuti dai rilievi GNSS, permettendo di ricostruire il ghiacciaio nella sua tridimensionalità nel corso degli ultimi otto anni. Il modello superficiale basale diviene un caposaldo di riferimento per l’analisi delle variazioni volumetriche del ghiaccio nel tempo. Il rilievo GPR è stato effettuato con lo strumento Sensors and Software Pulse EKKO PE100, equipaggiato con antenne superficiali da 100 MHz. Si è proceduto con due modalità di acquisizione. Il survey preliminare è avvenuto con configurazione WARR (Wide Angle Reflection and Refraction), dove l’antenna ricevente è stata progressivamente allontanata dalla trasmittente. Tale modalità di acquisizione permette di ottenere il “tempo zero” per la correzione dello shift temporale delle tracce. La configurazione WARR permette inoltre, attraverso l’individuazione dell’onda diretta nel ghiaccio, di ottenere una stima di velocità delle onde elettromagnetiche (EM) all’interno del mezzo attraversato. La velocità delle onde EM calcolata è di 0.179 m/ns. La configurazione zero-offset-profile (ZOP), distanza fra le antenne di 1 m, è stata invece applicata a 13 profili eseguiti sulla superficie del ghiacciaio (Fig. 1a). Il rilievo è avvenuto in continuo con acquisizione della posizione della traccia tramite tecnologia GNSS. I 13 radargrammi acquisiti sono stati processati al fine di migliorare il rapporto segnale/rumore, di individuare distintamente il contatto ghiaccio-substrato e di trasformare il dato dal dominio del tempo ad un profilo di profondità (esempio processing Linea 2 in Fig. 2). Le fasi del processing si sintetizzano in:
Esecuzione di rilievi GNSS: Stazione fissa (Master). Misure in Real Time.
Fasi di esecuzione del rilievo con Ground Penetrating Radar da superficie.
- Applicazione filtro Dewow (rimozione
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rumore di fondo a bassa frequenza) - Desaturazione delle tracce - Filtro passabanda (per isolare lo spettro di frequenza contenente il segnale di interesse) - Correzione tempo zero (rimozione dello shift temporale delle tracce) - Gain (per uniformare l’ampiezza del segnale nel dominio del tempo) a
COORDINATE (UTM WGS84)
5138750
3220
5138700
latitudine (m)
Fig. 1 - a) DEM della superficie basale del ghiacciaio (scala colori) con isolinee bianche ogni 5 m. Le isolinee nere rappresentano il rilievo GNSS superficiale effettuato nel 2011, anno in cui è stato effettuato il rilevo GPR lungo i profili marcati con linee da rosso a giallo. La linea nera tratteggiata individua l’estensione perimetrale del ghiacciaio. b) Rappresentazione 3D del substrato a letto del ghiacciaio, isolinee ogni 5 m.
- Correzione statiche (inserimento della topografia nel radargramma) - Trasformazione in profondità (ottenuta applicando la velocità delle onde EM stimata dal profilo WARR) La migrazione non è risultata necessaria al presente dataset, poiché le velocità in gioco sono molto elevate mentre le pendenze dei riflettori sono modeste: l’applicazione
3200
5138650
3180
5138600 3160 5138550 3140 5138500 3120 610150
610200
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610450
longitudine (m) linea 1 linea 2 linea 3 linea 4
linea 5 linea 6 linea 7 linea 8
linea 9 linea 10 linea 11 linea 12
linea 13
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della migrazione non modifica la posizione dei riflettori. La correzione di eventuali iperboli di diffrazione che si incontrano nel substrato esula dall’interesse del presente lavoro ed inoltre il materiale roccioso/deposizionale alla base del ghiacciaio si presenta molto caotico all’indagine GPR.
MODELLO ALTIMETRICO DEL SUBSTRATO L’individuazione delle evidenti riflessioni ghiaccio-substrato (opportunamente trasformate in profondità metriche, Fig. 2) ha permesso di ottenere, attraverso il rilievo GNSS delle tracce GPR, le quote altimetriche del substrato. Data la buona copertura dei rilievi ZOP GPR, uniformemente distribuiti sulla superficie del ghiacciaio, ed i modesti cambi di pendenza, si è potuto procedere con una interpolazione lineare su griglia di 1x1 m per ottenere un accurato DEM del substrato glaciale (Fig. 1). Il perimetro del ghiacciaio è stato ottenuto dal rilievo GNSS superficiale del 2011. Estrapolata la morfologia del substrato si è potuto procedere al calcolo degli spessori di ghiaccio avvalendosi del rilievo GNSS superficiale (2011), che presenta punti di
COORDINATE (UTM WGS84)
b
quota m.s.l.m. (m)
3240
3220
3220 3200 3180
3200
3160 3140 3180
3120
3100 610100 610150
3160
610200 610250 610300 610350 longitudine (m)
310400 310450 610500
5138800 5138750 5138700 5138650 5138600 latitudine (m) 5138550 5138600 5138450
3140
3120
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misura maggiormente distribuiti sulla superficie topografica rispetto ai profili GPR. La medesima operazione è stata poi estesa ai rilevi GNSS dal 2006 al 2012, ottenendo dei modelli di spessore che mostrano l’evoluzione volumetrica del ghiacciaio negli anni.
0.8 100
Tempo (ns)
Il DEM del substrato glaciale e i DEMs superficiali, ottenuti dai rilievi GNSS, hanno permesso di valutare l’evoluzione degli spessori di ghiaccio nel tempo (Fig. 3). Si può notare come negli anni l’area e lo spessore di ghiacciaio si siano complessivamente ridotti. La morfologia del volume di ghiaccio ha subito delle variazioni mostrando una differente distribuzione degli spessori. Nei boxplot di Fig.3 si può notare che media e varianza degli spessori diminuiscono progressivamente negli anni. La progressiva riduzione della varianza porta ad una maggiore uniformità dello spessore di ghiaccio anche se la forma dei plot, e quindi del profilo di spessore, rimane similare. Questo aspetto si può notare anche nei plot di Fig. 4 dove le statistiche riassumono le variazioni di spessore negli anni rispetto alla quota del substrato e permettono di comprendere come si stia distribuendo lo spessore residuo di ghiaccio. Le riduzioni di volume sono distribuite abbastanza uniformemente sulla base del substrato, anche se più marcate alle quote intermedie rispetto alle elevazioni marginali.
0
0.6
200
0.4
300
0.2 0
400
Fig. 2 - Esempio di elaborazione del dato GPR (linea 2 di Fig. 1a). a) Radargramma del profilo GPR normalizzato. b) Radargramma del dato processato. c) Profilo GPR trasformato in profondità. Le linee verdi indicano il picking della riflessione a contatto fra ghiaccio e substrato, mentre le linee nere indicano la superficie topografica.
-0.2 500 -0.4 600 -0.6 700
-0.8
a
0
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RADARGRAMMA CORREZIONI STATICHE 0
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RISULTATI E CONCLUSIONI
RADARGRAMMA GREZZO NORMALIZZATO
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b
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50
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RADARGRAMMA CON LE PROFONDITÀ 3205
Profondità m.s.l.m. (m)
3200 3195 3190 3185 3180 3175 3170 3165 0
c 50
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Distanza (m) © AINEVA
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latitudine (m)
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610350 610400
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longitudine (m)
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[3110, 3115) [3115, 3120) [3120, 3125) [3125, 3130) [3130, 3135) [3135, 3140) [3140, 3145) [3145, 3150) [3150, 3155) [3155, 3160) [3160, 3165) [3165, 3170) [3170, 3175) [3175, 3180) [3180, 3185) [3185, 3190) [3190, 3195) [3195, 3200) [3200, 3205) [3205, 3210) [3210, 3215) [3215, 3220) [3220, 3225) [3225, 3230) [3230, 3235) [3235, 3240)
25
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0 [3110, 3115) [3115, 3120) [3120, 3125) [3125, 3130) [3130, 3135) [3135, 3140) [3140, 3145) [3145, 3150) [3150, 3155) [3155, 3160) [3160, 3165) [3165, 3170) [3170, 3175) [3175, 3180) [3180, 3185) [3185, 3190) [3190, 3195) [3195, 3200) [3200, 3205) [3205, 3210) [3210, 3215) [3215, 3220) [3220, 3225) [3225, 3230) [3230, 3235) [3235, 3240)
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5138650
spessore (m)
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spessore (m)
latitudine (m)
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spessore (m)
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2006 SPESSORE (UTM WGS84) BOX PLOT SPESSORE: 2006
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longitudine (m) © AINEVA
classi di quota subglaciale m.s.l.m. (m) © AINEVA
2009 SPESSORE (UTM WGS84) BOX PLOT SPESSORE: 2009
45 45
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35
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longitudine (m) © AINEVA
classi di quota subglaciale m.s.l.m. (m) © AINEVA
2012 SPESSORE (UTM WGS84) BOX PLOT SPESSORE: 2012
45 45
40
40
35
30
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20
15
classi di quota subglaciale m.s.l.m. (m)
© AINEVA
La conseguenza è che la concavità alla base del ghiacciaio (Fig. 1b), che ospita la maggior riserva idrica, si sta progressivamente svuotando, ma ad un tasso proporzionalmente inferiore rispetto alle porzioni più elevate. Un probabile scenario futuro, se continua il bilancio volumetrico negativo, mostrerà quindi la presenza di
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ghiaccio residuo soltanto nella porzione di substrato compresa circa fra le quote 3130-3170 m s.l.m.. Tuttavia il dato di maggior interesse, ottenuto dalla sovrapposizione dei DEM basale e superficiali, è la stima volumetrica assoluta del ghiacciaio e l’evoluzione temporale della stessa. In Fig. 5 si può
VOLUME DI GHIACCIO
x 104
12
volume (m3)
10
8
6
4
infatti notare come il volume di ghiaccio complessivo si sia dimezzato in soli 6 anni, con una perdita quasi lineare fino ad arrivare nel 2012 al 50.6 % del volume stimato per l’anno 2006. Questo dato è di notevole importanza, poiché permette di avere una accurata stima del volume che si sta rapidamente perdendo per ablazione. Il lavoro svolto sul ghiacciaio di Alpe Sud ha dimostrato come le tecniche GPR, conformemente a quanto disponibile in letteratura, siano uno strumento di indagine molto accurato ed estremamente valido, permettendo un calcolo molto preciso dei volumi di ghiaccio sciolti e delle riserve idriche ancora disponibili. La variazione della massa di ghiaccio, se opportunamente integrata in modelli di evoluzione glaciale, potrebbe inoltre portare a stime previsionali sulla persistenza del ghiacciaio nel futuro.
Nella pagina a fianco, fig. 3 - Evoluzione dello spessore di ghiaccio per gli anni 2006, 2009 e 2012. Nella colonna di sinistra la visione in pianta degli spessori di ghiaccio con isolinee ogni 2 m. Nella colonna di destra i boxplot degli spessori di ghiaccio suddivisi per classi di quota del substrato (ogni 5 m). A sinistra, dall'alto verso il basso, fig.4 - Riassunto delle statistiche dello spessore di ghiaccio suddivise in classi di quota superficiale (ogni 5 m): sopra il volume di ghiaccio che interessa la classe di quota, mentre sotto il valore di spessore mediano. In basso, fig. 5 Bilancio volumetrico del ghiacciaio Alpe Sud:. il volume di ghiaccio in 6 anni si è ridotto al 50.6% del volume iniziale.
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Bibliografia Belò M., Bonetti L., Urbani S., Peretti G., Panieri V., 2006: “Studi glaciologici ed innovazione. Le nuove frontiere offerte dal GPS.” Neve e Valanghe. Fisher A., Kuhn M., 2013: “Ground-penetrating radar measurements of 64 Austrian glaciers between 1995 and 2010”. Annals of Glaciology 54 (64), 179-188. Gudmandsen P., 1975: “Layer Echoes in polar ice sheets”. Journal of Glaciology, 15 (73), 95-101. Hodge S.M., D.L. Wright, J.A. Bradley, R.W. Jacobel, N. Skou and B. Vaughn, 1990: “Determination of the surface and bed topography in central Greenland”. Journal of Glaciology, 36 (122), 17-30. Rippin D.,Willis I., Arnold N., Hodson A., Moore J., Kohler J., BjöRnsson H.,2003: “Changes in geometry and subglacial drainage of Midre Lovénbreen, Svalbard, determined from digital elevation models”. Earth Surface Processes and Landforms 28(3):273 - 298.
[3110, 3115) [3115, 3120) [3120, 3125) [3125, 3130) [3130, 3135) [3135, 3140) [3140, 3145) [3145, 3150) [3150, 3155) [3155, 3160) [3160, 3165) [3165, 3170) [3170, 3175) [3175, 3180) [3180, 3185) [3185, 3190) [3190, 3195) [3195, 3200) [3200, 3205) [3205, 3210) [3210, 3215) [3215, 3220) [3220, 3225) [3225, 3230) [3230, 3235) [3235, 3240)
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classi di quota subglaciale m.s.l.m. (m) 2006 2007
2008 2009
2010 2011
2012 © AINEVA
SPESSORE MEDIANO DEL GHIACCIO 30
Stern W., 1930: “Uberundlagen Methodik und bisherige Ergebnisee elektrodynamischer Dickenmessung von Gletschereis”. Z. Gletscherkunde, vol.15, pp. 24-42. Villa F., Tamburini A., De Amicis M., Sironi S., Maggi V., Rossi G.C. (2008): “Volume decrease of Rutor Glacier (Western Italia Alps) since Little Ice Age: a quantitative approach combining GPR, GPS and cartography”. Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria, 31 (1), 63-70.
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15
BILANCIO VOLUMETRICO DEL GHIACCIAIO 100
1300000
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volume di ghiaccio (m3)
87.5
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75 68.75
900000
62.5
800000
percentuale di volume persa
1200000
[3110, 3115) [3115, 3120) [3120, 3125) [3125, 3130) [3130, 3135) [3135, 3140) [3140, 3145) [3145, 3150) [3150, 3155) [3155, 3160) [3160, 3165) [3165, 3170) [3170, 3175) [3175, 3180) [3180, 3185) [3185, 3190) [3190, 3195) [3195, 3200) [3200, 3205) [3205, 3210) [3210, 3215) [3215, 3220) [3220, 3225) [3225, 3230) [3230, 3235) [3235, 3240)
spessore (m)
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56.25
classi di quota subglaciale m.s.l.m. (m) 700000
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Tempo (anno) © AINEVA
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Rischi glaciali in Valle d'Aosta Monitoraggio e ricerca applicata Davide Bertolo Regione Autonoma Valle d’Aosta, Assessorato territorio, ambiente e opere pubbliche, Struttura Attività geologiche
Michèle Curtaz, Claudio Lucianaz, Marco Vagliasindi Fondazione Montagna sicura, Courmayeur, Valle d’Aosta
I fenomeni di origine glaciale rappresentano una fonte di rischio importante nelle aree di montagna e nelle Alpi in particolare. Il rischio deriva dall’interazione tra le dinamiche glaciali, molto attive ed in rapida evoluzione anche – ma non solo – in relazione al cambiamento climatico, e la presenza antropica, in forte espansione nelle aree alpine nell’ultimo secolo. I principali rischi di origine glaciale derivano dal crollo di seracchi, dal collasso di ghiacciai temperati e dal rilascio improvviso di acqua accumulata nei ghiacciai stessi. Il territorio valdostano, per le sue caratteristiche, è particolarmente soggetto a tali rischi. Per questa ragione l’amministrazione regionale, tramite la Fondazione montagna sicura, ha attuato un piano di monitoraggio specifico per il rischio glaciale. Il piano si articola in diverse azioni, sia a livello dell’intero territorio sia per il monitoraggio di casi specifici.
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INTRODUZIONE
Nella pagina precedente: Ghiacciaio del Lys.
Fig. 1 - Distribuzione dei ghiacciai sul territorio della Valle d’Aosta (Catasto Ghiacciai della R.A.V.A., 2005).
I ghiacciai e la criosfera in generale sono ambienti caratterizzati da una rapida evoluzione che si traduce in processi geomorfologici in grado di provocare un’alterazione delle condizioni di equilibrio dei versanti e determinare quindi dei dissesti. La presenza di elementi antropici vulnerabili, quali ad esempio aree edificate o infrastrutture, nelle aree di potenziale espansione di questi fenomeni genera delle situazioni di rischio. Si parla quindi di rischi di origine glaciale (in seguito per brevità “rischi glaciali”), in tutti i casi in cui processi che si originano da ambienti glacializzati, propagandosi, arrivano ad interferire con aree antropizzate o infrastrutturate. L’evoluzione degli ambienti glaciali e periglaciali è un fenomeno naturale, che avviene in qualsiasi condizione, e non è necessariamente ed esclusivamente legata al global warming. Tuttavia, essendo principalmente determinata da forzanti meteoclimatiche, tale evoluzione diventa particolarmente sensibile in condizioni di rapido ed accentuato cambiamento del clima. Le Alpi sono una delle aree geografiche in cui l’attuale fase di riscaldamento climatico è più accentuata: dalla fine del XIX secolo, la temperatura media è aumen-
tata di 2°C, oltre il doppio dell’aumento mediamente registrato nell’emisfero settentrionale. Pertanto i ghiacciai e la criosfera alpini stanno subendo una fase di importante riduzione e trasformazione, esemplificata dal dato di contrazione areale dei ghiacciai - valutata in oltre il 50% dal 1850 al 2000. Queste comportano anche variazioni morfologiche che hanno una forte influenza sul paesaggio, sull’ambiente montano e sulle dinamiche di dissesto, come la scomparsa dei ghiacciai di più piccoli, la trasformazione di ghiacciai vallivi in ghiacciai sospesi, la copertura di detrito delle maggiori lingue glaciali. Allo stesso tempo, le Alpi sono una delle catene montuose con più elevato grado di antropizzazione, sia per ragioni storiche che per il recente sviluppo turistico e delle infrastrutture di comunicazione. Ne deriva che le regioni alpine sono fra le aree del mondo in cui le situazioni di rischio di origine glaciale sono maggiormente diffuse.
I DISSESTI DI ORIGINE GLACIALE E PERIGLACIALE In generale, i dissesti di origine glaciale possono essere classificati in tre categorie principali.
Crollo di seracchi da ghiacciai sospesi. E’ un fenomeno che interessa ghiacciai di tipo freddo, ossia senza circolazione di acqua liquida ed ancorati al substrato, posti su pendii molto ripidi ad alta quota. Si tratta di ghiacciai non bilanciati, in cui gli accumuli da precipitazione non sono compensati dalla fusione, e si ha pertanto una continua crescita della massa fino ad una situazione di disequilibrio che porta alla rottura meccanica ed al distacco di porzioni più o meno grandi di ghiaccio. E’ un fenomeno periodico, che deve forzatamente avvenire per mantenere il ghiacciaio in uno stato di equilibrio. Questo tipo di dissesto non è quindi legato all’evoluzione climatica, anzi una diminuzione degli accumuli nevosi può portare ad una diminuzione della frequenza dei crolli. Il crollo di seracchi può provocare valanghe di ghiaccio o, in presenza di neve, innescare valanghe miste di grandi proporzioni. Collasso glaciale. E’ un fenomeno che interessa i ghiacciai temperati (con circolazione di acqua liquida all’interno) o politermici (ghiacciai in cui la parte superiore è fredda e la parte inferiore temperata). L’instabilità di questi ghiacciai deriva da una combinazione tra le condizioni geometriche (pendenza) e la circolazione idrica. L’acqua gioca un ruolo chiave nel determinare l’instabilità, riducendo l’attrito ghiaccio/substrato e creando delle sovrappressioni idrauliche che favoriscono lo scollamento del ghiacciaio stesso. Questi fenomeni possono coinvolgere l’intero ghiacciaio o porzioni di grande volume, dando origine a valanghe di ghiaccio catastrofiche. L’innesco del collasso, risultando da una combinazione di diversi fattori, può prodursi in qualunque momento e non è di fatto prevedibile. Rotta glaciale (Glacial Lakes Outburst Flood - GLOF o Jökulhlaups). Consiste nel rilascio improvviso di accumuli idrici formatisi all’interno del ghiacciaio (laghi endoglaciali), sulla sua superficie (laghi epiglaciali) o nelle aree perimetrali (laghi periglaciali). Una situazione tipica
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è quella di laghi che si formano tra le morene deposte dal ghiacciaio in fase di ritiro ed il ghiacciaio stesso. In assenza di drenaggio, l’accumulo d’acqua aumenta fino a che la pressione idrostatica supera la resistenza dello sbarramento o del ghiaccio circostante, e si verifica allora una rottura con rilascio improvviso di volumi d’acqua anche ingenti. Nel caso di accumuli endoglaciali, il fenomeno è praticamente non prevedibile. Le rotte glaciali possono provocare onde di piena improvvise e non correlate a eventi meteorici, o fenomeni di trasporto di massa o colate detritiche, il cui innesco è favorito dalla presenza di depositi non consolidati nelle aree periglaciali. I dissesti di origine glaciale presentano caratteristiche che li rendono particolarmente critici dal punto di vista della gestione dei rischi. In generale si tratta di fenomeni caratterizzati da una frequenza di accadimento bassa ma da una elevata intensità, in termini di volume coinvolto (acqua o ghiaccio), o di energia. Il fatto di essere fenomeni poco frequenti o sporadici riduce le possibilità di studio volto alla previsione in termini temporali e alla localizzazione in termini spaziali. In secondo luogo si tratta di solito di fenomeni improvvisi, per i quali è difficile o talora impossibile individuare dei precursori, quantitativi o qualitativi, che ne consentano la previsione. Infine, i fenomeni innescati dai dissesti glaciali - valanghe di ghiaccio o miste, ondate di piena e colate di fango o detrito - sono in grado di propagarsi con velocità molto elevate (da 50 fino a 300 km/h per le valanghe, 80-90 km/h per i debris flow) ed a notevoli distanze. Pertanto, anche se i ghiacciai possono sembrare degli oggetti “remoti” e le aree antropizzate sono poste a distanza, questo non significa che esse siano “a distanza di sicurezza”. Le variazioni morfologiche indotte dal cambiamento climatico si traducono in variazioni nelle condizioni di pericolosità, anche se non sempre necessariamente in un loro aumento. Ad esempio, la trasfor-
mazione di ghiacciai vallivi in ghiacciai sospesi genera nuove fronti sospese da cui si possono innescare crolli di seracchi. L’aumento della temperatura può cambiare il regime termico dei ghiacciai da freddi a temperati, cambiando quindi le dinamiche di dissesto a cui essi sono soggetti, e favorisce la formazione di accumuli idrici endoglaciali.
I RISCHI DI ORIGINE GLACIALE IN VALLE D’AOSTA Il territorio della Valle d’Aosta presenta caratteristiche che lo rendono particolarmente soggetto ai rischi glaciali. Si tratta di un territorio montano (oltre il 50% del territorio è ad una quota superiore a 2000 m slm) in cui la presenza dei ghiacciai è rilevante sia in termini numerici che di superficie. Il dato riportato nel Catasto Ghiacciai della Regione autonoma Valle d’Aosta, attualmente aggiornato al 2005, indica la presenza di 209 ghiacciai che coprono una superficie di circa 135 km2, poco meno del 5% del territorio regionale. I ghiacciai sono localizzati in corrispondenza dei principali gruppi montuosi (Monte Bianco, Monte Rosa-Cervino, Gran Paradiso) e sono per la maggior parte di piccole dimensioni (area inferiore a 1 km2). Negli ultimi anni essi hanno subito forti trasformazioni e una marcata riduzione areale, passando da 175 km2 nel 1975 a 158 km2 nel 1999, fino a 135 km2 nel 2005. Tra le caratteristiche geomorfologiche del territorio valdostano vi è l’elevata energia del rilievo: il fondovalle ha una quota minima di 340 m slm e si sviluppa a quote medie di poco più di 600 m slm, mentre i rilievi più alti superano i 4000 m e quasi tutte le valli laterali hanno rilievi che superano i 3000 m. Questo si traduce in un’elevata acclività dei versanti che favorisce l’innesco e la rapida propagazione di fenomeni gravitativi, tra cui i dissesti di origine glaciale. La Valle d’Aosta presenta inoltre un elevato grado di antropizzazione: il forte sviluppo turistico ha portato alla realizzazione
di insediamenti ed infrastrutture in aree remote rispetto al fondovalle e vicine ai ghiacciai ed alle loro aree di influenza. In altre parole il territorio presenta numerosi elementi di vulnerabilità rispetto ai fenomeni di origine glaciale.
IL PIANO DI MONITORAGGIO DEL RISCHIO GLACIALE REGIONALE L’elevata esposizione ai rischi di origine glaciale del territorio valdostano rende necessaria la presa in conto di tali problematiche nell’ambito della gestione del territorio e della protezione civile. La Regione autonoma Valle d’Aosta ed in particolare la Struttura organizzativa Attività geologiche del Dipartimento programmazione, opere pubbliche e difesa del suolo, ha messo in atto da alcuni anni un piano di monitoraggio del rischio glaciale, volto all’individuazione e prevenzione di questa tipologia di rischi. Il piano riguarda i fenomeni che possono interessare aree edificate o infrastrutture, escludendo totalmente i rischi soggettivi legati alla frequentazione alpinistica della montagna. Il piano è gestito da Fondazione montagna sicura, in stretta sinergia con le strutture regionali. Nello specifico esso si articola in due tipologie di attività: •Individuazione e censimento delle situazioni di rischio glaciale presenti sul territorio regionale. Partendo da dati storici di eventi di dissesto legati ai ghiacciai, contenuti in banche dati o archivi esistenti (tra cui quella del progetto GLACIORISK), si sono analizzate le condizioni geomorfologiche attuali di tutti i ghiacciai del territorio regionale per verificare la possibilità di propagazione di dissesti fino ad interagire con strutture antropiche individuando così i ghiacciai in grado di generare situazioni di rischio; infine si sono valutate le caratteristiche dei ghiacciai stessi per verificare l’effettiva possibilità dell’occorrenza di fenomeni di dissesto. Per tenere conto della continua evoluzione dei settori glaciali, la valutazione delle condizioni morfologiche e glaciologiche
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Il lago glaciale del Ghiacciaio del Lys e la valle di Gressoney. Settore frontale del ghiacciaio di Planpincieux, Val Ferret.
viene svolta, a scala regionale, tramite un’analisi qualitativa di immagini fotografiche riprese da elicottero con frequenza annuale. Le analisi relative alla possibilità di propagazione e interferenza con aree antropizzate vengono effettuate tramite GIS. Tutti i dati sono immagazzinati all’interno di un geodatabase ed in schede monografiche, aggiornati annualmente. Allo stato attuale sono stati individuati 22 ghiacciai in grado di dare luogo a potenziali situazioni di rischio. L’evoluzione di questi ghiacciai viene controllata a livello qualitativo. Per alcune situazioni, illustrate in seguito Si sono resi necessari interventi più specifici, consistenti in indagini e studi fino ad arrivare a monitoraggi veri e propri. • Predisposizione di un piano di studio e monitoraggio per tutti i casi di potenziale rischio (a medio-breve termine) differenziato secondo il tipo di dinamica ed il grado di pericolosità. Per le situazioni che presentano un rischio a breve o medio termine, si rende necessario adottare un controllo specifico per la prevenzione dei rischi stessi. I casi attualmente individuati in Valle d’Aosta
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sono tre, e comprendono le tre principali tipologie di rischio glaciale: Il Ghiacciaio delle Grandes Jorasses, in comune di Courmayeur (ghiacciaio sospeso freddo), il Ghiacciaio di Planpincieux, sottostante al precedente, (ghiacciaio politermico con circolazione idrica), il Ghiacciaio del Lys, nella Valle di Gressoney (formazione di un lago glaciale). Nel seguito dell’articolo verranno illustrati i tre casi citati e le misure di monitoraggio adottate. A livello metodologico, lo studio ed il monitoraggio dei fenomeni glaciali sono particolarmente complessi. Innanzitutto si ha a che fare con grandezze fisiche molto diverse, che vanno dalla velocità di movimento di un ghiacciaio sospeso, al livello di un lago glaciale, alle variazioni morfologiche di un fronte glaciale. I settori da monitorare sono situati in siti con accessibilità difficile e con condizioni ambientali (temperatura, precipitazioni, vento) gravose. L’insorgere di situazioni potenzialmente critiche è spesso improvviso, e richiede di mettere in atto misure di controllo, adattate all’ambiente glaciale, in tempi rapidi. Molte metodologie o strumenti adatti al monitoraggio in condizioni più favorevoli, diventano
difficilmente utilizzabili in siti di difficile accesso, con temperature rigide e con difficoltà di alimentazione. Per questo motivo, all’interno del piano di monitoraggio è stata effettuata, e viene continuamente aggiornata, un’analisi dei metodi di monitoraggio utilizzabili per le differenti situazioni, ma anche delle soluzioni di adattamento per impiegarli in ambienti difficili. I metodi presi in esame comprendono tecnologie recenti avanzate, quali ad esempio LIDAR, radar terrestre, GPR aereotrasportato, fotogrammetria digitale. Ove possibile, tali metodi vengono testati, in collaborazione con università e centri di ricerca, in situazioni non critiche, al fine di poter disporre di soluzioni tecniche efficaci pronte da utilizzare anche in situazioni di emergenza,. In alcuni casi, il test e l’utilizzo di tali metodi assumono il carattere di vera e propria ricerca applicata.
IL LAGO GLACIALE DEL GHIACCIAIO DEL LYS (GRESSONEY-LATRINITÉ) La lingua del Ghiacciaio del Lys, staccatasi dal corpo principale nel 2007, ha subito una forte contrazione. La circolazione
idrica subglaciale provoca la fusione dal basso del ghiaccio che si assottiglia fino al collasso della parte superiore, con lo sviluppo di cavità. Una cavità formatasi al margine sinistro della lingua a partire dal 2005 si è evoluta fino a costituire un vero e proprio bacino lacustre di circa 200 m di lunghezza e 70 di larghezza. Il bacino è separato dalla zona proglaciale, pianeggiante e a sua volta occupata da una serie di laghi da cui prende origine il torrente Lys, da uno sbarramento costituito da ghiaccio coperto e da detrito. La problematica L’accumulo idrico è confinato da uno sbarramento formato da ghiaccio e detrito, e con possibilità di interferenza con l’asta torrentizia del Lys, che percorre il fondovalle in prossimità di aree abitate. Si è reso quindi necessario valutare la possibilità di svuotamento improvviso e di conseguenti ondate lungo il torrente Lys. Indagini e monitoraggio Le prime indagini, iniziate nel 2010, sono state mirate a verificare l’eventuale incremento del livello del lago, e la conseguente possibilità di rilasci idrici improvvisi. Sono state posizionate aste idrometriche su cui sono state effettuate letture periodiche manuali. Parallelamente è stato effettuato un rilievo topografico – con l’appoggio della Struttura Assetto idrogeologico dei bacini montani regionale – per verificare l’effettivo volume eventualmente coinvolto in uno svuotamento. Il rilievo è stato successivamente integrato da una scansione LIDAR eseguita grazie alla collaborazione del DIATI del Politecnico di Torino. Tali rilievi hanno evidenziato che il lago è soggetto ad oscillazioni stagionali molto limitate, dell’ordine di 15-20 cm, e che il livello medio si trova ad una quota di poco superiore (circa 1 m) rispetto a quella dei laghi proglaciali da cui parte il torrente. Pertanto il volume coinvolto in un eventuale svuotamento potrebbe essere solo quello superiore a tale quota. Sono state quindi effettuate, in collaborazione con la Strutture Opere idrauliche, simulazioni
di dam break per verificare gli effetti in fondovalle di un eventuale rilascio. Tali simulazioni hanno messo in luce che il volume d’acqua che dovrebbe essere rilasciato per arrivare ad interessare con un’onda di piena strutture antropiche è superiore a quello che l’invaso è in grado di contenere nelle attuali condizioni. Pertanto a breve-medio termine non si ravvisa una situazione di rischio effettivo. Il monitoraggio del livello del lago e dell’evoluzione morfologica del settore prosegue comunque mediante rilievi periodici in sito, in considerazione della rapida evoluzione cui il sito è soggetto.
IL GHIACCIAIO DI PLANPINCIEUX (COURMAYEUR) Il Ghiacciaio di Planpincieux è situato sul versante destro orografico della Val Ferret, sul versante meridionale della catena del Monte Bianco, ed insiste direttamente sul fondovalle, sulla strada comunale di accesso alla valle e sull’abitato da cui prende il nome. La presenza di uno scaricatore glaciale indica che il ghiacciaio, almeno nella parte inferiore, ha regime temperato. La problematica Una potenziale situazione di pericolosità,
relativa alla possibilità di crollo per scivolamento di volumi di ghiaccio dal settore frontale destro, è stata riconosciuta dal confronto fotografico svolto su immagini 2011-2012, condotto nell’ambito del Piano di monitoraggio del rischio glaciale, che ha evidenziato la formazione di una frattura anomala con elevata apertura. La situazione di rischio per il fondovalle è stata valutata tramite un’analisi degli scenari di valanga conseguenti a diverse ipotesi di volumi di crollo effettuata dall’istituto SLF di Davos. Quest’analisi ha evidenziato che il coinvolgimento del fondovalle, in particolare della strada, è possibile anche con il distacco di volumi medi (circa 200.000 m3). Non vi sono segnalazioni di eventi storici che abbiano coinvolto volumi elevati (una valanga catastrofica si verificò in questo settore nel 1952 ma non è certo che sia stata innescata da un crollo glaciale) tuttavia la morfologia e le caratteristiche del ghiacciaio sono compatibili con la dinamica del collasso glaciale. Per questo tipo di dinamica non è possibile una previsione temporale dei possibili fenomeni di crollo tramite parametri misurabili dei possibili fenomeni di crollo. Tuttavia esistono indizi morfologici che possono essere considerati precursori di una possibile destabilizzazione, tra cui l’apertura di
Il Ghiacciaio sospeso delle Grandes Jorasses (foto FMS, 2013).
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nuove fratture o il rapido allargamento di quelle presenti e rapide variazioni nella posizione o nella portata del torrente subglaciale (). I fenomeni sono molto più probabili nel periodo estivo-autunnale. Indagini e monitoraggio Per una migliore comprensione della dinamica del ghiacciaio, si è scelto di installare un sistema di monitoraggio fotografico sul versante opposto del ghiacciaio. Il sistema è stato progettato ed installato nel 2013 in collaborazione con il gruppo Geohazard Monitoring Group del Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica di Torino e prevede sia un monitoraggio qualitativo tramite confronto di immagini, sia l’applicazione di un metodo brevettato di correlazione di immagini (IDMS – Image detection Monitoring System) per arrivare alla misura quantitativa di spostamenti e deformazioni. Ad oggi sono disponibili oltre tre mesi di immagini riprese con frequenza oraria nella fascia diurna. Il confronto delle immagini di questo periodo mostra una elevata dinamicità del margine frontale, soggetto a frequenti crolli di piccoli volumi, ma non evidenzia segni indicanti a breve termine una destabilizzazione di volumi maggiori. Nel caso del ghiacciaio di Planpincieux si sottolinea il carattere sperimentale del monitoraggio in atto, sia per quanto Sensori GNSS sulla superficie del Ghiacciaio delle Grandes Jorasses.
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riguarda il sistema fotografico ed il metodo di correlazione di immagini (IDMS – brevetto CNR IRPI), che viene applicato per la prima volta ad un ghiacciaio, sia per quanto attiene la comprensione della dinamica dei ghiacciai temperati che rappresenta un campo di studio tuttora aperto (5).
IL GHIACCIAIO DELLE GRANDES JORASSES (COURMAYEUR) Il seracco del Ghiacciaio delle Grandes Jorasses è un ghiacciaio sospeso freddo. Situato su un pendio ripido interamente in zona di accumulo (a quote comprese tra 4000 e 4200 m slm), ha un bilancio di massa sempre positivo, pertanto la massa di firn e ghiaccio si accresce ogni anno fino a raggiungere condizioni di disequilibrio che portano al periodico distacco di volumi di ghiaccio che possono coinvolgere una parte o l’intero volume del ghiacciaio stesso. L’ultimo crollo totale si è verificato nell’estate 1998, generando una valanga di ghiaccio che ha raggiunto il fondovalle, senza conseguenze data l’assenza di neve; in seguito il seracco si è riformato fino a raggiungere nuovamente condizioni prossime all’equilibrio limite. La problematica Il ghiacciaio insiste sulla zona prossima al centro edificato di Planpincieux. Scenari
valanghivi elaborati dall’istituto SLF di Davos prendono in considerazione diverse combinazioni tra il volume di ghiaccio coinvolto nei possibili crolli e condizioni di innevamento e stabilità del manto nevoso sul versante sottostante. In caso di crollo totale (volume valutato in oltre 150.000 m3), anche in assenza di accumulo nevoso alla base, la valanga di ghiaccio è in grado di raggiungere la strada e la zona edificata di fondovalle. In presenza di manto nevoso instabile (pericolo valanghe grado 3 o superiore) anche crolli di volume minore possono generare valanghe miste di neve e ghiaccio con coinvolgimento delle aree di fondovalle. Indagini e monitoraggio Il Ghiacciaio delle Grandes Jorasses è stato oggetto di monitoraggio dal 1996 da parte del prof. M. Funk dell’istituto VAW dell’ETH di Zurigo. Il sistema di monitoraggio applicato permise all’epoca di prevedere il momento del crollo con uno scarto di soli due giorni. Il monitoraggio è poi ripreso dal 2008, a seguito della riformazione del seracco ghiacciaio sospeso e dell’apertura di fratture analoghe a quelle della fine anni ‘90, da parte della Fondazione Montagna sicura su incarico dell’amministrazione regionale e con la consulenza scientifica dello stesso prof. Funk. Nel caso dei ghiacciai sospesi freddi, grazie alla casistica presente nelle Alpi e a numerosi studi condotti, è possibile un monitoraggio quantitativo tramite l’applicazione di una funzione esponenziale empirica che lega l’accelerazione del movimento del ghiacciaio stesso al momento del distacco (). Pertanto, misurando la velocità di spostamento di punti materializzati sulla superficie del ghiacciaio stesso, è possibile calcolarne l’accelerazione e, applicando un algoritmo di interpolazione, prevedere il momento del distacco. Attualmente è utilizzato un sistema di monitoraggio topografico composto da una stazione totale robotizzata a lunga portata (Leica TM30) e da prismi topografici posti su pali infissi nel ghiaccio. Le misure vengono effettuate
con frequenza oraria, corrette automaticamente grazie a due prismi fissi esterni al ghiacciaio, ed elaborate tramite un apposito codice di calcolo. Il sistema ha permesso, nel 2010, la previsione di un distacco parziale, che non ha provocato conseguenze per il fondovalle dato il volume ridotto. In condizioni “normali” i prismi fanno registrare velocità di spostamento di circa 4-5 cm/24h, con piccole oscillazioni stagionali legate alla temperatura, mentre dai casi noti in letteratura si considerano critiche velocità superiori a 30 cm/24h. Non esistono tuttavia valori soglia assoluti, ma è necessario valutare con continuità la velocità al fine di identificare eventuali accelerazioni. Il sistema topografico tradizionale presenta una serie di limitazioni. In primo luogo necessità di visibilità ottica tra stazione totale e prismi e non è quindi operativo in condizioni di copertura nuvolosa o nebbia, molto frequenti nel settore in esame. Nella stagione invernale i prismi, nonostante siano posti su pali di adeguata lunghezza, rischiano talora di essere coperti da neve o da ghiaccio. Infine le condizioni di accesso particolarmente complesse (unicamente in elicottero) rendono difficile la gestione e manutenzione del sistema. Allo scopo di ovviare alle limitazioni sopra descritte, nell’ambito del progetto GlaRiskAlp sono stati messi in atto a livello sperimentale alcuni sistemi di monitoraggio integrativi o alternativi a quello topografico. Monitoraggio GNSS Al fine di affiancare e sopperire, in caso di maltempo, al sistema topografico (stazione totale + prismi) è stato sviluppato e sperimentato un sistema basato sulla tecnologia GNSS (Global Navigation Satellite System), con l’impiego di ricevitori a basso costo posti sul seracco (in analogia ai prismi utilizzati per il sistema topografico) per la misura della velocità di movimento di quest’ultimo. La sperimentazione ha richiesto il superamento di molteplici problemi tecnici (ad es. le basse temperature che limitano la carica delle batterie) per
raggiungere gli obiettivi di progetto che richiedevano l’alimentazione continua dei ricevitori e la trasmissione dei dati in tempo reale alla sede di Fondazione Montagna sicura; a tal fine è stata creata una WSN (wireless sensors network) per la raccolta dei dati dai ricevitori GNSS e la loro trasmissione ad una stazione base posta nel fondovalle. I dati sono quindi stati elaborati con la tecnica DGPS (GPS differenziale) utilizzando per le correzioni la vicina stazione GNSS permanente del Ferrachet, e passando da precisioni di 3-5 metri a precisioni inferiori al centimetro compatibili con le velocità oggetto del monitoraggio. Monitoraggio sismico Lo scivolamento del ghiaccio genera dei microsismi dovuti all’attrito con il substrato e alle microfessurazioni del ghiaccio. In fase di accelerazione, la frequenza dei microsismi aumenta, pertanto la registrazione in tempo reale dell’attività sismica del seracco può costituire un metodo di previsione dei crolli. Si è quindi installato un sistema sperimentale costituito da un sismografo ed un geofono per registrare l’attività sismica del seracco e cercare una correlazione della stessa con le velocità registrate dagli altri sistemi. Il sistema è stato ingegnerizzato con un apparato di alimentazione e di trasmissione dei dati, (registrati anche in locale) tramite connessione GPRS al fine di avere un sistema operativo in tempo reale.. I dati sono stati elaborati al fine di estrapolare un indicatore correlabile alla velocità ed è stato identificato con la frequenza degli eventi sismici (eventi/giorno). Per estrarre la frequenza degli eventi è stato adottato un algoritmo in grado di filtrare il rumore di fondo e quindi contare automaticamente gli eventi sismici a maggior contenuto di energia. In particolare è stato utilizzato l’algoritmo STA/LTA (Short Time Average through Long Time Average). Vengono calcolate le medie sui segnali ricevuti (in modulo) in due finestre temporali mobili (una sottoinsieme dell’altra),. Quindi eseguendo il rapporto tra le medie si rileva il superamento di un valore
di soglia opportunamente identificato.. Durante il periodo di sperimentazione si è riscontrato una buona correlazione tra l’attività sismica e la velocità del seracco; ma non è stato invece possibile osservare eventi di accelerazione antecedenti a crolli importanti di porzioni del seracco.
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Sintesi
e
di Luca Paro
Dipartimento Geologia e dissesto, ARPA Piemonte, Torino
Mauro Guglielmin Dipartimento di Scienze Teoriche e Applicate, Università dell’Insubria, Varese
primi risultati delle attività
ARPA PIE Alcuni fenomeni gravitativi e di colata detritica verificatisi negli ultimi anni in Piemonte hanno avuto origine in aree di alta quota, evolvendo talvolta in modo preoccupante
in quanto hanno coinvolto i settori vallivi distali ed antropizzati. Tali parossismi hanno evidenziato la necessità di ampliare, verso le quote altimetricamente più elevate, l’ambito sino ad ora indagato dai monitoraggi meteo-climatici, al fine di evidenziare le possibili interrelazioni fra cambiamenti climatici, ambiente periglaciale e degradazione del permafrost alpino che potrebbero causare un aumento della pericolosità geologica di ampie aree montane. A tal scopo, ARPA Piemonte (in collaborazione con l’Università dell’Insubria) ha avviato a partire dal 2006 una serie di attività volte ad aumentare ed approfondire le conoscenze su questi temi, istituendo anche una rete di monitoraggio del permafrost distribuita su tutto l’arco alpino regionale. Le attività, che hanno goduto di un forte impulso in occasione del progetto europeo Alpine Space “PermaNet” (Permafrost long-term monitoring Network) nel triennio 2008÷2011, attualmente sono diventate parte integrante degli obiettivi istituzionali dell’Agenzia. I principali risultati ottenuti finora sono rappresentati dal catasto regionale aggiornato degli elementi morfologici indicatori del permafrost, da mappe e modelli di distribuzione potenziale del permafrost alpino, da stazioni di monitoraggio termico in pozzo e siti di monitoraggio superficiale; sono state inoltre condotte campagne di misura BTS (Bottom Temperature of the Snow Cover), rilievi geofisici ed alcuni studi di dettaglio finalizzati alla valutazione delle relazioni tra atmosfera, geosfera, criosfera e biosfera.
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MONTE su ambiente periglaciale e Permafrost nelle Alpi Piemontesi
INTRODUZIONE
L’ambiente periglaciale è tipico delle regioni ad elevate latitudini di entrambi gli emisferi e delle aree ad elevata altitudine, dove si raggiungono temperature tali da mantenere il suolo congelato per molti mesi o per tutto l’anno (French, 2007). Tali ambienti sono caratterizzati dalla presenza di forme e depositi originati da processi geomorfologici legati all’azione del gelo (frost action) quali, ad esempio, il susseguirsi di cicli di gelo-disgelo e la crescita di masse di ghiaccio nel terreno (Tricart, 1968; Pewè, 1969). Il termine “periglaciale” è stato attribuito dai primi studiosi all’inizio del XX secolo per descrivere le morfologie ed i processi che avvenivano intorno ai margini dei grandi ghiacciai di calotta del Pleistocene (Von Lozinski, 1909). In seguito, il suo significato fu ampliato fino a comprendere i processi e le forme associate ad un clima molto freddo in aree non necessariamente glacializzate. Per questo motivo, nella letteratura recente, per definire tali processi si preferisce utilizzare il termine “criotico”, che fa riferimento esplicito al ghiaccio (dal greco “crios”) ed alla neve, ma non ai ghiacciai. Tipico dell’ambiente periglaciale è il permafrost (contrazione dei termini inglesi “permanently frozen ground”) che definisce il terreno o la roccia che rimane al di sotto della temperatura di 0 °C per più di due anni consecutivi (Müller, 1943; Brown & Pewè, 1973), indipendentemente dalla presenza di ghiaccio. Infatti, la presenza del ghiaccio per la definizione del permafrost non è un elemento fondante in quanto il materiale può essere secco o può contenere acqua allo stato liquido, anche se le temperature sono < 0 °C (ad es. a causa di sali disciolti o di falde in pressione che abbassano la temperatura di congelamento). Il regime termico del suolo (e quindi il permafrost) è direttamente collegato alle condizioni climatiche sia globali che locali e gli ambienti con permafrost sono tra quelli in cui gli effetti del riscaldamento globale si manifestano probabilmente in modo più intenso. Tali alterazioni producono significativi impatti
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sia sugli equilibri naturali (ad es. modificazioni nel ciclo del carbonio e nel ciclo dell’acqua), sia sulle attività umane in ambiente montano (instabilità dei versanti con danni alle infrastrutture, perturbazione dei circuiti idrogeologici, ecc.). Per questi motivi, il permafrost è stato individuato dalle organizzazioni internazionali, quali l’Organizzazione Mondiale della Meteorologia (WMO) e l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA), come indicatore privilegiato del cambiamento climatico. La conoscenza della distribuzione locale del permafrost alpino può quindi costituire la base di un programma di monitoraggio da inserire nelle reti internazionali, utile per comprendere e valutare gli effetti del cambiamento climatico sulle Alpi piemontesi e per la gestione dei rischi connessi a medio e lungo termine.
STATO DELLE CONOSCENZE NELLE ALPI ITALIANE ED IN PIEMONTE Gli studi inerenti la conoscenza del permafrost nelle regioni montuose sono molto recenti. Studi sistematici iniziarono intorno agli anni ’60 - ’70 del XX sec. e le prime reti di monitoraggio a lungo termine furono installate solo agli inizi del XXI sec. In Piemonte, la conoscenza dell’ambiente periglaciale e della distribuzione del permafrost, fino a qualche anno fa, risultava del tutto frammentaria e lacunosa. Per migliorare ed ampliare le conoscenze sulla tematica in oggetto, a partire dal 2006 ARPA Piemonte ha avviato una serie di studi in collaborazione con l’Università dell’Insubria volti inizialmente alla creazione di una base dati regionale relativa alla criosfera ed alla “vulnerabilità criotica”, attività successivamente integrata nell’ambito del progetto europeo Alpine Space “PermaNet” (Permafrost long-term monitoring Network). Il progetto ha preso avvio nell’estate del 2008 con una durata di 38 mesi ed ha visto coinvolte quattordici istituzioni di cinque paesi (Italia, Austria, Germania, Francia e Svizzera) con lo scopo principale di realizzare una rete
di monitoraggio del permafrost alpino e di valutare la distribuzione potenziale del permafrost nelle Alpi; tutto ciò finalizzato alla implementazione di strategie di governance applicate alle aree di alta montagna (per ulteriori dettagli sul progetto si rimanda al sito web http://www. permanet-alpinespace.eu). Prima dell’inizio del Progetto PermaNet nelle Alpi italiane la distribuzione del permafrost era stata stimata attraverso l’applicazione di modelli diversi in Valle d’Aosta, in Lombardia e più recentemente in Veneto e nella provincia di Bolzano. Solo in alcuni casi, limitati per lo più all’Alta Valtellina, la prospezione geofisica e la metodologia BTS (misure di temperatura alla base del manto nevoso) erano state applicate per calibrare i modelli e/o per caratterizzare la distribuzione del permafrost. Per quanto concerne le indagini geognostiche erano ancora più sporadiche e si limitavano ai sondaggi effettuati in Alta Valtellina, al Passo dello Stelvio in provincia di Bolzano e nei siti di Cervinia e di Punta Helbronner in Valle d’Aosta. In Piemonte le conoscenze erano abbastanza scarse prima dell’avvio del progetto, riferite a studi focalizzati soprattutto sulla distribuzione dei rock glaciers (quali ad es. il rock glacier di Schiantala in alta Valle Stura di Demonte nel cuneese Ribolini, 2001; Ribolini & Fabre, 2006; Ribolini et al., 2007- e il rock glacier del Passo della Mulattiera in alta Val Susa, nel torinese – Tiranti et al., 2005). Altre conoscenze di carattere generale relative all’ambiente periglaciale derivavano dal catasto nazionale dei rock glaciers che aveva evidenziato 319 rock glaciers nel territorio piemontese con meno del 20% degli individui attivi (Guglielmin & Smiraglia, 1997). Grazie al progetto PermaNet, che per ARPA Piemonte ha rappresentato un vero e proprio contributo di start-up per le attività ora integrate negli obiettivi istituzionali dell’Agenzia, nelle Alpi piemontesi è stata installata una rete di stazioni per il monitoraggio del permafrost alpino sia in pozzo che per misure termiche di superficie, sono stati applicati e sviluppati alcuni
modelli per la mappatura della distribuzione potenziale del permafrost e per la valutazione della “vulnerabilità criotica” (relazione tra evoluzione del permafrost ed instabilità dei versanti), è stato realizzato ed aggiornato un inventario degli indicatori morfologici del permafrost e sono stati avviati rilievi in campo (campagne di misura, rilievi geofisici) e studi di approfondimento locale che continuano ad arricchire la base dati della criosfera delle Alpi piemontesi.
DISTRIBUZIONE POTENZIALE DEL PERMAFROST E CATASTO DEGLI INDICATORI MORFOLOGICI Il permafrost, a differenza degli altri elementi della criosfera come i ghiacciai o la neve, è un fenomeno puramente termico, quindi pressoché invisibile. Ne consegue che per valutarne la distribuzione, il ricorso a modelli matematici è spesso inevitabile. In Piemonte sono stati applicati due modelli: uno empirico, il PERMAROCK, ed uno fisico-basato, il PERMACLIM. Il primo modello si basa sul riconoscimento di alcuni elementi morfologici caratteristici dell’ambiente periglaciale e sulla loro distinzione in base allo stato di attività. Per questo motivo si è reso necessario rinnovare e dettagliare il ca-
tasto di tali elementi presenti nell’arco alpino piemontese. Rispetto al catasto precedentemente realizzato dal Comitato Glaciologico Italiano (Guglielmin & Smiraglia, 1997), il nuovo inventario raccoglie e classifica, oltre ai rock glacier, anche i protalus rampart (o nivomorene), i debris coverd glacier (o giacciai neri) ed i principali lobi di geliflusso. L’aggiornamento dell’inventario ha consentito di realizzare una importante base dati informatizzata utilizzando applicativi GIS che facilitano le successive elaborazioni (FIG. 1). Partendo da questo inventario è stato possibile realizzare, per la prima volta in Piemonte, una cartografia sperimentale sulla distribuzione del permafrost alpino applicando il modello empirico PERMAROCK (basato sul modello di Imhof, 1996, modificato da Guglielmin, 2009). La carta del permafrost potenziale si basa sull’assunzione che i rock glacier dinamicamente attivi siano indicatori di permafrost montano. Tale assunzione è stata recentemente messa parzialmente in discussione in quanto si è riscontrata la presenza di ghiaccio sedimentario relitto all’interno di rock glacier. Per questo motivo, nel realizzare questa carta, per la prima volta si è introdotto anche un altro potenziale indicatore morfologico di permafrost, i protalus rampart. La distribuzione dei rock glacier e dei protalus rampart è stata analizzata statisticamente
rispetto alla quota minima degli orli delle fronti e delle esposizioni medie dei corpi dertitici. Si è quindi calcolata la media e la moda della quota minima di queste forme per ciascun ottante di esposizione. I valori così ottenuti permettono di definire delle quote minime al di sopra delle quali è possibile e/o probabile avere la presenza del permafrost. Trattando allo stesso modo anche i dati relativi alle forme inattive si ottiene la quota minima, per ciascun ottante di esposizione, in cui è possibile avere un permafrost relitto (non più in equilibrio con le condizioni climatiche attuali). Su questa base sono state quindi definite tre classi di potenziale presenza del permafrost (FIG. 2): 1) permafrost antico o relitto, 2) permafrost possibile e 3) permafrost probabile. In base a questo modello, le aree in cui è presente il permafrost rappresentano circa l’8,5% del territorio regionale e circa il 19% delle Alpi piemontesi. La carta della distribuzione potenziale del permafrost, il catasto degli elementi morfologici indicatori del permafrost, unitamente ai dati sui ghiacciai ricavati dalla carta tecnica regionale numerica (CTRN Piemonte) e dal Corine Land Cover (dati aggiornati agli anni ’90 del XX sec.), hanno contribuito alla realizzazione della prima carta della criosfera delle Alpi piemontesi (Guglielmin & Paro, 2009). Successivamente, è stato applicato an-
Fig. 1 - Inventario delle forme indicatrici del permafrost delle Alpi piemontesi. I profili dei ghiacciai neri (debris covered glacier, a), delle nivomorene (protalus rampart, b), dei rock glacier (c) e dei lobi di geliflusso (d) sono evidenziati in verde nelle immagini di sinistra. In alto a destra, uno stralcio dell’inventario con rappresentazione cartografica su GIS dei settori delle alte valli Pellice e Germanasca (Provincia di Torino). In basso a destra, la tabella riassuntiva dei dati cartografati con indicazione del numero di elementi censiti e della relativa tipologia di geometria vettoriale (aggiornamento 2010).
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Fig. 2 - Stralcio della carta della distribuzione potenziale del permafrost delle Alpi piemontesi (settori delle alte valli Susa, Pellice e Germanasca, Provincia di Torino). Le tre classi del permafrost sono state elaborate con il modello PERMAROCK (modificato da Guglielmin, 2009) e sono basate sull’analisi statistica di quota minima ed esposizione media degli indicatori morfologici, anch’essi riportati in carta. Dettagli nel testo.
Fig. 3 - Rappresentazione schematica delle attività svolte da ARPA Piemonte nell’ambito dello studio dell’ambiente periglaciale e del permafrost nelle Alpi piemontesi. Siti: Provincia di Verbania 1) alta Val Formazza, 2) Passo del Monte Moro; Provincia di Vercelli 3) Passo dei Salati; Provincia di Torino 4) alta Valle Orco, 5) Colle Sommeiller, 6) M. Rocciamelone, 7) Massiccio di Lanzo, 8) M. Banchetta; Provincia di Cuneo – 9) Colle dell’Agnello, 10) Sampeyre, 11) Passo de La Colletta, 12) Passo della Gardetta, 13) rock glacier di Schiantala, 14) Laghi di Valscura, 15) rock glacier del Seirasso
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che il modello PERMACLIM (Guglielmin et al., 2003), modello fisico con approccio semplificato che ben si adatta alle applicazioni a scala regionale. Il modello considera come data input un modello digitale del terreno (DTM), dei dati spazializzati di temperatura aria ed altezza neve e le caratteristiche termiche principali del manto nevoso (calore sensibile e conducibilità termica). Il modello calcola la temperatura del suolo (Ts) per ogni cella del DTM includendo lo snow buffering effect (letteralmente effetto “cuscino” o “tampone”) della neve in accordo alla teoria semplificata della conduzione verticale di calore. I valori di Ts mediati per almeno due anni consecutivi consentono di ge-
nerare una mappa in cui il permafrost è indicato come assente (Ts media > 0 °C), possibile (0 °C > Ts media > -2 °C) e probabile (Ts media < -2 °C). Benché si tratti di un modello semplificato, il PERMACLIM consente di effettuare valutazioni su aree ampie disponendo di una base dati che può derivare sia da misurazioni strumentali in sito, sia da modelli climatici predittivi, consentendo quindi di valutare gli effetti sul permafrost di diversi scenari del cambiamento climatico. Recentemente, per l’implementazione del modello, ARPA Piemonte ha sviluppato uno specifico applicativo (plug-in) per QuantumGIS (nell’ambito di un contratto con la ditta informatica Faunalia e con il contributo di una tesi magistrale dell’Università di Torino), apportando in questo modo un contributo anche alla comunità scientifica che ha a disposizione uno strumento gratuito a codice aperto (open) che potrà utilizzare e sviluppare liberamente (Colombo et al., 2013).
MONITORAGGIO DEL PERMAFROST I modelli per la valutazione della distribuzione potenziale del permafrost non sono sempre di facile applicazione e non sempre hanno una adeguata accuratezza ma, comunque, possono fornire un quadro preliminare su cui sviluppare un piano di indagini più approfondite, volte sia a validare i modelli stessi, sia a monitorare nel tempo l’evoluzione del permafrost. ARPA Piemonte, a partire dal 2008 ha predisposto un programma di misure
periodiche che consistono in campagne di rilievi BTS, indagini geofisiche (in particolare prospezioni geoelettriche), termografie e misure termiche dirette. Nel 2009, nell’ambito del progetto PermaNet, sono state realizzate le stazioni di monitoraggio del permafrost in 5 diversi siti delle Alpi piemontesi costituite da catene termometriche inserite in pozzi verticali in roccia profondi fino a 100 m. A queste stazioni, nel 2013 si sono aggiunti alcuni siti per la misura della temperatura superficiale di terreni e roccia ed altre misurazioni (in FIG. 3 è riportata la rappresentazione di sintesi dello stato attuale delle attività di ARPA Piemonte). Per quanto riguarda i sistemi indiretti di valutazione della presenza del permafrost, la metodologia delle misure BTS (Bottom Temperature of the Snow cover, Haeberli, 1973) è tra le più semplici ed economiche. Il metodo si basa sul principio che la temperatura alla base del manto nevoso, alla fine della stagione invernale, corrisponde alla quantità di calore immagazzinata dal terreno durante l’estate ed al flusso di calore terrestre dell’area. La metodologia consiste nel rilevare la temperatura del suolo al di sotto di una coltre di neve di potenza superiore a 100 cm nel raggio di 10 m, al termine dell’inverno ma prima che la fusione del manto nevoso abbia inizio (FIG. 4). In letteratura, i valori di temperature ≤ -3 °C indicano un’alta probabilità della presenza di permafrost, mentre i valori compresi tra -1,7 e -3 °C suggeriscono una sua possibile presenza. Nelle stagioni tardo-invernali dal 2009 al 2013 sono stati rilevati in totale oltre 950 punti misura BTS che hanno consentito sia di testare e validare la carta della distribuzione potenziale del permafrost, sia di verificare la variabilità spaziale dell’andamento termico superficiale (FIG. 5). Anche la prospezione geofisica rientra tra le analisi indirette per l’individuazione del permafrost e, in particolare, la tomografia elettrica (ERT - Electrical Resistivity Tomography) è certamente il sistema più idoneo per la determinazione della presenza del permafrost con ghiaccio in ambito montano.
Fig. 4 - Fasi del rilievo BTS. Preparazione del foro di misura nel manto nevoso tramite sonda metallica con punta conica per la perforazione di eventuali croste di ghiaccio (a sinistra), inserimento del termometro a contatto per la misurazione della temperatura della superficie del suolo alla base del manto nevoso (al centro), rilievo con GPS del punto misura BTS e inserimento dei dati nella scheda di rilievo (a destra).
Il sistema si basa sull’analisi della resistività del geomateriale (terreno o roccia) al passaggio della corrente elettrica. Il materiale contenente ghiaccio nelle fratture o nei pori ha una elevata resistività (in genere dell’ordine di 104÷105 Ohm*m) anche se non sempre è facile discriminare tra una roccia in condizioni criotiche da una non criotica (FIG. 6). L’unico sistema per stabilire la presenza di permafrost è quello diretto, cioè il monitoraggio termico. ARPA Piemonte ha sviluppato una tipologia di monitoraggio rivolta verso l’analisi degli effetti del cambiamento climatico, in base anche alle finalità del progetto PermaNet e, pertanto, le stazioni sono costituite da catene termometriche ubicate in fori verticali, effettuati in roccia, profondi alcune decine di metri (FIG. 7). Misurando l’andamento termico in roccia e mettendo in relazione queste misure con i dati meteo-climatici sarà possibile ottenere delle relazioni tra clima e permafrost, valutando le relazioni tra atmosfera e litosfera nelle aree di alta quota (FIG. 8). I fori realizzati sono di profondità variabile: 5 m (per avere informazioni relative al comportamento dello strato attivo), 30 m (per avere informazioni relativamente alle caratteristiche climatiche attuali) e 100 m (per un’analisi anche di tipo paleo-climatico; la maggiore profondità della perforazione consente di rilevare un record termico fossile, risalente probabilmente a 200-300 anni fa circa). In base a criteri geologico-geomorfologici, climatici e logistico-progettuali, sono stati selezionati 5 siti nelle Alpi pie-
montesi (Tab. 1 a pag. 35) che sono stati successivamente sottoposti ad indagini preliminari per una corretta ubicazione delle perforazioni. Tutti i siti della rete hanno una perforazione di profondità sufficiente ad intercettare sia la tavola del permafrost (limite tra permafrost e strato attivo), sia la profondità di oscillazione termica annua (ZAA - Zero Annual Amplitude, limite al di sotto del quale non si hanno oscillazioni termiche stagionali): entrambi questi elementi sono dei punti critici e degli ottimi indicatori del cambiamento climatico. Ove possibile, è stata raggiunta anche la base del permafrost, ossia la profondità massima alla quale si ritrova il permafrost. La profondità della tavola del permafrost cambia annualmente mentre la temperatura della ZAA può variare da un anno all’altro solo in caso di forti cambiamenti, altrimenti tale variazione necessita di qualche anno. La profondità della base del permafrost varia solitamente solo a scala secolare o
millenaria ma, in fase di forte degradazione, anche a scala temporale più breve. Per valutare gli effetti superficiali degli scambi energetici tra atmosfera e litosfera, nel corso del 2013 sono stati installati 22 sensori per la misura termica superficiale (GST - Ground Surface Temperature) in 4 siti principali (FIG. 9, Tab. 2 a pag. 35). Unitamente a queste misure in continuo, i cui dati vengo raccolti in datalogger ubicati in sito, sono state effettuate una serie di misure dirette della temperatura di superficie tramite l’utilizzo sia di termometri a contatto, sia di termografie con fotocamere a raggi infrarossi (FIG. 10).
Fig. 5 - Esempio dei risultati del rilievo BTS effettuato presso il Passo dei Salati (Alagna Valsesia, VC) nell’aprile 2013. I dati puntuali sono stati interpolati e sovrapposti alla carta della distribuzione potenziale del permafrost (mod. PERMAROCK). Dal confronto tra le due coperture, si può osservare come i valori di BTS indicativi di permafrost probabile (< -3°C) e possibile (compreso tra -1,7°C e -3°C) definiscano con maggiore precisione le aree di distribuzione del permafrost.
DATI PRELIMINARI E PROSPETTIVE FUTURE I primi risultati ottenuti durante la fase conoscitiva sul permafrost e sull’ambiente periglaciale nelle Alpi piemontesi condotta da ARPA Piemonte negli ultimi anni ha portato ad un notevole incremento delle conoscenze sulla criosfera regionale. Il catasto degli elementi morfologici in-
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Fig. 7 - Fasi di realizzazione ed installazione della stazione di monitoraggio del permafrost (Colle Sommeiller, alta Val Susa, Provincia di Torino). a) Perforazione del pozzo di 100 m di profondità (esecuzione ditta So.Ge. Tec. s.r.l.); b) inserimento del tubo in HDPE nel pozzo, all’interno del quale verrà inserita la catena termometrica; c) installazione del datalogger alimentato da due batterie (inserite all’interno del tombino visibile in secondo piano) ricaricate da pannelli fotovoltaici. Fig. 8 - Confronto tra il profilo termico in foro da 30 m ottenuto con catena termometrica manuale circa 15 giorni dopo la fine della perforazione (31/08/09) e valori medi misurati dalla stazione automatica il 14 ottobre 2009 nel sito del Corno dei Camosci (alta Val Sesia, Provincia di Vercelli).
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Profondità (m)
0.625 3.38 6.72 10.8 13.1 15.6 18.4 21.5 24.9
0.0
40.0 348
80.0 547
859
1348
2117
120 3325
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Resistività elettrica (Ohm.m)
a
Profondità (m)
Fig. 6 - Esempio di profilo di resistività elettrica ottenuto tramite rilievo tomografico lungo uno stendimento di 155 m (32 poli con interasse di 5 m, riportati sull’asse orizzontale), esteso longitudinalmente nella parte frontale del rock glacier inattivo del Seirasso (quota 2050÷2100 m circa, alto bacino del T. Corsaglia, Provincia di Cuneo). Nella rappresentazione grafica qui proposta, la resistività elettrica, espressa in Ohm*m, cresce dal viola, al rosso, al verde, al blu (da sinistra a destra nella scala grafica) e la profondità, espressa in m, è riportata sull’asse verticale. Nel profilo sono evidenziati due corpi principali particolarmente resistivi (con valori superiori a 10.000 Ohm*m) posti tra i 7 e i 16 m di profondità che potrebbero rappresentare corpi di permafrost con un contenuto di ghiaccio non estremamente alto o più probabilmente a temperatura prossima a quella di fusione (rilievo ed interpretazione eseguiti da Università dell’Insubria nell’estate 2011 per Arpa Piemonte).
0 2 4 6 8 10 12 14 16 18 20 22 24 26 28 30 32 -1,0
0,0
1,0
2,0
14/10/2009
dicatori del permafrost di recente realizzazione ha fornito un importante aggiornamento rispetto al precedente catasto disponibile per tutto l’arco alpino italiano. Rispetto al catasto precedentemente realizzato dal Comitato Glaciologico Italiano pubblicato negli anni ’90 del XX sec., il nuovo inventario raccoglie e classifica, oltre ai rock glacier, anche i protalus rampart (o nivomorene), i debris coverd glacier (o giacciai neri) ed i principali lobi di geliflusso, informazioni finora trascurate. Questo inventario è in continuo aggiornamento grazie anche al contributo di
6,0
31/08/2009
7,0
8,0
8199 © AINEVA
b
3,0 4,0 5,0 Temperatura (°C)
m
9,0
© AINEVA
studi di dettaglio svolti nell’ambito di tesi magistrali e di dottorato in collaborazione con l’Università di Torino (Paro, 2011; Colombo, 2013; Giaccone, 2013) (FIG. 11). Le elaborazioni condotte per analizzare la distribuzione potenziale del permafrost nella Alpi piemontesi hanno subito una serie di implementazioni ed aggiornamenti che stanno portando ad un considerevole affinamento dei modelli. Il modello empirico PERMAROCK modificato, basato sui dati dell’inventario dei rock glacier e dei protalus rampart, è stato applicato inizialmente su base regionale
c e successivamente suddividendo l’arco alpino piemontese in 4 settori principali su base latitudinale (Ossola, Alpi Graie, Alpi Cozie, Alpi Marittime). I risultati ottenuti evidenziano delle differenze sostanziali nella distribuzione del permafrost che indicano un forte legame tra le condizioni del sottosuolo e le caratteristiche climatiche locali. Le recenti elaborazioni dei dati meteoclimatici finalizzate all’applicazione del modello fisico PERMACLIM hanno consentito di ottenere una distribuzione preliminare del permafrost più aderente alle caratteristiche climatiche attuali da cui è possibile trarre considerazioni su tendenze passate e future. L’applicazione del PERMACLIM in Piemonte ha messo in evidenza da un lato la necessità di disporre di un modello di spazializzazione della neve molto accurato (modello in fase di studio e sperimentazione da parte del Dipartimento Sistemi Previsionali di ARPA Piemonte), dall’altro lato alcuni limiti del modello stesso che sono attualmente in fase di analisi per la sua implementazione. Le indagini indirette condotte finora mostrano situazioni molto
PROFONDITÀ POZZO (m)
SENSORI
30
23 termistori in pozzo e 2 termistori superficiali (uno in roccia ed uno in detrito)
SITO
COMUNE
PROV.
QUOTA (m s.l.m.m.)
Passo del Monte Moro
Macugnaga
VB
2870
Passo dei Salati Ist. Mosso
Alagna Valsesia
VC
2890
5
7 termistori in pozzo, 2 termistori superficiali (uno in detrito grossolano ed uno in detrito fine), e 2 sensori di umidità del suolo in detrito fine
Passo dei Salati Corno del Camoscio
Alagna Valsesia
VC
3020
30
23 termistori in pozzo e 2 termistori superficiali (uno in roccia ed uno in detrito)
Colle Sommeiller
Bardonecchia
TO
2990
5, 10 e 100
34 termistori in pozzo e 2 termistori superficiali (uno in roccia ed uno in detrito)
Passo de La Colletta
Bellino
CN
2840
30
23 termistori in pozzo e 2 termistori superficiali (uno in roccia ed uno in detrito)
Passo della Gardetta
Canosio
CN
2490
30
23 termistori in pozzo e 2 termistori superficiali (uno in roccia ed uno in detrito)
Tab. 1 - Elenco dei siti delle stazioni di monitoraggio del permafrost delle Alpi piemontesi, loro caratteristiche e dotazioni strumentali.
© AINEVA
irregolari e differenziate nei vari settori indagati anche se la loro interpretazione è ancora in via di ulteriore definizione. Le misure effettuate, in alcuni casi concordano con i modelli applicati mentre, in altri casi, appaiono discordi o apparentemente di segnale opposto. Gli approfondimenti successivi, già effettuati o in programmazione per i prossimi anni, consentiranno di valutare l’attendibilità dei modelli e l’affinamento delle interpretazioni dei dati indiretti. A ciò contribuiranno in modo sostanziale i dati derivanti dalle reti di monitoraggio termico diretto, sia superficiale che in pozzo, al momento in fase di calibrazione. I primi dati disponibili dalla rete delle 5 stazioni realizzate sulle Alpi piemontesi forniscono un quadro piuttosto disomogeneo, come, peraltro, era nelle aspettative. Ciò è legato, in generale, alla stabilizzazione termica dei fori in seguito alla fase di perturbazione creata durante la perforazione stessa (cfr. FIG. 8). A ciò si aggiunge, per alcune delle stazioni installate, anche una fase di riequilibrio in seguito ad interventi di ripristino delle
SITO
VALLE
PROV.
QUOTA (m s.l.m.m.)
SENSORI
M. Rocciamelone
Valle Susa
TO
3000-3200
4 termistori (2 in roccia e 2 in frattura aperta)
Colle Sommeiller
Valle Susa
TO
2990
4 termistori in detrito
Ghiacciaio della Capra
Valle Orco
TO
2650
4 termistori nei rock glacier
Lago Sabbione
Formazza
VB
2575÷2615
10 termistori nei rock glacier e nei depositi circostanti
Tab. 2 - Elenco dei siti delle stazioni di monitoraggio termico superficiale (GST), loro caratteristiche e dotazioni strumentali.
© AINEVA
stazioni stesse in seguito ad infiltrazione di acqua che hanno allagato i pozzi e danneggiato la strumentazione. Nel 2013 le stazioni sono state rese nuovamente tutte operative e i dati sono al momento ancora in fase di elaborazione al fine di calibrare gli strumenti di misura, di risolvere alcuni problemi tecnici incorsi durante il primo periodo di esercizio e per valutarne il corretto approccio interpretativo. Nel frattempo, le stazioni per il monitoraggio del permafrost delle Alpi piemontesi sono entrate a far parte della rete europea PermaNet e nel prossimo futuro la rete verrà collegata alla rete globale
GTN-P (Global Terrestrial Network-Permafrost), istituita dall’IPA (International Permafrost Association) nell’ambito del GCOS (Global Climate Observing System) per valutare a livello globale gli effetti del cambiamento climatico. Con questo obiettivo, al monitoraggio del permafrost sono stati anche affiancati studi sulle relazioni tra permafrost e risorse idriche in alta quota, finalizzate sia a valutare qualitativamente la risorsa idrica scaturente da circuiti idrogeologici interferenti con acquiferi in condizioni di permafrost, sia per analizzare la risposta alle forzanti climatiche degli ecosistemi acquatici nei settori alto-montani.
57
Fig. 9 - Installazione di sensori termometrici in roccia collegati ad un mini-datalogger su una parete di una frattura con apertura metrica sul M. Rocciamelone a circa 3000 m di quota (Provincia di Torino).
Fig. 10 - Termografia (nel riquadro in alto) di un affioramento roccioso con frattura aperta effettuata con termocamera a raggi infrarossi (calcescisti del M. Rocciamelone, Valle Susa, Provincia di Torino) da cui risulta evidente come la frattura sia molto più fredda della roccia circostante (la temperatura riportata nella termografia è riferita al crocicchio del puntatore). La temperatura di comparazione della superficie della roccia è stata rilevata in contemporanea con termistore a contatto (visibile nell’immagine).
58
Le attività condotte ed i principali risultati ottenuti da ARPA Piemonte nel campo dello studio della criosfera delle Alpi piemontesi vengono sintetizzati nel rapporto annuale pubblicato sul proprio sito istituzionale (www.arpa.piemonte.it) che prossimamente ospiterà una pagina web dedicata specificamente a tale tematica. Una sintesi in lingua inglese viene anche pubblicata annualmente nel Italian Country Report dell’IPA (ipa.arcticportal. org). Questa iniziativa che negli ultimi anni si è arricchita di numerosi soggetti e di molteplici attività, ha favorito la discussione per la creazione di un gruppo italiano nel quale far confluire le esperienze relative agli studi dell’ambiente periglaciale e del permafrost. Nel prossimo futuro, la grande sfida sarà quella di analizzare i possibili scenari legati ai rischi naturali in ambiente di alta montagna al fine di valutare le conseguenze e le strategie di mitigazione del rischio legato ai cambiamenti climatici. Ecco perché non solo la comunità scientifica, ma anche le amministrazioni pubbliche che si occupano di pianificazione del territorio, di protezione civile e di gestione del rischio hanno aumentato il proprio interesse verso il permafrost e l’ambiente periglaciale.
Fig. 11 - Stralcio della “Carta delle coperture detritiche del Complesso Ultrabasico di Lanzo e delle aree limitrofe” riferito ad uno studio geomorfologico di dettaglio di un’area a ridosso della pianura torinese con evidenze di forme e processi periglaciali relitti (Paro, 2011).
Bibliografia Brown R.J.E. & Pewè T.L. (1973) – Distribution of permafrost in North America and its relationship to the environment: a review, 1963-1973, in Permafrost — The North American contribution to the Second International Conference, Yakutsk; Washington, D.C., National Academy of Sciences; pp. 71-100 Colombo N., Fratianni S., Giaccone E. & Paro L. (2013) Relationships among atmosphere-cryosphere-biosphere in a transitional glacial catchment (Sabbione Lake, NorthWestern Italian Alps), extended abstract in Proceedings of the International Snow Science Workshop, October 7-11, 2013 (Grenoble-Chamonix Mont Blanc, France); pp. 1201-1207 Colombo N. (2013) - Relazioni tra ambiente periglaciale e ambiente glaciale. Il caso di studio del bacino dell’Hohsand in Val Formazza (Alpi Lepontine, Italia). Tesi di laurea magistrale interfacoltà in Geografia, Università di Torino (Relatore: S. Fratianni; relatori esterni: L. Paro, L. Perotti), A.A. 2012/2013, inedita; pp. 283 (1 tavola f.t.) French H.M. (2007) – The periglacial environment, 3rd Ed., John Wiley & Sons, Chichester; pp. 341 Giaccone E. (2013) - Interazioni tra clima, permafrost e vegetazione nel bacino del Sabbione (Alta Val Formazza). Tesi di laurea magistrale in Biologia dell’ambiente, Università di Torino (Relatori: S. Fratianni, G. Buffa; relatore esterno: L. Paro), A.A. 2012/2013, inedita; pp. 224 Guglielmin M. (2009) - Carta di distribuzione del permafrost nelle Alpi piemontesi. Modello PERMAROCK modificato, elaborazione 2008-2009, ArpaPiemonteUnInsubria, Rapporto interno inedito
Guglielmin M. & Smiraglia C. (1997) - Catasto dei rock Glacier delle Alpi italiane, Archivio del Comitato Glaciologico Italiano, Gruppo Nazionale Geografia Fisica e Geomorfologia, Sez. Glaciologia, 3, Torino; pp. 103 Guglielmin M., Aldighieri B. & Testa B. (2003) - PERMACLIM: a model for the distribution of mountain permafrost, based on climatic observation, Geomorphology, 51; pp. 245-257 Guglielmin M. & Paro L. (2009) – The first cryosphere map of Piedmont Alps (NW Italy), Abstract of Geoitalia 2009, VII Forum Nazionale della Federazione Italiana Scienze della Terra (Rimini, 9-11/09/2009), Epitome, 3, 2009; p. 163 Haeberli W. (1973) – Die Basis-Temperatur der winterlichen Schneedecke als möglicher Indikator für die Verbreitung von Permafrost in den Alpen. Zeitschrift für Gletscherkunde und Glazialgeologie, 9; pp. 221-227 Imhof M. (1996) - Modelling and Verification of the Permafrost Distribution in the Bernese Alps (Western Switzerland)”, Permafrost and Periglac. Process., 7; pp. 267-280 Müller S.W. (1943) – Permafrost or permanently frozen ground and related engineering problems, U.S. Engineers Office, Strategic Engineering Study, Special Report No. 62; pp. 136 (Reprinted in 1947, J.W. Edwards, Ann Arbor, Michigan; pp.231). Paro L. (2011) - Ruolo dei processi criotici nell’evoluzione del paesaggio alpino: il caso di studio dei block stream del Complesso Ultrabasico di Lanzo (Alpi occidentali italiane) - Relationship between cryotic processes and
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59
SPERIMENTAZIONE DI NUOVI GEOTESSILI PER LA RIDUZIONE DELLA FUSIONE NIVOGLACIALE risultati dal ghiacciaio del Presena nell’estate 2012
Antonella Senese1, Roberto Azzoni1, Boris Mosconi1, Davide Maragno1, Claudio Smiraglia1,2, Guglielmina Diolaiuti1,2
1 Università degli Studi di Milano 2 Comitato Glaciologico Italiano
Alberto Trenti Provincia Autonoma di Trento (PAT)
A partire dall’estate 2008 sul Ghiacciaio Presena (Gruppo dell’Adamello, Trentino), dove si svolgono attività sciistiche in inverno, primavera ed inizio estate, si è sviluppato un progetto di ricerca per la riduzione della fusione di neve e ghiaccio. Durante le estati 2008, 2009 e 2010 sulla superficie del ghiacciaio sono stati collocati da Giugno a Settembre alcuni teli artificiali che hanno effettivamente ridotto la fusione. Nell’estate 2012 è stata realizzata una nuova sperimentazione per verificare l’efficacia di nuovi materiali. Si sono utilizzati cinque diversi tipi di teli artificiali (COVERTESS ICE), caratterizzati da differente composizione chimica (ad esempio polipropilene, poliestere e acido polilattico), diversa massa areale (da 340 a 500 g/m2) e diverso spessore (da 3.00 a 4.40 mm a 2kPa). Il telo polipropilene 500 (con 3.70 mm di spessore) ha mostrato la maggiore efficacia, riducendo la fusione della neve del 73%), evidenziando anche i valori più elevati di albedo e le temperature più basse, probabilmente a causa della maggiore massa areale che rende più stabile la riflettività della superficie. E’ stata anche valutata l’efficacia dei teli più vecchi, cioè utilizzati due volte in due diverse estati (2011 e 2012). Questi hanno evidenziato albedo inferiore e più elevati tassi di fusione, quindi dovrebbero essere usati solo alle quote più elevate dove la fusione a livello naturale è solitamente meno intensa.
60
INTRODUZIONE
Fig. 1 - Collocazione dei geotessili al termine dell’attività sciistica.
62
Il Ghiacciaio del Presena Occidentale (46°13'30"N, 10°34'50"E) è molto noto in quanto su di esso si è praticato per molti anni lo sci estivo, grazie agli impianti di risalita che partono dal Passo del Tonale e raggiungono dapprima Capanna Presena a quota 2730 m e poi la sommità del ghiacciaio a quota 3000 m. L’utilizzo sciistico di quest’area inizia negli anni ’60 del secolo scorso, dopo lo sviluppo della zona del Passo Tonale a partire dagli anni ’30. Situato nelle Alpi Retiche nel gruppo Adamello-Presanella alla testa della Val Presena, il ghiacciaio è compreso nel bacino idrografico Vermigliana-NoceAdige. Negli ultimi dieci anni il controllo delle fluttuazioni della fronte (a cura della Società Alpinisti Tridentini, SAT) ha messo in evidenza un costante ritiro e intere porzioni del ghiacciaio sono scomparse; in alcuni settori la fronte si è ritirata di più di 50 m dal 1990 al 1999. Nel Catasto dei Ghiacciai Italiani (CNR-CGI, 1961), si riportava una superficie pari a 82 ha con lunghezza massima di 1200 m e larghezza di 1100 m. La superficie glaciale si è ridotta a circa 68 ha nel 1987 (dati Provincia Autonoma di Trento, PAT) (75 ha secondo il Catasto SAT all’inizio degli anni ’90, in Bombarda, 1996), mentre dai rilievi più recenti 2003 (DEM PAT) risulta un’estensione areale di circa 33 ha. Questo valore si riferisce al solo Presena Occidentale, ormai nettamente staccato dalla più ridotta porzione (8 ha) denominata “del Corno di Lago Scuro”. Secondo le ultime stime PAT, il Presena Occidentale nel 2011 è caratterizzato da una superficie
di 26 ha, mentre il Corno di Lago Scuro si è ulteriormente ridotto a 6 ha. Nonostante l’imponente sviluppo urbanistico del Tonale negli anni ‘80 conseguente anche al crescente afflusso turistico, nell’ultimo decennio la Provincia Autonoma di Trento (PAT) e la Società Impianti (SI), tenuto anche conto che il Ghiacciaio del Presena è un SIC (Sito di Importanza Comunitaria), hanno ritenuto utile adottare delle best practices di gestione del ghiacciaio che prevedono una sospensione delle attività sciistiche da giugno a settembre, generalmente i più caldi e che comportano un’intensa fusione nivoglaciale. Nonostante questo periodo di riposo stagionale il ghiacciaio ha evidenziato una riduzione molto marcata negli ultimi anni che ha richiesto l’impiego di strategie straordinarie per tentare di preservare questa risorsa paesaggistica e turistica. Dal 2008 è pertanto stato avviato un progetto di ricerca in glaciologia applicata per la mitigazione della fusione nivoglaciale sul Ghiacciaio Presena attraverso l’applicazione di strategie di protezione glaciale attiva. Questo tipo di strategie in precedenza era stato applicato sulle Alpi Austriache, Svizzere e anche in Germania (per gli aspetti teorici e pratici sull’utilizzo e sul funzionamento di queste tecniche si rimanda a Olefs e Obleitner, 2007; Olefs e Fisher, 2008; Fischer, 2008; Olefs e Lehning, 2010). Sulle Alpi Italiane le sperimentazioni erano state limitate a piccole parcelle su apparati glaciali non utilizzati per lo sci (Diolaiuti et al., 2009). Il progetto avviato sul Presena, oltre all’apporto invernale di neve programmata, ha visto la protezione di un’ampia superficie del ghiacciaio con coperture geotessili e la valutazione della loro efficacia anche attraverso la quantificazione del bilancio energetico superficiale sia in condizioni naturali che con copertura artificiale (Diolaiuti et al., 2011). I risultati ottenuti hanno suggerito a PAT e a Società Impianti di proseguire con il progetto che quindi è attivo ogni estate dal 2008 ad oggi. Nell’estate 2012 il progetto ha visto un’ulteriore implementazione ed è stato
focalizzato non solo a ridurre la fusione sul ghiacciaio, ma anche a testare l’efficacia di geotessili con diverse caratteristiche (i.e. composizione, massa areica, spessore). Per lo svolgimento di questa fase progettuale è stata fondamentale la collaborazione di una azienda italiana (Edilfloor Spa) che ha fornito gratuitamente geotessili tradizionali di vario spessore (in poliestere/polipropilene, analoghi per composizione a quelli già utilizzati sul Presena dalla Società Impianti nel 2009, 2010 e 2011, questi ultimi con spessore di 3.8 mm e peso 400 g/m2, che da qui in poi chiameremo SI 400) e geotessili di nuova generazione (con composizione diversa da quelli attualmente già in commercio). Lo scopo è stato quindi verificare quanto la composizione e il peso per unità di superficie (massa areica) influenzino l’efficacia protettiva del telo e modulino i tassi ablativi della neve e del ghiaccio sottoposti a protezione. Pertanto durante l’estate 2012 sono stati stesi diversi geotessili presso i quali sono state condotte più volte misure di spessore e densità della neve e delle sue variazioni (mediante trincee nivologiche) ed è stata monitorata la temperatura superficiale dei teli. Inoltre sono state effettuate periodiche misure di radiazione solare e albedo (o riflettività) mediante un radiometro netto Kipp&Zonen (modello CNR4). Alla fine della stagione di ablazione è stato misurato il gradino di neve residua e di ghiaccio presenti al contatto fra zona glaciale coperta con i geotessili e quella non protetta. Parallelamente per poter effettuare una stima della applicabilità dei geotessili, è stata quantificata l’ablazione glaciale in zona naturale (ovvero non protetta con teli).
COLLOCAZIONE DEI GEOTESSILI Le coperture geotessili sono state posizionate, in accordo con PAT e Società Impianti, a circa 2765 m di quota nella parte bassa del Ghiacciaio Presena Occidentale, a inizio luglio 2012 nel punto di coordinate medie 46.224523°N 10.580597°E e con esposizione Nord (figg. 1 e 2; tab. 1).
Le diverse coperture geotessili testate sono state collocate sulla copertura nevosa del Ghiacciaio Presena al termine dell’attività sciistica, quando per tutta la stagione estiva gran parte della superficie glaciale viene coperta con geotessili a cura della Società Impianti e della Provincia Autonoma di Trento. Nello stendimento dei cinque teli sperimentali della famiglia COVERTESS ICE si è proceduto dalla sinistra alla destra idrografica (ovvero da ovest a est) secondo l’elenco indicato nella tabella 1 (ogni campione era costituito da due parcelle di 60 m2 che sono state unite in sito mediante giunzione con nastro VELCRO® Brand VELLOC®, che ha creato una superficie limitata a 1-2 cm di sovrapposizione dei teli e ridotto il tempo di posa, contro i 30 cm di sovrapposizione del metodo tradizionale di posa e giunzione con saldatura a caldo). I geotessili sono composti da polipropilene (PP), poliestere (PET) e acido polilattico (PLA). Quest’ultimo è ottenuto dalla polimerizzazione dell'acido lattico derivato dal destrosio (uno zucchero) prelevato dal mais, per questo è stato aggiunto nel codice il suffisso BIO.
MISURA DEGLI SPESSORI NIVALI Per la quantificazione della coltre nevosa presente sulla superficie del ghiacciaio e sottoposta a protezione con geotessile e delle sue variazioni stagionali è stato utilizzato come parametro l’Equivalente Idrico Nivale (o Snow Water Equivalent, da qui in poi definito SWE). I primi dati sono stati raccolti ad inizio estate il 26 e
CODICE GEOTESSILE TESTATO
COMPOSIZIONE
MASSA AREICA
SPESSORE
340 BIO
Acido polilattico (PLA)
340 g/m2
3.00 mm a 2kPa
340
Polipropilene (PP)
340 g/m2
3.20 mm a 2kPa
340 PET
Poliestere (PET)
340 g/m2
3.00 mm a 2kPa
500 D
Doppio strato Polipropilene (PP)
500 g/m2
4.40 mm a 2kPa
500
Polipropilene (PP)
500 g/m2
3.70 mm a 2kPa
SI 400
Polipropilene (PP)
400 g/m2
3.80 mm a 2kPa
Fig. 2 - Confronto fra due momenti diversi della stagione di ablazione. In entrambe le immagini è stata evidenziata in blu la posizione delle cinque coperture geotessili testate. Nella prima immagine(sinistra) si nota come i teli SI 400 di proprietà della Società Impianti siano caratterizzati da diversi valori di albedo: quelli più scuri erano già stati impiegati nel 2011, mentre quelli più chiari erano nuovi.
© AINEVA
Tab. 1 - Caratteristiche dei cinque tipi di campione usati nell’esperimento. Nell’ultima riga sono riportate le proprietà dei teli tradizionali di proprietà della Società Impianti.
Fig. 3 - Installazione del radiometro per le misure di albedo e dei termistori (in basso a destra) per la misura della temperatura superficiale dei geotessili.
il 27 giugno 2012 mediante alcune trincee nivologiche. In questa occasione si è scavato sino a raggiungere il ghiaccio di ghiacciaio alla base della coltre nevosa e si è misurato lo spessore e la densità di ogni strato nevoso in accordo al protocollo AINEVA (si veda www.aineva.it) per ricostruire lo spessore equivalente in acqua (SWE) dell’intera colonna nevosa:
SWE = ∑ O (hstrato x ρstrato) H
dove hstrato corrisponde allo spessore dello strato, ρstrato alla densità di quello strato e H alla profondità totale della trincea. Successivamente il 29 agosto e il 20 settembre 2012 sono state effettuate nuovamente alcune trincee nivologiche sotto le coperture geotessili e, quindi, misurate densità e spessore degli strati nevosi nei profili di neve residua. Inoltre periodicamente (nelle date 12 e 18 luglio, 1, 13 e 29 agosto, e 20 settembre)
63
sono stati effettuati sondaggi nivologici per rilevare l’altezza della neve sotto tutte le coperture geotessili e per misurare la differenza di emersione tra questi e la superficie glaciale. In sintesi a inizio stagione la superficie glaciale era ammantata da una coltre nevosa che alla quota dell’esperimento variava tra 1.97 m w.e. e 1.72 m w.e. A fine stagione la coltre nevosa sul ghiacciaio non sottoposto a protezione era pari a zero alla quota dell’esperimento (ghiaccio vivo), mentre sotto i teli è risultata variabile tra 1.09 e 0.61 m w.e. I dati di spessore residuo non trasformati in SWE e di variazione di spessore nevoso non in SWE tra giugno e settembre 2012 sono stati raccolti e confrontati con i valori rilevati dal personale della Provincia Autonoma di Trento tramite ripetuti rilievi Fig. 4 - Andamento della temperatura superficiale sotto i differenti geotessili.
topografici GPS che hanno evidenziato le variazioni di quota e quindi di spessore nevoso presso i teli tradizionali posti sul ghiacciaio a fianco dei teli utilizzati per la sperimentazione qui illustrata. Per quanto riguarda i nuovi teli sperimentali si sono evidenziati variazioni di spessore della neve compresi tra -2.8 m e -1.2 m. I valori di maggiore perdita di spessore nevoso (non SWE) sono stati registrati nel settore inferiore del telo 340 BIO, mentre i valori più contenuti di perdita sono stati registrati dal telo 500 e dal telo 500 D. I teli tradizionali (SI 400) utilizzati da Società Impianti hanno evidenziato riduzioni della coltre nevosa (non SWE) compresi tra -1.6 m e -2.4 m. Questa ampia variabilità per i teli SI 400 con le stesse caratteristiche composizionali, di spessore e di massa areica è da
8 7 6
Temperatura (°C)
5 4 3 2 1 0 -1 -2 -3 27/06/12
07/07/12
500 D Fig. 5 - Albedo media presso ogni geotessile nei giorni indicati.
17/07/12
27/07/12
340 PET
06/08/12 Data
16/08/12 26/08/12
340
340 BIO
05/09/12
500
© AINEVA
1.0 0.9 0.8 0.7
Albedo
0.6 0.5 0.4
SI 400 2011
0.3
SI 400 2012
500
Neve sporca
500 D 340 PET 340
0.2 340 BIO
0.1 0.0 15/07/12
64
25/07/12
04/08/12
14/08/12 24/08/12 Data
03/09/12
13/09/12
23/09/12 © AINEVA
attribuire al fatto che la Società Impianti e la Provincia Autonoma di Trento hanno utilizzato sia teli nuovi che teli vecchi (impiegati sul Ghiacciaio Presena lo scorso anno o i precedenti) che hanno mostrato efficacia diversa.
TEMPERATURA SUPERFICIALE Il flusso di calore conduttivo all’interno di un corpo (nel caso specifico i teli oggetto dell’esperimento), da cui dipende l’energia effettivamente disponibile per la fusione al di sotto dello stesso, viene stimato attraverso la temperatura superficiale. Per questo motivo sono state misurate le temperature superficiali dei teli presso i cinque diversi geotessili Edilfloor. Sono stati quindi installati 5 termistori PT100 (ognuno collegato ad un datalogger TinyTag Plus 2) sotto le coperture e ad esse paralleli con lo scopo di rilevare l’effettiva temperatura a contatto con la neve senza l’influenza della radiazione solare diretta (fig. 3). In figura 4 è mostrato l’andamento medio giornaliero della temperatura superficiale. Questi valori dipendono dalla temperatura dell’aria e dalla radiazione solare, ma anche dalle proprietà termiche del geotessile. Si evidenzia, pur con sensibili oscillazioni, una temperatura quasi costantemente più alta per il 340 BIO e una temperatura quasi sempre meno elevata per il telo 500.
RADIAZIONE E ALBEDO La radiazione solare è una delle componenti del bilancio energetico per la stima dell’energia disponibile per la fusione di ghiaccio e/o neve. Quindi mediante un radiometro netto Kipp e Zonen (modello CNR4), collegato ad un data logger E-LOG di Lsi-Lastem alimentato da una batteria 5Ah in tampone con un pannello solare da 10W, sono stati misurati i flussi radiativi ad onda corta e lunga entranti ed uscenti dalla superficie del Ghiacciaio Presena (fig. 3). Il radiometro netto è uno strumento costituito da quattro sensori per la radiazione e una sonda termica PT100 per la misura della temperatura dello stru-
ALBEDO MEDIA MISURATA CODICE GEOTESSILE TESTATO
18/07/2012 01/08/2012 13/08/2012 29/08/2012 20/09/2012
MEDIA SULL’INTERO PERIODO DI OSSERVAZIONE
500
0.57
0.58
0.56
0.58
0.40
0.54
0.57*
340
0.53
0.62
0.59
0.50
0.29
0.51
0.60*
500 D
0.57
0.63
0.60
0.54
0.34
0.53
0.61*
340 PET
0.51
0.58
0.56
0.49
0.30
0.49
0.57*
340 BIO
0.52
0.60
0.56
0.47
0.17
0.46
0.58*
0.53
0.43
0.46
0.27
SI 400 2012 neve “sporca”
0.38
SI 400 2011
0.44
Tab. 2 - Valori di albedo media misurata in condizioni non protette e sopra i geotessili. Con il simbolo * sono stati riportati i valori medi calcolati su una serie ridotta e comune a tutti i campioni. Per la neve “sporca” vi sono solo misure fino al 13/08/13 a causa della completa fusione in condizioni non protette.
0.48* 0.37
0.36*
0.44 © AINEVA
mento e la calibrazione dei dati radiativi ad onda lunga. I sensori radiometrici sono due pyranometri e due pyrgeometri, ovvero strumenti che rilevano rispettivamente radiazione ad onda corta, cioè solare entrante (SWIN) e riflessa (SWOUT), e radiazione ad onda lunga, cioè termica, emessa dalla superficie e dall’atmosfera. Il radiometro netto è stato utilizzato per effettuare misure periodiche della radiazione entrante ed uscente e quindi i flussi netti sulla superficie dei geotessili (18 luglio, 1, 13 e 29 agosto e 20 settembre). Il sensore è stato configurato per misurare ogni secondo, e ad ogni minuto memorizza il valore minimo, medio e massimo e la deviazione standard. Le misure sono state effettuate per almeno mezz’ora su ogni geotessile, successivamente si è calcolato il valore di albedo (α) rappresentativo di quel campione secondo Oerlemans (2010): a=
∑ SWOUT ∑ SWIN
I dati raccolti sono stati elaborati ed analizzati per calcolare la radiazione netta e l’albedo di ciascuna superficie di geotessile analizzata. Nel grafico della fig. 5 viene mostrato l’andamento dell’albedo. Si nota una graduale diminuzione della riflettività dovuta all’incremento di particelle fini (e.g. polveri) che depositandosi sulla superficie la rendono più scura e quindi meno riflettente. I valori minori, infatti, si
sono rilevati il 20 settembre, alla fine della sperimentazione sui teli ormai rimossi dal ghiacciaio. Questi risultati sono in accordo con quanto osservato in altri studi i quali mostrano un progressivo incremento sulla superficie dei ghiacciai della presenza di particelle assorbenti durante la stagione di ablazione (Azzoni et al., sottomesso; Aoki et al., 2006; Wiscombe e Warren, 1980; 1985). Fino alla metà di Agosto il campione con il maggior valore di albedo è risultato il 500 D, successivamente il geotessile 500 ha mostrato una maggiore riflettività anche se non molto diversa rispetto al 500 D. Utilizzando i valori medi dell’albedo, i geotessili con valore maggiore (e quindi con maggiore capacità riflettente) sono risultati nell’ordine il 500, il 500D, il 340, il 340 PET, il 340 BIO. Utilizzando il solo dato del 20 settembre è stato possibile individuare quale campione ha subito minori variazioni: in questo caso i geotessili con valore di albedo maggiore sono risultati nell’ordine il 500, il 500D, il 340 PET, il 340, il 340 BIO. Nella misura del 29 agosto il campione 500 è risultato quello con l’albedo maggiore (cioè il più riflettente), probabilmente a causa di una minore copertura di polveri. Anche il 340 PET negli ultimi rilievi è risultato più riflettente del 340 BIO; quest’ultimo infatti sino al primo Agosto ha registrato sempre un’albedo maggiore del 340 PET, successivamente è risultata minore.
Fig. 6 - I transetti trasversali lungo i quali sono stati effettuati da PAT i rilievi GPS. Il transetto inferiore (A) è stato realizzato vicino ai teli sperimentali.
Nella tab. 2 sono presentati i valori dell’albedo media misurata sia sulla superficie dei teli sperimentali sia sulla neve non protetta (tre misure), sia infine sui teli tradizionali (due misure per i teli 400 della SI collocati nel 2012 e una per quelli sempre 400 della SI alla seconda stagione di impiego). Sono stati infatti effettuati confronti con i materiali utilizzati gli anni precedenti per la copertura del ghiacciaio e con coperture nevose “vecchie” (a fine stagione o comunque lontano dalle precipitazioni) e quindi “sporche” (ovvero con presenza di detrito fine superficiale e polveri). Ne è risultato che: l’1 Agosto la neve naturalmente esposta ha evidenziato un’albedo
65
collocato nel 2012 e molto minore rispetto ai teli sperimentali Edilfloor.
2.758 2.757 2.756 2.755 2.754 2.753 2.752 2.751 2.750 2.749 2.748 2.747 2.746 2.745 2.744 2.743 2.742 2.741 2.740
presenza geotessile
ABLAZIONE GLACIALE
7,47
14,77
22,34
29,33
35,73
41,53
46,77
54,46
62,42
73,14
84,88
93,83
100,66
106,69
112,54
119,84
126,09
affioramento ghiaccio
0,00
Quote (m.s.l.m.)
PRESENA - Transetto inferiore
128
127
126
125
124
122
121
119
118
117
116
114
112
110
109
108
107
106
Distanze progressive (m) e ID punti (da 106 a 128) sett. 2006
28/06/12
19/07/12
02/08/12
21/08/12
06/09/12
28/09/12 © AINEVA
SWE cm NEVE 26-27/06/12
SWE cm NEVE 20/09/12
% SALVATA
DIFFERENZA
% FUSA
CONDIZIONI NON PROTETTE
197
0.0
0.0
-197.0
-100.0
340 BIO
197
83.0
42.1
-114.0
-57.9
340
197
85.0
43.1
-112.0
-56.9
340 PET
172
108.0
62.8
-64.0
-37.2
500 D
184.5
128.0
69.4
-56.5
-30.6
500
194
141.0
72.7
-53.0
-27.3
SI 400 2012
197
130
66.0
-67.0
-34.0 © AINEVA
Fig. 7 - Variazione di quota della superficie topografica dal settembre 2006 a fine settembre 2012 lungo il transetto inferiore (A). Tab. 3 - Dati relativi alla variazione dello SWE in condizioni non protette e sotto protezioni di teli sperimentali (340 di vario tipo e 500) e teli della Società Impianti definiti SI 400 2012.
Tab. 4 - Fusione totale di neve e di ghiaccio in condizioni non protette e sotto i geotessili.
PERIODO ANALIZZATO 27/06/2012 - 20/09/2012
FUSIONE NEVE
FUSIONE GHIACCIO
DSWE
DIWE
(cm ACQUA EQUIVALENTE TOTALE) CONDIZIONI NON PROTETTE
-197.00
-190.00
-387.00
340 BIO
-114.00
-7.00
-121.00
340
-112.00
-7.00
-119.00
340 PET
-64.00
-5.00
-69.00
500 D
-56.50
-5.00
-61.50
500
-53.00
-5.00
-58.00
SI 400 2012
-67.00
-5.00
-72.00 © AINEVA
lievemente maggiore rispetto al telo SI 400 utilizzato sia nel 2011 che nel 2012 (vedi anche fig. 1), ma sensibilmente inferiore a tutti i teli sperimentali Edilfloor e al
66
FUSIONE TOTALE
telo SI 400 collocato nel 2012; il 13 agosto la neve, a causa dell’incremento delle particelle fini superficiali, ha evidenziato un’albedo minore rispetto al telo 400 SI
Per il monitoraggio delle variazioni di quota e quindi di spessore del ghiacciaio la Provincia di Trento ha effettuato sei rilievi topografici GPS lungo tre transetti trasversali durante la stagione di ablazione (fig. 6). Grazie a queste misure è stato possibile quantificare la fusione estiva nivale e glaciale superficiale del ghiacciaio anche in condizioni non protette (ovvero in assenza di copertura geotessile) alla quota dell’esperimento (circa 2765 m) (fig. 7). La perdita di spessore è risultata pari a poco più di 1.9 m w.e. nel periodo compreso tra giugno (quando ancora la superficie era ammantata da neve) e settembre 2012 (quando tutta la superficie non protetta era a ghiaccio scoperto da oltre un mese). Per quanto riguarda la densità, per il ghiaccio si è considerata quella standard pari a 917 kg/m3 e per il manto nevoso quella ottenuta tramite le trincee più vicine all’area investigata da PAT.
EFFICACIA DEI DIFFERENTI TIPI DI GEOTESSILI Per evidenziare l’efficacia dei diversi tipi di geotessile, vengono presentati nella tab. 3 i valori della neve “salvata” (SWE) e di quella fusa e nella tab. 4 i valori di fusione totale di ghiaccio e neve. La fusione totale di neve e ghiaccio è presentata nella tab. 4 e nella fig. 8. La fusione del ghiaccio nell’intero periodo è stata fornita dalla Provincia Autonoma di Trento che ha condotto rilievi GPS ripetuti lungo un transetto in prossimità dell’esperimento da Giugno a Settembre 2012 (fig. 7). Per il ghiaccio è stata considerata una densità pari a 917 kg m-3. Considerando l’intero periodo di sperimentazione pari a 85 giorni, è stato calco-
In conclusione durante l'estate (fine giugno - fine settembre 2012) la protezione esercitata dai teli sperimentali Edilfloor è stata notevolmente efficace, anche se in misura diversa. Va sottolineata la difficoltà di effettuare le misure specialmente sui teli collocati più all’interno (500 e 500 D). Le difficoltà e la precisione delle misure sono state condizionate dalla morfologia della superficie glaciale, sensibilmente inclinata da est verso ovest, e dalla morfologia della superficie del telo. In questo caso infatti la superficie risultante presentava irregolarità e gradini non solo in corrispondenza dei singoli teli che avevano caratteristiche tecniche diverse, ma anche lungo le giunzioni fra le due parcelle costituite dallo stesso tipo di telo. Un altro fattore che ha reso difficoltose le misure è stata l’impossibilità di collocare ogni singolo telo in posizione separata rispetto agli altri in un sito piano, sia per la naturale conformazione del ghiacciaio che per esigenze logistiche legate alle coperture complessivamente svolte. I teli sperimentali sono quindi stati tra loro giuntati rendendo più difficoltose le misure nei settori interni. Lungo i bordi delle parcelle rivolte verso l’esterno (e quindi non a contatto con un'altra parcella) la fusione è chiaramente sempre più intensa rispetto alle aree interne a causa dell’esposizione diretta all’aria che in estate è ben al di sopra del
0
condizioni non protette
340 BIO
340
del telo 500. I teli SI 400 utilizzati dalla Società Impianti hanno mostrato fusioni variabili in funzione del fatto di essere nuovi o riciclati dopo un primo utilizzo nel 2011, con un valore medio di neve fusa dei teli nuovi del 34%. La percentuale di 340 PET
500 D
500
SI 400
Fig. 8 - Fusione totale in condizioni non protette e sotto i geotessili.
-50
Fusione totale (cm w.e.)
CONCLUSIONI
punto di fusione e promuove maggiormente l’ablazione; ciò riduce quindi l’efficacia protettiva dei geotessile più esterni. La fusione nivale sotto le coperture geotessili è risultata variabile tra il 57% dello SWE iniziale nel caso del telo 340 e il 27%
-100 -150 -200 -250 -300 -350 -400 fusione ghiaccio
fusione neve © AINEVA
PERIODO ANALIZZATO 27/06/2012 - 20/09/2012
FUSIONE NEVE
FUSIONE GHIACCIO
DSWE
DIWE
FUSIONE TOTALE
Tab. 5 - Fusione giornaliera in condizioni non protette e sotto i geotessili.
(cm/GIORNO ACQUA EQUIVALENTE TOTALE) CONDIZIONI NON PROTETTE
-2.32
-2.24
-4.55
340 BIO
-1.34
-0.08
-1.42
340
-1.32
-0.08
-1.40
340 PET
-0.75
-0.06
-0.81
500 D
-0.66
-0.06
-0.72
500
-0.62
-0.06
-0.68
SI 400 2012
-0.79
-0.06
-0.85 © AINEVA
0.0
condizioni non protette
340 BIO
340
340 PET
500 D
500
SI 400
-0.5 Fusione giornaliera (cm w.e.)
lato anche il tasso di fusione giornaliero di ghiaccio e neve sotto i differenti geotessili (tab. 5 e fig. 9). Dai dati raccolti è possibile evidenziare una significativa correlazione tra l’entità della fusione di ghiaccio e neve media giornaliera e l’albedo media giornaliera (fig. 10A) e una correlazione lievemente meno significativa fra la fusione e la temperatura media superficiale giornaliera dei geotessili nell’intero periodo considerato (27/6 - 20/9) (fig. 10B). La fusione quindi aumenta al diminuire dell’albedo e all’aumentare della temperatura superficiale del telo.
Fig. 9 - Fusione giornaliera in condizioni non protette e sotto i geotessili.
-1.0 -1.5 -2.0 -2.5 -3.0 -3.5 -4.0 -4.5 -5.0 fusione ghiaccio
fusione neve © AINEVA
67
A
B
0.0
-0.4 -0.6 340 PET
-1.0 -1.2
-1.6 0.45
0.46
0.47
0.48
0.49 0.50 0.51 0.52 Albedo media giornaliera
0.53
0.54
-0.4
y = 0.0032x - 2.29 R2 = 0.563
0.55
500 500 D
340 PET
-1.0 -1.2
350
400
450
500
y = 0.0002x + 0.43 R2 = 0.83
500 D
y = 0.0003x - 0.38 R2 = 0.68 340
Albedo
340 PET
0.48 0.47 0.46
340 BIO
0.45 300
350
400
450
500
y = 0.04x + 0.37 R2 = 0.57
Temperatura media giornaliera (°C)
500 D
0.51 Albedo
340
0.50 340 PET
0.48 0.47
0.45 2.5
1.5
2.0
2.5
3.0 © AINEVA
0.0 y = 0.38x - 2.33 R2 = 0.38
-0.4 -0.6 500 -0.8
500 D
340 PET
-1.0 -1.2 340
340 BIO 2.7
2.9
3.1
3.3
3.5
3.7
3.9
4.1
4.3
4.5 © AINEVA
3.0
2.5
y = -0.0014x + 1.40 R2 = 0.32
340 BIO
y = -0.0046x + 3.01 R2 = 0.28
2.0
1.5 340 PET
1.0
500 D
340
500
0.5
350
400
450
500
550 © AINEVA
3.0 y = -0.65x + 3.38 R2 = 0.26
500
0.52
0.46
1.0
Massa areica (g/m2)
H
0.49
340 BIO
© AINEVA
G 0.55 0.53
0.5
0.0 300
550
Massa areica (g/m2)
0.54
340
500
0.50 0.49
-1.2
© AINEVA
F
0.51
340 PET
Spessore geotessile (mm a 2kPa)
Temperatura media giornaliera (°C)
0.52
500 D
-1.0
-1.6 2.5
550
(g/m2)
0.55
0.53
500 -0.8
-1.4
Massa areica
0.54
-0.6
Temperatura media giornaliera (°C)
340 340 BIO
-1.6 300
y = -0.28x - 0.68 R2 = 0.34
-0.2
-0.6 -0.8
-0.4
© AINEVA
Fusione giornaliera (cm w.e.)
Fusione giornaliera (cm w.e.)
-0.2
y = -0.41x - 0.40 R2 = 0.99
-1.6 0.0
D y = 0.0044x - 2.92 R2 = 0.998
-0.2
-1.4
340
340 BIO
0.0
-1.4
E
500
500 D
-0.8
-1.4
C
y = 7.84x - 4.98 R2 = 0.46 Fusione giornaliera (cm w.e.)
Fusione giornaliera (cm w.e.)
-0.2
0.0
2.5
340 BIO
2.0
1.5 340 PET
1.0
500 D
340 500
0.5
340 BIO 2.7
2.9
3.1
3.3
3.5
3.7
3.9
Spessore geotessile (mm a 2kPa)
68
4.1
4.3
4.5 © AINEVA
0.0 2.5
2.7
2.9
3.1
3.3
3.5
3.7
3.9
Spessore geotessile (mm a 2kPa)
4.1
4.3
4.5 © AINEVA
neve salvata (e quindi l’efficacia dei teli) è risultata variabile tra il 73% del telo 500 e il 42% del telo 340 BIO. Analizzando i dati di efficacia rispetto ai dati di albedo e di temperatura superficiale dei teli si evince che i teli COVERTESS ICE 500 sono stati caratterizzati da un’albedo in media sempre elevata ed abbastanza stabile e da temperature superficiali più fresche che si sono concretizzate in una minore fusione della neve da loro protetta. Diversamente i teli 340 sono risultati con albedo mediamente inferiore e soprattutto meno stabile e con temperature superficiali lievemente più elevate. Questo sembra connesso non tanto alla composizione, ma piuttosto alla massa areica che, quando maggiore, sembra portare a temperature inferiori (e quindi ad un minore flusso di calore per condu-
zione alla neve sottoposta a protezione) e ad albedo maggiori e più stabili. I teli SI 400 sono risultati di efficacia inferiore a quella dei teli 500 e lievemente superiore ai 340, ad ulteriore supporto dell’ipotesi che teli con peso maggiore siano più efficaci indipendentemente dalla composizione. I teli riciclati (al secondo anno di utilizzo) inoltre hanno mostrato albedo minore e sotto la loro copertura si sono verificate maggiori perdite e quindi si può affermare che risultano meno efficaci e andrebbero riservati ad aree glaciali ad alta quota dove la fusione è già naturalmente inferiore e andrebbe evitato il loro utilizzo a bassa quota dove i tassi ablativi sono più intensi. Per completare la conoscenza sull’efficacia dei teli sarebbe opportuno ripetere in una prossima estate la sperimentazione
con teli a diversa composizione, ma tutti caratterizzati da stessa massa areica. Questo evidenzierà definitivamente il ruolo giocato dalla composizione nell’isolare termicamente la neve sottostante (attraverso la valutazione comparativa delle temperature superficiali) e, attraverso il confronto dei dati di riflettività, nel catturare detrito fine e polvere che “sporcano” i geotessili (attraverso il confronto dei dati di riflettività). Un’altra interessante valutazione da effettuare con la prossima sperimentazione è quella dei costi connessi al trasporto di teli di massa areica maggiore e delle emissioni di CO2 conseguenti al loro abbattimento termico. Questi dati, in caso rivelassero differenze significative, potrebbero far decidere di utilizzare teli 340 PET (lievemente meno efficaci rispetto ai 500), se effettivamen-
Nella pagina a fianco, fig. 10 - Correlazione tra (A) la fusione giornaliera e l’albedo superficiale media, (B) la fusione giornaliera e la temperatura superficiale media giornaliera, (C) la fusione giornaliera e la massa areica dei geotessili, (D) la fusione giornaliera e lo spessore dei geotessili, (E) l’albedo superficiale media e la massa areica, (F) la temperatura superficiale media giornaliera e la massa areica, (G) l’albedo superficiale media e lo spessore, (H) la temperatura superficiale media giornaliera e lo spessore per ognuno dei cinque diversi geotessili. Nel caso di evidenti outlier questi sono stati esclusi dal calcolo della retta di regressione che viene riportata come linea tratteggiata; a titolo di confronto si riporta anche la retta calcolata includendo gli outlier che è stata indicata con linea continua.
69
te ad una minor efficacia si associassero costi di trasporto più contenuti (e anche di acquisto) e minori emissioni di CO2 a vantaggio dell’ambiente. Inoltre sarebbe importante anche testare dei materiali che filtrino i raggi UV (in quanto nel range dello spettro solare sono le lunghezze d’onda che influiscono maggiormente sulla fusione) e misurare con apposito sensore al di sotto di teli tradizionali e innovativi la quantità di raggi UV che effettivamente li attraversa. Inoltre la disponibilità di un sensore in grado di rilevare la distribuzione della radiazione nelle varie lunghezze d’onda permetterebbe una più approfondita analisi dell’albedo. Infatti, i valori di albedo variano non solo in base al tipo di superficie (come è emerso anche da questo esperimento) ma anche in funzione della lunghezza d’onda della radiazione incidente: per una stessa superficie valori minori di albedo sono associati a lunghezze d’onda maggiori, anche se questo trend è poco evidente su superfici caratterizzate Fig. 11 - Il gradino di neve e ghiaccio testimonia l’efficacia della copertura geotessile a fine agosto.
Fig. 12 - Efficacia della protezione nel settore inferiore lungo la linea degli skilift.
70
da ghiaccio “sporco” (Oerlemans, 2010). Per quanto concerne il riutilizzo dei teli in anni successivi questo, seppure economicamente vantaggioso, appare da gestire con oculatezza per localizzare i teli di “seconda mano” in aree a quote superiori, normalmente a minore tasso ablativo, e riservare alle zone vallive i teli nuovi e più efficaci. Sarebbero anche auspicabili innovazioni nelle tecniche di conservazione e stendimento dei teli che permettano, nel caso di riutilizzo, di esporre il lato che il primo anno era stato posto a contatto con la neve e che quindi ha mantenuto un maggior candore e quindi una maggiore albedo e non il lato già coperto di polvere e detrito fine esposto l’anno prima.
RINGRAZIAMENTI La ricerca è stata svolta nell’ambito di una convenzione tra l’Università degli Studi di Milano e la ditta Edilfloor Spa e grazie alla preziosa collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e la Società Impianti Carosello Tonale.
BOX DI APPROFONDIMENTO
Bibliografia
Proprietà termiche delle superfici analizzate e interazioni con la copertura geotessile. Aspetti teorici La fusione di una massa di neve o ghiaccio dipende dalla somma dei vari contributi dei flussi di calore ΣQ che raggiungono la superficie come sintetizzato nella seguente equazione:
Azzoni R. S., Senese A., Zerboni A., Maugeri M., Smiraglia C. & Diolaiuti G. (sottomesso) - A pilot study to evaluate sparse supraglacial debris coverage and its influence on ice albedo at the Forni Glacier tongue (Italy). Aoki Te., Motoyoshi H., Kodama Y., Yasunari T.J., Sugiura K. & Kobayashi H. (2006) -Atmospheric aerosol deposition on snow surfaces and its effect on albedo. Sola, 2, 13-16. CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) - CGI (Comitato Glaciologico Italiano) (1961) - Catasto dei Ghiacciai Italiani-Ghiacciai della Lombardia e dell’Ortles-Cevedale. Torino, CGI, III, 390 pp. Diolaiuti G., Smiraglia C. & Meraldi E. (2009) - Strategie di protezione “attiva” dei ghiacciai. Prime applicazioni italiane e risultati. Neve e Valanghe, 65, 58-64. Diolaiuti G., Senese A., Mosconi B., D’Agata C., Mihalcea C., Smiraglia C. & Trenti A. (2011) - Effetti delle misure di protezione glaciale attiva sul bilancio energetico puntuale del Ghiacciaio Presena in provincia di Trento. Neve e Valanghe, 74, 54-63.
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∑ Q = SWIN - SWOUT + LWIN - LWOUT + LH + SH + QC
in cui SWIN è la radiazione solare incidente, SWOUT è la radiazione solare riflessa dalla superficie analizzata, LWIN e LWOUT sono rispettivamente la radiazione ad onda lunga emessa dall’atmosfera e dalla superficie analizzata, LH è il flusso turbolento di calore latente, SH il flusso turbolento di calore sensibile e Qc il flusso di calore conduttivo, espressi in W/m2. Senza protezioni geotessili di solito alle nostre latitudini l’80% della fusione è dovuta alla radiazione solare netta e quindi assorbita (i.e. SWIN - SWOUT). La copertura geotessile esplica la sua azione protettiva sia riducendo la SW assorbita sia modificando QC. Pertanto gli aspetti teorici più interessanti sono la parametrizzazione del flusso di calore conduttivo da quantificare attraverso la temperatura superficiale (TS) e l’analisi della variabilità dell’albedo o riflettività (α) della superficie, che corrisponde al rapporto tra radiazione solare riflessa ed incidente, ovvero: SWOUT (2) a = SWIN pertanto la radiazione netta SWNET è (3) SWNET = SWIN - SWOUT = SWIN x (1 - a) Dove (1-α) è pari alla co-albedo ovvero alla percentuale di radiazione assorbita dalla superficie analizzata. In accordo alla legge di conduzione del calore di Fourier, il flusso di calore conduttivo QC è pari a: (4) QC =
K x (TS - TICE) Dh
in cui K è la conducibilità termica tipica del materiale e dipendente dalle sue caratteristiche, TS è la temperatura superficiale, TICE è la temperatura del ghiaccio al punto di fusione (quindi 0°C se al livello del mare), Δh è lo spessore del materiale. La fusione M (con segno negativo poiché per il ghiacciaio corrisponde ad una perdita) è data dal rapporto tra il flusso di calore che porta alla fusione QM (che in questo caso è pari al flusso di calore conduttivo QC), il calore latente di fusione λ e la densità del materiale in fusione ρ come nella seguente formula: Qm (5) M =
/l ρ
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abstract CLIMATE VARIATIONS AND SNOWCOVER IN THE ITALIAN ALPS
M. Valt, P. Cianfarra The V AR5 study of the working group of the Stockholm IPCC panel confirmed that the snowcover extent in the Northern Hemisphere has been gradually decreasing, and that in March and April high correlation exists between such decrease and anomalous temperature values. Recent works have already proved that in the Italian Alps, too (6.6-13.7 E and 47.1-44.1 N) the snowcover extent and the amount of fresh snow have been gradually reducing, especially in March and April, at heights ranging between 800 and 1,500 m. The present work analyzes temperature data, snowfall and snowcover duration with more than 30 cm thickness (skiable snow) in the 1930-2013 period. The analyses carried out highlighted, in the 1987-1988 period, a variation of regime for all the
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three parameters analyzed. Furthermore, in the 1991-2000 period, the largest deficit was observed in the last 10 years. In the 2004-2013 period a lower temperature rise was observed in December-February compared with the 1961-1990 average, alongside almost standard snowfalls. Temperature ranges in March-April have been instead steadily increasing, with a major snow deficit (approximately -30%) especially at low altitudes, and resulting lower snowcover duration. As for the snow reliability line (LAN), altitude rose by over 300 m following a seasonal temperature rise of 0.7 °C, amounting to a much higher value than that recorded in other studies, i.e. 150 m for 1.0 °C. Last but not least, in the 1961-2013 period, high correlation was observed between temperature trends in spring, fresh snow accumulation (R=0.81) and duration of snowcover with more than 30 cm thickness (R=0.90).
EVOLUTION OF DOLOMITE GLACIERS IN THE LAST 100 YEARS AND RECENT MASS BALANCES IN THREE GLACIAL SYSTEMS
A. Crepaz, G. De Luca, A. Cagnati The aim of this work is to provide quantitative data on changes occurred in the little Dolomite glaciers in the past century and show the recent mass balance data of three glacier systems, among the largest ones in the Dolomites. Today there are approximately 75 glacier systems in the Dolomites; they are generally of little size, often in form of névé, and some of them were unknown in the past. Owing to that, a sample of 27 glacier systems was taken, for which historical data is available. Furthermore, the mass balance was calculated for Marmolada, Antelao Superiore and Fradusta glaciers, where GPR and GPS measures were taken in 2004 follo-
wed by Lidar survey from helicopter in 2009. These surveys show an average surface loss of 4.48 km2 in 100 years, amounting to -49%, of which approximately 30% in the last 30 years. Calculation of mass balance, in the 2004/2009 period, showed an average annual loss of respectively 1,05 m w.e a-1 for Antelao Superiore, 1,16 m w.e a-1 for Fradusta and 1,01 m w.e a-1 for the Marmolada Glacier.
CRYOSPHERE OF FRIULI VENEZIA GIULIA: THE CASE STUDY OF MONTE CANIN (JULIAN ALPS)
R.R. Colucci e, E. Forte In the last years, glaciological research in Friuli Venezia Giulia has been experiencing a period of renewed interest, especially thanks to new technologies like Terrestrial and Airborne Laser Scanning (LiDAR), more powerful Ground Penetrating Radar (GPR) systems and widespread diffusion of Automatic
Weather Stations (AWS) located at high elevation. These techniques and facilities were used in the Canin area (Julian Alps) to better understand the present state of glacial remnants, from both a glaciological and a climatological point of view, and to deal with the study of underground ice, which represents a new approach to paleoclimatological studies in mountain areas. In this work we present some case studies and some preliminary results about the use of geophysics in glacierized areas.
VOLUMETRIC ESTIMATE OF THE SOUTHERN ALP GLACIER THROUGH GROUND PENETRATING RADAR MEASUREMENTS AND GNSS SURVEYS
M. Rossi, M. Belò, M. Fioletti, L. Bonetti The Southern Alp Glacier is a Lombard Glacier system located in the Valfurva area in the Sondrio province, on the Monte Sobretta massif (3,296 m a.s.l.). On this glacier, technicals of Centro Nivometeorologico of ARPA Lombardia, regulary carried out highaccuracy measurement campaigns. Study and monitoring activities include a series of surveys performed in winter and summertime. All the information on mass variations, usually obtained by means of differential measurements on stakes, is supported by accurate GNSS (Global Navigation Satellite Sistems) surface measurements. However, this type of measurements does not take into account the basal surface of ice, thus not allowing for the implementation of forecasting models aimed at estimating the availability of immediately available water resources. To this aim, a campaign of Georadar surveys was carried out in September 2011 concurrently with GNSS survey of the glacier surface and reading of ablatometric stakes. The bedrock surface, which makes up the sedimentary-rocky substratum, was reconstructed by processing Georadar profiles, which were taken using 100 MHz antennas and were homo-
genously distributed over the whole glacier surface. The basal surface, once reconstructed in its tridimensionality, produces a digital model of the terrain that is then taken as a benchmark for the analysis of volumetric variations with time. Also, thanks to the availability of GNSS surface surveys since 1997 to date, it is possible to evaluate any space variation of ice thickness throughout the years. This allows scientists to know what ablation dynamics are and to find out any possible differential ablation process. Being able to understand the complex differential ablation and accumulation processes allows us to improve our knowledge of glaciological dynamics, while bringing around essential information to create accurate models and reliable predictions about the availability of water resources from glaciers.
GLACIER-RELATED RISKS IN VALLE D'AOSTA: MONITORING AND APPLIED RESEARCH
D. Bertolo, M. Curtaz, C. Lucianaz, M. Vagliasindi Glacier-related phenomena represent a major source of risk in mountain areas and particularly the Alps. The risk originates from the interaction of glacial dynamics, which are very active and in rapid evolution also – but not only – due to climate changes and anthropic presence, which has been strongly expanding in the alpine areas in the past century. The main glacial risks are linked to the fall of seracs, the failure of tempered glaciers or the sudden release of water accumulated inside glaciers themselves. The Valle d’Aosta territory, for its characteristics, is particularly subject to such risks. For this reason the regional government, through Fondazione montagna sicura (Safe mountain foundation), has implemented a specific monitoring plan for glacial risks. This plan provides for different initiatives, targeted to territory, as a whole, and monitoring of specific cases alike.
SUMMARY AND PRELIMINARY RESULTS OF STUDIES BY ARPA PIEMONTE ON PERIGLACIAL ENVIRONMENT AND PERMAFROST IN PIEDMONT ALPS
L. Paro and M. Guglielmin In the last few years, some gravitational and debris flow phenomena occurred in Piemonte that originated from high elevation areas, sometimes evolving in critical events, as they involved distal and anthropised valley areas. Due to these paroxysmal events, the necessity aroused to widen, to higher altitudes, the area until now surveyed through weather-climate monitoring stations, in order to highlight all possible interrelations between climate changes, periglacial environment and degradation of alpine permafrost that may lead to increased geological risks in large mountain areas. To this aim, ARPA Piemonte (in collaboration with Università dell’Insubria) from 2006 started a series of projects aimed at improving knowledge about these issues, also creating a monitoring network of permafrost distributed on the whole regional alpine range. These activities, which benefited from strong support on the occasion of the European project Alpine Space “PermaNet” (Permafrost long-term monitoring Network) in the 2008÷2011 3-year period, have now become an integral part of the Agency’s institutional targets.2 The main results achieved so far include the regional land register updated with permafrost morphological indicators, maps and models of the potential alpine permafrost distribution, temperature monitoring stations and surface monitoring sites; furthermore, BTS (Bottom Temperature of the Snow Cover) measurement campaigns have been carried out, alongside geophysical surveys and detailed studies aimed at evaluating relations between atmosphere, geosphere, cryosphere and biosphere.
PILOT EXPERIMENTS AIMED AT REDUCING SNOW AND ICE MELT AT THE PRESENA GLACIER (TRENTO, ITALY): PRELIMINARY RESULTS ON THE APPLICATION OF ARTIFICIAL COVERS FEATURING DIFFERENT CHEMICAL COMPOSITION
A. Senese, R. Azzoni, D. Maragno, B. Mosconi, C. Smiraglia, G. Diolaiuti, A. Trenti Since summer 2008 a research project aimed at reducing snow and ice ablation has been going on at the Presena Glacier (Adamello Group, Trentino), where skiing activities are performed in winter, spring and part of the summer season. To reduce magnitude and rates of snow and ice melting during summertime 2008, 2009 and 2010, several artificial covers were positioned on the glacier surface from July to September and the result of such experiments was actual reduced ablation. In summer 2012, a new experiment was performed to test the effectiveness of the different artificial materials in reducing melting. Five different artificial covers (COVERTESS ICE) were analyzed. These were characterized by different chemical composition (i.e. polypropylene, polyester and polylactic acid), mass per area (i.e. from 340 to 500 g/m2) and thickness (i.e. from 3.00 to 4.40 mm at 2kPa). The 500 polypropylene cover (with 3.70 mm of thickness) turned out to have maximum efficacy (it reduced snow ablation by 73%) and also witnessed the highest albedo values and lowest temperatures. This may seem due to the higher mass per area, which makes surface reflectivity more stable. We also evaluated the effectiveness of old covers in reducing ice and snow melting (i.e.: covers used twice on two different summer seasons, the first time in 2011 and the second time in 2012). These covers featured lower albedo values and thus more intense melting rates: for this reason, they should be used only at high altitude areas where ablation generally takes place at lower rates.
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n° 80 - dicembre 2013
Poste Italiane Spa
Meteorologia alpina, Glaciologia, Prevenzione Sicurezza in montagna
SPECIALE GLACIOLOGIA Clima e manto nevoso su Alpi Italiane Evoluzione 100 anni ghiacciai dolomitici Criosfera sotterranea Ghiacciaio Canin Stima volumetrica Ghiacciaio M. Sobretta Rischi glaciali in Valle dâ&#x20AC;&#x2122;Aosta Monitoraggio del permafrost in Piemonte Nuovi geotessili al Ghiacciaio del Presena
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