Emanuela Ascari

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Emanuela Ascari Risque acceptable

GAP - Global Art Programme Waiting for Expo 2015




REALIZZATO DA

CON IL PATROCINIO DI

IN COLLABORAZIONE CON

CON IL SOSTEGNO DI


GAP - Global Art Programme, Waiting for Expo 2015 è un programma internazionale di scambio culturale tra l’Italia e altri paesi partecipanti all’Expo Milano 2015, Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita. Iniziato nel 2010, il programma offre ad artisti italiani e stranieri l’opportunità di compiere un’esperienza di residenza di due mesi in un paese ospitante allo scopo di realizzare un’opera sui temi inerenti l’Expo (salute e nutrizione adeguata, ambiente ed energia sostenibile, geo-architettura). Ogni anno gli artisti stranieri selezionati soggiornano a Milano nella residenza Open Care, gestita da FARE, mentre gli italiani svolgono il loro periodo di residenza nei paesi stranieri che di volta in volta sono individuati come partner annuali del programma. Ogni singola residenza termina con una mostra di presentazione del lavoro dell’artista selezionato e la pubblicazione di un diario che raccoglie le sue impressioni e il suo vissuto. Il programma, che proseguirà sino al 2015, si concluderà con la mostra di tutte le opere prodotte dagli artisti partecipanti, all’interno della programmazione culturale di Expo Milano 2015. Il progetto è stato ideato dall’Associazione Artegiovane Milano, con il patrocinio di Expo Milano 2015, in collaborazione con l’associazione FARE, Open Care e Frigoriferi Milanesi. Il GAP si è potuto realizzare grazie al sostegno di Camera di Commercio di Milano, Regione Lombardia, Fondazione Cariplo e Comune di Milano, Settore Cultura, Moda, Design. GAP - Global Art Programme, Waiting for Expo 2015 is an international programme of cultural exchange between Italy and other countries participating in the Expo Milano 2015 , Feeding the Planet, Energy for Life. Started in 2010, the programme offers to Italian and foreign artists the opportunity to live a residence period of two month in a host country in order to create a work on issues related to the Expo (health and proper nutrition, environment and sustainable energy , geo-architecture). Every year foreign artists are selected to stay in Milan at the residence Open Care, managed by FARE, while the Italians pass their period of residence in foreign countries identified from time to time as annual partners of the programme. Every single residence ends with an exhibition presenting the work of the artist selected and the publication of a book that collects his impressions and his experience. The programme, which will continue until 2015, will end with an exhibition of all the works produced by participants. This exhibition will be in the cultural programming of Expo Milano 2015. The project was conceived by Artegiovane Milan, under the patronage of Milan Expo 2015, in collaboration with the Association FARE, Open Care and Frigoriferi Milanesi. GAP is realized in partnership with Chamber of Commerce of Milan, Lombardy Region, Cariplo Foundation and City of Milan, Department of Culture, Fashion, Design.



Emanuela Ascari Risque acceptable

GAP - Global Art Programme Moly - Sabata - Art3 Sablons - Valence, ottobre - dicembre 2013



Residenza Moly-Sabata, Sablons, Rhone Alpes (FR)



Sablons, Rhone-Alpes, un territorio lungo il Rodano ad alta concentrazione di industrie che gestiscono e lavorano materie chimiche ad alta pericolosità. A 9.5 km inoltre c’è la Centrale nucleare di Saint-Alban/Saint-Maurice. Ad ogni famiglia che vive in quest’area viene distribuito un opuscolo sui maggiori rischi industriali del territorio, con tutte le informazioni relative alle aziende, ai pericoli e al cosa fare in caso di incidente. Le aree a rischio vengono circoscritte su una mappa con un raggio in km dal centro industriale, come cerchi colorati che segnano i limiti del non-rischio. Sablons si trova all’interno di tre cerchi, azzurro, arancione e fucsia, e molto vicino ad altri sette.


Uno dei primi giorni ho trovato nell’insalata presa da un vicino una piccola chiocciola, con la quale ho convissuto condividendo il tavolo da cucina, il cibo e il tempo della residenza. Questo incontro ha assunto un significato ulteriore rileggendo il pensiero del filosofo ed economista francese Serge Latouche in La scommessa della Decrescita.

In queste condizioni sarebbe urgente recuperare la saggezza della lumaca e quanto possiamo imparare, come si è già visto, da polli, ostriche e ragni. In effetti, la lumaca non ci insegna solo la necessità della lentezza. “Una lumaca”, spiega Ivan Illich, “dopo aver raggiunto un numero di spire sempre più grandi alla delicata struttura del suo guscio, interrompe all’improvviso questa sua attività costruttiva e comincia a “riavvolgersi” in modo decrescente. Una sola spira in più aumenterebbe di sedici volte le dimensioni del guscio. Anziché contribuire al benessere della lumaca, la graverebbe di un tale eccesso di peso che qualsiasi aumento di produttività verrebbe letteralmente schiacciato dal compito di affrontare le difficoltà create dall’allargamento del guscio oltre i limiti fissati dai suoi stessi fini. A questo punto il problema del sovrasviluppo comincia a moltiplicarsi in progressione geometrica, mentre le capacità biologiche della lumaca, nella migliore delle ipotesi, non possono che aumentare in proporzione aritmetica”. Abbandonando la ragione geometrica che precedentemente perseguiva, la lumaca ci indica il cammino per pensare una società della “decrescita”, se possibile serena e conviviale. La scommessa della decrescita, Milano, Feltrinelli, 2007, p. 42‑43.


Latouche propone una visione organica dell’economia, riallacciandola alla biosfera, al vivente, evidenziando i limiti del pensiero scientifico e numerico cha ha portato al delirio quantitativo dell’economia dello sviluppo e della crescita. Secondo Latouche e altri obiettori di crescita, il modello dello sviluppo, anche quello sostenibile, non può funzionare principalmente perché, non tenendo conto della biosfera all’interno della quale si sviluppa il processo economico, il modello teorico rimane distante dal processo reale su cui si applica, che è di natura entropica. Inoltre la scienza e la matematica basano i loro modelli su un sistema da +/- ∞ mentre il sistema sul quale si applicano è un sistema finito: i limiti del pianeta. La terra è finita quantitativamente, in relazione a tempi umani. “In effetti”, dice Latouche, “il dinamismo della vita economica inciampa sulla soglia dei rendimenti decrescenti, che non sono nient’altro che la finitezza della natura: l’insufficienza di terre fertili, l’esaurimento delle miniere, i limiti del pianeta.”

L’industria alimentare partecipa a pieno a queste dinamiche, pur trattando di materia vivente, a discapito della qualità del cibo e dei terreni che, con l’agricoltura intensiva, sono depauperati di sostanze vitali e contaminati. Mentre un tempo l’alimentazione era la fonte prima di benessere, la cattiva alimentazione di oggi non fornisce più gli elementi necessari


al corpo per prevenire la malattia, e contribuisce alla messa in crisi del sistema immunitario stesso. L’ambiente alterato si manifesta nel corpo, il quale si indebolisce e, per reazione, genera un rifiuto, fino a diventare intollerante a determinati cibi. Il cibo, che dovrebbe essere una cura per il corpo, è diventato causa della malattia. La smisurata fiducia nella scienza, e quindi nella medicina, ha fatto perdere di vista l’uomo, ridotto ad un codice biologico (dna, rna), e l’ambiente è scomparso dallo sguardo medico che vede ormai solo i sintomi di una patologia, mentre è proprio l’ambiente (territoriale, sociale, ...) il primo determinante dello stato di salute di qualunque popolazione. (cfr. Ivan Illich, Nemesi medica, 1976)

Durante la residenza conosco Jeane-Claude Girardin, ex venditore (in pensione) di prodotti chimici per l’agricoltura che vive a Sablons, e che ora presiede una associazione ecologista per “salvare il nostro futuro”. Ad un incontro mi porta un catalogo, un indice dei prodotti fitosanitari per l’agricoltura, sostanze che ha venduto per trent’anni. Dietro l’apparente sicurezza che può trasmettere il termine “sanitario”, questo è in realtà un catalogo di pesticidi, sostanze per debellare ed uccidere qualunque organismo vivente, utilizzate in combinazione e in modo sia preventivo che curativo. Chiaramente l’economia di questo mercato si basa sulla vendita dei trattamenti preventivi,


e sull’aumento delle dosi da utilizzare, senza tenere conto delle conseguenze sul piano del vivente, della degenerazione dei suoli e dell’uomo.

Se tutto è fatto alla perfezione può già essere pericoloso. L’unica possibilità, a mio parere, è quella di portare l’agricoltura intensiva vicina ai requisiti imposti per l’agricoltura biologica. Si dovrebbe rallentare il ciclo dell’agricoltura intensiva. L’unico modo per cambiare le cose è quello di imporre degli obblighi di legge che tengano conto di tutti i fattori tra cui le condizioni del terreno. I suoli possono appartenere ad un proprietario, ma in realtà appartengono a tutti, a tutto il mondo. Attualmente vi è una domanda, c’è un mercato per la produzione di qualità biologica, e tutto il resto deve, per forza, avere un trattamento più leggero di ora. Credo di conoscere un po’ di cose, penso che potremmo ridurre l’utilizzo dei trattamenti fitosanitari dell’80%. Ridurre dell’80% non permette di raggiungere una qualità di produzione equivalente alla produzione biologica ma permette di arrivare a qualcosa di molto più commestibile. Da una conversazione con Jeane-Claude Girardin, (novembre 2013).



Livello di rischio accettabile. Esistono delle regole, ma sono impressionanti sul piano sanitario, cioè il limite di dose, un millisievert per anno non è il limite del non rischio ma il limite del rischio accettabile. Significa che al di sopra della linea c’è un rischio inaccettabile e al di sotto non è che il rischio non esista, è solo accettabile. Questo è scritto nei testi ufficiali. Per la gente comune accettabile vuol dire nessun morto, niente impatti sanitari, invece le cose non stanno così. Accettabile in realtà vuol dire un certo numero di morti per un tot mila abitanti legati al rischio delle centrali, delle scorie o delle miniere di uranio, è un criterio economico in funzione degli interessi rispetto ai danni sanitari. Ma è chiaro che non è una scelta democratica, è una scelta di esperti che sono riusciti a far credere alle persone che il limite è il limite del non rischio, e questo è totalmente falso. Roland Desbordes, Presidente CRIIRAD (Commission de Recherche et d’Information Indépendantes sur la Radioactivité). Da L’inganno, inchiesta di Report (RAI) andata in onda il 29-03-2009.




Le 08/12/2013 15.18, Emanuela ASCARI a écrit : Cher Monsieur Roland Desbordes, merci pour votre disponibilité. Je ne parle pas français et quelqu’un a traduit pour moi. J’ai quelques questions auxquelles, je l’espère, vous pourrez répondre. Par avance, je vous demande l’autorisation d’utiliser notre conversation dans le cadre de mon travail artistique. – Dans une interview diffusée à la télévision italienne en 2009 (dans une émission d’enquête journalistique intitulée Report) vous parliez de “risque acceptable”. Pourriez-vous m’expliquer ce concept s’il vous plaît ? – Dans la nature existe une radioactivité naturelle (émise par le soleil, les roches, etc.), comment est déterminé le seuil de tolérance pour les humains ? – Comment la présence des industries nucléaires influet-elle sur l’exposition de l’homme aux rayonnements nucléaires ? – Selon vos études, y a-t-il également des conséquences au niveau de l’agriculture et de l’alimentation ? Merci beaucoup. Cordialement, Emanuela Ascari

Le 10/12/2013 16:02, Roland DESBORDES a écrit: bonjour la définition du risque acceptable dépend à qui on pose la question, pour les autorités sanitaires, c’est le risque sanitaire (nombre de morts pour le public et les travailleurs par an :pour le nucléaire , c’est 5.105, c’est à dire 5 morts par 100 000 personnes, dans le chimique on est à 5 . 10-6....donc 1à fois moins) que elle considèrent comme acceptable en contrepartie des avantages d’une industrie (emploi, finances, techniques...) pour les citoyens je pense que s’ils avaient leur mot à dire ce serait souvent ZERO ! pour la nature il n’y a pas de norme puisque l’homme ne peut pas décreter que la radioactivité naturelle est interdite, on ne peut pas maitriser ce risque (sauf dans quelques cas comme le radon dans les maisons) il existe bien d’autres risques dans la nature (les champignons toxiques, le mercure, l’arsenic, ...;) , cela ne doit pas justifier des pollutions créées par l’homme (qui en rajouterait donc), cela ne doit pas légitimer des rejets radioactifs dans notre environnement. au contraire il y a dejà cette radioactivité naturelle qui provoque quelques milliers de morts par an en France,


ne surtout pas en rajouter ! il n’existe pas de “seuil de tolérance”, le risque est directement proportionnel à la dose (relation linéaire SANS SEUIL !) l’industrie nucléaire en fonctionnement normal effectue des rejets radioactifs gazeux et liquides dans NOTRE environnement , de plus elle génère des déchets solides pour lesquels nous n’avons pas de solution pour les neutraliser et dont nous laissons en cadeau à nos enfants ! cela est facilement mesurable (dans notre labo), par contre il manque de grandes études épidémiologiques pour en déterminer les conséquences sanitaires, les seules études autour des centrales nucléaires montrent un doublement des leucémies de l’enfant dans un rayon de 5 km, cela devrait nous interpeller ! les impacts sur l’agriculture et l’alimentation sont bien mesurables en cas d’accident et sur des continents entiers...on a encore des champignons contaminés par Tchernobyl dans les pays d’Europe !! et au Japon vous pouvez constater les dégats aussi cordialement Estratti da corrispondenza via email con Roland Desbordes, Presidente CRIIRAD (Commission de Recherche et d’Information Indépendantes sur la Radioactivité), Valence (FR).


Il giorno 19 novembre 2013 14:15, Fabio FIORAVANTI ha scritto: Ciao cara Emanuela. È un bel tema... e ci sarebbe molto da dire. Il progresso da un lato ci ha donato tanto, ma come spesso accade in natura, per poter ottenere un risultato è necessario sacrificare o rinunciare a qualcosa. Con la rivoluzione scientifica (e industriale) si sono rotti equilibri millenari. Le comodità ed il benessere conquistati hanno avuto un costo. È un po’ come la legge del karma: non ci sono scorciatoie. Ed in natura vige la legge definita di compensazione. Cento anni fa se volevo andare da Ferrara a Rolo dovevo usare il cavallo. Ci mettevo mezza giornata (con cavallo giovane e robusto), ma non uscivo dal contesto naturale. Oggi grazie all’automobile impiego un’ora. Ho un vantaggio diretto e immediato, ma la costruzione del veicolo, l’uso di carburante e quella che sarà la demolizione del mezzo hanno avuto e avranno costi ambientali. Forse si tratterà di migliorare le invenzioni e gli artifici umani (che sono sempre un prodotto della nostra interiorità), ma la condizione fisica è legata a leggi ben definite. (...) Saluti! Fabio

Il giorno 06 dicembre 2013 10:01, Emanuela ASCARI ha scritto: Caro Fabio, grazie della risposta e delle info. (...) Sì è un tema ampio ed estremamente importante, difficile infatti sintetizzare in un lavoro artistico, ma una parte alla volta qualcosa si può fare. (...) Immagino tu conosca la “teoria della Decrescita”. L’Antroposofia come si pone in relazione a questa posizione radicale? Ci sono molti punti in comune. Un caro saluto Emanuela

Il giorno 07 dicembre 2013 16:56, Fabio FIORAVANTI ha scritto: Ciao cara Emanuela, è vero che ci sono moltissimi punti in comune tra il Movimento per la Decrescita e l’agricoltura biodinamica. Anche il movimento per la Transizione sta facendo molte belle cose. A Ferrara, tra l’altro, sono molto operosi


e spesso mi capita di collaborare con loro. Una delle realtà più attive è il Comune di Monteveglio (Bo). In merito alla tua domanda bisogna dire che l’Antroposofia vuole essere una via di carattere spirituale, e un’opportunità per l’evoluzione interiore. Diciamo che l’Antroposofia si è resa necessaria perché ad un certo punto dell’evoluzione dell’umanità il materialismo ha contribuito a sviluppare una concezione della natura astratta e arida. Con Galileo e Newton si è passati da un tipo di conoscenza “qualitativa” ad un tipo di conoscenza esclusivamente “quantitativo”. Con il riduzionismo si è poi separato l’uomo dal resto del creato, arrivando a sostenere che la vita è un evento assolutamente casuale. La rivoluzione industriale ha fatto il resto, contribuendo a far sprofondare l’uomo nella materia. E la scienza materialista ha iniziato a formulare concetti astratti, separando, sezionando, soppesando e perdendo di vista l’insieme. Per farla breve, con l’Antroposofia viene offerta all’uomo la possibilità di riemergere dal materialismo, per poter conoscere il senso profondo della vita e delle forze che stanno dietro ai fenomeni del vivente. Oggi, purtroppo, siamo tutti numeri... e quando andiamo dal medico non ci guarda nemmeno in faccia. Questo è il materialismo. Occorre dunque risalire verso una forma di conoscenza vivente della natura. Con il movimento della Decrescita si vuole ridurre l’anidride carbonica nell’atmosfera e si vuole garantire la sopravvivenza del pianeta (tutte cose giustissime!). Ma l’aumento di anidride carbonica e lo sfruttamento esasperato delle risorse naturali sono solo la conseguenza del riduzionismo e del materialismo. Ciò di cui abbiamo bisogno è una rinascita interiore. I due punti di vista, approccio quantitativo e approccio qualitativo, dovrebbero potersi fecondare per generare una nuova scienza (scientifico-spirituale). In tutto questo l’arte ha un ruolo centrale... e prima di Steiner l’aveva capito bene Goethe (ma pochi lo conoscono per quello che era realmente). Quindi va bene ridurre la CO2 e salvaguardare le risorse naturali (per un mondo più umano), ma serve anche altro. Ti giro allegato con scheda di sintesi non definitiva che ho iniziato ad elaborare per conferenza sull’approccio conoscitivo. A sinistra vi sono le caratteristiche della scienza materialistica, mentre a destra vi sono le caratteristiche di un approccio olistico. AUGURI! Fabio




Il giorno 12 gennaio 2014, 23:21, Emanuela ASCARI ha scritto: Caro Fabio, ti faccio carissimi auguri per un buon anno nuovo, e ti ringrazio davvero per le riflessioni e gli appunti scambiati. Per me il pensiero della Decrescita implica un cambiamento del pensiero così radicale da non riferirsi solamente alla riduzione dell’inquinamento e al consumo della terra, ma ad un cambiamento interiore necessario a realizzare ciò, in antitesi anch’esso al materialismo ma secondo una visione laica. Un cambiamento nelle intenzioni e nei rapporti sociali verso la convivialità espressa da Ivan Illich ad esempio, o verso quello che viene definito “disarmo culturale”. È da vedere se la visione laica possa essere così forte da portare ad un reale cambiamento. Spero di approfondire prossimamente l’approccio scientifico-spirituale. Una delle differenze mi pare essere il mettere al centro il vivente. A presto. Un caro saluto emanuela

Il giorno 13 gennaio 2014 08:28, Fabio FIORAVANTI ha scritto: Ri-ciao, ti giro articolo che ho scritto per Biolcalenda. L’ho scritto per caratterizzare le peculiarità di un pensare vivente (senza scomodare i mondi spirituali). Poiché dopo la rivoluzione industriale, con il riduzionismo, è venuta meno la capacità di leggere i fenomeni a 360 gradi (lo scritto è contestualizzato all’agricoltura). Il più grande uomo, colui che forse più di ogni altro era in grado di interpretare la realtà a 360 gradi, fu Leonardo Da Vinci. Per questo definito “uomo universale”. Non fu l’unico uomo universale, ma fu comunque il più grande. Con la moderna scienza questa universalità di pensiero è venuta meno. Anzi! Oggi si può parlare, purtroppo, di unidirezionalità, con tutte le conseguenze. (...) Ri-saluti! Fabio Estratti dal dialogo via email con Fabio Fioravanti, esperto di agricoltura biodinamica.




Risque acceptable Espace Jeanne de Flandreysy, Valence (FR)



La mostra è stata pensata come uno ambiente vivo, e dinamico, con opere presentate come suggestioni, passaggi di stato, o durante la loro realizzazione. Ingredienti di un lavoro che non trova la sua conclusione nell’esposizione bensì la sua durata, una forma a temporalità limitata, solo un momento di un processo più ampio. Questo per riconnettersi con la mutevole dimensione del vivente e aprire uno spazio dove sollecitare la dimensione temporale piuttosto che la contemplazione. Il lavoro trova così una sua forma nell’esposizione stessa, non momento dove mostrare le opere ma spazio dove le opere accadono. Nella prima sala viene presentato un ambiente vivo e abitabile, nella seconda sala il materiale di un progetto in una fase intermedia, che si realizzerà dopo la fine della mostra, mentre nella terza sala un lavoro in corso, la fase di produzione di quella che rimarrà un’installazione sonora. Anche alcune circostanze legate alla residenza diventano parte del lavoro. I limiti nella comunicazione dovuti al non parlare la lingua francese danno forma all’azione sonora, mentre il tragitto di ritorno dalla Francia all’Italia diventa lo spazio di produzione di un lavoro che prende forma durante questo viaggio.



sala 1 Tavolo da cucina con lumaca ragionando sui limiti installazione Serge Latouche, con la Teoria della Decrescita, propone una visione organica dell’economia, riallacciandola alla biosfera, ed evidenziando i limiti del pensiero scientifico che ha portato al delirio quantitativo dell’economia dello sviluppo e della crescita. Nella visione proposta da Serge Latouche la lumaca assume un significato particolare. Citando Ivan Illich, Latouche invita a recuperare la “saggezza della lumaca”. Nel costruire la sua casa secondo la propria ragione geometrica, raggiunto il limite di crescita che le permette di trasportarla comincia a riavvolgersi in modo decrescente, diventando così esempio e metafora di una società della decrescita, del recupero di un equilibrio armonico con la natura e i suoi processi. La lumaca ha semplicemente il senso della misura, e dei limiti, smette di costruire e rafforza la sua casa. Durante i primi giorni di residenza avevo trovato una piccola chiocciola tra le foglie di insalata presa da un vicino, che ha vissuto con me condividendo il tavolo da cucina, il cibo e il tempo della residenza. Attraverso diversi materiali viene proposto uno spazio abitabile. Al centro della prima sala è stato portato il tavolo da cucina della residenza, su cui trova spazio l’habitat per la lumaca. Il tavolo è un invito a sedersi, al dialogo, a prendere tempo e a porsi in relazione con un ambiente vivo. A disposizione del pubblico sono il testo di Serge Latouche Le Pari de la Decroissance, 2006, e le registrazioni audio di alcuni dialoghi con Jean-Claude Girardin riguardo al territorio industriale di Salais-surSanne e all’agricoltura, frutto di incontri che si sono svolti attorno a quel tavolo.





sala 2 Ciò che è vivo azione paesaggistica Nella seconda sala vi è appoggiato il materiale per un’opera che si realizzerà nei giorni a seguire. Alcune lettere di legno, che compongono la frase ciò che è vivo ha bisogno di ciò che è vivo, sono presentate imballate nella forma in cui sono arrivate dall’azienda produttrice. Una fase intermedia del lavoro, tra il momento progettuale, la produzione materiale e la realizzazione artistica del lavoro. La frase è la sintesi di un concetto che sta alla base del vivente e che deriva da alcune riflessioni sull’agricoltura organica e biodinamica. In un contesto in cui la mancanza di vitalità dei terreni e dei cibi coltivati in modo intensivo concorre alla progressiva degenerazione sia fisica che spirituale dell’uomo, un cambio di prospettiva può avvenire recuperando un punto di vista organico che permetta di mantenere in dinamica la vita attraverso il vivente stesso. Il lavoro si è realizzato nel tragitto tra Sablons e Milano, tra il 28 e il 31 dicembre 2013, durante il viaggio di ritorno in Italia, che diventa spazio di produzione dell’opera. La frase è stata inserita in diversi paesaggi lungo il percorso, in un atto di enunciazione ripetuta. Un mantra silenzioso, mentale, visivo, come mormorare un pensiero che si fa azione su scala paesaggistica. L’azione è documentata fotograficamente.







sala 3 Phytosanitaire Installazione sonora, performance. Con Emanuela Ascari e Josué Rauscher. Phytosanitaire, è un elenco di nomi di sostanze chimiche che compongono i comuni pesticidi utilizzati in agricoltura. Questi nomi provengono da un catalogo di prodotti fitosanitari e sono insetticidi, fungicidi, erbicidi, ecc., circa 600, utilizzati per eliminare qualunque genere di organismo vivente possa infestare terreni e coltivazioni. L’elenco diventa materiale per una performance-installazione sonora: la lettura di questi nomi, in francese. Nella lettura si tenta di raggiungere un’armonia sonora, ritmica, puntualmente interrotta da un’impossibilità dovuta alla mancanza di conoscenza della lingua francese che induce all’errore. I limiti nella comunicazione dovuti al non parlare la lingua francese danno forma all’azione. In un dialogo a due un’altra voce si inserisce a correggere la pronuncia. Il francese è una lingua dal suono raffinato e dalla pronuncia rigorosa, ed elencare queste parole in francese, alle mie orecchie, è il tentativo di rivestirle di un’apparenza elegante che si contrappone alla reale azione di questi elementi, un processo simile alle strategie di marketing adottate dalle aziende produttrici. La mia lettura risulta però stridente per i francesi. L’audio è stato registrato live durante il primo giorno di esposizione, mostrando la fase di produzione di quella che rimarrà un’installazione sonora.







Ciò che è vivo Sablons-Milano 28 – 31 dicembre 2013 501 km














Un particolare ringraziamento per la collaborazione a Josué  Rauscher Ringraziamenti : Francoise Buniazet, Christophe Champelovier, Gabriel D’Angelo, Pierre David, Clémence Durand, Jean‑Claude  Girardin, Friedemann Hoerner, Mathias Tujague, Sylvie Vojik

edizione a cura di Artegiovane Milano crediti fotografici: Emanuela Ascari, Thierry Chassepoux, Josué Rauscher Milano marzo 2014




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