AK
ADLIGE KLEIN
numero 5 - 2011
MADE IN EATALY
LA CASA INTELLIGENTE
Il sogno della felicità parte sempre da ciò che mangiamo!
Viaggio nella domotica tra presente e passato
artisti migranti a ny
diamo voce alla lirica
Il nomadismo forzato degli artisti
Lo stato di salute della lirica in Italia
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Amemì, l’accento su di te
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INDICE AK Adlige Klein n°5
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per un futuro normale inchiesta l’archivio dei dimenticati reportage le trappole della rete inchiesta made in eataly storie di successo artisti migranti a ny turismo parma-nella culla del buon vivere turismo lento l’uomo che progettò il trasporto design grafico il sogno della casa collegata design domotica
80 90 100 110 122 128 136 148
il primo global architect design architettura rita sà-nel cuore della digital art arte l’emozione della ricerca moda questo è lacrosse sport 6 settimane a impatto zero eco scoprire il mare in quel di milano food diamo voce alla lirica musica eventi ed agenda
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AK E MULTIUTILITY per il terzo numero ak adlige klein certifica la propria eco-compatibilità grazie a multiutility
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a sempre sensibile alle tematiche ambientali, con una sezione da sempre dedicata all’eco, AK Adlige Klein ha intrapreso un’importante azione concreta verso questo tema, rendendo la produzione stessa della rivista eco-compatibile. Questo è stato possibile certificando tutti i consumi di energia elettrica legati alla produzione dei numeri di AK per un intero anno con “100% energia pulita Multiutility”. Grazie a questa iniziativa è stata evitata l’emissione in atmosfera di 24,47 t di CO2 e risparmiati 8.750 Kg di petrolio. Il marchio “100% energia pulita Multiutility” che appare in copertina, marchio di proprietà di Multiutility S.p.A. registrato a livello europeo e che viene concesso solamente a chi rispetta l’ambiente, è l’attestazione della scelta etica che ha deciso di portare avanti la redazione di AK. La certificazione “100% energia pulita” è basata sull’immissione in rete (tramite l’annullamento di certificati RECS) di un quantitativo di energia rinnovabile
pari al consumo di energia necessaria alla realizzazione della rivista. I certificati RECS (Renewable Energy Certificate System) sono titoli che attestano la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile per una taglia minima pari a 1 MWh e favoriscono la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile dagli impianti che altrimenti non avrebbero le condizioni economiche per continuare a produrre energia “verde”. I certificati RECS sono distinti dall’erogazione fisica dell’elettricità e la loro emissione consente la commercializzazione
dei certificati stessi anche separatamente dall’energia elettrica cui fanno riferimento. Mediante il loro consumo, l’acquirente finanzia l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili testimoniando, pertanto, il suo impegno a favore dell’ambiente. Per info: n. verde 800.046.318 oppure www.multiutility.it
L’IMPEGNO DI AK CON MULTIUTILITY 24,47 t di CO2 in meno nell’atmosfera 8.750 Kg in meno di petrolio utilizzati
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AK
ADLIGE KLEIN n°5 del 27 MAGGIO 2011 Direttore Responsabile: Luca Di Pierro Coordinamento e segreteria di redazione: Martina Moretti redazione@akappa.it Progetto creativo e realizzazione: Roberto Uboldi Zero Atelier di progetto e comunicazione
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Hanno collaborato: Simone Angioni, Gin Angri, Agostino Arioli, Arianna Augustoni, Annalisa Dominoni, Vanessa Ferrandi, Mauro Fogliaresi, Federico Frigerio, Alberto Giani, Nicola Gini, Filippo Parmigiani, Michele Primi, Andrea Sabbadin. Fotografie: Dan Anders, Getty Images, Gin Angri In copertina: Ritratto di Dan Anders Traduzioni Wall Street Institute Via Carcano, 4 - 22100 Como
il DAZIBAO
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Per la pubblicità: Zero Comunicazione via Repubblica, 3 22077 Olgiate Comasco +39 031 99 00 78 – commerciale@dilloconzero.com Publisher: Zero Editoria via Repubblica, 3 22077 Olgiate Comasco +39 031 99 00 78 – info@akappa.it Stampa: Tecnografica s.r.l. Distribuzione: Zerovie Posta Pubblicitaria www.zerovie.com Autorizzazione Tribunale di Como del 27/10/2009 www.akappa.it Alcuni giornalisti e collaboratori scrivono e operano in forma gratuita sulla rivista. Tutti i diritti riservati. I punti di vista espressi non sono necessariamente quelli dell’editore. L’editore non si assume responsabilità per errori ed omissioni relativi alla pubblicità o agli editoriali. Nessuna parte della pubblicazione può essere riprodotta salvo consenso esplicito da parte dell’editore.
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Editoriale Col berretto a sonagli della follia. Decidiamo di aprire questo numero di AK come sempre ricolmo di Arte, Design, Architettura e stili di vita più sostenibili, scrivendo un reportage con l’obiettivo di raccontare la malattia psichica, il disagio di donne e uomini “straordinari”, ma anche di una società che riesce troppo poco spesso a non aver paura e sempre meno a gettare la maschera in cui si costringe. Cercheremo di analizzare almeno in parte le ipocrisie in cui viviamo quotidianamente, tentando di smascherare atteggiamenti e comportamenti che hanno caratterizzato e continuano tuttora a permeare la nostra vita. Siamo partiti dal presupposto che in un certo senso anche la follia è una maschera, perchè tutti nella vita ne portiamo una che ci nasconde il volto. In un mondo di doppi fronti, di immagini ingannevoli e di aspetti riflessi, la Follia risulta essere la Verità nella vita, nella società in cui tutti o quasi abbiamo saputo recuperare o per meglio dire arraffare un ruolo che ci consentisse di appartenere al normale, allontanando quanto più possibile quell’immagine di diverso e folle che romperebbe l’equilibrio di normalità in cui ci illudiamo di trovare e rifondare la verità. Ma in realtà la follia non si può né allontanare nè discernere da ciò che è normale; senza follia cosa sarebbe la vita? La verità è follia e la follia è nella vita come elemento essenziale dell’Uomo. La ricerca del volto autentico sotto la maschera comincia da qui, dagli intenti di dividere anziché di unire, dal lavoro quotidiano di emarginazione a dispetto di una più normale integrazione, dal vuoto che pervade i valori e i comportamenti dei “grandi” e troppo spesso anche degli uomini, nella società in cui da troppo tempo ci accontentiamo di sopravvivere. “ Eppure, guardando dentro questo ridicolissimo Sileno, tu avresti senza dubbio scoperto un essere più divino che umano: un grande animo, altissimo, filosofico nel vero senso della parola […] Non a torto dunque, in un’età in cui ogni angolo pullulava di sapienti, proprio questo buffone, e lui solo, fu proclamato sapiente dall’oracolo divino: chi nulla sapeva fu giudicato più sapiente di chi si vantava di nulla ignorare.” Erasmo da Rotterdam, Adagia, sileni Alcibiadis
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inchiesta
la follia e la sua storia di Federico Frigerio
La follia nel corso dei secoli. Il ruolo dei malati e l’emarginazione sociale. Sopra “L’alienata con la monomania del gioco” di Gericault La verità è sempre figlia del proprio tempo. Ogni secolo racconta la sua storia, decide cosa è giusto e che cosa sbagliato, elegge le proprie virtù e condanna ciò che è considerato vizio, stabilisce il confine tra chi è normale e chi è “folle”, “matto”. Ma chi è il folle? Il termine viene dal latino follis, indica una borsa piena d’aria, in senso figurato è utilizzato per definire una persona che ha la testa vuota, oppure invasa da pensieri non veri, irrealizzabili, “inutili”. C’è qualcosa che non funziona in lui – un motore che gira a vuoto è “in folle”. Che ruolo ha avuto la malattia mentale nel corso della storia umana? Come si è relazionata la società con i matti? Che spazio è stato loro riservato? Per ovvie ragioni di spazio troverete qui solo brevi accenni, frammenti delle “verità” di tre secoli, tre mondi diversi, tre istantanee sull’universo della follia. Trecento, Seicento, Novecento. Il secolo della peste, quello del cogitum cartesiano e infine quello della rivoluzione sessantottina. Doveva essere solo la sua tesi di dottorato. Nel 1961 Michel Foucault scrive “Storia della follia nell’età classica”. Sparita la lebbra, cancellato o quasi il lebbroso dalle memorie, resteranno queste strutture. All’epoca, gli esclusi per eccellenza, i malati di lebbra, vengono isolati, esclusi dalla comunità e dalla vita sociale. La 10 inchiesta
medesima sorte toccherà, dopo che la Morte nera abbandona l’Europa, a chi ha contratto malattie veneree, per il momento i matti sono “salvi”. Al contrario, la follia sembra essere una cifra specifica della cultura medievale prima e rinascimentale poi. Il matto è il custode di un’altra verità, non quella razionale che gli uomini costruiscono con fatica e per approssimazione, i folli comprendono qualcosa di inaccessibile e terribile. Si dice che alcuni di loro siano addirittura in grado di comunicare con Dio (come la pazza Giovanna d’Arco). Il retaggio di questa visione del mondo è greco, Platone nel Fedro affermava che la “follia è tanto superiore alla sapienza in quanto la prima viene dagli dei, la seconda dagli uomini”. Gli stessi sapienti dell’epoca sono spesso considerati dei folli, pur di raggiungere la verità fanno ricorso a una serie di discipline occulte come cabala, stregoneria, alchimia. Ma questi veri e propri elogi della follia non possono oscurare le oggettive difficoltà della realtà del tempo: spesso queste persone sono cacciate fuori dalle mura cittadine, vagano per le campagne o sono “affidati” a marinai e battellieri. Sulla stultifera navis, la nave dei folli, il matto si trova a essere “prigioniero in mezzo alla più libera, alla più aperta delle strade”: in un’epoca sconvolta
“Estrazione della Pietra della Follia”, di Bosch. Nel passato i “matti” erano lontani da Dio, soggetti classici per purghe e salassi. dalla peste, dalla crescente corruzione (politica ed ecclesiastica) di queste strutture si troveranno, uno accanto all’altro, poveri, die spesso dalla pura e semplice legge del più forte il folle incarna soccupati, corrigendi, insensati. La follia si accompagna dunque l’inquietudine dell’umanità stessa, l’irrazionalità della vita umana: alla miseria, alla non abilità al lavoro e alla difficoltà di una vita in viaggio verso chissà dove, forse sa tutto, forse niente. in comune. Un registro dei frati di Saint-Jean de Dieu elenca Poi le cose cambiano. La “colpa” è di Cartesio e del razionalismo le “categorie” presenti all’interno della struttura di internamento eretto a unico criterio di verità ed efficiendi Bicêtre: dissoluto, imbecille, prodigo, za. Di una sola cosa infatti il filosofo non infermo, cervello alterato, figliol ingrato, Cartesio cambia arriverà a dubitare, che la follia sia l’esatto padre dissipatore, prostituta, insensato, la visione della follia opposto del pensiero: Se penso non sono furiosi, lunatici. Non si tratta ancora di con il razionalismo: folle, ergo Se sono folle non penso. Non c’è istituzioni mediche, ma piuttosto di vere se penso non sono folle, più spazio per la “ragionevole sragione” mee proprie entità amministrative, dotate ergo se sono folle non penso. dievale, per il sapere altro: il cogito è l’unico di un’autonomia semi-giuridica. È nei possibile strumento per raggiungere la veperiodi di crisi (economica e sociale) che rità. Questa l’ideologia dell’epoca, la realtà attraversano tutto il Seicento che questi del tempo non può che manifestarla. Non più barca ma ospedale. edifici si mostrano per quello che sono veramente, un grande Ha inizio l’internamento, i sovrani (stanno nascendo quelli che contenitore di tutto il marcio della società. In tempi relativachiamiamo stati moderni) si assumono il compito di “ripulire” la mente più tranquilli le strutture si svuotano, gli internati sono società, di isolare tutte quelle figure che possono essere fonte di pur sempre manodopera a basso costo. Gli ex lebbrosari non disordine. Le spedirebbero volentieri nelle Indie appena scoperte, servono solo a rinchiudere ma anche a correggere. Gli “ospiti” ma non è così semplice, più comodi gli ex lebbrosari. All’interno sono sottoposti a pratiche di purificazione (salassi, purghe, AK Adlige Klein 11
la follia e la sua storia
frizioni al mercurio), la follia è un vero e proprio peccato, per guarire è necessario un risanamento etico e spirituale. Medicina e morale diventano complici: si tratta di rimettere questi individui in pace con Dio e rimandarli tra gli uomini. Tredici anni da assistente all’università gli erano valsi il soprannome di filosofo. Appena entrato, le urla e l’odore del manicomio gli ricordano la prigione dove ha passato sei mesi per attività antifasciste. Ora si trova dalla parte opposta, non più vittima ma carceriere. È il 1961 e Franco Basaglia ha appena vinto il concorso per il posto di direttore dell’ospedale psichiatrico di Gorizia. “Mi sono accorto che tutto quello che mi avevano insegnato non era vero”. Decide di rivolgersi alle persone ancor prima che ai pazienti, dice basta alle pratiche disumane di contenimento, ai bagni freddi, alle camicie di forza e ai trattamenti con l’elettroshock. Si tratta di entrare in contatto non con la follia, ma con delle persone che la follia ci nasconde: organizza assemblee di reparto per dare voce ai “matti”, chiede continuamente il loro parere. Si richiama al rivoluzionario Philippe Pinel che nel 1793, in pieno regime del Terrore, aveva reclamato la libertà per i folli e li aveva liberati dalle catene. Si trattava però di un’emancipazione controllata, che rimaneva nelle mani del legislatore e del medico e comunque all’interno di una struttura d’internamento. Durante un’altra rivoluzione, quella del Sessantotto, viene pubblicata L’istituzione 12 inchiesta
negata, vero e proprio testo di denuncia: è necessario abolire il manicomio, ambiente che si è sempre dato per scontato e che è stato creduto l’unica soluzione possibile. Ma ora, dopo che tutti hanno potuto vedere che l’esperimento di Gorizia funziona, la pietra è stata lanciata: il manicomio non si può riformare, si può solo distruggere. Basaglia è accusato da più parti di non avere metodo, di improvvisare, e alle critiche teoriche si sommano anche le delicate implicazioni penali che si trova ad affrontare. Sempre nel ‘68 un paziente del suo ospedale, durante un’uscita di permesso, uccide la moglie a colpi di scure. Le parole di Franca Ongaro, moglie dello psichiatra, pronunciate sei mesi prima del triste fatto e in un tutt’altro contesto, offrono però un inatteso punto di vista: “Ma può reagire diversamente una persona che è stata allontanata da tutti, un uomo che la società considera di troppo?” Nel 1974 nascono a Trieste i primi due Centri di salute mentale, Barcola e Auresina: è solo in altri e nuovi luoghi che si può dare possibilità di terapia, questa non può avere inizio se non c’è libertà. Le strutture triestine sono la dimostrazione concreta dell’utopia della realtà, un altro approccio alla malattia mentale è possibile: si tratta però solo di esperimenti, manca ancora una direttiva nazionale, una legge. Bisognerà attendere il maggio del 1978, la famosa 180: solo allora il manicomio diventerà un luogo, come gli ex lebbrosari, da destinare ad altri usi, un contenitore sì, ma solo di ricordi.
“Manicomio” di Manzi Un dipinto eloquente della situazione degli internati prima di Basaglia
e dopo basaglia? Una volta votata la legge, si levano subito molte critiche, si obietta soprattutto che è stata approvata una direttiva senza che fossero già pronte e operative delle strutture. Nello specifico si demanda alle regioni l’istituzione di un Dipartimento di salute mentale (DSM), ma non vengono stabiliti modi e tempi specifici per l’attuazione, e nemmeno provvedimenti o sanzioni per la mancata realizzazione. Due successivi DPR (nel 1994 e nel 1998), “Progetto Obiettivo - Tutela della salute mentale”, impongono come prioritaria l’istituzione di un DSM in tutte le aziende sanitarie locali. Le strutture costitutive del DSM (211 su tutto il territorio nazionale) sono quattro: il centro di salute mentale, il servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC); il day hospital e il centro diurno. I primi (707 in tutt’Italia) forniscono assistenza territoriale e domiciliare, sono il luogo dove vengono elaborate specifiche strategie di intervento terapeutico e sono somministrati numerosi servizi di prevenzione, cura e riabilitazione. Per provvedere all’assistenza in regime di ricovero (in forma volontaria o obbligatoria), si ricorre soprattutto al Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC), collo-
cato generalmente all’interno di ospedali. Sono presenti inoltre strutture di day hospital ospedalieri o territoriali. Si può inoltre usufruire di questo tipo di servizi anche in cliniche psichiatriche universitarie o private. Per attuare interventi socio-riabilitativi in regime semiresidenziale si fa prevalentemente affidamento a centri diurni (88,4%), ai centri di salute mentale (6,9%) o a strutture residenziali (4,7%). Infine ci sono le strutture propriamente residenziali, comunità terapeutiche con un massimo di 20 posti letto a bassa, media e alta protezione sanitaria per interventi riabilitativi di medio e lungo periodo. Si tratta perlopiù di strutture residenziali a gestione pubblica (58,8%), private (24,8%) o private convenzionate a gestione tecnica del DSM (16,4%). AK Adlige Klein 13
inchiesta
per un futuro normale Alla scoperta del reintegro sociale grazie alla Cooperativa Orizzonti
Nelle foto di queste pagine alcune delle persone aiutate dalla Cooperativa Orizzonti ad avere un lavoro, ritratti come candidati politici
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A febbraio, nelle strade e nelle piazze del canturino sono comparsi degli strani manifesti, simili a quelli elettorali, sui quali spiccavano le foto in posa di quattro “candidati”, uno slogan “Per un futuro normale” e un simbolo, non identificato, da barrare: sulla scheda era quello della Cooperativa sociale Orizzonti. “Un po’ in anticipo…” avranno pensato i canturini visto che alle elezioni mancano più di 2 anni e che “Orizzonti” non è un partito politico ma una cooperativa sociale nata a Cantù 15 anni fa, che si occupa di reinserimento lavorativo di persone che soffrono di disagio psichico. “Abbiamo voluto creare un equivoco, per far vedere che il confine fra normale e anormale è molto sottile e relativo” ci spiega Riccardo Tagliabue, presidente della Cooperativa, e spiega: “attraverso il linguaggio fotografico, considerato a torto o a ragione uno dei più realistici, obiettivi e veritieri, abbiamo cercato un cortocircuito. Ci siamo vestiti come i politici, abbiamo
sorriso come i politici, abbiamo assunto le loro espressioni e, come loro, ci siamo messi in posa. Qualunque politico, infatti, è, o comunque vuole mostrarsi, come l’icona della normalità, come colui che può rappresentare tutti. Una società di normali elegge un capo perfettamente normale. Tutti i nostri candidati sono perfettamente votabili. Dalle immagini non si distingue facilmente chi è normale da chi è considerato anormale, non ci sono certezze.” Ed è proprio questa mancanza di certezze, in questo mondo che è cambiato e cambia nel profondo con straordinaria rapidità, che ha spinto Orizzonti ad interrogarsi dopo 15 anni sul senso del suo lavoro. E’ stato avviato un percorso fatto di tante cose: riflessione, comunicazione con la città, convivialità che sta coinvolgendo vecchi e giovani amici della cooperativa. Orizzonti coinvolge gli utenti in lavori di imbiancatura, sgombero, verniciatura, trasporto conto terzi, restauro mobili, pulizie civili e di canne fumarie e tutto questo fa
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La fotografia è solo il punto di partenza per poi sondare lo spirito, l’anima interiore. Se il ritratto non è fedele, lo sono invece le sensazioni, le emozioni che dall’immagine in digitale riesce a cogliere.
cendo affidamento al passa parola e alla fiducia dei privati. Pochissime sono le commesse da parte di enti o comuni che non capiscono in generale come le cooperative possano essere davvero un aiuto concreto per alleggerire i costi di gestione legati al malato psichico che pesa spesso all’interno di strutture ospedaliere, quando invece potrebbe essere affidato a centri dove viene coinvolto attivamente e avviato ad un percorso di guarigione che presuppone il recupero della persona come essere sociale attivo, in grado di spendersi nuovamente all’interno della società. In questo modo si attiverebbe un meccanismo dove i comuni portano gli utenti alle cooperative, ma tramite convenzioni di lavoro garantirebbero anche l’entrata costante per pagare gli stipendi e contribuire al mantenimento delle strutture. Orizzonti è una cooperativa di tipo B, quindi senza accreditamento ASL, che lavora a stretto contatto con il CSP, centro psico-sociale dell’ospedale di Cantù, e il SIL, il servizio per il lavoro che il Comune di Cantù mette a disposizione. L’ospedale segnala i pazienti al SIL che possono tentare un reintegro sociale, il SIL contatta la Cooperativa e, dopo uno screening iniziale per capire quali mansioni l’utente potrebbe svolgere, inizia il percorso di rieducazione, con precisi obiettivi e secondo le modalità decise in accordo con SIL e medico curante. La mission non è quindi l’assunzione di per sé, ma l’inserimento lavorativo per valutare un successivo passaggio in una realtà esterna dove la persona arriva avendo riac-
quistato dignità e caratteristiche personali. Il follow up non è sempre positivo, c’è chi ce la fa, ma c’è anche chi ricade nella malattia e non riesce a trovare lavoro all’esterno. Ogni giorno ci si misura con piccole conquiste, come possono essere l’apertura al dialogo da parte delle persone che passano anche mesi senza parlare e senza rapportarsi con gli altri, e le sconfitte o comunque la sensazione di impotenza davanti a casi che non danno speranza di miglioramento e guarigione. E poi a tutto questo si sommano le difficoltà derivanti dalla gestione di quella che comunque si profila come piccola impresa, che risente quindi del periodo di crisi e che deve procacciarsi il lavoro per mantenersi. Per l’operatore e i volontari è necessario saper mantenere il giusto equilibrio, lavorando sul qui ed ora, ricordandosi sempre come il confine tra normalità e malattia sia davvero sottile; capita allora a volte di sentirsi troppo colleghi e di perdere di vista il disagio. Ma tutto questo è funzionale agli obiettivi della cooperativa: favorire attraverso il lavoro un reinserimento sociale di ragazzi, è un modo di dire perché qualcuno ha già la sua bella età, che hanno qualche problema con la loro mente. Tramite la campagna “Per un futuro normale” ognuno si affaccia dalla medesima finestra sui muri della città. Ogni sguardo comunica la sua realtà. Ma qual è il candidato più credibile? Chi è il più affidabile? La risposta, forse, dipende proprio dagli occhi di chi guarda. •
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inchiesta / intervista all’autore
AUSMERZEN Parliamo con Mario Paolini, l’autore, di uno spettacolo che ci fa scoprire che purtroppo la soluzione finale non riguardava solamente il popolo ebreo
Nelle foto di queste pagine alcuni ritratti di Marco Paolini durante lo spettacolo Ausmerzen. Foto di questa pagina, ph. Calimero. Foto nelle altre pagine ph. Angelo Redaelli
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Sig. Paolini abbiamo avuto modo di vedere lo spettacolo “Ausmerzen” di suo fratello Marco andato in onda lo scorso 26 gennaio su La7, lei figura tra gli autori: che tipo di viaggio è stato questo? Cosa le ha lasciato? Ausmerzen più che un viaggio pianificato a tavolino assomiglia a un percorso, all’inizio veloce e pieno di certezze e poi sempre più lento e accompagnato da dubbi. Jolefilm aveva iniziato a occuparsi della vicenda dello sterminio dei disabili e dei malati di mente sotto il nazismo nel 2006; oggi la vicenda di T4 è più conosciuta di quanto non lo fosse solo pochi anni fa, dunque si doveva decidere come raccontare cosa accadde con uno sguardo alle vittime. Anche per questo il racconto messo in scena da Marco Paolini è stato scritto a più mani e, oltre agli autori, sono tante le persone che
hanno permesso di arrivare a quella sera: “addetti ai lavori”, persone che lavorano nell’ambito delle disabilità e dei disturbi mentali, “storici” che hanno permesso di arrivare ad un testo molto asciutto e nello stesso tempo fondato su fatti. C’è stato il pubblico dei reading che hanno preceduto la diretta, uomini e donne che con le loro reazioni e i loro pensieri hanno contribuito a trovare un cammino per raccontare. Marco è stato assolutamente straordinario quella sera; in teatro a mezzogiorno l’ho visto che tracciava con il carboncino delle scritte sui muri. Sembrava un animale che marca il territorio, stava facendo suo lo spazio; quella sera, la regia, le luci, l’audio, la cura di ogni dettaglio, tutti hanno suonato come un’orchestra: ed erano lì da tre giorni. Anche Naomi Brenner, in scena
Ausmerzen ci aiuta a riflettere maggiormente sul silenzio che c’è stato per moltissimi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale sulla vicenda dello sterminio dei malati psichici.
con Marco Paolini in Ausmerzen, è stata preziosa, sempre. Una presenza silenziosa, solo apparentemente fragile, ma di una straordinaria forza e carattere. Cosa resta? Credo tante sensazioni difficilmente esprimibili, e così è stato per molti che erano lì o che hanno visto la diretta quella sera; le mie sono poco importanti, quelle di tutti lo sono di più, purché trovino il modo di incontrarsi. Si pensa spesso agli anni della seconda guerra mondiale in relazione alla Shoa ebraica, lasciando sullo sfondo le storie di altri stermini come quello dei malati psichici: che idea si è fatto rispetto alle modalità e alle ragioni con cui e per cui è stato compiuto? Le ragioni del perché lo sterminio dei disabili e dei malati psichici viene prima di altri è abbastanza evidente e nel racconto di Marco Paolini la tesi sostenuta è quella più inquietante e forse attuale: piccoli pensieri che giorno dopo giorno diventano accettati e poi normali. Il senso sta nella frase pronunciata da Marco nel racconto “…non è il nazismo che crea questo clima, è in questo clima che nasce il nazismo…”. Forse però dovremmo soffermarci a riflettere maggiormente sul silenzio che c’è stato per moltissimi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale su questa vicenda. Al di là degli interessi di chi ha avuto modo di passare indenne nel tempo e della classe medica che continua ad autoassolversi con rare eccezioni, c’è una questione che riguarda tutti noi: chi erano le vittime? Disabili, pazzi, relitti. Gente che nemmeno prima aveva diritto a una identità e poiché per avere una identità bisogna avere una storia, negare questa storia è funzionale
Non dobbiamo illuderci: la crisi economica può diventare l’alibi per buttare al cesso tutta una serie di traguardi di civismo conquistati negli anni grazie al movimento di pensiero che ha costruito la cultura dell’integrazione e dell’inclusione.
a continuare a negare a questi uomini e donne la possibilità di essere, di avere un pensiero che li ritenga cittadini, in quel caso, vittime. Gente minore, storia minore. Storia che porta a dei limiti scomodi e che porta a riflessioni di attualità che lascio a chi ha visto il lavoro. Ogni sera che il racconto era stato presentato a un pubblico la discussione che ne seguiva ha fatto emergere temi di assoluta attualità, senza alibi, senza soluzioni comode. Nietzsche parlava della storia come di un “eterno ritorno del tempo”, che muta ma allo steso tempo mantiene uguali certi pensieri e comportamenti: pensa che ai giorni nostri si possa ancora verificare un ritorno del tempo in relazione ai fatti della seconda guerra mondiale? Pochi anni fa, nel paese delle vacanze di AK Adlige Klein 19
MARCO PAOLINI In questa storia ci ha colpito profondamente la penetrazione (non coercitiva, se non in senso propagandistico) che quelle idee hanno avuto nella “brava gente”. L’atmosfera, il sentire generale ha spinto le teorie eugenetiche, ha reso accettabile ogni azione destinata a quel fine. “Ausmerzen” nasce da un interrogativo sul perché quella “brava gente” abbia accettato pacatamente che i deboli, i difettati, i matti fossero accompagnati all’eutanasia perché le loro vite erano “indegne di essere vissute”. E alla fine mi sembra di non aver fornito una risposta unica; l’interrogativo che mi pongo non è tanto “come è stato possibile” quanto “ è ancora possibile?” Ma non siamo in fondo tutti bravi cittadini? È proprio su questa domanda che si gioca il senso del lavoro costruito assieme a mio fratello Mario, a Michela Signori e allo storico Giovanni De Martis. A tutte le persone che mi hanno avvicinato dopo le prove e dopo la diretta nasce una domanda dentro, una questione urgente: cosa avrei fatto io. Viene facile pensare che no, non avremmo fatto come tutti gli altri, non saremmo stati in silenzio. Ma non è tutto così facile, bisogna anche imparare a lottare.
Stiamo affrontando la realtà con il telecomando in mano pronti a cambiare canale, e ci convinciamo che la vita possa essere così.
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tanti italiani, la “ex Yugoslavia”, questi fatti si sono già ripresentati. Stiamo affrontando la realtà con il telecomando in mano pronti a cambiare canale, e ci convinciamo che la vita possa essere così. Karadzich era uno psichiatra, questa inquietante circostanza è stata oggetto di studio dalla psichiatra democratica, ma chi parla oggi di Srebrenica? Possiamo tranquillamente abbassare lo sguardo al nostro paese; la crisi economica può diventare l’alibi per buttare al cesso tutta una serie di traguardi di civismo conquistati negli anni grazie al movimento di pensiero che ha costruito la cultura dell’integrazione e dell’inclusione. Oggi accettiamo che si chiuda un asilo perché non ci sono i soldi piuttosto che impegnarci tutti nell’eliminazione dell’evasione fiscale. Lei cita Nietzsche, la filosofia dovrebbe essere
più “normalmente” parte della formazione di ciascuno, perché la cultura e la conoscenza sono il primo antidoto naturale alla subcultura dell’abuso e della caccia al diverso. L’essere umano può determinarsi, quindi è possibile che le storie si ripetano ma credo ci sia ampio spazio all’agire e personalmente mi auguro si tratti di un agire adulto, capace di recuperare un senso di realtà. Anni fa Alex Langer aveva detto che la cultura ecologista doveva diventare desiderata per potersi affermare, è lo stesso con tutto il resto di cose di cui stiamo parlando. D’altra parte lo aveva già detto un prete tanti anni fa: “l’obbedienza non è più una virtù” (don Milani).
da vicino nessuno è normale Abbiamo rivolto alcune domande al dott. Thomas Emmenegger, psichiatra dell’ex ospedale Paolo Pini di Milano.
Dott. Emmenegger concorda con l’idea della linea sottile che divide normalità e pazzia i cui confini sono spesso labili? Chi è in tal senso il “matto”? Il nostro festival di teatro, che si svolge da 15 anni all’ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini a Milano, si intitola “Da vicino nessuno è normale”. Questo titolo viene da una canzone di Gaetano Veloso (Vacca Profana) che racconta di una donna che abita nei bidonville di Rio e che ogni sera si reca nei quartieri di alta borghesia per prostituirsi. La mattina al rientro a casa si dice che visto da vicino nessuno è normale. Basaglia sosteneva che la follia fa parte della condizione umana e che quindi non si tratta di dividere, ma di vivere. A distanza di 30 anni dalla legge Basaglia che bilancio traccia dell’Italia rispetto alla malattia psichica? Cosa è davvero cambiato e cosa invece ancora è necessario fare? Il bilancio non si trae della malattia psichica, ma del malato psichico. In questi posti dove si è capito che il processo della de-istituzionalizzazione (il superamento del manicomio e la realizzazione di servizi alternativi) è un processo permanente, che riguarda anche i servizi del territorio, sono stati raggiunti risultati positivi come per esempio a Trieste. Lì invece dove si è smesso di cercare di accogliere la singolarità e la dignità di ogni persona e ci si è accontentati con quel poco che c’è, in que-
sti casi non di rado si sono instaurate di nuovo dinamiche manicomiali. Lei segue da vicino l’associazione Olinda, ce ne vuole parlare brevemente tracciandone la filosofia che c’è alla base? Ci piace l’idea che il confine tra realtà e finzione sia penetrabile, che le fantasie e i desideri possano diventare materiali e che le materie e pratiche di lavoro diventino occasione per sognare, che una persona in difficoltà possa diventare protagonista della propria vita; quando supera i confini, cambia il quotidiano, naviga in acque non ancora esplorate, ricostruisce l’identità. Per questo c’è bisogno di un progetto collettivo – un’impresa sociale, Olinda appunto, un aggregato di diverse organizzazioni noprofit. Costruiamo opportunità per lavorare, abitare e stare con gli altri. Qual è la difficoltà maggiore che incontra avendo a che fare con pazienti affetti da disagio e/o malattia mentale? Che bisogna ascoltare e costruire una relazione tra persone. Per questo ci vuole competenza, ma anche una capacità organizzativa per accogliere. Questo è il punto di partenza. Nello stesso tempo ogni persona ha bisogno di un proprio futuro: casa, lavoro, compagnia – questo va costruito.
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Set improvvisato all’ex San Martino di Como. Ph Gin Angri
la cura della scrittura L’associazione Oltre il Giardino e la rivoluzione della “giornaleterapia”. di Mauro Fogliaresi Chiamala Giornaleterapia e sarà una piccola rivoluzione: L’idea che il bello faccia notizia è gia notizia in sé. Quantomeno è una sfida cercare in senso propositivo il” bello” in luoghi “scomodi” quando è il brutto – terrore!- a fare un po’ notizia ovunque. Trarre da un punto di fragilità, un punto di forza. Giornaleterapia ? Mio Dio che sarà ? In un Centro Diurno assegnato al Disagio mentale fanno esilio un poeta, un fotografo e un grafico, per un certo mondo, inadeguati. Sommano disagio loro a disagio degli utenti, si liberano da pesantezze, e insieme alleggeriti s’inventano una rivista ariosa: “Oltre il giardino”. Lo slogan: “cogliere il profumo delle rose dalla parte pungente delle spine” , il linguaggio poetico per certi versi è spiazzante evita il politicamente corretto e il ricorso a 22 inchiesta
troppi bla bla da luoghi comuni. Giornalisti in carriera i nostri neo redattori ? Mai! Parole e pensieri spesso sono le medesime che rimbalzano da un televisore al rotocalco al bar e fanno di un’unica omologazione di linguaggio ed idee, l’opinione pubblica.. e no.. i nostri redattori a confronto scoprono di avere una stravagante edicola nel cuore, chi di una vita in un ex manicomio ha fatto la sua “Treccani”, a chi, un ricovero in reparto psichiatria, ha aperto lo sguardo più di un grandangolo, chi ha riscoperto la sua creatività molto lontana da una tavola di Rorschah e così, senza ansia da prestazione, dimenticando le gite punitive dietro la lavagna o la versione in prosa del 5 maggio eccoci... Ma cosa significa per i nostri collaboratori giocarsi la creatività nel “fare un giornale”? Per Marco W, che dopo lunghe riunioni di
Un interno. Ph Gin Angri
redazione silenziose sta riscoprendo- sorprendendoci - nuovi entusiasmi e interessi: “Per me venire in redazione è dare la voce a gente che non può parlare.. “ Prasiddha giovanissimo, mistico, corrispondente dal Nepal : “Oltre il giardino” è trovare spazio ai propri interessi, in un contesto sereno e mai oppressivo. Per Mario fotoreporter tuttofare, cittadino con profondo senso civico (che tutte le associazioni ce lo invidiano): Venire in redazione mi fa sentire a mio agio e risollevato da tutte le responsabilità che mi pesano quando vado a sentire il consiglio Comunale e m’incavolo perchè chiacchierano chiaccherano e non asfaltano nemmeno le buche in strada… Rosanna è un tipo tosto, intellettuale impegnata, legge due quotidiani al giorno, in redazione si fa sentire per i suoi impegni sull’ambiente, l’alimentazione e la politica. Dichiara sorridendo: “Mi piace la partecipazione al giornale e l’impegno che scandisce le mie giornate. Spero che nel tempo si riesca a far emergere questo: l’ autonomia economica e di pensiero e da donna l’autodeterminazione nei confronti del maschio. Per Demir, un nostro giovane redattore, attualmente ospite di una comunità dell’alto lago, venire in redazione è un sacrificio che non gli pesa. Dice: “Scrivere è una catarsi… come un fiume in piena che dà voce alle tue
ambizioni, emozioni e stati d’animo. Per me vuol dire vincere lo stigma e i pregiudizi…” Cristina è una poetessa, scrive liriche e favole, per lei venire in redazione è esorcizzare tristezze e malinconie e far uscire la parte più artistica di sé. Per la graziosa Barbara passare in redazione è ritrovare un po’ di serenità dopo un periodo critico: “Il giornale per me è un punto di ritrovo per ricomporre le mie idee e confrontarmi, condividere le proprie opinioni con il gruppo…” Anche Elena, Monica, Andrea e gli altri collaboratori della redazioni condividono con parole simili, un medesimo entusiasmo per il Periodico poetico. Ma questa “giornaleterapia” è la sorpresa di una vita meno ripetitiva, che uno riscopre meno monotona nel coltivare una passione. E’ una precarietà non fantasmatica ma molto vicina a come la terra possa stare sospesa nell’universo senza cadere. Nella caducità del vivere che intensità del vivere…È il colore delle sconfitte che non sempre è nero china, è sentirsi cittadino nella propria città riscoprendosi con medesimi diritti di altri “più normali”… è la creatività che ognuno ha dentro di sé come terra fertile/humus ricchissimo che già profuma di rose prima ancora che sboccino.. è la leggerezza di una farfalla senza volario…è il sorriso della luna che vi aspetta oltre il giardino. AK Adlige Klein 23
Visione d’insieme dell’ex San Martino di Como. Ph Gin Angri
OLTRE IL GIARDINO di Mauro Fogliaresi e Gin Angri Dieci anni prima chiude il manicomio provinciale di Como. Io e Gin Angri avevamo seguito con una serie di originali iniziative, creando laboratori molto fantasiosi di fotografia, poesia, pittura, etc..- il difficile passaggio che prevedeva la dismissione degli ultimi abitanti/ospiti dell’area ex OPP. Inizia l’anno duemila e anche gli ultimissimi degenti dell’ex manicomio vengono ospitati nelle comunità sul territorio e il nostro lavoro è di seguirli testimoniando l’impatto umano e culturale con le nuove realtà. Da qui nascono una serie di iniziative che convergono nelle attività del Nep: “Nessuno è perfetto”: associazione culturale di utenti, volontari, educatori e addetti ai lavori, che opera nell’ambito della sofferenza psichica, con un bacino privilegiato di iscritti che gravitano attorno all’attività del Centro Diurno di Como. Ed è proprio dall’anima del Nep che nasce l’idea di un giornale che promuova una nuova idea di benessere, dello star bene... così come riportato nel nostro primo editoriale: “ In un Centro Diurno assegnato al Disagio mentale fanno esilio un poeta , un fotografo e un grafico, per un certo mondo, inadeguati. Sommano disagio loro a disagio degli utenti, si liberano da pesantezze, e insieme alleggeriti s’inventano una rivista 24 inchiesta
ariosa: “Oltre il giardino”. Lo slogan: “ cogliere il profumo delle rose dalla parte pungente delle spine “, il linguaggio poetico per certi versi è spiazzante evita il politicamente corretto e il ricorso a troppi bla bla da luoghi comuni… “ Oltre il giardino/nessuno è perfetto è una sfida poetica in un contesto difficile. In un territorio poco sensibile alla causa dei disagiati fare notizia promuovendo il “bello” il “profondamente umano” è arduo e impegnativo ma noi ci crediamo con l’indomito slogan “Cogliere il profumo delle rose dalla parte pungente delle spine”.
La redazione
M
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l’archivio dei dimenticati Il recupero dell’archivio dell’ex manicomio di Como, grazie al lavoro di Mauro Fogliaresi e del fotografo Gin Agri riporta alla luce un passato da raccontare
Eugenia, ricoverata nel 1915 A destra: foto di una trattenuta
26 reportage
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Il ricoverato Redaelli
28 reportage
Una donna ricoverata nel 1926
30 reportage
La ricoverata Carolina Macchi a 14 anni
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inchiesta
le trappole della rete L’informazione in rete. Verità o leggenda? Ecco come iniziare a districarsi tra i meandri (spesso pericolosi) del web. di Simone Angioni*
*Simone Angioni, autore di questo articolo, è un chimico dell’Università di Pavia, e appartenente al Cicap (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale).
32 inchiesta
LE NOTIZIE NELL’ERA DEL WEB La diffusione di Internet ha portato un notevole cambiamento nella produzione e diffusione d’informazioni. Fino a qualche anno fa le principali fonti di notizie erano indubbiamente libri, quotidiani, televisione e radio. Oggi invece, la rete ha completamente soppiantato i vecchi mezzi d’informazione sostituendoli con quotidiani online, blog, siti e forum. L’enorme vantaggio nell’utilizzare internet per la diffusione delle informazioni è di permettere al cittadino di avere accesso a un’enorme mole di notizie gratuite e libere. La possibilità di commentare
una notizia in spazi dedicati o sul proprio sito rende ogni singola persona parte dell’evento di cui si parla, rafforzando l’illusione che in rete si possa trovare ciò che non è pubblicabile sui media “ufficiali”. Internet permette, senza sforzo e senza avere una vasta raccolta di testi, di condurre ricerche a livelli molto elevati; basti pensare al potenziale di Wikipedia (l’enciclopedia libera creata dagli utenti) o ai documenti riservati pubblicati dal sito WikiLeaks. La semplicità di accesso, la gratuità del servizio, l’estrema libertà e la facilità di ricerca provocano nell’utente medio l’il-
lusione di poter usare la rete per ottenere qualunque notizia, ma questo non è completamente vero; i siti internet sono pieni di notizie non verificate o di opinioni personali spacciate per dati di fatto. Tutto ciò non è valido solamente per blog o siti di piccole dimensioni, ma anche per dei “colossi” culturali come Wikipedia. REVISIONISMO STORIOGRAFICO Se, per esempio, ci interessasse una ricerca sui metodi di sterminio utilizzati dai tedeschi nelle camere a gas durante la Seconda Guerra Mondiale, scopriremmo che Wikipedia italiana fornisce due versioni differenti dello stesso fatto. La prima versione è riportata sotto la voce “acido cianidrico”, principale componente del ZyclonB, dove si sostiene che venisse usato nelle camere a gas contro i pidocchi portatori del tifo. La seconda versione si trova sotto il lemma “ZyclonB” e rivela l’esteso uso di questo potente veleno per eliminare i prigionieri dei campi di sterminio. La prima tesi è tratta da una teoria volta a negare l’uso delle camere a gas nei campi di sterminio; tale teoria trova alcun supporto storico ed è sorprendente che un’enciclopedia possa riportarla come un dato di fatto. La difficoltà nel distinguere informazioni corrette e verificate da quelle false e tendenziose riguarda anche le e-mail che tutti noi riceviamo quotidianamente. Probabilmente a tutti i lettori sarà
capitato di trovare nella propria casella di posta un messaggio il cui testo richiedeva la diffusione dell’avviso ai propri conoscenti. Gran parte di queste catene di Sant’Antonio riportano informazioni create appositamente per far leva sulla sfera emotiva del lettore e, molto spesso, raccontano fatti o eventi completamente inventati. GATTI E BOTTIGLIE Un esempio clamoroso è stato il caso dei gatti in bottiglia: alcuni anni fa circolava via e-mail un avviso nel quale si sosteneva che un giapponese vendesse gatti bonsai cresciuti in bottiglia. La notizia fece così scalpore che numerosi quotidiani cartacei si schierarono, scandalizzati, contro questa pratica disumana. La conduttrice televisiva Licia Colò fece addirittura un esposto alla polizia postale chiedendo la chiusura del sito presunto responsabile di tali atti. Un’occhiata un po’ attenta al sito in oggetto mostrava però degli elementi a dir poco curiosi. Nella pagina dedicata alle domande più frequenti degli acquirenti, si trovavano quesiti assurdi come: “E’ possibile praticare la plasmazione degli animali domestici sugli orsi?” Oppure “Potete infilarmi un gatto bonsai via email?” Il sito si è in seguito rivelato una burla di cattivo gusto che, tuttavia ha provocato un’enorme mobilitazione di persone. Tutto ciò è stato possibile perché l’infor-
In queste pagine alcune foto che raccontano delle “leggende” apparse sulla rete e che hanno avuto largo seguito negli ultimi anni.
AK Adlige Klein 33
LE TRAPPOLE DELLA RETE
mazione trasmessa ha fatto leva sull’emotività e la sensibilità del lettore. UN CIELO AVVELENATO Similmente, ha trovato ampio spazio la suggestiva teoria delle scie chimiche. Secondo questa leggenda metropolitana ci sarebbero milioni di aerei militari non identificati che rilascerebbero nei nostri cieli tonnellate di sostanze tossiche allo scopo di sterminare la popolazione mondiale. La prova sarebbero le scie bianche che quotidianamente solcano i nostri cieli. Chimici, fisici, meteorologi e piloti si sono prodigati nel fornire informazioni corrette sul fenomeno; a nulla è valso spiegare che si tratta di scie di vapore acqueo liberato dai comuni aerei di linea durante la combustione del carburante, tutt’ora i siti che propagandano la teoria delle scie chimiche abbondano. La rete ha consentito una diffusione tale di questa leggenda che solo in Italia sono state presentate oltre 10 interrogazioni parlamentari sui presunti effetti nocivi di questi voli militari non identificati. CONSIGLI DA TENERE A MENTE Internet è quindi uno strumento estremamente utile ed efficace per la diffusione e la ricerca di informazioni, tuttavia è necessario essere cauti. Per evitare di essere raggirati da informazioni false basta fare attenzione a pochi ma fondamentali aspetti: • cercare, quando possibile, di verificare 34 inchiesta
le fonti dell’informazione;
• consultare i siti in lingua originale, so-
litamente in inglese; • verificare di leggere la fonte primaria dell’informazione per non rischiare di cadere nel noto meccanismo del telefono senza fili; • non credere immediatamente a tutto quello che si trova in rete. L’utente in cerca d’informazioni dovrebbe quindi comportarsi come una sorta di investigatore in grado di districarsi fra le migliaia di indirizzi che vengono indicizzati dai motori di ricerca. Chiaramente, per motivi di tempo, questo avviene di rado, perciò informazioni scorrette e non verificate possono diffondersi proprio come avviene con i virus durante le epidemie portando non solo ad inutili allarmismi, ma anche a delle spese di tempo e denaro pubblico.• FONTI:
www.wikipedia.org www.attivissimo.net/antibufala www.animalieanimali.it/gattibonsai.htm www.ding.net/bonsaikitten banchedati.camera.it/ www.cicap.org
LETTURE CONSIGLIATE
P. Toselli e S. Bagnasco, Le nuove leggende metropolitane, Avverbi 2005 S. Colombo, 101 Stronzate a cui abbiamo creduto tutti almeno una volta nella vita, Newton Compton, 2011
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MADE IN EATALY di Martina Moretti Abbiamo parlato con Nicola Farinetti, store manager di eataly, il nuovo supermercato presente in Italia, a New York e Tokyo, per capire da lui come si possa raggiungere la felicità partendo dalle basi: ciò che mangiamo.
Comprare, mangiare, imparare: su questi tre pilastri si basa l’idea di Eataly, per riuscire non solo a soddisfare i propri clienti, ma anche a renderli consumatori consapevoli
Eataly, una nuova idea di supermarket: da cosa nasce l’intuizione e la necessità? Ci racconta come è nata?
lità: quali sono i vostri obiettivi e le vostre speranze?
Partendo dalla considerazione che il cibo migliore garantisce migliore saL’intuizione nasce da una grande paslute e migliore stato d’animo, i nostri sione personale, ma anche da un’attenobiettivi sono mettere insieme un’ofta analisi del mercato: cuore e testa allo ferta di prodotti di alta qualità a prezstesso tempo. La passione personale ci zi equi e formare così una comunità di ha portati ad amare i cibi e le bevande consumatori consapevoli che saranno i di alta qualità come prodotti di consunostri clienti più soddisfatti. Abbiamo mo quotidiano, ma anche come esempi la speranza di creare dei circoli virtuosi del nostro patrimonio enogastronomiche possano crescere nel nome di una co storico e culturale. L’analisi di mermaggiore educazione al gusto e sensicato ci ha fatto scoprire che non esistebilità nei confronti vano aziende che si dell’alimentazione. ponessero l’obiettivo La qualità del cibo è un valore di commercializzaprimario per la salute, perciò Eataly fa molto anche re tali prodotti, non i risparmi vanno perseguiti per le scuole dando come beni di lusin tutte le fasi del processo di un servizio didattico so, ma come diritto acquisizione, preparazione, sicuramente interesdi tutti. Mangiare somministrazione del cibo e sante e nuovo, ce ne bene, prodotti buonon esclusivamente sul costo vuole parlare? ni e sani, dovrebbe dei componenti. essere un diritto di La didattica è uno ognuno di noi, e non dei tre pilastri sui solo di chi gode di un alto potere d’acquali si basa la nostra filosofia (compraquisto. Per dirla in altre parole, alimenre, mangiare, imparare). Il lavoro che tarsi correttamente e con cibi di qualità facciamo con le scuole è rappresentato fa star bene tutti, non solo fisicamente da una gamma di attività gratuite rima anche spiritualmente e crea un senvolte ai bambini che attraverso i nostri so consapevole di benessere. laboratori vivono delle esperienze che rappresentano un’integrazione all’atQual è il cliente tipo che frequenta e scetività svolta dagli insegnanti in classe. glie Eataly in Italia? I nostri laboratori sono una parentesi giocosa e intelligente sul cibo e su tutti Eataly è un luogo pensato per chiunque i valori ad esso connessi attraverso un possa sentirsi a proprio agio, non solo approccio diretto e pratico. Mostrare come consumatore, ma anche come i prodotti, analizzare con i 5 sensi un protagonista di un informale percorso cibo, imparare a leggere un’etichetta ed di avvicinamento e di comprensione i suoi simboli, riconoscere i luoghi di dei cibi e delle bevande di qualità. produzione, sono attività che contribuiscono ad aumentare la consapevolezza Eataly non solo un supermercato di qua38 storie
Eataly NY: Il reparto dedicato alla pasta
di ciò che si mangia, innescando una coscienza alimentare nei consumatori di domani. Quanto è importante la cultura del cibo, quindi capire e non solo acquistare? Questo tema oggi è particolarmente delicato. Un vecchio adagio recita “nessuno ti dà uno scudo (moneta d’argento del valore di cinque lire) per quattro lire e mezza!”, e questo è particolarmente vero per i cibi di qualità che hanno determinate caratteristiche. Se un bene contiene in sé valori che altri beni non hanno, quel bene, in questa economia di mercato, costa di più perché vale di più. Ma non sarebbe né corretto né saggio valutare il costo dell’alimentazione partendo unicamente dal prezzo dei componenti. Serve invece un approccio olistico, cioè una valutazione di tutte le fasi del processo di alimentazione delle famiglie. Si scoprirebbe così che in questo costo complessivo entrano gli sprechi, prodotti acquistati e non con-
sumati, entra il costo delle lavorazioni industriali dei cibi pronti, entra la differenza di prezzo tra le parti pregiate (il filetto del bovino, ad esempio) e le parti meno pregiate (la trippa, ad esempio) ma con uguali, se non migliori, proprietà nutritive; entra il prezzo di prodotti industriali (le brioche, ad esempio) che potrebbero essere sostituite con cibi semplici (pane, burro e zucchero) anche meno dannosi per la salute, per non parlare del costo della frutta o della verdura non di stagione, o del costo di certi imballaggi. Si potrebbe continuare, ma io voglio solo enfatizzare il concetto che la qualità del cibo e la sua salubrità sono valori primari per la salute, perciò i risparmi vanno perseguiti in tutte le fasi del processo di acquisizione, preparazione, somministrazione del cibo e non esclusivamente sul costo dei componenti, spesso a scapito della qualità. Non è facile convincere il consumatore di questi aspetti. Io però insisto: dalla qualità del cibo e dei suoi componenti elementari dipendono il AK Adlige Klein 39
Eataly NY: Ecco come gustare un vero espresso nella Grande Mela
Eataly NY: Grande sfoggio dei nostri salumi e formaggi tipici 40 storie
L’Italia ha tra le proprie risorse chiave quelle relative all’agroalimentare. Di prodotti di alta qualita se ne producono molti: il vero problema è che i consumatori non sono consapevoli e viene così a mancare la domanda.
nostro benessere e la nostra salute. E non è poco. Come riuscire a conciliare i grandi numeri della distribuzione con il rispetto della produzione di piccole aziende agricole? Quali i principali ostacoli? Bisogna essere in grado di “gestire il limite”, ovvero il punto d’equilibrio tra qualità e quantità richieste dal mercato. E’ sbagliato pensare che siano aspetti che devono per forza essere distanti. Noi crediamo nella teoria dei contrasti apparenti: ci sono valori che siamo normalmente abituati a considerare come contrastanti, e invece, se presenti insieme, rafforzano gli uni le caratteristiche degli altri creando identità uniche e memorabili. Per esempio noi cerchiamo di essere “onesti ma furbi”, “ironici ma orgogliosi”, “autorevoli ma informali”. E anche “buoni ma non cari”. Qual è il rapporto con la vostra f iliera di produttori e distributori? Come arriva-
no i prodotti sui banchi di Eataly? I prodotti arrivano attraverso un’attenta ricerca e attraverso la filiera corta. Questo significa soprattutto creare partnership con i fornitori che, stimolati dalle quantità crescenti di vendita, collaborano volentieri alle nostre iniziative di formazione e comunicazione. E poi, con i produttori, cerchiamo sempre di avere rapporti diretti. L’agronomia sostenibile. Può essere un nuovo volano per l’Italia? Certamente. Il vero giacimento del nostro Paese è l’agroalimentare. Tra il 2003 e il 2007, prima dell’apertura di Eataly, abbiamo visitato circa 3.000 aziende e notato che in Italia c’è una gran voglia di produrre cibo di alta qualità. Manca la domanda in realtà. All’ingresso dei nostri punti vendita giganteggia la frase di Wendell Berry “Il primo gesto agricolo lo compie il consumatore: scegliendo ciò che mangia”. AK Adlige Klein 41
La comunità di New York non ci vede ormai solo come pizza, spaghetti e mandolino: negli utlimi vent’anni si è diffusa la vera cultura enogastronomica italiana
Cosa vi ha portato ad aprire due sedi di Eataly all’estero in città come NY e Tokyo? Sono nate da una richiesta locale o vi siete lanciati spontaneamente in questa sfida? L’interesse è nato da una richiesta locale. Abbiamo trovato sia a Tokyo che a New York ottimi partner che hanno condiviso il nostro progetto. Ci è subito piaciuta la possibilità di poter offrire un approvvigionamento quotidiano nel pieno centro di Tokyo come di Manhattan di cibi e bevande di alta qualità in linea con la vera tradizione italiana. A NY come è percepita la cultura enogastronomica italiana? Si riduce come da stereotipo unicamente a pizza e spaghetti? Assolutamente no. New York è cambiata moltissimo negli ultimi 20 anni e ora ci sono ottimi ristoranti italiani, come ad esempio quelli dei nostri partner, Lidia e Joe Bastianich e Mario Batali, che hanno portato la vera qualità italiana a New York attraverso una ristorazione autentica e fatta di materie prime e di esperienza di prim’ordine. Il risultato è che i newyorkesi possono scegliere ristoranti italiani di ottimo livello, e arricchire così la loro conoscenza della vera cultura enogastronomica italiana.
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Quali i vantaggi e le facilitazioni facendo un confronto con l’Italia? New York ci ha aiutato tantissimo nella selezione del personale tramite un progetto sponsorizzato dalla Città stessa che fornisce consulenza gratuita (per la selezione del personale) per le nuove aziende che investono. Per noi è stato un aiuto fondamentale in quanto nella fase iniziale abbiamo assunto quasi 400 dipendenti in un mese, e farlo senza questa consulenza sarebbe stato molto più complesso. Come è strutturata questa nuova sede a NY? Cosa offre e su quale concetto si fonda? Fondamentalmente è strutturata come la prima sede di Eataly, quella di Torino e si fonda sullo stesso concetto: proporre i prodotti italiani di alta qualità. Abbiamo dei ristorantini e il mercato coesi in un unico ambiente. Importiamo tutto il grocery, circa il 60% di ciò che vendiamo, dall’Italia. Abbiamo produzione interna di pane, pasta, mozzarella... Per il fresco ci serviamo di materie prime locali.
Quali le maggiori difficoltà di inserirsi nell’economia statunitense?
Nel nuovo store di NY come potrebbe descrivere il target che si rivolge a Eataly? Si tratta di persone che lo scelgono per acquisti saltuari o al contrario contribuisce a modificare in senso positivo le abitudini alimentari degli americani?
I nostri partner ci hanno aiutato moltissimo e non abbiamo avuto difficoltà scoraggianti. Probabilmente la fase più difficile e’ stata la costruzione del negozio data la diversità delle leggi e del modus operandi... ma alla fine ci siamo riusciti e siamo contenti del risultato!
Cambiare le abitudini alimentari non significa soltanto venire solo più da noi a fare la spesa. Significa piuttosto iniziare a pensare in modo nuovo, più consapevole delle scelte quotidiane. Eataly è una possibilità. In ogni caso dobbiamo tenere presente che il nostro è un negozi di pro-
Eataly NY: Il taglio del salame è sempre un rito
dotti italiani e in più di alta qualità. Non abbiamo la pretesa di vedere clienti che vengano a fare da noi la spesa completa, sempre. Abbiamo però piacere di vedere che ci sono moltissimi clienti che vengono da noi anche tutti i giorni per provare sempre prodotti nuovi. Provano, assaggiano, e poi ritornano per comprare quel prosciutto che... solo da Eataly...! Questo ci rende orgogliosi! Pensate di aprire altre sedi negli Stati Uniti? E in Italia invece? Per quanto riguarda gli Stati Uniti, stiamo a vedere cosa accadrà in futuro. Riceviamo molte visite “interessate”, ma per ora non abbiamo altri progetti. In Italia abbiamo inaugurato il 25 Aprile la nuova sede di Genova e ne apriremo un’altra l’8 Dicembre a Roma. In più apriremo il quinto punto vendita a Tokyo. Non si può parlare di Eataly senza parlare necessariamente anche di Slow Food, come si articola il rapporto?
Il rapporto che abbiamo con Slow Food è in primo luogo un rapporto di amicizia fondato sulla condivisione di valori comuni. Slow Food svolge il ruolo di essere nostro consulente. Ci sentiamo molto onorati di questa collaborazione. Un obiettivo per il 2011? Be’, a parte le grandi aperture in Italia di cui ho già parlato, in senso più generale per noi di Eataly il 2011 sarà l’anno dell’integrazione e dei valori dell’Unità italiana e per questo abbiamo organizzato moltissimi eventi per festeggiare l’unità del nostro Paese attraverso la nostra ricchissima biodiversità alimentare. E poi, un obiettivo di sempre è l’Armonia. Abbiamo sempre l’obiettivo di creare luoghi di Armonia nei quali le persone possano passare il loro tempo armoniosamente. Questo è un obiettivo che non ci stancheremo mai di perseguire.•
Le foto di questo articolo sono di Evan Sung.
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inchiesta - arte
artisti migranti a ny Nella Grande Mela gli artisti si spostano da un quartiere all’altro per l’aumento continuo degli affitti. Un problema, certo, ma anche uno stimolo per progetti artistici. di Michele Primi
I
Sopra il Guggenheim Museum, simbolo dell’arte a New York
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l primo è stato Solomon Guggenheim, negli anni Venti. Il grande mecenate, dopo essersi ritirato dalla gestione delle miniere di famiglia per dedicarsi al collezionismo d’arte, comincia organizzando esposizioni per gli amici nel suo appartamento di New York. Da questi eventi nasce nel 1937 l’idea di creare la fondazione che porta il suo nome, e due anni dopo di aprire il suo primo museo, The Museum of Non Objective Painting al n.24 di East 44th Street. L’arte cerca spazi a New York, e li trova in posti sempre nuovi e diversi. Per sfuggire ai costi sempre più alti della città, artisti, curatori e collezionisti disegnano una nuova mappa dell’arte contemporanea, indipendente e non istituzionale, tutta da scoprire. E’ uno degli affascinanti paradossi di New York, una città che viaggia ad un ritmo talmente frenetico e spregiudicato da dimenticarsi delle sue cose migliori. L’energia della città è un’insostituibile fonte di ispirazione per gli artisti, ma la sua evoluzione, e
il lievitare continuo dei prezzi colpisce gli artisti stessi, costringendoli spesso ad abbandonarla. L’unica soluzione è organizzarsi per trovare nuovi spazi. E spesso, lo spazio migliore è la propria casa. E’ la nuova tendenza del laboratorio New York: appartamenti che diventano gallerie d’arte, loft che un giorno alla settimana aprono le porte al pubblico, esposizioni organizzate in luoghi privati, per finanziare vita e lavoro con una mossa sola. Gli artisti lottano da sempre per sopravvivere a New York. Si spostano in continuazione da un quartiere all’altro, colonizzano zone degradate, le trasformano in posti alla moda e poi vengono allontanati dagli affitti sempre più alti. E’ una comunità che ha cominciato a svilupparsi a partire dagli anni sessanta, e da allora ha continuato a crescere: nel 1985 a SoHo c’erano 5.500 artisti e 300 gallerie, poi il quartiere è diventato di lusso, e si sono spostati tutti a Chelsea, da lì a Brooklyn e infine a Williamsburg, il paradiso “hipster” del duemila. Ma negli ultimi anni anche Williamsburg è diventa-
ta cara: “Quanto può crescere culturalmente una città, se gli artisti per viverla sono costretti a muoversi in continuazione, senza sapere mai dove andranno a finire?” si chiede Elyas Khan, un artista che insieme alla moglie Melissa ha lasciato New York e si è trasferito a Berlino, dove vive e lavora pagando settecento euro al mese. Il problema è serio: secondo un’inchiesta condotta nel 2009 su un campione di mille artisti dalla New York Foundation for the Arts, l’undici per cento aveva manifestato la sua intenzione di lasciare New York entro la fine dell’anno. La ragione è semplice: per potersi permettere di vivere in città, devono fare talmente tanti lavori extra da non avere più tempo per creare. Molti allievi delle scuole d’arte hanno inoltre cominciato a snobbare New York scegliendo città come Detroit, Cleveland o Philadelphia, che mettono a disposizioNel 1985 a SoHo c’erano 5500 artisti, poi il quartiere è ne incentivi per la cultura, ma soprattutto diventato di lusso, e tutti si sono spostati a Chelsea. interi quartieri con affitti incredibilmente bassi. A Colinwood, un quartiere di Cleveland, l’impresa immobiliare Northeast Shores Development ha trasformato sedici Nella pagina a sinistra l’interno del ex edifici industriali in residenze e laboraalla settimana in un negozio di Chelsea per Solomon R. Guggenheim Mutori per artisti, vendendoli quasi tutti nel mantenere il suo studio a Bedford-Stuyveseum di New York, sorto nel 1937 giro di un anno. Il rischio è che New York sant: “Le cose sono diventate più difficili sulla 5th Avenue, progettato da diventi una città con molte istituzioni culnegli ultimi anni, perché non ci sono fondi Frank Lloyd Wright. Qui sopra uno turali ma sempre meno artisti, e che perda pubblici e i compratori sono sempre meno scorcio del quartiere di SoHo. così il suo ruolo di ca– dice – ma io non pitale dell’avanguarpenso assolutamente Il rischio è che New York dia. Le conseguenze di andarmene: il mio diventi una città con molte ricadrebbero anche mondo è New York istituzioni culturali ma su altri settori come la City.” Il legame con la sempre meno artisti. pubblicità o l’industria città rimane, quindi, dello spettacolo, che fondamentale per gli da sempre attingono artisti. Ma come risolal serbatoio dell’arte vere il problema? Le cittadina per rinnovarsi. “La fuga degli aristituzioni legate all’arte hanno tentato di tisti è un grosso problema della città – dice scuotere le autorità: il Center for An Urban Tom Berger della fondazione New York Future, il “think tank” creato dal magaziCreates – tutte le realtà che si occupano di ne City Limits sta conducendo una camcreatività sanno che per essere competitivi pagna di sensibilizzazione per spingere le c’è bisogno di una comunità forte di artisti lobby immobiliari della città a dare spazi a su cui fare affidamento.” Il problema è che prezzi contenuti agli artisti. Anne Brigitte nei “5 boroughs” di New York sembra che Sirois, consulente del gruppo immobiliare i quartieri dove spostarsi in cerca di prezzi Lerner Group ed esperta in gallerie d’arte più bassi siano semplicemente finiti. L’ar(è stata una delle responsabili del trasferitista Scott Goodman lavora sessanta ore mento della comunità di artisti da Soho a AK Adlige Klein 45
artisti migranti a ny Come fanno gli artisti a continuare a lavorare a New York? La risposta migliore alla fine è arrivata dagli artisti stessi: trasformando le case in gallerie.
Blanka Amezkua ha cominciato esponendo nella camera da letto del suo appartamento
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co giochi dell’arte contemporanea di New West Chelsea nel 1995) sta realizzando un York.” Le installazioni del collettivo Figdocumentario sull’esodo degli artisti dalla ment sono solo le prime di una lunga serie città da presentare direttamente al comune di opere d’arte che verranno esposte negli di New York. Il governo da parte sua ha spazi all’aperto e nelle gallerie dell’isola. Un riposto con il progetto Governors Island, progetto molto interessante, che però non un’ex base militare nel mezzo della Hudrisolve il problema fondamentale: come son Bay, proprio di fronte a Manhattan e fanno gli artisti a continuare a vivere e a a Brooklyn (a cui è collegata con un tralavorare a New York? La risposta miglioghetto ogni ora), che il comune di New re alla fine è arrivata York sta trasformandagli artisti stessi: trado nel quartiere del Anche Chinatown nasconde sformando le case in futuro della città. Un un tesoro d’arte: 255 Canal, gallerie. Una delle quartiere-isola ecogestito da tre amiche in un prime è stata la messisostenibile, creativo e loft di 150 metri quadri. destinato interamente cana Blanka Amezkua che ha cominciato ad all’uso pubblico. organizzare esposizioA Governors Island ci ni delle sue opere al sono circa cento edifisabato nella camera da letto del suo apparci pubblici, e nessuna casa privata, molte tamento, ribattezzata Bronx Blue Bedroom strade ma nessuna macchina, e una lunga Project. Un modo per superare la burocrazia promenade con vista sulla statua della lie le difficoltà ad entrare nel circuito dell’arte bertà, il porto di New York e il New Jersey. A partire dal 2012 il governo ha stanziatradizionale, e per stimolare lo scambio tra artisti e pubblico in uno spazio decisamento un budget di dodici milioni di dollari te diverso e stimolante. Il successo è stato all’anno per trasformare l’isola in quello che Leslie Koch, presidente del Trust For tale che alla fine l’appartamento di Blanka nel Bronx è diventato un museo vero e proGovernors Island descrive come: “Il par-
prio, finanziato dal Bronx Council For The Arts. Fino al marzo 2010 Blanka ha aperto le porte blu della sua casa-galleria in cambio di un workshop gratuito nel quartiere, per far nascere e crescere anche nel Bronx una comunità di artisti. Un lavoro dal basso simile a quello fatto da Local Project nel Queens, il quartiere che negli ultimi anni, anche grazie all’apertura del PS1, la sede distaccata del Moma, è diventato il nuovo punto di ritrovo degli artisti (oltre 500 registati nel 2010). Local Project, al n.45 di Davis Street, è il nome dell’organizzazione no-profit creata da un collettivo di artisti che per scappare dai costi proibitivi di Manhattan ha deciso di aprire il proprio studio al pubblico, trasformandolo in uno spazio per concerti e mostre con uno dei calendari più fitti della città. A Manhattan è invece rimasto Carlo Zeichsel, che nel 2004 ha aperto nella sua casa studio al n.446 di Broadway la galleria CVZ Contemporary, che oggi rappresenta diversi artisti emergenti. E in pieno Chinatown, al terzo piano di un palazzo nascosto tra le bancarelle di oggetti di contrabbando e i negozi di merce falsa, nella Babele multietnica di Canal Street, è nata una delle gallerie d’arte indipendenti più interessanti della città, 255 Canal. L’hanno aperta tre amiche, Amalia Rusconi Clerici, architetto nello studio di Richard Meier, la fotografa tedesca Martina Grilec e la portoghese Sandra Pires in quella che fino al 2009 era solo la loro casa, un loft di 150 metri quadri con tre stanze, una cucina e una grande sala. La prima esposizione l’hanno organizzata per fare un favore ad un amico, Tillo Buttinoni che faceva installazioni usando i filtri delle lavatrici delle tintorie di New York: “Abbiamo pensato: sono troppo belli per non metterli in mostra” racconta Amalia Rusconi. Da allora, al mercoledì (per non entrare in concorrenza con le inaugurazioni di Chelsea, che sono tutte al giovedì) 255 Canal apre le sue porte ad artisti ed esperti del settore. Grazie a questi eventi le ragazze di Canal Street riescono ad organizzare fino a cinque esposizioni all’anno (le ultime sono state Laundry Day della pittrice Cristiana Depedrini, Sorroundings del fotografo Luca Bariola e Entangled della
illustratrice portoghese Rita Sà), e hanno trasformato la loro casa in un importante punto di passaggio verso le gallerie più importanti del circuito artistico della città. E’ l’energia di New York che si rinnova, cerca soluzioni al problema della mancanza di spazi, ma soprattutto continua a creare in maniera indipendente, lotta per sopravvivere e trova così il modo di non perdere la propria identità: “Se fosse stato solo per pagare l’affitto, potevamo limitarci ad affittare lo spazio – dice Amalia Rusconi - invece l’idea di 255 Canal è quella di dare nuove opportunità agli artisti emergenti.” • In questa pagina: a destra il musicista e cantante Elyas Khan, che insieme a sua moglie si è trasferito a Berlino. Sotto una vista panoramica di Governor’s Island. Nell’altra pagina un’opera della messicana Blanka Amezkua e l’interno della sua galleria - appartamento.
Governor’s Island, ovvero il parco giochi dell’arte contemporanea di New York.Un quartiere-isola ecosostenibile, creativo e ad uso pubblico
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non proprio come a casa Il Gramercy Park Hotel di New York e la nuova “Boemia” di Martina Moretti
Il Gramercy Park Hotel rappresenta uno degli hotel leggendari di New York: costruito nel lontano 1925 conserva ancora oggi tutto il suo fascino e si distingue per essere un luogo di incontro per nuovi artisti secondo la ripresa dello stile “Boemia”, rivisitato per il 21° secolo. Già nel passato il Gramercy ha rappresentato la sede per la Boemia alta dove gli artisti, gli avventurieri e i bonvivants si davano appuntamento; oggi l’atmosfera rivive già a partire dalla hall e dallo spazio pubblico che si presentano come un’apparente combinazione surreale di pezzi contemporanei e arredi centenari, creando un universo alternativo che porta ad un linguaggio assolutamente nuovo nel suo passaggio da classico a moderno. E poi ad arricchire e rendere unica la hall del Gramercy si trovano esposti i capolavori di artisti come Andy Warhol,
Jean-Michel Basquiat, Damien Hirst, Richard Prince, Keith Haring e Julian Schnabel; la sensazione è quella di trovarsi in un vero e proprio museo d’arte ma in un ambiente intimo e rilassato. Il Gramercy è infatti, fra tutte le boutique hotel di NY, l’unico ad offrire la possibilità di fruire l’arte secondo una modalità democratica senza contare che periodicamente possono proporsi nuovi curatori a creare un turn-over delle opere esposte a patto che non vengano meno il calibro e l’eccellenza delle stesse. Passando dagli spazi pubblici a quelli privati dell’hotel, e quindi alle 6 suite, anche qui emerge la ricerca maniacale di un’estetica appagante che si risolve nella cura del dettaglio e del particolare. Le sei suite sono personalizzate e diverse l’una dall’altra, costituite da ampi soggiorni, sale da pranzo, camere da letto, bagni
Nel passato ha rappresentato la sede per la Boemia Alta e oggi ne mantiene l’eccentrico stile
Sopra una delle suite, nella pagina a sinistra l’ingresso del Gramercy
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Dietro all’accurata ricerca del Gramercy la mente e la mano di Julian Schnabel
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dotati di vasche accoglienti comprensive di TV LCD; insomma dei miniappartamenti dal design definito, che uniscono mobili e oggetti d’antiquariato provenienti da tutto il mondo e da epoche diverse, secondo un’idea di lusso personalizzato. Oggetto del desiderio resta poi la Penthouse, l’attico dell’hotel, che possiede tutte le caratteristiche che ci si aspetterebbe da un hotel di lusso a Manhattan tra cui soggiorno, sala da pranzo, biblioteca, cucina autonoma con pannelli di legno, un grande bagno con doccia e vasca e poi tutti gli ultimi ritrovati delle moderne tecnologie digitali. Dietro a tutta questa minuziosa ricerca di design e lusso insieme vi è la mano e la mente di Julian Schnabel che Ian Schrager, attuale titolare del Gramercy, ha voluto al suo fianco come arredatore nel rilanciare lo storico hotel newyorkese. Un ruolo inedito per Schnabel, già conosciuto come pittore e regista, e tut-
tavia è stato anche grazie a lui se oggi il Gramercy Park Hotel si propone come nuova proposta nel campo dell’hotelleria con questo recupero originale del gusto Bohemien, secondo una eterogenea combinazione di stili, di arredi, di pezzi d’arte e dell’uso sapiente del colore. A connotare maggiormente il Gramercy come posto unico e dalle mille meraviglie è il Roof Club and Garden, un giardino all’aperto posto 16 piani sopra la città e quindi dalla vista favolosa. Il Roof Club è insieme salone privato e avventura all’aperto, grazie al tetto retrattile che ne permette un uso versatile a seconda delle occasioni; è uno spazio pensato come punto di incontro tra il fascino dei privati club londinesi con la loro pacata eleganza e il trambusto bohemien dei caffè viennesi a ricordare la moda di inizio secolo del giardino sul tetto che tanto ha fatto il successo di luoghi come il Club Ziegfeld presso il
New Amsterdam Theatre o l’Astor Hotel a Times Square. Ciliegina sulla torta del Gramercy è infine “Maialino” la trattoria in stile tutto italiano, o meglio romano, gestita e diretta dallo chef Nick Anderer che offre colazione, pranzo e cena accontentando il gusto di ogni cliente grazie alla vasta scelta delle pietanze e alla ricerca di prodotti freschissimi. Entrando da Maialino gli ospiti sono accolti da una vivace zona bar che la mattina serve colazioni per poi trasformarsi in winebar e offrire cibi succulenti il resto della giornata. Come in molte trattorie italiane parte della cucina è a vista e così i commensali possono assistere quasi in diretta alla preparazione dei piatti, tutti rigorosamente prodotti in casa. Gli ingredienti, freschi e stagionali, provengono da Greenmarket o da altre aziende agricole locali e nel menu non mancano mai i piatti tipici della cucina romana come la coda alla vaccinara, i tonnarelli cacio e pepe, gli spaghetti alla carbonara. Maialino diventa anche location ideale per organizzare pranzi e cene ed altri eventi. Accanto a Maialino anche Rose Bar e Jade Bar completano l’offerta del Gramercy in relazione al divertissement che NYC offre; questi due spazi, concepiti sempre secondo lo stile bohemien tra raffinatezza eccentrica ed eclettismi, sono un punto di ritrovo per molti turisti e abitanti di NY qui vengono per assaporare ottimi cocktail o lasciarsi tentare dal menu dello chef Nick Anderer, lasciandosi immergere in atmosfere sofisticate tra musiche e luci soffuse. Se ancora il Gramercy non vi ha convinto il sapere che sorge nei pressi del bellissimo parco omonimo, progettato da Samuel Ruggles che ha voluto ricreare qui una piazza tipicamente londinese come rifugio dal trambusto implacabile della City, sicuramente potrebbe essere un ottimo incentivo calcolando che a circondare il parco si ergono i tesori più interessanti dell’architettura newyorkese. Alcuni esempi: il the Player’s Club fondato dall’attore Edwin Booth
Gli spazi del Jade Bar e del Rose Bar sono frequentati dai cittadini che amano il contesto eclettico ed elegante
la cui statua si trova nel parco, il Gothic Revival che ospita la National Arts Club ex casa del governatore Samuel Tilden, la Stuyvesant Fish House dove abitava John Barrymore. Ma Gramercy Park è stato anche il luogo dove Cyrus Field ha concepito il cavo Trans-Atlantic, Mark Twain ha giocato in piscina e un John F. Kennedy bambino si è divertito a inseguire gli scoiattoli e a dare loro da mangiare. In realtà l’intero quartiere racchiude storie e leggende di una NY del secolo scorso che lega il suo nome a quello dei Morgan, dei Rockfeller, dei Roosvelt, degli Astor; in queste strade hanno camminato Edgar Allan Poe, Mark Twain, Edith Wharton. Oggi Gramercy Park è punto di partenza ideale per raggiungere facilmente a piedi i quartieri più interessanti di New York da Manhattan, Chelsea, Midtown, Soho. Tutto questo avvolti dal fascino bohemien che tramite il Gramercy rivive nella metropoli più frenetica e ambita.•
Qui JFK da bambino si divertiva ad inseguire gli scoiattoli
Sopra una veduta del Rose Bar, nella pagina a sinistra un tavolo al Roof Club and Garden
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turismo lento
LUCERNA Sulle rive del lago dei 4 Cantoni, la città è un piccolo gioiello incastonato tra le montagne. I punti forti? Cultura, eleganza, ma anche mille proposte di shopping.
SHOPPING BOUTIQUE Lucerna, la città svizzera che sorge sulle rive del lago dei Quattro Cantoni, è un piccolo gioiello incastonato in un paesaggio sublime, tra acqua e montagne, e forse anche per questa sua collocazione geografica intimistica e romantica Lucerna si è distinta come una città elegante, piena di cultura, tra tradizione e modernità. Ma non solo, c’è chi chiama Lucerna anche “shopping boutique” per la vasta scelta nel suo centro storico di negozi e boutique che vendono prodotti tipici svizzeri e dove l’assenza di traffico permette di passeggiare a piedi e raggiungere tranquillamente tutti i negozi. NON SOLO CIOCCOLATO Così non sarà difficile trovare souvenir pregiati come orologi esclusivi o gioielli, articoli di moda, ma anche l’ “oro nero” ovvero la pregiata cioccolata svizzera; per questo l’indirizzo giusto è Max Chocolatier dove perdersi tra praline, frutta candita ricoperta di cioccolato e specialità stagionali tutte da scoprire. (info: www.maxchocolatier.com) Lucerna è anche “Festival City”, altro appellativo che la città si è guadagnata per il ricco programma culturale e musicale che offre tutto l’anno. Soprattutto è la passione per la musica che distingue Lucerna e che elegge la sala con52 turismo
certi del KKL, il centro Culturale e Congressi di Lucerna inaugurato nel 2000 (info: www. kkl-luzern.ch), come luogo privilegiato per ascoltare musicisti e orchestre di fama mondiale. Il KKL è stato progettato dall’architetto parigino Jean Nouvel e contempla, oltre alla sala da concerti, anche il Museo dell’Arte, Kunstmuseum, che accoglie esposizioni d’arte contemporanea internazionali e altre temporanee. (info: www.kunstmuseumluzern.ch).
Per trovare
l’ambito “oro nero” l’indirizzo giusto è quello di Max Chocolatier, dove trovare le classiche praline ma anche specialità di stagione
APPUNTAMENTI MUSICALI Qualche appuntamento da segnare in agenda? Il Lucerne Blues Festival (info: www. bluefestival.ch) e il Lucerne Festival Piano (info: www.lucernefestival.ch), entrambi in novembre; per l’estate invece è la manifestazione Summer Nights Classic ad essere protagonista (info: www.classic-events.ch) insieme al Blue Balls Festival (info: www.blueballs.ch). Il calendario completo delle manifestazioni sul sito: www.luzern.ch TUFFO NEL MEDIOEVO Addentrandoci invece tra le stradine medioevali della città tappe obbligate sono il Ponte della Cappella, Kapellbrücke, eretto nel XIV secolo e parte delle fortificazioni urbane della città, che ancora oggi conserva le tavole dipinte nel XVII secolo raffiguranti scene di storia
cittadina e le gesta dei santi Leodegar e Maurizio patroni della città. Poi la Torre sull’Acqua, simbolo di Lucerna, alta ben 34 metri e nel corso dei secoli luogo di interrogatori, torture, archivio, prigione. Ancora il Ponte della Crusca, anch’esso parte delle fortificazioni urbane e così chiamato perché qui era possibile gettare nella Reuss pula e fogliame. E infine segnaliamo il Monumento del Leone Morente, tra i più famosi al mondo, venne scolpito nella roccia in ricordo degli svizzeri morti nel 1792 alle Tuileries. Il leone di Lucerna è stato ricordato anche dallo scrittore Mark Twain come “uno dei pezzi di roccia più tristi e commoventi al mondo”. BENESSERE SPIRITUALE Lucerna è anche città di “health & well- being”, dove chiunque può trovare un programma su misura per rilassarsi e depurarsi in maniera attiva o passiva. Nella regione dei Quattro Cantoni infatti i Wellness Hotel sono all’avanguardia nell’offrire trattamenti estetici, passeggiate tra laghi alpini, aria pura e natura incontaminata a cui aggiungere una cucina superiore di prelibatezze locali. In particolare sono Weggis e Vitznau i due paesi più gettonati per questo tipo di soggiorno, anche per il clima particolarmente mite che li caratterizza tutto l’anno.
INFORMAZIONI UTILI Per i vostri spostamenti in città fate affidamento sulla “LucerneCard”, utile per un uso illimitato dei mezzi pubblici, per entrare con il 50% di sconto nei musei che aderiscono a questa inziativa, e per moltri altri benefit da scoprire sulla Lucerne city guide. La validità della card varia a scelta tra 24, 48 o 72 h, Per carpire ogni segreto di questa bella cittadina medievale scoprite l’applicazione Iphone “City Guide Lucerna” , disponibile in forma gratuita per il download. L’ufficio turistico è situato all’interno della stazione, ecco l’indirizzo: Zentralstrasse 5 Lucerna, tel. +41 41 2271717 Maggiori info su: www.luzern.ch
LUCERNA A TAVOLA E per un po’ di folklore e una tavola invitante? La risposta è il Ristorante Musicale Stadtkeller (info: www.stadtkeller.ch) che accanto a piatti tipici fa rivivere la tradizione dello jodeln, degli sbandieratori e del corno alpino di cui Lucerna conserva e tramanda la tradizione, per una serata di pieno folklore. • AK Adlige Klein 53
turismo lento
NELLA CULLA DEL BUON VIVERE Parma, regno della musica e del culatello. Una guida pratica alla culla del buon vivere.
Sopra in questa pagina: Il Palazzo della Pilotta e Ponte Verdi. Nell’altra pagina dall’alto una veduta di uno dei chiostri della Casa della Musica, il copiatissimo Parmigiano Reggiano, il maestro Giuseppe Verdi. Si ringrazia il Comune di Parma per l’archivio fotografico
54 turismo
Parma è una di quelle città, riservate ed eleganti, che racchiude in sé il fascino dello svelarsi poco a poco, guidando il visitatore in un viaggio che parte da molto lontano. Ma Parma non sarebbe la stessa senza il suo essere intrinsecamente legata alla musica e all’opera lirica in particolare, rendendola celebre in tutto il mondo anche per i natali dati a Giuseppe Verdi e ad Arturo Toscanini. Tuttavia parlare di musica a Parma solo in relazione a questi due grandi maestri significa sminuire una tradizione che viene da un passato lontano e che è testimoniata, ad esempio, dalla costruzione per volere dei Farnese del teatro omonimo a inizio del ‘600 e inaugurato da uno spettacolo allegorico-mitologico con musiche di Claudio Monteverdi. Il teatro Farnese resta oggi un piccolo gioiello da visitare e rivivere con il ricordo dei fasti goduti nel passato. Sì perché il teatro
per eccellenza è il Teatro Regio, costruito esattamente due secoli dopo il Farnese per volere di Maria Luigia d’Austria, moglie di Napoleone I, e che si affermò subito come regno della lirica e del melodramma mettendo in scena opere di Donizetti, Rossini, Bellini e ovviamente Verdi. Il compositore di Busseto è celebrato annualmente nel Festival Verdi; una kermesse di 28 giorni che inizia intorno al 10 ottobre, data di nascita del maestro, e vede la messa in scena di opere scelte del repertorio verdiano. Una manifestazione particolarmente sentita in città e che richiama amanti dell’opera dal resto della penisola e dall’estero, collegando la città di Parma con il paese natale di Verdi e le terre verdiane. L’appuntamento per il 2011 è già fissato dal 1° al 28 ottobre. (info: www.teatroregioparma.org/verdifest). Il maestro Toscanini invece è una presenza viva nel ricordo dei parmensi che
La Casa della Musica non solo è sede di performance e concerti di altissimo livello, ma è anche uno dei punti di riferimento per lo studio e la ricerca musicale, oltre che Museo dedicato agli amanti del melodramma
hanno trasformato la sua casa natale in Via Tanzi al numero 13 in un museo; qui sono conservati diversi oggetti che il grande maestro raccolse durante i suoi numerosi viaggi e le testimonianze di altri musicisti e cantanti, come la raccolta del tenore Pertile Aureliano. Per gli amanti invece della musica sinfonica il luogo adatto è l’auditorium Niccolò Paganini (info: www.teatroregioparma. org/auditorium), progettato da Renzo Piano e ottimo esempio di recupero di archeologia industriale; l’auditorium sorge infatti nel vecchio zuccherificio Eridiana, oggi luogo artistico e culturale, che ogni anno accoglie la principale stagione concertistica cittadina. Da non perdere anche le performance che si svolgono presso la Casa della Musica, i cui concerti si confermano come rassegna cameristica tra le più interessanti e quotate a livello nazionale. (info: www.lacasadellamusica.it) Ma Casa della Musica è anche uno dei punti di riferimento per lo studio e la ricerca musicale e, per gli amanti del melodramma, qui è possibile visitare il primo museo italiano ad esso dedicato, senza contare la ricchezza culturale data dalla biblioteca musicale e dalla mediateca. Rimanendo sempre in ambito musicale da segnalare anche la Casa del Suono, un museo sui generis ospitato presso la ex Chiesa di Santa Elisabetta, che raccoglie strumenti di comunicazione e riproduzione sonora, dal fonografo all’mp3. (info: www.casadelsuono.it) Gli appuntamenti musicali in una città come Parma non si esauriscono certo nella sola stagione invernale a sconfiggere la noia delle fredde giornate, al contrario l’estate si annuncia con la rassegna “Sotto
Nel mese di Ottobre il Festival Verdi, un mese di opere dal vasto repertorio del maestro di Busseto
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GALLERIA NAZIONALE: ECCO DOVE TROVARE I CAPOLAVORI DEL PRIMO RINASCIMENTO ITALIANO
Custodita alla Galleria Nazionale, La schiava Turca del Parmigianino. Foto Furoncoli
PARMA TRA ARTE E STORIA E’ nel 183 a.C. che Parma vede la luce e cresce, fino a costituirsi come Comune intorno al 1140, a cui seguono i domini dei Farnese, dei Borboni e del Ducato di Maria Luigia d’Austria. Un crocevia di popoli e storie che si sono alternati sullo sfondo di una pianura vasta e rigogliosa e tra le colline dell’Appennino che svettano attorno. Oggi Parma è così il risultato di una storia secolare, che ha lasciato l’impronta in tutta l’architettura cittadina passando dal romanico, al gotico, al barocco, al neoclassico. Per il visitatore tappe obbligate, artisticamente parlando, sono: • la Cattedrale, che del romanico è uno tra gli esempi più apprezzati in Italia e che custodisce nel transetto la scultura della “Deposizione” di Antelami e la cupola dipinta dal Correggio con l’Assunzione della Vergine; • Il Battistero a fianco del Duomo, i cui lavori vennero diretti sempre dall’Antelami e che si distingue per la sua pianta a forma ottagonale; • la chiesa di San Giovanni Evangelista, con facciata e campanile barocchi, dove si ritrovano la cupola decorata dal Correggio e gli affreschi del Parmigianino in alcune cappelle interne; • la chiesa di Santa Maria della Steccata, in stile bramantesco e arricchita dagli affreschi di Parmigianino che lavorò nell’arcone dell’abside; • la Galleria Nazionale con la sua collezione che raccoglie moltissimi artisti e relativi capolavori tra il XIII e XIX secolo. Tra i nomi più interessanti Leonardo da Vinci, Hans Holbein il Giovane, Antonio Canova, Correggio. 56 turismo
il cielo di Parma”, un ciclo di spettacoli di musica e danza ospitati in un palcoscenico all’aperto nel Parco Ducale, organizzati da Comune e Teatro Regio. Il Parco Ducale è sicuramente uno di quei luoghi in cui recarsi per una visita, o meglio per una passeggiata cittadina, tra i suoi alberi secolari che creano un’elaborata architettura verde e tra i gruppi scultorei di Boudard. All’interno del parco si trova inoltre il Palazzo Ducale, oggi sede dell’Arma dei Carabinieri e il Palazzetto Eucherio Sanvitale, di piccole dimensioni ma particolare per la pianta ad h e le sue quattro torri angolari. Ritornando invece all’ambito artistico è interessante segnalare l’iniziativa di BoulevArt, una rete di locali a Parma che con entusiasmo adotta giovani artisti ospitati con le loro opere all’interno di bar, ristoranti, enoteche, negozi e studi professionali in un gioco reciproco di piacere, creando un ricco turnover di creatività. Per scoprire la rete dei locali aderenti basta visionare il sito www.boulevartparma.it , un modo diverso di unire il piacere dell’arte a una buona cena o a un buon bicchiere di vino. Arte, architettura,
un tecnico controlla la stagionatura del Prosciutto di Parma
musica, teatro… Parma dà l’idea di una città che sa trovare il tempo per rilassarsi e divertirsi coltivando la sua cultura e le sue tradizioni, tra tutte quella culinaria ricopre da sempre una grande importanza tanto che lo scrittore Guido Piovene già nel suo libro “Viaggio in Italia” del 1975 così scriveva “A Parma si è golosi come in tutta l’Emilia, ma ci si vanta d’essere più raffinati, di svolgere, direi gli stessi temi con maggiore capriccio. Si entra qui nella terra dell’Italia dove il cibarsi è un aspetto della cultura, e quasi dell’erudizione”. Non a caso Parma, proprio per la sua lunga tradizione enogastronomica, si è guadagnata il titolo di “Food Valley” ed è stata scelta come sede per l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA). Oltre ai prodotti più diffusi e noti come il Parmigiano, il turista non può non assaggiare la Spalla cotta di San Secondo (dal nome del paese omonimo) e il principe dei salumi, il Culatello di Zibello. Se si capita da quelle parti a giugno vale la pena fermarsi per la sagra del Culatello, avendo la certezza di gustare solo quello vero ed origi-
A Parma cultura e tradizioni si uniscono per creare gioia di vivere, divertimento e passione per la propria terra
nale. Altra tradizione è quella della pasta fatta in casa e da qui tra i piatti tipici non possono mancare i tortelli alle erbette; ma ancora la tartare di cavallo (cavallo pesto) e per concludere in bellezza un bicchierino del liquore Erba Luigia. Ma dove gustare tante prelibatezze? La Trattoria del Tribunale, le Sorelle Picchi, l’Osteria di Rangon, la Trattoria Corriera, il Gallo d’Oro… e per il lettore più scettico basta affidarsi al sito www.tolasudolsa.com contenente una serie di recensioni culinarie dei vari locali parmensi. Il nome è già un programma, tradotto in italiano suona un po’ come “prendila su dolce, alla leggera”; ovvero lasciati guidare e fidati! Se invece si volesse fare solo uno spuntino, scegliendo un locale frequentato da veri parmensi, l’indirizzo giusto è Paninoteca da Pepén in Borgo S. Ambrogio, dove assaggiare la mitica carciofa, torta salata ripiena di carciofi; mentre per portarsi a casa un souvenir tutto gastronomico si può andare a fare acquisti prelibati alla Salumeria Corrieri in Borgo Piccinini. Per una pausa dolce il salone da the e creperia Des Arts è un ottimo indirizzo invece dove scegliere tra dolci, caffè e cioccolato. E se ci si volesse spostare un pochino fuori dal centro? Le zone intorno a Parma offrono paesi splendidi persi nella pianura, nati tra lo scorrere a volte docile, a volte impetuoso del Po. Consigliato è proprio l’itinerario Bici Parma-Po, da percorrere in bicicletta, che segue il corso del fiume toccando i diversi comuni del Lungo Po intervallato da punti di sosta dotati di attracchi fluviali come il Porto di Polesine, la Nautica di Torricella a Sissa, la Motonautica di Sacca a Colorno. Una gita da gustare in giornata con excursus piacevoli sulla Strada del Culatello o al Museo del Parmigiano Reggiano. Sempre nei dintorni di Parma sono diverse le strutture termali da Salsomaggiore a Tabiano, da Sant’Andrea Bagni a Monticelli, per unire a un week-end di arte e musica anche del tempo da dedicare a sé stessi e a una completa remise-en-forme. Tante altre idee e proposte, nonché notizie più dettagliate su Parma e dintorni, si possono trovare al sito http://turismo.comune. parma.it o telefonando allo 0521218889 – 218855. AK Adlige Klein 57
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L’UOMO CHE PROGETTÒ IL TRASPORTO Bob Noorda: dai canali di Amsterdam alla metro. L’analisi di un grafico “milanese” doc. di Roberto Uboldi
Noorda, un progettista “Milanese” non per nascita, ma per quel suo pragmatismo asciutto, per quella curiosità verso il lavoro pratico Sopra: un’immagine di Bob Noorda e il primo marchio da lui progettato per la Metropolitana di Milano
IL RAZIONALISTA A tutti noi è capitato di vedere persone che con le loro peculiarità fisiche ricalchino il proprio carattere: una tesi fisiognomica di stampo lombrosiano che in genere ci è più facile acclarare quando di fronte a noi si stagliano “tipi umani” al limite della caricatura. Bob Noorda non aveva caratteristiche così singolari, tuttavia la sua figura alta e snella, quasi dinoccolata, il suo parlare con un italiano preciso ma cadenzato e l’incedere deciso mi hanno sempre fatto pensare che la sua progettazione grafica semplice, logica, moderna e potente trovassero uno specchio fedele in quell’uomo così profondamente nordico. Nato ad Amsterdam nel 1927, studente dell’IvKNO – nota oggi come Accademia Rietveld – e per questo uomo dalla forte matrice progettuale razionalista, Bob è stato un vero italiano, direi anzi un vero milanese. Un cittadino della “Capitale del Nord” non per diritto genetico, ma per quel suo pragmatismo asciutto e discreto, unito ad una forte curiosità ed interesse per i dettagli che lo hanno contraddistinto e reso maestro per molti giovani designer. TROVARE L’AMERICA A MILANO Proprio Milano è stata il centro della sua vita lavorativa, la città della nebbia e del boom economico dove arrivò nel 1954 carico di idee dal sapore funzionalista, ma soprattutto di matite, penne e carta AK Adlige Klein 59
Da ruote e cavi fanno capolino signorine benvestite: è la Primavera della comunicazione italiana
di ottima qualità che forse non credeva di poter reperire da noi. Il suo lavoro fu subito stimato tanto da aprirgli le porte della comunicazione di Pirelli, a quel tempo vero e proprio crocevia di grandi personalità della grafica come Calabresi, Huber, Munari, Steiner. Nel disegnare i poster dedicati agli amanti degli pneumatici, Noorda celebrava un racconto modernista sempre molto espressivo e ricco di nuance, senza mai scadere nel manierismo monotematico che oziava sugli ultimi scampoli di Bauhaus. Le signorine discrete e ben vestite che facevano capolino dai raggi delle ruote da bicicletta – in quei tempi felici regina della pianura padana – così come gli pneumatici colorati trasfigurati in mosaico creativo, o i cavi d’acciaio finalmente nobilitati dalla loro stessa pulizia compositiva, ci raccontano di un’azienda moderna e creativa, vicina tuttavia alla realtà italiana dell’epoca per temi e spensieratezza. LA SFIDA DEL TUNNEL A partire dal 1962 arriva per Bob la sfida che segnerà per sempre, in positivo, la sua carriera come creativo: bisognava trasformare Milano in una vera metropoli. Come? La risposta si trovava in una vasta gamma di disegni ingegneristici che tracciavano sulla vecchia mappa della città dei tram giallo-neri una linea rossa, un tracciato che oggi è noto come la Linea 1 della metropolitana. Raccogliere questa sfida significava trasformare quei cunicoli grigi in qualcosa che unisse la semplicità alla potenza espressiva, che partisse dai disegni originali e, con pochi elementi, disegnasse un progetto di mobilità che avrebbe influito sulla vita quotidiana di centinaia di migliaia di persone. Il primo pensiero dell’olandese si rivolse a quei passeggeri inesperti che egli immaginava spersi in una realtà nuova e poco umana: avrebbe dovuto portarli con sicurezza a destinazione, guidarli in ogni momento. Penso sia stato a quel punto che nacque l’idea della linea continua, una fascia ininterrotta che riportava il nome della stazione e che, grazie alla propria cromia omogenea, fosse punto di riferimento continuo, a suo modo reinterpretazione delle briciole di pane protagoniste di vecchie favole. Il colore per cui propese, che ancora oggi è rimasto inalterato, fu il rosso, un lampo vivace che sferzava la tinta delle pareti, quel marrone scuro scelto dall’architetto Albini che le volle così non solo per eleganza, ma soprattutto per la loro scarsa sporchevolezza. La scelta tipografica era però il fiore all’occhiello dell’intera progettazione: Noorda impiegò molto tempo per generare una font corretta sulla base dell’Helvetica, con variazioni che equilibravano il peso delle lettere, la spaziatura, i rapporti con le forme dei pittogrammi. Una font molto marcata che proprio da questo periodo cominciò a divenire utilizzatissima nelle immagini coordinata di ogni azienda 60 design
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Il brand manual di Noorda: completo, mai banale e puntigliosissimo.
di rilievo. L’abbinamento del rosso ai toni scuri divenne, anche se non solo per l’apporto di Noorda, un carattere distintivo di ogni progetto creativo che volesse distinguersi per il proprio carattere forte, addirittura prevaricante sugli altri. UN PROGETTO DA MANUALE Il progettista a mano a mano costruì un imponente manuale di identità coordinata che sintetizzava qualsiasi cosa, e sublimava anche gli oggetti più banali nella logica di un vasto progetto che sembrava voler regolare e dare senso non solo a segni e simboli, ma anche a persone e gesti quotidiani. I brand manual, che oggi hanno un sapore accademico e poco appetibile, ebbero presso di lui una nobilitazione che derivava dall’osservazione di elementi che, insignificanti all’occhio della gente comune, erano per lui degni di far parte di un progetto di comunicazione. IL RICHIAMO DELLA GRANDE MELA Questo fu lo spirito che portò fino a New York, ormai stimato e celebrato dagli yankee per il progetto milanese, dove fondò con il collega e amico Vignelli e altri 5 designer lo studio Unimark che, pur nella sua breve durata in attività – fu chiuso negli anni Settanta per difficoltà economiche – segnò la sensibilità estetica dell’americano medio verso un gusto europeo e scevro da eclettismi dal sapore folkloristico. Knoll, IBM, American Airlines furono tra i soddisfatti clienti dello studio di comunicazione. New York nel ‘66 lo scelse per la propria rete metropolitana, questa al contrario di quella milanese già attiva e funzionante a pieno regime, ma dominata da una segnaletica quanto meno insufficiente e disomogenea: font diversi e illeggibili, accostamenti cromatici piuttosto azzardati e addirittura cartelli scritti a mano libera erano la normalità. Lontanissimo concettualmente da quei maestri che si rinchiudono in un guscio vuoto che chiamano atelier, il nostro Bob osservava ogni mattina doviziosamente la gente: dove guardava, dove andava, perchè accelerava o al contrario indugiava in alcuni punti. Le carenze della segnaletica, i punti di vista del passeggero comune, i dubbi del turista, si palesavano fino a diventare ovvi, traducendosi subito in intuizioni semplici e geniali. Penso che fosse partito dalle semplici intuizioni del suo lavoro precedente, la linea continua e il font molto pesato, coniugandole a favore di una città più cosmopolita. Scelse, insieme ai colleghi di Unimark, il semplice nero su bianco, abbinandolo all’Helvetica e al cerchio colorato, nel tentativo di descrivere quella trama ben più fitta della Linea 1 di Milano. Non ebbe però vita facile, perchè al 62 design
Sopra: immagini dal manuale per la comunicazione della Metropolitana di New York degli anni Settanta.
MAESTRI E ALLIEVI La comunicazione nella metropolitana di Chicago ci mostra quanto anche i sistemi non direttamente progettati da Noorda abbiano subito un’influenza fortissima, quasi una matrice doverosa per ogni progetto di comunicazione del trasporto
suo nero su bianco si preferì il bianco su nero, per la sua minore sporchevolezza, e perchè fino all’ultimo i dirigenti della New York City Transit Authority non volevano “gettare” soldi per l’ostinazione verso i caratteri tipografici della famiglia Helvetica. Si consolò presto perchè era abituato: anche gli italiani gli avevano giocato un tiro simile costringendolo a ridisegnare il simbolo distintivo del metrò. Dalla trovata geniale della M dagli angoli morbidi, sdoppiata e riflessa - chiaro riferimento alla duplice realtà della vita terranea e sotterranea – si passò ad una M senza grazie e senza grande storia alle spalle, che ancora oggi campeggia in Piazza Duomo o a Porta Genova.
Sopra: il marchio TCI, creazione di Noorda e la rosa camuna che fu scelta da un team di esperti per la Regione Lombardia.
RITORNO ALLA BASE Milano fu, specie dopo la chiusura di Unimark, il centro delle sue sperimentazioni e l’Italia ebbe il beneficio di moltissimi suoi marchi, da Feltrinelli a Mondadori, da Enel ad Agip, dalla ACI a Total, fino al marchio Coop. La loro grandezza e unicità è facile da commentare, perchè tutti sono rimasti sostanzialmente inalterati, come a testimoniare che i suoi progetti così essenziali erano altresì dotati di una forza espressiva non casuale, ma pesata e solida, concreta. Quando si cambia si vuole sempre raggiungere un gradino più elevato, e talvolta è difficile farlo se si è già molto in alto: anzi si corre il rischio di una caduta più fragorosa. Basti pensare allo scempio e all’incuria che hanno ridotto alcune opere di progettazione visiva esterna di eccellente fattura, come le stazioni della metropolitana milanese, in barzellette di una città che fra 4 anni ospiterà l’Expo. In molti casi non si è trattato solo di vandali e del segno del tempo, ma di scelte sbagliate e di scarsa memoria per i propri cittadini illustri e per il loro lavoro. Qualcosa dovrà cambierà da qui al 2015, ed è auspicabile che l’apertura delle nuove linee porti anche alla riabilitazione del progetto originario di Noorda, così perfetto da risultare archetipo per molte altre metropolitane nel mondo. • AK Adlige Klein 63
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DESIGN: DUE PERCORSI A CONFRONTO Ho voluto incontrare Mihran Rovelli Manoukian e Mario Ferrarini per dare spazio a due giovani che si stanno facendo notare nel mondo del design, per cercare di capire cosa significa oggi perseguire questo sogno con tutte le soddisfazioni e le difficoltà che tale scelta può comportare. In questa pagina, da sinistra i ritratti di Mihran Rovelli Manoukian e Mario Ferrarini. Nell’altra pagina il sistema Terra Marique by Rare di Manoukian.
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Mihran Rovelli Manoukian, classe 1980 ed un nome che cela origini armene; il suo percorso inizia con una laurea in disegno industriale, conseguita al Politecnico di Milano, e proseguito con una seconda laurea in architettura, presso l’Accademia di Architettura a Mendrisio, in mezzo i primi lavori, la famiglia e l’attività di designer. La scelta di una seconda laurea è funzionale alla necessità di Mihran di colmare un vuoto di conoscenze che per uno che vuole iniziare la carriera di designer sono fondamentali proprio per il legame intrinseco tra design e architettura. Di design si è occupato fin dal primo anno di università realizzando prototipi, in seguito ha collaborato con alcuni studi professionali appassionandosi particolarmente al mondo della stanza da bagno. All’età di 25 anni ha firmato il suo primo soffione per doccia che ha segnato l’inizio di una sperimentazione concettuale attraverso
i vari prodotti legati alla cura del corpo. Attualmente Mihran vive e lavora tra Svizzera e Italia occupandosi di eco-architettura e disegno industriale. A conferma del carattere di innovazione che lo contraddistingue, il suo contributo progettuale è stato insignito anche del Good Design Award 2010 per il sistema Terra Marique. Mario Ferrarini, classe 1978, laureato in architettura al Politecnico di Milano e inizialmente disinteressato al mondo del design cambia idea al 4° anno di università quando un insegnante chiede a lui e ai suoi compagni di disegnare su un foglio bianco un prodotto di design. Nessuno di loro inventa lì per lì qualcosa di nuovo e tutti riproducono un qualcosa di storicamente datato e riconosciuto come di “design”. Il docente voleva dimostrare come la conoscenza della materia fosse assolutamente scarsa tra gli studenti e Mario per primo
vole chiacchierata fatta di scambi di pareri ed esperienze intorno al design oggi e alle concrete possibilità che questo settore offre ai giovani creativi.
decide di colmare questa lacuna iniziando a leggere riviste di settore, facendo studi in autonomia. Crescendo l’interesse verso il mondo del design, decide di approcciare alcuni big per capire come funziona la nascita di un prodotto. Dal 2004 iniziano le consulenze con autorevoli studi internazionali di design e architettura per lo sviluppo prodotti, per gli allestimenti fieristici e l’interior design. Riceve diversi riconoscimenti dal concorso Idee per la Luce nel 2004 al Cristalplant Design Contest, in partnership con Antonio Lupi, oltre a partecipare a diversi eventi e mostre. Attraverso le prime collaborazioni nel 2006 realizza prodotti per aziende come Antonio Lupi, Emmemobili, Nube Italia, Bitossi Ceramiche e Jacuzzi oltre ad occuparsi di progetti di interni, di allestimenti fieristici e come freelance per diversi design magazine. Quello che segue è il risultato di una piace-
Il sacrificio dietro alla volontà di proporre progetti originali e non semplici rivisitazioni
AK: come nasce un designer? Qual è la sua formazione? Mihran Rovelli Manoukian: io nasco come designer industriale però dopo la prima laurea al Politecnico di Milano mi sono reso conto che per affrontare il percorso di designer mi era necessario colmare certi vuoti dovuti ad una carenza di nozioni di architettura, intese anche come contributi umanistici che permettono di leggere tra le righe e potenziare al massimo il connubio architettura e design; per questo ho preso una seconda laurea in architettura scegliendo l’Accademia di Mendrisio in Svizzera. Fin dall’inizio è stata dura anche solo per il fatto di conciliare lavoro, famiglia e studio e dover ripartire da capo con quest’ultimo. AK: il sacrificio è valso ai tuoi scopi? MRM: sì perché oggi ci sono tanti designer o comunque molti che cercano di percorrere questa strada e di proporsi come tali, la conseguenza è una ridondanza di progetti che si scontra con l’economia in calo e l’effettiva possibilità per pochi di emergere. Le soddisfazioni più grandi per me arrivano quando riesco a proporre progetti originali e non semplici rivisitazioni. Arrivare a questo però significa da un lato mettere a frutto gli studi fatti ma dall’altro anche saper gestire fattori che a scuola certo non ti insegnano, ma si possono capire solo con l’esperienza. Si tratta di nozioni di economia e capacità di pubbliche relazioni perché quello del designer è un percorso ad ostacoli, fatto di amicizie e inimicizie con lo scopo di trovare sia il produttore che l’interlocutore finale. Mario Ferrarini: io sono assolutamente d’accordo con te, alla luce della mia esperienza con aziende diverse ho notato che ogni azienda ha un suo programma produttivo legato inevitabilmente al fatturato, per cui determinati prodotti servono proprio per raggiungere questi numeri; a parte resta sì un’area di ricerca e sviluppo, che però ha più lo scopo di dare il nome all’azienda, avvalendosi di designer e AK Adlige Klein 65
DESIGN. DUE PERCORSI A CONFRONTO In questa pagina, Sophie di Mario Ferrarini (Nube). Nell’altra pagina in alto Flù di Mihran Rovelli Manoukian (Dexo) e la seduta Samoa di Mario Ferrarini (Nube).
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creativi famosi. In Italia oggi le aziende hanno la propensione a stare con progettisti già noti per un reciproco vantaggio economico e di prestigio e quindi vengono meno le possibilità per i giovani. AK: ma tu come sei arrivato alle tue collaborazioni attuali? MF: inizialmente dopo la laura in architettura ho lavorato per un anno come architetto ma non mi sentivo realizzato e soddisfatto; parallelamente cresceva anche l’interesse verso il mondo del design e così ho deciso di approcciare alcuni big per capire come funziona la nascita di un prodotto. Ho poi trovato impiego presso uno studio di Carimate (Co) e da qui ho imparato il linguaggio del design, i rapporti sociali da tenere e sviluppare nell’ottica di contatti utili per aprirmi le porte anche ad altre collaborazioni. Sono così arrivato ad aziende di mobili, come Nube Italia, fino alla vincita nel 2008 di un concorso organizzato da Antonio Lupi, azienda leader dell’arredo bagno, che mi ha condotto a questo nuovo settore e poi a quello dei camini. AK: mi sembra di capire che l’università, per la vostra esperienza, non vi ha dato una formazione completa e che per farsi strada è necessaria una sorte di formazione permanente. MRM: sì è per questo che ho deciso per una seconda laurea e tra l’altro in Svizzera, perché se il nostro territorio di provenienza un tempo aveva una posizione privilegiata per quel che concerne il design, oggi non è più così e ho sentito l’esigenza di un’apertura ulteriore.
MF: anche per me il percorso offerto dal Politecnico a posteriori mi è parso forse un po’ troppo lungo e dispersivo e mi fa riflettere il fatto che tra i tanti miei compagni di studi oggi solo pochissimi sono riusciti a realizzarsi facendo qualcosa di valido e soddisfacente. MRM: questo è un punto nodale e si deve necessariamente ritornare al fatto che le aziende italiane non investono sui giovani e preferiscono rimanere legati ai loro creativi storici. Io sono consapevole che ora come ora non potrei mai vedere la mia vita lavorativa unicamente legata al design e ciò che mi salva è la professione di architetto, tuttavia la passione per il design, la voglia di creare e mettersi in gioco è forte e volentieri sono disposto a dei sacrifici, sapendo che se anche non ci sarà un grande ritorno economico resterà la soddisfazione di vedere realizzato il mio prodotto. MF: è una strada difficile, bisogna calcolare anche che i pagamenti avvengono dopo un paio d’anni dalla presentazione del progetto perché così sono i tempi produttivi: dal progetto appunto al prodotto finito in vendita. Il rischio economico è alto e una soluzione come quella delle royalty può essere una buona strada a patto che si punti ad aziende con fatturati davvero alti che possano garantire un buon ritorno. In alternativa, nel caso di aziende piccole, bisognerebbe guadagnarsi la direzione artistica e decidere un pagamento a forfait. AK: invece con i designer del passato come vi rapportate? MF: sono persone e storie che conosco ma
non mi pongo il problema, ovvero non emulo nessuno e soprattutto mi piace ispirarmi nelle mie creazioni a tutte le forme artistiche; se devo citare dei designer odierni indico tra tutti Jean-Marie Massaud. MRM: di fronte ai grandi del passato ho tanto rispetto però sono anche consapevole che hanno vissuto un’età totalmente diversa e imitarli significherebbe cadere in una ridondanza fuori luogo per i nostri tempi correnti. È necessario trovare passioni anche fuori; io se posso cito Carlo Mollino, torinese, ha sempre avuto tante passioni che ha poi fatto confluire nei suoi prodotti. AK: ma è possibile oggi trovare l’unicità nel prodotto industriale? MRM: io penso che l’unicità si ottiene con un elevato grado di differenziazione rispetto ad altri prodotti già esistenti nella stessa categoria merceologica. MF: io non concordo in questo dal momento che oggi il prodotto nasce in ambito industriale e all’unicità ci si può solo avvicinare; in tal senso il designer è un mestiere recente legato agli anni novanta e alla nascita del design industriale, mentre nel passato erano architetti con l’hobby del design che creavano pezzi davvero unici in senso artistico. MRM: dal mio punto di vista invece ci sono dei prodotti che emergono sopra a tutti e di fatto non hanno eguali, anche se prodotti in ambito industriale. AK: e qual è allora il vostro metodo per creare? MF: nel mio caso dipende se c’è committen-
za e quindi un input da cui partire, in genere faccio molta ricerca privilegiando un approccio semplice che soddisfi l’esigenza dell’azienda traducendola in qualcosa di pratico con un’epidermide di magia. MRM: io spesso parto da un’intuizione del tutto personale, è ciò che mi rende vivo e mi porta a seguire e studiare tutto il processo produttivo. La parte difficile e il rischio arrivano poi quando bisogna trovare qualcuno a cui sottoporre l’idea per far partire effettivamente la produzione. MF: io invece l’eccitazione la vivo
quando vedo soddisfatto il cliente che mi ha commissionato il lavoro, prima ho solo dubbi; ho più soddisfazione quasi dalla realizzazione del prodotto che dall’aver avuto l’idea in sé. Questo perché sono molto pragmatico e poco visionario. MRM: però non è da escludere l’ipotesi che tu trovi un committente che risulta entusiasta delle tue idee senza che te le abbia chieste, le due cose non sono in contrasto. MF: si però a differenza tua che ti senti vivo e vibrante nel momento in cui trovi l’idea lampante, nel mio caso resto molto più terra a terra e mi accontento di trovare la soluzione migliore che soddisfi l’azienda e mi permetta di vedere la mia idea portata a compimento. MRM: beh si sono approcci diversi! AK: per concludere, se voleste dare un consiglio a chi vuole come voi tentare la fortuna in questo campo? MRM: io consiglio di non sottovalutare i concorsi perché inaspettatamente possono portare a vittorie e quindi aprire le porte a nuove esperienze. MF: sì rispetto ai concorsi è anche necessario fare una scrematura e saper scegliere quelli più seri, inoltre mi permetto di promuovere la zona del Veneto fatta di gente ottima che ultimamente si sta molto aprendo e dà buone possibilità a noi giovani. Non resta che dire: carpe diem! Apertura mentale, il continuo mettersi in gioco, il proporsi ad aziende… il designer deve anche osare ed essere un buon venditore di sé stesso e delle proprie idee.•
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c-hotel a cassago brianza
vero relax in brianza
Lasciatevi trasportare dalla linearità delle forme e dall’uitilizzo di legni e marmi raffinati
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Sul finire dell’inverno e con l’inizio della primavera nasce spesso il desiderio di una pausa dove anche solo due giorni di stacco possono giovare per una ripresa più vigorosa della propria quotidianità. Le mete sono molte, consumabili tranquillamente in un sabato o una domenica, ma se si volesse trovare qualcosa di particolare e ricercato, poco conosciuto e allo stesso tempo nuova e piacevole sorpresa consigliamo un angolo di Brianza che esce dai percorsi canonici e ci porta nel cuore della Brianza lecchese. A Cassago Brianza, paese che dista soli 15 km da Lecco e 30 da Milano, è aperto infatti da circa un anno e mezzo il C-Hotel&SPA, riconosciuto recentemente come membro di Design Hotel, il brand internazionale che individua e rappresenta i migliori design hotel a livello mondiale. In Italia
ve ne sono solo 19 in totale e attualmente C-Hotel&SPA è l’unico Design Hotel della provincia di Lecco. Per gli amanti del bello, della ricerca estetica, del particolare mai scontato, un soggiorno presso C-Hotel soddisferà pienamente le attese immergendovi in un’atmosfera davvero unica. Colpiscono l’architettura lineare che richiama la pulizia delle forme razionaliste; l’alternarsi del rivestimento chiaro all’esterno con ampie vetrate che catturano luce e calore per un effetto avvolgente; la scelta del marmo all’interno combinato con il design di semplice eleganza del legno degli arredi; chiudendo con il giardino privato, la cui progettazione è stata curata dal paesaggista Emilio Trabella: un’oasi verde con una varietà di piante tale da rievocare in chiave contemporanea il fascino dei giardini italiani
del passato. Il progetto di C-Hotel si è sviluppato con una particolare attenzione ai concetti cardine della bio-architettura, tramite l’utilizzo di tecnologie e domotica integrata che si risolvono in speciali insonorizzazioni, riscaldamento e raffrescamento a pavimento-parete, controllo della qualità e dell’umidità dell’aria, un lcd 32” hd ready in ogni stanza e un lcd 8” hd ready in bagno, connessione internet via cavo nelle camere oltre a quella wifi anche in giardino ed in tutte le aeree comuni. C-Hotel dispone di 18 suites luminose, essenziali e connotate da materiali di rivestimento pregiato in grado di creare un’atmosfera di luce naturale, intensa e suggestiva. La scelta di materiali tanto comuni come vetro, marmo e legno, assemblati in una struttura di piena eleganza e bellezza, rimanda ine-
vitabilmente al paesaggio che circonda il C-Hotel e fa precipitare ulteriormente in un’oasi armonica di relax. Le dolci colline moreniche dell’alta Brianza si alternano qui ad aree pianeggianti e depresse che rivelano l’origine di bacino lacustre; i sentieri interni al Parco Agricolo Sovracomunale della Valletta portano a costeggiare risorgive e torrenti e a scoprire paesaggi rurali molto attrattivi. Nelle immediate vicinanze poi il Parco di Montevecchia e la Val Curone offrono scorci legati ad una lunga tradizione vinicola di filari e vitigni. Il luogo ideale quindi per dedicare del tempo a sé stessi, al proprio riposo, alla propria tranquillità; C-Hotel offre tutto questo tramite la sua C-Spa, una struttura wellness aperta anche alla clientela esterna all’hotel. Una vera oasi di piacere che propone
Nella pagina a sinistra l’ingresso dell’hotel di sera. Qui sopra l’interno di una delle stanze. Ph Colzani
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percorsi termali differenziati e a misura di cliente. Il centro dispone di tre vasche termali, interne ed esterne, bagno turco, cascata tonificante ed energizzante, zona relax e solarium. La vasca termale interna con aereo massaggio è rivestita da un mosaico vitreo con intarsi d’oro, che crea un’atmosfera suggestiva grazie ai ricercati giochi di luce e acqua. La vasca relax esterna è racchiusa nel mezzo di un bosco di lecci, tra suoni e profumi. La vasca salina esterna con nuoto controcorrente dona beneficio alle vie respiratorie, riducendo la stanchezza e rafforzando l’elasticità della pelle. Il centro propone inoltre trattamenti con innovativi prodotti professionali ed esclusive tecniche di massaggio. A completare l’offerta wellness si aggiunge C-Fit, un centro fitness dotato delle moderne attrezzature Tecnogym che si presta anche per percorsi personalizzati e individuali con personal trainer, nonché a corsi specifici per piccoli gruppi. Come sottolinea Andrea Colzani, general manager di C-Hotel, “il successo di C-Fit e di C-Spa è dovuto alla formula a numero chiuso su prenotazione che permette un ambiente non congestionato ma piacevole e rilassato, nel pieno rispetto del wellness psico-fisico”. La Lounge Bistrot inoltre accoglie gli ospiti e la clientela esterna per una pausa che dalla colazione allo spuntino, dal pranzo leggero alla cena ricercata, offre le specialità 70 hotel
della tradizione Colzani. La colazione in particolare impiega la curiosa formula di breakfast à la carte, ed è composta da una accurata selezione dei prodotti artigianali C-Colzani, riconosciuti nel 2009 dal premio Illy “Bar dell’anno” Gambero Rosso. Si può scegliere tra centrifughe naturali, frullati freschissimi, spremute, frutta di qualità, e poi ancora brioches, biscotti, confetture, marmellate, yogurt naturali, cereali, caffè di pregiate miscele, selezione di the e tisane e molto altro ancora. Ancora una volta nulla è lasciato al caso, per un soggiorno di completo benessere e relax; inoltre ora si può scegliere C-Hotel&SPA come meta da regalare o regalarsi tramite pacchetti su misura da spendere in hotel con ExperienceBox, un cofanetto che permette di scegliere e prenotare a propria discrezione percorsi spa, massaggi, rituali, trattamenti, soggiorni. Non mancano neppure piacevoli combinazioni che uniscono soggiorno e oasi benessere a momenti sulla neve, partite a golf, degustazioni enogastronomiche, percorsi in bicicletta e molto altro ancora. Un angolo di Brianza tutto da scoprire, una pausa intelligente per un week-end di puro relax alle porte di Milano, lasciandosi coccolare dalle mani esperte del personale del C-Hotel e facendosi viziare dall’artigianalità pasticcera di CColzani. Info: www.c-hotel.it
Il successo di C-Fit sta nell’ambiente non congestionato ma piacevole e rilassato
Benessere nella vasca. Ph Colzani
La zona lounge. Ph Colzani AK Adlige Klein 71
architettura
IL SOGNO DELLA CASA “COLLEGATA” L’architetto Ugo La Pietra ci parla della sua intuizione di casa telematica. Un progetto nato negli anni 70 confermato dalle attuali tendenze della domotica. di Luca Di Pierro
Architetto La Pietra vuole parlarci della sua intuizione rispetto alla Casa Telematica? Ovvero cosa poteva rappresentare negli anni ‘80 un progetto del genere, pura utopia o intuizione di un qualcosa che si sarebbe presto avverato e concretizzato in un futuro non molto lontano? Devo precisare che il mio primo progetto di Casa Telematica risale ad un decennio precedente quando nel 1972 lo presentai al Moma di New York. L’intuizione era quella di immaginare una realtà in cui si potesse comunicare da casa a casa, da città a città a prescindere da chi avrebbe elaborato i messaggi. Era anche il desiderio di liberarsi dalle imposizioni e dalle costrizioni di una società che comunque non tutelava la libertà di informazione; si sarebbe così aperta la possibilità di un’informazione autogestita, dove nelle città sarebbero stati installati dei video comunicatori e chiunque poteva lasciare messaggi e poi passare a recuperarli, da privato a pubblico e viceversa. Un po’ quello che si è verificato oggi con internet? Esattamente, era un’anticipazione del sistema web che poteva essere riprodotto anche in grandi schermi posizionati in punti della città unendo anche un aspetto di spettacolarizzazione della comunicazione telematica; tuttavia non vi era ancora la possibilità di collocare una strumentazione per lasciare messaggi che poi ognuno poteva recuperare individualmente. Di 72 design
base il desiderio, la molla che ha fatto scaturire questo e altri progetti simili era proprio quello di superare la costrizione in cui l’informazione era costretta allora. E poi come si è evoluto il progetto negli anni ‘80? Si è presentato un nuovo fenomeno comunicativo dato dal connubio TEMPO-SPAZIO dove è mutata la categoria della memoria in relazione allo sviluppo degli strumenti telematici. Nel 1980 con il semiologo Bettetini ho allestito la mostra “Cronografie” alla Biennale di Venezia e insieme abbiamo voluto evidenziare il tema della memoria rispetto all’ambiente e alla società: la Casa Telematica dell’82 riprende poi tutto questo in modo molto marcato e ovviamente con un input insieme celebrativo ed espositivo, tramite il metodo dei modelli. Ovvero? E’ questo un metodo usato nell’ambito della ricerca attraverso il quale si decide di indagare un aspetto della realtà portandone le caratteristiche all’eccesso per provarne e studiarne le conseguenze, provocare quindi una reazione. E cosa è scaturito? Il risultato ricercato e raggiunto è stato quello da un lato di mostrare come la casa telematica intesa come insieme di ap-
parecchiature quali TV, comandi, antenne, segreteria telefonica, videocitofono, tele starter, informatore meteorologico, fosse comunque una realtà concreta e dall’altro lato porre degli interrogativi in merito alle nuove abitudini che si andavano a delineare con essa. Ad esempio: se fino ad allora e anche oggi il modello di salotto che viene venduto e proposto è quello del tavolino al centro con attorno poltrone e divano, che rimanda al rituale della conversazione e del tè, nella casa telematica ho voluto proporre un salotto lineare con incluse negli schienali delle poltrone degli schermi televisivi, ad annunciare la perdita già allora della capacità e della voglia di conversare. Lo stesso per la proposta della camera da letto con due televisioni e il letto che si scompone. Quello che è mutato è la percezione della memoria non più tridimensionale intesa come ricordo vivo, ma bidimensionale perché affidata al nastro magnetico e per la quale abbiamo libertà di disporne senza più le restrizioni del passato. In questo discorso si inserisce perfettamente la corren-
Nel 1980 con il semiologo Bettetini, l’architetto allestisce la mostra “Cronografie” alla Biennale di Venezia allacciandosi al tema della memoria rispetto all’ambiente e alla società: un progetto ripreso dalla Casa Telematica dell’82
te del neo-eclettismo, di cui sono uno degli artefici e promotori, che favorisce l’uso indiscriminato di stili, modelli, visioni e guarda alla storia in modo totale; solo in tal senso è possibile capire la scelta di inserire l’immagine di Marylin Monroe nel bagno della casa telematica o una pianta di alghe nella cucina accanto alle spezie tradizionali. E’ insieme un’apertura al futuro e un recupero del passato nella sua totalità. Come è stata accolta questa Casa dal pubblico e dagli addetti ai lavori? Ovviamente il pubblico si aspettava di vedere modelli futuribili in una mostra del genere e come sempre in questi casi c’è chi ne è uscito entusiasta e chi scandalizzato; invece gli addetti ai lavori hanno dato un consenso positivo all’idea, consenso che è rimasto perché anche negli anni successivi nessun’altro si è più occupato di questo tema e quindi si faceva sempre riferimento a me nel chiedermi materiale e per intervenire a parlarne. Sono stato spesso visto e descritto come grande esperto del tema e AK Adlige Klein 73
LO SCHERMO COME CENTRO DELL’ATTIVITÀ CASALINGA
La casa telematica è da un lato spettacolare ma nel suo essere così spettacolare ha in sé una concettualità che la rende casa nuova, che caratterizza e delinea nuove abitudini e usi abitativi
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supertecnologo, quando invece la mia riflessione e i miei studi sono andati anche nella direzione di recuperare l’importanza delle arti applicate e dell’artigianato artistico da intendere come il craft europeo. Ovvero la possibilità da parte degli altri Paesi di mantenere la piccola produzione contemporanea nell’ambito del design e dell’artigianato, supportata da scuole manuali e luoghi espositivi; in Italia invece con l’avvento dell’industria si è persa questa parte e oggi andiamo ad accogliere questa nuova frontiera che però ormai non ci appartiene più, è stato perso l’artigianato locale e artistico originale. Può spiegarci invece il legame tra il binomio “concettualità-spettacolarità” che ha permeato la sua opera nel corso degli anni ’80 e il progetto della “Casa Telematica”? In che modo questa casa, assolutamente innovativa, era concettuale e spettacolare insieme? Agli inizi degli anni ‘80, occupandomi di verde urbano, ho riscoperto questo legame in un arredo come la panchina che è sì un oggetto confortevole che permette di sedersi e riposare, con un proprio design e quindi spettacolare, ma ha anche una sua concettualità perché è un luogo che diventa punto privilegiato di osservazione. Partendo da questo ho deciso di mante-
nere sempre questi due elementi nel mio lavoro e nelle mie ricerche: la casa telematica è quindi spettacolare da un lato ma nel suo essere così spettacolare ha in sé una concettualità che la rende casa nuova, che caratterizza e delinea nuove abitudini e usi abitativi. Rivolgendo invece una riflessione all’oggi cosa pensa di quella che è la realtà attuale nell’ambito della comunicazione? Mi incuriosisce sempre e non mi spiego la distanza che rimane tra il comportamento dell’individuo e la progettazione e per la quale i designer e gli addetti alla comunicazione non riescono a superare il gap. Ad esempio i designer che ancora oggi progettano divani in piuma d’oca non riflettono sul fatto che le persone quando si siedono sul divano lo fanno per quelle 3/4 ore per guardare la Tv e quindi avrebbero bisogno di una struttura che sostenga e non che avviluppi, altrimenti il rischio è quello di addormentarsi e non riuscire a fruire del mezzo televisivo. Così come nessuno vuole accettare che le giovani generazioni passano quasi l’intera giornata davanti ad uno schermo, è ovvio che allora il modo abitativo cambia ma con esso non cambiano invece le strutture. Abbiamo ancora delle case simili a quelle dei nostri nonni ma usate in modo assolutamente diverso.
Perché questa non volontà di adeguamento ai tempi correnti? Perché è intrinseco nel nostro DNA il bagaglio di ricordi e memorie di un tempo che non c’è più e al quale però siamo comunque legati; la memoria è sicuramente importante e anche il suo mantenimento, però non si può negare che ci sono nuove ritualità su cui si fa poco progetto quando invece sarebbe necessario. Anche per questo ho progettato “la casa nella casa”, una casetta telematica che concentra tutti i comandi racchiusa e contenuta in una casa normale per mantenere da un lato il ricordo e i riti e dall’altro per aprirsi al futuro. Ma a suo parere queste nuove generazioni si aprono al futuro? Ne hanno voglia? Purtroppo no, i giovani restano bloccati, nessuno osa forzare la mano verso le nuove frontiere o comunque ci si muove lentamente. C’è una cultura del fare che punta più alla quantità che alla qualità a differenza di come è stata l’esperienza della mia generazione. Oggi è un tema incentivato, fanno credere che più si produce e consuma e meglio è per uscire dalla crisi; in realtà i modelli alternativi ci sono ma hanno bisogno di progettualità e di rischio, bisogna essere pronti a modificare le proprie abitudini e i gio-
vani oggi preferiscono invece mantenere i pochi privilegi raggiunti. Io di mio ho invece buttato via molto delle cose fatte, anche perché sono state realizzate per dimostrare delle teorie, per permettere lo sviluppo di modelli e procedendo negli anni alcune sono state superate. Senza contare che con tutte le mostre a cui ho partecipato era davvero moltissimo il materiale raccolto e così, quello che non mi veniva comprato, l’ho anche poi eliminato. Questo per dire che comunque io e altri come me abbiamo sempre osato, ricercato, lavorato, insomma forzato certi vincoli e restrizioni. Un’ultima domanda: a chi si è ispirato? Chi sono stati i suoi maestri? Ho avuto tre maestri per lo sviluppo del mio pensiero e del mio lavoro: Lucio Fontana che mi ha insegnato a dipingere; Vittoriano Viganò, architetto degli anni ’50 della corrente brutalista che mi ha trasmesso la passione e un metodo di lavoro nell’ambito architettonico e in ultimo una lettura che mi ha accompagnato con lo slogan “abitare è essere ovunque a casa propria”, si tratta dell’Internazionale Situazionista, una corrente di pensiero che ha influenzato gli anni ‘60 e il ‘68 in particolare. Questo slogan ha segnato per me la rottura tra spazio pubblico e spazio privato.•
I giovani restano bloccati, nessuno osa forzare la mano verso le nuove frontiere. C’è una cultura del fare che punta più alla quantità che alla qualità a differenza di come è stata l’esperienza della mia generazione.
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architettura
domotica. tecnologia invisibile Sistemi di gestione della casa. A che punto siamo? Dove potremo arrivare? di Annalisa Dominoni
Nel suo libro “La forma del futuro” Bruce Sterling immaginava una internet di cose in grado di connettere tutti gli artefatti creati dall’uomo, dagli edifici di una città fino agli oggetti che ci circondano - incrociando sistemi satellitari di rilevamento del posizionamento spaziale per il territorio esterno con sensori integrati negli spazi interni delle abitazioni - e di “misurarli” attraverso la rete. Se guardiamo le innovazioni tecnologiche di questi ultimi anni, soprattutto nei settori che riguardano l’elettronica, i materiali intelligenti e le nanotecnologie, non è difficile prevedere a breve scenari simili in cui sistemi di gestione e controllo di eventi e oggetti permetteranno agli esseri umani di misurare il mondo artificiale attraverso la punta delle dita. Basterà una interfaccia semplice e intuitiva per inventariare la vita delle persone e accumulare la memoria della casa, per registrare cambiamenti, movimenti e gesti in un continuum di spazio tempo. In questo contesto, la definizione di scenari applicativi domotici rappresenta una nuova frontiera su cui i progettisti dovranno confrontarsi per indagare le esigenze future 76 design
della società ed esprimere possibili funzioni e nuovi servizi per l’abitare. Attualmente lo stato dell’arte che accomuna l’offerta sul mercato è l’integrazione e il controllo di tutti gli impianti di un edificio tramite un software personalizzato: dando uno sguardo a un monitor possiamo verificare in tempo reale se ci sono luci accese, qual è la temperatura in ogni stanza, osservare se ci sono presenze in casa, controllare che l’irrigazione sia in funzione, il gas spento, le finestre chiuse etc. Una casa domotica ci garantisce sicurezza, controllo, comfort, benessere e risparmio energetico oltre a una serie di facilitazioni che permettono un livello elevato di personalizzazione nella fruizione degli spazi. Per fare qualche esempio, le tende d’arredo del salone si abbasseranno in caso di troppo sole e si posizioneranno tutte alla stessa altezza, al passaggio si attiverà una musica di sottofondo che accompagnerà discretamente la conversazione, quasi inconsapevolmente il nostro naso percepirà il dolce profumo dell’ambra nel salone o avvertirà l’odore della salsedine nella piscina coperta, appena giunti in veran-
da un sensore intercetterà la nostra presenza ed attiverà un termoconvettore per creare in pochi minuti la temperatura ideale, al variare della luminosità naturale varieranno le luci artificiali che gradualmente si posizioneranno ad un intensità adatta a creare atmosfera, in giardino il sistema memorizzerà i dati, sulla base delle condizioni micro-climatiche e delle diverse essenze, gestirà orari e tempi per una perfetta irrigazione. È evidente come le proposte più all’avanguardia considerino l’uomo e le sue relazioni con l’ambiente circostante in modo sempre più approfondito, dedicando attenzione alla varietà delle percezioni sensoriali che riguardano la vista, sicuramente il senso privilegiato che utilizziamo maggiormente, ma anche l’olfatto, l’udito e il tatto, a favore di una esperienza immersiva nello spazio abitativo più completa e sinestetica, e quindi più gratificante. Non solo le luci, ma anche i profumi, i suoni e la musica, le superfici tattili diventano strumenti di progetto per il designer, elementi scenici di una rappresentazione in continuo divenire che segue, accompagna o anticipa le
mosse degli attori, arricchendone la storia. In Italia negli ultimi tre anni, sia tra gli utenti finali che gli stessi operatori, è aumentato il grado di conoscenza della materia e, conseguentemente, la consapevolezza dei vantaggi legati alle tecnologie domotiche. Da parte dell’offerta c’è stato un grande impegno nella comunicazione dei nuovi prodotti. Le principali aziende elettriche operanti nel settore residenziale hanno lanciato sul mercato soluzioni domotiche di base, insieme alle forniture di materiale elettrico tradizionale. Sono stati avviati importanti piani di formazione destinati agli installatori, al fine di trasferire loro le conoscenze circa le nuove modalità di realizzazione degli impianti e quelle aziende maggiormente orientate agli impianti avanzati hanno creato reti di system integrator in grado di fornire soluzioni domotiche con alti livelli di integrazione e comunicazione avanzate anche su internet. In questo momento sono due le fasce di mercato che si stanno sviluppando in modo importante. La prima è quella delle applicazioni avanzate, caratterizzata da un’utenza evoluta, che conosce le tecnologie domotiche e ne ap-
I VANTAGGI della casa domotica sicurezza, controllo, comfort, benessere e risparmio energetico
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Il bisogno maggiormante sentito riguarda la semplicità d’uso di queste tecnologie: via libera quindi alle interfacce semplici ed integrate
prezza i vantaggi. La seconda è quella degli impianti di base resi disponibili dalle imprese di costruzione, consapevoli di una domanda sempre più in crescita e del valore che acquista un’abitazione dotata di un impianto domotico di base, eventualmente implementabile ed espandibile in base alle specifiche esigenze del cliente. L’applicazione più richiesta è sempre la sicurezza, sia per il comparto pubblico sia privato, che vede un numero sempre maggiore di installatori avvicinasi alla cultura domotica, intravedendo in questo mercato un interessante sbocco per il proprio business. Anche le applicazioni relative al comfort ambientale sono numerose in virtù del risparmio energetico che ne deriva, pari a circa il 30-35% in meno rispetto ai consumi tradizionali. Il bisogno che emerge maggiormente tra i consumatori è la semplicità di utilizzo dell’interfaccia del sistema, sia per quanto concerne la gestione da remoto dell’impianto che la creazione degli scenari. Nel concreto, l’utente chiede, ad esempio, di poter alzare e abbassare le tapparelle, accendere e spegnere le luci, inserire e disinserire il sistema di allarme attraverso un unico comando. Trop78 design
pe interfacce da gestire lo confondono. Per questo motivo predilige interfacce semplici, come l’utilizzo di touch-screen, che offrono la possibilità di impostare comandi di scenari e attivare una serie di funzioni. L’efficienza di un sistema dipende infatti dalla facilità di programmazione che consente, di conseguenza, di adattarsi alle esigenze di personalizzazione di ogni cliente. Il limite del comparto domotico per ora è legato alla comunicazione tra sistemi che, non operando attraverso un unico standard, riduce le possibilità di interazione tra i vari dispositivi. Ogni società utilizza protocolli diversi vincolando l’utente a un rapporto di esclusività verso una determinata casa produttrice. L’esigenza di superare questo problema attraverso l’idea di realizzare un protocollo di comunicazione globale che sia in grado di integrare tutti i diversi linguaggi, nascondendone le differenze e aumentandone le potenzialità, converge inevitabilmente verso la rete e la internet di cose. Significherebbe regolare il riscaldamento o l’aerazione attraverso l’ iPhone o l’iPad, farsi avvisare dalla lavatrice su Twitter quando ha terminato di lavare i panni, affidarsi a un sistema che in automa-
tico possa attivare la lavatrice a mezzanotte perché l’elettricità costa meno, o mettere in pausa il condizionatore mentre il forno è acceso. Diversi studi si stanno muovendo in questa direzione cercando di creare un’interoperatività tra i vari sistemi, conseguibile tramite un collegamento che sfrutta la rete locale. Gli edifici dovranno essere predisposti per integrare reti locali collegate a internet in modo stabile all’interno delle abitazioni, in modo che sia possibile la fornitura di servizi, la comunicazione tra sistemi, sotto-sistemi e componenti, oltre alla comunicazione via web. Il nuovo sistema permetterà, probabilmente attraverso una licenza open source disponibile a tutti, di adattarsi e integrarsi liberamente alle esigenze di ogni utente supportando la descrizione di ambienti domotici misti e consentendo la progettazione e realizzazione
In futuro si potrà regolare il riscaldamento o l’aerazione attraverso l’ iPhone o l’iPad, o anche farsi avvisare dalla lavatrice su Twitter quando ha terminato di lavare i panni
di meccanismi più avanzati di intelligenza ambientale. E proprio perché la domotica si avvale di processi e sistemi intelligenti che non richiedono una modifica sostanziale dell’architettura degli spazi e degli ambienti resta invisibile. A parte l’integrazione di impianti e sistemi all’interno della struttura degli edifici, che rimangono nascosti alla vista, non ci sono segnali formali ed estetici visibili che caratterizzano una casa domotica del futuro da una tradizionale. Paradossalmente un edificio rinascimentale potrebbe funzionare attraverso criteri di intelligenza ambientale senza mostrare apparentemente alcuna alterazione stilistica. Se ben progettata la casa domotica funziona autonomamente senza che gli abitanti dei suoi spazi se ne accorgano, assecondando le esigenze personali e percettive dei singoli, gestendo nel migliore dei modi i principi della bioclimatica e l’energia solare, monitorando prestazioni, utilizzi e consumi come ormai vuole la consuetudine degli edifici intelligenti.•
Una ricerca rivolta alle missioni spaziali e alla vita negli ambienti estremi
L’autrice ANNALISA DOMINONI Annalisa Dominoni è architetto, designer e giornalista. Ha conseguito il PhD in disegno industriale. È Professore presso la Facoltà del Design e la Scuola di Dottorato di Ricerca del Politecnico di Milano e presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. È Visiting Professor di diverse università internazionali. Svolge attività di ricerca presso il Dipartimento INDACO del Politecnico di Milano. I suoi studi convergono su tematiche di alta innovazione tecnologica per il design e su strategie di creatività per incrementare le capacità progettuali. Realizza progetti con enti di ricerca, come ENEA, e agenzie spaziali quali ASI, ESA e NASA nell’area aerospaziale e ambienti estremi (spazi interplanetari a gravità ridotta, aree antartiche e desertiche, incremento di performance per attività di pericolo e di emergenza etc.) con particolare attenzione rivolta all’innovazione, sia nei suoi aspetti tecnologici che strategici, ma anche alle dinamiche psico-fisiologiche, emozionali e percettive che riguardano le interazioni fra operatore e strumento (soprattutto in microgravità). Sviluppa ricerche progettuali finalizzate a facilitare le missioni umane nello spazio incrementando il comfort e il benessere degli utenti attraverso una progettazione dell’uso e del gesto mirata a ottimizzare la relazione tra operatore, strumento, innovazione tecnologica e ambiente. Principal Investigator dell’esperimento GOAL, Garments for Orbital Activities in weigthLessness, Missione ENEIDE, ESA, European Space Agency, Aprile 2005. Principal Investigator dell’esperimento VEST, un sistema integrato di abbigliamento per attività intraveicolari (IVA), Missione MARCO POLO, ASI, Agenzia Spaziale Italiana, Aprile 2002. È membro dei seguenti comitati scientifici e tecnologici internazionali: AIAA, American Institute of Aeronautics & Astronautics, DECT, Design Engineering Technical Committee, ASASC, Aerospace Architecture Committee.I risultati dei suoi progetti di ricerca sono stati presentati a simposi internazionali e pubblicati su riviste scientifiche. Ha scritto i libri Disegno industriale per la progettazione spaziale e Esercizi creativi di design. Il processo creativo nel design del prodotto ambientale per la didattica. AK Adlige Klein 79
design
l’unione tra design e ARtigianato In Italia la nuova unione tra artigianato e industria. Così finalmente si recupera la cultura del fare. dell’arch. Ugo La Pietra
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Per decenni il nostro artigianato è stato impoverito da ciò che lo ha alimentato nei secoli e si è ritrovato sempre più a lavorare su se stesso ripetendo spesso in modo esasperato i modelli del passato...
Per troppi anni il mondo che ha sviluppato l’area disciplinare “disegno industriale” (più brevemente detta design) ha trascurato buona parte delle arti applicate e quindi la nostra grande tradizione artigianale. Dopo le ultime esperienze (degli anni Cinquanta) tra Gio Ponti e alcuni artigiani (Sabattini, De Poli, Fornasetti) è stato sempre più raro il rapporto tra la cultura del progetto e la cultura del fare. Così per decenni il nostro artigianato è stato impoverito da ciò che lo ha alimentato nei secoli e si è ritrovato sempre più a lavorare su se stesso ripetendo spesso in modo esasperato i modelli del passato. Il divario tra design e artigianato diventò sempre più grande, fino agli Ottanta quando ci si rese conto che il 70% della produzione del mobile e dell’oggetto d’arredo era una produzione legata ai modelli del passato: mobile in stile, mobile classico! Questo grande patrimonio di capacità fattuale, sommerso all’interno di un’area classicheggiante spesso disprezzata, di fatto fu riscoperta, non per i suoi contenuti, ma per aver conservato tecniche di lavorazione che il mondo del design aveva ormai dimenticato. Ricordo quindi come, negli anni Ottanta, tutta una serie di mostre che organizzai ad Abitare il Tempo (Verona), ad Abitare con Arte (Milano), alla Fortezza da Basso (Firenze) erano di fatto rivolte a valorizzare i vari territori dove era ancora vitale l’artigianato di tradizione, facendo incontrare per la prima volta dopo tanti anni la cultura del progetto con la cultura del fare. Ne uscirono intere collezioni di oggetti (in mosaico, vetro, ceramica, alabastro, legno intarsiato, intagliato, tornito, pietre e marmi) che furono presentate in diverse mostre. Oggetti preziosi, “fatti ad arte”, ma che non
sempre rappresentavano per gli artigiani un possibile sviluppo della loro attività, per la difficoltà che quel tipo di oggetti incontravano nelle vendite. Sono passati più di vent’anni e le cose, almeno dal punto di vista commerciale, sono cambiate: basterebbe notare come “quegli artigiani” oggi stanno svuotando i loro fondi di magazzino, in cui si erano accumulati gli oggetti “fatti ad arte” sperimentali, per soddisfare un crescente interesse nel mondo del collezionismo internazionale. Interesse alimentato anche dall’attività di nuove generazioni di creativi sempre più impegnati nella realizzazione (autoproduzione) di oggetti artistici. Oggetti sempre più vicini al mondo dell’artigianato, anche se spesso realizzati con tecniche e materiali non necessariamente della tradizione, come il silicone o materiali di recupero e di riciclo. A tutto questo si deve aggiungere una sempre maggiore attenzione del design nei confronti delle arti applicate. Il design sta finalmente recuperando quei “valori aggiunti” (capacità manuale, lavorazione dei materiali anche con tecniche tradizionali) che da troppo tempo erano caratteristiche dell’artigianato. Il nostro design, che non ha mai lavorato per i grandi numeri, si sta rendendo conto che può ancora primeggiare sui mercati internazionali usando non solo la nostra creatività (che viene rapidamente assimilata da altri mercati) ma anche l’arte di fare e costruire. Oggetti quindi “fatti ad arte” che si pongono sul mercato in piccole produzioni, evidenziando sempre di più collezioni che caratterizzano l’attività di Editori. Sono esperienze che troviamo sempre più spesso nelle mostre collaterali dei grandi saloni dedicati al design, come il Salone del Mobile di Milano. Sta crescendo un collezionismo a carattere
internazionale che non solo apprezza (come da tempo si sta verificando) il nostro modernariato attraverso i pezzi storici di Mollino, Ponti, Albini, Zanuso, Magistretti, ma che si muove sempre di più verso il nostro design fatto di oggetti d’eccezione. C’è solo un difetto, non così piccolo, in questo nuovo mercato che si esprime nella definizione di oggetti dove non è mai evidenziato l’artefice o la bottega d’arte in cui l’opera viene realizzata. E se è vero che questi oggetti “fatti ad arte” devono il loro valore non solo al progetto ma anche alla maestria di chi li realizza, sarebbe opportuno che gli editori cominciassero ad affiancare al nome del progettista anche quello dell’artefice. Così riporteremmo lentamente il nostro artigianato ed essere protagonista: scambiando con quest’ultimo esperienze e sperimentazioni e riportando in uso quella bella abitudine (spesso praticata da Gio Ponti) di dialogo tra progettista e artigiano.• Nella pagina a sinistra, in alto: mobile bar Brindiamo all’Europa Unita, di Ugo La Pietra, realizzato da F.lli Boffi (Lentate sul Seveso), 2009. Nella pagina a sinistra, sotto: centrotavola Ciliegie, di Ugo La Pietra, realizzato a Murano da Simone Cenedese per Fatto ad Arte Edizioni; salvadanaio Souvenir di Albisola, di Ugo La Pietra, realizzato da Ernan, Albisola, 2006.
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In alto: gli studenti della Scuola Mosaicisti del Friuli (Spilimbergo, PN) durante il restauro di un pavimento musivo. Sopra a sinistra: tavolino di Ugo Marano realizzato da Varnerin Leandre, 1997. Sopra a destra: le tessere vetrose per la realizzazione dei mosaici.
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il mosaico di spilimbergo dell’arch. Ugo La Pietra
La grande tradizione dell’arte musiva è, ancora oggi, presente sul nostro territorio e conserva tutto il fascino di una tecnica che è fatta di gesti antichi, di valori cromatici, di luci e bagliori. Le grandi scuole ancora presenti, Ravenna (Emilia Romagna), Spilimbergo (Friuli Venezia Giulia), Monreale (Sicilia) rappresentano tre territori in cui è vitale la tradizione del mosaico. Ma è soprattutto il territorio di Spilimbergo che rappresenta a livello mondiale una grande area di elaborazione e produzione: fare mosaico è, di fatto, ancora considerato una delle specialità più nobili dell’artigianato friulano. Questa antica arte affonda le proprie radici nel periodo della Roma Repubblicana a cui si devono aggiungere i mosaici di fattura aquileiense (nella zona da Aquileia a Grado). I “tessellarii” ed i “musivarii” dell’epoca romana, che producevano mosaici ricchi di colori e di segni d’oriente, hanno lasciato mille eredi che ancora oggi sviluppano l’arte musiva sminuzzando i ciottoli colorati del Tagliamento o dei tanti torrenti di montagna. Dopo secoli di difficile sopravvivenza ma di ostinata conservazione è ritornata per il mosaico la stagione felice. Un segnale importante per questo processo è, nel 1922, la nascita, ad opera della Società Umanitaria di Milano, della Scuola Mosaicisti del Friuli. Una scuola che ha mantenuto viva la grande tradizione e ha saputo sviluppare nuove strade di ricerca e sperimentazione, non dimenticando mai che l’artista-artigiano del mosaico deve saper giustapporre le tessere, piccoli frammenti ottenuti attraverso un’abile operazione di rottura da nuclei più grandi, e deve avere la capacità di accostare elementi tra loro differenti per forma, colore (qualche volta anche spessore!) per ottenere una superficie capace di raccontare per immagini in
grado di vibrare se sollecitate dalla luce. L’artigiano artista che opera in Friuli, e in particolare nell’area di Spilimbergo, è distinto dalla capacità di aggregarsi e collaborare con altri artigiani per la realizzazione di grandi lavori commissionati da tutto il mondo. Le tante esperienze, e le sempre più numerose opere, hanno dato all’artigiano artista una competenza e una versatilità superiore ai propri colleghi di altre aree come Ravenna e Monreale, sviluppando diverse tecniche: mosaico come pittura perenne sulle grandi superfici di pareti e di pavimenti, mosaico come materia da plasmare, mosaico da comporre o da stendere a tutto tondo per opere tridimensionali (sculture, oggetti d’uso domestico o per spazi urbani). Diverse tipologie con diverse tecniche, dalle tessere in pietra a spessore variabile con superficie grezza o levigata, a tessere di smalto lucente, di vetro o d’oro. Ma tutto il sistema Mosaico di Spilimbergo non avrebbe la sua giusta fama di artigianato contemporaneo se tralasciassimo di ricordare le tante occasioni in cui è stato reintrodotto il “progetto” di design: nuove proposte all’interno delle varie strutture artigiane (si vedano ad esempio “Abitare il Tempo” a Verona nel 1999/2000, “Territori di Mosaico”, La Mia Casa a Milano 1999) che hanno consentito di sviluppare nuovi sbocchi produttivi e rinnovare proposte progettuali. Il “progetto” di fatto rappresenta un forte contributo al sistema produttivo artigianale, consentendo di superare modelli ripetitivi o legati a stagioni culturali ormai superate. È pur vero che nel passato, anche recente, molti artisti si sono avvicinati a questa antica arte e molta strada è stata fatta da quando Gino Severini, parlando del mosaico, diceva: «I colori più vivi, i contrasti più sapienti e arditi, moltiplicano i valori pittorici, creando
un tessuto cromatico così complesso e smagliante, luminoso e sonoro, da potersi paragonare ad una sinfonia.» Oggi credo che il miglior modo di contribuire alla crescita di questa arte sia di fornire progetti più vicini al modo di fare dell’artigiano, superando quella fase “interpretativa” che negli anni Cinquanta e Sessanta vedeva il mosaicista operare sotto la direzione del pittore che tendeva a mantenere, attraverso il mezzo, tutti i valori della ricerca pittorica alla base della sua opera. A questo atteggiamento progettuale si sono aggiunte nuove tipologie rispetto alle tradizionali composizioni per pavimenti e pareti. Temi legati ad “oggetti” per le nostre case e per i nostri spazi collettivi, con i progetti fatti per “il sistema costruttivo” del mosaico e non con disegni e dipinti di artisti che l’artigiano cerca di “interpretare”. Sono nate così diverse opere realizzate da artigiani: “oggetti d’eccezione”, specchi, tavoli, consolle, orologi, mensole, vasi... Oggetti funzionali e non, opere di grande suggestione, come “La grande Onda” realizzata dai friulani Mosaic Line e Mosaici Marcuzzi, la mensola a forma di “Casette friulane” o il sottopentola “Souvenir di Spilimbergo”. Con queste e altre opere realizzate negli ultimi trent’anni posso dire che la grande tradizione del mosaico è stata rinnovata entrando a pieno diritto nel nostro paesaggio domestico.• AK Adlige Klein 83
Design - Vitteritti Arredamenti
le proposte salvaspazio Nella foto sopra il letto Line di Berloni Nell’altra pagina: sopra la soluzione Pratika di Berloni; sotto il sistema Close & Cabinet di Zemma;
Proposta A: quando è necessario un guardaroba ben organizzato. Dall’esterno non si vedrà l’armadio, in realtà Pratika proposta da Berloni è una vera e propria cabina spogliatoio disponibile con pannelli in finitura nobilitato o laccato in tantissimi colori, di diverse larghezze e altezze, con ante a chiusura battente, scorrevole o a libro laccate o in cristallo. I pannelli sono modulari di diverse dimensioni, attrezzabili con molteplici accessori per adattare il guardaroba alle proprie esigenze rendendolo uno spazio accogliente ed ordinato dove trovare sempre ciò che serve e in totale privacy. Proposta B: quando lo spazio è poco ma servono contenitori in più. Oggioni è dal 1988 lo specialista dei letti salva spazio, un’intuizione semplice e innovativa che risolve il problema del dormire in modo confortevole e del recuperare spazio
nella camera da letto. Ogni letto Oggioni infatti nasconde sotto il materasso un contenitore che permette di essere usato come armadio-ripostiglio, facile da aprire senza sforzi, garantito per 15.000 aperture, facile da pulire e mantenere. La casa apparirà naturalmente più grande e confortevole. Non resterà che la scelta degli abbinamenti di colore, materiali ed accessori che meglio si intonano alla propria camera. Proposta C: quando lo spazio c’è e….via libera alla fantasia. Il letto Line Berloni grazie al suo design particolare si presta ad essere completato oltre che dai normali gruppi letto, quindi comodini, cassettoni, comò e settimanali, anche da elementi sospesi e in appoggio mutuati dal programma giorno. Anche la camera da letto quindi diventa area di progetto con possibilità di proposte più o meno articolate e personalizzate in un gioco di
Arredamenti Vitteritti&C. Olgiate Comasco (Co) – Via Roma, 141 Tel. 031 943352 – berloni@arredamentivitteritti.it Castiglione Olona (Va) – Via C. Battisti, 13 Tel. 0331 071544 – castiglione@arredamentivitteritti.it
scambi e composizioni tra elementi tipici della zona notte e altrettanti della zona giorno, in un continuum sensato e coerente di linee e colori. Proposta D: quando anche gli spazi più difficili diventano una risorsa. Il sistema Close and Cabinet consente di sfruttare, attrezzare e chiudere alla vista qualsiasi spazio si abbia a disposizione. Vani sottotetto, nicchie, sottoscala ecc. con Close and Cabinet diventeranno armadi, ripostigli, zone ufficio. Una soluzione semplice e geniale per sfruttare e organizzare le funzioni dell’abitare con attrezzature e sistemi di chiusura dove il “su misura” è di serie.•
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design - vetrina
LA VIA DEL FUTURO
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LA VIA DEI TESSUTI IN QUESTA PAGINA Tovaglie della collezione Zara Home NELL’ALTRA PAGINA Sopra: parure Cervino di Malo Al centro: due carrè di Hermès Sotto a sinistra: parure Finiseta New di Hometrends Sotto a destra: Khaty di Blumarine
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arte
neL CUORE della DIGITAL ART Scopriamo insieme Rita Sà, prima eccentrica vj e oggi artista dei nuovi media di Martina Moretti
Rita Sá è una giovane pittrice e artista di animazione nata a Lisbona, in Portogallo, nel 1980 che attualmente vive e lavora tra New York e Lisbona. Proveniente da una famiglia che ha sempre avuto un grande interesse per l’arte e l’architettura, grande influenza sul suo lavoro di animazione l’ha avuta anche l’essere cresciuta con MTV e Cartoon Network. Ha studiato pittura presso la Facoltà di Belle Arti dell’Università di Lisbona e durante questo periodo ha iniziato a sviluppare - usando al tempo Flash 4 – cortometraggi animati che erano intesi come una sovversione di spot televisivi. Influenzata in quel periodo da artisti come Jenny Holzer e Barbara Kruger, queste opere erano state pensate per diventare VJ (Video Jockey). Ha suonato in diversi luoghi, accanto a diversi musicisti e dj, in Portogallo e anche a New York. È stata poi invitata dal gruppo Wordsong a realizzare la grafica per le loro esibizioni dal vivo per il progetto Wordsong Pessoa, uno spettacolo che ha reinterpretato musicalmente la poesia di Fernando Pessoa. Nel 2006, durante i Portuguese Multimedia Awards, questo progetto vinse il premio come 90 arte
Il lavoro di Rita nasce anche dal suo confronto tra le interazioni sociali tradizionali a quelle nuove, frutto dell’evoluzione degli ambienti digitali
In questa pagina un fotogramma tratto da A Single Time (2008). Nella pagina a fianco l’installazione e un fotogramma da Fractions of a Room (2008). Nella pagina a seguire due momenti di Instances of Commediation (2009).
“Best Hybrid Project of The Year”. Wordsong Pessoa è diventato anche show itinerante e nel 2008 è stato presentato a Trieste all’interno del Festival “Absolute Poetry”. Nel frattempo Rita si è trasferita a New York nel 2005 e nel 2007 è stata premiata con due borse di studio: una di studio congiunto della Fondazione Gulbenkian e Luso American Foundation e un’altra del dipartimento di Computer Art SVA. Questo le ha permesso di conseguire il master presso la School of Visual Arts in Computer Art. Durante questo periodo ha iniziato a concentrare il suo lavoro sullo studio dei comportamenti e delle pratiche sociali, con un successivo confronto tra le interazioni sociali tradizionali a quelle nuove, frutto dell’evoluzione degli ambienti digitali e relativi strumenti a cui abbiamo sempre di più accesso ogni giorno. Da allora il lavoro di Rita si è sempre profilato come ricerca e bilanciamento tra i media tradizionali e quelli di nuova generazione, giungendo alla conclusione che come nel caso degli animali si sta assistendo ad un processo di adeguamento dei comportamenti umani in relaAK Adlige Klein 91
Instances of Commediation (2009).
Rita Sà. Nel cuore della Digital Art zione ai nuovi strumenti di interazione sociale. Un orientamento questo evidente nell’opera di Rita “Instances of Commediation”, un’installazione multicanale, nonché suo lavoro di tesi, che è stata esposta presso la Galleria Westside di New York nel 2009, e la galleria d’arte di Siggraph Asia a Yokohama, in Giappone, sempre nello stesso anno. Recentemente la giovane artista ha pubblicato un progetto online basato sulle variazioni linguistiche che sono state percepite nell’ambito dei social media tramite un uso diverso dei simboli linguistici che assumono qui significanti differanti. Il titolo è “Emo e Tick” e possono essere visti al sito www. emoandtick.com A New York ha avuto occasione di esporre e far conoscere la sua opera in diverse gallerie come la Visual Arts Gallery, la Galleria Westside, l’Exit Club e il Wild Project NYC. Più di recente ha avuto la sua prima mostra personale alla 255 Canal Gallery ed è stata invitata anche a tenere conferenze come visiting artist nelle scuole come la Parsons - The New School for Design, il Pratt Institute e la School of Visual Arts.• 92 arte
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erika trojer Arte del riciclo. A Cernobbio Erika plasma creazioni a partire da quello che la società si rifiuta di vedere e toccare: la spazzatura. di Martina Moretti
ERIKA E LO SPAZIO-FORNO Mi accoglie sorridendo Erika Trojer, un sorriso che trasmette serenità, gioia, passione ed entusiasmo per il suo lavoro. Tutto è contenuto all’interno del suo laboratorio proprio alle spalle della Villa di Luchino Visconti a Cernobbio, quasi nascosto dagli occhi dei passanti: è lo Spazio Forno, in origine il vecchio forno del paesino lacustre, che Erika con il marito ha recuperato e trasformato nel suo paradiso personale e rifugio. Mi dice “c’è chi per rilassarsi e stare bene con sé stesso fa yoga, a me invece basta entrare qui e creare”. Perché Erika in questo suo laboratorio, sorprendentemente ordinato nonostante assembli, incolli, tagli e lavori fisicamente i suoi materiali, crea magicamente dal nulla bellissime opere d’arte con la particolarità di recuperare oggetti destinati al macero o alla spazzatura. UNA PASSIONE CASUALE Così mi mostra lampade da terra con un paralume interamente composto da occhiali 3D che un multisala gettava 94 arte
via, un crocifisso dato da scarti di cornici, un villaggio berbero creato utilizzando i cartoni da imballaggio… insomma un viaggio affascinante e sorprendente che porta a riflettere come tante cose che le persone normali vedono semplici rifiuti nella mente e negli occhi di Erika assumono invece forme inedite e bellissime. Una passione e una creatività che neppure lei sapeva di avere e che ha scoperto casualmente quando, dopo una lunga esperienza come modella che l’ha portata a girare il mondo in lungo e in largo lontana da San Candido, suo paese d’origine in Alto Adige, ha deciso di trasferirsi da Milano a Cernobbio e qui crescere i suoi figli. Un giorno, avvicinandosi il compleanno del marito Enzo e non sapendo cosa regalargli senza cadere nella banalità, decide di creare lei stessa un quadro recuperando vecchie foto che ha tagliato e assemblato secondo una mappa cromatica a rappresentare il segno zodiacale di Enzo. “Proprio in quel momento sul prato all’aperto a scegliere, tagliare ed incollare le foto ho provato una profonda felicità, senso di pace e realizzazione perché una donna deve anche ritagliarsi uno
spazio tutto suo al di là dell’essere moglie e madre” e da allora Erika non si è più fermata. La scelta di creare utilizzando materiali di scarto e di riciclo è stata anticipatoria di quella che oggi è una vera moda per molti artisti; nel suo caso però questo si lega alle sue origini, alla sua famiglia. “Una famiglia semplice, dove si aveva il necessario e dove spesso mia madre cuciva o faceva per me e mia sorella abiti e maglioni che ci si passava quando diventavano troppo piccoli per l’una o per l’altra”. Ancora oggi Erika ama girare per mercatini alla scoperta di pezzi unici, vintage, che racchiudono una storia e che nel loro non essere perfetti, perché ovviamente segnati dal tempo, custodiscono insieme ricordi e storie. Viene quindi facile comprendere la scelta di ristrutturare il vecchio forno a Cernobbio e destinarlo ad essere il proprio atelier, o ancora dedicarsi al recupero di vecchi masi in Trentino – “dove ho ancora un pezzo di cuore” – per trasmettere e mantenere il ricordo di epoche e tradizioni passate.
Erika mi mostra lampade da terra con un paralume interamente composto da occhiali 3D che un multisala gettava via, un villaggio berbero creato con i cartoni da imballaggio...
Sopra, un’opera realizzata a partire da cartucce per armi
LIBERTÀ CREATIVA Le sue opere racchiudono tutta questa profondità, data dall’amore per la natura e il suo rispetto e la curiosità verso l’Uomo e le sue storie, che gli oggetti della quotidianità raccolgono e trasmettono. AK Adlige Klein 95
ERIKA TROJER E L’ARTE DEL RICICLO
JUST RUST
sopra a destra
SUNGLASSES LAMP
sopra nell’altra pagina
CITTÀ DI CARTONE
sotto nell’altra pagina
Oggi sono diverse le persone che conoscendola fanno recapitare ad Erika sacchi di lattine vuote, tappi di bottiglia, stoffe, scarti di cartone… sapendo già di contribuire alla creazione di qualche inedita opera d’arte. Come mi racconta “il bello di questo lavoro, di questa mia passione è che sono sola, non ho un gallerista, per cui sono libera di creare a mio piacimento, seguendo solo quello che mi suggerisce la mente e lo stato d’animo del momento; solo così posso continuare a stare bene, se dovessi seguire un’imposizione esterna tutta la mia creatività e serenità verrebbero meno”. Così Erika spesse volte regala le sue opere agli amici e raramente lavora su commissione; spesso ultimamente le persone che apprezzano il suo lavoro la chiamano per consulenze su come arredare la propria casa, ma poi lasciano a lei la libertà di creare. JUST RUST Le ultime novità del suo lavoro contemplano anche la realizzazione di una linea di mobili e complementi di arredo 96 arte
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Il bello di questo lavoro,
di questa mia passione è che sono sola, non ho un gallerista, per cui sono libera di creare a mio piacimento; solo così posso continuare a stare bene, se dovessi seguire un’imposizione esterna tutta la mia creatività e serenità verrebbero meno.
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IL PESCATORE
in ferro lasciato arrugginire dal tempo e con cuciture a vista, per rispettare sempre la sua filosofia e creare l’effetto di un vecchio cuoio cucito. Il nome? Ovviamente “Just Rust”. Nel salutarla le chiedo come si vede e a cosa aspira per il suo futuro; ricalcando e confermando la sua semplicità mi dice che “vivo giorno per giorno, non mi faccio programmi ed illusioni; prima di tutto vengono i miei figli e la mia famiglia, sono già una persona fortunata per poter fare quello che faccio, non potrei chiedere di più!”. E forse propria questa sua umiltà e questo suo sminuirsi arricchisce il suo lavoro, rendendolo autentica passione, sempre più apprezzato in Italia e all’estero.• In queste pagine alcune opere di Erika Trojer, a destra Erika al lavoro e un suo primo piano
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Beauty Center Paolo
protagonista il volume Beauty Center Paolo è il salone parrucchieri per eccellenza. Con i suoi 35 anni di esperienza e formazione in Europa, Paolo ha composto un’equipe altrettanto formata e professionale, creando così una squadra affiatata e qualificata. Nel suo salone ogni cliente è ascoltato e riceve il servizio più adatto alle sue esigenze. Ogni servizio è strettamente personalizzato. Colori sempre alla moda, nuovi e brillanti e anche vegetali. Contrasti realizzati sempre con nuove tecniche al passo con i tempi. Tagli moderni, di tendenza e personalizzati. Nuove tecniche di allungamento e infoltimento, con metodo SHE by SO.CAP. , seguendo passo dopo passo la cliente. Trattamenti cosmetici e curativi adatti a qualsiasi problematica. Ecco quindi che dalla continua ricerca e voglia di nuovi stimoli nasce la collabora-
zione con ART HAIR STUDIOS che ha come filosofia “essere riconosciuti dai clienti come i migliori parrucchieri della propria zona”! Per la nuova stagione primavera-estate 2011 il mood al centro delle ricerche Art Hair Studio è dato da una riflessione su estetica e bellezza associate alla natura e all’ambiente, così come sono state percepite dai trend setter di tutto il mondo. Così si spiega il ritorno al colore giallo; colore della fertilità e della regalità, che dona a chi lo indossa energia, forza e vitalità. Ma non solo giallo, più in generale sono i colori della terra e il ritorno ad essa che ispirano la collezione estiva di Art Hair Studios: tornare alla terra, riappropriarsi di una saggezza dimenticata e contrapporre il buon selvaggio all’individuo corrotto anche nell’ottica di un nuovo rispetto che si traduce in sostenibilità ambientale. La donna che emerge
da questa visione è una nuova vestale, divisa tra eterea eleganza e femminilità autentica; angelo del focolare ma senza rinunciare all’intransigenza e al fascino dell’indipendenza. Un look che ridisegna forme e volumi, tra dolcezza e austerità, assolutamente versatile e pronto a modellarsi sulle teste di donne decise e di carattere, con un nocciolo nascosto di profonda femminilità.• Beauty Center Paolo Via Roma,70 – 22077 Olgiate C.sco (CO) tel. 031946436 Via Matteotti, 10 – 21046 Malnate (VA) tel. 0332 425301 info@paolobeautycenter.com
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moda
l’emozione della ricerca Rocco Iannone ci parla della sua moda sognante, sempre in bilico con il suo desiderio di equilibrio ed estetica pura
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ROCCO IANNONE Essere stilista, perché?: Sono due i motivi principali che mi hanno spinto a scegliere la moda: c’è un aspetto soggettivo che ha a che fare con una forma di compensazione, che mi aiuta a stare bene, a sentirmi felice, a viaggiare con la mente e a sognare una certa realtà e mi permette di approcciare la moda da un punto di vista più sognante, intimo e confortante; ma esiste anche un aspetto più oggettivo, che ha a che fare con una certa esigenza estetica, l’importanza di vedere un certo equilibrio nelle forme, di riscontrare una determinata armonia nell’accostamento dei colori, un matrimonio di intenti che deve sempre privilegiare ed esaltare l’essere umano e non deve mai essere fine a se stesso. Per me essere stilista significa dover quindi rispondere ad una vocazione che non è finalizzata a nessuna forma di arricchimento materiale, ma corrisponde invece ad una precisa esigenza espressiva. Cosa ti piace maggiormente del tuo lavoro? La ricerca; un momento di pura emozione che mi permette di lavorare a porte chiuse sul mio progetto in un vortice di immagini, suoni e sensazioni tattili. In questa fase mi concentro principalmente sulle forme, sulla
definizione di una silhouette che possa risultarmi interessante, per poi dedicarmi alla sua esaltazione tramite accostamenti cromatici e giochi di luce dati dalle diverse superfici materiche utilizzate. Dove vorresti arrivare? Mi piacerebbe molto sviluppare un progetto che mi consenta di esprimere in pieno il mio gusto e la mia visione delle cose. La soddisfazione più bella avuta f ino ad oggi? Essere contattato da persone che non conosco e non ho mai avuto il piacere di incontrare per ricevere il loro incoraggiamento ad andare avanti. Come è la donna di Rocco Iannone? Colta e selvaggia; austera! A chi ti ispiri nel creare le tue collezioni? La mia ispirazione tiene conto delle mie origini, si basa e si stratifica su quell’humus sinergico dato dalla commistione di culture e dominazioni che dalla Grecia in poi hanno creato un mosaico irripetibile, le cui tessere, musive, si influenzano a vicenda, costituendo la corteccia del mio DNA. Propositi per il 2011? Sto lavorando alla progettazione del mio sito internet e mi piacerebbe realizzare un video emozionale per raccontare il mio ultimo lavoro.• AK Adlige Klein 101
moda
la borsa modulare Arianna Vivenzio con le sue Ochobags ha saputo riunire il gusto estetico alle infinite possibilità di personalizzazione
ARIANNA VIVENZIO Come nasce Ochobags? Nasce da un’idea/concetto per una borsa componibile e customizzabile che ho progettato durante l’università, la mia missione di designer è quella di coniugare funzione ed estetica, ideale di ogni progettista penso. Quindi un oggetto pratico ma fashion, con compartimenti variabili e funzionali che possa contenere e separare ogni oggetto che una donna porta con sé. L’idea pian piano è stata semplificata e migliorata creando 6 modelli di tasche/pochette differenti per forme e materiali che poi assemblate e combinate l’una con le altre creano la propria personalissima Ochobags. Cosa ti piace maggiormente del tuo lavoro? La mia è una grande passione, tutto ciò che creo e che esprimo tramite le mie creazione è frutto di un’emozione e un lavoro continui, la consapevolezza che tutto questo sia appezzato, indossato, usato, comprato, copiato, mi rende felice anche quando il lavoro si fa difficile. Dove vorresti arrivare? 102 moda
Vorrei creare un brand forte e innovativo che comprenda una linea di accessori moda e oggetti per la casa, magari con la partnership di altri giovani creativi che la pensino come me. La soddisfazione più bella avuta f ino ad oggi? Sicuramente è l’essere apprezzata come designer in Italia e all’estero e venire a contatto con gente stimolante. Chi sono le persone che scelgono Ochobags? Il bello della Ochobags è che può essere indossata da ragazze e signore di ogni età. Sicuramente il target di riferimento è di ragazze e giovani donne dinamiche e originali, che non rinunciano alla praticità e al glamour. Oltretutto si affiancano ultimamente anche ragazzi e uomini che le usano per andare in moto o in bici, scegliendo colori e forme più rigorose! A chi ti ispiri nel creare le tue collezioni? Traggo ispirazione da una moltitudine di riferimenti intorno a me, spesso mi ispiro semplicemente alle persone che mi circondano come amici e colleghi creativi
o a chi mi chiede di realizzargli una borsa con tessuti a cui sono particolarmente legati, personalizzandogli la ocho, oppure semplicemente studiando la gente in metropolitana o al supermarket. Mi piace inoltre molto lo stile di Antonio Marras per Kenzo, che riesce a mixare tessuti, culture e stili rimanendo sempre fedele al suo. Fonte di ispirazione spesso per me è anche il Giappone con cui ho un particolare rapporto ormai da anni: ammiro in loro la capacità di mixare tradizioni, eccessi ed armonie trasmettendole nei colori e nei pattern dei propri tessuti. Propositi per il 2011? Come ogni anno ne ho molti, facendo un bilancio però ogni fine anno riesco sempre a mantenerne un 30%, ma ne sono comunque soddisfatta. Per quest’anno vorrei iniziare ad affiancare alla produzione di borse anche una di scarpe e portare avanti la progettazione di complementi d’arredo e oggettistica artigianale e industriale. •
L’ispirazione viene anche dalla semplice osservazione della gente al supermercato
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I DURI INIZIANO A GIOCARE Uomini che si calano in una realtà urbana A cura di Arianna Augustoni
LE PROPOSTE UOMO L’uomo dà un taglio netto con il passato e si proietta in un fantastico mondo dei fumetti. Le nuove collezioni rappresentano un rotocalco della moda dove gli uomini sono degli oggetti, dei giocattoli da vestire, svestire, montare e smontare. Sono degli affascinanti macho men intorno ai quali si costruiscono nuove immagini.
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Nella pagina a sinistra 01 BIKKEMBERGS – Un gentiluomo in bermuda per un’estate a tutto brio. Collezione SS 2011. 02 ALCHEMY PER ZEGNA – Nel laboratorio di ricerca creativa l’uomo classico trova una nuova maschilità. Collezione AI 2011/2012. 03 JOHN RICHMOND – Un inno al talento italiano, una collezione versatile che anticipa le tendenze. Collezione AI 2011/2012. In questa pagina 04 D SQUARED2 – Un omaggio ai pionieri che colonizzarono gli USA nella seconda metà dell’800. Collezione AI 2011/2012. 05 VIVIENNE WESTWOOD – Un toy boy molto strong, ma iper maschile. Collezione 2011. 06 VERSACE – Un caleidoscopio di forme, proporzioni, colori e stampe. Collezione AI 2011/2012.
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DENIM SENZA FINE A cura di Arianna Augustoni 6
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01 Miss Sixty – Effetto push up per forme nuove. Modello slim fit a vita bassa. 02 Vivienne Westwood: Authentic jeans con chiusura asimmetrica ed effetto spalmatura, Vivienne Westwood Anglomania + Lee. 03 Nolita - Street couture dove si mescolano comfort e vestibilità. 04 Studs War – artigianalità e manualità i due valori del brand. Forti, aggressivi, giovani e grintosi. 05 Fornarina – Vestibilità super slim dalle linee asciutte a vita bassa. 06 Pezzi unici di Veronica Bettini. Jeans con cintura papillon cucita a mano in satin grigio perla con cristalli Swarovski.
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A cura di Arianna Augustoni 01 STAR CHIC – Mood cosmopolita per T-shirt preziose nei dettagli. 02 FOLLOW J – Molto femminili e con un tocco di romanticismo, dettano stili di vita. 03 PUROTATTO – Per un’estate che sboccia con infiorescenze vivide. 04 KILLAH – Qualche vezzo sulle maniche per renderle ancora più giovani. 05 JULIA GARNETT – Urban power per emozioni in bianco e nero. Nella foto garnde: MAISON ABOUT – Un brand nuovo che gioca a fare il grande tra i grandi della moda.
WONDER WONDER WOMAN
SGUARDI verso il CIeLO TENDENZE DI PRIMAVERA A cura di Arianna Augustoni
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01 FRENCY MERCURY – Made in Japan l’occhiale lavorato al 100% in titanio. Lenti antiriflesso colorate. 02 FRENCY MERCURY – Kiss Kiss Bang lo spirito jap combinato al fashion USA. 03 STING/YAMAMAY - Un oversize squadrato in perfetto stile Eighties. Tocco glamour lo strass. 04 FURLA – modello Jucca, il fluo dell’estate. Tondeggiante e semplice con un unico particolare: il lettering. 05 VIVIENNE VESTWOOD – Grandi occhiali con particolari per dare un tocco di carattere. 06 LOEWE - Spirito “young” per l’occhiale dall’animo vintage. Montatura in plastica nella tonalità dell’ambra spruzzata in oro trasparente. 108 moda
Dai vitigni di Pinot nero Meunier e Chardonnay, nasce Ramuner. Un’esplosione di profumi fruttati con la raffinatezza delle classiche bollicine. L’aperitivo per eccellenza, un’avventura per il dopocena.
www.ramuner.com
sport
QUESTO è LACROSSE
NON UN RETINO PER FARFALLE di Andrea Sabbadin Incontro con Fabio Antonelli, presidente della Federazione Italiana Giuoco Lacrosse. Una chiacchierata sullo sport che più sta crescendo a livello mondiale, ma soprattutto sulla possibilità di inseguire un sogno
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ROMA – “Niente è impossibile”, questa la risposta di Fabio Antonelli quando gli abbiamo chiesto come abbia fatto a portare uno sport come il lacrosse in Italia. “Niente è impossibile – ripete – basta provarci. A volte nella nostra testa ci creiamo difficoltà, ci facciamo dei problemi che in realtà non incontriamo. Non bisogna però fermarsi al progetto, bisogna cercare in tutti i modi di realizzarlo”. Fabio Antonelli, romano con un passato a stelle e strisce, lo abbiamo incontrato in una piccola piazza della capitale. Pensavamo di dover discutere di sport, ma in realtà ci siamo trovati incastrati volentieri in un racconto di vita, in una lezione di etica sportiva e in una dichiarazione d’amore potente ed esplosiva verso una disciplina che a prima vista può far sorridere (“in campo ci sono 20 cacciatori di farfalle” dice Antonelli), ma se si riesce ad andare oltre a questo, a non fermarsi alla superficie, si scopre un mondo affascinante e si comprende perché viene chiamato “the fastest game on two feet” (il più veloce sport su due piedi, Ndr).
I RAGAZZI CON IL RETINO PER LE FARFALLE La prima domanda che facciamo a Fabio è banale, ma necessaria: Cos’è il lacrosse? “E’ uno sport di squadra, è il gioco nazionale Canadese, sancito dalla costituzione, è contatto fisico, velocità e capacità tecnica e soprattutto tanta fatica. Tipicamente nord americano, la leggenda lo vuole figlio di un antichissimo gioco degli indiani d’America del XV secolo detto Baggataway. Era un modo per risolvere le dispute fra tribù con partite a cui partecipavano centinaia di giocatori e che potevano durare giorni e vedevano coinvolti centinaia di giocatori. È Jean de Brebeuf a darne per primo notizia, documentando una sfida tra due squadre Huron, nell’attuale Sud-Est dell’Ontario, in Canada, nel 1636. Nella metà del 1800 i francesi rivoluzionarono le regole del gioco indiano ideando il moderno lacrosse. I discendenti degli antichi americani sono molto legati al lacrosse, che rappresenta per loro una importante tradizione oltre che uno sport. Per que-
sto motivo la Federazione Internazionale ha stabilito che essi possono partecipare alle competizioni internazionali con una loro Nazionale, che prende il nome di nazionale Irochese”. “Lo scopo è quello di segnare più punti degli avversari, proprio come nella maggior parte degli sport di squadra. Ci sono due tipi di lacrosse: l’Indoor e il Field. Nel primo il campo misura circa 60 metri di lunghezza ed in campo ci sono 6 giocatori per squadra, nel secondo il perimetro di gioco ha lunghezza di 100 metri e sul terreno scendono due squadre da 10 giocatori ciascuna. In entrambi i casi, come nell’hokey su ghiaccio, è valida anche la zona di campo alle spalle della porta e una partita dura 60 minuti. La pallina pesa 150 grammi e raggiunge velocità di 150 chilometri orari che giustificano l’utilizzo, da parte dei giocatori, di casco e protezioni per il corpo. Per i passaggi e i tiri in porta si utilizza il “bastone”, una specie di racchetta triangolare con una sacca di tela all’estremità, molto simile a un retino per le farfalle”. Tra Circo Massimo e centri sociali. Così è nato in Italia Fabio, 26 anni, musicista di professione, è giocatore e allenatore dei Leones Roma, presidente della Figl, ma soprattutto “manipolatore mentale”, nel senso buono della parola. “Mi sono ritrovato costretto a “modellare le persone”. Quando ho deciso di voler giocare a lacrosse in Italia ero solo, o
IERI E OGGI. QUI E IN AMERICA Sopra la Nazionale Italiana di lacrosse. Più in basso una formazione storica statunitense
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Mi interessava solo fare allenamento, in quel periodo l’unica squadra della scuola che stava iniziando la preparazione atletica era quella di lacrosse...
quasi. Per prima cosa ho convinto i miei amici a trovarsi tutte le domeniche mattina nel bel mezzo del Circo Massimo e a creare una squadra. All’inizio è stata davvero dura, pochi giocatori, poche capacità e soprattutto campi improvvisati e poco adatti. Alcuni allenamenti li abbiamo fatti nel giardino di un centro sociale con l’erba altissima e con decine di cani che continuavano a rubarci la palla. Le attrezzature erano inesistenti, in Italia introvabili. In un on-line shop americano avevo “scovato” l’elenco degli indirizzi email di tutti i coach di lacrosse dei college Usa. Quello stesso giorno inviai circa 20.000 mail chiedendo attrezzatura usata. Così arrivarono divise, bastoni, caschi e protezioni. “Roma aveva una squadra, ma allenarsi senza giocare è frustrante e porta ad annoiarsi in breve tempo. Per cercare di migliorarci andavamo a giocare spesso in tornei in Europa, o ne organizzavamo qui a Roma. Un giorno mi arriva una telefonata da La Spezia. Un ragazzo mi chiede dove può giocare a lacrosse vicino a casa sua. Dopo circa tre 112 sport
UN GIORNO ARRIVA UNA TELEFONATA Un ragazzo mi chiede dove può giocare a lacrosse vicino a casa sua. Dopo circa tre ore di telefonata lo avevo convinto a creare una squadra
ore di telefonata lo avevo convinto a creare una squadra. Da quel giorno ci furono altre telefonate e nacquero altre squadre, e dopo le “Aquile Nere” La Spezia arrivarono anche Phenix Perugia, Taurus Torino, Red Hawk Merate, Pescara Lacrosse, Sharks Bologna, Lacrosse Bocconi e infine Baggataway Milano, che per il momento è l’unica squadra femminile”. TUTTO HA INIZIO A CAUSA DELLA BILANCIA L’Italia ha una federazione, alcune squadre e dal 2009 anche un campionato ufficiale. Il lacrosse è ufficialmente sbarcato anche nella nostra Penisola, merito di molte persone, ma soprattutto di Fabio. Viene quindi spontaneo chiedere cos’è per lui questo sport. “Sette anni della mia vita, una passione di quelle vere, di quelle che bruciano dentro. Pensare che tutto è iniziato per caso. Avevo 17 anni e ero negli Usa a frequentare un anno di superiori all’estero. Lo stile di vita
a stelle e strisce mi aveva portato ad ingrassare molto, così decisi di mettermi a fare sport. Non mi interessava giocare, solo fare allenamento. In quel periodo l’unica squadra della scuola che stava iniziando la preparazione atletica era quella di lacrosse. Eravamo più di 100 ragazzi, suddivisi in quattro squadre. Mi dissero che me la cavavo bene, mi portarono in prima squadra e giocai per 3 mesi. Tornato in Italia mi ritrovai cucita addosso questa passione e ho fatto di tutto per riuscire a giocare con regolarità”. “Da li in poi è stato un continuo crescere. La prima partita femminile si è svolta nel 2010 proprio in provincia di Como. Una lunga trasferta per me, ma la soddisfazione di vedere questo sport minore giocato anche dalle ragazze ha giustificato la fatica”. Se in Italia il lacrosse è cresciuto velocemente nel giro di qualche anno, ancora meglio ha fatto nel mondo intero. Basti pensare che ai mondiali 2004 le squadre iscritte erano 12, nel 2008 18 e nell’ultima edizione, quella di Manchester 2010, c’erano ben 30 rappresentative con partite a cui hanno assistito oltre 5.000 spettatori. In quell’occasione i nostri azzurri hanno conquistato il 19° posto, risultato più che positivo se si considera il fatto che, come ci ha detto lo stesso Fabio, “nessuno di noi è un atleta professionista, siamo solo 20 cacciatori di farfalle innamorati di questo magnifico sport”.•
L’UOMO DEL LACROSSE IN ITALIA Due immagini sul campo di Fabio Antonelli Nell’altra pagina nel tondo sempre Antonelli
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Il profumo che si ricarica
Siamo quel che mangiamo
Kenzo presenta un interessante progetto che dà il via a un’idea di lusso responsabile. La maison ha infatti deciso di adottare un packaging ecologico proprio per il suo profumo più celebre e amato, Flowerbykenzo. Per evitare lo spreco dei contenitori sono state ideate delle ricariche di profumo, contenute in un serbatoio in materiale composto di plastica e alluminio, il più conveniente da un punto di vista ambientale. Grazie alle oltre 50.000 ricariche riciclabili presenti sul mercato, Kenzo riduce del 66 per cento le emissioni di gas serra e prevede una produzione di una media di 12.000 imballaggi classici in meno. Inoltre il nuovo packaging prevede astucci in cartone FSC (Forest Stewardship Council), provenienti da foreste gestite in modo sostenibile. Flowerbykenzo potrà anche venire acquistato sfuso attraverso apposite ricariche installate nei punti vendita. In questo modo le estimatrici della fragranza potranno conservare sempre il flacone originale come un oggetto prezioso, un vero oggetto di lusso. A.Sab.
Un gruppo di scienziati britannici, in collaborazione con il Wwf (World Wildlife Fund, il Fondo mondiale per la protezione della natura) hanno ideato una dieta ecosostenibile. Scegliendo oculatamente i cibi si può diminuire il proprio impatto sul pianeta. Il tutto è stato studiato in modo da comprendere tutti gli elementi nutritivi necessari a mantenersi in buona salute, da non richiedere più di mezz’ora di preparazione a piatto. Se una famiglia media adottasse questa dieta, la sua impronta ecologica alimentare scenderebbe del 40 per cento e il suo portafoglio sorriderebbe, bastano infatti 35 euro alla settimana, meno di 150 euro al mese (a persona), per mangiare sano e difendere il mondo dai gas nocivi e dal dispendio energetico che provocano il cambiamento climatico. E la differenza che si può fare con le scelte dietetiche è enorme: se ogni cittadino britannico seguisse alla lettera il menù suggerito dal Wwf, le emissioni serra del Regno Unito potrebbero ridursi della metà. A.Sab.
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ecovetrina
l’hotel si riscalda con la terra
BOHINJ (Slovenia) — L’Eko Park Hotel è un super hotel di lusso e interamente eco sostenibile all’ombra dell’imponente sagoma del monte Tricorno (2.864 metri) la più alta cima della Slovenia. All’interno dell’albergo quasi tutto strizza l’occhio alla salvaguardia della natura: confezioni di sapone in plastica riciclata, impianti elettrici e riscaldamento che sfruttano il calore di un pozzo geotermico. Profondo 430 metri il pozzo sfrutta una falda acquifera: il calore dell’acqua di fonte è usato dalle pompe termiche per riscaldare l’edificio. I pavimenti scaldati attraverso il calore dell’acqua sostituiscono i caloriferi, mentre quello sprigionato durante la produzione di elettricità viene usato per riscaldare le piscine. L’hotel, naturalmente a cinque stelle, è stato inaugurato nel giugno del 2009. A.Sab. Per informazioni: www.bohinj-park-hotel.si
un bosco per Kyoto
Roma - Al Campidoglio si è svolta la sesta edizione di “Un Bosco per Kyoto”, premio internazionale assegnato ogni anno a personalità che si sono spese per il rispetto della natura e dell’ambiente. Un’intera giornata per celebrare il rispetto della natura e la necessità di difenderla, cercando il modo per impedire, ritardare o proteggersi dal caos climatico e dall’inquinamento. Marco Roveda, fondatore e presidente di LifeGate Radio, è stato premiato come esempio di una nuova imprenditoria etica e sostenibile. Nei suoi 6 anni di vita “Un Bosco per Kyoto” ha riconosciuto meritevoli di questo premio personaggi di rilievo internazionale, capi di Stato, sindaci di comuni virtuosi italiani ed europei, scienziati e ambientalisti seri. Tra gli ultimi premiati in ordine di tempo per i loro impegni nei confronti dell’ambiente, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente americano Barack Obama. A.Sab. AK Adlige Klein 115
Asini differenziati
Cuccaro Vetere (Sa) - Nel piccolo paesino di Cuccaro Vetere, sperso nella provincia di Salerno, i 551 abitanti si troveranno ogni mattina un asino fuori dalla porta. Infatti saranno proprio gli animali a raccogliere, porta a porta, i rifiuti riciclabili sul loro dorso. Al centro dell’iniziativa avviata da Placet Solutio con il contributo della Provincia di Salerno un sistema di compostaggio domestico di rifiuti. Il primo comune a sfruttare gli asini per la raccolta differenziata è stato quello di Castelbuono (Pa). Un’idea interessante ma alla quale sono seguite alcune proteste da parte dell’associazione protezione animali (Enpa) “L’unico modo per salvaguardare gli animali in via d’estinzione è di garantirli e tutelarli all’interno del loro ambiente naturale, rispettandone le caratteristiche etologiche senza delegare a essi compiti e attività che competono all’uomo”.A.Sab.
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200 alberi a testa
Il 2011 è stato proclamato ufficialmente dall’ONU Anno Internazionale delle Foreste. I boschi proteggono da frane, valanghe e caduta massi e attenuano gli effetti del cambiamento climatico, inoltre le attività economiche legate alle foreste in tutto il mondo coinvolgono 1 miliardo e 600 milioni di persone. Le foreste vanno protette perché ogni giorno circa 350 chilometri quadrati vengono distrutti per la conversione in terreni agricoli, la produzione di legname o la creazione di insediamenti umani. Per questi e per molti altri il 2011 sarà dedicato a sensibilizzare i cittadini e i governi alla gestione sostenibile dei boschi e di tutte le specie arboree. In Italia abbiamo un patrimonio di 12 miliardi di alberi, circa 200 piante a testa, distribuiti su una superficie complessiva di 10,5 milioni di ettari. Grazie a queste foreste, nel quadriennio 2008-2012, l’Italia risparmierà circa un miliardo di euro in termini di emissioni. A.Sab.
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Circo a zero emissioni
Il Circo El Grito, in collaborazione con AzzeroCO2, ha deciso di compensare le emissioni di gas serra relative ai consumi energetici, agli spostamenti dello staff e del materiale nonché degli spettatori, durante lo svolgimento dei Festival in programma per la stagione estiva 2011, aderendo ad un progetto di forestazione in Italia. AzzeroCO2 rilascerà al circo il proprio marchio che attesterà che le attività di El Grito saranno a zero emissioni per la durata degli eventi. Divertimento totalmente green! M.Mor.
Etica ed etichetta
Arriva l’etichetta etica, anche se per il momento è solo rimandata alla buona volontà e trasparenza dei singoli produttori. È un modo per tracciare fedelmente tutto il processo produttivo a tutela del produttore e del consumatore, che potrà meglio capire il valore di ciò che acquista e consuma. Così sulle nuove etichette etiche si potranno vedere registrate le generalità del produttore (non solo il Paese d’origine ma “l’azienda d’origine”); le generalità del trasformatore (quando diverso dal produttore); il metodo di coltivazione impiegato (industriale, biologico, biodinamico, naturale); le dimensioni aziendali (superficie e addetti) e le informazioni relative all’impatto ambientale (uso di acqua, di carburanti, di energie); il prezzo al produttore; l’origine dei semi per i prodotti dell’orto e quella dei mangimi per gli animali. Speriamo che presto diventi legge! M.Mor.
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LOTTA ALL’INQUINAMENTO: 4 PROPOSTE DALL’INSUBRIA 4 progetti di ecosostenibilità nel cuore dell’Insubria di Alberto Giani
alberi e prati al posto dei binari dismessi per creare un corridoio verde
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MILANO Le rotaie verdi del WWF Rimaniamo in treno, ma spostiamoci a Milano. Il Wwf ha presentato a metà gennaio 2011 un progetto davvero particolare, denominato “Rotaie Verdi”. L’obiettivo è quello di creare un corridoio ecologico urbano che occupi i binari dismessi – e perchè no, anche quelli in uso – tra le stazioni di Milano San Cristoforo e Milano Porta Genova. Il risultato sarebbe una lunga striscia di verde, per la quale i biologi del Wwf prevedevano un doppio sfruttamento. La flora sarebbe “non addomesticata”, ovvero lasciata crescere senza l’intervento dell’uomo, al fine di far proliferare piante e piccoli mammiferi in totale autonomia. Contemporaneamente questo corridoio verde sarebbe liberamente fruibile quale parco pubblico, ricco di piste pedonali e panchine. Progetto dal basso Il Wwf ha specificato che lo sviluppo spontaneo delle biodiversità all’interno delle “Rotaie Verdi” non creerebbe alcun fastidio né ai cittadini, né tanto meno al passaggio dei convogli ferroviari. Il progetto prevede il coinvolgimento di tutte le associazioni di ca-
tegoria, imprenditori e commercianti; ma soprattutto di tutti i proprietari bordo-ferrovia, le associazioni culturali, di quartiere e ambientalistiche, nonché tutti coloro che vorranno essere vivi e attivi nel territorio. “Rotaie Verdi”, quindi, diverrebbe un progetto non solo ambientalistico, ma anche sociale. BIASSONO Super (eco) mercato Che gli U2 siano una rock-band con un grande cuore ecologista è noto a tutti. Ma che U2 avesse costruito un supermercato ecologico è una novità. Battute di spirito a parte, ovviamente ci riferiamo alla catena di negozi Unes, la quale ha da poco inaugurato a Biassono (Monza e Brianza) un nuovo store. Come avrete capito, il supermercato ha in sé molte virtù ecologiste. Ad esempio: cesti per la spesa, divisori dei banchi frigo e carrelli sono realizzati con tappi e bottiglie riciclati. Inoltre l’illuminazione si attiva solo se v’è effettiva necessità, per un risparmio energetico complessivo del 42%. All’U2 di Biassono si vendono vari detersivi sfusi e le borse della spesa sono da tempo in tessuto non tessuto. Plastica e sprechi, addio.
VARESE La scuola “solare” Tempi lunghi e costi alti, ma il gioco vale la candela. Quello della riqualificazione dell’ISIS Newton di Varese è infatti il primo progetto di scuola ecosostenibile. Si svolgerà in più fasi: prima la rimozione di tutto l’amianto. In seguito avverrà l’installazione di un impianto fotovoltaico da 365 Kilowattora. Tra i tanti interventi di riqualificazione il più interessante è quello che vedrà la costruzione di un nuovo impianto sportivo per la pratica del basket e del volley. Il cantiere – che vedrà anche la ristrutturazione di alcune zone dedite agli alunni, ai docenti e al personale della scuola – è stato aperto dopo che l’istituto ha subito una serie di piccoli interventi volti alla soluzione di varie emergenze. Finalmente l’ideologia “tappabuchi” è stata accantonata, dando spazio ad un progetto altamente futuribile e “verde”. Finanziatore principale della riqualificazione dello Newton è la Provincia di Varese, che ha approvato il progetto all’interno di un più vasto processo di ammodernamento delle strutture scolastiche varesotte. I costi si aggirano intorno ai 6 milioni e 600 mila euro.
L’eco-cemento permette di rispettare la natura e anche di risparmiare denaro
BERGAMO Il cemento che ama l’ambiente Chissà se a Varese, per la ristrutturazione della scuola superiore Newton, utilizzeranno l’eco-cemento che ItalCementi ha presentato a Cantù (Como) all’interno del convegno “Bioarchitetture, bioedilizie e energie alternative”? Si tratta di un impasto che permetterebbe la costruzione di immobili a prezzi ridotti. Numeri alla mano, a Cantù si è detto che una casa di 100mq costruita con l’eco-cemento verrebbe a costare “solo” 100.000 Euro. E che le emissioni di una casa “normale” sono di 62 kg di CO2 al metro quadrato, contro lo zero tondo di una fatta di eco-cemento. Zero inquinamento e risparmio economico! No, non state sognando e non si sta nemmeno parlando di abitazioni prefabbricate. L’eco-cemento è realizzato con aggregati provenienti da materiali inorganici di riciclo, quindi non c’è sfruttamento di materie prime: altra nota ecologica! Per di più presenta coefficienti di conducibilità termica molto bassi. In questo modo la casa trattiene il calore in inverno ed il fresco in estate. Ovviamente tutto questo a pari valori di durabilità e resistenza rispetto ai cementi comuni. AK Adlige Klein 121
6 settimane a impatto zero La giornalista e conduttrice Paola Maugeri prova a vivere a impatto zero per il programma “E se domani” su Raitre. Ecco le sue prime impressioni su questo progetto radicale di vita. di Martina Moretti
Sopra nel tondo la giornalista e conduttrice Paola Maugeri
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Perché provare a vivere a impatto zero? Per sperimentare in prima persona le cose di cui ho tanto parlato! L’ambiente e le sue risorse sono un argomento per me molto affascinante. Come hanno accolto questa decisione i componenti della sua famiglia? Inizialmente con una risata, poi con la voglia di provare e condividere un’esperienza tanto importante! Rivedendo i videoclip di riassunto settimanale andati in onda all’interno della trasmissione “E se domani” su Rai3 abbiamo potuto vedere che ha effettivamente seguito alla lettera le prove di vita a impatto zero, per cui ha rinunciato all’energia elettrica scegliendo la luce delle candele piuttosto che l’uso della ghiacciaia rispetto a quello del frigorifero, solo per fare alcuni esempi. Immagino che questo abbia comportato dei grossi sacrif ici e la perdita di alcuni comfort. Con quali sentimenti ha vissuto tutto questo? Sentimenti contrastanti ma soprattutto
tanta curiosità, ripeto, volevo capire in prima persona se è possibile condurre una buona vita senza sprechi in una grande città come Milano e la risposta è sì! Senza arrivare a vivere senza elettricità possiamo davvero con piccoli gesti quotidiani fare la differenza! E’ riuscita a convertire qualcuno tra i suoi conoscenti ad uno stile di vita a impatto zero? Molti mi fanno domande e sono curiosi di saperne di più, ognuno poi fa quello che può e quello che sente ma già credo che il lasciarsi incuriosire sia un ottimo inizio. Chi invece le ha dato della pazza, se qualcuno c’è stato? Quelli non mancano mai! Soprattutto quando fai scelte controcorrente! Cosa le è pesato maggiormente/quali le rinunce più pesanti? E cosa invece ha scoperto come accorgimento assolutamente utile per uno stile di vita più green e attuabile da chiunque?
Abbassare di 2 gradi il riscaldamento
da paola 5 consigli utili adatti a tutti Iniziare a seguire un regime vegetariano Utilizzare bici e mezzi pubblici
Le settimane senza elettricità sono state le più dure anche perchè iniziava a far freddo ma ho imparato che quando non hai computer, televisione e cellulari a disposizione hai più tempo per te, per pensare e per dedicarti ad attività più interiori. Tutti possiamo accorgercene, basta provare! Sono rimasta molto colpita dalla scoperta della “capsula mundi” e della possibilità, anche da morti, di contribuire a un impatto ambientale minimo. Cosa ne pensa personalmente? Le piace l’idea di sapersi concime futuro per un albero e se sì quale sceglierebbe? Anche per me è stata una bellissima scoperta! Io vorrò essere cremata ma trovo che la loro idea sia molto interessante. Vorrei una quercia, solida e centenaria. Quanto l’Italia, o anche la sola Milano, sono lontane da modelli di vita sostenibili come invece risultano diffusi e normali specie nel nord Europa? Direi molto lontane ma è una distanza che si può accorciare se tutti, ripeto, co-
minciamo con piccoli gesti quotidiani! E quanto tutto questo parlare di ecosostenibilità, impatto e kilometro zero è il semplice risultato di una moda o è davvero lo sviluppo di una nuova coscienza sociale? Che ben venga la moda quando diffonde messaggi cosi importanti! Credo che ormai sia arrivato il momento e come sosteneva Victor Hugo: niente è più forte di un’idea il cui momento è arrivato. Seguendo il suo esperimento di vita ho avuto la sensazione che molto si potrebbe fare andando a limitare gli sprechi di energia, dall’altro lato però viviamo in una società assolutamente tecnologica che senza energia sarebbe persa. Come è possibile nel concreto conciliare queste esigenze? Abbassando di due gradi il nostro riscaldamento, scegliendo il più possibile bicicletta e mezzi pubblici, iniziando a mangiare secondo un regime vegetariano, chiudendo l’acqua mentre ci laviamo i denti ed effettuando un ottimo riciclo dei rifiuti. •
Chiudere il rubinetto quando ci si lava i denti
Effettuare un ottimo riciclo dei rifiuti
capsula mundi, il bosco sacro Un progetto per la promozione dei “cimiteri verdi”
UN PROGETTO ITALIANO Capsula Mundi è il primo progetto nato in Italia ad opera della giovanissima Anna Citelli, classe 1987, diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bari, e di Raoul Bretzel, designer e appassionato di natura con una laurea anche in Conservazione dei Beni Culturali, per promuovere i cimiteri verdi. Non più bare di legno e zinco ma una capsula, un uovo, fatto di plastica di amido in cui il defunto verrebbe deposto in posizione fetale e poi accolto nella terra come un seme. Sopra di essa verrebbe lasciato un cerchio ribassato a segnalarne la presenza e qui sarebbe piantato un albero che il defunto sceglie in vita e che poi sarà curato nella sua crescita da parenti e amici. IL CICLO VITALE Da un lato il senso poetico e mistico di questa scelta: il nostro corpo che diventa linfa per alimentare la crescita di un albero e continuare idealmente un ciclo vitale. Dall’altro lato una nuova architettura per i cimiteri: non più luoghi tristi e affollati di pietre e marmi e statue ma
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foreste di alberi differenti, a costituire un bosco sacro che nel sottosuolo custodisce il corpo dei propri cari. In ultimo un aiuto all’ecosostenibilità perché, non solo si risparmia la vita di un albero ma si propone di piantarne uno in più. Un bosco quindi che godrà il rispetto della popolazione e sarà anzi protetto da possibili scempi, grazie al coinvolgimento emotivo di tutta la collettività. CAPSULA MUNDI E LA LEGGE Attualmente tutto questo resta solo un’ipotesi, perché la normativa cimiteriale non consente le inumazioni verdi come Capsula Mundi, però qualcosa si sta muovendo anche su questo fronte e non è detto che in un futuro potremo forse passeggiare in nuovi boschi sacri. Info: www.capsulamundi.it Nelle foto sopra e a destra, alcune immagini del progetto per i “cimiteri verdi”
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Wall Street Institute
Inglese come e quando vuoi
Qui i tempi di apprendimento si riducono di un terzo rispetto allo standard...
lingua. Fun and learn! Bimbi, ragazzi, adolescenti, adulti e anziani: per tutti un metodo facile, Direttore, quali sono i punti di forza del vonaturale e divertente per imparare l’inglese con docenti rigorosamente madrelingua. stro metodo? In primis la creazione condivisa di un perUn laboratorio informatico all’avanguarcorso di apprendimento del tutto tagliato dia, traduzioni e interpretariato, una sede su misura sulle esigenze e sulle disponibilità recente e fuori dai canoni, assolutamente di chi si rivolge a noi. E’ inutile - e perfino adatta ad ogni età. Questi gli ingredienti vincenti di Wall Street Institute sita in dannoso- imporre orari e corsi obbligati, come accade in una Via Paolo Carcano 4, all’ingresso della città qualsiasi scuola tradiUn apprendimento diverso murata. zionale. Meglio invece dal solito e naturale, flessibile puntare sulla flessibiLa nuova Direzioe studiato per venire incontro ne, che si è insediata lità e sulla personalizalle esigenze di orari e di da meno di un anno, zazione dell’obiettivo obiettivi dal punto di vista promette e propone comunicativo, che ha comunicativo grandi novità per tutti dato per decenni i risultati migliori a livelcoloro che vogliono imparare rapidamente la lingua inglese e lo internazionale. Quindi si tratta di un apprendimento del non solo quella. Il tutto con un metodo certutto nuovo? tificato Wall Street Institute, riconosciuto da decenni a livello mondiale . Un sistema Non nuovo, ma diverso e naturale, certo innovativo, che parte dalla conversazione e prodotto e certificato dall’esperienza pludall’immersione in situazioni reali (anche riennale di Wall Street Institute, che esiste in tutto il mondo da molto tempo con circa create virtualmente) per apprendere nel cinquecento sedi: un centinaio solo in Itamodo più semplice ed incisivo possibile la
lia. Una realtà ben radicata sul territorio, direi garanzia di serietà e di buona riuscita veramente per chiunque. Anche la sede è stata rinnovata… La sede di Wall Street Institute a Como è stata realizzata per mettere a frutto un sistema di apprendimento completamente innovativo per la città. Ci sono aule sempre attive per l’apprendimento e la conversazione, ma è anche molto sviluppata l’interattività: ci sono postazioni informatiche in cui – con appositi software messi a punto dalla sede centrale di Baltimora in Usa – gli iscritti si immergono completamente in realtà virtuali, situazioni vere in cui utilizzare la lingua. Non è una piattaforma: è l’unica seriamente interattiva, un sistema divertente e veloce di apprendimento ove viene coinvolta l’emotività. Colpisce poi il Social Club: una specie di locale ricreativo bar in cui si organizzano eventi, feste e attività a tema, dove si conversa con i docenti e con altri studenti: ovviamente in inglese. Si parla dunque di metodo unico integrato, cosiddetto “blanded”, ideale anche per le aziende che, in tal senso, godono di un
ROI garantito al 100%. Il Social Club è un’idea molto interessante, davvero… Direi di sì. L’intenzione è quella di mettere sempre a disposizione dei nostri iscritti un punto di incontro, un luogo dove venire a bere un caffè in compagnia, oppure a leggere i giornali, sempre collegati con una tv che trasmette notiziari e film in lingua. Un posto dunque per socializzare e per provare il nostro inglese calandosi in un contesto del tutto estero. Sembra divertente… Il nostro metodo è proprio questo: dietro la parte ludica c’è una forte struttura didattica per ogni età e livello, studiata da linguisti e psicologi dell’apprendimento con copyright WSI. Si segue, insomma, lo stesso percorso che fanno i bambini quando imparano la loro lingua: non si parte dalla grammatica, ma da situazioni reali, dalla curiosità e dall’associazione di idee, o meglio dalla comunicazione obbligata. Dal concetto che impariamo a esprimere e intendere correttamente ad orecchio si estrapolano aspetti strutturali della lingua. E quali sono i tempi di apprendimento? Si riducono di un terzo rispetto a quelli standard. Chi si rivolge a noi viene innanzitutto testato per capire il livello di partenza, cui segue una programmazione mirata che coinvolge gruppi estremamente omogenei composti da massimo cinque allievi sempre monitorati da un personal tutor. Normalmente si apprendono due o tre livelli (con un salto di qualità quindi significativo) in 6-9 mesi, ma il percorso può anche essere più breve e soprattutto scelto: è davvero soggettivo perché ognuno ha infatti i suoi tempi ed un diverso ritmo di apprendimento; decidere quindi di poter frequentare liberamente quando e quanto si vuole meglio dispone la mente.
Flessibilità estrema dunque? La parola d’ordine è flessibilità, sì: non ci sono orari fissi a meno che uno non li desideri. Si può venire quando si ha tempo e quando si ha voglia, sapendo che c’è sempre qualcuno a disposizione con attività di conversazione programmate dal mattino alla sera e che, nell’arco della settimana, è necessario svolgere un determinato percorso minimo. Occorre poi anche ricordare che alcune attività di laboratorio si possono praticare comodamente da casa o dall’ufficio, collegandosi al nostro lab con password. Anche in questo caso, dunque, tutto è pensato su misura… Proprio tutto. Wall Street ha ribaltato la questione del tempo: i corsi sono garantiti. Non offriamo pacchetti orari, ma obiettivi da raggiungere secondo le esigenze individuali e seguendo la scala Cambridge. Rilasciamo inoltre certificati validi in tutto il mondo. Nuovi progetti per il futuro? Tanti. Ma ritengo sia già stato un successo oltrechè una conquista aver ampliato l’offerta formativa di Wall Street Como coinvolgendo i “BABY”, i “CHILD” e gli adolescenti, tutti inseriti in un contesto didattico che li diverte estremamente. Vuole accomodarsi intanto?! Wall Street Institute Via Carcano, 4 - 22100 Como Tel: 031.263170 - www.wallstreet.it Foto di Davide Bulgari AK Adlige Klein 127
scoprire il mare in quel DI MILANO Paccheri con riccio e scampi. ricetta di Pietro Milo
INGREDIENTI
PREPARAZIONE
350 gr di Paccheri 8 scampi sgusciati 8 pomodorini pachino tagliati 200 gr di polpa di riccio Olio extra-vergine di oliva Prezzemolo Vino bianco
Mettere a cuocere i paccheri in abbondante acqua salata. Cospargere una padella di olio extra-vergine di oliva e far rosolare gli scampi e i pomodorini. Dopo qualche istante sfumare con del vino bianco. Ritiratosi il tutto, scolare i paccheri molto al dente nella padella. Spadellare a fuoco vivo aggiungendo acqua non salata e la polpa di riccio. Continuare la cottura, legando il tutto con olio extra-vergine di oliva e prezzemolo. Servire in un piatto ben caldo. STORIA DEL PIATTO Ho voluto creare un piatto che ben simboleggiasse la mia f ilosof ia in cucina e ricordasse le mie origini. È così che ho scelto i paccheri, una tra le prime paste dominanti nella cucina campana. Essi possiedono una struttura che conferisce grandi capacità di lega con i sughi. La scelta della polpa di riccio e degli scampi, materie prime di grandissima aromaticità gustoolfattiva, è stata dettata dai miei ricordi d’infanzia. Gli scampi, sposano la stessa tendenza dolce che troviamo nella pasta, la polpa di riccio apporta la giusta dose di contrasto con sapidità e aromaticità. Questi prodotti di elevatissima qualità, per caratteristiche e capacità di padronanza del piatto, sono la vera rappresentazione della mia f ilosof ia in cucina: privilegiare gli ingredienti, esaltarli in un trionfo di sapori antichi e poterli celebrare oggi quali grandi valori della nostra cucina italiana. Ho creato un piatto in cui l’arte culinaria, la cultura e la tradizione campana si fondono con quella grande passione che mi vede incollato ai fornelli ormai da decenni.
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Alcune immagini dello chef Milo e del ristorante Nesis
IL RISTORANTE - Nesis Dal nome latino di “Nisida”, piccola isola situata nel golfo di Napoli, nasce Nesis il ristorante che con passione lo chef Pietro Milo conduce da 30 anni, nato dal desiderio di far conoscere anche in Lombardia, in provincia di Milano, la cultura marinara e la passione per la cucina a base di pesce che riporta Pietro con la memoria alle sue origini.
LO CHEF - Pietro Milo Milo Pietro nasce a Salerno nel dicembre dell’anno 1958. Cresciuto ed educato ad Amalfi, si dedica fin dall’adolescenza al mondo della ristorazione: terminati gli studi effettua diverse esperienze nella Costiera Amalfitana, ai tempi meta turistica di altissimo livello e prestigio. Sono le sue prime esperienze, all’epoca solo diciottenne, tutte contraddistinte da un intento preciso: la ristorazione di qualità. Nel 1979, a soli ventuno anni, apre il suo primo ristorante
nella allora provincia di Milano. Nel 1980 fonda “Nesis”, il locale che da trent’anni conduce con passione ed entusiasmo, meta della ristorazione d’alto livello e pioniere dei piatti di pesce crudo, ancor prima delle mode filo-giapponesi. Amante dell’enologia, si dedica professionalmente alla formazione dei sommelier, collaborando con diverse associazioni. Sono le sue origini che ne ispirano la cucina; è il pesce, il mare, l’orizzonte blu che vedeva quotidianamente ad ispirarne le creazioni: lavorazioni in crudo, dentici, orate, pezzonie e branzini. La pasta, che assurge ora a lontano ricordo d’infanzia, ritorna d’impeto nella sua ristorazione: paccheri, linguine e pasta mischiata, ai tempi emblema della cucina di casa, riproposte al cliente. Oli di assoluto livello, perché ogni lavorazione merita un grande olio. E’ questa la filosofia di Milo Pietro: una cucina lineare, vera, ove apprezzare limpidamente la materia.
Nesis proponeva i piatti con pesce crudo ben prima della mania filo giapponese degli ultimi anni
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PACCHERI A BRACCETTO CON BIRRA E VINO
LA BIRRA GIUSTA di Agostino Arioli* Con grande entusiasmo per questa intrigante ricetta e per i commenti dello chef, non ho voluto perdermi in inutili pensieri sul possibile abbinamento alle mie birre e ho invece messo mano alle pentole senza indugio. Circa la mia capacità nell’interpretare correttamente la ricetta, rimane un dubbio lecito, ma i risultati delle “prove” sono stati entusiasmanti. Alla fine del “duro lavoro” ho scelto come migliore abbinamento quello con Amber Shock. E’ una birra a bassa fermentazione, originariamente ispirata al classico stile tedesco delle Doppelbock, ma oggi, dopo 15 anni dalla sua nascita, ormai profondamente personalizzata. Corposa e piuttosto alcolica (7% in volume), di colore ambrato scuro, al naso risulta fruttata con leggere note di pepato/speziato e con un netto erbaceo nobile, caratteristiche che si devono all’uso di luppoli americani e inglesi per la luppolatura tardiva da aroma. Note intense di malto, dal miele di castagno al tostato del caffè, completano la gamma aromatica. Al gusto una iniziale dolcezza lascia il posto ad un finale amaro che pulisce molto bene la bocca. Birra corposa se non addirittura “pastosa”, da sorseggiare “caldamente” dimenticando le “prodezze” da Oktober Fest. Corpo e dolcezza, aromaticità complessa e morbidezza, abbinate ad un taglio amaro che mette voglia di ricominciare da capo, rendono l’abbinamento con i paccheri di Pietro Milo un’esperienza di pura gioia. Enjoy ! *Fondatore e birraio del Birrificio Italiano di Lurago Marinone (CO) 130 food
IL VINO GIUSTO di Filippo Parmigiani* Per la ricetta proposta da Pietro Milo, viste le caratteristiche di complessità, sarebbe il caso di rivolgersi a vini con spiccate caratteristiche di struttura, sapidità ed eleganza. La scelta cade sul Sauvignon Blanc dell’Alto Adige, vino che ha in sé le caratteristiche di semiaromaticità, struttura, sapidità e finezza richieste. Il vino consigliato è Lieben Aich – Sauvignon Blanc della Tenuta Manincor Lago di Caldaro, azienda certificata biologica. E’ un sauvignon non ruffiano, sobrio, austero; evidenzia i toni minerali, sapidi e di freschezza. Le note verdi di foglia di pomodoro e pompelmo rosa legate al varietale si integrano con il fruttato e alcuni richiami di affumicato. Di rara eleganza, attenti a non farvi ingannare dall’apparente leggerezza. Servire fresco. Per gli amanti delle bollicine consiglio invece un metodo classico di grande struttura e lungo affinamento sui lieviti o un Cruasé; la scelta cade sul Cruasè di Verdi Paolo, Canneto Pavese, che si distingue per l’aggressiva eleganza della spumantizzazione in rosa. Spumante di giusto corpo, asciutto, pulito, caratterizzato da buona freschezza e sapidità. Servire freddo ma non ghiacciato. *Sommelier di FISAR
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SCHIAFFONI IN PENTOLA! La tradizione enogastronomica Campana e il suono magico del pacchero di Gragnano di Nicola Gini
La pasta di Gragnano ha guadagnato un posto di rilievo internazionale
Sopra un’immagine classica dei paccheri con peperoncino, basilico e pomodorini.
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Di Gragnano. Origine e provenienza, nel caso di questa inimitabile pasta che nasce in Campania, in una cittadina in provincia di Napoli di circa 30.000 abitanti, oggi valgono un brand istantaneamente riconoscibile a livello internazionale. O forse, “parcheggiando” l’inglese, è più opportuno parlare di bandiera. Un vessillo che sventola con orgoglio nella cucina regionale campana e pure in tutto il mondo. Merito di una terra generosa che offre, a chi la sa rispettare, comprendere e amare, panorami d’incanto e prodotti essenziali per esaltare le caratteristiche organolettiche della pasta di Gragnano. D’altronde in Campania abbondano veri e propri – attingendo al lessico del filosofo-enogastronomo Luigi Veronelli - giacimenti gastronomici: il pomodoro, l’olio extravergine di oliva, la mozzarella
di bufala, la provola, i funghi... E poi il pescato, frutto di un mare nobile quanto la terra. C’è abbondanza di materie prime che aiutano gli chef e le loro indaffarate brigate a sciorinare in tavola soddisfazioni per chi nel piatto indaga emozioni culinarie. Che dire dei vini? Citati sin dall’antichità, quelli campani. Oggi, limitando un fugace sguardo alle tre Docg, spiccano Taurasi (grazie al grande vitigno Aglianico, sempre più protagonista, tanto da meritare punteggi vertiginosi nelle guide di settore, e grazie ad aziende vitivinicole divenute ambasciatrici della Campania sui principali mercati internazionali), Greco di Tufo e Fiano d’Avellino; ma la scelta è anche ampia e valida tra le Doc (Campi Flegrei, Guardia Sanframondi, Falerno del Massico…). Insomma, qui la cucina e la cantina
Dalla semplicità della mozzarella di bufala fumante ai piatti più complessi con il pesce di mare
hanno le carte in regola per mantenere le promesse e ricercare abbinamenti azzeccati. E se si parla di pasta, ecco la certezza, sulle tavole delle case e nei menù dei ristoranti: la pasta di Gragnano perpetua ogni giorno una tradizione, semplice e non riproducibile industrialmente. Il segreto? Acqua, farina di grano duro del Sud e una tecnica di lavorazione che non prescinde dalla trafilatura in bronzo. Così la pasta, attraverso un’essiccazione raggiunta lentamente, risulta più porosa. Ma tutto ciò non esaurisce le ragioni di un prodotto che, partito da Gragnano, ha superato i confini regionali e nazionali per conquistare quote di mercato e meritata fama. C’è di più. Pure l’estetica gioca un ruolo vincente. La qualità della pasta secca di Gragnano, infatti, è inscindibile dal suo sbizzarrirsi in forma
e dimensione: esemplari, in tal senso, i paccheri, grandi maccheroni. Pochi “pezzi” e il piatto è pieno, in festa. Poi, per i più curiosi, occhio, anzi orecchio, a un ulteriore dettaglio. Sonoro. Da sperimentare: aprite un pacco di paccheri di Gragnano, rovesciateli e mescolateli in pentola e il gioco rumoroso è servito. Un gioco la cui interpretazione è associata anche all’esplicito significato locale di pacchero: a piena mano, sottintendendo lo schiaffo. Per questo i paccheri sono conosciuti pure come “schiaffoni”, prendendo spunto dal rumore che provoca la loro messa in pentola e dalle loro dimensioni. Ecco perché quando si parla di Gragnano, la pasta diventa scontato approdo del pensiero. Una pasta oggi sinonimo di qualità. Una nobile pasta. Una pasta che però ha sgobbato per farsi largo nell’immaginario collet-
Il segreto? Acqua, farina di grano duro del Sud, trafilatura in bronzo e una lenta essiccazione
Sopra una bottiglia di Fiano d’Avellino, uno chef alle prese con il sugo, e due preparazioni con i paccheri.
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Pomodoro e basilico non solo come simbolo ma anche come ingredienti “poveri” per una cucina che si sta affermando a livello mondiale
schiaffoni in pentola!
tivo dei gourmet. La fama, infatti, mai è mancata, ma da lì a conquistare i mercati internazionali ce ne passa. Come ci racconta, in piacevole chiacchierata, il giornalista enogastronomo Rocco Lettieri, con trentennale esperienza in qualità di responsabile delle Guide Oro Veronelli e apprezzata firma di varie riviste di settore. “Fino a una quindicina di anni fa il mercato della pasta era per il 90% collegato ai soliti grandi nomi, in grado di essere distribuita in tutto il mondo. La pasta di Gragnano, invece, fatta da piccole aziende campane e certamente nota, era comunque consumata soprattutto in loco. Poi la svolta. Da circa 10-15 anni grazie all’opera di grandi chef di ristoranti stellati, come Don Alfonso, si è spinto sull’utilizzo di questa pasta. Di conseguenza l’offerta e la proposta di questa pasta, ad esempio 134 food
Non serve inventarsi estrosità. Spazio quindi a pomodoro, formaggio e basilico.
i paccheri, sono cresciute in tutta la ristorazione e in tutto il mondo”. Il segreto? Non rinnegare la semplicità. “Non serve inventarsi estrosità. Il massimo, per i paccheri, sta nella loro essenzialità. Pomodoro, formaggio, basilico oppure l’abbinamento con il pesce. Possiamo dire addirittura che i paccheri rappresentano un piatto che ha fatto il Risorgimento e quindi ha unito l’Italia”. Morale della gustosa favola della pasta di Gragnano? “Chi li sceglie di sicuro non sbaglia. Mai sentito dire che qualcuno abbia rimandato indietro un piatto di paccheri. Forse anche per quello che questa parola significa...”, chiosa sorridendo l’esperto Lettieri.• Nelle foto sopra un’immagine dei pomodorini con basilico. Nei riquadri più in basso la trafila in bronzo e una preparazione dei paccheri con sugo mediterraneo.
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Corso di 1째 livello dal 5 ottobre 2011 al 19 novembre 2011 Orario corso: dalle ore 21.00 alle ore 23.00
Sede corso: Palazzo delle Stelline - Corso Magenta 61 - MILANO info e iscrizioni: 335.6288797 - 0362.508806
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diamo voce alla lirica di Martina Moretti Vanto del patrimonio culturale Italiano la lirica negli ultimi anni soffre per mancanza di entusiasmo e di denaro
Nella foto sopra il tenore Marco Berti si esibisce lontano dall’italia, in Cina, nel teatro di Beijing
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Non è certo attualmente uno dei generi più gettonato e conosciuto dalle nuove generazioni, spesso giudicato a priori noioso e obsoleto, tuttavia a pensarci bene l’opera lirica altro non è, in termini molto semplicistici e non ce ne vogliano per questo gli addetti ai lavori, una versione datata e precedente dei moderni musical teatrali. Pensiamoci, gli ingredienti ci sono tutti: un intreccio più o meno intricato di vicende a volte drammatiche e altre più comiche, personaggi che si dividono tra veri protagonisti e semplici comparse, la musica e le arie attraverso le quali si sviluppa l’intera vicenda, l’ambientazione dal vero su un palcoscenico e un pubblico che si lascia rapire dalle musiche
e dalle storie che qui vengono narrate. Ma facciamo un passo indietro; per capire da dove nasce l’opera bisogna arrivare al XVII secolo e all’età Barocca, quando in una nuova spinta e rinnovamento delle arti, ecco affermarsi il musicista professionista accolto nelle corti e accanto a lui un’altra figura altrettanto importante per lo sviluppo del nostro genere, il librettista. In questo risiede il connubio per la nascita del melodramma: opere musicali spesso allestite con scenografie elaborate e spettacolari ospitate presso i primi teatri pubblici. E’ un modo nuovo di fruire la musica, lontano dal contesto unicamente sacro delle chiese, che si apre al profano e al racconto di fiction mettendo in scena sentimenti e intrecci a volte imprevedibili. Così tra recitativi (declamazioni statiche che attraverso i dialoghi hanno la funzione di far procedere la narrazione) e arie (declamazioni di carattere melodico che hanno la funzione di esprimere i sentimenti dei personaggi) nel corso del ‘600 il melodramma si diffonde dalle corti italiane
Ci si chiede come mai l’opera lirica si presenta oggi come un universo a sé stante, quasi dimenticato dal largo pubblico e a volte anche poco considerato nell’ambito dei circuiti culturali del nostro Bel Paese...
a quelle europee arrivando poi nel XVIII secolo a differenziarsi in generi: da quello serio, di carattere austero e argomento eroico, a quello buffo, di carattere divertente e argomento quotidiano e popolare. La cosa incredibile è che in questo espandersi dall’Italia all’estero il melodramma mantiene per lo più la lingua e lo stile italiani e ancora oggi melodramma fa rima con Italia. Senza contare che le opere più famose nascono da musicisti e maestri italiani e fanno letteralmente il giro del mondo; oggi personaggi come Verdi, Puccini, Donizetti, Rossini sono elevati a patrimonio musicale universale e le loro opere messe in scena nei più prestigiosi teatri internazionali. Eppure, nonostante le somiglianze, ci si chiede come mai l’opera lirica si presenta oggi come un universo a sé stante, quasi dimenticato dal largo pubblico e a volte anche poco considerato nell’ambito dei circuiti culturali del nostro Bel Paese, che all’opera lirica ha dato i natali. Assurdo? La risposta sarebbe ovviamente sì, ma forse è troppo semplice liquidare il problema con la solita retorica in base alla quale i tempi cambiano, le generazioni si evolvono e le cose necessariamente si trasformano. Come funziona oggi questo settore? Sondando tra gli addetti ai lavori della Fondazione La Scala di Milano il bilancio che ci danno non è del tutto negativo; a loro parere l’Opera non ha mai smesso di essere considerata dal pubblico il linguaggio più rappresentativo della cultura italiana, e l’osservatorio della Scala delinea questo come profilo per il pubblico del teatro musicale: età medio-alta, cultura medio-alta, alto reddito per circa un terzo-metà degli spettatori, che sono in totale 450 mila l’anno. Un’apertura verso fasce più ampie sarebbe registrato ultimamente attraverso l’Ufficio Promozione Culturale, fondato da Paolo Grassi negli anni ottanta – un ufficio che
lavora sul territorio, a contatto diretto con le scuole medie inferiori e superiori, le università, le biblioteche, le associazioni culturali “di base” – tramite il quale circa 120 mila persone vengono avviate alla Scala con prezzo di favore: di queste, circa 94 mila sono di età inferiore ai 30 anni. È sicuramente un inizio: e se è vero che in queste fasce alcuni frequentano il teatro scaligero per “obbligo scolastico”, non è detto che proprio da qui possa nascere una spontanea passione da coltivare e proseguire anche in modo autonomo. Inoltre, per attrarre i giovani under 30, da circa tre anni la Scala si è mobilitata con un’offerta ad hoc composta da: card di offerte dedicate, abbonamenti a costi speciali (es: 3 opere e/o 3 balletti a metà prezzo), sito dedicato agli Under30, una community su Facebook che conta circa 36 mila fan. La Scala si distingue anche per una ricerca della qualità, sia per i singoli spettacoli che per l’intera stagione e questo rappresenta sicuramente un incentivo per il pubblico affezionato e per i neofiti. Ma come si mantiene una struttura così articolata come la Fondazione La Scala? Lo Stato è vicino in minima parte, attraverso un contributo di Fus (Fondo Unico per lo Spettacolo) pari a 37 milioni di euro nel 2009 e forse 32 nel 2010 (ancora non si conosce se questa cifra verrà confermata). Si tratta del 27% del budget annuale. Poi con il concorso di Comune, Provincia e Regione il totale delle sovvenzioni pubbliche sale a non più del 40% del budget. Il 60% è interamente coperto da risorse proprie: abbonamenti, biglietteria e privati (fondatori e sponsor). Il portavoce della fondazione aggiunge anche che nessun’altra Fondazione Lirica, delle 14 italiane, detiene una simile proporzione di risorse proprie e di apporti privati. Un bilancio positivo dunque, in realtà mi viene fatto notare un piccolo AK Adlige Klein 137
Il Teatro Regio di Parma, come si può leggere dall’intervista al maestro Meli, è in prima linea per perpetrare una tradizione come quella della lirica che per Parma e dintorni è sinonimo di storia e profonda cultura.
Nella foto soprai palchi vuoti del Teatro Regio di Parma. Ph. Luca Fregoso
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dettaglio: nel 2009, a fronte di 37 milioni di euro donati dallo Stato, la Scala ha pagato 39 milioni di tasse. Negli Stati Uniti ad esempio la gestione di queste strutture è diversa, i privati hanno un ruolo assolutamente attivo e grazie a loro i templi della cultura sopravvivono. E parlando di privati non bisogna solo pensare alle grosse aziende e a persone particolarmente danarose; infatti, essendo queste spese detraibili dal fisco, chiunque può contribuire con delle sponsorizzazioni in modo del tutto libero, in base alle proprie finanze. Certo un margine di rischio permane, proprio perché il privato non garantisce sempre la disponibilità, tuttavia dato il diverso sistema fiscale che agevole questo tipo di donazioni c’è comunque una propensione maggiore. Riflettendo sulla vicenda della Scala, che si è vista costretta a pagare a livello di tasse più di quello che le è stato dato dallo Stato, qualche perplessità sorge. Dispiace dirlo ma un sistema come quello
italiano fa davvero poco per tutelare la cultura e nel caso dell’opera le varie Fondazioni devono muoversi da sole per recuperare i fondi. Si innesca quindi una reazione a catena che conduce a condizioni di lavoro poco favorevoli in Italia rispetto all’estero e ad un disagio generale. Un esempio: al Teatro di Firenze erano stati promessi dei finanziamenti e il teatro, forte di ciò, si è impegnato in un mutuo per pagare gli stipendi degli addetti ai lavori di novembre e dicembre 2010, in realtà poi questi aiuti non sono arrivati e ora il teatro si ritrova con un mutuo sulle spalle. Un altro esempio: il lavoro di prove per i cantanti d’opera, che è lungo e può durare mesi, non è retribuito, quelle che vengono pagate sono le prestazioni durante le date ufficiali e se per assurdo dovesse accadere qualcosa e il cantante non potesse sostenere lo spettacolo, tutto il lavoro fatto in precedenza non sarebbe pagato in alcun modo. All’estero invece i cachet sono sì più bassi, però sono riconosciuti anche i mo-
Solo lo spettacolo è retribuito in Italia: se per assurdo dovesse accadere qualcosa e il cantante non potesse sostenere lo spettacolo, tutto il lavoro fatto in precedenza non sarebbe pagato in alcun modo...
menti di preparazione, le prove, gli allestimenti. Altro particolare che fa riflettere è come all’estero si cerca di valorizzare i propri artisti, reclutando cantanti stranieri solo se questi hanno raggiunto una chiara fama. In Italia invece c’è molta libertà circa la scelta dei musicisti e dei cantanti e spesso si cerca altrove quello che già si ha in casa propria. Quello che è necessario è forse un ristabilire le regole di gioco, perfezionare il sistema di donazioni pubbliche e private, con particolare attenzione a queste ultime prendendo esempio dai vicini d’oltreoceano e alla possibilità per loro di recuperare parte di questi finanziamenti dalle tasse. In Italia per assurdo si potrebbe vivere di Opera e più in generale di Cultura; se si pensa che un teatro raccoglie centinaia di persone a livello di pubblico quale potrebbe essere l’indotto? Infinito e tutto da inventare! È coinvolta la parte di hotelleria e ristorazione, l’intrattenimento e il divertimento, lo shopping. Prendiamo ad esempio Verona e la sua Arena: gli esercenti sono contenti quando si apre la stagione operistica perché il pubblico dell’Arena è in larga parte composto da persone con una certa disponibilità economica, che si spostano appositamente a Verona per lo spettacolo, quindi decidono di soggiornarci, di usufruire dei servizi di ristorazione e approfittano delle occasioni di shopping. La scelta fatta invece ultimamente di limitare questo tipo di spettacoli a favore dei concerti di musica pop e rock, crea un danno economico perché a differenza del pubblico d’Opera le fasce più giovani arrivano per il concerto e poi tornano a casa, escludendo la possibilità di soggiorno ulteriore. Ma lasciando per un attimo da parte il pubblico dei teatri: a creare un indotto interes-
sante è anche tutto ciò che gravita intorno all’allestimento degli spettacoli e che prevede scenografie, costumi, luci, riprese e per i quali sono quindi necessari falegnami, fabbri, fornitori di tessuti, di materiale elettrico e video. Anche internamente dunque il teatro crea un indotto lavorativo importante, che comporta il girare dell’economia e un ritorno per molti. Tornando all’Opera e per concludere forse qualcosa si sta muovendo: da un lato gli stessi teatri come La Scala si mobilitano per mantenere alto il livello e l’attrattiva anche verso i più giovani; lo stesso Teatro Regio di Parma, come si può leggere dall’intervista al maestro Meli, è in prima linea per perpetrare una tradizione come quella della lirica che per Parma e dintorni è sinonimo di storia e profonda cultura; in ultimo anche il cinema viene in aiuto portando l’Opera nelle sale grazie alla tecnologia 3D. È questa infatti un’iniziativa del circuito UCI Cinemas che ha proposto a febbraio, in un’anteprima esclusiva in cinque multisale del circuito, la proiezione di “La Carmen”. Una co-produzione RealD e Royal Opera House di Londra che ha dato la possibilità allo spettatore di essere trasportato virtualmente all’interno della stessa Royale Opera House e di assistere a una delle opere più conosciute, proposta per la prima volta nel 1875 e oggi fruibile in una sala cinematografica. Un evento che ha entusiasmato sicuramente i veterani del genere ma anche una fascia di pubblico che, attratta dal 3D, ha provato per la prima volta l’esperienza dell’opera. È un modo anche questo per iniziare al mondo operistico i più giovani o coloro che erano sempre stati scettici in precedenza; chissà mai che da qui non nasca la voglia di un abbonamento annuale alla Scala?• AK Adlige Klein 139
mauro MELI Dialogo con il maestro Mauro Meli, sovrintendente al Teatro Regio di Parma
Maestro Meli qual è il target di pubblico che frequenta l’opera? I giovani come recepiscono l’opera lirica se ancora c’è qualcuno interessato? Da Parma possiamo sfatare il mito tanto diffuso che le nuove generazioni non frequentino l’opera. Non è così in una città che sente ancora oggi il proprio teatro come uno dei punti di riferimento della vita, non solo culturale, della città. Del resto il pubblico - molto vario, esigente e competente - qui a Parma sa di poter scoprire i musicisti che saranno i grandi interpreti di domani. Potrei portare tanti esempi ma mi piace ricordare il caso più recente e sensazionale: il Festival Verdi quest’anno ha scommesso sul talento di un direttore d’orchestra ventitreenne, Andrea Battistoni, riconosciuto dalla critica e consacrato dal pubblico come un fenomenale talento. Come giudica in generale la qualità degli spettacoli e delle stagioni proposte dai teatri italiani oggi, a partire dal vostro Teatro Regio? Non spetta a me, credo, esprimere giudizi sugli spettacoli e le stagioni degli altri teatri. Come forse non spetta ugualmente a me dare un giudizio sugli spettacoli proposti nel teatro che dirigo. La migliore risposta alla giustezza delle scelte non la devo dare io. Basta dire che il nostro progetto artistico è condiviso da una del140 musica
le massime case di registrazione mondiali – la Unitel – che ha voluto condividere il nostro sforzo registrando in alta definizione tutti gli spettacoli verdiani, perché giudicati meritevoli di essere immortalati quanto le produzioni – pur diverse per gusto e stile – in scena a Salisburgo e Bayreuth. Lo stato o i privati danno fondi, sponsorizzano l’opera? Non sarò io il solo a ribadire che in Italia l’investimento per la cultura da parte dello stato dovrebbe essere nettamente superiore a quello attuale, soprattutto per realtà di prestigio come il Teatro Regio e il Festival Verdi. Così come è auspicabile che si debba trovare il modo di incentivare il contributo dei privati nell’investimento in una forma d’arte che ci ha da sempre connotato in tutto il mondo. Anche per i cantanti e i musicisti si può parlare di una fuga all’estero? Le condizioni di lavoro sono migliori rispetto all’Italia? L’Italia è il paese del melodramma e nonostante l’oggettiva difficoltà di questo momento a trovare fondi finanziari, siamo impegnati perché le stagioni del Teatro Regio di Parma e in particolare il Festival Verdi offrano la loro prestigiosa ribalta non solo alle star ma anche ai giovani talenti. Nella foto Mauro Meli. Ph R. Ricci
È in corso la registrazione in alta definizione di tutti gli spettacoli verdiani, resi così immortali al apri delle produzioni di Salisburgo e Bayreuth
MARCO BERTI la rivelazione della lirica italiana e il sogno del colòn di buenos aires di Luca Di Pierro
Cosa si prova a calcare i palcoscenici dei teatri d’opera più prestigiosi al mondo? Un sogno che diventa realtà? Sicuramente ogni volta è una fortissima emozione; è partito tutto come un sogno, passione, voglia di provare. Le prime soddisfazioni sono arrivate mentre ancora studiavo, prima al conservatorio di Como poi a Milano dove mi sono trasferito e diplomato nel 1989. A Milano sono entrato nel coro della Scala lasciando il lavoro all’Enel di Como, in tutto questo la mia famiglia mi ha molto aiutato e spronato ad andare avanti nonostante le incertezze e i sacrifici, ma sono una persona testarda: più ho ostacoli davanti a me e più prevale la voglia di provare a superarli. Quindi i primi passi quando li hai mossi? Nel 1987, ho iniziato con i primi concerti da solista dove mi sono allenato al grande pubblico che comunque ha un suo peso rispetto all’esibizione, entra in gioco l’emozione. Da lì poi ho deciso di dedicarmi totalmente alla carriera solista. Ma qual è il ricordo più emozionante che hai di questi anni di carriera? Sicuramente il mio debutto da solista alla Scala nel 1992 con Manone Lescaut, avevo già avuto ruoli da solista precedentemente, come nel 1990 a Torino con il Don Carlos, tuttavia poter ritornare alla Scala entrando
dalla porta principale e non dal retro come semplice corista… questo mi ha procurato un’immensa gioia e soddisfazione. In genere comunque ogni nuovo debutto in un nuovo teatro resta vivo in me come ricordo indelebile, dal Covent Garden di Londra, al Metropolitan di New York. L’ultimissima soddisfazione ed emozione il mio debutto con Otello nel settembre 2010. A chi devi dire grazie per dove sei arrivato oggi? A chi ci ha creduto, a mia madre che mi ha sempre supportato e alla mia famiglia, mia moglie e i miei figli, che accettano e condividono il fatto che sia spesso via e che quando sono a casa ho bisogno di riposare, di stare tranquillo. Non è facile per loro dato che questo spesso mi rende un po’ orso! Però loro sanno benissimo come prendermi e aiutarmi a gestire il grande stress che questo lavoro comporta. Sei superstizioso? Superstizioso no, abitudinario sì; ad esempio sono disposto a provare costumi, parrucche, pose cambiando anche quotidianamente in corso di realizzazione degli spettacoli e fino alla prova generale, dopo di che non permetto più di cambiare nulla fino alla prima e per tutte le repliche. E’ questione di metodo. E come ci si prepara ogni volta all’interpretaAK Adlige Klein 141
zione di un personaggio d’opera? Innanzitutto è necessario collocarlo storicamente recuperando l’opera letteraria da cui l’opera lirica è nata per mano del compositore e comparare la storia originale con le modifiche apportate per renderla musicalmente. Da qui si studia il libretto e si inizia a metterselo in gola con il pianista, a questo punto si passa al teatro con l’incontro con il regista e qui bisogna essere pronti a rimettere tutto in discussione un’altra volta. In che senso? Perché spesso uno studia il personaggio, le sue vicende, le parole che dovrà cantare per dargli vita facendosene un’idea ben precisa su carattere e conseguente interpretazione, ma non è detto che lo stesso personaggio sia visto allo stesso modo dal regista che arriva e ti sconvolge totalmente l’idea iniziale. E’ necessario quindi avere o sviluppare una notevole apertura mentale per essere pronti ad accogliere qualsiasi tipo di cambiamento. I tempi quindi non sono mai brevi, richiedono mesi di preparazione e prove continue. Nelle foto di queste pagine Marco Berti in alcuni momenti delle sue performance.
Vale per tutte le opere? In generale sì ma sono soprattutto i personaggi verdiani che richiedono sforzi maggiori perché ad esempio, a differenza di Puccini, Verdi è molto più introspettivo, scava a fondo nel personaggio è meditativo, poco scenico. Tant’è vero che le opere di Verdi si potrebbero recitare senza mettere nulla in scena se non gli attori. Puccini al contrario ti trasporta altrove, la sua musica è espressionista, è colore, capace di rendere una situazione che non per forza è così aderente alla realtà. A quale tra tutti i personaggi che hai interpretato ti sei sentito maggiormente legato e che porti maggiormente nel cuore? In questo momento ti direi Otello perché è
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assolutamente drammatico e una sfida per ogni tenore, dal momento che se non sei vocalmente all’altezza puoi anche rimetterci la voce. E qui la voce è davvero protagonista, vengono sfiorati dei sentimenti che di solito si cerca di tenere a bada e invece in quest’opera devono per forza uscire con tutta la loro violenza, come l’ira. Diventi consapevole di dare il massimo e non riesci a fermarti tanto il personaggio ti prende e ti trasporta. Se poi si conta anche l’impatto e l’emozione che dà il pubblico non è difficile capire come mai alcuni non ce l’hanno fatta a concludere lo spettacolo, rimettendoci anche la voce. La tua o le tue performance migliori? Non per essere ripetitivo ma sicuramente l’Otello, ma poi ancora il Trovatore e il Ballo in Maschera perché sono ruoli ambiti da ogni tenore. Invece un’opera portafortuna è la Carmen, ne ho fatte davvero tantissime girando ovunque nel mondo. Ricordo con piacere anche Madame Butterfly per la quale la critica mi ha consacrato come il tenore migliore per questo ruolo. Un palcoscenico che ancora non hai calcato e che resta un sogno nel cassetto? Il teatro Colòn di Buenos Aires che è uno dei teatri tradizionali più grandi del mondo con 15000 posti e la forma a ferro di cavallo, quello che lascia più impressionati, per chi c’è stato, è l’altezza dove sembra di essere su un grattacielo. Avrei dovuto essere lì due anni fa per l’inaugurazione dopo i lavori di restauro, ma poi il tutto è stato rimandato. Chi sono i tuoi maestri? Non ho maestri, più che altro quando devo prepararmi ad un nuovo ruolo vado ad ascoltarmi i tenori che sono più vicini alla mia vocalità, ma non solo; diciamo che gli insegnamenti e gli spunti più interessanti per
Si studia il personaggio, le sue vicende, le parole che dovrà cantare per dargli vita e poi non è detto che il regista abbia un’idea uguale alla tua: arriva e ti sconvolge totalmente l’idea iniziale...
preparami all’Otello ad esempio mi sono venuti ascoltando Pavarotti che come voce non condivide nulla con me. Però da lui, per il quale quest’opera era tecnicamente difficile, ho voluto prendere esempio per come tecnicamente abbia lavorato nonostante le difficoltà vocali. Quindi in generale ammiro i colleghi, riconosco la loro bravura, ma cerco sempre la mia strada. E poi maestro è anche il tempo, il fatto che continuando ad esercitarsi in un certo modo, provando e riprovando con costanza alla fine si raggiungono determinati risultati. Quanto ti impegna il tuo lavoro e come lo concili con la famiglia e il tempo libero? Mi impegna tanto, è un lavoro che mi porta lontano da casa gran parte dell’anno; quello che mi aiuta come già dicevo è il fatto di avere l’appoggio e la comprensione della mia famiglia. Ci sono dei sacrifici da fare ma quando poi sono a casa sto con loro, il telefono rimane spento o decido liberamente se rispondere o meno; altre volte sono i figli o mia moglie che vengono con me e mi seguono in tourneè, anche per loro questa è una bellissima opportunità per viaggiare e conoscere i grandi della musica. Un bilancio e un tuo parere personale rispetto all’attività operistica in Italia? Purtroppo il bilancio è totalmente negativo, in Italia l’opera è morta e fa specie questo se si pensa che in Spagna, nonostante la forte crisi, lo scorso anno abbiano comunque aumentato i contributi per la cultura. Da noi invece questi contributi sono stati tagliati e molti teatri sono costretti a dimezzare la stagione, a scegliere cast più economici e quindi ad offrire spettacoli mediocri dato che i grandi musicisti e cantanti hanno cachet che non ci
si riesce più a permettere. Gli stessi privati sponsorizzano di meno perché sono spese che non si possono detrarre dalle tasse e in tempi di crisi certi tagli sono ovvi e necessari. Cosa si potrebbe fare? Sarebbe necessario rifare le regole, ripianificare il modus lavorativo nell’ambito della cultura e del mondo operistico in particolare. Tra i primi accorgimenti sicuramente la possibilità per il privato di sponsorizzare deducendo questi costi dalle tasse, poi anche tenere monitorato il livello dei musicisti e dei cantanti con contratti rinnovabili di anno in anno in base al merito e alle reali capacità artistiche di ognuno da provare periodicamente tramite audizioni e concorsi. Questi sono solo degli esempi. Invece cosa si potrebbe fare di più anche per avvicinare i giovani a questo mondo che racchiude in sé musica, storia, teatralità, poesia? Di base manca una cultura del teatro e dell’opera ma anche della musica. Tutta la musica moderna nasce da quella classica ma non studiandola a scuola i ragazzi non sono educati musicalmente, quindi indipendentemente dal fatto che possa piacere o meno la musica classica e la lirica, si ignora totalmente come da qui si sia arrivati al rock e al pop contemporanei. Chi tra le giovani generazioni conosce l’opera è perché esce da un percorso di studi classici o umanistici, ma si tratta di una piccolissima percentuale irrilevante. All’estero invece alla musica viene data grande importanza in ambito scolastico, ognuno ha l’obbligo di scegliere e imparare a suonare uno strumento musicale e i ragazzi stranieri conoscono meglio dei coetanei italiani la storia dell’opera e del melodramma che per assurdo è una storia italiana.• AK Adlige Klein 143
libri - andrea de carlo
lei e lui “Lei e Lui” di Andrea De Carlo: una storia d’amore che tale diventa solo dopo diversi scontri, che nasce per un incidente d’auto, che porta a viaggiare tra Liguria, Francia e Canada, ambientata prevalentemente in una Milano contemporanea di un’estate torrida. Sono Lei, italo-americana impiegata in un call center di una grande compagnia di assicurazioni, e Lui, scrittore maledetto e alla ricerca della vena creativa perduta.
IN PROVENZA
INNAMORARSI A MILANO Come “Un amore”, di Dino Buzzati: romanzo crudo e tagliente, che non lascia spazio ai sentimentalismi ma mette in scena l’amore come sentimento che distrugge e infiamma e consuma. Un amore non ricambiato che si sviluppa e cresce nella cornice di una Milano anni ‘60 grigia, caliginosa e triste; tra mondo borghese e mondo degradato di ballerine e prostituzione…. Così anche “Lei e Lui” è un romanzo che parla d’amore, secondo diverse sfaccettature, amore come attrazione, amore fraterno, amore filiale e sempre con lo stesso sfondo: Milano, anche se al grigio di Buzzati si sostituisce la luce calda e abbagliante dell’estate torrida cittadina.
Come “Un anno in Provenza”, di Peter Mayle: decidere di non accontentarsi più delle 2/3 settimane di caldo e luce brillante dell’estate per scegliere la Provenza come nuovo domicilio, abbandonando Londra e la sua nebbia per diventare cittadini francesi; nuova casa, nuova lingua, nuove amicizie e una vita totalmente stravolta…. Così in “Lei e Lui” il nostro Lui “rapisce” Lei per un week-end portandola nel sud della Francia per una full-immersion nelle atmosfere magiche e romantiche delle notti provenzali e nei suoi profumi e folklore durante le calde ore del giorno.
METEORE Come J.D. Salinger: scrittore del nostro secolo, tra i più conosciuti e apprezzati, divenne famoso nel 1951 con la pubblicazione di “Il giovane Holden”, piccolo capolavoro e rivisitazione del romanzo di formazione. Da allora Salinger non pubblicò più nulla di significativo e preferì ritirarsi a vita privata costruendo intorno a sé un’aurea di mistero sulla sua vita e sulla sua attività letteraria…. Così il nostro Lui è uno scrittore che raggiunge il successo internazionale con il solo romanzo “Lo sguardo della lepre”, pubblica poi altri testi ma di minore nota e proprio quando incontra Lei sta attraversando un periodo di forte crisi creativa: riuscirà a recuperare il suo estro?
VANCOUVER Vancouver: il 6 aprile 2011 è stato il compleanno della città canadese della British Columbia. Le candeline da spegnere erano 125 e i festeggiamenti hanno avuto luogo dal pomeriggio fino a sera e sono culminati con il taglio di una torta gigante. Ma il 2011 è un anno importante per Vancouver che oltre a festeggiare il suo 125° compleanno è stata anche nominata capitale culturale del Canada… Così speriamo che questa città, che è porto ultimo in cui si ha l’epilogo del romanzo, possa portare fortuna a Lei e Lui; dove poter festeggiare e ricordare ogni anno un importante anniversario.
DI CORSA
TELEFONI ROVENTI
Correre per scaricare la mente e ritemprare il fisico, correre come esercizio fisico assolutamente economico e praticabile ovunque, correre in compagnia o correre da soli, scegliere un percorso nei parchi cittadini o nei boschi in collina, correre anche artificialmente su un tapis-roulant di ultima generazione. Correre con costanza, senza guardarsi indietro e pensando solo al prossimo traguardo…. Così anche la nostra Lei corre a Milano, sotto il caldo, e lo fa per scaricare le tensioni, per non pensare a questo Lui che si è insidiato nella sua vita e per non pensare al fidanzato storico che si accorge pian piano di non amare più; ma pian piano emergerà con forza una decisione.
Come i “Telefoni bianchi” sono simbolo di benessere sociale, mezzo di conversazioni amorose, intrighi, leggerezze e frivolezze ben visibili all’interno dei film che animarono la stagione cinematografica dal 1936 al 1943 in Italia, così il telefono è invece per la nostra Lei, impiegata in un call-center, strumento primario di lavoro ma simbolo di stress e sfruttamento, che lascia pochissimo spazio alla realizzazione personale.
INCIDENTI E AMORI TNS ha effettuato una indagine davvero curiosa che ha dato un responso altrettanto strano, il 7% degli italiani ha avuto un flirt con una persona che ha causato un incidente, non solo, il 13% ha anche iniziato una vera storia d’amore che dura tutt’ora…. Così anche la nostra Lei e il nostro Lui si incontrano per un incidente e rientrano nel 13% di persone che poi iniziano una storia d’amore che ci immaginiamo, ovviamente, duri ancora adesso!
BIBLIOGRAFIA Alcuni consigli utili per approfondire gli argomenti trattati in questo numero di AK
INCHIESTA Le Stagioni del San Martino, foto di Gin Angri – testi a cura di M. Fogliaresi, Ed. Marna, 2008. Un manicomio di conf ine. Storia del San Martino di Como, Gianfranco Giudice, Ed. Laterza, 2009. Poesia e Follia. Alda Merini. La follia della poesia, Filippo Giuseppe Di Bennardo, Ed. Edibom, 2010. Storia della follia nell’età classica, Michel Foucault, Ed. Bur, 1998. LEGGENDE METROPOLITANE Le nuove leggende metropolitane, P. Toselli e S. Bagnasco, Ed. Avverbi, 2005. Centouno stronzate a cui abbiamo creduto tutti almeno una volta nella vita, Severino Colombo, Ed. Newton Compton, 2011. Il grande libro delle leggende metropolitane, Robert Fleming – AAVV. NEW YORK Vado a vivere a New York, Stefano Spadoni, Ed. Stevensword Inc, 2007. Passeggiando per New York. Scritti sull’architettura della città, Lewis Mumford, Ed. Donzelli, 2000. New York da impazzire. 1001 dritte per una vacanza f ichissima, Caitlin Leffel e Jacob Lehman, Ed. L’Airone Roma, 2011. Undici solitudini, Richard Yates, Ed. Minimum Fax, 2006. R. Yates
PARMA A spasso con Don Camillo. Guida al mondo piccolo di Giovannino Guareschi, Mario
Bussoni, Ed. Mattioli 1885, 2010. Dove i sapori sono arte. Abbecedario della cucina parmigiana, Giovanni Ballarini, Ed. Monte Università Parma, 2007. Renzo Piano. La fabbrica della musica. L’auditorium Paganini nella città di Parma, Gabriele Basilico - Fulvio Irace - Sauro Rossi, Ed. Abitare Segesta, 2002. ARCHITETTURA & DESIGN Una vita nel segno della graf ica, Francesco Dondina, Editrice San Raffaele, 2009. Dall’artigianato artistico al design industriale, F. Adriani e P. Jappelli, Ed. Electa Napoli, 2005. Con-tract. Un’opportunità per il design made in Italy, Giulia Gerosa, Maggioli Editore, 2010. Domotica, Giancarlo Frasca, Ed. Lampi di Stampa, 2009. ARTE Dino Lanaro e gli artisti di Corrente, AAVV, Ed. Mazzotta, 2004. ECOSOSTENIBILITÀ Confessioni di un eco-peccatore, Fred Pearce, Ed. Ambiente, 2009. MODA Manifesto della moda durevole. Liberare il sistema moda dallo spreco e dall’eff imero, Cioni Germano e Pucci Giannozzo, Ed. Libreria Editrice Fiorentina, 2010. OPERA LIRICA La grana della voce. Opere, direttori, cantanti, Rodolfo Celletti, Ed. B.C. Dalai, 2000.
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50 anni di Salone In questa pagina alcune immagini dello Spazio Botta in Porta Romana. Ph. Vanessa Furlano Nella pagina a destra il progetto per Interni Mutant di Zaha Hadid e il ritratto dell’architetto Più in basso un particolare dell’allestimento di Spazio Botta
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mani, Tecno… solo per citarne alcune. 50 anni e non sentirli, nessun’altra A queste oggi se ne aggiungono moldescrizione risulta più azzeccata per tissime altre, anche straniere, e i saloni la 50° edizione del Salone del Mobile crescono lasciando spazio anche a Euche si è svolta tra l’11 e il 17 aprile a rocucina e Euroluce, che si alternano Milano. Per i più è semplicemente la ad anni pari e dispari, e poi il Salonesettimana del salone, quando Milano Satellite, dove i giovani desi colora di eventi, di persone, di mostre, di design e un’ondata anomala signer hanno la possibilità di mettersi in mostra e manovità. È una città in ferdi creatività mento che concentra in 7 gari essere notati dai grandi per 7 giorni, maestri dell’arredo. E se la giorni un’ondata anomala, che investe una fiera di per sé è più per gli in senso del tutto positivo, città in fermento di creatività. Dalla perifeaddetti del settore, i buyer e la stampa, in centro città, tra via Torria di Rho, dai padiglioni veri e protona e Savona, il quartiere di Brera e pri della fiera, ai centri cittadini è un Porta Romana, la zona del Duomo e continuo richiamo e rimando: in espodi Via Monte Napoleone, si scatenasizione ci sono le aziende italiane che rappresentano l’eccellenza del design e no invece l’estro e la creatività degli shoowroom: ognuno con il suo party dell’arredo in Italia e nel mondo e che di benvenuto, il suo intrattenimento, già 50 anni fa si sono fatte promotrici della prima edizione del Cosmit come la mostra temporanea, la presenza del designer di successo. Quest’anno tra i Anonima Castelli, Arflex, Bernini, più belli e suggestivi sicuramente InBoffi, Cassina, Kartell, Molteni, Sor-
mana del salone la Valcucine Tempoterni Mutant, l’allestimento negli spazi rary Laundry, un servizio utilissimo di aperti dell’Università Statale, con una lavanderia per tutti coloro che a caccia serie di installazioni sperimentali per delle ultime novità di design non aveuna riflessione sul progetto architettovano tempo per il proprio bucato; M nico mutante e flessibile. Ancora l’alleLab, Young Italian Designers presso lo stimento Avantgard presso i chiostri di showroom Mirabello che San Barnaba, importante vetrina per i talenti artistici ha incaricato 4 giovani deAttilio Stocchi italiani e con uno spiccato ricrea con la magia signer italiani, già presenti interesse per tutto ciò che lo scorso anno al Salone multimediale è nuovo e avanguardistico. l’antico bosco sacro Satellite, di disegnare una Cuore Bosco, l’installazione dove sorge S.Fedele linea di biancheria per la multimediale ideata da Atcasa per un target giovane e amante del design rimaste in espositilio Stocchi in piazza S. Fedele, dietro zione durante la settimana e che saranpalazzo Marino, ha ricreato invece tra no in vendita da settembre. Movimensuoni e nebbie un bosco sacro, laddove tata e ricca di appuntamenti anche la al tempo dei Celti il bosco c’era davvero ed era venerato dai suoi abitanti. Tutto zona di Porta Romana che aveva il suo headquarter disposto sui 1500 metri da scoprire poi il Brera Design District quadri dello Spazio Botta ad ospitare con il loggiato della Pinacoteca dove è stata ospitata una retrospettiva sul deaziende di design internazionali come Pinch Design, Case Furniture Ltd e sign belga; lo showroom di Valcucine Eco-ntamination.• che ha invece inaugurato per la settiAK Adlige Klein 149
Azienda Agricola Zamuner
Un tesoro nascosto in cantina
Le uve sono raccolte in Agosto, ma solo a Marzo si aggiunge il “liquer de tirage”
alla produzione di bollicine è stata dovuta L’azienda agricola Zamuner è una realtà anche all’impossibilità iniziale per l’ingegner relativamente giovane, nata nel 1981 su iniZamuner di dedicarsi totalmente al mondo ziativa del titolare, signor Daniele Zamuner, del vino per sue personali esigenze lavoraa cui si aggiunge successivamente la collative, tanto è vero che borazione del figlio dal 1984 iniziò con lo Francesco. L’azienda, Nel 1984 Zamuner comincia stoccare la produzione che si espande su sei a stoccare la produzione in cantina arrivando a ettari di terreno morearrivando a dimenticarsela. dimenticarsela anche nico e calcareo a Sona Ma basta poi riassaggiare le per anni. Ma è bastato in provincia di Veannate per capire poi assaggiare le annarona, si è distinta fin l’eccellenza del prodotto. te anche a distanza per dall’inizio per la scelta capire l’ e ccellenza del prodotto. Oggi Zadi concentrarsi nella produzione di Spumuner commercializza 40000 bottiglie di manti Metodo Classico, grazie alla passioSpumante di varie tipologie; la base è data ne per lo Champagne di Daniele Zamuner. da uve Pinot Nero (70%), Pinot Meunier Da neofita si è avvicinato a questo mondo, (20%) e Chardonnay (10%). Le uve vengosenza avere alcuna esperienza alle spalle o no raccolte a partire dalla terza settimana di una tradizione enologica familiare, e non ha agosto, poi pressate e il mosto è conservamai smesso successivamente di interessarsi to in botti fino al marzo successivo; solo al vino e di interfacciarsi con altri produttoa questo punto si assemblano le partite e si ri divenuti poi amici. La scelta di orientarsi
procede con l’imbottigliamento e l’aggiunta del “liqueur de tirage”. Ma la produzione Zamuner non si ferma qui, l’azienda di Sona aggiunge oggi alla produzione di Spumante anche piccole quantità di vini rossi e bianchi fermi . I prodotti Zamuner sono stati più volte riconosciuti e premiati da Gambero Rosso, ben classificati da molte guide compresa la Duemilavini dell’AIS e da pubblicazioni straniere come la Wein-Plus tedesca e sono risultati vincitori di concorsi locali ed internazionali. La stampa specializzata ha sempre seguito con attenzione gli sviluppi di questa azienda che può essere ritenuta un fiore all’occhiello per la produzione vinicola italiana.Da due anni inoltre è stata avviata una collaborazione di successo con Roberta Cattaneo e Alessio Zennaro, titolari del locale Ratafià di Como, che si sono rivolti a Daniele Zamuner per creare un prodotto unico. Il risultato è oggi lo
spumante Ramuner, “l’aperitivo per eccellenza, un’avventura per il dopo cena”, il cui bouquet si distingue per il giusto equilibrio tra freschezza ed evoluzione e un’esplosione di profumi fruttati: albicocca, pesca, frutta gialla e lieviti. Ramuner è prodotto in esclusiva per Ratafià dall’azienda Zamuner e nonostante la giovane età è già un successo di critica e pubblico. Un’avventura continua quella di Zamuner, aperto alle nuove sfide e vincente nelle sue intuizioni… non male per chi era inizialmente solo un neofita! www.zamuner.it - www.ramuner.com Nelle foto uno degli spumanti, la degustazione dell’ing. Zamuner e la villa di Sona, in provincia di Verona.
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Jeroboam: esperimenti enogastronomici direttamente a casa Jeroboam: che cos’è e qual è il suo significato? Jeroboam è un nome biblico che, nella nomenclatura delle bottiglie, rappresenta quella da 3 litri. Abbiamo scelto questo nome anche perché attratti dal suono che evoca. Cosa vi ha portato a fondare Jeroboam? La passione per il vino e la voglia di comunicarlo hanno fatto nascere l’idea di intraprendere questa nuova avventura; una buona dose di intraprendenza e di voglia di mettersi in discussione ci hanno poi permesso di creare tutto questo. E’ una bella sfida: una professione tutta nuova e da reinventare ogni giorno. A quale pubblico e target fate riferimento? A tutti i curiosi, a tutte quelle persone che sono affascinate dal vino e dalle sue molteplici caratteristiche, che desiderano regalarsi e regalare ai propri ospiti un servizio d’elite nell’intimità della propria casa. Non si tratta di una degustazione ma di un percorso emozionale in cui Jeroboam li accompagna, raccontando storie, svelando curiosità, preparando abbinamenti culinari e suggerendo anche argomenti di discussione. Non possiamo negare che il target più interessato a questo genere di proposte è quello dell’imprenditore o comunque dell’uomo in affari che decide di fare un regalo “emozionale” ai propri amici, clienti o dipendenti. E’ un’idea originale il cui ricordo rimarrà negli ospiti. Tuttavia non ci sentiamo solo un servizio di nicchia, piuttosto vogliamo essere scelti trasversalmente per celebrare momenti particolari e importanti. Quali servizi offrite? Jeroboam propone il servizio di sommelier a domicilio: arriviamo a casa del cliente con il vino concordato insieme, la conoscenza dei piatti in abbinamento, materiale didattico-informativo oltre a tutti gli “attrezzi” che servono per servire e degustare. Offriamo anche servizi di consulenza enologica sia per chi è alle prime armi, sia per chi voglia accrescere in maniera oculata la propria cantina. A questo si aggiunge la valutazione delle cantine in base ai mercati odierni. Sul nostro sito, www.jeroboam-wine. it, è inoltre presente una sezione in cui poter inviare domande a cui il sommelier risponderà in maniera precisa e dettagliata. Perché la curiosità è sempre la chiave d’accesso! Avete prodotti particolari e ricercati? Attraverso la nostra attività di winescouting siamo in grado di trovare ogni etichetta al miglior prezzo possibile. La nostra formazione e la nostra passione ci consentono di muoverci nel mondo del vino con il giusto approccio e la giusta energia che richiede tutto questo. La soddisfazione dei nostri clienti è la linfa vitale del nostro business. Info: www.jeroboam-wine.it
Sommelier a domicilio
AK compie un anno eventi È stata una serata di successo la festa di presentazione del nuovo numero di AK Adlige Klein lo scorso 15 dicembre presso il Temporary Store Ramuner a Como. Circa 150 amici tra clienti e lettori della rivista sono intervenuti curiosi di sfogliare il nostro numero 4 e di apprezzarne l’evoluzione. Sì perché abbiamo voluto chiudere l’anno in bellezza pronti a riaprirlo con un nuovo entusiasmo e tante idee; oggi AK è un prodotto editoriale più ricco di pagine da sfogliare, con una grafica rinnovata e un formato più ampio, abbiamo aggiunto nuove sezioni come quelle dedicate alla moda e alla buona tavola e per essere apprezzati anche all’estero non ci siamo fatti mancare la traduzione dei contenuti in lingua inglese. Una serata di festa dicevamo con due ospiti di eccezione come la pittrice varesina Susanna Cattai che ha esposto le sue opere d’arte ispirate alle illustrazioni americane degli anni ’50, davvero dei piccoli capolavori, e lo scrittore Enzo Gianmaria Napolillo, che si è prestato per una chiacchierata a presentare il suo primo romanzo “Remo Contro” e ad accennare ai suoi progetti futuri. Non è mancato neppure l’intrattenimento musicale con un repertorio jazz di un duo chitarra e sax, l’aperitivo a base di sushi a cura di Sushibar Como con l’impeccabile accostamento di vini scelti accuratamente da Jeroboam Wine. A fine serata ognuno ha avuto il suo piccolo regalo: le esclusive shopping bags realizzate grazie ai tessuti di Dedar SPA marchiate AK contenenti ovviamente il nuovo numero della rivista! E per non farci mancare proprio nulla i nostri ospiti sono stati piacevolmente sorpresi dai microfoni di Como TV 24 che per tutta la sera ha ripreso la nostra serata realizzando un bellissimo video che si può rivedere tramite il nostro portale akappa.it. Un ringraziamento anche a Sears per la sua costante presenza come main sponsor di ogni evento AK, a Wind negozio di Como e ad ArtFlor Monti per l’allestimento floreale. Che dire? Alla prossima! Guarda il video della serata su akappa.it AK Adlige Klein 153
Agenda A cura di Vanessa Ferrandi
fino al
27 nov
54° Biennale d’arte di Venezia Venezia
17 Italia Wave Love Festival 14 lug / lug Lecce
Aprirà dal 4 giugno la 54° edizione della Biennale d’arte di Venezia, diretta e curata dalla storica d’arte e critica Bice Curiger. Il titolo della kermesse è ILLUMInazioni – ILLUMInations allestita al Padiglione Centrale ai Giardini e all’Arsenale formando un unico percorso espositivo, con 83 artisti da tutto il mondo. Tra questi, 32 sono giovani nati dopo il 1975 e 32 sono le presenze femminili. A quattro artisti partecipanti la Direttrice ha chiesto di creare dei “parapadiglioni”, strutture architettoniche e scultoree allestite ai Giardini e all’Arsenale, realizzate per ospitare il lavoro di altri artisti. La Mostra sarà affiancata, come di consueto, negli storici Padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia, da 89 Partecipazioni nazionali. Il Padiglione Italia all’Arsenale, organizzato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con il PaBAAC - Direzione Generale per il paesaggio, le belle arti, l’architettura e l’arte contemporanee, sarà curato da Vittorio Sgarbi. Le nazioni presenti per la prima volta saranno Andorra, Arabia Saudita, Bangladesh, Haiti. Altri paesi parteciperanno quest’anno dopo una lunga assenza: India (1982), Congo (1968), Iraq (1990), Zimbabwe (1990), Sudafrica (1995), Costa Rica (1993, poi con l’IILA), Cuba (1995, poi con l’IILA). Saranno 37 gli Eventi collaterali proposti da enti e istituzioni internazionali, che allestiranno le loro mostre e le loro iniziative in vari luoghi della città in concomitanza con la Biennale. Per info: www.labiennale.org 154 agenda
Torna a metà luglio a Lecce l’appuntamento più atteso dell’estate italiana: è “Italia Wave Love Festival”, nato nel nel 1987 come Arezzo Wave oggi conta più di 150 eventi in pochi giorni e quasi 20mila persone che si aggirano quotidianamente tra le 9 aree di spettacolo. Il Love Festival diffonde la cultura giovanile unendo l’Italia alla scena musicale internazionale; mescola la musica assieme ai fumetti, la letteratura, il teatro, il cinema, le arti visive e la tecnologia, parla un linguaggio moderno in grado di sostenere, promuovere e valorizzare la diversità culturale. Sul palco quest’anno, tra gli altri, Paolo Nutini, Lou Reed, Kaiser Chief, Jimmy Cliff. Per info www.italiawave.com
Umbria Jazz Festival 17 08 / lug lug Perugia
L’edizione 2011 Umbria Jazz Festival, che si svolgerà dall’8 al 17 luglio, si preannuncia quale appuntamento irrinunciabile per gli appassionati della musica. Il centro storico di Perugia prevede oltre cinquecento artisti, concerti pomeridiani, serali e notturni, l’arena palco principale, due palchi all’aperto con concerti gratuiti, teatri e jazz club, jazz lunch & dinner, con proposte musicali che spaziano ormai sull’intero orizzonte musicale per abbracciare i gusti di un pubblico sempre più eterogeneo. Per info www.umbriajazz.com
Agenda - Design
fino al
10 lug
20 /22 ott
Rimini Fiera
fino al
set
Victoria and Albert Museum, Londra
SUN.LAB e i giovani talenti
Se ti ritieni un giovane talento dell’Outdoor Design allora non perdere l’occasione di partecipare al concorso organizzato da SUN, il Salone internazionale dell’esterno (Rimini Fiera, 20-22 ottobre 2011) che, giunto alla IV edizione, verterà sui grandi argomenti dello Urban Design&Living, chiedendo uno sforzo interpretativo sui concetti che ruotano attorno al tema del vivere la città. L’obiettivo della progettazione infatti è la creazione di arredi e accessori per esterni permanenti o temporanei, che rendano parcheggi, parchi cittadini, centri storici, strade, piazze e locali pubblici luoghi piacevoli, confortevoli, facilmente gestibili, in cui ci si possa sentire a proprio agio e in cui ci si senta invogliati alla fruizione. Invia il tuo progetto entro il 21 maggio 2011, potresti essere selezionato per esporre e proporre il tuo prototipo al Salone. Per info ww.sungiosun.it
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Yamamoto celebrato al V&A
Fino al 10 Luglio il rinomato Victoria & Albert Museum di Londra ospita la retrospettiva più attesa dell’anno: una mostra dedicata all’opera del maestro giapponese Yohji Yamamoto. Ideata per celebrare il trentesimo anniversario del debutto del fashion designer a Parigi, la mostra del V&A è presentata attraverso una serie di installazioni innovative e impreziosita da un timeline multimediale interattivo che ha lo scopo di illustrare la cronistoria dei momenti più salienti della onorata carriera dello stilista. Con oltre 60 capi al V&A e molti altri disseminati nelle esposizioni satellite allestite in diverse zone della città, la retrospettiva esplora l’opera di un visionario, nel tentativo di catturare lo spirito di un designer che ha messo continuamente in discussione l’idea universale di bellezza. Per info: www.vam.ac.uk fino al
China New Design Triennale, Milano
Comincia l’8 Giugno China New Design,a cura di Jérôme Sans e Cui Quiao, primo tra importanti appuntamenti dedicati al New Far East Design. La mostra propone una selezione dei più interessanti lavori dei designer cinesi contemporanei, in molti casi inediti per l’Italia. Il progetto non fa solo riferimento al design, ma il tema vero è la cultura delle giovani generazioni cinesi. Per info: www.triennaledesignmuseum.it
03 ott
Design da Ballo Vitra Design Museum, Weil am Rhein (Germania)
“Zoom. Il design italiano e la fotografia di Aldo e Marirosa Ballo” è la mostra allestita negli splendidi ambienti del Vitra Design Museum di Weil am Rhein fino al 3 ottobre. L’evento offre una nuova modalità di lettura della storia del design italiano, attraverso l’esposizione di mobili, lampade, oggetti, libri, periodici, poster e una ricca serie di fotografie dell’archivio Ballo. Per info: www.design-museum.de
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Agenda - Arte A cura di Vanessa Ferrandi
fino al
10 lug
Le grandi forme di Botero Casa Rusca, Pinacoteca Comunale, Locarno
Da non perdere l’affascinante mostra dedicata a Fernando Botero, esposta presso la Pinacoteca Comunale Casa Rusca di Locarno, a cura di Rudy Chiappini e allestita in stretta collaborazione con l’artista stesso. L’esposizione presenta infatti più di una sessantina di opere di grande formato, riconducibili alle tematiche predilette dal maestro colombiano: la reinterpretazione dei grandi capolavori del passato, i nudi, i ritratti di religiosi, la corrida, la natura morta, il circo, la gente e la vita latinoamericana. Il percorso indaga la produzione artistica degli ultimi quindici anni, offrendoci così l’opportunità di conoscere la più recente evoluzione pittorica del maestro, caratterizzata dalla dilatazione delle forme; uomini, oggetti e paesaggi acquistano dimensioni insolite, apparentemente irreali, e i grandi volumi creano quella sensualità che nella pittura suscita piacere allo sguardo. Un percorso carico di colore, per ammirare da vicino le opere di uno degli artisti più rappresentativi del nostro tempo. Per info www.mdam.ch
fino al
11 giu
I paesaggi di Pedretti Galp. Galleria La Perla, Olgiate Comasco
Galp Galleria La Perla di Olgiate Comasco dal 14 Maggio propone un interessante rassegna sul paesaggista varesino Antonio Pedretti. Il tema dell’acqua ferma, della palude, è una costante all’interno del percorso dell’artista, nato sulle rive del lago e dunque intimamente legato a questo genere di paesaggio naturale. Nel lavoro di Pedretti è recuperabile un ricordo di matrice informale, che nel tempo si è svuotato di significati e di valori, trovando nella frequentazione della materia e dei colori pulsioni magiche e ludiche.Le costruzioni pittoriche di Pedretti si affidano a sensazioni visive, ma soprattutto ricrea in studio sul filo della memoria visioni che già sono depositate nel suo immaginario fin dall’infanzia, che affiorano e si accumulano ad ogni esperienza. Per info: www.galleriagalp.it 156 agenda
fino al
14 ago
Pistoletto in mostra al MAXXI Museo MAXXI, Roma
Arrivano al Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma due mostre: “Michelangelo Pistoletto: da Uno a Molti, 1956 – 1974 e “Cittadellarte” sono infatti due progetti che vogliono raccontare il percorso artistico del grande artista biellese. Per info www.fondazionemaxxi.it
Agenda - Arte
fino al
28 ago
150 anni d’arte a Trieste
Castello di Miramare, Trieste
Nell’ambito delle celebrazioni per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, le Scuderie del Castello di Miramare di Trieste ospitano, dal 17 aprile al 28 agosto 2011, una mostra che vuole tracciare un percorso delle principali correnti artistiche che si sono formate nel corso degli ultimi due secoli. L’esposizione, dal titolo Centocinquant’anni d’arte. Da Fattori a Fontana, curata da Roberto Alberton, organizzata da Galatea Arte Associazione Culturale, in collaborazione con la Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia, presenta un excursus dell’arte italiana del XIX e XX secolo, attraverso 120 opere di maestri quali Boldini, De Nittis, Fattori, Morbelli, Balla, Baj, Campigli, De Pisis, Morandi, Rosai, Sironi, Manzoni, Morlotti, Fontana. Per info: www.castello-miramare.it
L’auto come feticcio 17 08 / lug lug
Tinguely Museum, Basilea (Svizzera)
Partendo dall’estasi della velocità del Futurismo, passando per la mediatizzazione tipica della pop art per arrivare al transfer culturale motorizzato di oggi, la mostra offre uno sguardo poliedrico sull’automobile come bene culturale primario del XX secolo e sulla sua rappresentazione nell’arte. Inserita nel contesto storico-culturale, l’auto dimostra di essere una merce culto, un feticcio sessuale e religioso. Per info: www.tinguely.ch
fino al
28 ago
Rosa Barba. Stage Archive Museo MART, Trento
Si può visitare fino al 28 agosto il progetto di Rosa Barba proposto per la sua prima personale e allestito tra la Fondazione Galleria Civica – Centro di Ricerca sulla Contemporaneità di Trento e il Mart di Rovereto. Le singole opere, tutte prodotte dall’artista per questa eccezionale occasione espositiva, comunicano le une con le altre a comporre un’installazione filmica , testuale e sonora, che insegue l’ideale futurista . Rosa Barba è partita dai documenti conservati presso gli archivi storici del museo, studiando una serie di sceneggiature mai realizzate da Fortunato Depero. Per info: www.mart.trento.it
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Famosi per 15 minuti Nicola, 27 anni
Quale veicolo possiede? Una Peugeot 1007 nera. Secondo lei qual è il futuro della mobilità? Bicicletta o piedi! Come si informa? Con internet. Cane o gatto come animale di compagnia? Gatto perchè è autonomo. Il problema del clima realtà o finzione? È realtà. Quale persona vivente ammira di più e perché? Ammiro Barack Obama perché ci ha creduto davvero ed è arrivato. Cosa deplora maggiormente negli altri? Parlare a sproposito. Qual è la sua idea di felicità? Avere la possibilità di fare quello che voglio quando voglio, senza scadenze. Qual è l’opportunità più importante che le ha portato la vita? Fare il trasloco del nuovo ospedale Sant’Anna a Como. Qual è la sua più grande paura? Non capire cosa voglia fare. Dove vorrebbe vivere? Qua, ad Olgiate Comasco. Se fosse un attore chi sarebbe? Ewan McGregor. Qual è il suo libro preferito? “Vita di Pi” di Yann Martel. Meglio dare o ricevere? Dare. Come si rilassa normalmente? Lavandomi i capelli. Quale canzone volesse fosse suonata in sua memoria? Hallelujah di Jeff Buckley.
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Appuntamento a teatro A cura di Vanessa Ferrandi
22 / 27 lug ago
Festival Puccini Parco della Musica, Torre del Lago (LU)
Il Festival Puccini nato nel 1930, con il passare degli anni, è diventato un appuntamento sempre più prestigioso e richiama migliaia di spettatori provenienti da tutto il mondo, il cartellone 2011 prevede due nuovi allestimenti, La Bohème e Madama Butterfly coprodotto con la nipponica NPO, oltre a Turandot. In scena dal 22 luglio al 27 agosto, oltre alle celebri opere del maestro di Torre del Lago, anche lo spettacolo di Roberto Bolle che ripercorre mezzo secolo di storia del balletto e la performance di Massimo Ranieri con il suo “Canto perchè non so nuotare...da 40 anni!”. Per info www.puccinifestival.it
09 lug
Martha Graham Dance Company Parco di Villa Olmo, Como
È solo uno dei tanti e importanti appuntamenti dell’edizione 2011 di Como Festival, perché Martha Graham Dance Company è un modello nello sviluppo della danza contemporanea fin dalla sua fondazione nel 1926. Basata sulla visione della pionieristica coreografa Martha Graham, la compagnia dà vita a uno stile senza tempo tipico della danza americana che ha influenzato generazioni di artisti e continua ad affascinare il pubblico. Per info www.comofestival.org
17 / 03 Lirica a Verona giu set Arena di Verona
Torna la stagione lirica a Verona, dal 17 giugno al 3 settembre l’Arena ospiterà ancora una volta 5 tra le più famose opere liriche e quest’anno la scelta cade su Aida, La Traviata, La Bohème, Il Barbiere di Siviglia, Nabucco, Roméo et Juliette. In una cornice spettacolare e suggestiva sarà possibile rivivere la magia e l’atmosfera di musiche e testi lontani a cominciare dalla Traviata che aprirà la stagione sembrerebbe al cospetto del Presidente Napolitano, invitato per celebrare i 150 anni dell’Unità italiana attraverso l’opera verdiana. Per info: www.arena.it
1/2 Luglio 2011, alle ore 21.00
Caligula di Albert Camus Villa Adriana, Tivoli Dopo aver affrontato con straordinaria profondità il teatro di Čecov, Gogol’, Puškin, Tolstoj e Dostoevskij, ecco un altro spettacolo tratto da un’opera letteraria, questa volta francese, che viene presentato in prima europea a Tivoli dal grande regista lituano Eimuntas Nekrosius, già ospite dell’edizione 2009 del Festival di Villa Adriana. Per info www.auditorium.com
162 agenda
Città di Locarno Servizi culturali
Casa Rusca Pinacoteca comunale
Piazza S. Antonio CH-6600 Locarno Tel. +41 (0)91 756 31 85 -70 servizi.culturali@locarno.ch 20 marzo 10 luglio 2011
NSG-2-11
In mostra sessanta tra sculture e dipinti di grandi dimensioni realizzate dall'artista negli ultimi quindici anni.
Da martedì a domenica: 10:00 –12:00 / 14:00 –17:00 Lunedì chiuso (ad eccezione del 25 aprile e del 13 giugno 2011).
AK
ADLIGE KLEIN
akappa.it