AK
ADLIGE KLEIN
numero 4 - 2010
RIVOLUZIONE TV
PAESAGGI CITTADINI
Il digitale: nuova opportunità o grande abbaglio?
Londra e Milano: percorsi inediti da scoprire
cucina: oggi e domani
arte - marco grassi
Da regno delle massaie a proiezione del sè
Dipingere la tribù
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L’IMPRONTA DEL FUTURO MEDIA, ECONOMIA, DESIGN, ECOSOSTENIBILITà: QUALI MONDI POSSIBILI?
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INDICE AK n°4
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pag 12 - Rivoluzione tv [inchiesta]
La nostra inchiesta sulla tv nell’era del digitale terrestre, ed una ricca pagina sulle novità del web.
pag 26 - Carlo Freccero [inchiesta]
Il direttore di Rai4 ci offre la sua opinione sui palinsesti. Il tutto preceduto da una romantica visione della tv di una volta.
pag 30 - Cerca sul dizionario alla voce biodiversità [inchiesta] 2010 anno della biodiversità. Ma quanti sanno cosa significhi?
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pag 36 - L’economia parte dal garage [economia] La nostra intervista a Marco Boglione, leader di Basic.Net.
pag 64 - Montagne da vivere [viaggi]
Stress invernale? Scoprite con noi le possibilità di vacanze e le mete ecosostenibili in Alto Adige.
pag 72 - Cucina. Ieri, oggi e domani [design]
Lo spazio cucina: com’è cambiato dal dopoguerra a oggi. Il celebre architetto Blumer e i fratelli Botta ci aiutano a destreggiarci.
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pag 92 - Il compositore [design] Gaetano Pesce e il futuro del design.
pag 100 - Comon workshop 2010 [design]
Vi presentiamo 3 dei progetti creati da giovani coppie di designer grazie all’aiuto di prestigiose aziende del settore arredo.
pag 114 - La legge di iron man [sport] Se non vi basta il triathlon, eccovi dei veri eroi.
pag 124 - Dipingere la tribù [arte]
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Viaggio nell’arte introspettiva di Grassi.
pag 136 - Ecovetrina pag 142 - Sognando il calcio eco [eco] pag 146 - Hamburger in Italy [food] pag 160 - Avanguardia a Como [musica]
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pag 170 - Agenda
AK E MULTIUTILITY PER IL SECONDO NUMERO AK CERTIFICA LA PROPRIA ECO-COMPATIBILITÀ GRAZIE A MULTIUTILITY
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Adlige Klein, da sempre sensibile alle tematiche ambientali, con una sezione da sempre dedicata all’”eco” ha intrapreso un’importante azione concreta verso questo tema, rendendo la produzione stessa della rivista eco-compatibile. Questo è stato possibile certificando tutti i consumi di energia elettrica legati alla produzione dei numeri di Ak per un intero anno con “100% energia pulita Multiutility”. Grazie a questa iniziativa è stata evitata l’emissione in atmosfera di 24,47 t di CO2 e risparmiati 8.750 Kg di petrolio. Il marchio “100% energia pulita Multiutility” che appare in copertina, marchio di proprietà di Multiutility S.p.A. registrato a livello europeo e che viene concesso solamente a chi rispetta l’ambiente, è l’attestazione della scelta etica che ha deciso di portare avanti la redazione di Ak.
l’annullamento di certificati RECS) di un quantitativo di energia rinnovabile pari al consumo di energia necessaria alla realizzazione della rivista. I certificati RECS (Renewable Energy Certificate System) sono titoli che attestano la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile per una taglia minima pari a 1 MWh e favoriscono la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile dagli impianti che altrimenti non avrebbero le condizioni economiche per continuare a produrre energia “verde”. I certificati RECS sono distinti
dall’erogazione fisica dell’elettricità e la loro emissione consente la commercializzazione dei certificati stessi anche separatamente dall’energia elettrica cui fanno riferimento. Mediante il loro consumo, l’acquirente finanzia l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili testimoniando, pertanto, il suo impegno a favore dell’ambiente. Per info: n. verde 800.046.318 oppure www.multiutility.it
L’IMPEGNO DI AK CON MULTIUTILITY 24,47 t di CO2 in meno nell’atmosfera 8.750 Kg in meno di petrolio utilizzati
La certificazione “100% energia pulita” è basata sull’immissione in rete (tramite ak adlige klein 7
AK
ADLIGE KLEIN n°4 del 3 dicembre 2010
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Direttore Responsabile: Luca Di Pierro Coordinamento e segreteria di redazione: Martina Moretti redazione@akappa.it Progetto creativo e realizzazione: Roberto Uboldi Zero Atelier di progetto e comunicazione Hanno collaborato: Giulio Bianchi, Liliana Boninsegna, Francesca Cuoghi, Vanessa Ferrandi, Federico Frigerio, Alberto Giani, Mattia Marzo, Andrea Mazzarella, Filippo Parmigiani, Michele Primi, Andrea Sabbadin, Alessandra Tettamanti. Fotografie: Dan Anders, Getty Images, Roberto Raschellà, NabE.it Traduzioni Studio MVM Via Masotto, 20 - 20133 Milano www.studiomvm.net
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Editoriale di Luca Di Pierro Un anno, un tempo relativamente lungo. Certe volte talmente lento da dimenticarne l’inizio, altre così veloce da sembrare un giorno. Quest’ultima è la percezione che ho avuto quando, con la redazione ho iniziato a lavorare al numero che avete tra le mani. Una percezione strana a tratti surreale che ad una riflessione superficiale e fugace non suggerirebbe nulla di nuovo, se non la consueta consapevolezza di una vita troppo breve e frenetica per essere assaporata. La vita come un sogno o un viaggio, che al fine della meta ritrova un senso perduto troppo spesso accantonato, talmente soggettivo da essere oggettivamente comune a tutti nelle sue marcate differenze. E’ con questo spunto che vorrei, concludere e ricominciare. E’ con questa riflessione che vi chiedo di chiudere questo 2010 e riaprire il prossimo 2011. Nel contempo, come vi sarete accorti abbiamo deciso di rilanciare! Di alzare la posta… Cominciando da un nuovo formato che è sembrato più adatto ai contenuti, più conforme alle aspettative. Un rinnovato stile grafico, contenuti ampliati e inchieste approfondite. Abbiamo lavorato sulle considerazioni di un anno, che ci ha visto impegnati su più fronti, sempre pronti a cogliere nuovi aspetti del tempo in cui viaggiamo: partenze, arrivi, conferme, smentite, grandi soddisfazioni, delusioni hanno caratterizzato e dato senso a mesi di lavoro incessante e costante. Noi l’abbiamo vissuto intensamente, nella rincorsa di un sogno che ci ha regalato un obiettivo ancora più grande; ora ve lo regaliamo con la promessa che ciò che troverete sarà autentico, e sicuramente inaspettato.
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inchiesta
RIVOLUZIONE TV di Michele Primi Entro il 2012 tutta la penisola sarà investita dalla tecnologia del digitale terrestre. Quali le novità, i rischi, le opportunità?
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l prossimo appuntamento è il 29 novembre, quando il Veneto spegnerà il segnale televisivo terrestre per passare al digitale. Si andrà avanti così per tutto il 2011 nel centro Italia, e fino al secondo semestre del 2012 in Sicilia e in Calabria. Sono già oltre 17 milioni le famiglie italiane che sono passate al digitale, mentre i decoder venduti fino all’estate scorsa sono circa 29 milioni. L’ultima volta che la televisione ha vissuto un cambiamento epocale è stato il 1° febbraio del 1977, quando Corrado ha annunciato dagli studi di Domenica In il passaggio dal bianco e nero alle trasmissioni a colori. E’ una vera e propria rivoluzione nel mondo della comunicazione. Ma come cambierà real12 inchiesta
mente la televisione italiana? Le questioni aperte sono molte, le possibilità anche, e così pure le problematiche. In primo luogo, è indubbio che il passaggio al digitale sia un passo in avanti dal punto di vista qualitativo. La nuova televisione, semplicemente, si vede meglio. Il segnale è chiaro e senza interferenze e le colonne sonore dei film si sentono come al cinema. Un altro aspetto importante è l’interattività: per ora è possibile scegliere la lingua e i sottotitoli di un film, o vedere i risultati delle partite di calcio e le formazioni delle squadre in campo, più avanti si potrà partecipare in tempo reale ad alcuni programmi, come per esempio i quiz, e forse (anche se è decisamente una prospettiva inquietante), acquistare un prodotto promosso in uno spot con un semplice clic del telecomando, grazie alle nuove pubblicità interattive. Inoltre, il passaggio di tutta l’offerta televisiva in chiaro sul digitale terrestre è una scelta condivisa da tutti i paesi europei (per ora Paesi Bassi e Svezia sono gli unici in cui è stato fatto lo switch off totale).
Molti hanno criticato il passaggio al digitale terrestre per la sua rapida attuazione, che non ha fornito nel frattempo agli utenti dei reali incentivi, come per esempio l’abbassamento dei costi degli apparati di ricezione
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nzi, l’Italia è anche in anticipo rispetto ad altre nazioni sulla tabella di marcia prevista dall’Unione Europea, che ha posto come termine ultimo il 12 dicembre 2012. Infine, il digitale terrestre significa più canali, un’offerta più ampia e diversificata e quindi più intrattenimento, e un maggiore pluralismo. Ma è davvero così? E’ sul tema del pluralismo, piuttosto delicato nella storia recente del nostro paese, che sono sorte le perplessità più forti. Molti hanno criticato il fatto che il passaggio al digitale terrestre è stato frutto di una imposizione governativa, e che la sua rapida attuazione non ha fornito nel frattempo agli utenti dei reali incentivi, come per esempio l’abbassamento dei costi degli apparati di ricezione (oggi il prezzo di un decoder per il Ddt si aggira intorno ai 100 euro) e la garanzia della loro affidabilità, ma soprattutto la possibilità di integrare le varie offerte televisive e cioè il segnale terrestre, dal satellite e via Internet. Uno dei punti di discussione è proprio questo: internet consente da tempo una televisione digitale “orizzontale”, multimediale, a basso costo e con possibilità di sviluppo praticamente infinite. Perché non viene considerata parte fondamentale e integrante dell’offerta televisiva nazionale? Sarebbe auspicabile che ognuno potesse ricevere con un solo decoder i programmi di tutte le piattaforme, una possibilità che ancora non esiste. Rimanendo nel tema del pluralismo, un’altra questione importante si è rivelata quella dell’assegnazione delle frequenze, soprat-
tutto dopo quanto avvenuto in Veneto. Nel giugno scorso il Comitato Nazionale Italia Digitale ha dato il via libera all’assegnazione delle nuove frequenze in Veneto, senza però tenere conto delle televisioni locali. Molte di queste hanno dovuto anche vedersela con Croazia e Slovenia per la coabitazione delle frequenze al confine. La protesta è scattata immediatamente, guidata da Rete Veneta di Filippo Jannacopulos, Telepadova di Giorgio Galante e Antenna Tre Nord Est di Thomas Panto, che hanno presentato ricorso al Tar minacciando di bloccare lo switch off: “Il clima nei nostri confronti – racconta Jannacopulos - è passato improvvisamente dall’indifferenza più totale ad una certa preoccupazione.” Un tavolo tecnico convocato dal ministro Paolo Romani, in cui sono state garantite le frequenze alle emittenti coinvolte ha sbloccato la situazione e dato il via libera allo switch off per il 29 novembre. Da questa vicenda si può trarre una considerazione: il digitale terrestre è una grande opportunità che non va sprecata. Tullio Camiglieri, giornalista, fondatore dell’emittente radiofonica Radio Città Futura, esperto di media e docente di marketing televisivo all’Università La Sapienza di Roma, ha definito con precisione la questione nel suo libro La grande avventura della Pay Tv: “Da oggi in poi l’attenzione si sposterà sempre più sui contenuti. Avremo nei prossimi anni più canali e più offerta, ora dovremo pensare a inserire programmi adeguati, di alto livello, in questi nuovi canali.” ak adlige klein 13
Con il digitale terrestre c’è anche la possibilità di moltiplicare il numero di fornitori possibili, coinvolgendo produttori indipendenti, svincolati da quel monopolio culturale e politico che determina da almeno un decennio i palinsesti della nostra televisione, sia pubblica che privata
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cco la prima opportunità: la partita più importante del digitale terrestre si gioca sul terreno dei contenuti. Più programmi non vuol dire necessariamente programmi migliori, anzi, la qualità dell’offerta televisiva spesso è inversamente proporzionale alla quantità. Il digitale terrestre, anche grazie all’ampliamento delle offerte di lavoro per gli operatori del settore e al miglioramento tecnico (tramite l’alta definizione digitale) può invertire questa tendenza. Con il digitale terrestre c’è anche la possibilità di moltiplicare la tipologia e il numero di fornitori possibili, coinvolgendo enti pubblici e istituzioni, istituti di ricerca e università, e soprattutto produttori indipendenti, svincolati da quel monopolio culturale e politico che determina da almeno un decennio i palinsesti della nostra televisione, sia pubblica che privata. Le potenzialità per migliorare parecchio l’offerta televisiva per gli spettatori italiani, come si vede, sono infinite. La domanda è: si può raggiungere questo risultato? E’ una delle perplessità avanzate da chi si augurava uno switch off più graduale e pianificato meglio. Gli stessi che vedevano nell’arrivo di questa nuova tecnologia un’altra importante opportunità, quella di riassestare in senso pluralista il sistema televisivo italiano, correggendo le anomalie, le violazioni costituzionali e le concentrazioni di potere della tv analogica tradizionale. La battaglia del Veneto dimostra che le cose non sono andate sempre nel verso giusto e l’accelerazione dello switch off
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favorisce i monopoli più potenti, penalizzando gli operatori privati e gli eventuali nuovi fornitori di contenuti. Già nel 2006 la Commissione europea avviò una procedura di infrazione contro l’Italia, sottolineando il fatto che la nostra legislazione non era consona agli obblighi imposti dalle norme UE sulla concorrenza. Ora, con il passaggio al digitale terrestre, la procedura è stata sospesa, come annunciato dal presidente Agcom Corrado Calabrò: “Le risorse trasmissive sono un bene pubblico destinato a soddisfare l’interesse della collettività. In questi anni è stata auspicata una definizione di regole che garantissero il rispetto dei principi costituzionali nell’interesse del pluralismo e della concorrenza. Il percorso avviato va in questa direzione.” In realtà le cose non stanno proprio così. Nel complesso sistema di passaggio delle frequenze (su 21 reti nazionali, 8 sono dedicate alla conversione delle attuali reti analogiche, 8 a quelle digitali già esistenti) rimangono libere 5 reti, che devono essere assegnate tramite una gara d’asta pubblica che abbia, secondo le parole del piano frequenze stilato dall’Agcom nel luglio 2010 “la massima apertura alla concorrenza ed alla valorizzazione di nuovi programmi.” L’Agcom auspicava ad una soluzione entro l’anno, ma il ministro dello sviluppo economico Paolo Romani, già molto criticato per l’evidente lobbying a favore di Mediaset durante la sua attività di sottosegretario con delega alle comunicazioni, non ha ancora indetto la gara d’asta.
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Il passaggio alla nuova tecnologia comporta problemi di ricezione (la tecnologia del Ddt ha bisogno di molti trasmettitori) e di confusione sui decoder, ma risolti questi per il pubblico televisivo italiano la rivoluzione digitale può trasformarsi in uno spettacolo interessante e divertente
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l rischio, insomma, è quello descritto da Aldo Grasso sulle pagine del Corriere della Sera nel 2009, all’inizio della rivoluzione: “Il digitale terrestre incontra più difficoltà del previsto, e si rivela una tecnologia obsoleta, costosa, limitata. Il paradiso terrestre delle comunicazioni pare ogni giorno di più un inferno.” A parte le questioni politiche, per lo spettatore le prospettive positive ci sono. Il passaggio da una tecnologia vecchia ad una nuova comporta sempre una serie di problemi, in ogni campo. Ma una volta risolti i problemi di ricezione (la tecnologia del Ddt ha bisogno di molti trasmettitori) e la confusione sui decoder (quelli venduti a poco prezzo non sono affidabili perché non hanno gli standard europei e non riescono a captare alcune frequenze), per il pubblico televisivo italiano la rivoluzione digitale può trasformarsi in uno spettacolo interessante e divertente. Una sentenza della Commissione Europea ha consentito l’arrivo di Sky sul digitale terrestre, grazie alla Digital Key che permette di vedere con il decoder tutti i programmi del digitale terrestre in chiaro, tra cui anche i canali di Rai Sat, che non facevano più parte del pacchetto Sky da vari mesi. Una mossa che ha messo in agitazione tutto il settore, preoccupato dalla potenza del gigante di Murdoch, che di fatto ha già il monopolio del satellite. In realtà la concorrenza a Sky c’è già, ed è di ottimo livello: la
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piattaforma Mediaset Premium propone tre pacchetti di canali differenti (tra i quali i migliori segnalati dagli esperti sono Mya, Joy e Steel) e film importanti come la serie completa di Harry Potter. Il calcio e i programmi per adulti restano a pagamento, ma tra i nuovi canali gratuiti ci sono BBC World News, Rai Storia, Sat 2000 e Sport Italia, e il pacchetto di Dahlia Tv. La Rai ha ottenuto un grande risultato con l’avventura di Rai 4, il canale diretto da Carlo Freccero che ha iniziato le sue trasmissioni nel 2008 con il film Elephant di Gus Van Sant ed è andato avanti con una programmazione alternativa puntando su telefilm come Streghe e Angel e sugli anime giapponesi, con un ciclo di film in prima serata iniziato con il capolavoro Ghost in the Shell di Mamoru Oshi, raggiungendo uno share dello 0,30%. Carlo Freccero ha spiegato così la filosofia di Rai 4 e delineato le possibilità di sviluppo futuro della televisione: “Il servizio pubblico deve comunicare e diffondere ciò che è vivo. Non può continuare ad impersonare solo l’archeologia della comunicazione.” Resta da capire quanto tempo ci vorrà perché questi canali entrino nelle abitudini televisive degli spettatori italiani. Intanto, la speranza è che la televisione del futuro riesca a rappresentare meglio l’immaginario moderno, e che i nuovi media possano democratizzare realmente l’informazione in Italia. L’appuntamento con la rivoluzione digitale è già fissato.
Ma il digitale terrestre è davvero la tecnologia del futuro, o è superata, come i vecchi transistor che vedete in questa foto? Qualche risposta potete trovarla nelle prossime pagine
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nuova a metĂ di Mattia Marzo
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Viaggio tecnologico nel “digitale terrestre”, per capire meglio che cos’è lo switch-off. E per capire se davvero è utile averlo fatto.
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a cara vecchia TV come la conosciamo sta definitivamente per scomparire. Al suo posto, presto comparirà la nuova DTT, o Televisione Digitale Terrestre, con la promessa di sconvolgere in positivo il nostro modo di vivere il media più amato dagli italiani: maggiore qualità audio/video, offerta più ampia riguardo a canali e contenuti, interattività. In una parola: il futuro! Ma in cosa consiste esattamente questa tanto decantata rivoluzione tecnologica? E quali sono i suoi reali vantaggi? Vediamo di cosa si tratta. Il digitale terrestre è una tecnologia che consente la trasmissione del segnale televisivo in formato digitale, cioè sequenze di 1 e di 0, anziché nel formato tradizionale, noto come analogico. In termini pratici, e più semplici, è una nuova modalità di trasmissione dell’informazione che, con un minimo adeguamento infrastrutturale da parte dell’utente (l’acquisto del decoder), permette di raggiungere un numero considerevole di vantaggi. Tra i principali, il più evidente è la possibilità di moltiplicare il numero dei canali, ampliando l’offerta di contenuti, affiancata all’aumento di qualità del segnale, meno soggetto a disturbi; si introduce così l’opportunità di trasmettere anche in formato 16:9, quello cinematografico, con una qualità audio e video assai superiore. Inoltre, l’utente può finalmente uscire dallo stato di passività a cui è condannato dalla televisione: la capacità di trasportare dati aggiuntivi, finora limitata al solo televideo, e l’interattività, che poteva avvenire soltanto per via telefonica ad esempio inviando voti, divengono possibilità concrete. La guida TV è infatti disponibile direttamente sullo schermo del televisore grazie al solo telecomando e lo stesso avviene per l’interazione, che diventa maggiormente coinvolgente. Infine, si potranno trasmettere programmi in multilingua, in Alta Definizione e in 3D. A fronte di questi cambiamenti positivi promessi, tutti da verificare, quali sono gli svantaggi? Uno di questi si presenta al fatidico switch-off, ovvero lo spegnimento definitivo dei ripetitori analogici: in Sardegna, regione pilota assieme alla Val d’Aosta, il segnale digitale ha presentato diversi problemi di ricezione. Tra il fiorire delle discussioni sulle possibili cause (gli impianti obsoleti e spesso scadenti presenti in molte case, la grande diffusione di decoder economici incapaci di captare un certo tipo di frequenze e la particolare struttura orografica del Bel Paese) e l’accendersi delle proteste degli spettatori sardi che si sono rifiutati di pagare il canone RAI, comincia dunque a sorgere qualche dubbio su questa nuova e promettente tecnologia. Il segnale digitale, infatti, non perde qualità per disturbi contenuti ma, oltre una certa soglia, diviene totalmente inservibile invece di degradarsi progressivamente come quello analogico; insomma, o tutto o niente. ak adlige klein 19
NATA VECCHIA Il DTT è una tecnologia limitata: il numero di canali è aumentato ma resta comunque limitato. Col trend in atto dell’introduzione dei canali HD, che richiedono maggiore banda, il numero di canali disponibili si abbassa ulteriormente
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erto, nei centri urbani i risultati ora si vedono; è possibile vedere 80 canali dove prima ce n’erano una ventina, ma la sintonizzazione non è impresa facile. Molte antenne vanno sostituite o ripuntate e comunque liberate dei vecchi filtri, questo significa che per molti utenti (secondo l’Agcom il 20/30%) potrebbe non esser sufficiente il solo acquisto del decoder. D’altra parte, se i costi di adeguamento infrastrutturale sono “minimi” per lo spettatore, non si può dire lo stesso per quanto riguarda la rete di trasmissione: nel dicembre 2008 il Presidente RAI Petruccioli, nel chiedere al governo un aumento del canone che andasse oltre l’inflazione, ha stimato i costi tra i 250 e i 280 mln di euro. Un importante investimento che, oltre a pesare sulle aziende televisive spesso già indebitate, richiede sforzi notevoli anche agli enti locali; è il caso della provincia di Biella che, per installare i ripetitori in zone non pianeggianti, si è fatta carico dei costi assieme alle comunità montane, approfittando dei lavori già in corso per internet a banda larga via wireless. Proprio il viaggio parallelo di questi due segnali sui declivi biellesi ci offre un interessante spunto di riflessione sulle modalità di spesa dei soldi pubblici, e su quali opportunità i due media offrano. Il DTT è una tecnologia limitata: il numero di canali è aumentato ma resta comunque limitato. Col trend in atto dell’introduzione dei canali HD, che richiedono maggiore banda, il numero di canali disponibili si abbassa ulteriormente. Inoltre il modello mediatico resta lo stesso: la creazione di un’emittente resta cosa per pochi soggetti con grossi capitali a disposizione. Morale della favola, i media continuano ad avere moltissimi fruitori passivi e ad essere controllati da pochissimi. Internet rappresenta l’esatto opposto, la novità dirompente: un mondo dove i canali sono potenzialmente illimitati, dove chiunque può diventare creatore di contenuti e diffondere un proprio canale, e in cui l’interazione con l’utente è a 360 gradi, non limitandosi alla possibilità di rispondere alle domande di un quiz da casa. La passività anzi sparisce del tutto, perché non esiste neanche l’idea di un palinsesto calato dall’alto: tutti i contenuti sono on-demand, scelgo cosa guardare, chi premiare, vedo solo ciò che mi interessa ora. Il digitale terrestre è nato vecchio. Internet, se unita a semplicità di uso e flessibilità nella scelta dello strumento, è già da oggi in grado di fornire un’esperienza incredibilmente più vasta. A quanto pare, per l’ennesima volta chi spende i nostri soldi e progetta il nostro futuro ha mancato di lungimiranza: forse la chiave del cambiamento in favore di una maggiore apertura e competitività arriva proprio dal Web. E il modello della televisione che verrà, ancora una volta sta già prendendo piede oltreoceano, dove sta conoscendo una diffusione sempre più rapida un nuovo fenomeno che merita uno spazio tutto per sé: le WebTV.
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WEB TV di Mattia Marzo
Il World Wide Web è una vera miniera inesauribile di contenuti in cui è possibile ritrovare informazioni su qualsiasi cosa esistente, praticamente un duplicato quasi completo del mondo reale, tanto da portare un geniale anonimo a coniare la frase “Se non sei su Google, non esisti”. Inoltre è la piazza virtuale che abbatte definitivamente le frontiere e permette lo scambio istantaneo di informazioni tra due punti opposti del mondo, portando alla nascita di vere e proprie comunità virtuali. I recenti sviluppi tecnologici, che hanno permesso di aumentare esponenzialmente la quantità di informazioni trasportabili in un secondo dalle linee, aprono nuove prospettive e rendono il web un concorrente sempre più agguerrito del media che ha caratterizzato e profondamente influenzato il secolo appena trascorso, la televisione. Ormai è cosa ordinaria vedere film, filmati e trasmissioni TV attraverso la rete, grazie a piattaforme come Youtube, che ospitano gratuitamente contenuti caricati dagli utenti, a televisioni in streaming che trasmettono una serie di canali secondo un modello simile a quello classico, e ai servizi di podcasting offerti sui loro siti web dalle emittenti televisive e radiofoniche tradizionali, che consentono la visione o il download di contenuti trasmessi in precedenza nel normale palinsesto. Per quanto tali servizi si differenzino sotto molti aspetti, sia tecnici che d’uso, i punti in comune sono molti. Innanzitutto, la prima rivoluzione consiste
nel rendere i contenuti disponibili a richiesta dell’utente, in qualsiasi momento, senza vincolarlo ad orari prestabiliti. Inoltre la scelta è infinitamente ampia nel senso letterale del termine: mentre la televisione satellitare o terrestre ha un numero di canali finito per quanto alto, la varietà di contenuti del web è illimitata e cresce di giorno in giorno. Il vero punto di forza del fenomeno WebTV, infatti, è la sua apertura verso il basso: è sufficiente avere un PC, una connessione veloce e un minimo di competenze tecniche (ma la Rete pullula di tutorial al riguardo, a beneficio dei meno esperti) e chiunque può creare un canale televisivo online. Infatti, al di là dei servizi offerti da grosse compagnie, si moltiplicano a vista d’occhio i canali creati da piccoli gruppi di individui, che finalmente hanno la possibilità di raggiungere un grande pubblico senza mediazioni. Nascono i primi tentativi di creare dei contenitori adatti alla fruizione di contenuti così eterogenei, e le novità più interessanti sono i nuovi mediacenter, che uniscono in un solo applicativo la possibilità di esplorare il web, vedere la TV tradizionale, accedere ai canali online, riprodurre i propri filmati o fotografie. Tutto con tastiera e mouse, sullo schermo del proprio televisore, comodamente seduti in poltrona. Ne sono un esempio XBMC, open-source nato per girare su Xbox, e Boxee, suo derivato proprietario, che secondo ak adlige klein 21
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web tv La novità è forte, e spaventa le emittenti televisive: non a caso proprio negli Stati Uniti la Fox ha deciso, seguendo gli altri principali broadcasters, di bloccare il flusso dei propri contenuti verso la nuova piattaforma di Google
indiscrezioni starebbe conducendo trattative per integrare un proprio dispositivo nei televisori prodotti da una nota corporation asiatica. E così il computer arriverebbe ad occupare finalmente il tabernacolo domestico, a condividere con la TV quello spazio privilegiato, quel ruolo sociale centrale che svolge il caro vecchio elettrodomestico nelle case dell’Occidente.
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giganti dell’informatica si stanno muovendo per capire come trasformare in un business anche questo astro nascente e così arrivano Google ed Apple, sempre attente a prevedere e creare tendenze e nuovi standard, con le loro TV, piccole consolle che bypassano il pc mettendo l’intera potenza della Rete sotto il controllo del telecomando o addirittura dello smartphone. Se si aggiunge che i siti web che vendono a modico prezzo il download completamente legale di serie TV o di film (come Netflix o Hulu) hanno visto un’impennata esponenziale dei ricavi negli ultimi anni, si può cominciare ad intuire la potenzialità del fenomeno oltreoceano. La novità è forte, e spaventa le emittenti televisive: non a caso proprio negli Stati Uniti la Fox ha deciso, seguendo gli altri principali broadcasters, di bloccare il flusso dei propri contenuti verso la nuova piattaforma di Google. A nulla valgono le accorate assicurazioni del gigante di Mountain View, che afferma “non vogliamo assolutamente sostituire il via cavo”; le reti televisive americane temono la concorrenza di internet e corrono ai ripari, almeno fintanto che non venga loro offerta una fetta consistente della torta in gioco, ovvero gli introiti pubblicitari legati agli ascolti, che
si sposterebbero sul Web finora relegato in seconda posizione. Che succede nel frattempo in Italia? Noi restiamo a guardare, diffidenti come sempre. Mentre 10 milioni di italiani ancora non vengono raggiunti dalla banda larga, investiamo ingenti risorse per rinnovare col passaggio al digitale un’infrastruttura televisiva nata 50 anni fa e rimasta sostanzialmente identica. Eppure i modi per portare internet in tutto il Paese li abbiamo, cosa che migliorerebbe la competitività dell’intero Sistema Italia: la tecnologia c’è, si chiama WiMAx ed altro non è che un wireless ad ampio raggio, le cui frequenze sono già state messe all’asta dallo Stato due anni fa e il cui utilizzo consentirebbe di coprire il 100% del territorio nazionale. L’investimento sarebbe tutto a carico dei privati titolari delle licenze, che del resto godrebbero degli utili; eppure appare tutto fermo, o quantomeno muoversi troppo lentamente nonostante l’entità degli investimenti per le licenze. I vantaggi? Con internet veloce su scala nazionale, la telefonia mobile cellulare e la televisione potrebbero pian piano diventare un retaggio del passato, lasciando al network unico il compito di veicolare le informazioni e le comunicazioni degli italiani. Di certo gli interessi di molte lobby, da quella dei gestori mobili a quella delle emittenti televisive, ne risentirebbero, ma l’utile collettivo dovrebbe prevalere su quello di pochi. Forse una rivoluzione ancora troppo grande?
PAGINA A SINISTRA 3 schermate di siti internazionali dedicati alla web tv: Current, Joost e LinkTv
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inchiesta
Prima di amici di Liliana Boninsegna
24 inchiesta
Capitò qualche anno fa che ebbi una sorta di illuminazione, se pur triste. Dopo qualche settimana di insegnamento in un istituto tecnico, cominciai ad essere stupita dai persistenti atteggiamenti polemici degli studenti che mi resi conto non contenevano nessuna critica in nuce, bensì il semplice desiderio d’avere l’ultima parola...
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ensai fosse una conseguenza del mio essere una giovane supplente di fronte a festanti sedicenni. Ma, confrontandomi con altri colleghi ormai navigati, riscontrai le medesime reazioni. La professoressa di geografia mi aprì gli occhi: “Imitano i personaggi che vedono in televisione… guardano tutti quei programmi dove la gente litiga... Hai presente Amici? O Uomini e donne?”. Come spiega la Zanardo in uno dei primi capitoli del suo libro “Il corpo delle donne”, il problema televisivo persiste forse anche perché «chi sarebbe in grado di criticare la televisione ha smesso di guardarla o la guarda distrattamente» o se ne disinteressa. Così la tv non ruba più tempo solo a chi avrebbe gli strumenti economici e soprattutto culturali per trovare delle alternative come afferma Eco, ma ad intere generazioni unificate dal modello culturale proposto. Eppure non è stato sempre così. Le trasmissioni regolari della RAI presero avvio nel 1954 in un regime di monopolio pubblico, con un solo canale (RAI2 arrivò nel ’61 e RAI3 tra ’79 e ’80) e regole molto precise: una programmazione con un palinsesto settimanale, serate a tema e un’evidente impostazione pedagogica. E, sebbene il confine tra educativo e paternalistico rischiasse di essere talvolta esile, è stato stimato che anche grazie a “Non è mai troppo tardi”, programma d’insegnamento elementare in onda dal ‘59 al ‘68, circa un milione e mezzo di italiani riuscì a prendere la licenza elementare. Inoltre la televisione fu fondamentale per unire linguisticamente il nostro paese
tanto che ha un senso la battuta “L’unità d’Italia non la fece Garibaldi, bensí Mike Bongiorno”. Negli anni ’70, se pur con altro spirito, Pasolini parlerà invece di standardizzazione linguistica e omologazione della società. Infatti con l’arrivo, negli anni ‘70, delle televisioni commerciali, e l’affermazione del duopolio RAI-FININVEST dall’84 circa, il modo di fare televisione cambiò e forse modificò anche noi, nonostante la diatriba se sia la televisione a influenzare la società, o piuttosto quest’ultima a specchiarsi in essa sia tuttora aperta. Pensando a molti adolescenti non solo propendo per la prima soluzione, ma condivido la tesi pasoliniana che spiega come la società consumistica, più che manifesta nella tv degli ultimi decenni, sia riuscita dove il fascismo è fallito: l’omologazione. Sembrano lontani i tempi di “Non è la rai” programma andato in onda dal ‘91 al ‘95 e delle critiche suscitate dall’uso vacuo di corpi femminili acerbi per riempire i pomeriggi di altri ragazzini che avrebbero poi affollato i provini di scenografie ancora più sterili. Il filosofo liberale Karl Popper sosteneva che ci vorrebbe una patente per fare la tv, perché propinare trasmissioni di qualità discutibile non significa garantire la libertà. E certo i programmi validi fortunatamente ci sono ancora, ma sembra troppo semplice consigliare ai genitori di spegnere la TV o cambiare canale perché la realtà è molto più complicata e vivendo in una qualsiasi casa provvista di televisore ne si è consapevoli.
Foto storiche dalla mostra “Immagine Rai - Fotografie per cinquant’anni di televisione”, © Fratelli Alinari - Firenze ak adlige klein 25
inchiesta
CARLO FRECCERO di Michele Primi
26 inchiesta
Il direttore di Rai4 a ruota libera sulla tv che verrà
Ripercorrendo la sua lunga carriera nella televisione, iniziata nel 1982 a Rete 4, come descriverebbe i cambiamenti avvenuti?
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i ritengo un uomo fortunato perché ho potuto svolgere un lavoro “creativo” anziché alienante e ripetitivo, ma soprattutto perché la Tv è osservatorio per capire sia gli sviluppi della società che i mutamenti in atto. Gli ultimi 30 anni hanno visto uno spostamento crescente dalla produzione materiale alla produzione di immaginario, che caratterizza il mondo di oggi. Oggi l’economia è produzione di immateriale. Basta guardare gli inserti economici del Corriere della Sera, di Repubblica, basta scorrere Nova e ne Il Sole 24 le pagine di Milano Finanza. Oggi l’economia è sempre più moda, tecnologia, nuovi media, videogiochi e comunicazione, una produzione che si colloca tra la dimensione del simbolico e dell’immaginario, che registra il passaggio dall’universo consumistico degli anni ’80 alle nuove esigenze dei bisogni materiali rappresentati da internet, telefonia, che dilatano lo spazio parallelo della comunicazione. Come “piccolo grande uomo” posso dire di aver avuto la fortuna di vivere due vite diverse e due grandi rivoluzioni: negli anni ’80 l’avvento della Tv commerciale in Italia (Canale 5, Italia 1, Rete 4), in Francia (La Cinq) e in Spagna (Telecinco), oggi l’arrivo della Tv digitale (Rai Sat e Rai 4) senza dimenticare le esperienze entusiasmanti di France Television e Rai 2,
reti di servizio pubblico. La televisione è ormai un medium di terza generazione e, come tale, ha alle spalle una serie di cambiamenti radicali. Ma, come per tutti i media maturi, non tutti i cambiamenti hanno portato alla cancellazione della realtà precedente. Oggi più modelli di televisione convivono contemporaneamente: servizio pubblico, Tv commerciale, Tv digitale nelle varianti terrestre e satellitare. Ogni televisione si rivolge ad un pubblico specifico e persegue una propria linea editoriale. Con un’avvertenza: nell’epoca del digitale siamo di fronte ad una convergenza mediale, prodotta dalla perfetta compatibilità ed interazione degli strumenti di comunicazione (Tv, telefono, computer, I-Pad, I-Phone, cineprese), a cui fa riscontro una convergenza culturale per cui il pubblico abbandona il suo ruolo eminentemente passivo, per farsi attore e autore dei media con cui interagisce. Come è cambiato il ruolo del palinsesto nell’era della tv digitale? Prima il palinsesto faceva i programmi, oggi sono i programmi che fanno il palinsesto, puntando sulla fidelizzazione attraverso fiction e reality, o creando eventi. Cosa può dire in base anche alla sua esperienza a Rai 4?
N
ella filosofia editoriale di una rete digitale come Rai 4, il palinsesto non è solo un dispositivo orario di fidelizzazione dello spettatore, ma diventa il filo conduttore di un articolato racconto del presente. Sia per quanto riguarda le serie televisive, sia per quanto riguarda l’offerta cinematografica, questo racconto si dipana toccando i geak adlige klein 27
Gli Americani hanno costruito con cinema e tv l’immaginario Universale contemporaneo
neri contemporanei più popolari e tutte le loro possibili declinazioni: fantasy, teen, drama, action, crime e thriller, life drama. Nell’autunno del 2011 l’architettura editoriale del canale Rai 4 sarà completata dal debutto di una produzione originale. Le serie e persino i videogiochi diventano film, le trame spesso elementari di molti film diventano intrecci complessi nelle serie. Che ruolo può avere la televisione in un momento in cui il cinema ha perso in parte la sua identità? Cosa ci insegnano i telefilm e le fiction americane?
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li americani hanno costruito con Hollywood prima e con la televisione poi l’immaginario universale contemporaneo. Nuovi centri di produzione stanno nascendo a Bollywood e in Cina, ma almeno fino ad oggi l’America ha rappresentato il centro simbolico in cui confluivano e si rigeneravano in una grande koiné anche le culture periferiche degli altri paesi, dal kung fu, alla mafia, al ballo latinoamericano e via discorrendo. La matrice della fiction italiana è costituita nei suoi modelli alti dal neorealismo, nei suoi modelli bassi dalla versione edulcorata e manierata del realismo coniugato con il melodramma, con una gamma di eroi che vanno dal santo al carabiniere, dal mafioso da sceneggiata napoletana al padre di famiglia. E’ una fiction che anziché all’immaginario e al mondo globale, si rivolge al quotidiano e al locale. In quanto alla qualità dei telefilm americani, penso che si possa riassumere in due momenti: grandi disponi-
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bilità di mezzi economici, coniugata ad una precisione assoluta nella costruzione della trama e dell’intreccio. Prima ancora del contenuto, è il ritmo impresso agli eventi a conferire successo al prodotto. I telefilm si rivolgono ad un pubblico “alto” nel senso contemporaneo, ad un pubblico cioè che più che ad una cultura umanistica, fa riferimento a competenze specifiche, ad interessi narratologici. A differenza della mia generazione, ha imparato a maneggiare audiovisivi, a cimentarsi con videogiochi prima di imparare a leggere e a scrivere. E’ un pubblico che non conosce il digital divide ma, allo stesso tempo ha imparato a padroneggiare una storia, un intreccio, perché sin da piccolo ha giocato innumerevoli partite sulla sua consolle come protagonista di storie fantastiche. E’ lo stesso pubblico che scarica le serie da internet perchè non può aspettare la messa in onda del prossimo episodio del serial preferito. Indipendentemente dalle piattaforme di fruizione (internet, dvd, bluray, televisione), questo pubblico continuerà a chiedere storie per saziare la sua fame di immaginario. Su Rai 4 lei ha impostato una programmazione di quasi tre ore al giorno di cartoni animati giapponesi senza censure e un ciclo di film di animazione in prima serata, iniziato con un capolavoro come “Ghost in the Shell” di Mamuro Oshii. Perché ritiene gli anime così importanti? Quale è il loro messaggio? Il Giappone ha dimostrato nel tempo la capacità di lavorare ad una robotica che esalta le forme antropomorfe: il robot di-
Mai fare previsioni sul futuro della televisione. Sarebbero tutte smentite. CARLO FRECCERO venta un essere umano. Nella figura del robot si fonda quindi l’aspetto tecnologico e umano dell’immaginario Mecha giapponese: l’ibrido tra carne e meccanica. Basti pensare a un film emblematico come Tetsuo di Shinya Tsukamoto, che tratta in modo estensivo l’immaginario derivante dalla mutazione della carne in meccanica-ingranaggio. Nel genere Mecha ci sono diverse evoluzioni, è la metafora della vita dei giovani adolescenti, adolescenti che devono affrontare una società dura, severa, selettiva. Queste figure cinematografiche, televisive, letterarie sono interessanti perchè rappresentano nell’immaginario dei ragazzi una vendetta, una sorta di uscita di sicurezza dalla società in cui vivono. Negli ultimi dieci anni la programmazione televisiva si è incentrata soprattutto sui reality. Quale sarà il tema centrale della televisione del futuro?
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ai fare previsioni sul futuro della televisione. Sarebbero tutte smentite. In televisione ci sono lunghi periodi di permanenza di un genere e brusche fratture che proiettano all’improvviso il presente nel passato. Oggi il reality mostra la corda e cresce la domanda di informazione ed impegno. Il programma Vieni via con me di Fabio Fazio e Roberto Saviano ha bruciato il Grande Fratello. Le tendenze della televisione sono rivelate dall’audience, e oggi l’audience converge verso un modello di Tv verità, cioè l’interesse per la società e per i suoi problemi. Differisce profondamente dal reality, perché il reality non indaga la società ma le
reazioni psicologiche del singolo di fronte ad una prova: dalla convivenza coatta, al ritrovamento di un affetto scomparso, il padre, il fratello, un amore giovanile. Dopo tanti anni di televisione di puro intrattenimento, torna una domanda di informazione e condivisione. Perché? La risposta più immediata è data dalla crisi in atto. C’è crisi, la sperimentiamo giorno per giorno sulla nostra pelle, e la tensione si sposta dal divertimento ai temi essenziali come la mancanza di lavoro, la crisi dei consumi, la crescita delle differenze sociali. La televisione ritorna il suo ruolo di spazio pubblico condiviso, in cui dibattere le grandi problematiche del presente. I nuovi media come il web e il digitale possono democratizzare l’informazione e la comunicazione? L’interazione tra Tv e Net ha aperto la strada ad un pubblico nuovo, costituito dal pubblico partecipante che utilizza la televisione come sfera pubblica. L’elemento di novità è l’interattività, perché permette agli spettatori di intervenire. In particolare assistiamo alla nascita del cittadino giornalista che costruisce la comunicazione dal basso.
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cerca sul dizionario alla voce biodiversità di Federico Frigerio
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anno scelto Edward Norton come testimonial. È l’attore stesso ad apparire su Youtube e a presentarsi come Goodwill Ambassador for Biodiversity. Con un intervento che non dura nemmeno due minuti (e con un sorriso che a seconda dei casi appare imbarazzato/imbarazzante) Edward ci ricorda che non possiamo
diversità” ha più del calco linguistico: sarebbe meglio “biovarietà”, ma dato che “biodiversità” già fa fatica a imporsi, meglio non incaponirsi… In ogni caso, come definizione di massima si indica con questo termine la diversità delle forme di vita, delle specie che abitano il nostro pianeta, degli habitat naturali in cui queste specie si trovano a vive-
Biodiversità indica la diversità delle forme di vita, delle specie che abitano il nostro pianeta, degli habitat naturali in cui queste specie si trovano a vivere andare avanti così: l’uomo sta uccidendo il pianeta Terra. Se Al Gore ha portato recentemente in auge il termine global warming, l’attore statunitense e l’Onu vogliono attirare l’attenzione su un termine meno accattivante, ma non per questo meno urgente: biodiversity. Mentre l’italiano “riscaldamento globale” è effettivamente una traduzione corretta del corrispettivo inglese, “bio30 inchiesta
re, scenari messi sempre più a rischio dall’uomo, a causa dello sfruttamento poco razionale delle risorse del pianeta. Quando si parla di biodiversità si fa riferimento a tre grandi livelli: quello degli ecosistemi, quello delle specie, quello del patrimonio genetico all’interno delle singole specie. E si porta il classico esempio della giungla: un ambiente specifico, che contiene al suo
2010, ANNO DELLA BIODIVERSITÀ. MA QUANTI TRA NOI SANNO COSA SIGNIFICHI?
interno innumerevoli specie, collegate tra loro da infiniti legami, interazioni, dipendenze. A questo scenario “equilibrato” si contrappone l’uomo, che per “sopravvivere” non ha esitato e non esita tuttora a impugnare l’accetta e a iniziare la sua opera di demolizione. ’esigenza di preservare la biodiversità del nostro pianeta nasce in maniera formale al vertice mondiale delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro nel 1992, dove viene stilata la Convenzione sulla Diversità Biologica, fino ad oggi è stata ratificata da 192 nazioni. Dato che, come alle feste, spesso è più interessante sapere chi ha rifiutato l’invito e non si è presentato, è il caso di specificare che anche in questo prestigioso documento mancano nomi illustri: Usa e il Vaticano solo per citarne due. Con il passare degli anni i buoni intenti sembrano rimanere appunto tali: passa un decennio e sostanzialmente niente di fatto (e di certo il problema non attende che le nazioni si
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Al vertice mondiale delle Nazioni Unite del 1992 viene stilata la Convenzione sull Diversità Biologica, da 192 nazioni. Assenti illustri, gli Stati Uniti.
rimbocchino le maniche per rallentare il suo corso). Il capodanno del nuovo millennio segna una rinascita di tutti i propositi per una seria tutela della biodiversità: i leader politici rinnovano il loro impegno, si siedono di nuovo attorno a un tavolo, questa volta a Johannesburg nel 2002. E ancora una volta stabiliscono prioritaria la difesa dell’immenso patrimonio che chiamiamo “Natura”, includendola come punto fondamentale nel programma dei più noti Obiettivi di sviluppo del Millennio 2010 (quello che si propone di dimezzare il numero di persone che ogni giorno muoiono di fame). Oggi, e oggi siamo davvero nel 2010, troppo poco
è stato fatto, soprattutto non è ancora scattata quella scintilla necessaria per fare interessare al problema il grande pubblico e, parallelamente, il singolo, il comune cittadino. Dal sito ufficiale dell’Onu il segretario Ban Ki-Moon prova a ricordare a tutti noi come l’uomo abbia il potere biblico di agire bene, preservando la natura, o male, distruggendo l’ambiente e alla lunga anche se stesso. Perché se è vero che quando pensiamo all’estinzione pensiamo subito a panda, tigri e a qualche rinoceronte disperso ak adlige klein 31
SU 200 ECOREGIONI IL 47% È IN PERICOLO IL 30% VULNERABILE
CERCA SUL DIZIONARIO ALLA VOCE BIODIVERSITÀ per la savana, non possiamo egoisticamente ignorare che un giorno potrebbe toccare anche a noi. Biodiversity is life. Biodiversity is our life. E se forse i dati sulla deforestazione o sul drammatico calo della barriera corallina (alcuni studi decretano la sua possibile “morte” entro il 2050) non sono più in grado di dirci niente o di scandalizzarci, di farci prendere almeno una
è a catena. Madre Natura, che ogni giorno mette a nostra disposizione materie prime e altri “doni”, potrebbe diventare presto un peso insostenibile per gli esseri umani. Paradossalmente da risorsa diventerebbe un costo, per di più molto salato. Un recente studio del WWF ha “quantificato” l’importanza della natura per l’uomo: un ettaro di foresta è in grado di produrre in termini
I TERRENI COLTIVATI PRODUCONO SEMPRE MENO. Meno produzione = meno cibo disponibile. E quindi più fame posizione a riguardo, può forse essere utile partire dalla constatazione più pressante che oggi i terreni coltivati producono sempre meno. Meno produzione, meno cibo disponibile, fame nei paesi che non possono permettersi il prezzo d’acquisto, aumento di prezzo nei paesi industrializzati. E se i terreni agricoli rendono meno ciò significa che bisognerà cercare nuovi spazi “utili”, distruggendone altri… la reazione 32 inchiesta
di cibo, acqua, materie prime, sostanze farmacologiche, mitigazione climatica, purificazione dell’acqua, turismo un valore di oltre di 16mila dollari. Non solo rischiamo di non avere più questi benefit, tra non molto dovremmo pagare per usufruirne. Emblema di tutto ciò la vicenda della marea nera in Louisiana: non solo immane disastro ambientale, quanto costerà portare la situazione alla normalità?
PER APPROFONDIRE UN PO’ Il sito ONU: cbd.int/2010/welcome Il sito svizzero: biodiversita2010.ch Il festival biodiverisità: festivalbiodiversita.it Tante notizie anche su: wwf.it PER CHI AMA L’ODORE DELLA CARTA Campi di battaglia. Biodiversità e agricoltura industriale di Shiva Vandana. Il frutto ritrovato di Spadaro Chiara.
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elle 200 ecoregioni mondiali (di cui fanno parte anche le italianissime Alpi e Mediterraneo) il 47 percento è in pericolo e il 30 percento è definito “vulnerabile”. Cosa significhi nella vita di tutti i giorni una perdita di biodiversità lo possiamo constatare partendo dalla nostra tavola: delle settemila specie che l’umanità ha coltivato dall’avvento dell’agricoltura a oggi ne resistono solo 150 e 4 di queste forniscono il 50 percento del nutrimento della popolazione umana. Un ruolo troppo spesso sottovalutato è quello degli “impollinatori”. Cosa accadrebbe se api, mosche, farfalle fossero seriamente a rischio di estinzione? Basta dire che sono responsabili, più o meno direttamente, di un terzo del cibo umano. E se finissimo per volere e aver bisogno di più pesce di quanto ce ne sia nel mare? Con tonno, pesce spada, merluzzo e polpo ci stiamo avvicinando. La quasi definitiva scomparsa della rana ornitorinco comporterà la
perdita di preziosissime informazioni per la cura di ulcere gastroduodenali, problema che ogni anno riguarda 25 milioni di americani… il tipico battito della farfalla in grado di scatenare una tempesta.
IN ITALIA
Detto ciò a livello globale, che dire del nostro Bel Paese? Beh, tanto per cominciare bisognerebbe fare un plauso a WWF Italia, che porta avanti sul proprio sito un serio discorso sulla biodiversità, visto che manca un sito italiano vero e proprio dell’Onu… oppure non resta che visitare quello svizzero! In tutta Italia si è svolto nel weekend del 23-24 ottobre Biodiversamente, una serie di eventi promossa da WWF con l’Associazione Nazionale Musei Scientifici Italiani, Orti Botanici e Ac-
quari. Eventi in programma nella provincia di Como e di Varese: 0. All’Acquario di Milano si può assistere alla mostra dall’evocativo titolo “Biodiversità mistiche”… Un buon successo di pubblico invece per la quarta edizione del Festival della biodiversità che si è svolta tra maggio e giugno (vedi l’intervista a Riccardo Gini, responsabile del Parco Nord Milano, tra i promotori dell’evento). Questo, purtroppo, il quadro. Per onestà va detto che se a qualcuno sembra troppo gravoso impegnarsi a favore della biodiversità l’Onu mette a disposizione altre scelte: è l’anno internazionale dei giovani, ma anche quello dell’avvicinamento delle culture…
VIVIAMO CON SOLE 150 SPECIE VEGETALI. 4 tra queste ci forniscono il 50% del nutrimento della popolazione umana.
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CERCA SUL DIZIONARIO ALLA VOCE BIODIVERSITÀ Riccardo Gini, direttore del Parco Nord Milano, da quattro anni sede del Festival della Biodiversità. A cura di Federico Frigerio Il rapporto tra uomo e biodiversità: è davvero impossibile?
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iente affatto, quello che è importante è sottolineare l’esistenza di questo rapporto, da sempre l’uomo è in relazione con la natura, è immerso in essa. Ma l’uomo, e di riflesso l’economia che caratterizza il mondo di oggi, sta modificando questo rapporto: la varietà delle specie diminuisce, si modificano le relazioni all’interno di complesse catene alimentari, la Natura stessa si sta impoverendo. L’uomo non può uscire da questo rapporto, si tratta di ritrovare un equilibrio.
cetto scientifico di differenza genetica. È tutta una questione di consapevolezza: bisogna capire quanto è importante per noi la natura, quanti effetti benefici ha sulla nostra vita senza che noi nemmeno ce ne accorgiamo. Essere a favore della biodiversità non significa essere contro la tecnologia, non si rimpiange nessun passato bucolico; la tecnologia e il progresso devono però tener conto di avere a che fare con risorse non rinnovabili. Bisognerebbe ricordarsi più spesso che le generazioni che verranno meritano un futuro, un mondo che sia ancora “in equilibrio”.
Siamo già a un punto di non ritorno? Cosa stiamo davvero rischiando?
Come posso come singolo schierarmi a favore della biodiversità?
Il 2010 è l’anno mondiale della biodiversità. Il 2010 era stato fissato come termine massimo per rallentare la costante perdita di biodiversità in natura, ci si era ripromessi di invertire la tendenza. Questo non è avvenuto, ma almeno si è provato a far conoscere il problema al numero maggiore di persone. Va detto che si tratta di una tematica complicata, soprattutto se si tiene conto che oggi la metà della popolazione mondiale è “urbana”, per definizione meno sensibile e più distante dalla Natura. Si è svolta quest’anno la quarta edizione del Festival della biodiversità. Può darci qualche dato sulla partecipazione? Come hanno reagito le giovani generazioni? Il Festival è nato in sordina quattro anni fa: quest’edizione ha ospitato più di 130 eventi, 25 mila persone e un’ottima copertura stampa. Per far comprendere un tema poco conosciuto e non immediatamente semplice abbiamo deciso di declinare la biodiversità utilizzando più linguaggi: arte, conferenze, laboratori per ragazzi senza dimenticare il gusto. Per biodiversità si intende anche varietà sulla nostra tavola, per questo abbiamo previsto la partecipazione di presidi Slow Food. Quest’anno il tema principale era incentrato sui 5 sensi: non abbiamo proposto la biodiversità come concetto astratto ma piuttosto come un’esperienza, qualcosa da vivere sulla propria pelle. Come sensibilizzare le persone a un tema apparentemente poco attraente come quello della biodiversità? Meglio partire dal concreto. È più utile far assaggiare alle persone una specifica qualità di formaggio che affrontare il con34 inchiesta
Si deve sempre partire dal quotidiano, quindi dalle scelte e dai comportamenti che caratterizzano le nostre giornate. Si può prestare maggiore attenzione alla spesa, verificando se i prodotti che acquistiamo provengono da territori sottoposti a sfruttamento intensivo. Più delicato il tema degli OGM, ma è fuor di dubbio che anche in questo caso assistiamo a un rapporto non equilibrato uomo-natura. Il tema dell’acqua rimane sempre di scottante attualità, così come quello di altre risorse non rinnovabili. Ognuno può leggere e valutare il proprio stile di vita attraverso la filigrana della biodiversità: oltre a valutare il nostro presente, ricordiamoci di lasciare uno slancio verso il futuro, per le nuove generazioni. Che cosa fa l’Italia, la Lombardia, Milano a favore della biodiversità? L’Italia si sta impegnando attraverso il suo sistema di aree protette a difendere la biodiversità e diffonderne l’importanza. In Lombardia è stata approvata una norma per una Rete Ecologica Regionale, un collegamento tra le diverse aree verdi esistenti. La RER è stata riconosciuta come infrastruttura prioritaria del Piano territoriale regionale. La flora e la fauna hanno così il diritto a “spostarsi” liberamente sul territorio lombardo. I parchi non sono più concepiti come isole ma sono collegati tra loro, diventano dei veri e propri corridoi ecologici di fondamentale importanza. L’Italia, anche a causa della sua conformazione geografica, possiede una ricchezza a livello di biodiversità davvero importante: sta provando a tutelarla. La Lombardia, una tra le regioni più sviluppate, deve dare il buon esempio e adottare strategie intelligenti per gestire al meglio la preservazione della biodiversità.
N O L E G G I O E V E N D I TA C O P E R T UR E E D AT T R E Z Z AT UR E W W W. P R I V I T E R A - S A S . I T
economia
L’ECONOMIA PARTE DAL GARAGE Abbiamo intervistato Marco Boglione, per scoprire il punto di vista di un uomo d’impresa che ama uomini e computer di Martina Moretti Sig. Boglione come nasce un’azienda come la BasicNet e qual è la caratteristica che la differenzia da altre realtà industriali? BasicNet nasce tra l’83-’84, all’epoca avevo 27 anni e già da 8 lavoravo, in particolare ero già direttore marketing e commerciale del Maglificio Calzificio Torinese S.p.a. dove avevo sviluppato una certa familiarità con il prodotto manifatturiero e avevo convinto l’azienda a lanciarsi nella produzione di magliette sportive. Da qui due coincidenze mi convinsero ad intraprendere la strada imprenditoriale: da un lato un caro amico che mi parlò di un potenziale business che mi interessava molto e dall’altro l’acquisto di un computer, oggetto assolutamente nuovo e pressoché sconosciuto ai più all’epoca, si trattava di un Apple IIc. Con questo computer iniziai a sognare e immaginare di creare un nuovo modello di organizzazio36 economia
ne aziendale dovendomi confrontare tutti i giorni con la mia esperienza lavorativa in una grande azienda come era il Maglificio, l’idea era quella di permettere l’accesso e la programmazione dei pc da parte di tutti secondo quella che oggi è l’informatica popolare, quindi creare dei programmi a misura d’azienda. Così da pioniere dell’informatica decisi di mettere a frutto l’intuizione e con l’esperienza maturata nel campo manifatturiero e con un caro amico quale Luciano Antonino fondai la Football Sport Merchandise s.r.l. che ebbe come prima sede un garage! Davvero un garage? Sì sì il garage per iniziare, poi investendo e crescendo arrivammo ad avere anche noi una sede con uffici e quant’altro. E come è proseguita questa avventura? La grande intuizione era stata quella di com-
Marco Boglione, fondatore di BasicNet
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STORIA MINIMA Partire da un garage e da una passione sana per i computer, per arrivare a Basic Net, passando per il merchandising calcistico.
L’ECONOMIA PARTE DAL GARAGE
prare la licenza dei marchi delle squadre calcistiche per produrre e vendere quello che oggi tutti conoscono come il merchandising che gira intorno alle squadre del cuore. In questo senso avevamo centrato l’obiettivo dal momento che mai prima di allora il tifoso aveva avuto la possibilità di possedere le maglie originali dei propri calciatori: di calcio si parlava, si andavano a vedere le partite ma non esisteva il mercato del merchandising. Le maglie come venivano vendute? Anche se fin dall’inizio immaginavo per il futuro un’azienda virtuale senza attriti, naturalmente era troppo presto perché mancavano di fatto le tecnologie adeguate, così abbiamo iniziato con lo stampare i cataloghi dei prodotti che andavamo a proporre, a spedirli e a ricevere sempre via posta le richieste degli 38 economia
acquirenti. La vendita era quindi unicamente per corrispondenza e bisogna sottolineare che al tempo non c’era internet e le forme moderne di e-commerce. Ma l’intuizione di rivolgerci ai tifosi, proponendo le maglie originali della propria squadra, ci premiò e la Football Sport Merchandise s.r.l. continuò a crescere e a dare profitto. Contemporaneamente poi fondammo con la mia prima moglie Daniela Ovazza la Mototaxi s.r.l.che dopo 15 anni di sviluppo venne venduta nel ‘99 a Poste Italiane. Anche per Mototaxi immaginavamo un futuro totalmente virtuale cosa che poi si realizzò negli anni successivi con lo svilupparsi delle adeguate tecnologie che sostituirono, in questo caso, i gettoni telefonici! Alla fine non avevamo inventato nulla di nuovo, ma semplicemente applicando le nuove tecnologie informatiche che avanzavano era stato possibile realizzare meglio e più velocemente quello che già si faceva in maniera tradizionale o arrivando a fare quello che non si era mai potuto realizzare
perché mancavano gli adeguati supporti. E come siete arrivati all’attuale BasicNet? Diciamo che la società cresceva molto bene e aveva successo, anche a livello internazionale eravamo indicati come leader del nostro settore ma da un punto di vista interno mancava il processo di capitalizzazione del lavoro dal momento che gestivamo marchi altrui dei quali avevamo solo la licenza ma non la proprietà; così quando nel 1994 il Maglificio Calzificio Torinese S.p.a. fallì decisi di rilevare i marchi che possedeva come Kappa, Robe di Kappa, Jesus Jeans (dal 2004 BasicNet è proprietaria anche dei marchi Superga e K-way, n.d.r.); è stata un’operazione ad alto rischio però solo così si è potuti passare dalla Football Sport Merchandise a BasicNet. Era ed è un business network, ovvero tanti imprenditori collegati tra loro telematicamente che diventano produttori e distributori autorizzati da BasicNet che fornendo loro servizi di marketing, ricerca, comunicazione, coordinamento vengono messi nelle condi-
UN NOME, TANTI NOMI. Del gruppo Basic Net fanno parte: Kappa, Robe di Kappa, Jesus Jeans, Superga e K-way.
zioni di produrre o vendere a seconda della vocazione imprenditoriale di ognuno. BasicNet come capitalizza il suo lavoro? Veniamo rimborsati per i servizi che eroghiamo agli imprenditori che fanno parte del nostro network e per i diritti di proprietà che abbiamo sui marchi che diamo in licenza per la produzione e vendita dei prodotti, dove il loro valore aumenta sempre più per notorietà, fatturato e pubblicità. Oggi molti associano BasicNet ad una azienda produttrice di maglie con successiva vendita, in realtà il prodotto è per noi intangibile perché chi produce e distribuisce sono gli imprenditori associati a noi. Quindi non siete paragonabili a nessun’altra azienda manifatturiera? No anzi, al massimo potrei paragonare BasicNet a Mc. Donald’s dal momento che anche loro hanno ovunque nel mondo imprenditori che decidono di fare hamburger con loro marchio e dove in virtù di questo
Mc. Donald’s sta sopra a coordinare e verificare qualità, marketing, processi produttivi. Anche per BasicNet il modus operandi è simile perché poi comunque siamo noi che mettiamo il marchio e la faccia.
DA SINISTRA Uno pneumatico, Apple II C, cappellini stile baseball, un articolo K-way.
Come ha vissuto e affrontato BasicNet l’attuale crisi economica? Su questo vorrei fare una riflessione a priori nel senso che dal mio punto di vista la crisi ha due aspetti, uno legato agli effetti e l’altro alle cause. Per quel che riguarda gli effetti nessuno può ovviamente sottrarsi perché investe qualsiasi settore in un concatenamento reciproco, ma per le cause posso dire che la BasicNet ne prende le distanze. BasicNet ha infatti, per la sua gestione totalmente informatizzata, quella velocità e flessibilità che avrebbe potuto evitare la crisi stessa, tutto avviene in tempo reale e gli aggiornamenti sono immediati. Per questo possiamo definirci una azienda anticrisi per definizione. Quindi come pensa possa rinnovarsi e soprav ak adlige klein 39
vivere l’industria italiana all’attuale crisi? Dal mio punto di vista, essendo il settore molto competitivo, le aziende dovrebbero stare di più sul mercato puntando sulla qualità dell’offerta, adeguandosi ai cambiamenti ciclici con maggiore reattività, in un dialogo costruttivo che porti ad evitare le frizioni interne. E poi indubbiamente è necessario limitare la burocrazia a favore di una maggiore velocità di azione.
L’ECONOMIA PARTE DAL GARAGE
Immagino che questo discorso si leghi anche al fattore globalizzazione. Ovviamente perché oggi come oggi l’industria italiana in ambito manifatturiero non ha possibilità di recupero con la globalizzazione imperante, ma il recupero è possibile proprio tramite la gestione del processo, con il valore intangibile dei brevetti e dei marchi. E questo è applicabile a tantissimi settori dal turismo, all’auto, alla moda. Si prenda solo il turismo come esempio, qui si potrebbe fare davvero molto in termini di accoglienza, costumer satisfaction, comunicazione. La crescita della sua azienda ha potuto beneficiare anche di aiuti e sussidi statali? Lo stato è concretamente vicino agli imprenditori? Mah... BasicNet non ha avuto bisogno di aiuti, tuttavia facendo un discorso più ampio di fatto lo Stato non c’è mai stato per le aziende se non tramite alcuni incentivi mirati o aiuti a pioggia in particolari momenti di crisi. Tuttavia questo tipo di supporti tra le piccole aziende si disperdono perché avrebbero bisogno in realtà di un rapporto imprenditoriale one-to-one, capire cosa ha nella testa l’imprenditore da un punto di vista di etica, moralità e business del progetto. Di solito questo lo fanno investitori privati che in Italia sono comunque pochi. Quindi non si possono mettere sullo stesso piano le aziende più piccole, ci vorrebbero dei percorsi differenziati? Assolutamente! È lo stesso problema che si è presentato con le banche che depersonalizzando il rapporto con gli imprenditori in nome dei cosiddetti parametri Basilea hanno standardizzato i problemi e le valutazioni allontanandosi dalle aziende e abbandonandole a sé stesse. La piccola impresa è “think
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ICONE Superga giallo canarino
different”, esce da queste logiche e se le banche non danno fiducia perché non riescono ad entrare nella loro stessa logica, la piccola impresa non va da nessuna parte. Parlando di un’azienda come la sua, che è un network di imprenditori tessili, come si pone nei confronti dell’avanzata dei mercati orientali e della loro potente concorrenza? Devo essere sincero, questa riflessione l’ho fatta già nel momento in cui BasicNet è nata e si iniziava a parlare di globalizzazione, ho pensato che se lo scenario che si prospettava era davvero questo allora come imprenditore avrei potuto certamente guadagnare. Sottolineo come imprenditore, non come Italia. Quindi avrei potuto e di fatto oggi posso scegliere liberamente, senza dazi e frontiere, dove produrre e vendere nel mondo. Se penso alla storia della mia azienda, includendo anche il Maglificio Calzificio Torinese, dal 1916 al 1994 abbiamo prodotto l’80% in Italia, oggi invece è il 5%; ma questo perché il mercato è libero e BasicNet non potrebbe
Sì e questo da un punto di vista imprenditoriale è un bene e paradossalmente proprio per questo costo diverso, tra Italia e altri mercati, da noi si può perdere la qualità; se io imprenditore so che in Italia per produrre un tal oggetto devo impiegarci necessariamente 3 minuti perché uscendo da questo tempo sforo dal budget, allora meglio produrre in Cina dove se anche ci metto di più per fare quel prodotto rientro nel budget dato che la manodopera costa meno ma assicuro la qualità. Oggi questi mercati orientali, con in testa Vietnam e Cambogia, stanno crescendo proprio come nuove frontiere di qualità. Non c’è quindi nulla che fa la differenza? La differenza la fa la qualità, l’imprenditore italiano deve puntare a questo perché è ciò che abbiamo di intrinseco e che è difficilmente riproducibile. In altre parole lo stile, che si traduce in comunicazione, immagine ed emozione e che fa almeno il 50% nella commercializzazione del prodotto, è il plus che l’oriente non ha e forse non avrà mai.
esistere senza questo presupposto. Mi perdoni una provocazione: ma rispetto alla qualità del prodotto, alla difesa del Made in Italy? Se c’è una cosa che è assolutamente dannoso e sbagliato dire è che il prodotto fatto, mettiamo in Cina, è di minore qualità; l’esempio dell’Iphone è palese, questo oggetto considerato come il prodotto più tecnologicamente avanzato al mondo è proprio prodotto in Cina. Il problema non è tanto nel dove si va a produrre ma come viene portato avanti il processo manifatturiero. Ovvero? Ovvero se progetto bene in Italia una maglietta e poi mando in Cina un tecnico italiano che insegni e verifichi che l’operaio cinese la riproduca identica nel processo manifatturiero non ci si può sbagliare, e questo contempla anche la scelta delle materie prime. Certo il costo della manodopera è minore.
Cosa consiglierebbe ai giovani che oggi vorrebbero lanciarsi nel campo imprenditoriale? Sono realmente preparati a livello universitario e che peso ha questo effettivamente? L’università è il modo migliore per non fare l’imprenditore! Non è una battuta, in America si è avuta la dimostrazione nel dopoguerra quando dalla necessità di avere soldati si è avuta quella di avere imprenditori. Questi ragazzi sono stati messi come in incubatori secondo un approccio accademico che non ha dato alcun risultato. Dalla mia esperienza l’imprenditore è casualità, una “deviazione genetica”, è importante proteggere l’ambiente, farli crescere e al momento opportuno coglierli come i tartufi! E poi se uno vuole fare realmente l’imprenditore non ha tempo di andare all’università, ha l’idea che scalpita e che deve rincorrere. Certo l’università è sicuramente importante per le aziende per assumere gli executive, i manager responsabili con una formazione adeguata, anche se preferiamo non assumere 110 e lode. Preferiamo un 100 di un ragazzo con curriculum breve e con qualche esperienza lavorativa, qualcuno che già si è rimboccato le maniche e che ha voglia di fare. ak adlige klein 41
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IL VALORE DEI MARCHI di Federico Frigerio
Assistiamo ogni giorno, in forme sempre più intrusive, all’apoteosi dell’affermazione di Henry Ford, “Chi smette di fare pubblicità per risparmiare soldi è come se fermasse l’orologio per risparmiare il tempo”
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na mela. Un cavallo imbizzarrito. Un cane a sei zampe che sputa fuoco. Una sirena con due code. Due archi gialli che formano una emme. Traducibili in Apple, Ferrari, Agip, Starbucks, McDonald’s. Ma si tratta pur sempre di un computer, di un’automobile, del liquido che va versato al suo interno, di un caffè, di un panino. Il mondo in cui ci troviamo a vivere, capitalistico per definizione, sembra essere giunto da almeno vent’anni a una nuova fase: il vecchio adagio di Karl Marx “capitale è denaro, capitale è merce”, sembra non essere più un’ipotesi necessaria. Se una volta la forza di un’azienda si poteva misurare guardando ai livelli di produzione, ai macchinari e a tutto quello che si può raccogliere sotto la banale ma efficace etichetta di “materiale”, oggi lo scenario è differente. Si può fare capitale “semplicemente” apparendo, apparendo più dei tuoi diretti concorrenti, conquistando con uno slogan o con un logo la fiducia dei consumatori. È uno strano meccanismo quello che spinge sempre più consumatori a pensare non tanto al prodotto che desiderano acquistare ma all’azienda che glielo propone. Non: “Avrei bisogno di un lettore mp3”, ma: “Che cosa fa di nuovo la Apple?”.
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e il punto di partenza è che il bene venduto deve avere comunque una qualità riconosciuta – per cui non compro una Ferrari se questa mi si rompe dopo un mese - è altresì vero che data questa premessa ciò che
segue è una pura questione di abilità nel marketing, di elaborazione di strategie pubblicitarie efficaci, di capacità di affezionare e spingere il possibile cliente fra le maglie della propria rete. Per un’azienda diventa allora fondamentale non solo produrre, ma cercare di avvolgere in una sorta di aura magica quello che si propone: si tratta di far desiderare al consumatore non un semplice caffè, ma un frappuccino di Starbucks. Assistiamo ogni giorno, in forme sempre nuove e sempre più intrusive, all’apoteosi dell’affermazione di Henry Ford, uno dei simboli del capitalismo: “Chi smette di fare pubblicità per risparmiare soldi è come se fermasse l’orologio per risparmiare il tempo”. Solo che oggi non basta più il classico volantino, la promozione telefonica o il testimonial dal nome altisonante. In una società caratterizzata da ritmi di vita sempre più frenetici, la pubblicità è spesso percepita come una fastidiosa intrusione e alcuni studi hanno calcolato che un cittadino americano è sottoposto ad almeno 3000 messaggi pubblicitari al giorno. Lo spazio di attenzione che rimane disponibile si gioca davvero nell’ambito dei secondi, il tempo di uno slogan, la forza evocativa e immediata di un’immagine. Ecco allora il proliferare dei vari “Tutto intorno a te”, “I’m loving it”, “La patatina tira”: si gioca tutto lì, se l’effetto è positivo, se scocca il colpo di fulmine un cliente è potenzialmente acquisito e magari la prossima volta, davanti a uno scaffale di salatini, sceglierà proprio quella marca. Questione di istanti, ma il conto a fine ak adlige klein 43
IL VALORE DEI MARCHI Diventa un business vero e proprio mettersi a servizio delle aziende, aiutandole a coniare nomi, immagini, slogan. Marcel Botton vendeva case prima di avere l’idea di fondare Nomen, un’agenzia che inventa nomi. E non si può certo dire che due sue creazioni, Clio e Yaris, non abbiano avuto successo.
mese è decisamente salato: un documento diffuso a giugno da Google rivela che per il suo programma AdWords, il colosso delle telecomunicazioni AT&T, avrebbe speso 500 milioni di dollari. La British Petroleum per rimediare alla figuraccia della macchia nera nel Golfo del Messico ha innalzato il proprio budget mensile destinato ad AdWords da 57 mila dollari a 3,6 milioni. Un brand per essere vincente deve rispondere a delle caratteristiche ben precise: deve essere facile da pronunciare, da ricordare, deve essere riconoscibile, deve essere rassicurante. Il marchio deve essere distintivo, ma anche identificativo. Si tratta di qualcosa di assolutamente intangibile, ma molto spesso è quello che mette in moto le cose. Siamo arrivati al punto che ogni evento o incontro tra persone, per esempio un festival letterario, per essere più efficace, ha bisogno di un logo. Piccolo consiglio per un’azienda che sta per nascere. Forse è meglio pensare prima al nome e all’eventuale logo da sfoggiare: le merci, che il buon Marx ce lo perdoni, sono ormai un di più.
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no degli aspetti più oscuri del capitalismo odierno è stato illustrato dieci anni orsono, ma il testo rimane tuttora valido, da Naomi Klein con il successo planetario di No Logo: come detto, le aziende per caratterizzarsi, per emergere rispetto ai concorrenti, investono una parte sempre più cospicua delle proprie risorse nel settore pubblicità e marketing. Inevitabilmente 44 economia
questo si traduce in strategie sempre più ciniche di risparmio sulla produzione, a diretto discapito dei lavoratori, sottopagati e sfruttati e sempre più spesso “scovati” nei paesi dove la manodopera costa meno e leggi in materia di lavoro sono più flessibili. Globalizzazione per un’impresa significa sempre più delocalizzazione, e l’outsourcing spinge sempre più a Est, verso le terre dell’Impero Celeste (così per 4 aziende su 10). Ora che anche la Cina sembra essere diventata costosa nascono nuove tigri e portano il nome di India, Cambogia, Vietnam, Messico e Brasile. Non è più il tempo dei pionieri: ben il 40 percento delle aziende europee ha promosso una politica di esternalizzazione (fonte: Osservatorio Filas). L’Italia non produce più solo le Vespe in India: la Toscana (con la sua produzione calzaturiera) sembra aver scelto come terra d’elezione il Nordafrica, il Veneto la Romania (con ben 1500 dipendenti per il marchio Geox). Ma non si pensi a un processo unidirezionale: Videocon, multinazionale indiana, delocalizza ad Anagni per produrre televisori Lcd. I lavoratori degli ex paesi di produzione si trovano spesso con le spalle al muro, costano troppo rispetto ai nuovi colleghi, possono provare ad appellarsi allo stato, invocando qualche sussidio. Ma in un mondo ormai pienamente globalizzato l’economia sembra non dover più tener conto dei confini e dei vincoli nazionali. “Fiat senza l’Italia farebbe meglio”, paradosso dei paradossi. E intanto il vento dell’outsourcing continua a soffiare, inarrestabile, là dove costa meno.
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In questa pagina veduta di via Fiori Chiari. Nell’altra pagina in senso orario a partire da in alto a sinistra: Giusy Bresciani Atelier Via del Carmine 9 Galleria d’Antiquariato “Il segno del tempo” via Fiori Chiari 20 Robertaebasta via Fiori Chiari 2 SICIS the art factory - show room via Fatebenefratelli 8 46 design
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Isola In questa pagina veduta veduta del Palazzo della Regione da via Volturno. Nella pagina a destra: Wannabee Gallery, via Thaon di Revel 3 Costanza Algranti, via Guglielmo Pepe 28
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Porta Romana
In questa pagina veduta dell’ Università Bocconi (via G. Rontgen), nell’altra pagina la Galleria Galica, viale Bligny 41 .
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Tortona
In questa pagina veduta di via Tortona. Nell’altra pagina in senso orario a apartire da in alto a sinistra: Fralegname, via Savona 45 Fondazione Arnaldo Pomodoro, via Solari 35. Studio Officine Creative dell’interior designer Yuri Premerlani, via Savona 17. Canova, via Tortona 31 .
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Paesaggi cittadini/ londra Ph: R. RaschellĂ
Notting Hill
I questa pagina Standing Man, sculture di Sean Henry a Paddington. A destra Edward Road.
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Hyde Park
In questa pagina Sky mirror, scultura di Anish Kapoor in Hyde Park. Nella pagina a destra, dall’alto, altre due opere dell’artista: Sky mirror (red) e C-curve.
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Graffiti
In questa pagina graffito a South Bank, nella pagina a destra un’opera di Banksy a Portobello.
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Equilibri In questa pagina e nella seguente prove di spettacolo al National Theatre, South Bank.
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tradizione rivisitata Londra accogliente e di design, per di più eco-friendly. e tutto in un ex magazzino. ecco l’idea dei creatori di Zetter
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er chi non ha mai visto Londra, immaginandola come una grande metropoli anonima, un po’ fredda e poco accogliente, deve assolutamente ricredersi. Essa è infatti una di quelle città per definizione multiculturale e all’avanguardia pur mantenendo per certi versi un attaccamento alle tradizioni e al rigore tipicamente inglesi. Per cogliere appieno questo spirito è assolutamente consigliabile un soggiorno presso The Zetter Hotel perfetto mix tra “green spirit” e design. The Zetter è una delle strutture alberghiere più interessanti a Londra; posizionato in prossimità di molti edifici simbolo del turismo di massa in questa città, a partire dal Tamigi e poi la cattedrale di St. Paul, la Tate Modern, il British Museum..., è ricercato e frequentato da chi vuole un hotel di stile, pieno comfort e forte personalità. Zetter era fino al 19° secolo un magazzino di cinque piani che ospitava una strut-
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tura sportiva, poi nel 2001 i due soci Michael Benyan e Mark Sainsbury decisero di rilevarlo e trasformalo nell’attuale hotel inaugurandolo nel 2004. Per la loro coscienza “green”, votata all’ecosostenibilità, Michael e Mark vollero fare in modo che lo Zetter potesse essere il più possibile eco-friendly scegliendo quindi tecnologie che favorissero il risparmio energetico e materiali riciclati. Così il legname impiegato per costruire l’edificio è stato acquistato da fonti sostenibili e le vernici per gli interni sono amiche dell’ambiente. Il risultato è oggi un hotel insignito del prestigioso Gold Award da Green Tourism. L’acqua utilizzata ad esempio proviene da un pozzo posto a 1500 piedi sotto l’edificio, impiegata per il sistema di riscaldamento e raffreddamento dell’hotel tramite uno scambio ciclico a basso consumo energetico e per riempire le bottiglie che vengono servite al ristorante e nelle camere. E’ inoltre assicurato l’uso di luce e di un
ZETTER Vincitore del prestigioso Gold Award del Green Tourism
sistema di ventilazione naturali grazie alla forma semi-ellittica dell’atrio centrale; nelle camere, invece con i sistemi di rilevamento, se non ci sono ospiti l’energia bruciata è ridotta al minimo e lo stesso per il riscaldamento o l’aria condizionata se vengono aperte le finestre. Carta e vetro sono tutti riciclati e gli ospiti hanno a disposizione gratuitamente le biciclette per seguire itinerari senza utilizzare mezzi inquinanti. Anche per la scelta della linea bagno Mark e Michael hanno voluto solo prodotti che rispettassero nell’imballaggio e nella composizione l’ambiente e lo stesso per il ristorante dell’hotel. Il “Bistrot Bruno Loubet” fa parte infatti dell’Associazione dei ristoranti sostenibili ed è sempre monitorato da un Green Team che vigila in merito al rispetto degli standard decisi. Questo Bistrot moderno propone una cucina che combina pietanze regionali, piatti contemporanei e reinterpretazioni di grandi classici a prezzi accessibili,
risultando un fiore all’occhiello per lo Zetter e avvalendosi della direzione di uno chef come Bruno Loubet che a soli 29 anni aveva già ricevuto la sua prima stella Michelin. Un’anima verde dunque ma anche una propensione al design, alla ricerca artistica e al divertimento. The Zetter infatti riesce a trasmettere un forte senso dell’edificio originale sposandone le caratteristiche storiche ma con un rinnovamento contemporaneo in linea con il gusto tipicamente inglese che emerge dall’utilizzo di determinati modelli, tessuti, disegni. Così anche i particolari non vengono tralasciati e sono un motivo in più di gradimento per gli ospiti. Inoltre, grazie alla geniale collaborazione con Fabian Monheim di Fly Productions, sono stati creati sfiziosi oggetti ad hoc assolutamente personalizzati Zetter, come le bottiglie per l’acqua o le borse per la lavanderia. Insomma un hotel per sentirsi a casa o per divertirsi fuori da essa! Dipende dai punti di vista. ak adlige klein 63
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MONTAGNE DA VIVERE di Martina Moretti Relax o emozioni? Cultura o enogastronomia? Il Sud-Tirolo ci insegna a non rinunciare a nulla
SOPRA DA SINISTRA Zona sciistica presso il villaggio di Plan nella Val Passiria Südtirol Marketing/Laurin Moser Festa per il ringraziamento del raccolto Marketinggesellschaft Meran/ Frieder Blickle Una ragazza serve i classici Tirtlan, frittelle di sfoglia sottile ripiene di spinaci e ricotta, patate o crauti Südtirol Marketing/Helmuth Rier
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na vacanza rilassante tra beautyfarm e trattamenti benessere o adrenalinica tra escursioni e discese mozzafiato? Questo e tanto altro offre il Südtirol per la prossima stagione invernale. Qualche suggerimento? Per gli amanti dello sci e fanatici delle piste immacolate imperdibile è la proposta del rifugio Col Alt, in Alta Val Badia, che da dicembre a metà marzo propone una colazione a 2000 m. a base di prodotti tipici altoatesini. Partenza da Corvara ogni martedì e giovedì con il gatto delle nevi tra le 6.50 e le 7.20; poi tutti in pista prima dell’apertura degli impianti. (info: www.rifugiocolalt. it) Sempre per gli escursionisti, che non rinunciano al trekking neppure in inverno con ciaspole e racchette, tra il Brennero e la chiusa di Salorno sono tantissimi i masi, i tipici agriturismi altoatesini, che contraddistinti dal sigillo di qualità “adatto per gli
escursionisti” offrono pernottamento, prima colazione o mezza pensione e anche possibilità di lunch-packet tutto a base di prodotti del maso. E per camminate rilassanti o escursioni più impegnative basta aprire la porta e… mettersi in marcia! (info: www.gallorosso.it) Ma tra le novità della stagione ad alto tasso adrenalinico, a mettere d’accordo grandi e piccoli, c’è la discesa con slittino; in Val d’Ega si trovano moltissime piste di neve naturale lunghe tra gli 800 e i 3000 m. dove il divertimento è assicurato. Da provare la discesa notturna sulla pista di Obereggen, la più lunga della valle, possibile ogni martedì, giovedì e venerdì dalle 19.00 alle 22.00. La pista è inoltre facilmente raggiungibile tramite la cabinovia di Ochsenweide. (info: www. obereggen.com) Un’alternativa è anche la pista Alpin Bob, la prima per slittino su rotaia dell’Alto Adige, posta a 1900 m. d’al-
tezza all’interno della zona escursionistica e sciistica di Merano 2000; una discesa lunga 1,1 km tra rocce e natura incontaminata. (info: www.meran2000.net) Ma il Sud-Tirolo non è solo sport e natura, tante sono infatti le occasioni anche per chi preferisce svagarsi tra le belle cittadine della regione alpina soprattutto durante il periodo natalizio; tra il 26 novembre e il 6 gennaio infatti si aprono i 5 mercatini di Natale originali dell’alto Adige. Da Merano a Brunico, passando per Bressanone, Bolzano e Vipiteno, è possibile riscoprire tradizioni antiche di artigianato locale e assaggiare le prelibatezze dolciarie della regione, primo fra tutti il famoso Strudel. (info: www.suedtirol.info/mercatini) E per viaggiare in comodità senza tralasciare alcuna tappa basta affidarsi al trasporto pubblico, niente stress da parcheggio e possibilità di godersi il paesaggio tra uno spostamento e l’altro, basta acquistare la Mobilcard in vendita a soli 13€ e valida 3 giorni. (info: www.sii.bz.it) E a proposito di stress perché non approfittare dei tanti centri Spa e benessere dislocati in SudTirolo per una completa remise en forme?
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Tra il 26 Novembre e il 6 Gennaio si aprono i mercatini di Natale originali dell’Alto Adige. Da Merano a Brunico, passando per Bressanone, Bolzano e Vipiteno.
Ancora una volta è la natura ad essere protagonista e a dare ottimi prodotti di cura, così seguendo la regola delle tre T (tradizione, tipicità, tracciabilità o Km zero) si può essere certi di sperimentare trattamenti totalmente ecologici e sostenibili. Qualche idea? Bagni di fieno per prevenire i disturbi reumatici e il mal di schiena, rinforzano il sistema immunitario ed hanno un generale effetto rilassante e curativo per la pelle; oppure bagni e trattamenti al pino mugo della Val Sarentino per curare tosse e raffreddore, contusioni, storte e strappi muscolari. Curioso anche il bagno alla lana dove sfruttando le proprietà della lanolina si può migliorare l’epidermide e stimolare la microcircolazione; altre chicche sono la paneterapia, per curare con il calore del forno dove si è cotto il pane i reumatismi e respirandone gli enzimi accelerare il metabolismo corporeo, oppure il bagno alla birra per rigenerare la pelle e il peeling alla polvere di marmo di Lasa. Per scoprire tutte le offerte di questa ricca regione, indirizzi e numeri utili basta fare riferimento al sito ufficiale del Sud-Tirolo www.suedtirol.info ak adlige klein 65
turismo lento
ECOLOGIA A 5 STELLE
Cascata esterna al Vigilius Hotel
L’Alto Adige vanta una pole position europea per gli hotel ecosostenibili di alto livello. Scopriamo qualcosa su questo primato.
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’attenzione totale all’ambiente, al vivere in armonia con esso in un rispetto reciproco è ormai parte della coscienza civica altoatesina, testimoniata dal fatto che proprio a Bolzano dal 1991 ha attecchito per la prima volta in Italia la bioarchitettura, scienza verde già diffusa a partire dagli anni ‘50 nella Mitteleuropa e che ha portato in pole position il Sudtirolo per l’attenzione all’eco-bio. L’impegno è prima di tutto provinciale con la promozione di eco-incentivi che vorrebbero vedere la totale indipendenza dai combustibili fossili entro il 2020, in contemporanea privati e albergatori si prodigano a rincorrere la certificazione di CasaClima o CasaHotel rispettivamente per le proprie abitazioni o strutture alberghiere. È dal 2002 infatti che l’agenzia CasaClima (info:www.agenziacasaclima. it) di Bolzano valuta gli edifici per la loro efficienza energetica, indicando anche gli eventuali interventi necessari per migliorare la dispersione di energia collocando gli edifici secondo tre categorie di appartenenza che vanno da CasaClima Oro
Dal 2002 CasaClima a Bolzano valuta gli edifici per la loro efficienza energetica, assegnando 3 tipologie di classificazione.
NEL TONDO Una camera dell’hotel Theiner’s Garten
(che richiede un massimo di 10 kilowattora/mq all’anno), CasaClima A (che ne richiede fino a 30), CasaClima B(che ne richiede fino a 50). La Provincia di Bolzano vanta poi una valida collaboratrice e consulente dal 2002 quale è la dottoressa Wittfrida Mitterer, fondatrice nel 1991 con l’architetto Ugo Sasso dell’Istituto Nazionale di Bioarchitettura a Bolzano. Oggi con la Provincia vengono portati avanti progetti per la valorizzazione del paesaggio e del patrimonio storico-tecnico-architettonico che pongono l’Uomo al centro, con le sue radici e la sua vita sociale. In questo contesto si inserisce una scelta come quella della famiglia Hinteregger che possiamo indicare come esempio di cura e attenzione alla bio-architettura applicata ad una struttura ricettiva alberghiera. E questo fin dagli esordi, quando nel 1981 Franz Hinteregger decise di aprire a Luson, sopra Bressanone, il suo hotel che nel corso di quasi trent’anni ha subito sì diversi ampliamenti e modifiche ma sempre nell’ottica di una politica eco. Oggi è uno dei più conosciuti in Altoak adlige klein 67
Al Lüsnerhof non si gode solo di una vista mozzafiato ma si può godere completamente nei 5 sensi
Adige e fuori per le caratteristiche di ecocompatibilità e sostenibilità: le camere sono state realizzate in legno massiccio secondo le più severe norme di architettura ecologica senza impiegare colle, chiodi o materiali sintetici; il riscaldamento è naturale grazie ai pannelli solari, ai camini e alle stufe e alla perfetta coibentazione data dai muri in fango e paglia nella zona giorno delle stanze. Le pareti e i pavimenti in legno nella zona notte poi, dove domina il cirmolo, assicurano invece sonni profondi e riposo completo date le proprietà distensive e rilassanti di questo legno. Il ristorante sfrutta e offre i prodotti locali a chilometro zero e l’ampia zona wellness propone bagni di sauna al legno di cirmolo, tuffi nel laghetto naturale, idromassaggi all’aperto, uno chalet alpino anch’esso esempio di bioarchitettura dove rilassarsi e provare la grotta salina, la zona relax con materassi e cuscini di materiali naturali, la stanza delle inalazioni per respirare i profumi e gli aromi del luogo.Un hotel da vivere con tutti i cinque sensi insomma, seguendo questo percorso sensoriale. 68 viaggi
Le camere sono state realizzate in legno massiccio secondo le più severe norme di architettura ecologica senza impiegare colle, chiodi o materiali sintetici.
NEL TONDO Relax all’aperto nel Naturhotel Lüsnerhof
VISTA: immersi nelle Dolomiti, poco distanti dalle Alpi Austriache, gli unici colori che vedrete saranno le tonalità rilassanti del verde, dai prati alle montagne, agli alberi; per passare, alzando un poco lo sguardo, alle sfumature cerulee del cielo e al rincorrersi delle nubi. Già questo può bastare per ritrovare un contatto anche solo iniziale visivo con la natura. Suggerimento: visitate il Lüsnerhof in autunno, la moltitudine dei toni caldi di una natura in evoluzione è uno spettacolo impareggiabile. OLFATTO: dopo la vista, se non in contemporanea, sarà il senso che vi travolgerà. I profumi del legno fresco, del cirmolo in particolare con la sua piacevole pungenza, dell’erba e del fieno aromatici e frizzanti, delle erbe aromatiche coltivate appositamente a sprigionare bouquet imprevedibili, dei saponi e delle creme a disposizione degli ospiti e fatti con l’utilizzo esclusivo dei prodotti naturali locali rimarranno tutti nelle vostre narici e li ritroverete fuori e dentro il Lüsnerhof. TATTO: non resisterete tanto facilmente a toccare e percorrere mani e piedi gli
interni di legno naturale e non trattato perfettamente levigati che costituiscono la bio-architettura del naturhotel, sia per gli spazi comuni che per le camere. Qui in particolare sarà piacevole poter camminare scalzi sui parquet dai colori caldi come se foste a casa vostra, passando poi all’esterno nel giardino di morbida erba o lungo i sentieri di sassi e lastre di pietra locale che congiungono le diverse zone wellnes, per finire lungo il ruscello Gargitter immersi nel percorso knaipp totalmente naturale. Ad abbracciare poi il vostro corpo di vapori e acque calde penseranno le piscine, gli idromassaggi e le saune che costituiscono il LüsnerBadl, l’Alpine Wellness, e che si estendono per oltre 3000mq, incluso il giardino. GUSTO: soggiornare in una struttura come il Lüsnerhof significa essere a 360° a contatto con la natura e vivere nel rispetto totale dell’ambiente in cui è immerso; anche per questo ogni pasto è cucinato partendo dai prodotti locali, sostenendo la politica del km 0. Dalla colazione, allo spuntino pomeridiano, fino alla cena con i menu di cinque/sei
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SOPRA Veduta del Naturhotel Lüsnerhof
portate potrete deliziare il vostro palato con frutta e verdura di produzione biologica, ottimi formaggi, vini regionali, confetture e composte della casa, dolci e pane sfornati giornalmente per gli ospiti. Particolare riguardo anche per le intolleranze e i più piccoli. UDITO: una delle musiche migliori sarà il silenzio che pervade gli ambienti, ognuno si muove in punta di piedi, parla sottovoce, rispetta in modo adeguato gli spazi degli altri ospiti. Il personale stesso è pacato, disponibile e attento ad ogni esigenza. Ma poi la sera ecco il dirompere delle musiche popolari altoatesine, con la riscoperta di antichi strumenti della tradizione tirolese come il tradizionale corno e che accompagnano in allegria la cena e il dopocena del Lüsnerhof. Tanti altri sono gli hotel ecofriendly rintracciabili tramite il sito ufficiale del Sudtirolo www.suedtirol.info e ideali per un soggiorno vero a tutta natura; un veloce suggerimento? Il Theiner’s Garten Bio Vitahotel, il Vigilius Mountain Resort, il Tauber’s Bio&Vitahotel. ak adlige klein 69
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Cucina: il luogo dove si misura la capacità tecnica di elaborare delle variazioni di trasformazione della materia a fine nutrizionale in contemporanea ai bisogni della propria condizione culturale, sociale ed economica.
CUCINA. IERI E OGGI Abbiamo chiesto al celebre architetto Blumer di parlarci dei cambiamenti dello spazio cucina dal dopoguerra ad oggi di Martina Moretti
IN QUESTA PAGINA Scena di vita degli anni Quaranta in cucina NELL’ALTRA PAGINA Ritratto di Riccardo Blumer
Che cos’era la cucina negli anni ‘50 prima del boom economico? La cucina era, come è sempre stata per l’epoca moderna e forse fin dalla rivoluzione industriale per la classe borghese, il luogo dove si misura la capacità tecnica di elaborare delle variazioni di trasformazione della materia a fine nutrizionale in contemporanea ai bisogni della propria condizione culturale, sociale ed economica. Prima di questo periodo era un privilegio solo legato alla nobiltà. In questo senso già negli anni ‘50 e all’approssimarsi del boom economico, in un’epoca in cui il mondo era già molto legato alle vicende industriali con la relativa formazione di nuove classi sociali, i “muscoli” per esprimere la creatività in cucina quale esperienza individuale e non sociale (mondo agricolo) erano già potenzialmente pronti. Come è stata percepita poi successivamente f ino ad arrivare ad oggi? Come già accennato il boom economico ha permesso di sviluppare con forza una cucina “individuale” che non solo ha
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dato seguito a grandi trasformazioni sul mondo del commercio dei prodotti ma anche su quello dei mobili e di tutti gli altri componenti annessi (elettrodomestici). Direi in sostanza che il passaggio, già potenzialmente evidente agli inizi del ‘900, è stato tra un tipo di cucina sviluppata per ambiti sociali a quella moltiplicata per ogni singolo uomo. Chi costruiva le cucine in questi primi decenni del dopoguerra, quali materiali venivano privilegiati e seguendo quali moduli? Nei primi anni del dopoguerra il materiale base era sempre il legno ma grossi fenomeni industriali legati a nuove leghe e a trattamenti antiruggine fanno comparire cucine di metallo verniciate o di alluminio. La cultura del moderno porta l’idea della “macchina” fino nell’ambito domestico attraverso un riferimento diretto ai materiali. I costruttori cominciano quindi ad essere non solo artigiani e falegnami ma anche piccoli industriali. Come giudica l’avvento della produzione
industriale rispetto a quella artigianale? Non esiste un equilibrio tra produzione artigianale e industriale anche se nel mondo delle cucine la parola industriale significa solo una lavorazione con utensili semi-automatici tecnicamente ben lontani ad esempio dalla produzione di automobili. Tra l’artigiano e la produzione in serie il passaggio che noi definiamo industriale è quindi sostanzialmente un’organizzazione produttiva di tecniche simili a quelle artigianali. Come si sono evoluti i materiali e le tecnologie anche in rapporto alla ricerca qualitativa? I materiali sono fortemente legati ai costi e, tenendo conto che in cucina l’elemento base è un contenitore, vince su altre qualità quello della resistenza in relazione al costo. Per questo motivo i legni ricomposti (truciolati, medium-density, ecc.) di natura poverissima ed estremamente pesanti risolvono sia i problemi tecnici delle varie lavorazioni che quelle dei costi. Per quest’ultimo punto bisogna anche tener conto che siamo in una società in cui il bisogno va creato attraverso suggestioni pubblicitarie e che queste hanno un costo enorme che va a sommarsi alle altre voci. Chi detta la moda, i nuovi trend per la cucina? I veri cambiamenti sono legati al rapporto di occupazione di spazio delle cucine che dopo aver attraversato l’epoca del minimalismo modernista oggi occupano gli spazi centrali della casa. Con questo e da questo la possibilità di isole centrali che ridanno alla cucina il ruolo di mobile completo. Intorno a questa grossa variabile le cucine seguono i trend estetici con finiture sempre più performanti sia che debbano dare matericità sia astrazione e funzionalità. Cosa pensa di marchi come Ikea? Penso assolutamente bene, hanno riempito un grosso vuoto ovvero hanno saputo creare un nuovo modello.
Ha mai lavorato a progetti per la cucina? Ho progettato diverse cucine per gli interni delle case che ho progettato ma senza mai entrare in temi di produzioni in serie. Ovviamente ognuna di queste cucine è stata molto influenzata dalla casa cui apparteneva e non posso quindi immaginarle come dei modelli. Se dovessi farlo lavorerei senz’altro a cucine che sappiano meravigliare per i prodigiosi processi chimici, fisici ed estetici (ovvero la legge della Natura) che in esse avvengono.
Il passaggio dalla produzione artigianale a quella industriale riguarda quasi esclusivamente l’organizzazione del lavoro
Come è la sua cucina reale o quella che immagina di poter realizzare un giorno? E’ uno spazio che vive a pieno o solo di passaggio? La mia cucina è uno spazio di passaggio ma che può anche essere vissuto appieno essendo organizzata da un’ansa abitabile per i lavori “sporchi” e un’isola centrale per la preparazione e la cottura. In essa ho potuto, grazie all’antica storia della casa evidenziare il luogo del fuoco con un camino da cottura e quello dell’acqua con un pozzo. ak adlige klein 73
CUCINA. OGGI E DOMANI Una piacevole chiacchierata con Alberto e Anna Botta, che insieme a loro fratello Michele gestiscono la Botta Arredamenti di Lurate Caccivio di Martina Moretti
IN QUESTA PAGINA Cucina Hi-Fly da Botta Arredamenti PAGINA A DESTRA Cucina Rebua da Botta Arredamenti PAGINA SEGUENTE Soluzioni Non Plus Ultra e Eclettica da Strato
Dopo l’interessante chiacchierata con l’architetto Blumer volevamo capire meglio come l’ambiente cucina si è evoluto e modificato nel corso di mezzo secolo avvalendoci di due intenditori come Alberto e Anna Botta, titolari con un terzo fratello, Michele, dell’azienda omonima che già con il padre, a inizio anni ‘60, ha sempre privilegiato la costruzione di cucine artigianali con un occhio particolare oggi al design, alla ricerca dei materiali e alla funzionalità. Pensando allo spazio cucina, come lo avete visto cambiare dagli inizi della vostra attività ad oggi? Se pensiamo alle dimensioni delle cucine negli anni ‘60 erano notevolmente ridotte rispetto ad oggi e la cucina era concepita unicamente come luogo per cucinare, regno delle mamme e delle massaie; a parte c’era invece la sala da pranzo e la zona giorno dove si mangiava, dove si accoglievano gli ospiti. Oggi invece la cucina è luogo per cucinare ma anche luogo aperto, secondo l’ottica dell’open space che fa un tutt’uno con la zona giorno. Gli spazi si sono am-
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pliati, è un luogo di convivialità, ma anche rappresentativo di sé stessi, proiezione del proprio gusto e della propria personalità. Da qui è facilmente intuibile l’importanza assunta dall’estetica della cucina e dal suo impatto scenico, oltre che ovviamente dalla funzionalità vera e propria. Spesso è difficile coniugare bene i due aspetti. E rispetto all’uso dei materiali? In generale, facendo un po’ di storia dagli anni ‘60 ad oggi, si è passati dai laminati plastici che erano la soluzione più ovvia, per efficienza e costi, all’impiego di materiali che devono tenere conto non più solo della funzionalità ma anche dell’impatto estetico e così si vede come alcuni di essi, prima deputati unicamente ad altri ambienti della casa, oggi sono entrati anche in cucina. Ne è esempio il Corian®, la “Ferrari” dell’arredo; o al contrario l’uso dell’acciaio Inox, usato da sempre per le cucine professionali ma che solo recentemente è entrato in quelle ad uso casalingo e certo non per ragioni di funzionalità, data la sua difficile manutenzione a livello di pulizia; eppure estetica-
mente è uno dei materiali che accostati ad altri crea effetti di design davvero unici. La qualità reale poi è maggiore rispetto anche solo agli anni ‘80, tanto che sta scomparendo il prodotto basso per lasciare spazio a quello medio e poi alto. A fare la differenza sono la ricerca dei materiali, l’attenzione per i dettagli, l’applicazione di tecnologie anche proprietarie. Cosa desidera il cliente per la sua cucina? Innanzitutto il cliente oggi è portato a spendere di più per la cucina rispetto al passato per due ragioni: da un lato l’acquisizione di importanza della cucina, un ambiente che ci rappresenta e quindi per il quale investire maggiormente, e dall’altro la consapevolezza della qualità di certi prodotti piuttosto che altri. Un nuovo corso iniziato con gli anni ‘90, dove si è abbandonata progressivamente l’idea che qualità corrispondesse a pesantezza e consistenza del mobile, oppure al contrario che fosse da imputare unicamente all’apparire in un certo modo delle superfici. A implementare questo atteggiamento ha contribuito anche un maggior impegno da parte delle aziende nell’informare il cliente finale sulla scelta e la qualità dei propri materiali. Un vantaggio questo anche per aziende piccole come la nostra perché se il cliente arriva da noi con già delle informazioni, capisce, nel momento in cui gli proponiamo certe soluzioni con determinati materiali, che agiamo nel suo duplice interesse di vedere soddisfatte estetica e funzionalità della cucina. Come definireste il servizio che voi offrite? Rivolgersi ad un’azienda come la nostra significa avere una cucina esclusiva, da non confondere con l’idea di prezzi proibitivi, anche perché essendo noi stessi produttori arriviamo direttamente al cliente finale senza intermediari. Diversa ancora dall’essere su misura, perché si va oltre all’adattare semplicemente il mobile ai muri; è tutto un concetto che si sviluppa, a comprendere la cucina di per sé, la scelta dei punti luce, delle piastrelle, dei colori, degli interni, della
posizione degli impianti. Diventa per noi un progetto di architettura completo. Si parte dallo schizzo grafico, si fanno proposte diverse al cliente, si cerca di interpretarne l’idea e il gusto e se questo non è in linea con il nostro concept, il nostro stile piuttosto si rinuncia. Solo in un secondo momento, messi d’accordo architetti e clienti, si passa all’ingegnerizzazione del progetto con la costruzione in 3D e lo sviluppo dei render sui cui lavorare e confrontarsi ancora con il cliente. Durante i primi incontri il tavolo viene invaso da campioni di materiali come per le prove tessuto di alta sartoria. Ma da chi prendete ispirazione per i progetti delle vostre cucine e quanto c’è di originale? Come per la moda si ha il passaggio dalla passerella, al prêt-à-porter, alla grande distribuzione, così anche il mondo dell’arredo e della cucina in particolare elegge i suoi leader, i punti di riferimento e di ispirazione. Per la nostra esperienza direi che ci leghiamo ad un livello alto e di nicchia, dove i leader sono in primis aziende come Strato che si distingue per una ricerca di design ak adlige klein 75
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e sui materiali, con lavorazioni uniche che uniscono raffinatezza e semplicità insieme; oppure Boffi, che punta su innovazione e design ed è l’unica azienda del comparto cucina insignita del Compasso d’Oro alla carriera nel 1995; o Bulthaup che precorre i tempi in una ricerca volta a cogliere le esigenze e i bisogni dell’uomo moderno che mutano costantemente nel corso del tempo. Se è vero che ci sono aziende leader è anche vero che tanta è la parte di ricerca, lo stimolo ad andare oltre, a trovare soluzioni sempre nuove. Nel nostro caso ci è di grande stimolo creativo il dialogo con il cliente che, se arriva preparato per certi versi, poi si trova ad integrare e valutare nuove prospettive guidato da chi come noi ha un gusto affinato e l’esperienza di tanti anni di lavoro e progetti alle spalle. E poi da questa ricerca indipendente nasce anche uno scambio reciproco con grandi aziende a cui proponiamo soluzioni esclusive brevettate e tecnologie proprietarie, come con Dada, Cassina, Armani Cucine. Un esempio di queste innovazioni? L’impiego del Corian® per qualsiasi tipo di arredo grazie ad una nuova tecnologia che lo associa ad una struttura di alluminio alveolare rendendolo finalmente leggero, più economico, che non si imbarca e adatto a qualsiasi tipo di cerniere e tipologie di ferramenta. Rispetto alle tendenze ecofriendly avete richieste specifiche dal cliente? In realtà pochi sono coloro che chiedono esplicitamente prodotti ecosostenibili, al massimo viene visto come plus perché comunque al primo posto vi è la richiesta di qualità e durata nel tempo, indipendentemente dal valore sostenibile. E’ forse più semplice una riflessione inversa, ovvero capire quanto ne tengono conto i produttori. Per noi un prodotto ecosostenibile è quello che dura nel tempo, di alta qualità che non si degrada tanto facilmente anche perché quando ciò avviene, ed è necessario sostituire gli arredi, non tutto risulta riciclabile. Poi nel processo produttivo si può tenere conto dell’impiego di certi materiali piut-
Volumi perfetti: a sinistra Non Plus Ultra Evolution ed Eclettica di Strato
CUCINE ECO? In realtà pochi sono coloro che chiedono esplicitamente prodotti ecosostenibili, al massimo viene visto come plus perché comunque al primo posto vi è la richiesta di qualità e durata nel tempo, indipendentemente dal valore sostenibile
NUOVI VOLUMI Non sono solo mobili appoggiati in un contesto, ma mobili che fanno un contesto; la cucina diventa volume chiuso che arreda, che diventa zona di soggiorno
tosto che altri come l’alluminio, le vernici ad acqua e non a solvente, i collanti adesivi con basse emissioni di formaldeide, se questi sono funzionali alla creazione di prodotti di alta gamma e qualità. Per chiudere quali sono le tendenze attuali a livello di progetti? Le ultimissime tendenze nell’ambito delle cucine di alta gamma fanno di questo ambiente un luogo privilegiato per la ricerca a livello di design, materiali, soluzioni di salvaguardia e ottimizzazione degli spazi. Noi ci siamo spinti verso un mercato più estero che italiano, dove questo tipo di soluzioni sono maggiormente recepite e ricercate, lavorando di più sull’idea di cucina privilegiando i grossi volumi. Non sono semplicemente mobili appoggiati in un contesto, ma mobili che fanno un contesto; la cucina diventa volume chiuso che arreda, che diventa zona di soggiorno, solo poi tramite l’utilizzo di ante a scomparsa, pannelli che scorrono viene svelata anche la cucina in senso classico con gli elettrodomestici, il piano cottura, il lavandino, quindi funzionale al suo essere cucina vera e propria. E’ un lavoro di progettazione, ricerca commerciale, produzione; ognuno di noi tre fratelli è responsabile di un settore particolare ma è solo dalla collaborazione e sana competizione tra noi che nascono i migliori progetti. E la clientela abbraccia Francia, Inghilterra, Stati Uniti, Est Europeo e anche Paesi Arabi. Cosa è rimasto dell’azienda nata negli anni ‘60 con vostro padre? La volontà del lavoro onesto, ovvero dare al cliente quello che lui cerca e per il quale spende; ma anche il provare ad andare oltre, proponendo progetti che noi ci divertiamo a costruire graficamente tramite concept ideali per cucine che, così come presentate nessun cliente va a scegliere, però danno l’idea nuova e un appiglio per iniziare a progettare qualcosa di diverso. Non siamo davvero capaci di fermarci alla semplice bella cucina, il farla bella significa molto di più: è un progetto ampio visto come continua ricerca.
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PECUNIA NON OLET di Martina Moretti Un concorso per ridisegnare i “verdoni”. Un concept tra Inghilterra e Stati Uniti. Ecco la proposta di Dowling e Duncan.
Abbiamo rivolto qualche domanda a Rob Duncan, dello studio Dowling-Duncan, per scoprire motivi e ispirazione per un progetto così ambizioso come quello di ridisegnare i dollari
Come vi è venuta questa idea? E chi è il designer che ha progettato il tutto? o scorso anno partner e direttori creativi presentarono un’idea per il progetto Dollar Rede$ign. Quest’anno abbiamo visto che Richard Smith riproponeva lo stesso progetto così abbiamo presentato anche noi un’idea. Solitamente lavoriamo su tutti i progetti collaborando insieme tra i due uffici, rimbalzandoci le idee avanti e indietro. Quindi sia John Dowling in Inghilterra che io negli Stati Uniti abbiamo lavorato come direttori creativi su questo progetto, in collaborazione alle due designer Lily Piyathaisere e Eileen Lee.
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Il progetto rientra nell’ambito di un concorso? Se sì di che genere e perché avete deciso di partecipare? Il progetto è stato parte di un progetto di 78 design
design internazionale gestito dal designer di New York Richard Smith. Non aveva niente a che fare con il Tesoro o il governo degli Stati Uniti. L’idea alla base era di ridisegnare il dollaro statunitense, e dove questo a lungo termine potrebbe aiutare a ricostruire la fiducia finanziaria negli Stati Uniti. La Dowling Duncan ha deciso di partecipare per una serie di motivi. Dopo aver viaggiato in molte parti del mondo abbiamo notato come la maggior parte delle valute estere siano di aspetto molto più accattivante rispetto al dollaro USA e ciò appare strano per un paese che è relativamente giovane ma ha una delle valute più vecchie in quanto a stile grafico. Abbiamo anche creduto che in questo modo avremmo potuto migliorare la funzionalità del dollaro; la maggior parte delle altre valute sono codificate in base al colore e le banconote hanno diverse misure che le
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Giudicando dai responsi che abbiamo ricevuto dagli americani non vi è possibilità alcuna di cambiare la loro valuta. Abbiamo ricevuto molti commenti sgradevoli. PECUNIA NON OLET
rendono più facili da distinguere nei tagli, in particolare per i non vedenti. Abbiamo anche strutturato le banconote in verticale, studiando la gestione del denaro. Queste sono tutte cose che riteniamo potrebbero contribuire a far funzionare la moneta già esistente in maniera più efficace. Qual è il confine tra la reale necessità di avere “nuovi dollari”legata a una maggiore fruibilità delle banconote e invece la provocazione? L’idea è quella di non aumentare la disponibilità ma di cambiare il modo con cui le persone guardano alle banconote. Avete avuto la possibilità di presentarlo ai vertici USA? Resta solo una lontana ipotesi o il popolo americano potrebbe essere pronto ad accettare le nuove banconote? Purtroppo no e giudicando dai responsi che abbiamo ricevuto dagli americani non vi è possibilità alcuna di cambiare la loro valuta così radicalmente come in questo modo. Abbiamo avuto un sacco di email e commenti sgradevoli, anche se il popolo americano ha votato per il nostro progetto alla fine. Parlando in generale della vostra agenzia con le sue due sedi in UK e negli USA, come è composto e gestito il vostro team? I due uffici sono organizzati con un direttore creativo e un piccolo team di progettisti. John Dowling è direttore creativo in Inghilterra e io lo sono negli Stati Uniti. Avendo due piccole squadre siamo in grado di gestire lavori più piccoli, ma anche di collaborare e unire il talento di entrambi gli uffici per i più grandi clienti quando necessario. 80 design
Come sviluppate e assecondate il vostro estro creativo? L’estro creativo è sempre in via di sviluppo. Noi crediamo che la risposta a qualsiasi progetto è nella soluzione corretta al problema dei clienti; cioè ci avviciniamo ad ogni nuovo progetto con un foglio completamente bianco, non sappiamo prima che cosa uscirà, non ci avviciniamo infatti a nessun progetto con uno stile preconcetto. Viaggiare nel mondo ed essere aperti a nuovi modi di fare o vedere le cose, piuttosto che lavorare ogni giorno con grandi designer, stampatori, illustratori e clienti sviluppa la nostra creatività. C’è differenza tra lavorare negli USA e viceversa nel Regno Unito? Il design grafico negli Stati Uniti e nel Regno Unito è leggermente diverso. Il design del Regno Unito tende ad essere più concettuale, raffinato e spiritoso; mentre il design negli Stati Uniti tende ad essere un po’ più sfacciato, va oltre il progetto avendo cura di non offendere nessuno. Vi piace/conoscete l’Italia? Avete qualche artista/designer italiano che ammirate particolarmente? Noi amiamo l’Italia, come può a qualcuno non piacere l’Italia? Per quel che riguarda i designer italiani, Massimo e Lella Vignella sono sempre stati fonte d’ispirazione per noi. Si tratta di un fantastico esempio di progettisti che hanno portato lo stile italiano e la raffinatezza negli Stati Uniti, non solo per il design grafico, ma anche per l’interior design, il design ambientale, il packaging, il design del mobile e del prodotto.
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MATEMATICA NEL DESIGN I protagonisti dello studio di progettazione 1+2=8 ci spiegano come unire aritmetica e design per creare i moduli della vita quotidiana
IN QUESTA PAGINA Lampada Volante, Cappe770 da donna. PAGINA A DESTRA Molletta catarifrangente, borsa in pelle gommata.
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[1+2=8] Il nome è curioso e di certo attira l’attenzione; prima di tutto perché l’errore matematico è evidente e poi perché ci si chiede cosa vorrà mai dire riferito al trio di giovani che costituiscono questo “contenitore del gusto e della progettazione”, come loro stessi si definiscono. In realtà alla domanda su cosa sia [1+2=8] non vi è una risposta unica. Ciascuno di loro ha la sua spiegazione e molteplici sono le interpretazioni che le persone che li conoscono danno al loro nome. Partendo dal presupposto che tutti i progetti di [1+2=8] seguono una logica geometrica supportata da proporzioni matematiche, potrebbe sembrare una contraddizione questa particolare formula matematica che li rappresenta. Ma come si dice? Non tutto è come appare! Pensiamo al numero 3, definito il numero perfetto per eccellenza, nonché risultato di 1+2. Il 6 e il 9 ne sono una sua diretta conseguenza. Il 4 poi è il numero su cui si basa l’architettura… e l’8? Semplice è la loro risposta a tutto ciò che è creatività, gioco e necessità applicata ad ogni forma. Dietro a questo brand ci sono tre figure professionali distinte che hanno fatto interagire
le loro peculiarità per un progetto interdisciplinare, a fondere e sperimentare tecniche diverse per un gusto comune; loro sono Andrea, progettista di interni e oggetti, Davide, progettista di oggetti e Ilaria, responsabile delle relazioni esterne e della comunicazione. Dal 2007, quando il loro studio è nato in via Padova a Milano, tante sono state le collaborazioni con progettisti esterni che qui hanno la possibilità di approfondire lo studio della materia e l’impiego di macchinari. Dalla produzione alla vendita, dove è necessario sottolineare da un lato la tutela del made in Italy, dall’altro la capacità di raggiungere gli utenti tramite i crescenti partner commerciali e ora il negozio on-line. [1+2=8] è una fabbrica di idee che trae ispirazione da tutto ciò che è naturale e dai problemi che si incontrano nel quotidiano; la soluzione sta nella proporzione aurea che, si sa, è alla base di tutti i capolavori naturali, e quindi perché non provare a tradurla in ogni creazione prendendo spunto laddove essa è rintracciabile in maniera così naturale come nella musica, nella scrittura, nelle architetture, nei pensieri? Partendo da questi presupposti ogni componente di [1+2=8] diviene tassello
OGGETTI ACCOMUNATI DALL’ESSERE SCOMPONIBILI E RIPETUTI
di un meccanismo finalizzato a trasformare il progettista in uno strumento al servizio del progetto. In tale ottica lo studio diviene un luogo in cui fondere creatività e tecnologia. Per meglio capire questo concetto basta osservare la produzione di [1+2=8]: famiglie di oggetti come mobili, strutture per interni ed esterni, prodotti... accomunati dalla possibilità di scomposizione e ripetizione dell’oggetto. Il risultato è un qualcosa di semplice nel suo utilizzo e dove i materiali vengono scelti in funzione dell’oggetto stesso. Ecco quindi il “Cappe770”, un cappello in feltro disponibile per uomo e per donna che in realtà contiene quattro possibili alternative con tanto di tratteggi da taglio per scegliere il proprio look; o ancora la “Molletta luminosa per bicicletta”, una molletta da bucato che diventa catarifrangente e permette di fermare il pantalone evitando che vada a finire nella catena e la notte segnala la presenza del ciclista sulla strada; oppure per la casa lo “Scribble”, una libreria e porta cd che si può ricavare in forme a piacere intersecando delle bande di acciaio armonico; in ultimo da segnalare uno dei progetti meglio rappresentativi
di [1+2=8], ovvero la “Lampada Volante” dove l’elio diviene strumento fisico che sorregge la lampada e comunicativo al tempo stesso, mentre una lampadina alogena ad alto rendimento illumina luoghi ed eventi. Data la grande richiesta diventerà ben presto oggetto anche per la casa, da intendere come arredo giocoso e diverso. E giocose e diverse sono le persone che costituiscono il pubblico di [1+2=8], che è versatile, creativo e desideroso di mutare sempre forme e spazi. Ad animare pubblico e designer è lo spirito del fanciullino, perché in fondo l’appassionarsi al design come professione non è altro che l’evoluzione del desiderio infantile di dar forma ai propri sogni ed idee. Davide, Andrea ed Ilaria hanno deciso di continuare a sognare anche da grandi e per questo un altro loro progetto è ora l’associazione culturale LOFT21, fondata con Carlo Mognaschi, presso cui organizzano mostre, serate con visual art, corsi e molto altro. Una vera fabbrica di idee per tre giovani che si sono buttati e hanno trovato la giusta strada per far crescere con loro sogni e ispirazioni. Info: www.unopiudueugualeotto.info ak adlige klein 83
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FLASH forward IN QUESTA PAGINA Sopra: libreria Bookstack 200 di A4Adesign Sopra a destra: divisorio Diviso2 di Etcetera A destra: Small Prickly Pear di A4Adesign Sotto a destra: tavolino Suaredown di Etcetera NELL’ALTRA PAGINA Sopra: oggetto sospeso Fuordacqua di A4Adesign Info: a4adesign.it Info: etcetera-design.com
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una casa di carattere Arredamenti Vitteritti&C. una tradizione consolidata, che dagli anni ´60 ad oggi ha accompagnato e accompagna i propri clienti nella scelta degli arredi per tutta la casa, con un servizio puntuale e curato: dalla progettazione, al montaggio, all’assistenza per i dieci anni successivi all’acquisto. Parliamo con Donatella Piatti e Ivan Vitteritti gestori rispettivamente dei punti vendita di Castiglione Olona e di Olgiate Comasco. Avete rinnovato recentemente lo showroom di Olgiate inaugurandolo domenica 16 ottobre, in questi anni di attività qual è il cliente che si è rivolto a voi e che ancora vi sceglie determinando il vostro successo? La nostra clientela copre uno spettro abbastanza ampio: dai giovani che si rivolgono a noi per la loro prima casa, e quindi spesso con budget limitati, a clienti di lunga data che desiderano rinnovare l’arredo e che ricercano qualità e soluzio-
ni particolari. In concomitanza poi di un periodo difficile, come è quello attuale, il target della clientela si sta ampliando e modificando: esiste una nuova domanda di arredo economicamente più sostenibile alla quale rispondiamo con soluzioni di qualità ma con prezzi accessibili. Cosa vi chiede il cliente? La cucina è da sempre l’ambiente della casa più richiesto: è indispensabile, prevede l’investimento maggiore ed inoltre richiede di essere progettata, necessita quindi di una consulenza globale che parte appunto dal progetto, passa dalla scelta del modello e dei materiali e si conclude con la scelta di elettrodomestici e accessori. Progetto e prodotto sono due aspetti inscindibili nell’arredamento di qualità. Il progetto delinea le richieste e i desideri del cliente che si realizzano attraverso il prodotto. Il montaggio e l’assistenza decennale completano
Arredamenti Vitteritti&C. Olgiate Comasco (Co) – Via Roma, 141 Tel. 031 943352 – berloni@arredamentivitteritti.it Castiglione Olona (Va) – Via C. Battisti, 13 Tel. 0331 071544 – castiglione@arredamentivitteritti.it
poi la nostra offerta: chi acquista da noi sa di non essere lasciato mai solo, la fidelizzazione nel corso degli anni di tanti nostri clienti ne è la prova. Quali marchi proponete alla vostra clientela? Dal 2003 siamo monomandatari Berloni, unica azienda in Italia a porre sotto un unico marchio tutti gli ambienti della casa, offrendo così alla nostra clientela la garanzia di un marchio storico sinonimo, nel mercato dell’arredo, di qualità e affidabilità. Affianchiamo poi a Berloni altre aziende importanti per i complementi, l’arredo bagno, l’illuminazione, le realizzazioni artigianali per soddisfare anche le richieste più personalizzate. Bontempi, Cerasa, Slamp sono fra i marchi che ampliano la nostra offerta. Avete la possibilità di incentivi e promozioni per i clienti? Certamente, avere come partner un’importante azienda come il gruppo Berloni ci
permette di offrire al cliente finanziamenti personalizzati anche a tasso zero oltre che promozioni periodiche su arredamenti completi o mirate a particolari arredi della casa. Iniziative che constatiamo sono molto apprezzate dal cliente che non vuole compromessi sulla qualità.Nel mese di dicembre nei nostri punti vendita ripetiamo l’offerta di un arredamento completo a 10.990 euro, iniziativa che nella scorsa primavera ha avuto molto successo. Un modo concreto per non precludere a nessuno il sogno di arredare casa con personalità e qualità. A proposito di qualità, come si è evoluto il mercato del mobile a livello di materiali e garanzie per il cliente? Come rivenditori Berloni offriamo alla nostra clientela mobili certificati, costruiti con pannelli di legno siglati FSC (legname proveniente da piantagioni ripristi-
nate, quindi massima attenzione all’ecosostenibilità) E0 (emissioni zero di formaldeide, quindi atossicità totale) V100 (massimo grado di idrorepellenza, quindi mobili molto più stabili essendo l’umidità un fattore importante nell’usura degli arredi). La garanzia di dieci anni che Berloni da a tutti i suoi prodotti, elettrodomestici inclusi, certifica la qualità che si acquista e nel tempo tutela il cliente da qualsiasi possibile inconveniente. Qualità, esperienza e competenza dunque a distinguere l’attività di Arredamenti Vitteritti, non resta che entrare in uno dei loro showroom e farsi conquistare da soluzioni d’arredo a piccoli prezzi, certi di non rimanerne delusi. ak adlige klein 91
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IL COMPOSITORE di Luca Di Pierro Intervista a Gaetano Pesce, star del design. Tra ottimismo per il futuro e una mente sempre capace di guardare al futuro dietro l’angolo
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Il futuro è aperto a qualsiasi nostra speranza, mentre il passato è più statico e rigido, non si può cambiare! Ho imparato quindi a guardare in avanti, perché le possibilità che abbiamo sono nel futuro e non nel passato.
Cosa ha significato il design italiano nel mondo per lei? Solo in Italia ci sono dei creatori importanti e capaci che vengono da una tradizione artistica e storica molto forte, ma soprattutto ci sono gli industriali che sono persone altrettanto creative e capaci di accettare e supportare nuove idee. Questo binomio, creatori da una parte e industriali dall’altra, è riuscito a dare all’Italia un patrimonio fondamentale che altri paesi non hanno. In altre nazioni spesso gli industriali sono meno innovatori, così giovani designer da tutto il mondo trovano in Italia l’unico paese aperto alle novità. Per questo motivo l’Italia è il paese che, a mio modo di vedere, più coltiva e sviluppa il design nel mondo. Un binomio vincente tra creatori e produttori? Non bisogna guardare ai produttori con occhio tradizionale, direi piuttosto che i produttori sono delle persone che usano la creatività in modo differente perché la creatività nasce dalla curiosità, dalla voglia di cambiamento. E’ da qui che poi la si applica in campo industriale. La creatività dei cosiddetti designer ha la stessa importanza della creatività degli industriali italiani che supportano e fanno sì che i prodotti prendano forma e diventino portatori di novità ed esclusività. Quale è la più grande sfida che il mercato propone al design in Italia e nel mondo? Quale è la più grande sfida?...Che si continui a essere creativi, unica grande ricchezza naturale del nostro paese. Questa dovrebbe essere la strategia da seguire. Già negli anni ‘60 e ‘70 il design italiano mostrava i segni per divenire una grande espressione del ventesimo secolo: espres-
sione culturale, economica, politica. In tal senso la classe politica non ha capito questo grande tesoro che avevamo e i creatori non sono stati supportati per circa quaranta anni. Oggi sembra che il ministero degli esteri abbia una collezione di design da portare nelle varie sedi delle ambasciate italiane nel mondo, questa è una bella iniziativa! In una sua intervista dice che: “l’arlecchino è felice e ride quando piove perché sa che dopo dovrà uscire il sole”. Questo è davvero il momento di ridere? Più che ridere è il momento di essere ottimisti perché per definizione la creatività è ottimista, investe sempre nel futuro e questa è la condizione necessaria per uscire meglio e prima da questa situazione. Parlando invece degli esordi, come è iniziata la sua carriera? Quando ha capito che sarebbe cambiata e diventata un simbolo del design italiano nel mondo? La riflessione su quello che io avrei potuto fare nella mia vita arrivò quando mia madre pianista mi parlava, molto giovane, di quello che facevano e cosa rappresentava essere un grande compositore! Perché un compositore era importante? Perché era capace di inventare un linguaggio che prima non esisteva: se si vuole creare non si può copiare, se si vuole essere innovativi non si può guardare indietro. Il futuro è aperto a qualsiasi nostra speranza, mentre il passato è più statico e rigido, non si può cambiare! Ho imparato quindi a guardare in avanti, perché le possibilità che abbiamo sono nel futuro e non nel passato. Lentamente mi sono così indirizzato all’età di quindici/sedici anni nel campo delle arti, della scultura, della pittura…poi l’incontro con una mia compagna mi ha aperto un orizzonte innovativo per un’arte nuova alak adlige klein 93
IN QUESTA PAGINA Poltrona Up Series. PAGINA PRECEDENTE IN SENSO ORARIO Seduta Michetta, ritratto di Gaetano Pesce e divano La Fiorita. Si ringrazia Meritalia.
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lora, il design. Con questa persona ho capito la cultura della fabbrica. Nella fabbrica ci sono energie che vanno molto più lontano di quelle che sono le energie tradizionali e romantiche dell’artista che lavora nel proprio atelier, nella fabbrica tutto è più ricco e più complesso. Successivamente, molto giovane ho conosciuto un signore che era venuto a trovarmi per comprare dei miei disegni, questo uomo era Cesare Cassina, con lui scoprii quello che significava essere leader nel mondo degli oggetti e quindi lì ho cominciato a capire i
valori autentici e culturali di quegli anni sessanta, ho capito che parlare di arte in senso tradizionale era una faccenda polverosa che riguardava esclusivamente un lato romantico dell’arte che a me non interessava più. Come mai la scelta di vivere a New York? Molto giovane ho pensato che avendo già viaggiato parecchio in Italia e avendo avuto modo di conoscere il mio paese, sarebbe stato opportuno uscire e scoprire nuovi luoghi importanti per il mio percorso. Ho vissuto così ad Helsinki, Londra, Parigi continuan-
La differenza degli individui è la cosa più importante e questa differenza deve rispecchiarsi anche nelle arti, negli oggetti
do a viaggiare nel mondo anche per brevi periodi. Dopo qualche anno ho pensato che il centro del mondo era New York, che è un punto sulla terra da cui si può guardare al mondo con estrema facilità. New York era ed è una città che fa esperienze prima di altri ed in un certo senso il mio lavoro era facilitato dall’abitare in un posto come quello. Il 6 novembre ha partecipato ad un convegno nell’ambito del Festival del Design in Brianza, perché è importante e perché ha deciso di esserci? È sicuramente importante e se ne dovrebbero fare molti di più in Italia. Come dicevo prima l’Italia ha un ruolo chiave come quello di essere leader in questo settore, quindi ha molto di più il dovere, rispetto ad altri paesi, di far nascere discussioni che possano garantire la continuità della sua leadership nel design. Architettura e Design in altre parole progettare; qual è il suo metodo, come nasce il suo lavoro? Beh, come ha affermato Ernesto Nathan Rogers in altri tempi, direi che il movente è lo stesso, la movenza è la stessa, la scala cambia. Personalmente quello che mi interessa da quaranta anni è esaltare la diversità, non l’uguaglianza che è un traguardo in parte raggiunto sia politicamente sia culturalmente. Per questo mi è sempre interessato promuovere la diversità delle cose, perché attraverso la diversità aiutiamo la comunicazione. Quindi ho lottato per dimostrare che l’architettura omogenea, che si può notare in gran parte dei paesi del mondo, è un’architettura autoritaria pragmatica che risponde ad uno stile tradizionale vecchio e corrispondente alla politica del marxismo, che sperava di
unificare i popoli del mondo provocando lo stesso pensiero ed eliminando l’individualità, portando l’umanità ad essere una massa anonima. Così ho sempre cercato di dire che la differenza degli individui è la cosa più importante e che questa differenza deve rispecchiarsi anche nelle arti, negli oggetti. Ho cercato di far accettare che la produzione di serie era fuori dai tempi, bisognava produrre degli oggetti ogni volta differenti. Ricerca dell’unicità pur essendo in serie? Ho cercato di dire che non siamo più nel tempo delle copie ma siamo nel tempo degli originali. Bisogna garantire la diversità, combattere lo standard e questo anche attraverso nuovi materiali. Lei fa una grande ricerca sui materiali? Sicuramente mi occupo di cercare dei materiali nuovi e relativi nuovi utilizzi. E’ da lì che possono nascere idee, modi di fare innovativi. Ricordo ad esempio che quando ho scoperto certi materiali che non avevano bisogno dello stampo, facili da lavorare e che quindi aiutavano a produrre oggetti di volta in volta diversi, ho capito che potevo dare anche nella fabbrica l’opportunità agli operai di non ripetere sempre gli stessi gesti, che provocano l’alienazione nel lavoro. Al contrario potevano loro stessi intervenire con la propria creatività, creando forme, suggerendo colori. Se dovesse racchiudere la sua carriera lavorativa fino ad oggi, in tre parole? Una sola: innovatore. Ho cercato di far diventare l’oggetto industriale opera d’arte, tentando di aprire lo sguardo e la mente di chi mi seguiva con un’attenzione forzata verso la ricerca e i materiali. ak adlige klein 95
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SCENOGRAFIE D’INTERNI di Francesca Cuoghi
Scopriamo con Adrienne Neffe come nasce un progetto residenziale di successo nella grande mela.
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drienne Neff è una giovane designer d’interni che vive e lavora a New York, la città nella quale è nata e cresciuta. Nel 2004, dopo aver collaborato con importanti studi di architettura e di arredamento, come Alan Wanzenberg e Thomas O’Brien, decide di fondare il proprio studio e di intraprendere il cammino di libera professionista. Abbiamo chiesto ad Adrienne Neff di raccontarci qualche cosa di lei e della sua vita di giovane designer e di svelarci qualche piccolo segreto sui suoi progetti residenziali, che l’hanno resa una professionista affermata negli Stati Uniti. Per moltissimi artisti New York è sempre stata la capitale dove sviluppare il proprio talento; Adrienne ci racconta che cosa ha significato poter lavorare in quella che molti reputano la città del Sogno Americano: “New York è un organismo pulsante di creatività, in ogni angolo si è pervasi da fluidi di idee e da stimoli unici nel loro genere. New York sa attrarre il meglio delle persone e la loro parte più gioiosa e ottimista, così come le loro ambizioni e la voglia di emergere. E’ un crocevia di grandi storie, che arrivano da ogni parte del mondo. Ed è proprio così, che mi sento io. La determinazione di an96 design
dare avanti e di lottare per le mie idee, senza farmi sopraffare dagli eventi o dal ritmo frenetico della città. E’ un’atmosfera darwiniana.” Dopo questa introduzione sul significato di lavorare in una delle città più cosmopolite al mondo, chiediamo alla designer americana di spiegarci da dove nascono i pensieri che vanno a costruire, nella sua mente, il progetto residenziale. “In un progetto l’idea è ciò che conta, insieme alla sua applicazione e per me ogni spazio, ogni ambiente rappresenta idealmente la traccia seguita per dare forma, carattere e vita agli ambienti. La mia fonte d’ispirazione primaria è ciò che mi circonda e vedo quando entro in una residenza. Ogni progetto è unico e il risultato finale traduce in realtà la strada seguita per dare vita ai miei pensieri.” L’eleganza, la luce, il colore e la modernità sono i capisaldi della poetica artistica di Adrienne Neff, che grazie alla sua abilità, riesce a coniugare la voglia di interpretare gli spazi, in cui l’arte e la scienza si fondono, in un binomio indissolubile, progettando interni che rispecchiano il carattere e la personalità di chi li abita.
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SCENOGRAFIE D’INTERNI adrienne neffe
IN QUESTE PAGINE Alcune soluzioni per interno progettate da Adrienne
“I dettagli rivelano la personalità dei suoi abitanti e ogni singolo oggetto può diventare forma di ispirazione, come ad esempio è accaduto per il progetto residenziale di un duplex sull’Upper East Side, all’interno del quale, la presenza di quadri di Yves Klein mi hanno suggerito di ricreare su un’ampia parete del soggiorno, una immagine con vernice laccata di Yves Klein nelle tonalità del blu. La sua filosofia professionale emerge anche nel progetto di Park Avenue, i cui ambienti rispecchiano un tocco di rara bellezza ed eleganza. “L’appartamento di Park Avenue è stato il risultato di una forte influenza da parte dello studio di architettura Thomas O’Brien, che mi ha suggerito l’utilizzo delle più pregiate stoffe inglesi, ricreando all’interno dell’appartamento uno stile dedicato alla campagna inglese. In questa abitazione ho cercato di mantenere quell’eleganza tipica senza tempo, grazie alla ricchezza dei dettagli, alla sontuosa sobrietà e purezza dei rivestimenti e di arredi di grande classe.” Adrienne Neff è la regista di scenografie d’interni, capace di tramutare l’ambiente residenziale, attraverso la sua maestria e 98 design
la cura con cui sceglie i materiali, le lampade, i tessuti, i mobili, i tendaggi e l’oggettistica. Ma le chiediamo se tra i progetti che ha realizzato, c’è né uno che in particolare predilige. “Tutti i miei progetti sono importanti per me, ma ad essere sincera il duplex sull’Upper East Side mi ha particolarmente affascinato. E’ una casa in cui tutto ci parla dell’amore dei proprietari per le fotografie a colori, di cui anche io sono collezionista. Poter condividere questa passione insieme a loro, mi ha dato quella sensibilità esclusiva, che si prova verso le opere d’arte” spiega Adrienne Neff, “si è trattato in questo caso di una rivisitazione di un appartamento su due livelli in stile moderno, dove ho giocato con la luce e con i colori.” La ricerca cromatica insieme all’uso della luce è in particolare il tratto distintivo di questa residenza in stile contemporaneo, Adrienne Neff aggiunge: “Mi piace porre l’accento sulle potenzialità abitative e trovare la giusta armonia con l’eleganza affinché le forme artistiche e artigianali siano eccellenti.” Questa sensibilità verso il progetto e verso la cultura dell’abitare, ha portato Adrienne alla realizzazione di una collezione di carta da parati.
“L’idea di creare una collezione di carta da parati, arriva in un momento, il 2008, in cui la mia attività frenetica ha subito un rallentamento per via della recessione economica. Questa situazione mi ha dato l’opportunità di poter dedicare il mio tempo allo studio di un prodotto di design, desiderio nel cassetto, che finalmente ho potuto esaudire. Uzu è il nome che ho dato alla mia collezione: il termine è giapponese e significa mulinello d’acqua. I pattern riprendono i simboli dell’arte neolitica della decorazione, figure che richiamano la crescita, il rinnovamento e il cambiamento, come l’acqua, la terra, l’argilla, la pietra e la vegetazione. La peculiarità della collezione sta inoltre nella fabbricazione di ogni singolo foglio di carta, che viene creato con una tecnica di pittura del XVIII secolo, in cui i motivi ad inchiostro ad acqua sono sfumati con tonalità che possono essere il blu, il viola scuro, l’antracite o il grigio granito.” La collezione Uzu di Adrienne Neff si afferma come una trasposizione di elementi naturali all’interno di ambienti residenziali, in cui il rapporto tra arte e natura si esprime in tutte le sfere della creatività. L’artista americana ha dato vita
Ogni foglio delle sue carte da parati è creato con una tecnica di sfumatura del XVIII secolo con tonalità blu, viola, antracite e grigio granito.
ad una carta da parati, i cui motivi sono coinvolgenti e giocosi per un equilibrio cromatico, che dona alle pareti volti molteplici, realizzando uno spazio senza confini dove tutto vive in armonia, diventando una scenografia perfetta capace di esaltare ogni oggetto all’interno dell’ambiente, sia esso moderno o classico. Siamo ormai giunti alla fine della nostra intervista, ma ci piacerebbe sapere quali sono i progetti per il futuro della designer americana, prima di congedarci. “I miei progetti per il futuro? In corso…costantemente”, ci svela Adrienne, “vorrei continuare a sviluppare prodotti di design, per dare unicità agli ambienti e per rendere ogni spazio un sogno da vivere ogni giorno.” akappa 99
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COMON il design workshop 2010 e il “riciclo delle idee” ComON Design con il patrocinio di ADI, Associazione Design Industriale Lombardia.
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cura di Taissa Buescu, giornalista e curatrice nel settore design, comON Design Workshop 2010 ha proseguito sul tema del riciclo. Ma quest’anno tutto è girato intorno al “riciclo di un’idea” per rivisitare pezzi e/o materiali di collezioni fuori produzione, macchinari o tecniche non più utilizzati senza escludere lo scarto industriale. I giovani partecipanti al workshop sono stati selezionati attraverso un concorso destinato a laureandi e/o neolaureati in disegno industriale di tutta Italia lanciato in concomitanza con Il Salone del Mobile. La giuria di profilo internazionale - composta da Luisa Bocchietto (presidente dell’ADI – Associazione per il Disegno Industriale), Silvana Annicchiarico (Direttore del Triennale Design Museum), Rossana Orlandi (gallerista e talent scout), Paola Navone (designer), Piero Lissoni (designer), Gilda Bojardi (direttore di Interni e Grazia Casa) Livia Peraldo (direttore di Elle Decor)- ha valutato le centinaia di por-
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tfolio degli iscritti al sito e ha determinato i 22 vincitori che, divisi in coppie, hanno lavorato nelle 11 aziende del circuito (ARFLEX, BAXTER, DESALTO, GALLOTTI & RADICE, LEMA, LIMONTA, LIVING DIVANI, MOLTENI&C, OMP PORRO, POLIFORM e TRE P TRE PIU’) “adottati” dai tutor/designer Massimiliano Adami e Lorenzo Damiani. Durante il workshop di tre settimane (dal 20 settembre all’8 ottobre) i laureandi/neolaureati hanno avuto modo di conoscere la produzione industriale, studiare i pezzi e/o i materiali da riciclare (collezioni fuori produzione, macchinari o tecniche non più utilizzati, lo scarto, ecc) per progettare e produrre, sempre in coppia e all’interno dell’azienda, un prototipo a partire dal riciclo di questi pezzi e/o materiali. Gli undici prototipi realizzati hanno costituito la comON Design Exhibition inaugurata il 17ottobre e presente fino al 24 ottobre in Piazza del Popolo a Como. Per scoprire tutti i prototipi: akappa.it
Valentina D’addato e Andrea Capriotti per Molteni & C 167 è una seduta nata dal recupero delle basi difettose del tavolo Arc di Foster. Il nome è riferito al numero di tagli incisi sul foglio di pelle che, “appoggiandosi” sulla base in cemento, crea la forma avvolgente di un abbraccio. L’espressività della base, grezza e difettosa, evoca inoltre le zone più cementificate delle nostre città, come le aree 167: da quì l’inevitabile conferma del nome.
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Valentina D’Addato. 27 anni, progettista di Milano. I modelli: Bruno Munari, Enzo Mari, Achille Castiglioni, ma anche Branzi e Ulian. Non vorrebbe mai essere: una semplice interprete di tendenze. Tra dieci anni: sarò una brava progettista con più esperienza di adesso. ComON in una parola: stimolante. Andrea Capriotti, 26 anni, artigianista (artigiano-progettista) di Martinsicuro (TE). I modelli: il primissimo Starck, Munari, Mari, Branzi... Non vorrebbe mai essere: un designer che sfrutta a dismisura la figura dello stagista per alimentare la propria fama. Tra dieci anni: lavorerò al TAC, un laboratorio di arte e design da poco nato a Civitanova Marche. ComON in una parola: stimolante.
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EdiZone riprende le linee di un vecchio divano, Edison di Baxter, rigido per lavorazione e tecnologia. EdiZone è un arredo modulare che da semplice poltrona può diventare un divano a più posti. Il divano é appunto composto da un modulo seduta agganciabile ad altri grazie ad un meccanisco scorrevole, meccanismo che viene sostenuto da due scocche laterali già presenti nel modello Edison e da noi riprese come forme ma realizzate con pelli di scarto.
Luisa Battistella e Elisa Fiocchetti per Baxter
EDIZONE Luisa Battistella. 23 anni, designer di Pordenone. I modelli: Ponti, Joe Colombo, Castiglioni, Munari. Non vorrebbe mai essere: insoddisfatta. Tra dieci anni: sarò sempre alla ricerca di nuovi stimoli qualsiasi cosa io stia facendo ed in qualsiasi luogo in cui mi trovi. ComON in una parola: stimolante. Elisa Fiocchetti, 29 anni, designer di Perugia. I modelli: Castiglioni, Joe Colombo, D’Ascanio, Frutiger, Depero, Federico Seneca. Non vorrebbe mai essere: non funzionale. Tra dieci anni: mi piacerebbe far parte di un team coinvolgente ed attivo, non è importante dove. ComON in una parola: pedagogico.
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Comera è un tavolo che formalmente riprende il modello “Resegone”, di Enzo Mari prodotto da LEMA dal 1988 al 1996. È rivestito in impiallacciato di scarto stratificato bicolore. L’azzurro si svela raschiando la superficie del tavolo sia tramite i segni del tempo sia attraverso l’utilizzo dei tre utensili appesi.
Simona La Torre e Fabio Nucatolo per Lema
COMERA Simona La Torre, 24 anni, di Palermo studentessa presso la IUAV di Venezia I modelli: mia mamma Roberta, la mia famiglia. Come designer apprezzo Munari, Mari, Morrison, Matalì Crasset. Non vorrebbe mai essere: io desidero essere me stessa, quindi non vorrei essere nessun altro. Tra dieci anni cosa farai e dove? Farò ciò che amo e lavorerò come progettista, non ho ancora deciso dove. ComON in una parola: costruttivo. Fabio Nucatolo, di Palermo, studente presso la IUAV di Venezia I modelli: mio padre, mia madre, Cézanne, Sapper, i Marta sui Tubi, Pippo. Non vorrebbe mai essere: nessuno dei miei modelli. Tra dieci anni: -_-* ComON in una parola: costruttivo. ak adlige klein 103
Beauty Center Paolo
protagonista il volume Beauty Center Paolo è il salone parrucchieri per eccellenza. Con i suoi 35 anni di esperienza e formazione in Europa, Paolo ha composto un’equipe altrettanto formata e professionale, creando così una squadra affiatata e qualificata. Nel suo salone ogni cliente è ascoltato e riceve il servizio più adatto alle sue esigenze. Ogni servizio è strettamente personalizzato. Colori sempre alla moda, nuovi e brillanti e anche vegetali. Contrasti realizzati sempre con nuove tecniche al passo con i tempi. Tagli moderni, di tendenza e personalizzati. Nuove tecniche di allungamento e infoltimento, con metodo HAIRDREAMS, seguendo passo dopo passo la cliente. Trattamenti cosmetici e curativi adatti a qualsiasi problematica. Ecco quindi che dalla continua ricerca e voglia di nuovi stimoli nasce la collabo-
razione con ART HAIR STUDIOS che ha come filosofia l’“essere riconosciuti dai clienti come i migliori parrucchieri della propria zona”! Per la stagione autunno inverno 2010-2011 la nuova collezione di Art Hair Studio propone l’idea di contrasto, di contrapposizione. Tutti sentono il bisogno di far convivere gli opposti, ma si scontrano con la realtà e allora le certezze saltano ed è un continuo rimettersi in discussione. Questa percezione, avvertita dai trend setter di tutto il mondo, si riversa in ogni ambito: dalla fotografia, che rivive con l’arte del bianco e nero a riscoprire maestri come Cartier-Bresson; al cinema, con le figure diafane e impalpabili di Twilight così come Ed Westwick in Gossip Girl; fino alla moda, per cui Isabella Rossellini firma la borsa black and white di Bvlgari. Non sono da meno la danza, con il ritorno del tango, ballo sensualissimo e di
lotta figurativa tra dama e cavaliere e poi gli eventi culturali, come “Bianco e Nero”, organizzato dalla città di Udine a settembre e tutto giocato sul contrasto. E gli esempi potrebbero continuare inglobando la pasticceria, il design, l’arte, l’architettura. Un look diviso quindi tra bianco e nero, che ognuno può scegliere a seconda della propria corrispondenza più intima, di dna. Protagoniste forme e volumi diversi; da ampliare, sviluppare e approfondire senza confine alcuno, in un gioco unico di contrasti ed evoluzioni. Beauty Center Paolo Via Roma,70 – 22077 Olgiate C.sco (CO) tel. 031 946436 Via Matteotti, 10 – 21046 Malnate (VA) tel. 0332 425301 info@paolobeautycenter.com ak adlige klein 105
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LINEARE, MORBIDO E PULITO Così deve essere lo stile nell’idea di Giorgia Totaro, di La Bottega di Giorgia
Desk, creazione di Giorgia Totaro.
LINEARE, MORBIDO E PULITO
GIORGIA TOTARO [ LA BOTTEGA DI GIORGIA ] Età: 28 | Studi: Laurea Triennale in textile design, Laurea Specialistica in fashion design presso il Politecnico di Milano. | Hai capito che saresti diventata una stilista quando: l’ho capito quando, frequentando il quarto anno di ragioneria, mi sono trovata a scegliere come argomento di una tesina di storia lo stile dell’abbigliamento del periodo! | Tre parole per definire il tuo stile: lineare, morbido, pulito. | La tua ultima collezione: Calda e curvilinea. Stilista intramontabile e perchè: Yoshi Yamamoto perchè eternamente attuale e senza troppi “fronzoli”. | Un anticipo di primavera/estate: pantalone largo che senza cintura casca a terra! | Colori: blu, verde con un po’ di ghiaccio. L’accessorio per la donna di ogni tempo e per l’uomo: sciarpa e parigine in cashmere per la donna, la berretta per l’uomo. | Oggi la moda è: a volte quasi consumismo, vorrei diventasse voglia di distinguersi, di innamorarsi della storia degli abiti e di assaporare i materiali con cui sono fatti. | Bianco e nero o colori: bianco e blu. | Come ti vedi tra 10 anni: felice di poter impiegare tutto il mio tempo nelle mie creazioni. | Devi partire per un viaggio, destinazione sconosciuta, in valigia non mancheranno mai: sciarpa, calze e un libro. Per saperne di più: info@labottegadigiorgia.it 108 moda
IN QUESTA PAGINA Keffiah. PAGINA A SINISTRA Stufa e Curvo. SOTTO Ritratto di Giorgia Totaro.
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ESPERIMENTI MINIMAL
Da pittore (mancato) ad artista della moda. Shuichi Mizuta.
Desk, creazione di Silvia Totaro.
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ESPERIMENTI MINIMAL
SHUICHI MIZUTA Età: 23 | Studi: Istituto Marangoni, corso triennale in Design di Moda. | Hai capito che saresti diventata/o una/o stilista quando: verso i 18 anni (prima pensavo che sarei diventato fotografo oppure pittore). | Tre parole per definire il tuo stile: minimal, sperimentale, concettuale. | La tua ultima collezione: “To Live is to Think” (donna), “Split Personality”(uomo). | Lo stilista intramontabile e perchè: Rei Kawakubo, perche non ha paura di sperimentare nuovi concetti creativi e di marketing. | Il capo che non deve mancare in nessun armadio questo autunno/inverno: di sicuro un cappotto! | Un anticipo di primavera/estate: il cinturone fasciante in vita. | L’accessorio per la donna di ogni tempo e per l’uomo: occhiali da sole per entrambi. | Oggi la moda è: accessibile a tutti, anche se manca il rispetto per certi capi. | Bianco e nero o colori: bianco e nero, ma anche grigio. | Come ti vedi tra dieci anni: creatore di idee sperimentali e concettuali. | Devi partire per un viaggio, destinazione sconosciuta, in valigia non mancheranno mai: cappello, macchina fotografica (sono giapponese!) e occhiali da sole. Per saperne di più: shuichi.mizuta@gmail.com
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PAGINA PRECEDENTE Cappotto Split Personality QUESTA PAGINA Sopra: due creazioni, sotto: ritratto dello stilista giapponese PAGINA A DESTRA Altre creazioni per l’autunno inverno 2011-2012
sport
LA LEGGE DI IRON MAN di Andrea Sabbadin Alla scoperta di una delle discipline sportive più dure fisicamente e più stressanti mentalmente che l’uomo abbia mai inventato.
SOPRA Concitazione nella gara di nuoto Photo by: Bakke-Svensson/ Ironman. NELL’ALTRA PAGINA Andrew Johns e Andy Potts Photo by: Bakke-Svensson/ Ironman.
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Nel 1977 mentre si stappavano le bottiglie sul podio della Oahu Perimeter Relay, una gara di corsa a piedi, la sfida fra runner e nuotatori si accese: entrambi sostenevano che la propria disciplina rendesse più resistenti. Il comandate della Us Navy John Collins intervenì parlando dell’incredibile capacità polmonare del ciclista belga Eddy “il cannibale” Merckx, che in quel momento veniva considerato il più forte atleta di endurance del mondo. Collins, amante del triathlon olimpico, suggerì che la questione venisse risolta direttamente sul campo, disputando tutte assieme le tre gare più lunghe dell’isola: la Waikiki Roughwater Swimm (3,86
chilometri a nuoto), la Around-Oahu Bike Race (185,7 chilometri in bicicletta) e la Honolulu Marathon (42,195 chilometri a piedi). Il 18 febbraio 1978 quindici atleti si presentarono al via, in quel giorno nacque l’Ironman. A ogni partecipante vennero consegnati tre fogli su cui era spiegato il regolamento e il tracciato. Sull’ultima pagina c’era una sola frase scritta a mano: “Nuota 3,8 chilometri! Pedala 180,25 chilometri! Corri 42,195 chilometri! Onore per il resto della tua vita!”: il motto dei supertriatleti. Gordon Haller, uno specialista in comunicazione della Us Navy, dopo11 ore 46’ e 58” tagliò il traguardo e fu il primo Ironman (uomo di ferro) della storia. Da quella prima esperienza sono passati più di 30 anni, ma l’Ironman non è cambiato. La formula rimane la stessa, solo i numeri si sono modificati. Oggi ci
DAL 1977 AD OGGI
sono oltre 24 gare ufficiali di Ironman al mondo, ma la gara più importante rimane il mondiale, che ogni anno si svolge sull’identico percorso disegnato da Collins, non più a febbraio, ma a ottobre. Se alla prima edizione c’erano solo 15 atleti lo scorso 10 ottobre sulla linee di partenza c’erano 1.800 persone, ma le richieste di partecipazione arrivano a superare le 5.000. Se i numeri di partenti si sono alzati, al ribasso vanno invece i numeri che segnano il tempo del vincitore: il record maschile appartiene al belga (come Merckx) Luc Van Lierde che nel 1996 impiegò 8 ore 4 minuti e 8 secondi, mentre in campo femminile la detentrice del primato è l’inglese Chrissie Wellington che nel 2009 fermò le lancette dell’orologio sulle 8 ore 54 minuti e 2 secondi. Praticare l’Ironman è per molti un vero e proprio stile di vita, che consiste nel
NO MATTER WHAT HAPPENS, YOU ARE A CHAMPION
LI SENTIRETE URLARE “Nuota 3,8 chilometri! Pedala 180,25 chilometri! Corri 42,195 chilometri! ONORE PER IL RESTO DELLA TUA VITA!”
Da 15 a 1800 atleti al via con 5000 richieste. Il primo Iron Man, Gordon Haller, impiegò 11 h 46’ e 58”. Luc Van Lierde nel 1996 impiegò 8 h 4’ e 8” confrontarsi costantemente con sè stessi e con i propri limiti cercando di “spostarli un po’ più avanti”. L’atleta simbolo è il tedesco Andreas Niedrig, che ha fatto suo il motto “corri per tornare a vivere”, pubblicando anche il libro: “Da drogato ad atleta Ironman”. Quest’anno a Kona dopo quasi 8 ore di lotta, due uomini, due campioni si sono dati la mano due chilometri prima della fine della maratona, prima che il cronometro decretasse chi fosse il campione del mondo. Chris “Macca” MacCormack, che ha poi vinto, ha dato la mano ad Andreas Raelert dicendo: “No matter what happens, you are a champion”. E’ stato un gesto bellissimo, il dono che un uomo, prima ancora che un campione, ha dato al suo avversario. Il dono del rispetto e del riconoscimento del valore a prescindere dal risultato. ak adlige klein 115
MASSIMO CIGANA Nell’ultimo mondiale Ironman Massimo Cigana ha stabilito il record italiano di specialità, fermando il cronometro dopo 8 ore e 48 minuti. Abbiamo così deciso di fare qualche domanda a Massimo per capire cosa significa vivere da Ironman.
SOPRA Massimo Cigana all’arrivo di una delle gare. NELL’ALTRA PAGINA Panorama da Big Island. Photo by: Bakke-Svensson/ Ironman.
Massimo cos’è per te l’Ironman? Per me l’Ironman è qualche cosa di più del semplice triathlon, è la massima espressione fisica nel mondo dello sport dove posso sfruttare le mie qualità di uomo di fondo, una cosa fuori dal comune che ti fortifica spiritualmente. Il momento più bello e più brutto di una gara? Il momento più bello penso sia la partenza, quando tutti siamo assieme e ci scambiamo gli auguri e ci incoraggiamo a vicenda per quello che, da lì a poco, andremo ad affrontare. C’è una forte
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solidarietà l’uno con l’altro. Che tu sia avvocato, ingegnere, meccanico, dottore, idraulico non importa; il giorno della gara tutto scompare in un unico livello, quello sportivo, e si diventa tutti degli Ironman. Il più brutto quando ti succede un guaio meccanico. A me è successo due volte ed entrambe nell’Ironman in Austria a Klagenfurt. Nel 2008 stavo rientrando nel primo gruppo quando si ruppe la ruota lenticolare e quest’anno quando si ruppe il cambio dopo solo poche centinaia di metri uscito dalla T1 quando ero già nel primo gruppo. In entrambi i casi mi è crollato il mondo addosso, avevo buttato al vento decine e decine di ore di allenamento. Come si scopre una disciplina così dura? Mi sono avvicinato all’Ironman per gradi. Ho iniziato con il triathlon nel 2004, con gli sprint e gli olimpici. Poi nei due anni seguenti ho allungato fino alla mezza distanza e alla fine della quarta stagione decisi di tentare la massima distanza perché ormai il “mezzo” mi stava
La mattina NUOTO, il pomeriggio BICI. E la sera? CORSA!
stretto, anche se tutt’ora resta la mia distanza preferita. 8 o 9 ore di gara sono lunghe. A cosa pensi? Durante la gara ti passa per la testa un po’ di tutto ma sopratutto sei concentrato su quello che stai facendo. Quando nuoti stai concentrato sulla tecnica di bracciata cercando anche di sfruttare il gioco delle scie. Nella parte finale stai già pensando alla transizione che deve essere il più veloce possibile ricordando il posizionamento del tuo materiale. Quando sei in bici ti concentri sull’avversario e sulla corretta alimentazione e idratazione. Poi ti possono passare per la testa anche momenti di vita quotidiana extra sportiva o qualche motivo musicale. Spesso dico a me stesso: “Stai calmo che devi correre anche la maratona dopo la bici”. Nella corsa sei focalizzato soprattutto alla gestione del ritmo giusto senza esagerare, altrimenti non arrivi più alla fine. Quando sei in gara entri quasi in uno stato ipnotico dove, spesso, di tutto quello che è esterno alla
gara non te ne accorgi neanche. Spesso dico a me stesso: “STAI CALMO che devi correre anche la maratona dopo la bici”
IN ITALIA I MEDIA SONO TROPPO CONCENTRATI SUL CALCIO
Ma in Italia si parla di Ironman? Non mi sembra che ci sia una visibilità a livello mediatico. E all’estero? La situazione nel mio sport è molto affermata a livello internazionale come negli USA, Germania, Austria, Svizzera dove è seguita molto anche a livello mediatico addirittura con dirette tv e numerose pagine sui quotidiani sportivi e non. Purtroppo in Italia, anche se il numero di tesserati è in aumento, l’interesse dei mass-media è rivolto quasi esclusivamente al gioco del calcio schiacciando gli sport come il mio. Anche l’organizzazione degli eventi all’estero qualitativamente è nettamente maggiore. Che consiglio daresti a un giovane che vuole avvicinarsi all’Ironman? Consiglierei ad un giovane di allungare ak adlige klein 117
IL SOGNO? SEMPLICE, SUPERARE TUTTI E VINCERE UNA GARA
le distanze per gradi come ho fatto io. Queste distanze, se esageri, non perdonano a livello fisico. Riesci a vivere facendo l’atleta professionista? Quando ho smesso con il ciclismo ho incominciato a lavorare ed allenarmi all’alba o la sera tardi, prima o dopo il lavoro, per quattro anni. Nonostante tutto riuscivo ad essere uno degli atleti più forti in circolazione. Dopo la prima vera importante vittoria a livello internazionale in Thailandia nel 2007, decisi di diventare professionista a tempo pieno a partire dal 2008 e tutt’ora lo sono. Com’è la giornata tipo di un Ironman?
SOPRA Massimo Cigana durante la prova su bici ad Austin. © Lenny Click
La giornata tipo è abbastanza difficile da raccontare perché ogni giorno è diverso dall’altro. Dipende dagli allenamenti che devo fare. Indicativamente nuoto la mattina, bici il pomeriggio e corsa la sera. A riempire tutto il resto dalla giornata le faccende domestiche... vita da single! Qual è il tuo sogno sportivo? Il mio attuale sogno sportivo è quello di vincere una gara Ironman.
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Tre volte fuoristrada
tra vulcani e spiagge dorate Non sarà lungo come un Ironman, ma potrebbe rivelarsi ugualmente faticoso. Stiamo parlando dell’XTerra, il triathlon off road che alla bicicletta da strada sostituisce la Mtb e al posto dell’asfalto sotto i piedi della frazione podistica, mette i sentieri sterrati, sabbiosi che si inerpicano nell’ombra del sottobosco. Con questa variante la “triplice” ritorna alle sue origini primordiali, riscopre il sapore epico dei sentieri e del vero contatto con la natura. Come l’Ironman, anche l’XTerra ha una finale mondiale che si svolge tutti gli anni nell’isola di Maui, neanche a dirlo alle Hawaii. Quest’anno, lungo le pendici del vulcano Haleakala, sulla sabbia dorata di Big Beach, tra le foreste di mangrovie e le scogliere laviche a picco sull’Oceano, si è visto anche un piccolo contingente con i colori italiani capitanato da due atleti della provincia di Como, Davide Ballabio e Luca Molteni. Il primo arrivava nell’arcipelago vulcanico per la seconda volta, mentre Molteni era ormai un veterano, presentandosi al via del mondiale
XTerra
è il triathlon off road, dove quest’anno Davide Ballabio si è laureato campione del mondo.
SOPRA DA SINISTRA Iron “Woman”, la campionessa Chrissie Wellington. Chris McCormack, piuttosto impegnato. Photo by: Bakke-Svensson/ Ironman.
per la quarta volta consecutiva. Le loro chance di fare bene erano alte, ma in questo 2010 Ballabio si è superato arrivando a toccare il punto più alto del mondo all’interno della categoria 35-39 anni. Davide dopo una frazione di nuoto in cui ha controllato gli avversari, nel tratto in Mtb ha preso la ruota del battistrada per poi aprire il “gas” nell’ultimo tratto, quello della corsa a piedi, ha distanziato con sicurezza gli altri contendenti negli 11 chilometri finali andando a indossare la maglia iridata di campione del mondo XTerra 2010, conquistando anche un’ottima 27ª posizione assoluta. Molto bene anche Luca Molteni 6° nella categoria 30-34 anni dopo un avvicinamento abbastanza travagliato e faticoso a questo importante appuntamento. Sarà stata la giornata particolare, o forse il territorio del Lario che sembra stato creato appositamente per praticare la triplice disciplina in sterrato, tanto che ogni anno, ad Albavilla (Co), i due atleti, organizzano l’XTerra Alta Brianza. ak adlige klein 119
arte
BRITAIN ART NOW di Roberto Uboldi Newspeak: Britain Art Now - Parte II, in programma alla Saatchi Gallery di Londra fino al 17 Aprile 2011.
SOPRA Goshka Macuga Madame Blavatsky, 2007 legno, fibra di vetro, vestiti e sedie 114.3 x 190.5 x 73.6 cm Courtesy of the Saatchi Gallery, © Goshka Macuga, 2010
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S
pesso il titolo di una mostra, come quello di un’opera, è concepito per racchiuderne il concetto tramite poche parole ad effetto. Se questo era l’intento di Charles Saatchi - prestigioso curatore di questa exhibition e dei suoi collaboratori, il messaggio è passato a metà. Questo perchè se Britain Art Now non nasconde l’ ambizione di proporsi alla critica e al pubblico come il nuovo archetipo della produzione artistica d’Albione, quel Newspeak, con riferimento evidente ad Orwell e al suo 1984, malcela un significato ambiguo e in contrasto, che riporta alla memoria dei molti lettori del libro un linguaggio
rigido, severo, privo di sfumature e utile soltanto al controllo del pensiero a livello massivo. Era questo il proposito degli organizzatori? O forse si riferivano alla possibilità di tradurre in termini minimi la produzione smisurata degli ultimi anni, di ridurre ad arte un melting pot culturale sempre più evidente al di là della Manica? Lascio il dubbio alla vostra sensibilità e mi inoltro nelle ampie sale della rinnovata Saatchi, alla ricerca di opere che per energia e carica emotiva ricalchino le orme dei giganti del recente passato britannico, nella speranza di imbattermi in un nuovo Damien Hirst. LE OPERE Ciò che si nota fin da principio è la presenza massiccia delle installazioni, che hanno preso un posto sempre maggiore nell’arte contemporanea a discapito di dipinti e sculture. Tra queste spiccano “Madame Blavatsky,
I NUMERI
di Goshka Macuga e “It happened in the corner...”, di Littlewhitehead, opere che mi attraggono per seducente contrapposizione. La prima, una scultura raffigurante la celebre mistica e teosofica Madame sospesa tra due sedie, sembra parlarci della nostra società, di un mondo sospeso in una bolla post-razionalista ai limiti della logica, dove le credenze ciarlatane, l’illusione e una lotta arida alla tecnologia in quanto tale vincono sulle conquiste della scienza. Una specie di rivincita della partita del Novecento, giocata tra pensiero e spinte vitali, tradotta in arte con aria ascetica e vagamente sacra. La seconda installazione invece ci racconta con una smorfia comica e vera la società, attenta al nulla, morbosa, caotica e senza riferimenti da seguire. Non a caso l’obiettivo degli sguardi è un angolo angusto, fuori dal centro della scena. Un’espressione forte dell’arte destrutturata, non priva
6 mesi , 70.000 metri quadri a disposizione e più di 150 opere per una generazione di artisti che sfida la YBA.
tuttavia di riferimenti al lavoro dello scultore Duane Hanson, sia per tecnica che per contenuti. Il viaggio surreale prosegue, appaiono ovunque moderne chimere – il Cavallo/Cane e la Capra/Bottiglia di Bishop – reinterpretazioni di antichi fasti – si veda Pink Cher di Scott King – e opere dal vago sapore vintage, nelle fotografie ricamate di Maurizio Anzeri. Più di 150 opere esposte per cercare di farsi un’idea di un “movimento inglese” che, se esiste, è certamente mutato dai tempi gloriosi della generazione “Young British Artist”, ma non per questo è meno vitale o evocativo.
SOPRA, A SINISTRA Littlewhitehead It Happened In The Corner…, 2007 Gesso, cera, schiuma, capelli, vestiti. 180 x 200 x 150 x cm Courtesy of the Saatchi Gallery © Littlewhitehead, 2010 SOPRA A DESTRA Steven Claydon The Author of Mishap (Them), 2005 Polvere di rame in resina e penne di pavone Scultura: 36 x 21.5 x 23.5 cm Plinto: 125 x 30 x 30 cm Courtesy of the Saatchi Gallery © Steven Claydon, 2010 ak adlige klein 121
UK ART
BRITAIN ART NOW SOPRA una veduta dell’interno della Saatchi Gallery A DESTRA Lynette Yiadom Boakye Politics, 2005 olio su tela 183 x 168 cm Courtesy of the Saatchi Gallery, © Lynette Yiadom Boakye, 2010 NELL’ALTRA PAGINA Scott King Pink Cher, 2008 Screenprint and pittura su tela 300 x 200 cm Courtesy of the Saatchi Gallery, © Scott King, 2010
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DIPINGERE LA TRIBù Marco Grassi. Sempre attratto dall’uomo in ogni sua età, mentre traccia impetuosi cataloghi generazionali e li riconduce alla loro tribù. Seguitelo insieme a noi.
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NELLA PAGINA PRECEDENTE Hero#2 olio su tela 140x185 cm - 2010 IN QUESTA PAGINA Studio e ritratto Di Marco Grassi PAGINA A DESTRA Hero#15 olio su tela 140x110 cm - 2010 PAGINE SEGUENTI Hero#22 olio su tela 40x50 cm - 2010 Hero#25 olio su tela 50x40 cm - 2010
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La fotografia è solo il punto di partenza per poi sondare lo spirito, l’anima interiore. Se il ritratto non è fedele, lo sono invece le sensazioni, le emozioni che dall’immagine in digitale riesce a cogliere.
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arco Grassi è nel panorama artistico contemporaneo uno dei pochi che riesce a penetrare così a fondo età e tribù umane odierne. Nato nel 1966 a Milano, vive e lavora a Mariano Comense nel cuore della Brianza comasca, anche se il suo successo si estende ben oltre questa piccola porzione di Lombardia; il suo mercato principale è l’America anche se poi si destreggia benissimo tra le altre capitali artistiche europee come Londra, Parigi, ovviamente Milano e Lugano, in Svizzera. La sua prima personale risale al 1989 e da allora non si è più fermato. Una carriera un po’ predestinata, guidata anche dagli studi al liceo artistico prima e al politecnico di Milano poi con la laurea in architettura e comunque sfociata in un percorso del tutto personale che egli ama definire come figurativo-istintivo. Grassi è attratto dall’Uomo in ogni sua età, come già dicevamo, e da qui nascono delle sorte di cataloghi generazionali che vanno a ripercorrere indif-
ferentemente infanzia, adolescenza, età adulta, soggetti maschili e femminili e poi capace di ricondurre ognuno anche a tribù d’appartenenza quindi i punk, i tatuati, le modelle. Tutti i suoi soggetti devono avere necessariamente la caratteristica di essere reali, lui stesso ne realizza le foto e mentre riguarda nel mirino lo scatto ecco che con la mano inizia il processo pittorico. Il risultato però non è un ritratto reale, la fotografia è solo il punto di partenza per poi sondare e recuperare lo spirito, l’anima interiore di chi ha avuto modo di approcciare. Se il ritratto non è fedele, lo sono invece le sensazioni, le emozioni che dall’immagine in digitale riesce a cogliere. Grassi lavora per fasi, ogni volta è un avvicinarsi a soggetti e tipologie differenti. C’è stato un inizio legato all’indagine del mondo teens, adolescenti del 2000 tra paura e ribellione, ma poi stanco di quell’innocenza bambinesca Grassi ha deciso di esplorare figure più audaci, provocatorie. ak adlige klein 127
Attualmente si interessa agli eroi, così ecco toreri, pugili, cow-boy, lottatori. Non ridotti a maschere, ma ripresi nella propria individualità, secondo la sua tecnica istintiva, “retinica”.
C
osì ecco l’invasione di figure femminili, opere in cui prevale il rosa, colore simbolo di dolcezza e innocenza, a contrastare un modo di esistere molto televisivo, di chi guarda dritto in camera e ammicca allo spettatore. Un erotismo capace successivamente anche di naturalità e plasticità, che lascia libera espressione a queste ragazze nella loro sensualità e che rende più donne, non semplici macchiette. Attualmente la sua ricerca è verso il mondo dei “supereroi”, figure mitiche che rivestono in questo senso l’immaginario di molti. Ecco quindi comparire toreri, pugili, cow-boy, lottatori; ritornano nel corso del tempo nei loro costumi e nelle movenze che la tradizione così ci ha consegnati pur essendo in fondo persone sempre nuove e diverse. Non quindi semplici maschere ma soggetti individuali che Grassi indaga a ricercare in loro la forza primordiale. E qui si riconferma la pittura istintiva, “retinica” come lui stesso la definisce; colpisce immediatamente l’occhio, non dà modo di pensarci troppo, è immediata. Un’immediatezza che è anche segno distintivo del-
la tecnica di Grassi: il suo è un approccio istantaneo, non mediato da alcun disegno preparatorio. Il colore cola e imbratta la tela o il legno e viene ridistribuito, aggiunto e tolto tramite la spatola; da questi movimenti istintivi si stagliano ed emergono man mano le sue figure, i suoi ritratti. Solo a fine lavoro l’opera viene fissata in una immortalità materica utilizzando la tecnica della lucidatura, nel caso di pittura su legno. Condividendo i preziosi segreti dei mobilieri brianzoli le opere vengono infatti laccate ed è anche grazie a questo processo che vanno ad emergere macchie di colore altrimenti invisibili, che creano un ulteriore gioco artistico. A vedere una pittura come quella di Grassi viene anche da chiedergli se non teme le nuove tecniche digitali, ma come ogni artista giudica assolutamente impareggiabile la bellezza e la libertà di lavorare con dei veri colori ad olio secondo un atteggiamento di assoluta positività per cui la pittura ci sarà sempre e comunque, e nulla, neppure le migliori tecniche digitali, potranno mai sostituire l’unicità della pennellata e l’istintualità del pittore. ak adlige klein 129
arte - Susanna Cattai
Nell’America del boom
Akappa Magazine compie un anno! In occasione della presentazione del nuovo numero di Akappa Susanna Cattai, giovane artista varesina, esporrà alcune sue opere presso lo Spazio Eventi Ramuner a Como la sera del 15 dicembre. Dopo la maturità artistica, la laurea in scenografia e il biennio di specializzazione presso il Teatro alla Scala di Milano, Susanna è approdata alla decorazione eseguendo numerosi progetti per committenze pubbliche e private. Attualmente si dedica alla sua più autentica passione: l’illustrazione americana degli anni ’40 e ’50, con omaggi ad artisti quali Norman Rockwell e Gil Elvgren. Susanna cosa ti affascina di questo periodo? ...i colori nella grafica pubblicitaria, il gusto per i dettagli nella moda, la ricercatezza nel design, le linee delle automobili e ultima, ma non per questo meno importante, la musica. Da cosa nasce la tua ispirazione? Le mie opere sono il risultato di una ricerca a 360° nel variegato panorama iconografico dell’ ”american way of life”. Qual è la tecnica pittorica che utilizzi? L’acrilico per i dipinti su tela, ma anche colori per pinstriping quando il tipo di intervento decorativo lo richiede. Le sue opere, magistralmente in bilico tra fotografia e iperrealismo, invitano a compiere un tuffo nel passato trascinando chi le guarda in un’atmosfera d’altri tempi ricca di sogni e ricordi. Info: susannacattai@libero.it “ROSIE THE RIVETER” 1943 Omaggio a Norman Rockwell acrilico su tela– cm.50x70 In alto a destra: “BEAR FACTS” 1962 Omaggio a Gil Elvgren acrilico su tela – cm.50x70
La Pinetina
Piscina - Campo da golf - Ristoranti - Centro Sportivo - Maneggio
arte
IN UN TEATRO DI FIABE Abbiamo intervistato Paolo Fresu, per capire con lui come non perdere mai lo stupore per le cose della vita.
NELL’ALTRA PAGINA Re funambolo 35 x 50 cm tecnica mista su carta intelata Paolo Fresu
Ammirando i suoi quadri e le sue sculture si ha la piacevole sensazione di ritornare in un mondo di fiaba, di racconti legati all’infanzia secondo un’esperienza comune a molti. Se così è a quali favole e personaggi si ispira dunque e a chi o cosa è più affezionato?
È
vero che agisco in un mondo fiabesco però non ho un riferimento preciso e se spesso uso il personaggio di Pinocchio è perché Pinocchio è universale, potrebbe assomigliare a chiunque di noi dal momento che penso che nessuno, proprio come lui, maturi fino in fondo. Più in generale il mondo fiabesco l’ho assorbito da Lele Luzzati (scenografo n.d.r.) che ho avuto il piacere di conoscere e frequentare e che in qualche modo mi ha condotto anche se indirettamente in questa direzione. Come confluiscono e si legano nelle sue opere questi archetipi con il presente? Cosa
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è ancora attuale e cosa invece è superato, ridotto a sberleffo? Alla base di tutto c’è l’ironia, senza questa non saprei che fare e anche le mie opere sarebbero morte. Per questo le definisco senza tempo e comunque attuali, nonostante magari i personaggi vestano giubbe e abiti medioevali. Qual è il messaggio che attraverso queste istantanee, appunto ironiche e ammiccanti, di re, regine, fanciulle, giullari vuole condividere con il suo pubblico? Sembrerà banale ma è quello che penso, ovvero anche se io ho dei messaggi che vorrei affidare alle mie opere e quindi al pubblico che mi segue, in realtà sono poi sempre io a chiedere loro cosa pensano guardando i miei quadri. Da parte mia resta un non detto che lascia spazio all’interpretazione dello spettatore permettendogli di avvicinarsi all’opera come meglio crede. E da cosa nasce la sua creatività? Diciamo che il disegno è sempre stato parte di me fin da quando ero bambino, disegnavo sempre moltissimo, in continuazione. Poi da adulto ho aperto uno
IN UN TEATRO DI FIABE Perchè quei personaggi? non saprei nemmeno io, qualcuno parla di “stupore di infanzia”... Da piccoli si è colpiti da certe figure l’inconscio rielabora e ci ripropone in forme diverse nell’età adulta.
studio pubblicitario con Giorgio Faletti e un altro nostro amico, l’esperienza è durata un po’ e poi ognuno ha seguito la propria strada pur rimanendo l’amicizia tra noi. Io ho iniziato a bazzicare il teatro e penso che questo si veda nei miei quadri, il rimando teatrale. Il perché poi della scelta di quei personaggi non saprei dirla nemmeno io, una volta qualcuno mi ha detto che si tratta di uno “stupore di infanzia” e posso anche crederci perché da piccoli si è colpiti da certe figure, da certe immagini che vengono viste sotto una luce
particolare e così finiscono nell’inconscio che rielabora e poi le ripropone in forme diverse nell’età adulta. Lei prima parlava di ironia: l’uomo di oggi è ancora capace di ironia e fantasia, di ritagliarsi uno spazio di gioco? E se sì in che forma?
P
urtroppo io ne vedo molto poca e penso derivi da questo imbarbarimento generale che colpisce un po’ tutto ciò che ci circonda e poi c’è troppa gente che si prende un po’ troppo sul serio e quando questo avviene ci si costruisce delle certezze che irrigidiscono e bloccano; per questo
alle certezze preferisco un sano dubbio, proprio per avere dello spazio per potersi muovere, pensare, esprimersi. Le cose che hanno già dentro la parola fine sanno sempre un po’ di polvere. Rispetto alla sua esperienza lavorativa iniziale precedente legata al mondo della scenograf ia in teatro e televisione e alla sua scelta ormai da anni di dedicarsi totalmente all’arte in quanto tale, esiste un conf ine, un limbo che separa necessariamente i due mondi o si può parlare di una continuità? Esiste senza dubbio una continuità, anche sa da anni non mi occupo più di scenografie e costumi, però il teatro uno se lo porta dentro e come dicevamo nelle mie opere resta questo forte richiamo alla messinscena dove lo spettatore guarda ed è chiamato ad interpretare, a porgere l’occhio per capire cosa dice personalmente quel quadro, quell’opera a lui in prima persona.
DA ASTI A RAIUNO
VITA D’ARTISTA | PAOLO FRESU NELL’ALTRA PAGINA IN SENSO ORARIO La retata 35 x 50 cm, L’estetista 35 x 50 cm, Il collegio della Difesa 50 x 100 cm Tutte le opere: tecnica mista su carta intelata Paolo Fresu
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Paolo Fresu nasce ad Asti nel 1950, frequenta poi il liceo artistico di Torino e a seguire l’Accademia Albertina. Non finisce gli studi per dedicarsi alla scenografia teatrale e televisiva. Tra i suoi lavori più importanti ricordiamo la scenografia dello spettacolo teatrale “Come e perché crollò il Colosseo” di Luigi De Filippo nel 1981; quella per il film “Grunt” con Andy Luotto e Giorgio Faletti nel 1982; collabora alle scenografie di “Fantastico 90” per Rai Uno. Nel 1992 realizza il manifesto e la scultura per il premio “Astiteatro 14”; nel 1997 è maestro del
Palio ad Asti dove dipinge i due sendalli per quell’edizione. Dopo un periodo di sperimentazione tra gli anni ‘60 e ‘70, dove crea figure matericocromatiche secondo la tendenza europea del periodo, Fresu inizia a raffigurare ironicamente la rappresentazione della borghesia e del potere della nostra società. Utilizzando i materiali più disparati (legni, metalli, stoffe, inserti di giornali, minuterie) unita ad una eccellente tecnica pittorica, l’artista rappresenta i vari personaggi scavando a fondo nel carattere, nel loro stato e nelle loro funzioni.
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ECOVETRINA Notizie dal mondo eco a cura di Andrea Sabbadin
Cinture on the road
“Il mio sogno è che ogni cliente possa avere la sua cintura, unica ed esclusiva, invecchiata e creata appositamente per lui e il suo stile”. Heidi Ritsch, con la sua passione e creatività, è riuscita a trasformare un vecchio copertone, ripulito e trattato, dando vita ad una nuova idea di moda etica ed ecologica. La cintura di copertone è innovativa ed estremamente fashion e, dopo aver percorso tanti chilometri, è pronta per percorrerne altri, stretta attorno alla vita di chi vuole aiutare l’ambiente in sella ad una bicicletta. Info: http://www.heidiritsch.com
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Le Havre, studenti in scatola
Alloggi sostenibili, riciclati realizzati partendo da container. Qualcuno ha creduto nel sistema di modularità basato su container impilati: un’istituzione francese. L’Università di Le Havre ha costruito la “Cité U”. Il terreno su cui sono stati installati i cento container riciclati è stato messo a disposizione gratuitamente dal comune; il progetto è stato invece affidato all’architetto italiano Alberto Cattani. L’isolamento è dato da coibentazioni in caucciù e dalla grossa vetrata che nei lunghi mesi invernali consente di catturare il calore del sole. Ogni mini appartamento è di 25 metri quadri e l’affitto è di circa 280 euro al mese. Costruzioni analoghe sono già presenti in Germania, Olanda e Canada.
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intimo
U N D E R W E A R
ECOVETRINA Notizie dal mondo eco a cura di Andrea Sabbadin
La spugna lava co2
Da un recente studio sul Carbon Capture and Storage (Ccs), cioè sulle tecnologie in grado di estrarre l’anidride carbonica dai camini delle centrali termoelettriche alimentate da carbone o altri combustibili fossili, è nata la spugna lava Co2. Si tratta di una sorta di spugna fatta di cristalli creati in laboratorio che avrebbero la capacità di catturare una serie di gas, Co2 compresa. A guidare questo esperimento è stata Deanna D’alessandro, ricercatrice all’università di Sydney. «Le strutture molecolari sono simili a quelle delle conchiglie e di microscopiche piante marine dette diatomee. Per questo il nuovo materiale può sostenere l’ambiente umido e caldissimo dei condotti di emissione di una centrale a carbone. Ciò significa che potrebbe essere usato per catturare in maniera reversibile, e poi liberare, la Co2». D’Alessandro ha già vinto un premio: i 20.000 dollari del L’Oréal Australia For Women in Science Fellowship.
La gara delle lattine
L’iPhone ti aiuta a riciclare l’alluminio. Negli Usa quante cose si possono fare con un iPhone/ iPad per la tutela dell’ambiente? Si può fare una passeggiata nei sentieri dell’Abruzzo, trovare un distributore del metano, scaricare tre applicazioni che fanno bene all’ambiente, scegliere frutta e verdura senza pesticidi, utilizzare il software dell’Enea per scegliere tra fotovoltaico o eolico. Oppure utilizzare “Aluminate”. Aluminate è un’applicazione sviluppata dal colosso americano dell’alluminio Alcoa che aiuta a localizzare i punti di raccolta dell’alluminio. Serve anche a tenere il conto di quante lattine si consegnano nei punti di riciclo e quanto si guadagna. Perché, negli Stati Uniti, per ogni lattina consegnata si viene rimborsati. Con Aluminate si possono anche condividere su Facebook i propri successi nel riciclo dell’alluminio. Interessante l’App, per gli americani. Interessante il modello di business del riciclo, per noi italiani. ak adlige klein 139
Villaggi verdi
Un modo per coinvolgere realmente le persone facendole interagire con aziende che producono beni e servizi ecosostenibili: questa l’idea avuta da IPS Promotion che, riflettendo sul fatto che oggi sempre più si parla di ecosostenibilità e di vivere sostenibile senza però avere idea dei suoi reali risvolti, propone per il 2011 un tour tra le principali città del nord Italia con un villaggio interamente amico dell’ambiente, energeticamente autosufficiente e ad emissioni zero. Qui le aziende che producono nell’ottica ecosostenibile possono farsi conoscere e mostrare tutti i vantaggi e le prospettive future di una filosofia totalmente green. Il villaggio sarà anche palestra di ecosostenibilità, con percorsi interattivi e didattici per grandi e piccoli. Meritevole poi l’idea di compensare le emissioni di CO2, date dagli spostamenti tra una città e l’altra, con la piantumazione di nuovi alberi. Info: www.greenvillagetour.it 140 eco
Ricarica a sangue caldo
Il designer inglese Patrick Hyland, grazie al sostegno della Nokia, ha messo a punto il prototipo di un nuovo cellulare dalle modalità di ricarica, assolutamente eco-friendly: il nuovo telefonino, infatti, si ricaricherebbe utilizzando il semplice calore del corpo. Il monito ambientalista, in qualche modo sostenuto da Patrick Hyland, inoltre, va ad essere ulteriormente ribadito anche dalla veste esterna del cellulare E Cu (acronomo per: Environment e Cu, il simbolo chimico del rame), realizzata come fosse un terreno spaccato dall’aridità. Desertificazione e riduzione dei rifiuti elettronici, quindi, ma anche impegno individuale per contrastare il riscaldamento climatico, sono l’idea alla base del nuovo concept targato Nokia che per ricaricarsi col semplice calore, corporeo e non, sarebbe dotato di un apposito termogeneratore integrato Il calcolo annuo sulla riduzione dei rifiuti Raee, nel caso in cui il progetto venisse diffuso a livello commerciale, e il risparmio in termini di Co2 sarebbero enormi e dell’ordine delle 51 mila tonnellate.
ECOVETRINA Notizie dal mondo eco a cura di Andrea Sabbadin
Energia dall’acqua
Il brevetto è di Eubios S.p.A., società italiana con sede a Milano, che permette la produzione di energia ad impatto 0 e bolletta 0. Il principio è quello della co-geotermia con la pompa di calore alimentata non più con l’energia elettrica ma con acqua calda a 60°, che si può ricavare tramite l’uso di pannelli solari termici e soprattutto dal cascame termico di processi industriali o dalla cogenerazione. Con il brevetto Eubios si risparmia su due trasformazioni in meno rispetto ai sistemi in pompa di calore geotermica tradizionali (da termico a elettrico e da elettrico a meccanico). Inoltre, poiché l’energia elettrica autoprodotta non viene consumata dalla pompa di calore né in inverno né in estate, rimane disponibile per alimentare altri usi nelle strutture, oppure può essere rivenduta alla rete pubblica per ricavare risorse, così da azzerare i costi di gestione. Info: www.eubiosenergia.it
Freschi momenti di relax
E’ successo a Adrian Johnson, giovane designer canadese che dovendo progettare delle sedute per un matrimonio di una coppia creativa e con poca possibilità di spesa, imbattendosi in una vecchia BMW coupè da uno sfasciacarrozze, con bellissimi e ancora nuovi interni in pelle rosso ciliegia, ha pensato bene di partire da questo elemento. La notte, continuando a pensare a cosa poteva essere quell’oggetto con la stessa dimensione di un seggiolino per auto, e reperibile in discarica, è arrivato all’idea di un vecchio frigorifero. Si è recato quindi nuovamente in discarica dove ha trovato un frigorifero verde oliva assolutamente perfetto come accostamento cromatico per i sedili della BMW; da qui è nato il primo esemplare di “fridgecouch”, il frigo-divano appunto. Un modo nuovo per riciclare oggetti altrimenti destinati alla discarica, proprio dove Johnson stesso li ha recuperati, e in grado di trasformarsi in componenti di arredo divertenti e di design. Info: www.fridgecouch.com ak adlige klein 141
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SOGNANDO IL CALCIO ECO di Alberto Giani
Per i mondiali in SudAfrica 3 mn. di tonnellate di co2. Il mondo si interroga: Londra mette mano alle armi, A Taiwan realizzano stadi “total green”. In Italia ci facciamo “docce light” e ricicliamo stadi. Basterà per aiutare l’ambiente?
SOPRA Stade de Suisse a Berna Ph: A. Giani. NELL’ALTRA PAGINA Stadio Bentegodi a Verona Ph: mgenergy.it.
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ur di rimanere in forma c’è chi va a correre in centro, zigzagando tra i tubi di scappamento delle auto in colonna. Questa pratica masochistico-salutista, che ogni giorno si compie nelle città di tutto il mondo, non è lontana da quanto hanno dovuto subire i calciatori durante i mondiali del 2010. Un complesso calcolo dell’ambasciata norvegese ha stabilito che nel mese sudafricano sono state prodotte 2.753.251 tonnellate di CO2. Se il numero nudo e crudo non vi dice nulla, pensate che dai mondiali del 2006 la cifra è cresciuta di 6 volte. Perché in Germania la produzione di CO2 era così bassa?
Lo stadio di Kaiserslautern (il Fritz Walter, dove l’Italia giocò l’ottavo di finale contro l’Australia del suo glorioso torneo) ha un impianto fotovoltaico fatto di 5000 pannelli che può produrre 1 MW di elettricità. A Berlino, dove gli Azzurri alzarono la Coppa del Mondo, l’Olympiastadion ha un sistema di irrigazione che sfrutta solo l’acqua piovana, riciclandola. In terra tedesca fu lo stadio di Friburgo a montare il primo impianto fotovoltaico, tra il 1995 ed il 1999. Questo produce 250.000 kWh all’anno e risparmiando 250 tonnellate di biossido di carbonio. Se vogliamo parlare di record, però, dobbiamo superare molti fusi orari verso
oriente, finendo a Kaoshiung, Taiwan. Costruito per ospitare i World Games del 2009 ed in grado di accogliere 55mila spettatori, l’impianto è completamente autonomo dal punto di vista energetico, grazie ai quasi 9000 pannelli solari che rivestono la sua copertura. Può generare 1,14 milioni di kWh all’anno e copre fino all’80% delle necessità energetiche del quartiere, evitando l’emissione di 660 tonnellate di CO2. Costo? “Solo” 155 milioni di Dollari. IN EUROPA
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l nostro giro del mondo ci riporta in Europa. Berna, Stade de Suisse. Il 31 luglio 2005 è stato inaugurato il nuovo impianto multifunzionale. La struttura è ottimamente integrata con il resto della città, anche grazie al trasporto pubblico. Migliaia di persone al giorno si recano presso il Wankdorf di Berna per fare acquisti al centro commerciale, per lavorare negli uffici o studiare nel polo scolastico adiacente. Poi ci sono le partite di calcio degli Young Boys (la squadra di Berna), i concerti e congressi che la struttura ospita. Ma a noi interessa ciò che c’è sul tetto. Qui, 12.000 m2 di cellule fotovoltaiche possono produrre 1,2 milioni di kWh di elettricità, equivalente al fabbisogno di 400 famiglie. La centrale solare dello Stade de Suisse ha ricevuto il “Premio Solare Europeo del 2005”, ma non è l’unico in Svizzera che sfrutta energia verde. Lo stadio St. Jakob di Basilea, il Letzigrund di Zurigo e l’AFG Arena di San Gallo nel corso degli anni 2000 si sono muniti di una propria centrale solare, anche se di dimensioni inferiori a quella di Berna. Nonostante questo, però, le conclusioni (ahinoi!) sono altre. A Berna, infatti, solo il 2% dell’elettricità consumata da tutte le strutture integrate allo stadio proviene dall’energia prodotta sul tetto solare. Dei 36 negozi del centro commerciare, solo la Coop utilizza la fonte rinnovabile. Le grandi manifestazioni sportive sono una importante pubblicità per le imprese che realizzano progetti eco-sosteni-
VERONA La copertura dello stadio Bentegodi è divenuta da circa un anno il più grande impianto fotovoltaico su una struttura sportiva d’Italia.
A Berlino un sistema di irrigazione che sfrutta solo l’acqua piovana, riciclandola
bili. E proprio in vista dei Giochi della Francofonia del 2013 e degli Europei del 2016, la città francese di Nizza ha in cantiere l’”eco-stadio”. L’impresa Vinci Wilmotte costruirà un impianto che potrà ospitare 35.000 spettatori. L’Olympic Stadium non solo rispetterà l’ambiente, ma vi si integrerà al meglio. Sono previsti dei pannelli fotovoltaici per la produzione di energia, un dispositivo che permetterà di recuperare 7000 metri cubi di pioggia all’anno, e quindi di ridurre drasticamente le emissioni di Co2. Innovativa l’idea di sfruttare a questo scopo i venti che soffiano lungo il fiume Var, dove l’impianto sorgerà. Lo stadio costerà intorno ai 166 milioni di euro. In ambito di manifestazioni sportive di impatto planetario e di eco-sostenibilità, l’iniziativa più sorprendente è quella di Londra. Lo stadio Olimpico pronto per il 2012 sarà in parte realizzato con armi riciclate. Lo scorso anno sono state sequestrate 58 tonnellate di coltelli, fucili, pistole e bossoli. ak adlige klein 143
IN ITALIA
SOPRA Elaborazione 3d dell’impianto di Casarno Studio Semerano. NELL’ALTRA PAGINA Elaborazione 3d dell’impianto di Casarno Studio Semerano.
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i fronte a tanto ingegno, l’Italia dei piccoli Comuni come si comporta? Benino direi. A Isola Polvese, in Umbria, sulle sponde del lago Trasimeno, da questa estate la squadra del “Pierangelo Calcio” si allena su un campo “eco”. Stiamo parlando di un semplicissimo campo. Eppure senza di esso nessuna partita è possibile. Il rettangolo di gioco è sorto senza alcuna modifica del terreno e senza apporvi alcuna barriera fisica intorno. All’interno dell’area protetta che costeggia il lago c’è una radura pianeggiante delle dimensioni ideali e regolamentari per il gioco del calcio: sono state conficcate le porte e tirate le righe. Con vernice ecologica, ovvio. Il pallone ha iniziato a rotolare e la “Pierangelo Calcio” ha preso ad allenarsi. Niente ruspe, niente scavi, niente cemento. Solo il campo e i giocatori. Troppo poco? E allora sommiamoci i 114 euro che il Comune di Predappio, in Romagna, risparmia per ogni doccia dei suoi
impianti sportivi. L’amministrazione ha infatti aderito al progetto “Docce Light”, montando erogatori a basso flusso (EBF) per un risparmio totale di 1550 m3 di acqua e la mancata emissione di 6250 kg CO2/anno. Anche la Regione Sardegna ha aderito all’iniziativa. Rimanendo in centro-Italia, il Comune di Trevigiano Romano vanta il primo stadio verde a valenza architettonica. L’impianto si trova all’interno del Parco Regionale di Braciano-Martignano. La tribuna è stata coperta da pannelli fotovoltaici in grado di produrre 40,5 KWp. L’opera è stata realizzata nel 2005 e finanziata all’80% in conto capitale dal Ministero dell’Ambiente. E’ in grado di produrre 50.000 KWh annui, equivalente al fabbisogno di 15 alloggi di medie dimensioni, per un risparmio complessivo di 49.000 kg CO2/anno. Finora il paragone con Taiwan e Nizza non regge. Ma abbiamo i nostri assi nella manica. A Verona la copertura dello stadio Bentegodi è divenuta da circa un anno il più
grande impianto fotovoltaico su una struttura sportiva d’Italia. Oltre 13.300 pannelli solari fotovoltaici producono circa 1 MW di energia pulita all’anno (il fabbisogno di 400 famiglie) ed evitano l’emissione di oltre 550 tonnellate di CO2. Interamente realizzata da AGSM (Agenzia Generali Servizi Municipali di Verona), la copertura è stata presentata l’11 dicembre 2009, dopo soli 5 mesi di lavori. Anche questa è efficienza. Simile l’iniziativa del Comune di Livorno. All’interno di un vasto progetto di ecosostenibilità, dalla copertura dello stadio Armando Picchi sono stati smaltiti quasi 1000 m2 di amianto, sostituiti da pannelli solari in grado di sviluppare una potenza di 18,9 kW, con una riduzione delle emissioni in atmosfera di circa 12 tonnellate di CO2. L’impianto coprirà il 48% del fabbisogno dello stadio, visto che non sono connessi ad esso le torri-faro. Il progetto vanta anche la conversione all’energia pulita anche di altre strutture sportive di Via dei Pensieri. Risaputo, ma non certo da trascurare, il progetto della Juventus. La società bianconera sta di fatto riciclando il vecchio stadio Delle Alpi di Torino, emblema dello spreco di denaro pubblico, dopo soli 20 anni dalla sua costruzione. Gran parte del calcestruzzo delle tribune viene riutilizzato per il nuovo impianto, con un risparmio complessivo di 500.000 euro (20 euro al m³). Ma quello della Juve è l’unico cantiere aperto in Italia sul fronte grandi stadi. L’Udinese Calcio, circa tre anni fa, aveva presentato il progetto di un quartiere totalmente indipendente dal punto di vista energetico, al centro del quale sarebbe sorto il Nuovo Friuli. Agli squilli di tromba seguì solo un buco nell’acqua. A Casarano, in Puglia, il nuovo impianto cittadino era stato presentato dalla Gazzetta di Lecce (10/10/2009) come “Lo stadio del futuro tra i gioielli mondiali”. La sua copertura avrebbe dovuto essere fotovoltaica, in grado di raggiungere i 620 kW di potenza, con il conseguente risparmio di oltre 600 tonnellate di Co2 all’anno. Ma ad oggi, il progetto è fermo a causa del mancato completamento dei lavori di erezione della curva sud. Allo stato dell’opera non è ancora ipotizzabile una
CASARANO Ad oggi, il progetto è fermo a causa del mancato completamento dei lavori di erezione della curva sud
In Italia solo il Delle Alpi, tra i grandi impianti, è un cantiere aperto
data di inizio lavori della copertura. Ci sono poi le iniziative. Lo stadio Meazza di Milano è uno dei più famosi del mondo. Il comitato dei residenti nel quartiere San Siro (dove l’impianto sorge) ha creato un sito internet (www.sansiroverde.it) per chiederne al Comune la riqualificazione. L’iniziativa si chiama “La petizione per lo sviluppo ecosostenibile dello stadio di San Siro”. Tra le proposte, quella di portare le nuove linee della metropolitana fino al Meazza. Ma anche annullare i progetti per l’edificazione di 170mila mq di parcheggi in prossimità dell’impianto. Una vera e propria colata di cemento. Il comitato vorrebbe invece un servizio navetta che colleghi lo stadio con i punti nodali della città e la conversione dell’area dell’ex Palazzo del Ghiaccio a verde pubblico. In Italia, in Europa e nel Mondo, le piccole e grandi idee “verdi” sono molte. Abbiamo riportato quelle più significative. Tutte lodevoli, sperando possano essere un efficace messaggio per conciliare allo sport e al tifo le esigenze della nostra Terra. ak adlige klein 145
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HAMBURGER IN ITALY di Martina Moretti Mac Bun: solo buono. Può davvero una piccola hamburgeria di qualità mettere in crisi il colosso del fast food?
Abbiamo parlato con Graziano Scaglia, titolare di M** Bun, per capire assieme a lui come offrire un’alternativa di qualità al fast food. Ecco cosa ci ha detto.
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Una piccola hamburgeria capace di mettere in crisi Mc. Donald’s, è solo per il nome o forse fa effettivamente paura la possibilità di concorrenza data la somiglianza nel nome e nel concetto ma la totale lontananza per contenuti? Il nome non c’entra, voi non siete piemontesi e non potete capire immediatamente, “mac bun” è un modo di dire piemontese che io mi sento dire decine di volte al giorno nella mia macelleria “mi dia un salame, ma mac bun”, “hai delle bistecche? Ma mi raccomando mac bun” e via dicendo, perché “mac bun” vuol dire “solo buono” e dato che abbiamo deciso di aprire un locale che potesse offrire prodotti legati al territorio la scelta è stata quasi naturale rispetto al nome. Il problema è stato piuttosto che Mc. Donald’s ha uno studio legale importante che ha il compito di vigilare su tutto ciò che può avvicinarsi a loro e da qui è nata la bagarre.
Tuttavia la questione legale è stata completamente chiusa e archiviata prima dell’apertura ufficiale dell’attività: abbiamo tolto da Mac la a e la c sostituendole con due asterischi. Mac Bun, “solo buono” in piemontese: cosa offre di buono il vostro locale? Spaziamo dagli hamburger semplici di vitello o combinati bovino-suino o ancora di pollo, conditi con pancetta, toma piemontese e altri ingredienti; fino alle tartare di solo vitello razza piemontese, poi ancora le zuppe, la robiola al forno, i dolci... La scelta è vasta ma quello che la caratterizza è la freschezza dei prodotti, tanto è vero che non abbiamo il congelatore; poi il fatto che provengono tutti dalla zona circostante e legati alla tradizione piemontese.
Chi sono quindi i vostri fornitori? La carne proviene dalla nostra azienda agricola (Giovanni Scaglia con i fratelli segue l’azienda agricola omonima di famiglia da sempre n.d.r) dove abbiamo anche il laboratorio di macelleria e vendiamo direttamente i nostri prodotti. Alleviamo solo vitelli di razza piemontese certificata anche perché siamo parte del consorzio Coalvi che tutela di fatto la razza piemontese. Nella nostra azienda alleviamo poi anche maiali, polli, conigli principalmente a ciclo completo, quindi nati dalle stesse madri presenti nell’allevamento. Il pane che usiamo viene fatto invece da una panetteria e 150 metri da M** Bun; i prodotti caseari come la toma, lo yogurt, le robiole vengono anch’essi da un produttore locale; i dolci, se non prodotti da noi, sono forniti da una gastronomia a 2 chilometri che produce per noi specialità come le acciughe verdi e rosse tipiche della nostra zona; lo stesso dicasi per la frutta, le verdure e patate; salse come maionese, rubra, senape sono confezionate da un’azienda a 10 chilometri dall’hamburgeria. Abbiamo poi produttori locali per la birra e i vini, ed abbiamo riscoperto il gusto di chinotto e gassosa. Rispetto alle modalità di cottura avete delle attenzioni particolari? Sì, volendo dare un’ottima qualità alle pietanze, nutrizionalmente parlando, cuociamo la carne preferibilmente al forno, quindi gli hamburger da noi non sono fatti alla piastra per non avere dei residui e per mantenere integre le proprietà organolettiche della carne. Le patate invece vengono fritte con olio garantito Italia e servendoci di appositi misuratori controlliamo costantemente la qualità dell’olio, pronti a cambiarlo più volte per mantenere una frittura leggera e buona. Come è stato accolto a Rivoli M** Bun e da cosa siete stati animati nel progetto? L’accoglienza è stata ottima, il locale è apprezzato dal pubblico; il progetto è nato perché molti mi chiedevano dove potevano gustare la mia carne, avevo pensato anche all’agriturismo in azienda ma ho poi scartato l’idea perché in azienda avevamo già
la parte di vendita con la macelleria. Con il mio socio (Francesco Bianco n.d.r.) abbiamo riflettuto sul fatto che la gente oggi vuole mangiare bene ma spesso non ha molto tempo per farlo e quindi un’hamburgeria come M** Bun poteva essere la soluzione vincente da proporre direttamente in città, a Rivoli. Come è stato accolto M** Bun dal mercato di riferimento di Mac Donald? Diciamo che noi apriamo tutti i giorni dalle 12.00 alle 23.00; dalle 12.00 alle 13.00 si alternano soprattutto impiegati di banche e uffici in pausa pranzo, per il resto del pomeriggio invece sono proprio i ragazzi all’uscita delle scuole che frequentano M** Bun e che ultimamente lo hanno eletto a luogo di incontro. La sera invece si avvicendano ragazzi dai vent’anni in su e poi molte famiglie.
Tanti prodotti locali e a km 0 per offrire qualità e un cibo “ecosostenibile”. Carne piemontese cotta al forno, dolci tipici, gassosa e chinotto proprio come la tradizione vuole
Quanti coperti fate al giorno? Mediamente tra i 300/400, mentre come posti coperti abbiamo possibilità fino a 130 posti interni esclusi i dehor. Accanto alla possibilità di consumare in loco diamo anche l’opzione take-away. La scelta di selezionare solo prodotti a Km zero e di provenienza certificata è vista come una dai consumatori finali? Io noto che è sempre più una scelta consapevole, anche perché si stanno facendo delle campagne educative nelle scuole e la gente ha capito l’importanza di mangiare sano e sa che può trovare ottimi prodotti anche a casa propria, senza andare a cercarli altrove. La tendenza è questa: io l’avevo già vista con la carne 17 anni fa quando ho dato il via alla vendita diretta in azienda. La gente vuole vedere come si produce, toccare con mano la qualità dei prodotti ed è anche disponibile a venire lei stessa da noi per comprare, anche se ciò vuol dire fare qualche chilometro in più. Oltre alla scelta del chilometro zero avete adottato altre scelte che si legano all’ambito della sostenibilità? Certamente, nel locale tutte le stoviglie ak adlige klein 147
HAMBURGER IN ITALY
usate sono biodegradabili per contribuire a uno smistamento dei rifiuti che possa rispettare l’ambiente e poi nel menù bambino è compreso un piccolo regalo, l’ “Happy Mais”, che consiste in piccoli tronchetti totalmente biologici derivati dal mais dove inumidendoli è possibile modellarli e giocare senza pericolo di sostanze tossiche. Riscontra problematiche nel settore agricolo italiano che non ne permettono un evolversi positivo? Fondamentalmente non c’è una politica favorevole all’agricoltura, lo Stato promette incentivi e sussidi e allo stesso tempo impone giustamente delle norme e dei codici per la produzione che bisogna necessariamente rispettare, però poi si scopre che sul mercato ci sono prodotti di importazione che non rispettano tali canoni. Ad esempio è una norma giusta quella che obbliga ad allevare in Italia le galline a terra, poi però non è giusto comprare le uova dalla Turchia dove le galline sono allevate in modo in-
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tensivo, lo stesso per gli Stati Uniti che danno alle galline farine animali come mangime, cosa qui vietata. Se esistono delle norme di produzione che tutti i coltivatori e allevatori devono rispettare, devono esistere anche delle norme che vietino l’importazione degli stessi prodotti che seguono canoni produttivi diversi all’estero. E’ quindi importante che anche nell’ambito dell’etichettatura non si usino delle sigle incomprensibili ma che tutto ciò che riguarda il processo produttivo venga segnalato per esteso; questo nella tutela dei produttori e dei consumatori. Ci sono degli interessi particolari che ostacolano il lavoro del singolo e anche per questo noi abbiamo scelto la filiera corta, che ci distingue e ci conferisce qualità e può essere un valore aggiunto che porta il cliente a sceglierci. Pensa di espandere la sua attività aprendo altre sedi di M** Bun? Sì, per il momento ci allargheremo con un nuovo M** Bun a Torino, l’apertura è prevista per l’inizio del prossimo anno.
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n luogo innovativo e speciale dove i giochi di luci e specchi creano un connubio magico tra eleganza e stile, contemporaneo ed arcaico. La cucina offre più di 70 tipi di prodotti di qualità ispirati alla tradizione mediterranea. Specialità della casa è la “Sfizioseria”, un nuovo modo di concepire il cibo a base di gustosi assaggi di carne, pesce e verdure accompagnati da patatine fritte o insalata.
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WINE-PHILOSOPHY di Filippo Parmigiani Dalle origini protostoriche alle indagini di Steiner: il vino e l’equlibrio nella produzione.
INDIRIZZI Tramite il sito www.covibio. com è possibile saperne di più ed individuare facilmente le aziende associate; covibio sta infatti per “consorzio vignaioli biodinamici”, nato dal comune obiettivo di produrre vini che siano unici ed espressione massima del loro territorio. Segnaliamo Casa Wallace presso lo storico paese di Cremolino in Piemonte; Tenuta Selvadolce di Bordighera in Liguria; Azienda Masiero presso Selva di Trissino in Veneto; Orsi Vigneto San Vito a Monteveglio in Emilia-Romagna.
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’agricoltura biodinamica viene definita nelle sue linee essenziali nel 1924 da Rudolf Steiner, filosofo austriaco, in risposta a un gruppo di agricoltori tedeschi che cercavano una valida alternativa all’introduzione della chimica in agricoltura. Alcune delle pratiche alternative suggerite restano ancora oggi simbolo di una tecnica di conduzione che, nella sua filosofia, ha in realtà radici ben più antiche. Il concetto che muove tutto è quello del naturale equilibrio fra le diverse forme di vita in natura, l’adattabilità delle specie al territorio. L’intervento umano non deve forzare questo equilibrio, ma inserirsi armonicamente sfruttando le conoscenze per produrre al meglio senza stravolgere il sistema. Nella gestione del sistema vigneto la scelta della varietà in funzione delle caratteristiche climatiche della zona, il tempo di adattamento del nuovo impianto e la teoria della “non coltivazione” - inteso come gestione degli interventi tale da non creare i presupposti per una serie di successivi interventi a catena, ad esempio il taglio dell’erba con il terreno pesante che comporta la necessità di una successiva lavorazione - garantiscono la gestione senza violenze all’equilibrio stagionale. Al contrario i rimedi illustrati ai primi del Novecento san-
no oggi di coreografica stregoneria, come nel caso della pratica che prevedeva di riempire un corno di vacca, che avesse figliato almeno una volta, con del letame e seppellirlo poi a migliorare la fertilità del suolo; gli odierni traguardi delle ricerche in questo ambito ci indicano invece che basta utilizzare apporti di azoto e di calcio di origine animale, da mescolare con i resti di macellazione al normale letamepreoccupandosi di limitare l’uso di sostanze naturali ma ritenute oggi pericolose, a fronte di sostanze di sintesi ma altamente positive. Ultima considerazione è sull’applicazione della biodinamica in cantina, dove non esiste un vero disciplinare di produzione se non un riferimento alla produzione biologica; in realtà come diceva un grande enologo francese, una grande uva raccolta e lasciata a se stessa probabilmente darà origine a un grande vino; l’unico ruolo dell’enologo è di limitare i danni del probabilmente. L’uva prodotta con la filosofia del biodinamico rientra a pieno titolo nella categoria delle grandi uve, il vino prodotto dovrebbe solo essere seguito con tutte le attenzioni per evitare di dover intervenire con le tecniche dell’enologia tradizionale. Un rischio alto, visto che solo il tempo e i materiali nobili come il legno, possono garantire una buona produzione. Nl tondo il filosofo austriaco Steiner. Nella foto sopra il vigneto Colombarola, dove si applica l’agricoltura biodinamica a Valtidone Piacenza
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Una vita troppo tranquilla di Andrea Mazzarella
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ruman è un uomo apparentemente normale. Vive una vita tranquilla nella tranquilla isola di Seahaven, ha una moglie, degli amici, un normale lavoro da assicuratore; un milione di persone però osserva tutti i giorni ogni istante della sua vita. Truman Burbank è infatti il protagonista del Truman Show, trasmissione televisiva in diretta 24 ore su 24 in mondovisione. Nello studio più grande mai costruito, un intero paese con tanto di mare e sole artificiali, un impressionante numero di attori e comparse animano una cittadina costruita ad hoc per un unico personaggio, quello vero, True – Man per l’appunto. Dietro tutto questo c’è Christof (altro nome abbastanza significativo), eccentrico e perverso ideatore e regista dello show, che osserva da trent’anni le vicende del giovane avendo ripreso e trasmesso per la prima volta una nascita in diretta. E’ Christof infatti che ha plasmato la realtà di Truman: cinquemila le telecamere con cui lo ha osservato per tutta la vita creando tutte le situazioni, dalle più normali alle più importanti, inserendo i personaggi che sarebbero diventati la famiglia di Truman come la moglie Meryl, o Marlon, l’amico di infanzia. Tutto calcolato dunque, organizzato e pianificato secondo le perverse logiche dello share e della mente di Christof. Solo Sylvia, giovane comparsa di cui Truman si era innamorato durante il liceo, gli rivela la verità; ma la macchina produttiva è troppo forte e la ragazza viene portata via dal presunto padre che la accusa di essere schizofrenica. Anni dopo, nonostante la vita di Truman scorra tranquilla e agiata, inizia a farsi strada nel giovane un desiderio di abbandonare Seahaven Island per esplorare il mondo che ha intorno. Alcuni particolari episodi fanno crescere dei sospetti nel ragazzo, vede qualcosa di strano, qualcosa che non torna. Inizia ad osservare attentamente quello che ha intorno e in un attimo i sospetti si traducono in atroci certezze, scopre un mondo fittizio che però non riesce a interpretare. Per Truman inizia la fuga vera e propria: viene individuato, Christof fa di tutto per trattenerlo, ma Truman resiste. Troverà un muro, la fine del suo mondo finito, e una porta. 152 cinema
Una vita tutta calcolata organizzata e pianificata secondo le perverse logiche dello share.
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eter Weir (L’attimo fuggente, Master and commander), coglie nel segno con una tagliente e pessimistica accusa al potere del mezzo televisivo in grado di influenzare, condizionare e imprigionare un uomo per la fame del pubblico. L’esagerazione è direttamente al servizio della forza della vicenda. Ambientato in America, in un’epoca dove i reality show erano una novità, questo film dipinge una realtà dove il mezzo televisivo si insinua nella parte più intima di persone normali che, diventando delle star per qualche tempo, vengono gettate in pasto ad un pubblico affamato di “verità”. In Italia il film è arrivato anticipando di due anni l’inizio della prima edizione del Grande Fratello, andata in onda nel 2000 e che oggi è giunta alla sua 10° edizione; nel mezzo c’è stato spazio anche per altri format come l’Isola dei Famosi, la Fattoria, Music Farm, la Talpa, solo per citarne alcuni. Titoli diversi per contenitori assolutamente uguali, dove il meccanismo è quello di riuscire a sopravvivere ai danni degli altri concorrenti, mettendosi in mostra grazie al superamento di prove fisiche e mentali, sfoggiando doti di leadership indotte da una competizione e lotta al potere messe in atto dalla produzione. Non solo incubo cinematografico quindi, ma realtà televisiva che si è avverata e che sopravvive con successo grazie alla complicità del pubblico. Sedotto da un voyerismo divenuto lecito, il popolo televisivo si attacca alla televisione per seguire ogni puntata in diretta e le strisce quotidiane che propongono “il meglio di”, dove ovviamente gli autori dei programmi selezionano gli episodi più pruriginosi: gli scoppi d’ira, lo sbocciare di amori e nuove amicizie, le alleanze tra i diversi concorrenti. La TV a pagamento ha dato poi un nuovo incentivo al pubblico dei reality, che ha l’opportunità di seguire in diretta, spesso 24h su 24h, gli avvenimenti all’interno della Casa, sull’isola, nella fabbrica della musica... e di interagire con i programmi tramite votazioni, invio di sms e altre operazioni simili. Paradossalmente se guardando il film “Truman Show” chiunque ha colto e condiviso la critica del regista al reality di per sé e all’atteggiamento di assuefazione del pubblico, nella realtà televisiva odierna si verifica ancora un attaccamento e un notevole successo di questi format.
Il film è arrivato in Italia anticipando di due anni la prima edizione del Grande Fratello
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Una vita troppo tranquilla
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orse perché risvegliano e fanno presa sulla parte più curiosa dell’Uomo e sulla possibilità, almeno nella finzione televisiva, di sperimentare un totale potere di vita e di morte, seppur figurativa, sui propri simili tramite il meccanismo dell’eliminazione. Queste possono essere le uniche giustificazioni possibili data la pochezza culturale di programmi del genere che dopo aver rappresentato nelle prime edizioni delle novità televisive sono diventate oggi pietose messe in scena di situazioni false e preconfezionate, decise a tavolino dalla produzione e che al massimo portano beneficio a decaduti personaggi dello spettacolo che intraprendono la strada del reality per ritrovare una certa popolarità dando in pasto la propria vita privata al pubblico e giocandosi, diciamocelo, anche una certa dignità. Il meccanismo quindi è più che altro commerciale, se da un lato il pubblico sceglie di farsi complice, dall’altro sono gli stessi reality che scelgono e determinano il loro pubblico incontrando il gusto di adolescenti, casalinghe o anziani che passano molto tempo davanti alla TV e alla fine scelgono e subiscono assieme questi programmi. Ma se ad un certo punto nel film in analisi, quando Truman decide di abbandonare lo show, le persone al di là dello schermo si domandano cosa ci sia sugli altri canali, e provano così ad andare oltre, il pubblico italiano oggi ha ben poco da cambiare canale: reti diverse, titoli diversi ma stessi format, anche laddove sembra che si voglia fare informazione vera. Basti pensare agli intrattenimenti della domenica pomeriggio, sia sulla TV di stato che su quella commerciale. La gente ormai è abituata a portare in piazza i propri drammi, spesso davvero tragici, e i conduttori, o chi per essi, accolgono come avvoltoi queste opportunità di innalzamento di share romanzando sul modello del reality, quando sarebbe più saggio solo un velo di pudore, rispetto e silenzio. La logica, ribadiamo, è ancora solamente commerciale; Truman ci aveva avvisato e intanto la Junk-TV continua la sua opera di persuasione subliminale. 154 cinema
La gente è abituata a portare in piazza i propri drammi e i conduttori li accolgono come avvoltoi
BOMBONIERE UNICEF. COSÌ I RICORDI PIÙ BELLI NON SARANNO SOLTANTO I TUOI.
Trasforma ogni ricorrenza in un aiuto concreto. Con una bomboniera UNICEF scegli di legare i momenti più importanti della tua vita al futuro di milioni di bambini. Un gesto d’amore che servirà a comprare zanzariere antimalaria, vaccini contro il morbillo, matite per la scuola in paesi come Niger, Haiti, Eritrea e tanti altri: sul sito dell’UNICEF potrai scoprire dove sono arrivati i tuoi aiuti. Trasforma la tua festa in quella dei bambini di tutto il mondo. Matrimonio, battesimo, comunione, cresima, laurea: scegli la tua bomboniera su
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libri
Ripassiamo la lezione di Alessandra Tettamanti Un volo su ali di carta per approfondire i temi trattati in questo numero di Ak
TELEVISIONE Di G. Mazzoleni e A. Sfardini Politica pop. Da “Porta a porta” a “L’isola dei famosi” La domanda è questa: è la TV che fa uso della politica o viceversa la politica che usa la TV? Fatto sta che la politica si è spostata dai comizi in piazza di una volta alle “ospitate” televisive: tutto è spettacolo! Gli autori si interrogano e ci interrogano sull’uso della TV ma in particolare sul diritto/dovere dell’informazione che compete soprattutto alla televisione pubblica. Che ruolo ha il pubblico, il cittadino, noi? Di E. Fazioli Biaggio Video dipendenti o videointelligenti? Per un uso corretto della televisione Questo libro si rivolge ai genitori, perché la 156 libri
TV è diventata una presenza “fisica” e costante soprattutto nei confronti dei bambini. Come utilizzarla in modo corretto e consapevole senza perciò demonizzarla? Un’analisi approfondita che raccoglie oltre alle riflessioni dell’autrice anche pensieri delle psicologhe Anna Oliverio Ferrari e Vera Slepoj, del neuropsichiatria infantile Giancarlo Rigon, dello psichiatra Bruno Bettelheim e di scrittori per bambini quali Cristina Lastrego e Francesco Testa. Di K. Popper Cattiva maestra televisione Come può un semplice elettrodomestico interferire così tanto sulla vita delle persone? Poche pagine, profonde e brillanti, in anticipo sui tempi; un saggio che molto fece e ha fatto discutere dalla sua prima pubblicazione offrendo ad ognuno tanti spunti per pensare!
BIODIVERSITÀ E. O. Wilson La diversità della vita. Per una nuova etica ecologica La prima edizione italiana di questo libro risale al 1993. In questo libro si parla del processo evolutivo che in seicento milioni di anni ha prodotto la straordinaria differenziazione delle specie animali e vegetali. L’autore intende dimostrare come i mutamenti climatici ( provocati da eruzioni vulcaniche, catastrofi naturali, deriva dei continenti) abbiano interrotto bruscamente questo processo per almeno 5 volte. Come una sorta di “macchina intelligente” ogni volta l’evoluzione ha assorbito “la battuta d’arresto” è ha fatto in modo che la biodiversità non ne risentisse e non s’impoverisse. Oggi giorno assistiamo ad un’imponente sesta fase di attacco alla biodiversità, con cause non tanto naturali ma attribuibili all’azione dell’uomo: specie di uccelli stanno scomparendo, si estinguono pesci d’acqua dolce in Africa e Asia, sparisce la flora e la fauna delle foreste tropicali... Un libro che vuole essere un disperato S.O.S. ma anche un’appassionata dichiarazione d’amore per la terra e per la sua incredibile diversità e varietà.
Di C. Spadaro Il frutto ritrovato. Mappa della biodiversità in Italia: vademecum per scoprire e salvare semi e frutti dimenticati. Una vera e propria mappa geografica di semi e frutti antichi: storie di “custodi di semi” che coltivano varietà “clandestine”, orti didattici, eventi sulla biodiversità in Italia, come scambiare semi o produrre sul proprio balcone. A quale scopo? Perché non si può vivere senza differenze.
Di S. Vandana Campi di battaglia. Biodiversità e agricoltura industriale Non ha certo bisogno di presentazioni la fisica indiana Vandana Shiva, conosciuta in tutto il mondo per le sue battaglie a favore dell’ambiente e contro gli OGM. In questo volume, si parla di agricoltura industriale e dell’uso intensivo di combustibili fossili, impiegati per produrre fertilizzanti e pesticidi e per alimentare il sistema agricolo globale. Senza dubbio, grazie alla chimica e alla meccanizzazione dell’agricoltura si possono soddisfare i fabbisogni alimentari di un numero enorme di individui. Ma siamo sicuri che la risposta alla crescente domanda di alimenti siano la modificazione genetica dei cibi, i brevetti sulle sementi e sugli organismi e monocolture estreme? Non si rischia in questo modo di amplificare i danni già prodotti agli ecosistemi e alle popolazioni che li abitano?
Di B. Neil Goodbye logo. Come mi sono liberato dall’ossessione dei marchi E’ possibile, in una società “griffata” come la nostra fare a meno della “firma”? Secondo l’autore sì, dimostrando ai tanti “marchiodipendenti” che ci si può sentire realizzati, essere e vivere felici senza spendere tutto e nel possedere oggetti firmati! Un libro che non ha certamente lo spessore e la valenza di “No logo” di Naomi Klein, ma che può rappresentare una lettura piacevole e interessante.
ECONOMIA Di L. Martin Neuromarketing. Attività cerebrale e comportamenti d’acquisto Una ricerca molto originale, della durata di tre anni, duemila volontari, per capire quali meccanismi psicologici stanno dietro allo “ I love shopping “ di ognuno di noi. Perché compriamo una cosa invece di un’altra? Cosa influenza le nostre decisioni? Una pubblicità ammiccante, simpatica, una musichetta che non riusciamo a smettere di canticchiare, un’immagine che colpisce la nostra fantasia? I risultati a cui l’autore è pervenuto non sono per nulla scontati, anzi.
LONDRA DI V. Agostinis Londra chiama. Otto scrittori raccontano la loro metropoli La città più sorvegliata del mondo, ma anche la più multiculturale, con la City e con la monarchia più conosciuta, ma anche quella in cui si svolgeranno le prossime ak adlige klein 157
Ripassiamo la lezione Olimpiadi nel 2012. Londra vista e narrata da 8 scrittori, londinesi di fatto anche se magari non di origine, tra cui Hornby e Ballard.
Un insolito viaggio alla scoperta di curiosità, leggende, ed eventi sconosciuti sulla storia e sulla Londra odierna. Un libro divertente e accattivante!
Di R.Bertinetti Londra. Viaggio in una metropoli che non si ferma mai Esistono centinaia di guide turistiche su Londra. Questo libro, presenta come una serie di aspetti particolari della Londra contemporanea: si parla delle strade dello shopping e dei loro inventori, si esplorano i quartieri centrali e periferici narrando le storie di chi li abita, si entra nei grandi musei e negli studi degli artisti di maggior fama, si fa chiarezza sul significato delle regole di comportamento rispettate nei pub e nei club, si spiegano i motivi alla base del successo di un’industria musicale che da mezzo secolo non smette di scoprire e promuovere nuovi talenti. Senza dimenticare la Londra tradizionale, la famiglia reale, la City, le redazioni dei quotidiani, gli immensi parchi e “il fiume”.
Di D. Andrew Secret London: exploring the hidden city with original walks and unusual places to visit. Un libro pieno di sorprese, per ripercorrere i perimetri delle antiche mura lungo il Tamigi e i suoi canali, i giardini e i cortili, i percorsi sotterranei...
Di S. J. Peter Instant English Per tanti, l’autore è noto per la versione inglese di Zelig, per i suoi interventi alla radio o per i suoi simpatici siparietti sulla rivista Speak Up. Questo libro è invece una guida molto pratica e divertente, completa ed efficace, in cui regole grammaticali e i meccanismi della lingua inglese vengono spiegati in italiano per gli italiani, e solo in una fase successiva si passa alla pratica in english. E….funziona! Di C. Winn I never knew that about London 158 libri
ECOSOSTENIBILITÀ Di F. Brunini Il piccolo libro verde del viaggio. 250 consigli ecosostenibili E’ veramente realizzabile il Turismo ecosostenibile? Basta leggere questo piccolo pamphlet per essere informati sui mezzi di trasporto, la scelta degli alberghi all’alimentazione, dai regali all’abbigliamento, dalle fotografie ai bagagli, 250 consigli pratici e semplici da seguire per viaggiare a impatto zero (o quasi). Di M. Martorana I love swapping. La guida alla nuova tendenza ecosostenibile: il baratto Fare swapping, ovvero barattare, è un fenomeno in costante crescita. In effetti, si può barattare di tutto: dalla casa per le vacanze ai singoli articoli d’arredamento, dai capi d’abbigliamento agli accessori, fino a barattare il proprio tempo, le proprie capacità lavorative e creative. Il baratto si può inoltre intendere come un modo originale e “semi-nuovo” per risparmiare, riciclare, allungare la vita di tanti oggetti che altrimenti finirebbero dimenticati.
“L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi.” Kahlil Gibran
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Alcuni momenti della manifestazione. Ph: Rosy Romano 160 musica
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Avanguardia a Como di Giulio Bianchi
Tre giorni di spettacoli multimediali, mostre, conferenze, workshop e soprattutto tanta ottima musica per rilanciare Como come polo della cultura d’avanguardia, un ruolo che più non le compete dall’epoca del Razionalismo, giusto un secolo fa. E’ questa la sfida lanciata dal gruppo di ricerca di Tec Art Eco (info: www.tecarteco.net) che ha promosso a Como la scorso ottobre il Festival “01 Germinazioni”, rassegna di arte, musica e tecnologia d’avanguardia. La manifestazione si è articolata in una serie di incontri con artisti e pensatori di livello internazionale come Alva Noto, Eduardo Kac e Leo Hickman ed in varie performance di giovani autori provenienti da “Call for proposal”, un bando direttamente collegato a Tec Art Eco e il bando “Nuovi Autori Oggi”, emesso con il sostegno di Fondazione Cariplo. Personalmente ho seguito alcune di queste esibizioni rimanendo affascinato dalle potenzialità espresse dal computer in ambito musicale ed ho quindi invitato la cortesissima Ariella Vidach, coreografa milanese e portavoce di Tec Art Eco, a tracciare un bilancio della rassegna. Come è stato accolto il Festival? Benissimo, in modo superiore alle attese sia per la partecipazione del pubblico sia per lo spazio concesso dalla stampa locale. Così siamo già all’opera per preparare la prossima edizione che si svolgerà a Lugano nel maggio 2011. Da chi è stata seguita la rassegna? Da un pubblico prevalentemente giovane, incuriosito dall’originalità della proposta. Tenuto conto che spesso tendiamo ad appassionarci ad un solo linguaggio artistico e ad ignorare le altre forme espressive, possiamo affermare che il programma del festival non era dei più facili, perché spaziava in settori diversi coniugando arti visive, musica, danza. Siamo perciò molto soddisfatti della risposta del pubblico. Mi pare che una caratteristica di tutti gli artisti coinvolti sia la tendenza a creare uno stretto legame tra suono ed immagine. L’abbinamento suono-immagine è una forma di espressione nata grazie all’opera di artisti come Steina e Woody Vasulka, pionieri della Video Art. I loro esperimenti, iniziati negli anni ‘60, comportano una visualizzazione del suono mediante immagini che continuano a modificarsi in base alle tonalità e alle vibrazioni delle note stesse. I moderni DJ set, proposti attualmente in tutti i club, non sono che il risultato di questi studi svolti all’inizio da artisti realmente
di nicchia. I partecipanti al festival non rientrano comunque in un’ottica commerciale, ma, pur utilizzando le risorse dell’attuale tecnologia, operano in ambito artistico portando avanti con coerenza e rigore questo tipo di ricerca. La contaminazione tra arti visive e suono ha in Alva Noto, la cui partecipazione al festival è stata seguitissima, uno degli esponenti di spicco a livello mondiale. Lui è un’artista a tutto tondo, una persona assai sensibile capace di captare stimoli diversi e di elaborarli in varie forme. Non solo un musicista, quindi, ma anche un artista visivo che, anzi, nasce proprio come tale. I suoi concerti e DJ set avvengono successivamente, in un periodo in cui, smarrita temporaneamente la propria originaria ispirazione, inizia a frequentare i club e a farsi attrarre dalla musica. Oltre ad Alva Noto la rassegna ha messo in luce altri artisti molto validi. Puoi segnalarcene qualcuno? Tra i giovani più interessanti indicherei l’eccezionale duo Partesna/Duncan che opera prevalentemente a Parigi proponendo inquietanti paesaggi sonori ed il Teatrino Elettrico, gruppo che fonde sonorità meccaniche prodotte da oggetti di uso comune animati per mezzo dell’elettricità con l’emozione della musica suonata dal vivo, senza campionamenti o registrazioni. Non trovi che emergano rilevanti analogie tra l ’avanguardia musicale che proponete e le forme più radicali di musica techno? Certo, noi siamo molto attivi nel cogliere quanto c’è in circolazione, dalle forme espressive più popolari a quelle più ricercate e personali. Così la techno può essere creata a livello seriale come musica puramente commerciale, ma può anche rivelarsi un’autentica forma artistica di espressione urbana. Cosa puoi dirci in merito alla scelta delle particolarissime locations delle esibizioni? E’ stata una scelta essenziale per valorizzare gli spettacoli proposti e per risvegliare l’interesse dei comaschi verso luoghi che abitualmente non frequentano. In particolare l’idea di aprire al pubblico la torre Gattoni, nell’angolo sud ovest delle mura cittadine, è stata ottima anche per la grande suggestione dell’installazione industriale contenuta al suo interno. ak adlige klein 161
eventi - festival del design in brianza
Design chiama Brianza Dal 15 ottobre al 13 novembre Cantù, Monza e Como sono state le protagoniste del Festival del Design in Brianza, un percorso di promozione territoriale per riposizionare la Brianza e per richiamare l’attenzione dei mercati internazionali su un territorio e sulle sue imprese industriali ed artigiane, sulla loro creatività, sulle loro produzioni fatte di eccellenza, qualità, senso estetico ed innovazione. La Brianza non è un territorio di anime belle che si accontentano di osservare il mondo; lo vogliono trasformare attraverso le proprie qualità, ovvero disegnare e produrre oggetti, prodotti che non sono soltanto utili, ma soprattutto sono belli e riconoscibili. La Brianza si è raccontata seguendo un percorso creativo attraverso quattro punti cardinali: (1)immagini tradotte in un cortometraggio d’autore “Il Pensiero della mano” con la supervisione del regista Silvio Soldini; 162 eventi
(2)parole tradotte in quattro convegni tematici di respiro internazionale: “Economia e Territorio”, “Informazione e Formazione”, “Innovazione e Materiali”, “Una Nuova Generazione per il Design” a cui hanno partecipato i nomi più importanti del mondo del design tra i quali Pesce, Citterio e Marc Sadler; (3) pensiero tradotte in Laboratori / Mostre sulla creatività dedicate a bambini ed adulti; (4) segni che ha preso forma con la Collezione “Mille Fiabe da narrar”: dodici pezzi a tiratura limitata risultato del lavoro fra piccole e medie imprese e giovani designer affermati. E’ importante oggi attuare una strategia comune per guardare al mondo come sistema unitario e l’edizione 0 del Festival del Design in Brianza ha intrapreso proprio questa strada. Non resta che dare appuntamento all’edizione 2011. Info: www.festivaldeldesign.it
TUTTI I PARTECIPANTI AL FESTIVAL Hanno partecipato importanti nomi del mondo del design tra i quali Gaetano Pesce, Antonio Citterio, Carlo Colombo, Ferruccio Laviani, Marc Sadler, Franco Origoni; del mondo imprenditoriale, Paolo Boffi (Boffi spa), Federico Busnelli (B&B Italia), Giulio Meroni (Meritalia), Daniela Mascheroni (Misuraemme), Giuliano Mosconi (Tecno), Maurizio Riva (Riva1920), Aurelio Rigamonti (Limonta); del mondo editoriale tra i quali Dario Di Vico e Alessandro Cannavò (Corriere della Sera), Aldo Colonnetti (Ottagono), Ettore Mocchetti (AD), Matteo Vercelloni (Interni), Francesca Taroni (Case da Abitare), Stefano Casciani (Domus); del mondo della ricerca e innovazione come Walter de Silva (Centro Stile Volkswagen), Elio Caccavalle (Università di Dundee), Alberto Cigada (Politecnico di Milano), Stefano Porretta (Comonext), Carmelo Di Bartolo (Design Innovation), Angelo Paris (Expo2015); del mondo della formazione tra cui Carlo Forcolini (Ied Milano) e Alì Filippini (Scuola Politecnica di Design); del mondo istituzionale con rappresentati di Camera di Commercio e Confindustria Monza e Brianza, Confindustria Como; Nella pagina a sinistra un momento del laboratorio, sopra le attività di gioco dedicate ai bambini, a destra un momento del convegno del 6 Novembre e il regista Soldini.
eventi - parolario 2010
il tempo del libro Nelle foto, dall’alto a sinistra in senso orario Cristiano De Andrè, Maurizio Milani e Silvia Veggetti Finzi. Foto Carlo Pozzoni
164 eventi
Ha compiuto dieci anni la manifestazione “Parolario”, dieci anni di incontri a Como in piazza Cavour. Tanti autori, scrittori, filosofi, registi che si sono alternati in questo salotto culturale divenuto appuntamento fisso a chiusura delle estati comasche. E per i suoi dieci anni di attività non poteva che essere scelto il tema del tempo, come riflessione sulla Storia, l’evoluzione, il tempo oggettivo e soggettivo, il tempo nell’arte e nella musica, l’eternità, il mutamento di valori e idee. Tanti gli ospiti, tra cui in ordine sparso Corrado Augias, Benedetta Tobagi, Gualtiero Marchesi, Michele Mari e molti altri. Due inoltre i focus geoculturali attorno cui riflettere; da un lato i paesi scandinavi con la produzione giallistica di Larsson, Ola Dahl, Helgason, dall’altro la Turchia in bilico tra Asia e Europa dove la libertà di pensiero non è così scontata e mette ancora in pericolo molti intellettuali. Il tema del tempo ha dato anche l’occasione per rileggere alcuni classici emblematici come Marcel Proust e la sua Recerche, o l’Ulysses di Joyce, o ancora una biografia su Pirandello
di Matteo Collura, Manzoni con un’analisi di “il tempo di Don Abbondio” grazie anche alla presenza di Gianmarco Gasparri di Casa Manzoni Milano, per chiudere poi con il Canzoniere di Petrarca riletto da Giuseppe Frasso e Armando Torno. Una novità di questa edizione è stata anche la presenza di editori e librai, riuniti in una tavola rotonda dedicata ai “Nordici che scaldano le classifiche”. Spazio anche alla poesia con l’iniziativa “il poeta del giorno” dove ogni sera era previsto un incontro con un poeta locale e spazio anche ai giovani, in particolare ai ragazzi della scuola Dreamers che hanno visto proiettati i filmati da loro realizzati durante l’anno sotto la supervisione del regista Paolo Lipari. A corollario della manifestazione anche il ciclo di incontri filosofici, il ciclo di film serali e il concerto emozionante di Cristiano De Andrè in trasferta a Campione d’Italia per una serata che ha riproposto i brani più famosi di suo padre Fabrizio. Bilancio positivo e già proiettati al prossimo anno! Info: www.parolario.it
eventi - Lo sportivo dell’anno
sport e solidarietà Nelle foto Giacomo Poretti con Beppe Bergomi, il comico Pucci, Pirlo, Zambrotta e Alessandro Nesta, Aldo Baglio.
Serata a tutto sport lo scorso 28 ottobre all’Ippodromo del Trotto di Milano, ma soprattutto serata benefica organizzata dall’associazione Onlus “Agorà 97” e il Gruppo Sportivo “I Bindun” con Gazzetta dello Sport; il titolo? “Lo sportivo dell’anno Golden Award 2010” nella sua prima edizione. L’obiettivo era quello di raccogliere fondi per le case famiglia che fanno parte di “Agorà 97”, una realtà socio-educativa-sanitaria presente sul territorio della provincia di Como che da sempre, supportata dai “Bindun”, si occupa di disagio sociale e psichico accogliendo e curando adulti e bambini, neonati e adolescenti particolarmente svantaggiati nelle quattro case a disposizione. La serata è stata presentata dalla nota Ilaria D’Amico, volto della TV sportiva per diverse trasmissioni ed è stata lei ad annunciare il vincitore del premio ambito che vedeva nella rosa dei papabili Alex Del Piero, Riccardo Montolivo, Alessandro Nesta, Andrea Pirlo, Javier Zanetti, Ivan Cordoba, Esteban Cambiasso, Sergio Pellisier e Giampaolo
Pazzini; tutti scelti dal Comitato della Gazzetta e dal G.S. “I Bindun”. A vincere, perché maggiormente votato nel sondaggio lanciato on-line proprio dalla Gazzetta, è stato Alex Del Piero a giudizio dei votanti calciatore eccellente nello sport e nella vita, esempio quindi per molti giovani che guardano al mondo del calcio e ai suoi protagonisti. Durante la serata una lotteria e un’asta benefica hanno permesso la raccolta di fondi per “Agorà 97”, grazie alla generosità dei calciatori presenti ma anche degli altri ospiti che come Aldo, Giovanni e Giacomo non hanno mancato di donare sorrisi e speranze per i piccoli e grandi ospiti delle case famiglia. Per informazioni sulla cooperativa Agorà 97 e per essere sempre aggiornati sui loro progetti di solidarietà: www.agora97.it , tel. 031 806510. Per informazioni sull’associazione I Bindun: www.ibindun.it ak adlige klein 165
eventi - comoluxury 2010
72 ore di lusso E’ stata un’altra edizione di successo quella 2010 di Como Luxury, la fiera del lusso che ha animato per 72 ore, lo scorso settembre, Villa Olmo, villa neoclassica di intatta bellezza posta nel Primo Bacino del Lago di Como. Un percorso tra le cose belle della vita, tra il turismo, l’oro, i gioielli e il cioccolato, il benessere fisico e il mangiare e bere bene. Tanti i visitatori qualificati e i semplici curiosi che si sono lasciati incantare da un’atmosfera di sogno. Sì perché quest’anno il tema era la Bella Epoque, ricordato proprio come un periodo di lussi e sfarzo che è stato celebrato tramite una riuscitissima festa a tema e l’esposizione di auto d’epoca arrivate nel parco della villa la domenica mattina. Ma la fiera è stata anche occasione per un confronto sul turismo di lusso legato al Lago e alla città di Como, con un convegno dedicato che ha aperto la tre giorni comasca ed è stato poi sviscerato durante tutto l’arco della manifestazione. Tanto spazio ha avuto anche un terzo tema atteso dalle 166 eventi
giovani coppie con progetti matrimoniali e a chi ancora piace perdersi nel romanticismo a cinque stelle; si tratta del Luxury Wedding, il matrimonio di lusso che diventa vero e proprio evento per la coppia e i suoi invitati. Ospiti d’eccezione due stilisti di fama internazionale come Lorenzo Riva e Marina Mansanta. Ad animare Como Luxury 2010 sono stati anche molti eventi collaterali: dal fuori salone all’asta benefica per la Fondazione Stefano Borgonovo, organizzata dal Rotaract di Como, che ha raccolto oltre 2.500 euro da destinare alla lotta contro la sclerosi amiotrofica laterale. Gran finale poi per gli espositori con la cena di gala ospitata al Grand Hotel Villa Serbelloni di Bellagio, con un menù studiato appositamente dal grande chef Ettore Bocchia, chiuso dal suo celebre gelato estemporaneo. Non resta ora che lavorare alla prossima edizione che si mormora potrebbe essere spalmata su dieci giorni a coprire due week-end e più location. Info: www.comoluxury.it
eventi - comon 2010
Como e l’acqua Chiusura decisamente positiva per ComOn 2010, la manifestazione comasca arrivata alla sua terza edizione che vuole essere un concentrato di arte, design e creatività a supportare su scala europea i giovani che si affacciano a questo mondo. Nata sotto la guida di Confindustria Como e l’intuizione di un gruppo di giovani imprenditori lariani, anche questa edizione ha avuto grande successo e dal 17 al 24 ottobre scorso la città di Como è stata animata da una forte spinta creativa tra mostre, installazioni, conferenze. Interessante ad esempio l’esposizione temporanea in Piazza del Popolo che ha visto protagonisti i prototipi realizzati da 11 coppie di giovani designer, che hanno potuto seguire uno stage presso alcune aziende del mobile e dell’arredo in Brianza, arrivando a creare oggetti secondo l’idea del riciclo di idee e materiali. O ancora l’installazione video curata da Olo Creative Farm, tre giovani comaschi che hanno vestito Palazzo Terragni con immagini sublimi ed effetti
inaspettati la sera dell’inaugurazione di ComOn: distrutto, ricostruito, sciolto, consolidato e fatto ruotare ha suscitato lo stupore dei presenti. E poi ancora la mostra ospitata a Villa del Grumello organizzata dall’associazione no profit H2O “Nuovi scenari per la sopravvivenza”, contenente 160 progetti di architetti, designer e grafici che affrontano il tema della risorsa acqua, bene tanto prezioso quanto attualmente minacciato. E il tema dell’acqua ha fatto da corollario per tutta l’edizione 2010 di ComOn che portava proprio il titolo “Water Inspired”. Come ci dice Umberto Amato, ufficio stampa dell’evento,“ora ComOn è davvero sentito dalla gente, soprattutto un grande successo è stato registrato tra i ragazzi dell’area fashion che hanno partecipato agli stage in azienda”. E per il prossimo anno tante sono le idee che già scalpitano, per tenersi informati basta fare riferimento al sito www.comon-co.it
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eventi - l’arte di fresu da galp
Aperitivi fiabeschi Ancora una volta Galp – Galleria La Perla di Olgiate Comasco offre l’occasione per un momento di cultura e arte ospitando la mostra personale di Paolo Fresu, affermato artista astigiano conosciuto tramite i suoi quadri “fiabeschi e teatrali”. Dopo una lunga esperienza proprio nel mondo del teatro, come costumista e scenografo, Fresu ha coltivato e coltiva tutt’ora il suo talento artistico e quella passione per il disegno che ha avuto fin da bambino; il risultato sono opere come piccole istantanee che con ironia immortalano i rappresentanti della borghesia e del potere all’interno della nostra società odierna sotto forma di re, regine, principesse, giullari, fanti a cui fanno da contraltare servitori, mercanti, popolani. L’obiettivo, come nota il critico Alvaro Valentini, è quello di rappresentare le due facce della società; da un lato emerge la parte regale e nobile dove la ricerca dello status symbol prevale, dall’altro la parte povera dove semplicità e arguzia diventano simbolo di naturalezza. L’ironia è la chiave di lettura principale per comprendere l’opera di questo artista che al castello di certezze di taluni contrappone un “sano dubbio”, a lasciare aperto il dialogo tra le persone e le possibilità di ricerca artistica e personale. Come lui dice sono poi gli spettatori dei suoi “teatri iconografici” a dare un senso e a trovarvi dei significati; 168 eventi
ognuno può ritrovare sé stesso in quei personaggi, soprattutto in quel Pinocchio che spesso ricorre e che in fondo è simbolo di una maturità che nessun uomo raggiunge fino in fondo e che tutti ricercano sino alla fine senza alcuna certezza di riuscita. Opere che mettono allegria, dai tratti decisi e facilmente riconoscibili, che mischiano i materiali più diversi (legno, metallo, stoffa, carta), che privilegiano colori accesi e che liberano la fantasia dello spettatore facilmente portato a proseguire nella sua mente il gioco teatrale indotto da quel palcoscenico, in cui interagiscono i personaggi tra complicità e doppiezza, intrigo e finzione. Come ha sottolineato Paolo Conte, commentando l’opera di Fresu, “la sua fantasia e la sua cultura (teatralità, sacralità e dissacralità, medioevo, Monferrato, Vittorio Alfieri, Guglielminetti, Gianduia, Luzzati, Rouault) gli fanno compagnia mentre dipinge e rimangono nella sua pittura”. La mostra, inaugurata sabato 13 novembre con la presentazione a cura del prof. Manrico Zoli, rimarrà aperta fino all’8 dicembre con i seguenti orari: da martedì a sabato dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 19.15, lunedì mattina chiuso. Info: Galp Galleria La Perla P.za Umberto I, 9 22077 Olgiate C.sco (Co) Tel. (+39) 031944063 www.cornicilaperla.it
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Agenda A cura di Vanessa Ferrandi
fino al
20 feb
Araki Love and Death Museo d’Arte, Villa Malpensata, Lugano
Nell’ambito del progetto “Nippon. Tra mito e realtà: arte e cultura del Paese del Sol Levante” che si concretizza attraverso quattro grandi mostre e numerose iniziative dedicate alla cultura del Sol Levante, arriva a Lugano con una notevole retrospettiva Nobuyoshi Araki, uno tra i più famosi e celebrati fotografi al mondo. Il Museo d’Arte ospita infatti un’esposizione che documenta l’opera dell’artista nelle sue diverse sfaccettature: oltre alle celebri serie autobiografiche, come ad esempio Sentimental Journey/ Winter Journey che narra la relazione fra Araki e la moglie Yoko dal giorno del loro matrimonio fino alla malattia e prematura scomparsa di lei nel 1990, sono documentati i paesaggi urbani, le evocative immagini di fiori e di cibo, le poetiche serie dedicate al cielo e naturalmente le serie di nudi femminili e bondage cui, più che a ogni altro soggetto, si lega la fama del fotografo. La mostra si articola tra più di duemila scatti di medio e grande formato, che insieme al grande mosaico di polaroid scattate dall’artista nel corso degli anni, investono e disorientano il visitatore con il loro forte impatto visivo. Un esposizione imperdibile e unica nel suo genere, grazie anche alla presentazione in anteprima degli ultimissimi lavori di Araki, che mostra non solo le sue capacità e la sua urgenza di catturare il continuo mutare della realtà attraverso una documentazione fotografica serrata, ma anche il forte rapporto con la cultura nipponica, che ben emerge, anche per un profano, attraverso le sue opere. Per informazioni: www.mdam.ch
17 dic
Baustelle al Live Live Club, Trezzo sull’Adda, Milano
Per celebrare 10 anni di carriera i Baustelle tornano ad esibirsi dal vivo, dopo la ripubblicazione di “Sussidiario illustrato della giovinezza”,il loro primo album. Il 17 dicembre 2010 li vedremo al Live Club di Trezzo sull’Adda (Mi).
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17 /20 feb
Borsa Internazionale del Turismo FieraMilano – Rho.
Per gli operatori del settore ma anche per il pubblico che ama viaggiare. Dal 17 al 20 febbraio 2011 si svolge a Rho un appuntamento annuale molto atteso: è Bit, Borsa Internazionale del Turismo, la più grande esposizione al mondo dell’ offerta turistica italiana, che ti tiene aggiornato sui trend e le novità del mercato attraverso la visita agli stand e anche grazie ad un fitto calendario di eventi. FieraMilano – Rho. Per informazioni: www.bit.fieramilano.it
24 gen
Max Gazzè in concerto Teatro Manzoni di Milano
Dopo il successo del suo ultimo album “Quindi ?” il poliedrico Max Gazzè si esibirà il 24 gennaio 2010 al teatro Manzoni di Milano . Biglietti su www.ticketone.it
fino al
06 feb
Il viaggio esoterico di Ciurlionis Palazzo Reale di Milano
Palazzo Reale presenta la mostra intitolata “ Ciurlionis. Un viaggio esoterico” del pittore e musicista lituano considerato uno dei fondatori dell’arte moderna del suo paese. Ciurlionis è poco conosciuto nella scena internazionale, nonostante il Musèe d’Orsay gli abbia dedicato un’importante mostra nel 2000. Ed è per questo motivo che Milano offre questa retrospettiva che esprime l’ interesse dell’ artista per la filosofia orientale, il culto del sole nell’antico Egitto, il paganesimo. Esposte più di 79 tempere e pastelli su tela o cartoncino, oltre a 30 acquarelli, chine e disegni, 24 fotografie e documenti del pittore che ha influenzato molti colleghi contemporanei e non solo. Tra i suoi “ammiratori” Ciurlionis contava Stravinskij, il Premio Nobel per la letterature Romain Rolland e il grande Kandinskij. Un occasione imperdibile per scoprire e indagare le opere misteriose di un insolito artista.
fino al
06 feb
Vincent Van Gogh al Vittoriano Complesso del Vittoriano, Roma
Erano più di 20 anni che la capitale non dedicava una mostra alle opere del grande Vincent Van Gogh. E per rimediare, fino al 6 febbraio 2011, il Complesso del Vittoriano di Roma organizza un percorso espositivo con oltre settanta capolavori tra dipinti, acquarelli e opere su carta del maestro olandese e circa quaranta opere dei grandi artisti che gli furono di ispirazione – tra i quali Millet, Pissarro, Cézanne, Gauguin e Seurat. “Vincent Van Gogh. Campagna senza tempo – Città moderna”, questo è il titolo della mostra, che analizza le due inclinazioni contraddittorie che spesso guidarono il pittore nella scelta dei soggetti per i suoi dipinti: il suo amore per la campagna, come ambiente fisso e immutabile, e il suo legame con la città, centro della vita moderna e del suo rapido movimento. fino al 31 Dicembre
Zurigo sotto la neve Hall della Hauptbahnhof, Zurigo Fino al 31 dicembre appuntamento per le strade di Zurigo per i coloratissimi Mercatini di Natale. Hall della Hauptbahnhof, la Stazione Centrale della città, si trasformerà in un immenso mercato di Natale, con circa 160 casette in legno con il tetto innevato, che daranno vita a uno dei mercatini al coperto più grandi d’Europa.
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Agenda A cura di Vanessa Ferrandi
fino al
30 gen
2050.Il pianeta ha bisogno di te. Rotonda della Besana, Milano
Il 2010 è stato l’Anno Mondiale della Biodiversità delle Nazioni Unite, e mai come oggi è attuale il tema della sostenibilità della vita sul nostro pianeta. E’ questa la sfida da affrontare ogni giorno e che viene ben rappresentata dalla mostra in programma a Milano, realizzata in partnership con il Science Museum di Londra e in collaborazione con Focus. Articolata in quattro sezioni, che esplorano e approfondiscono gli ambiti fondamentali sui quali agire per migliorare il mondo di domani, come l’alimentazione, il tempo libero, i trasporti e gli edifici. L’esposizione si avvale del supporto delle più moderne tecnologie e si proietta in un ipotetico ma raggiungibile 2050, dove la sostenibilità è frutto dei grandi progetti ma anche dei nostri comportamenti quotidiani. E’ a questi soprattutto che si rivolge la mostra, stimolando tramite un linguaggio multimediale e un approccio interattivo la responsabilità individuale alla costruzione di un domani sostenibile, e agevolando la conoscenza di queste tematiche rivolgendosi ad un pubblico ampio ed eterogeneo, con particolare attenzione ai giovani e ai bambini, che saranno i protagonisti del domani. Importante quindi il ricco calendario di incontri collaterali di approfondimento con esperti internazionali e l’articolata offerta didattica organizzata in percorsi guidati interattivi e laboratori per scuole, gruppi, famiglie. Per maggiori informazioni visitare il sito www.2050ilpianetahabisognodite.it
gen
feb
Immagini “Inquietanti” Live Club, Trezzo sull’Adda, Milano
MediolanumForum di Assago, Milano
In vendita on line sul sito TicketOne.it e tramite call center i biglietti per l’unica data italiana del nuovo tour degli Skunk Anansie. Appuntamento il 12 febbraio al MediolanumForum di Assago! fino al
27 mar
fino al
09
12
Unica data italiana per gli Skunk Anansie
Aperitivo in concerto Teatro Manzoni di Milano
Ritorna al Teatro Manzoni di Milano, fino al 27 marzo 2011, la ventiseiesima edizione di Aperitivo in Concerto, la rassegna musicale dedicata a quelle orchestre che all’epoca dello swing venivano definite infernal machines, macchine infernali del ritmo, con la loro musica improvvisata. Numerosi e internazionali gli ospiti in programma, che si alterneranno sul palco per un totale di 12 concerti, tra cui 6 prime italiane, 3 prime europee e 1 prima mondiale.
Una mostra vietata ai minori di 14 anni, ma che rappresenta una realtà che li circonda e che vediamo quotidianamente o facciamo finta di non conoscere. Questo è Disquieting Images, la discussa esposizione aperta fino al 9 gennaio alla Triennale di Milano, che riassume in poco più di 300 scatti tutto il peggio dell’umanità, dagli anni ’70 ad oggi. Una mostra in cui la fotografia diventa uno strumento nelle mani di 24 grandi maestri contemporanei per investigare sul presente, affrontando in presa diretta il reale, senza temerne le imperfezioni. E allora ecco che ci offrono racconti di regioni lontane, come il Vietnam, l’Afghanistan o il Rwanda, ma mostra anche le vittime della “nostra” mafia, e affrontano tematiche atroci come la violenza sulle donne, sugli animali, gli stravolgimenti ecologici, le guerre. Da visitare per riflettere sul destino del nostro tempo, e smettere di fingere di non sapere. 172 agenda
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Famosi per 15 minuti Emmanuel Yaw Vormawah, 39 anni, Ghanese
Quale veicolo possiede? Un’autoveicolo. Secondo lei qual è il futuro della mobilità? Mezzi pubblici. Come si informa? Con internet, la tv e i giornali. Cane o gatto come animale di compagnia? Preferisco il cane, anche se non ne possiedo. Il problema del clima realtà o finzione? Vero, ma non lo sento vicino. Quale persona vivente ammira di più e perché? Obama, perché ha dimostrato che anche un uomo di pelle nera può essere il presidente degli Stati Uniti! Cosa deplora maggiormente negli altri? Il razzismo e la discriminazione. Qual è la sua idea di felicità? Stare bene con mia moglie e mia figlia Qual è l’opportunità più importante che le ha portato la vita? Riuscire ad arrivare in Europa e diventarne cittadino. Qual è la sua più grande paura? La crisi nel mondo. Dove vorrebbe vivere? Mi piace l’Italia ma vorrei anche tornare un giorno in Ghana. Se fosse un attore chi sarebbe? George Clooney! Qual è il suo libro preferito? Ogni tipo di romanzo. Meglio dare o ricevere? Entrambi. Come si rilassa normalmente? Navigando in internet o leggendo giornali. Quale canzone volesse fosse suonata in sua memoria? Un reggae.
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Natale in Europa A cura di Vanessa Ferrandi
Parigi Fino al 16 gennaio alla Cinémathèque française (51 rue de Bercy), una mostra fotografica, costellata di spezzoni cinematografici, dedicata alle bionde e alle brune del cinema. Da Louise Brooks a Brigitte Bardot, da Catherine Deneuve a Rita Hayworth, un focus sull’hair look delle dive.
Varsavia
Vienna
“Sono varsaviano di nascita, polacco nel cuore e cittadino del mondo grazie al mio talento” così si descriveva Chopin, di cui quest’anno si celebra il 200° anniversario della nascita. Occasione buona per visitare i luoghi cari al compositore polacco come la Frederic Chopin Music University, la scuola di musica a lui dedicata, o il suo appartamento in Czapski Palace al 5 Krakowskie Przedmieście che contiene arredi, ritratti e strumenti vari.
Riscoprite il contributo femminile alla Pop Art, finora molto trascurato, grazie alla mostra alla Kunsthalle “Power Up – Famale Pop Art”, dove accanto a opere di artiste famose come Niki de Saint-Phalle e Marisol vengono esposte quelle di rappresentanti poco note di questo genere artistico, caratterizzate da uno sguardo critico e aggressivo verso la cultura dei consumi e gli avvenimenti sociali e politici degli anni ’60. Per info: www.kunsthalle.wien.at
Stoccolma
Praga
Fino al 2 gennaio potrete visitare “Fashion!”, la più esaustiva mostra di fotografia di moda mai presentata in Europa. Più di 200 foto, di cui una buona parte vintage, prodotte dai una 50ina di fotografi, tra i più famosi al mondo. www.fotografiska.eu
Tra la moltitudine di locali di ogni genere perché non passare una serata a suon di jazz mentre si attraversa controcorrente il fiume Moldava? Decine di traghetti infatti organizzano questo servizio a bordo e ce n’è per tutti i generi musicali. www.jazzboat.cz
Copenhagen
Londra
Approfittatene per visitare presso la Galleria Gl Strand la mostra personale dedicata a David Lynch, padre di Twin Peaks e numerosi altri capolavori, con cortometraggi, fotografie, quadri e annotazioni che raccontano pezzi di vita del genio del cinema. Fino al 16 gennaio 2011.
Un modo divertente per trascorrere il primo giorno dell’anno a Londra è sicuramente quello di assistere alla London New Year Day Parade: si tratta di una parata con circa 10.000 artisti provenienti da tutto il mondo e rappresenta uno degli eventi più apprezzati anche dai tanti turisti che il primo gennaio invadono le strade della capitale, tra bande musicali, cheerleaders e svariati carri.
Barcellona Se avete organizzato l’ultimo dell’anno tra i labirinti dei barrios della città concludete in bellezza visitando la mostra “Per Laberints” presso il Centre de Cultura Contemporania, con una serie di reperti archeologici, incisioni, fotografie, mappe, proiezioni, labirinti sospesi percorribili, Minotauri, danze antiche come il syrtos e più recenti labirinti di specchi. Fino al 9 gennaio 2011. 178 agenda
Dublino Impedibile per gli amanti della vita notturna la zona lungo la Liffey, Temple Bar, ricca di gallerie d’arte, studi fotografici e di artisti, boutique e negozi alla moda e ovviamente locali dove mangiare, bere e ascoltare musica fino a tarda ora.
AK
ADLIGE KLEIN
akappa.it