Akappa Magazine 02

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N° 2 MARZO 2010

COPENHAGEN A EMISSIONI 0 GALLERY: TIM BURTON/SILVANO BRICOLA UN BENVENUTO ALLE RUSPE

IL PROGETTO PEDEMONTANA E I SUOI RISCHI

L’UOMO DI ERTO

MAURO CORONA


www.ameminonsidice.com

DONNA e BAMBINO

abbigliamento calzature Via Tevere, Villa Guardia


Come in un dipinto.

É il particolare che dà forza all’intero quadro e solo chi sa coglierlo riesce ad assaporare a pieno la bellezza della composizione. La moda è questo. Moda, filosofia, compagna di viaggio non seguita - o peggio rincorsa - ma

scelta e interpretata, resa propria. Come in un dipinto. Sono le sfumature a creare il colore, sono i tuoi mille aspetti a farti DONNA e MAMMA; AMEMÌ è con te. AMEMÌ. Dal tuo punto di vista.


N 2 del 22 Marzo 2010 Direttore Responsabile: Luca Di Pierro Progetto creativo e realizzazione: Roberto Uboldi Zero Atelier di progetto e comunicazione Hanno collaborato: Andrea Sabbadin, Dalila Lattanzi, Carlo Arrigoni, Vanessa Ferrandi, Mattia Di Pierro, Carlo Frontini, Andrea Mazzarella, Alessandra Tettamanti, Stefano Lattanzi.

Chiudi Gli Occhi... Conquista La Possibilità Di Tornare Al Gusto Autentico.

Fotografie: Dan Anders, Roberto Bulgheroni, gruppo fotografico Diapho’S di Olgiate Comasco, Max&Douglas, Nicola Roman Walbeck, Getty Images. In copertina: Fotografia Max&Douglas Per la pubblicità Zero Comunicazione via Repubblica, 3 22077 Olgiate Comasco +39 031- 990078 - info@dilloconzero.com Publisher Zero Editoria via Repubblica, 3 22077 Olgiate Comasco +39 031- 990078 - info@akappa.it Stampa Tecnografica s.r.l. Distribuzione Zerovie Posta Pubblicitaria www.zerovie.com Autorizzazione Tribunale di Como del 27/10/2009 www.akappa.it

Pasticceria Ghielmetti via San Gerardo - Olgiate Comasco www.pasticceriaghielmettialberto.it

Alcuni giornalisti e collaboratori scrivono e operano in forma gratuita sulla rivista. Tutti i diritti riservati. I punti di vista espressi non sono necessariamente quelli dell’editore. L’editore non si assume responsabilità per errori ed omissioni relativi alla pubblicità o agli editoriali. Nessuna parte della pubblicazione può essere riprodotta salvo consenso esplicito da parte dell’editore.


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ANNO 2 N 2

CONTENUTI 69

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7 EDITORIALE / 9 BENVENUTI ALLA PINETA Reportage ed inchiesta / 18 MAURO CORONA Intervista / 24 UNA LEGGENDA SU DUE RUOTE Icone / 26 2025 COPENHAGEN A EMISSIONI 0 / 33 IO NELLA FREDDA COPENHAGEN / 38 CITY BIKE Guida / 41 GALLERY Tim Burton e Silvano Bricola / 51 MOSCHEE, PROVE TECNICHE DI INTEGRAZIONE Inchiesta / 58 RUOTE ARTIGLIATE Sport / 64 IL MONDO DA UNA GIOSTRA Vetrina / 69 NIMB. LO SCRIGNO BIANCO DEL TIVOLI GARDEN Design / 74 BELLOTTI Tra profumi antichi ed innovazione / 77 UNA CASA. UNA COPPIA. Design / 84 6 ZERI PER UN VIVERE ECOLOGICO / 85 GREEN LIFE / 86 ECOVETRINA / 92 L’ELEGANZA DEL RICCIO Libri / 94 IL PAESE DELLE MERAVIGLIE Cinema / 96 LUCA GHIELMETTI / 98 LOCALI / 102 AGENDA / 113 15 MINUTI Intervista.

INDICE 5


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L’EDITORIALE

I tempi non sono dei migliori,

questo è quello che ogni giorno ci sentiamo dire da chiunque! Economicamente, socialmente… Certo l’economia ha rallentato il suo ciclo, le prospettive sociali e culturali sono sempre più confuse ed instabili, le diversità sempre nascoste quasi a voler custodire una paura chiusa da anni nei cuori e nelle menti di molti. L’incertezza regna inconsapevole e leggiadra su tutto ciò che fino a poco tempo fa avremmo dato per scontato. Ma davanti a tutto questo, noi come ci poniamo? Davanti all’incertezza dei figli, alla rassegnazione dei padri, e soprattutto all’impossibilità manifestata di molti; cosa facciamo? PROGETTO - questa è la parola da cui dobbiamo prendere spunto e iniziativa. Strutturiamo un progetto comune, ricominciamo a condividere esperienze, cultura, emozione. Mi spaventa sempre più spesso il vuoto in cui ci siamo trascinati per molto tempo più della crisi che stiamo attraversando, semplicemente perché non riesco ad intravederne un fine consapevole della sua partenza, un progetto. L’ansia è quella comune a molti: di non riuscire, di non potere, di non investire, crescere. Chiusi in una gabbia, che forse un tempo avremmo definito dorata, non siamo stati capaci di osservare, di fermarci a coglierne il senso. Il senso di cosa, vi starete chiedendo voi? Il senso del rallentare vi rispondo, il senso del rallentare avendo la consapevolezza di un progetto capace di stupire. E finiamola di dire che non è possibile oggi. Oggi è possibile più di prima. Il Direttore Luca Di Pierro

EDITORIALE 7



BENVENUTI ALLA PINETA COLORI D’INVERNO NELL’ANTICA SELVA PADANA Immagini del Parco Pineta di Appiano Gentile e Tradate del gruppo fotografico Diapho’S di Olgiate Comasco

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INCHIESTA 15


un BENVENUTO alle RUSPE IL PROGETTO PEDEMONTANA E I SUOI RISCHI di Carlo Frontini Una ruspa gialla si avvicina minacciosa a un grosso muro artificiale di ghiaccio e inizia ad abbatterlo, blocco dopo blocco la costruzione cede inevitabilmente accompagnata da uno scrosciante applauso. É la cerimonia ad effetto, la “prima pietra”, da oltre trecentomila euro (non senza qualche strascico polemico) con cui hanno avuto inizio nel varesotto lo scorso mese a Cassano Magnago, i lavori per la costruzione della Pedemontana, opera viabilistica che collegherà cinque province lombarde (Como, Varese, Bergamo, Monza e Milano). UN PO’ DI CIFRE I numeri sono sicuramente impressionanti e chiariscono perchè intorno a quest’opera il dibattito pubblico duri da mezzo secolo: complessivamente il sistema viabilistico della Pedemontana comprenderà 157 chilometri, di cui 87 di autostrada, e 70 chilometri di viabilità locale. Sono interessati da quest’opera 5 province e 85 comuni per un totale di quattro milioni di abitanti. La società «Autostrada Pedemontana Lombarda» sottolinea soprattutto il potenziale risparmio di tempo: secondo una ricerca della Camera di commercio di Monza, la nuova infrastruttura consentirà un risparmio di 45 milioni di ore l’anno in spostamenti, e ogni suo chilometro creerà 900 posti di lavoro. L’incremento stimato del Pil è pari a 210 milioni di euro, con un beneficio diretto sul fatturato delle imprese che supera i 200 milioni. Il costo complessivo dei lavori sarà di circa 4 miliardi 700 milioni; 1 miliardo 245 milioni sono stati stanziati dallo Stato, il resto sarà finanziato con l’equity e con il debito. IL PIANO TERRITORIALE Insomma le cifre sono da capogiro, ma è bene rimanere con i piedi per terra. I benefici economici immediati ci sono, ma dietro ogni numero si cela una colata di cemento che andrà a trasformare il territorio senza possibilità di ritorno. Se per il tracciato originario della Pedemontana i problemi con gli enti locali e con gli espropri sembrano per lo più risolti, sono ancora tutte da sciogliere le perplessità intorno alle opere connesse. Pare proprio che una volta avviata, la macchina dell’investimento autostradale non voglia più fermarsi, e così sotto la grande spinta di Expo 2015 altri progetti prendono parallelamente il via, senza forse le dovute precauzioni per infrastrutture così invasive. Facciamo un passo indietro. É il 19 gennaio quando viene approvato dalla Regione Lombardia il

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Piano Territoriale Regionale (PTR), il quadro d’insieme a cui dovrebbero far riferimento tutti i piani urbanistici dei 1600 enti territoriali (comuni, province e parchi) della Lombardia. Il piano territoriale rappresenta una fotografia della Lombardia del futuro e se per molti permette finalmente di disporre di una visione d’insieme, sia pure un po’ sfumata, per altri invece dipinge un quadro inquietante. In materia autostrade è il caso della ‘Pedemontana Bis’, un nuovo tracciato autostradale, parallelo a quello del progetto di Pedemontana e destinato a collegare Varese, Como e Lecco, intersecando il Parco della Pineta di Tradate e quello della Valle del Lambro, due consistenti e sempre più rare aree verdi. Si tratta di un tracciato contestato da agricoltori, parchi e comuni interessati, per il quale afferma Legambiente Tradate , “non c’è uno straccio di studio di fattibilità”. LE 2 TRATTE Secondo i progetti la prima tratta (Varese-Como) dovrebbe prendere avvio dalla tangenziale di Varese in corrispondenza dell’interconnessione di Vedano Olona, proseguire verso ovest e connettersi all’autostrada A9 in prossimità della barriera di Grandate e dell’innesto con la futura tangenziale di Como, per un totale di 16 chilometri, il 32% dei quali in galleria. La seconda parte (Como-Lecco) ha inizio dalla tangenziale di Como, nel Comune di Albese con Cassano e prosegue verso ovest fino ad innestarsi sulla SS 36 a Nibionno. Questo tratto è di circa 10 chilometri, il 65% dei quali in galleria. La provincia maggiormente interessata è quella di Como con 17 Comuni. I COMMENTI “É stato un fulmine a ciel sereno, addirittura ne siamo venuti a conoscenza indirettamente” dice il sindaco di Binago, tra i comuni interessati, e prosegue “il progetto denaturerà gran parte del paese. Non siamo miopi all’esigenza di nuove infrastrutture, ma è necessario che vengano gestite in accordo con il territorio, non è un caso che nell’incontro pianificato tra i comuni e l’assessore regionale ai trasporti Raffaele Cattaneo non vi fosse un sindaco d’accordo con il nuovo progetto. Binago ha un problema in più, è l’ultimo paese della provincia di Como e per questo è uno snodo importante con Varese, se tutto rimarrà invariato qui verranno costruite tre nuove strade che interesseranno più di cento famiglie.


Cosa dobbiamo dire ai nostri cittadini, che vivranno in una grande rotonda?”. I problemi non sono dunque da poco, e prosegue “senza espropri si sarebbe potuto ottenere un nuovo tracciato utilizzando il percorso della vecchia ferrovia che collegava Como con Varese, di cui una gran parte è già di demanio pubblico, andando in questo modo a servire i paesi più a nord come Cagno e Uggiate Trevano, che altrimenti sarebbero completamente tagliati fuori. Dov’è la logica nel costruire due autostrade a meno di cinque chilometri l’una dall’altra? Inoltre non siamo sicuri che in questo modo il traffico locale sarà attenuato”. Le proposte ci sono e sembrano tenere conto con maggiore responsabilità della problematiche locali e ambientali, una su tutte quella di evitare il taglio del parco pineta ma, conclude non senza rammarico il sindaco, “tutti gli emendamenti da noi presentati sono stati bocciati, il PTR è passato come era stato proposto”. Unito dalle stesse perplessità è il presidente del Parco Pineta Mario Clerici, che non ci sta a sacrificare altro verde dopo quello già precedentemente concesso per il progetto Pedemontana: “qui è da anni che investiamo nella protezione del parco, e ci ripagano così. Forse non è ben chiaro a tutti cosa significhi valore ambientale. É la presenza di più habitat, ovvero della biodiversità che garantisce qualità all’ambiente, ne è un esempio la presenza di una gran quantità di muschi. É vero, è prevista l’esistenza di misure compensative ma se viene ripiantato un bosco chiuso di latifoglie la biodiversità va a farsi benedire, insieme ai soldi investiti”. E prosegue “già siamo una specie di riser-

va indiana, circondati da una crescente urbanizzazione, almeno vorremmo sapere su che base è stato tracciato il percorso migliore, data l’assenza di dati scientifici che sgombrino il campo da dubbi. L’unica cosa di cui siamo certi è la chiusura di altre aziende agricole”. Anche più a Nord il focolaio della protesta non accenna a placarsi, in questo caso contro la tangenziale di Como. La protesta sorge dai cittadini che hanno creato anche un sito internet (www.salvabrughiera.com) e che intendono seriamente opporsi alla nuova infrastruttura e specialmente alla sua variante, sì più economica, come affermano i vertici di autostrada Pedemontana, ma ben più devastante per il territorio. Insomma l’impressione è che tutto si voglia fare troppo velocemente senza tenere conto delle necessarie concertazioni, per ultimare il tutto prima di Expo 2015 (di cui il precedente numero vi ha parlato) aprendo così un irrisolto paradosso. Pare ormai certo che non verranno realizzate opere connesse alla grande esposizione nelle provincie limitrofe a Milano, perchè quindi tanta fretta nel costruire un’autostrada che colleghi Varese con Lecco? Quale sarà il vantaggio per i turisti? Chiosa Legambiente “denunciamo l’irresponsabilità della politica regionale: pessimi progetti, approvati in fretta e furia per esigenze elettorali, diventeranno cantieri eterni, divorando per decenni risorse pubbliche che avrebbero potuto – e dovuto – essere investite per sanare il drammatico ritardo nel trasporto pubblico e nella logistica ferroviaria!”.• Leggi l’articolo di approfondimento di Carlo Frontini su akappa.it

INCHIESTA 17


MAUROCORONA

L’UOMO DI ERTO

Intervista di Luca Di Pierro - Foto: Max&Douglas

S

algo fino a Erto, piccolo paese sulle Dolomiti bellunesi, per incontrare Mauro Corona. L’aria qui è forte, piena e palpabile. La sensazione è strana, quasi surreale. Ancora visibili, le ferite dell’onda del Vajont influenzano la mia visione del paesaggio, che si spalanca severo e maestoso sopra la piccola carreggiata che mi conduce al paese. Avevo letto molte delle interviste fatte a Mauro e sopra a tutte una, in cui veniva citata una frase di presentazione che Magris - giornalista e critico triestino - aveva speso in occasione della presentazione del primo libro dell’alpinista scultore: “Corona è scrittore scarno e asciutto, e insieme magico nell’essenzialità con cui narra storie fiabesche e insieme di brusca, elementare realtà. I suoi racconti hanno l’autorità della favola, in cui il meraviglioso si impone con assoluta semplicità, con l’evidenza del quotidiano. In loro c’è comunione con la natura, col fluire nascosto e incessante della vita e un’infinita, intrepida solitudine”. Se da una parte l’idea dell’uomo scrittore riusciva ad affascinarmi, dall’altra questo personaggio eccentrico - che indossa una canotta anche in pieno inverno - diviso tra montagna e carta patinata, mi aveva fatto pensare ad un uomo ormai entrato nel turbine del successo, ad un personaggio “costruito” ad arte, capace di rispedirmi a casa dopo qualche domanda, incurante delle mie 5 ore in macchina per raggiungerlo. Lo aspetto in un’osteria nel centro di Erto, dove snocciolo discorsi d’arte e design con la signora Adriana, che mi accompagna in un pranzo furtivo quanto saporito tra inaspettata ospitalità e interessi comuni. Lui tarda, occupato da alcune riprese televisive; lo aspetto e dopo qualche tempo lo incontro alla fine di un pranzo, in una giornata in cui la neve risaltata dal sole quasi primaverile intreccia giochi di luce tra i frassini. Qui che le prospettive cambiano e l’idea che fino a qualche minuto prima aveva accompagnato il mio viaggio svanisce; l’incontro cambia le mie spicce aspettative, l’uomo è anche meglio del personaggio che avevo, forse stu-

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pidamente, immaginato! Un uomo colto, ruvido e spartano, ma allo stesso tempo sincero e autentico, mi coinvolge in una chiacchierata piacevole. Sembra più una rimpatriata tra vecchi amici che un’intervista. Santo della Val – protagonista de “Il canto delle manere” ndr - è il classico eroe vittima del proprio orgoglio: per orgoglio, si rovina la vita costringendosi ad abbandonare il paese natale e ad errare in terra straniera, per orgoglio deve alzare ogni volta la posta delle sue sfide, per orgoglio rinuncia all’amore, per orgoglio è destinato a non trovare mai pace. L’orgoglio serve? In che termini ha scandito la sua vita? 
 L’orgoglio è come il vino, se esageri ti sbronzi e ti rovini! Non serve a nulla! Qualsiasi uomo ne è fornito ma va guidato e domato come un cavallo selvatico. Perchè si cresce non solo col dna di mamma e papà ma anche col dna che ti imprime quello che ti capita nella vita. Un po’ di sano orgoglio serve per migliorare la dignità e la vita stessa, io mi sono castrato la vita per colpa dell’orgoglio... Mio nonno diceva sempre “non dire mai “mona” al “mona” altrimenti l’avrai sempre contro!” Io invece l’ho sempre detto e ho pagato per questo. Nei suoi racconti troviamo tanti tipi fuori dagli schemi, oggi invece viviamo una grossa omologazione! Sono i più veri! Non sono loro fuori dagli schemi.. Il 90% della società è fuori dagli schemi e recita una parte. Recita delle apparenze; quelli che noi reputiamo fuori dagli schemi sono i naturali, il mondo è talmente storto che in questi fuoriusciti vede gente stramba, invece sono proprio loro i naturali. Ricordati che quando a Carnevale la gente mette la maschera in verità se la sta togliendo e vuole “mettersi” quello che è…chi si traveste da donna a Carnevale vuol dire che ha quelle tendenze, però prima deve recitare, quindi mette la maschera



tutto l’anno e quando veramente crede che tutti mettano una maschera invece fa quello che è realmente.. toglie la maschera! Quindi i miei personaggi reputati balordi sono naturalissimi. Noi vediamo in loro gente strampalata perchè viviamo nel branco e nel branco è facile nascondersi… insicurezza, opportunismo, vigliaccheria, nel gruppo usiamo delle apparenze. Il mondo funzionerà meglio quando avremo il coraggio di dire e fare quello che pensiamo e ci sentiamo realmente. In una intervista ho letto: “Quando uno scopre che non può suonare la chitarra come John Lennon, subito smette”. E’ questo il rapporto che abbiamo oggi con la fatica, con l’imparare? Ma è chiaro, tutti! Anche uno che pubblica un libro, vuol diventare subito Gabriel Garcìa Màrquez, vuol vincere il Nobel. Non facciamo più le robe perché ci divertono, perché ci piacciono ma per un obiettivo, con un fine! Si fa un provino o si scrive un libro per essere notati e non per il piacere di raccontarlo! Prova a prendere un giovane e digli: “ti farò plurimiliardario ma non sarai nessuno” e poi dì allo stesso giovane: “sarai in miseria nera ma famoso in tutto il mondo”. Sceglierà la seconda strada. Oggi la notorietà vale più della ricchezza. Uno che scala la montagna non lo fa per sé ma va a scalare già con le telecamere pronte, per essere noto sulle riviste! Questo è comune a tutti gli alpinisti. Io ho tentato di scrivere il libro 20 bugie alpinistiche ed ho telefonato a venti, venticinque alpinisti famosissimi chiedendo loro di raccontare una bugia alpinistica. Nessuno ha avuto il coraggio di raccontarne una, nessuno ha voluto essere il primo dei bugiardi! Hai mai visto la foto di un alpinista che si sghiaccia la barba prima di una scatto? No! Hai mai sentito di ritirate? No! Leggendo un libro di alpinismo si crede siano tutti successi e invece sono più numerose le sconfitte, come nella vita! Questo è l’uomo! Quindi ci dovrebbe essere un fare per il gusto di fare? Ma certamente! Se poi però con il fare per il gusto di fare ti arrivano anche la gloria e i soldi…Dio li benedica! Ma se parti da lì, sappi che il successo è come il gufo, ti scappa sempre; il gufo di notte lo puoi sentire cantare a un metro, lo insegui ed è un metro più in là, lo raggiungi e si è nuovamente spostato; se invece tu ti fermi e ti siedi, il gufo ti siederà sulla spalla! Se si cerca il successo non lo si trova! E tu come lo vivi il rapporto con il successo? Ma io non ci faccio neanche caso! Cerco di tenerlo lontano il più possibile! Diceva Garcìa Màrquez : “Per uno scrittore il successo è una buona cosa ma deve essere tenuto sotto controllo” e io lo faccio mi piglio le mie soddisfazioni e poi vado nei boschi, vado a bere con gli amici e faccio tutto per non farmi trovare Lei è scultore, scrittore, alpinista, cosa si sente di più? Sono tutte facce di una stessa medaglia, in una parola toglie-

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re. Così come quando produco una scultura devo togliere legno, quando faccio arrampicata devo togliere movimenti altrimenti mi stanco e cado e quando scrivo un libro devo togliere parole, tante parole! Diceva Cechov: “Non tolgo mai abbastanza”. Sottrarre come modo di vivere. Se dovessi darmi retta alla fine non rimarrebbe una parola! “Siamo una moltitudine” sosteneva Pessoa. Io mi alzo e dico oggi mi piacerebbe scrivere, ecco che allora sono uno scrittore, a volte sono un ubriacone e a volte vado a legna, cioè sono quello che mi alzo la mattina! Altre volte invece capita anche che non mi riconosca in nessun Mauro della moltitudine… Tirar via, togliere, così dev’essere nella vita. A me da fastidio quando mi dicono “dov’è che si mangia bene?” Prova a stare tre giorni senza mangiare, vedrai come apprezzi un panino con la mortadella, un quarto di vino! Ė la tecnica del togliere che riesce a farci apprezzare la vita. Se tu non sei amato, quando qualcuno ti ama sei contento! Ma se c’è troppo miele la magia svanisce e allora lasciami in pace moglie troviamoci come il vento che sfiora accarezza e se ne va. Carlo Michelstaedter, filosofo goriziano, ha detto: “per troppo olio la lampada si spegne”: Ecco, bisogna mettere la giusta quantità d’olio. L’amore è silenzio, accettazione e occhi chiusi.


Cos’è la bellezza per Mauro?

Se sei capace di perdonare hai una soddisfazione immensa! Perché ti senti forte, un vincitore. Perdono è una parolina La bellezza è assuefarsi a cose che non conosci…nella mia quasi dimenticata oggi, c’è un’aggressività imperante nel vita ormai sessantenne mi sono imbattuto in donne ed amimondo. Nella mia vita sono riuscito a perdonare, ho imci che all’inizio mi hanno fatto inorridire e non è bello. Poi parato a perdonare, perché sono uno che capisce, che sa ci stai assieme una settimana, un mese e succede come con chiedere scusa, ma non so frenarmi prima dello sbaglio. Ho una canzone che cominci a sentire più e più volte e ad un sbagliato, ho perdonato e quando sono riuscito a farlo ero tratto non puoi più farne a meno. La un uomo felice come poche volte lo bellezza va assimilita, va costruita. La NON FACCIAMO più le robe perché sono stato. bellezza è un mistero che non voglio ci divertono, perché ci piacciono, neanche scoprire o svelare. Ma se le dico due parole come Erto e ma per un obiettivo, con un fine! Vajont il significato del perdono diventa Ma c’è anche una bellezza oggettiva nel meno importante, no? mondo? No, non è meno importante. Al VaDipende tutto dallo stato d’animo. jont hanno ammazzato 2000 persone Se io ti lascio 20 giorni senza mangiare e poi ti mostro un coscientemente, ma quando alcuni anni fa parlai di perdono tramonto, non riesci ad apprezzarne la bellezza. La bellezza durante uno spettacolo di Paolini, venni quasi aggredito fiè patrimonio per stomaci pieni, come l’amore! sicamente. La gente si crogiola nel dramma perché cerca un punto di attacco, un appiglio. Dopo quasi 50 anni è il moOggi qual è, se esiste ancora, il valore del perdono? Lo si è forse mento di perdonare. Non bisogna dimenticare, è necessario perso completamente? Quanto vale invece? accertare le responsabilità, ma va fatto senza astio.

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Come ha continuato questo ricordo a influenzare la sua vita? I Vajont sono tantissimi nella mia vita, dalle guerre alla morte per povertà e per fame. Io non posso vivere con il mio Vajont, non bisogna dimenticare, ma capire che il mondo purtroppo è pieno di Vajont. L’eco-sostenibilità e il mondo: molte parole e qualche fatto. Il futuro è davvero eco-sostenibile? Sono mode. Solo la fame, il terrore della morte per fame renderà l’uomo eco-sostenibile…come nel mio nuovo progetto, il libro che ho concluso proprio questa notte, in cui immagino la fine del petrolio. Non funziona più nulla e la gente muore perché non è più in grado di sopravvivere e di usare le mani, di lavorare la terra. Poi i mulini a vento ricominciano a macinare il grano, si torna all’essenza della vita. In breve però il meccanismo si rompe, perché l’uomo vuole di più, e così ci stiamo scavando il nostro futuro. Puntiamo tutto su valori fasulli, tanto apparire e poco essere. Bisognerebbe che nelle scuole tornassero a insegnare i lavori: l’artigiano, il contadino, la guida alpina. Quale è la sua opinione sui giovani?

Come si confronta con la sconfitta?

La sconfitta deve essere il pane dell’uomo, dobbiamo abituarci. Mio padre mi diceva che la sconfitta fa parte del gioco, non è negativa. Bisogna imparare a soffrire, a perdere. Oggi invece ai figli insegnano a vincere, devono essere i più forti, i più bravi e qui nasce l’incapacità di perdere. L’uomo nobile accetta la sconfitta guardando il cielo con occhi nuovi ogni mattina. I falliti sono gli illusi che pretendono sempre di più dalla vita, che non la vivono come un regalo. Nella frenesia della vita che ci porta sempre a vivere a tempi non naturali, non pensiamo all’alta velocità …rallentiamo! Io vorrei vedere la calma. SOLO LA FAME, IL TERRORE DELLA MORTE PER FAME RENDERÀ Quanto sono importanti le radici, da L’UOMO ECO-SOSTENIBILE… dove si è partiti?

Personalmente darei nelle mani dei giovani il governo delle nazioni. Spazziamo via tutti i politici obsoleti, incontinenti di urina e di parole! Fatevi da parte vecchietti! Fate largo a chi ha qualcosa da dire. I giovani vivono un momento tragico di mancanza di prospettive; favoritismo e poca meritocrazia hanno ucciso il mondo e lo hanno riempito di imbecillità e di egoismo. Ma cosa possiamo fare?

Niente, i giovani di oggi sono talmente intelligenti da aver capito che la ribellione non serve, la loro rivolta è l’auto distruzione, l’annientamento. Noi eravamo pieni di tabù, di paure, di insicurezza e di ignoranza. Oggi i giovani sono in gambissima e hanno tutta la mia stima. Le grandi vie alpinistiche, le vie più dure del mondo, le hanno aperte ragazzini. Per esempio la via del Pesce in Marmolada, la aprì Ashurst che aveva 16 anni! Ancora oggi non si capisce come sia passato di lì…e come ha fatto? Non aveva freni inibitori, ma aveva fantasia, coraggio, tecnica: tutto quello che servirebbe anche per guidare una nazione. Le proposte dei giovani sono favolose, di una eccezionale inventiva. Nutro molta stima e affetto per i giovani, che hanno capito quanto ogni strada sia stata preclusa loro. Nel 1975 a Longherone la sua prima mostra. Cosa è cambiato da allora? Ero emozionato e la prima volta mi misi un abito buono,

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me lo prestò il mio amico Karl. Quando Murer, grande scultore, a torto dimenticato da questa Italia senza memoria, mi presentò la mostra, mi disse: “Ma dove pensi di essere arrivato…non è mica Carnevale qui!” Da allora non mi sono mai più messo un vestito buono. Comunque è davvero cambiato molto, allora mentre scolpivo una figura mi emozionavo! Non avevo ancora il virtuosismo che possiedo oggi ed ogni riuscita era un’emozione. Più impari e più sei sicuro di te, perdendo così l’emozione. L’imparare toglie emozione e verità ai sentimenti. L’unica roba che non mi ha ancora stancato è la montagna: ogni cima che vedo è come fosse nuova, una sorpresa. Oggi non scolpisco più. Non mi dà più nulla.

Jorge Luis Borges raccontava spesso la leggenda dell’uccello dei boscaioli canadesi, che volava all’indietro e a cui importava non dove stesse andando, ma il puntino da cui era partito. Le radici sono importantissime, io non dimentico le mie origini e la mia cultura, l’uomo che vive a Erto per sessanta anni, diventa Erto. Ricordare non per nostalgia, ma per non sbagliare, per non essere l’albero che non sei. Se si nasce carpine non si può fare la betulla. Puoi lavorare su te stesso e diventare un carpine di classe ma non una betulla. Mauro, ha mai paura? Il coraggio non esiste se non esiste la paura. Tutti hanno paura, ma bisogna combatterla. Qual è il suo rapporto con Dio? Io sono credente come la corrente alternata, quando sto bene Lo lascio perdere e quando sono in estremo pericolo mi affido a Lui. Riassumo il mio concetto con una citazione di Zwikolitz “Caro Dio: io credo a Te nonostante Te…” Comunque faccio una grande distinzione tra Dio e Chiesa. Il dono dell’intelligenza è stata la nostra condanna… oggi c’è una mancanza di Dio in generale.•



dal

‘46

UNA LEGGENDA SU DUE RUOTE Da semplice mezzo di locomozione a status symbol, il “pezzo di latta” che ha trasportato l’Italia per oltre 70 anni.

di Andrea Sabbadin

Mentre Don Abbondio camminava si chiedeva “Carneade, chi è costui?”. La stessa domanda potremmo rivolgerla a noi stessi sentendo pronunciare il nome di Corradino D’Ascanio. La sua fama non si ferma al solo territorio italiano, ma ben oltre, anzi si è diffusa nel mondo intero, arrivando là dove pochi altri sono riusciti. Un uomo così importante e noi non sappiamo chi è? Non è una cosa così strana, perché ciò che tutti conosciamo, e con tutti intendiamo l’intera umanità, è la sua creatura, quella figlia di lamiera, gomma e scoppietti che almeno una volta nella vita abbiamo desiderato ardentemente: la Vespa. Già, proprio così, Corradino D’Ascanio è stato l’inventore del mitico scooter prodotto da Piaggio, quello che dopo essere

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stato mandato in pensione negli anni ’90, è tornato in auge, inseguendo la moda vintage, in questa prima decade del nuovo millennio, ed ancora sembra avere vita molto lunga. È il 1906, un ragazzino mingherlino in pantaloncini guarda riflessivo le colline abruzzesi sotto di lui, dalla maglietta due braccia bianchissime sono la prova delle settimane passate sui libri a studiare il volo degli uccelli. Senza dire una parola, concentrato come non mai il giovane Icaro si carica in spalla un rudimentale deltaplano e corre veloce verso il bordo della collina. Una falcata, poi un’altra, con il baratro sempre più vicino, lo stacco ed il senso di vuoto, ma la paura, che fino a quel momento aveva invaso ogni singola cellula del corpo del nostro temerario, sparisce di colpo. Sta volando, o meglio sta planando lentamente, ma inesorabilmente, verso una laurea in ingegneria industriale meccanica al Politecnico di Torino datata 1914. Così è iniziata la passione per il volo di Corradino e proprio da questo suo amore sono nate le leggende metropolitane che vogliono la Vespa derivata da alcune parti del quadrimotore Piaggio 108. In particolare le ruote della Vespa sarebbero i ruotini di coda, mentre il motore sarebbe un motorino di avviamento dei motori radiali dell’aereo. Bufale, nient’altro che bufale, anche se in realtà la Vespa qualcosa di “aeronatutico” racchiude: il supporto “monotubo” della ruota anteriore, derivato da quello dei carrelli degli aerei e la struttura portante


Nell’altra pagina un modello del 1949. Sopra una vignetta del 1955 che esalta la stabilità della Vespa, a destra la copertina di un depliant datato 1946, anno di inzio della produzione. Si ringrazia Piaggio.

in lamiera, collegabile ai “rivestimenti lavoranti”, impiegati sulle carlinghe. Il primo modello è del 1946 - cilindrata di 98 cm3, motore a due tempi ed una velocità massima di 60 km/h con possibilità di superare pendenze del 20% - ed il suo costo oggi farebbe sorridere chiunque, soli 68.000 lire, ma all’epoca era un bell’impegno, infatti un operaio era costretto ad acquistarla a rate, ed oltretutto in una concessionaria Lancia, perché all’epoca Piaggio non aveva ancora una reale rete di distribuzione nazionale. Da quel primo modello, che deve il nome ad un’esclamazione di Enrico Piaggio dopo aver visto il primo prototipo: “Oddio, sembra una vespa!”, ne sono stati prodotte ben 12 diverse tipologie, fino ad arrivare alla Vespa S del 2007, mentre la Vespa PX, ultimo modello rispettoso delle vecchie linee, è uscito di produzione nel 2008. Proprio questo modello ha creato una vera e propria scissione tra gli amanti dello scooter italiano. Da una parte i nostalgici, amanti della Vespa classica con cambio manuale, che ancora oggi si spingono fino in India per acquistare i modelli originali, dall’altra le nuove generazioni legate alla Vespa automatica, sempre più status symbol per chi segue la moda ed è attento allo stile. Proprio seguendo quest’onda Piaggio ha creato una vera e propria linea di merchandise legata alla sua insostituibile Vespa, così sempre più spesso si vedono ragazzi che con orgoglio portano la loro passione su magliette, borse, caschi

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ed addirittura tazze e cellulari. La Vespa sembra essere passata da semplice mezzo di locomozione a “way of life”, riscoprendo anche un mondo, quello dei Mod’s londinesi, spesso dimenticato, ma che ha dato alla storia grandi musicisti, gli Who su tutti, e grandi opere cinematografiche come Quadruphenia o la storica passeggiata romana di Nanni Moretti in Caro Diario.• LA VESPA E L’IMPEGNO SOCIALE Il Vespa Club Olgiate Comasco non è solo scooter, ma anche eventi e quotidianità. Quindici anni di storia, oltre trecento iscritti, un numero infinito di vittorie, riconosci.it menti ed inviti a manifestazioni. Il Vespa Club di Olgiate Comasco è tutto questo, LEGGI L’ARTICOLO SU AKAPPA.IT ma anche molto altro di più.Chi non è un fanatico della due ruote Piaggio avrà sicuramente sentito parlare almeno una volta del club dell’Olgiatese, non tanto in argomenti inerenti all mezzo motorizzato, ma soprattutto riguardo ad eventi e manifestazioni. Il Vespa Club di Olgiate infatti non si chiude nel suo guscio di appassionati di moto d’epoca, lasciando filtrare poco all’esterno, ma al contrario cerca di irraggiare tutt’intorno il suo credo, cercando di coinvolgere il più alto numero di persone possibile all’interno delle proprie iniziative... Leggi tutto l’articolo su akappa.it

ICONE 25


2025 COPENHAGEN A EMISSIONI “0” 26 COPENHAGEN


IL MODELLO ECO

della capitale del Nord a cura di Roberto Uboldi e Luca Di Pierro

COPENHAGEN 27


Nel Dicembre 2009

si è tenuto l’atteso summit sull’ambiente a Copenhagen:

è grazie a eventi come questo che la “questione ecologica” è divenuta un argomento classico di discussione per la gente e un tema scottante per i leader. Abbiamo chiesto a Lene Bjerg Kristensen, promotrice di numerosi progetti nell’ufficio ambientale del comune di Copenhagen, di fornirci qualche impressione sul summit e qualche spiegazione sui piani futuri della città. Lei ci ha dipinto a parole un quadro raffigurante una città-modello per la sua eco-compatibilità, e noi abbiamo appreso quanto la cultura ambientale si stia radicando presso le nazioni Nord-europee.

Lene, ci può descrivere le sue impressioni a seguito del summit di Dicembre? Il bilancio è positivo? Il bilancio di eventi come questo è sempre positivo, poiché aumentare la sensibilità e la consapevolezza della gente rispetto a questioni che non possono essere più ignorate è di per sé un traguardo. L’accento è stato posto giustamente sul fare, e non solo sulle parole. Certo non è pensabile che si raggiungesse con facilità un accordo tra tutte le nazioni, e che questo sfociasse in un trattato definito e definitivo; credo tuttavia che i temi fondamentali siano stati affrontati nella giusta maniera. Tra questi si è sottolineato per la prima volta il ruolo delle città nella sostenibilità ambientale globale. Un dato è molto significativo al proposito: il 70% delle emissioni di CO2 proviene dalle aree urbane. E in relazione a questo presupposto, quali sono le misure che Copenhagen vuole adottare per la propria eco-compatibilità nei prossimi anni? Copenhagen ha adottato la scorsa estate il Climate Plan, che prevede, entro il 2025, una totale compensazione delle emissioni di C02 della città. L’inquinamento non proviene essenzialmente dallo sviluppo urbano, ma va ricercato nell’approvvigionamento dell’energia, responsabile per il 75% nell’alterazione dell’equilibrio ambientale; si rende così necessario nei prossimi anni incrementare il sistema di rifornimento energetico derivante da fonti rinnovabili, quali il vento o le biomasse. Il piano urbanistico ed energetico della città sono solo due dei sei punti di interesse nello sviluppo di una Copenhagen realmente ecocompatibile, che riguardano anche la volontà di costruire solo tramite la bioedilizia, di aumentare la consapevolezza dei cittadini sulle problematiche ambientali, di adattare la città al futuro cambiamento climatico e di ridurre l’impatto dei trasporti sulla qualità della vita.

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A questo proposito un progetto molto interessante riguarda la ridensificazione del centro della città… Sì, grazie a questo progetto vogliamo aumentare la compattezza del tessuto urbano, favorendo la ristrutturazione degli edifici del centro città a discapito delle periferie. La volontà non è solo quella di diminuire gli spostamenti con mezzi inquinanti, ma di offrire anche un benessere maggiore agli abitanti, che potranno vivere, lavorare, divertirsi e portare i figli a scuola in una zona ben definita e più ridotta.

IL NOSTRO PROPOSITO è quello di sensibilizzare maggiormente i cittadini e formare una generazione di persone che abbia una responsabilità ambientale ancor più strutturata e forte. A proposito di piani urbanistici, ho letto recensioni entusiaste riguardo il quartiere di Nordhavnen. Nordhavnen è un quartiere che si propone a modello di eco sostenibilità, in costruzione nel nord della città. Si estenderà su di una superficie di 200 ettari proprio vicino al centro, e potrà ospitare fino a 40.000 persone. Ad oggi quest’area è occupata da edifici la cui funzione si relaziona con le attività portuali; nel futuro si vuole creare una porzione di città dove un alto benessere di vita si fonda con un eccellente sistema urbanistico, nel pieno rispetto delle regole ambientali. I 3 progetti al vaglio si basano su queste prerogative.


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iniziative divise in 6 punti strategici

I 6 PUNTI

DELLO SVILUPPO ECOLOGICO

DI COPENHAGEN

APPROVVIGIONAMENTO ENERGIA TRASPORTI EDILIZIA COSCIENZA COLLETTIVA PIANO URBANISTICO ADATTAMENTO AL FUTURO CLIMA

So che avete già realizzato molti progetti a favore dell’ambiente, e in cantiere ci sono più di 50 progetti relativi alle 6 aree di interesse di cui parlavamo prima… Certo, ad esempio nel 2009 abbiamo provveduto a rinnovare l’approvvigionamento energetico di moltissimi edifici pubblici, come scuole e strutture sportive, a installare nuovi e più efficienti contenitori per i rifiuti urbani ed altre iniziative sono in corso d’opera. Tra questi progetti ho trovato molto ambizioso quello riguardante la mobilità su 4 ruote: “Green Cars for Copenhageners” . Questo progetto prevede una forte riduzione del traffico

automobilistico nella città, che entro il 2025 dovrebbe essere attraversata solo da autovetture con motore a idrogeno ed elettriche. Un piano ambizioso che noi abbiamo promosso acquistando per il Comune 15 veicoli a 0 emissioni, e che continueremo a sostenere per mostrare alla gente quanto una città senza automobili inquinanti possa essere migliore, più vivibile e meno rumorosa. Il nostro ruolo in questo caso è mostrare la via da seguire, evidenziando come la diffusione di questo tipo di veicoli è possibile e auspicabile. Avete intenzione ad oggi di diminuire i veicoli inquinanti con un sistema paragonabile all’Ecopass milanese?

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[ Il giardino di Frederiksberg ] Un simile proposito sarebbe un eccellente viatico per cominciare a migliorare sensibilmente la situazione nella città. Tuttavia, fino a che non ci sarà un’approvazione all’interno del nostro piano Nazionale, un’iniziativa simile sarebbe illegale. Per ora ci dobbiamo limitare a migliorare la situazione del traffico nel centro. Come si confrontano gli abitanti della città con tutte queste iniziative? C’è un alto livello di consapevolezza da parte dei cittadini riguardo questi temi e nessuno dimentica che le singole abitudini del vivere quotidiano possono influenzare inquinamento e sfruttamento delle risorse ad un livello macroscopico. Il nostro proposito è quello di sensibilizzare maggiormente i cittadini e formare una generazione di persone che abbia una responsabilità ambientale ancor più strutturata e forte. A questo proposito abbiamo creato tante piccole iniziative per coinvolgere le persone, i “Miljo punkt” ovvero punti per l’ambiente: si tratta di progetti che potrete trovare in giro per la città, piccole competizioni tra vicini di casa che riconoscano il più eco-rispettoso quale vincitore, contest artistici che vedano l’utilizzo delle celle fotovoltaiche, brochure che

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illustrino percorsi per lo shopping “verde”, e molte altre ancora. E la proposta di trasformare Copenhagen in Hopenhagen? Questa proposta è una provocazione che però porta con sé un significato forte, che riguarda la sensibilizzazione della gente e la volontà manifesta di trasformare la città in una vera eco-metropoli, in un modello da seguire. Ci sarebbero moltissime altre iniziative e progetti da spiegare e sottolineare, per meglio descrivere Copenhagen. Più semplicemente però posso provare a descrivere una sensazione. La sensazione che i loro numeri, percentuali e nomi difficili da pronunciare non siano solo del fumo negli occhi, che esista qualcuno che davvero ci crede, ed ha la volontà di agire finalmente in maniera differente. Questi danesi risoluti e gentili sembrano avere le carte giuste in mano, ed è facile convincersi che i loro progetti non siano solo utopie.•

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NELLA FREDDA COPENHAGEN L’itinerario di Carlo Arrigoni

“E copriti, fa freddo a Copenhagen...”

Queste le ultime parole udite uscendo dalla redazione di AK. Non immaginavo che una scherzosa e cordiale raccomandazione dal tono quasi materno (così suonò alle mie orecchie), di quelle che ascolti con fastidio e al contempo piacere, potesse diventare una gelida epigrafe, un semplice e assillante endecasillabo capace di ritornare alla mente di continuo. È un normale martedì sera di Febbraio, le dieci per la precisione, cielo sereno, temperatura meno cinque gradi, come annunciato dal pilota subito dopo l’atterraggio. Trolley alla mano, percorro il tunnel che dall’apparecchio mi porta direttamente ai corridoi dell’aeroporto. Non devo aspettare nessuna valigia, ma ugualmente decido di soffermarmi alcuni istanti nella sala adibita al

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ritiro bagagli nella speranza di poter osservare il maggior mani s’irrigidiscono, non riesco a stringere le dita atnumero possibile di danesi, cercando, dal loro confrontorno alla cerniera della giacca, lasciata incautamente to, di figurarmene lo stereotipo, il tipo medio, facile aperta. Entro nel primo taxi disponibile e sono vittima da canzonare in un articolo come questo. Gli schermi di un nuovo sbalzo termico. Chiedo all’autista, che mostrano i luoghi di partenza di chi siede ai bordi conosce l’inglese, di portarmi in centro città. Tuttavia, dei tapis roulant, pronti con un balzo ad avventarsi prima di andare in albergo, decido di fare una breve sulla propria valigia: Rio de Janeiro, London, Lisbon, visita notturna al palazzo di Amalienborg, residenza Bangkok. Decido, così, di rinunciare al mio intento invernale della regina danese. Visitare questo luogo e di incamminarmi verso l’uscita ben dopo il calar del sole è una dell’aeroporto. Nessuno mi aspetscelta premeditata e dettata dal ...e con la voglia di visitare ta, solo poche volte mi è capitato desiderio di evitare tutto ciò che di varcare le porte automatiche Copenhagen e vedere dal vivo ricordi quell’istituzione austera e senza fermarmi per un saluto, di il suo simbolo, la SIRENETTA del tutto illegittima che, ahimè, è passare tra baci, urla e abbracci, ancora presente in questo paese. indirizzarmi ad altre porte autoLa monarchia e i suoi stemmi, i matiche, quelle che separano il suoi cerimoniali, i suoi privilegi. limbo aeroportuale dal mondo Ma, soprattutto, le noiose parate reale. Faccio tutto nel migliore dei militari per il cambio della guarmodi, senza tristezza, anzi con la voglia di visitare Codia, seguito da migliaia di turisti pronti a filmare e penhagen e vedere dal vivo il suo simbolo, la piccola e fotografare ogni movimento di ciascun soldato, ogni graziosa sirenetta, protagonista della fiaba del danese minimo dettaglio della sua divisa. La piazza è di forma Hans Christian Andersen. Ma... ottagonale, al centro, in bronzo, un vecchio re a ca“E copriti, fa freddo a Copenhagen...”. Uscito dall’aevallo. Il palazzo si suddivide in quattro edifici identici roporto un’ondata di gelo si percuote sul mio viso che chiudono la piazza ai lati, a coppie uno di fronte abituato al tepore artificiale lasciato dietro di me. Le all’altro. Dal lato opposto della piazza rispetto a dove

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mi trovo, una via conduce alla Marmorkirken (chiesa marmorea), struttura circolare, simile ad un pantheon, coperta da una grande cupola azzurrognola. L’albergo dista pochi passi, ma il freddo accumulato stando fermo a osservare i monumenti mi spinge verso una piccola birreria caratteristica. Al suo interno l’atmosfera è accogliente con la sua luce soffusa che sembra trasmettere calore e le persone simpatiche; dalla spina fuoriesce un flusso continuo e schiumoso di birra. Ci sono diversi cartoncini pubblicitari di alcuni musei dedicati a questa popolare bevanda, veri e propri templi dediti al suo culto. Si fa tardi, meglio andare in camera, la sveglia domani suonerà alle otto in punto. Ho solo una giornata per vedere la città e la sua sirenetta.

È l’una e mezzo e a stomaco pieno mi appresto a continuare la mia visita a Copenhagen. Stamani ho passeggiato per i Giardini di Tivoli, il celebre parco di divertimenti immerso nel verde aperto nel 1843. Dopo esser passato sotto l’arco d’ingresso, mi sono soffermato a osservare il pittoresco e coloratissimo teatro all’aperto, con il suo sipario meccanico che riproduce la coda aperta di un pavone. Vicino al laghetto, mentre ero attorniato da alcuni scoiattoli, ho appreso, leggendo la mia guida tascabile, che il creatore di que-

sto parco convinse il sovrano danese a permetterne la costruzione, sostenendo che il divertimento avrebbe distolto il popolo dall’interesse attivo per la politica. Così, con un moto interiore di profonda indignazione e canticchiando vecchie canzoni antimonarchiche e libertarie, mi sono immediatamente indirizzato verso l’uscita. Tuttavia, riaprendo la guida, mi è tornato il sorriso, leggendo di un altro episodio storico avvenuto nel 1944 e sempre legato a questo luogo: un gruppo di militanti nazisti distrusse parte del parco, il quale fu, però, prontamente ricostruito dalla popolazione della capitale, che non si lasciò intimorire dalla vile barbarie di quei delinquenti. Il freddo polare mi ha ben presto spinto a cercare un locale accogliente dove bere una tipica zuppa calda. Ed eccomi di nuovo all’aperto, esposto a temperature avverse. Nella testa rimbalza il solito ritornello “e copriti, fa freddo a Copenhagen...”. Dopo aver constatato che la sirenetta si trova dal lato opposto del centro città, decido di visitarla appena prima di partire. Devo essere in aeroporto alle sei e mezzo. L’aria gelida mi ha costretto ad abbandonare l’idea di muovermi per la città in bicicletta, come fanno tutti i danesi e molti turisti, più audaci e allenati di me. La mia prossima tappa è il quartiere di Christiania: nel

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1971 questa ex zona militare abbandonata fu occupata da un gruppo di hippie, i quali la proclamarono “città libera” e diedero vita a un autogoverno. Entro nella Metro: i treni sono di ultima generazione, senza autisti. Scendo alla stazione di Christianshavn, pochi passi e sono all’ingresso di Christiania. Strani odori si espandono per le vie, un musica proviene da dietro l’angolo. Mi avvicino e vedo un gruppo di uomini di circa quarant’anni impegnati a suonare chitarra e tamburi, il sorriso sul volto, ragazzi e ragazze ballano. Dietro questa piccola festa improvvisata alle due del pomeriggio fa da sfondo un murales multicolore. Un ragazzo si avvicina, mi chiede amichevolmente da dove io venga e mi consiglia di passare per la strada principale, Pusher Street (nome alquanto eloquente). In questa via si moltiplicano le attività: bancarelle ricolme di oggetti di legno e ceramica, gruppetti di persone che suonano; c’è chi si occupa di giardinaggio nell’orticello di casa, chi fa giocoleria al centro della carreggiata; nessuna macchina. L’atmosfera è strana, ma accogliente. Tutti sorridono, parlano con me e mi sembra addirittura che faccia meno freddo. Decido di fermarmi un poco, conosco una compagnia di bolognesi, stabilitisi qui da alcuni mesi; mi descrivono la vita di Christiania e mi invitano a passare qualche

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giorno con loro. Ma da dietro una bancarella sento alcune inconfondibili note di chitarra e la voce di un uomo anziano con barba e capelli lunghi, che scandisce i versi di una meravigliosa canzone di Neil Young. Mi guarda, mi porge la chitarra. Passo così il pomeriggio, il tempo vola. A un certo punto, come accade quando la mattina ci si desta senza che la sveglia abbia suonato, guardo l’orologio: sono le cinque e quaranta. Salto in piedi, saluto tutti, una ragazza mi regala una sciarpetta rossa. Corro, raggiungo un piazzale ed entro nel primo taxi, destinazione aeroporto. Penso ancora al bel pomeriggio passato in compagnia, do un ultimo sguardo a Copenhagen, ripromettendomi di tornarci. Eccomi ora a fare il check-in, metto la guida tascabile nello zaino e nel farlo vedo la copertina, sulla quale mi guarda, impassibile e severa, rimproverandomi con lo sguardo, la Sirenetta.•

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Le foto in queste pagine: Aeroporto di Copenhagen: Morten Bjarnhof; Guardia di Amalienborg: Christian Alsing; la casa di vetro e la statua nell’acqua si trovano a Christiania


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CITY-BIKE A COPENHAGEN Ovvero come esplorare un’intera città del Nord-Europa

con meno di 3 euro A cura di Roberto Uboldi

foto: WoCo

plare, telaio del tutto simile alle 2000 bici bianche Quando Bill Clinton, il 14 Luglio di 13 anni fa, si che da tre anni scorrazzavano per la città. Non era recò a Copenhagen, più di 80.000 persone seguirono uno snob, il signor Mikkelsen, anzi. Aveva sfruttato il suo discorso dal vivo in una delle piazze pedonal’occasione di maggior visibilità mediatica del regno li della città. Motivo della visita–lampo dell’allora per far conoscere al mondo un progetto ambizioso e presidente degli Stati Uniti erano alcune importanti già di successo: il bike sharing. questioni riguardanti l’allarDal 1995 infatti la “cittadina gamento della Nato, che lo della Sirenetta” si era dotata di avevano fatto volare i giorni Il sindaco Mikkelsen si alzò questo servizio che permetteva, precedenti in molti altri paesi applaudendo l’intervento in numerosi punti di noleggio europei. Non ci interessa però dell’uomo più potente del mondo dislocati nel centro, di avere ora entrare nello specifico dele gli porse il regalo da parte una agile bici con cui fare una le sue parole di quel giorno del della sua città: una bicicletta, passeggiata, andare a lavorare, 1997. Molto più rilevante per la cosiddetta CityBike One. magari presentarsi a un appunnoi è quello che successe dopo. tamento galante. La bici non Il sindaco Jens Kramer Mikkelera un’idea nuova, nel 1995, sen si alzò applaudendo l’interma la bella trovata di renderla vento dell’uomo più potente disponibile a tutti, con un deposito di sole 20 corone del mondo e gli porse il regalo da parte della sua cit– meno di 3 euro- di sicuro sì. Certo, la bicicletta era tà: penserete forse a un’opera d’arte, a un libro preessenziale, monomarcia e con freno a contropedale, giato, qualcosa di prezioso comunque. Nulla di tutto ma il progetto piacque molto, e non conquistò solquesto. Lui si alzò e porse al presidente il manubrio tanto gli abitanti, ma anche e soprattutto i turisti, di una bicicletta, non una qualsiasi in realtà, ma la che sul sellino si sentivano dei veri danesi. Sì, perché CityBike One; edizione limitatissima, unico esem-

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i danesi sfruttano da sempre le potenzialità del mezzo a due ruote per i propri spostamenti, e tutti lo utilizzano abitualmente. È essenziale a questo punto sapere che stiamo parlando di una nazione la cui “cima“ maggiore è il Møllehøj, a 170,86 metri. Ma il progetto a favore delle biciclette ha avuto anche altri motivi, oltre a quello geografico, per svilupparsi e resistere in piena forma fino ad oggi. In primis il sistema viabilistico; aprite una cartina del comune di Copenhagen e osservate attentamente tutte quelle linee rosa, che altro non sono se non le piste ciclabili protette. Sono veramente moltissime, una vasta ragnatela di strade per attraversare sicuri - e molto velocemente - tutta la cittadina. E se vi doveste perdere, se

doveste uscire dalla zona dedicata, se vi si rompesse la bici? Non preoccupatevi, ci sarà qualcuno ad aiutarvi o a riportare la bici nella zona apposita, perché a Copenhagen hanno pensato bene che i progetti vanno mantenuti in efficienza e per farlo ci sono persone felici e stipendiate. Non solo, esiste un corso specifico per chi vuole intraprendere un mestiere utile come quello dell’ aggiustabici. Un sistema saggio anche per riabilitare le persone, per reintegrarle nella società. Detto questo, non rimane altro che leggere la guida all’utilizzo del servizio di bike sharing qui sotto. Buona esplorazione!• >> Guarda gli approfondimenti su akappa.it

GUIDA PRATICA PER IL BIKE SHARING A COPENHAGEN 1. Trovate una rastrelliera per le biciclette, segnalata con un apposito cartello; di solito si trova nelle vie maggiormente trafficate o vicino all’uscita delle stazioni di metropolitana o del treno. 2. Controllate lo stato della bicicletta: se manca una ruota o gli pneumatici sono sgonfi, è il caso di puntare su qualcosa di meglio! 3. Inserite le 20 corone nella sferetta, simile a quella che usiamo per i carrelli della spesa, e sganciate la bici. 4. Date un’ulteriore occhiata allo stato della

bici e alla mappa della zona ciclabile della città. 5. Esplorate la città. 6. Se siete stanchi, volete fermarvi o siete arrivati a destinazione, rimettete la bici in una delle rastrelliere. 7. Non bloccate la bici con un lucchetto di vostra proprietà: la forza di questo progetto è la condivisione!

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BIKE SHARING LA SITUAZIONE IN ITALIA A cura di Andrea Sabbadin

ROMA

MILANO

VARESE

Dal primo giugno scorso il bike sharing della capitale è nelle mani del servizio di trasporto pubblico ATAC. In tutta la città ci sono soltanto 23 stazioni più altre tre dislocate nella zona costiera vicino ad Ostia. Per utilizzare il servizio, ottenendo la tessera elettronica (smartcard) è necessario iscriversi al costo di 5 €. Si accosta la tessera al lettore presente sulla colonnina della stazione e viene così sbloccata la bici. Il sistema riconosce che l’utente ha iniziato ad utilizzare il servizio. Dopo l’uso, la bici può essere riconsegnata in qualunque stazione, non necessariamente in quella di partenza, esattamente eseguendo la stessa procedura. La bicicletta può essere utilizzata per un massimo di 24 ore. L’obiettivo del Bike Sharing è quello di favorire gli spostamenti brevi all’interno della città, oltre che contribuire alla riduzione del traffico cittadino. Ogni mezz’ora vengono scalati dalla tessera 50 centesimi, mentre i primi 5 minuti sono gratuiti.

Nato per favorire la mobilità dei cittadini, BikeMi non è un semplice servizio di noleggio bici, ma un vero e proprio sistema di trasporto pubblico da utilizzare per i brevi spostamenti, al massimo 2 ore, in aggiunta ai tradizionali mezzi di trasporto ATM. Sul territorio Milanese ci sono ben 1400 biciclette e 103 stazioni. Si può scegliere tra un abbonamento annuale oppure uno occasionale di un solo giorno o una settimana. L’abbonamento annuale ha un costo di 36 euro, che prevede i primi 30 minuti di utilizzo gratuiti, in seguito il costo è di 50 centesimi ogni mezz’ora, mentre superate le due ore il costo diventa di 2 euro l’ora. Il costo dell’abbonamento giornaliero è di 2,50 euro, mentre quello settimanale è di 6 euro.

Inaugurato in occasione dei mondiali di ciclismo del 2008, il bike sharing varesino, che prende il nome di Giemme Bike, è composto in tutto da 32 biciclette per 4 postazioni. A differenza dei servizi milanesi e romani, a Varese il progetto è stato supportato da sponsor privati, infatti le quattro postazioni Giemme Bike sono state donate da Whirlpool Europe al Comune di Varese, per promuovere la sostenibilità e l’attenzione alle politiche ambientali. Il sistema è identico a quello capitolino: una tessera elettronica prepagata. La tariffa è gratis per i primi 30 minuti per poi passare a 50 centesimi che aumentano col passare delle ore.

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MILANO www.bikemi.it IN BICI

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e COMO Tra le quattro è di sicuro la città peggiore in quanto a bike sharing. Non esiste infatti un vero e proprio servizio, se non quello offerto da Como Servizi Urbani che, nel solo punto dell’Autosilo di via Aguadri, mette a disposizione alcune biciclette che possono essere prelevate in uso gra-

tuito dagli utenti dell’autosilo dietro presentazione della tessera di abbonamento o del biglietto orario d’ingresso, in questo caso unitamente ad un documento d’identità. Le biciclette possono essere noleggiate anche da chi non ha parcheggiato la macchina con un costo orario va-

riabile (1 ora 55 centesimi di euro, due ore un euro, tre ore 1,55 euro) oppure giornaliero di due euro e 60 centesimi. Le biciclette possono però essere utilizzate soltanto dalle 8 del mattino alle 20 di sera.


TIM BURTON IL REGISTA AMERICANO PROTAGONISTA AL MOMA DI NEW YORK

CON UNA INTENSA RASSEGNA DEI SUOI LAVORI VISIONARI

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UN’ISPIRAZIONE PER TUTTI I GIOVANI ARTISTI

CHE SI OCCUPANO DI FILM, VIDEO E GRAFICA

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oto per le sue ambientazioni gotiche e fiabesche, grottesche e poetiche, Tim Burton ha attraversato ogni campo della creatività, lavorando come disegnatore e animatore, per poi approdare da protagonista al mondo del cinema. Qui la sua eccentricità creativa si è sfogata al meglio nel ruolo non solo di regista, ma anche di sceneggiatore e infine produttore. Suo ultimo lavoro Alice in Wonderland, di cui potete leggere un articolo nella nostra sezione dedicata al cinema.•

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42 GALLERY



TRA I PROGETTI FUTURI DARK SHADOWS

RICAVATO DA UNA SERIE TV ANNI 60

IN QUESTE PAGINE

alcuni disegni di Burton da cui ha tratto l’ispirazione per molti suoi film, tra cui Edward Mani di Forbice, Nightmare Before Christmas, The Melancholy Death of Oyster Boy and Other Stories. Si ringrazia il MoMA di New York per la collaborazione

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L’INTERVISTA a Silvano Bricola e la gallery

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SILVANO BRICOLA

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na mano libera, rapida, senza condizionamenti di sorta, sta all’origine della pittura di Silvano Bricola...una narrazione dapprima pacata, ma poi sempre più carica di aggressività. Le sue costrizioni degli anni Settanta, in cui cavalli e uomini e alberi si trovavano coinvolti in complicati grovigli e partecipavano a metamorfosi suggestive, hanno via via dato luogo a puntuali riflessioni sul mondo reale, interpretato in una lettura incisiva e forte...

Bricola nasce a Como nel 1949. Si diploma all’ Accademia di Belle Arti di Brera a Milano. Insegna disegno professionale nella sezione Decorazione Pittorica dell’Istituto Statale d’Arte di Cantù. Nel 1989 ha fondato a Como con Alfredo Taroni e Piermario Larghi la casa editrice “Lythos” che promuove il libro d’arte e la grafica originale d’arte a livello internazionale. Partecipa dal 1967 a Rassegne e Mostre d’arte ottenendo numerosi riconoscimenti tra cui il premio “Città di Brescia” nel 1971 e il premio “Jacopino da Tradate” nel 1997. Ha allestito venti mostre personali in molte gallerie e spazi pubblici italiani.

Nella pagina a sinistra: 1. Ipod (2007), olio su tela, 2. Cesto di informatica (2008), tecnica mista su tela, 3. Ipod (2007), olio su tela.

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Partenza degli uomini rossi, strappo d’affresco cm 80x80

GIAMPAOLO TALANI L’ARTISTA TOSCANO IN MOSTRA PRESSO IL CENTRO ESPOSITIVO “LA PERLA” DI OLGIATE COMASCO. VIAGGIO TRA LA SUA AVANGUARDIA COSTRUITA A FRESCO ED OPERE CHE HANNO FATTO IL GIRO DEL MONDO.

DALL’8 MAGGIO FINO AL 5 GIUGNO E S P O S I Z I O N E L A PE R L A OLGIATE COMASCO w w w. c o r n i c i l a p e r l a . i t

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Il muro delle donne, strappo d’affresco cm 80x90

LA VITA

Nato a San Vincenzo (Livorno) nel 1955, ha sempre abitato e lavorato nel paese toscano. Ha frequentato il Liceo Artistico e l’Accademia delle Belle Arti di Firenze, dove è stato allievo di Goffredo Trovarelli. Le sue opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private. Espone a New York, Washington, New Orleans, Innsbruck, Colonia, Amburgo, Düsseldorf, Beirut, Parigi, Berlino. Giampaolo Talani è un autore toscano di assoluto rilievo, con un legame Musicista Jazz, strappo d’affresco cm 80x70 molto forte con Firenze dove ha studiato e mosso i primi passi di artista. La sua origine livornese fa ricordare un altro autore, Giovanni Fattori, che nell’incisione aveva trovato un modo personale di esprimere il proprio mondo poetico. La curiosità che gli è propria lo ha indotto a coltivare i generi tradizionali della pittura e a sperimentare anche altre tecniche compresa l’incisione e ALL’INTERNO DI UNA TRADIZIONE TOSCANA la pittura a fresco di cui è – tra DEL DIPINGERE, PENSA A CARRÀ, A ROSAI, A CAMPIGLI, i contemporanei – uno dei pochi MEDITA SULLA GRANDE PITTURA ITALIANA DEGLI ANNI profondi conoscitori. TRENTA, PUNTANDO AD UN REALISMO MAGICO O ANCHE ONIRICO, SENZA MAI SFIORARE PERÓ IL SURREALISMO.

TALANI,

“ V. SGARBI

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© UNICEF NYHQ-2010 0151 /S. Noorani

I BAMBINI DI HAITI NON DIMENTICHERANNO MAI. TU NON DIMENTICARLI

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HANNO ANCORA BISOGNO DEL TUO AIUTO. Dobbiamo continuare a proteggerli, curarli e farli tornare a scuola. Restituiamo ai bambini un paese in cui crescere e un futuro in cui credere.

• c/c postale 745000, causale: “Emergenza Haiti” • c/c bancario Credito Valtellinese - Como IBAN IT 26N05 2161 0900 0000 0008 5000 • presso Comitato Provinciale di Como - Via Bellinzona, 149 - Como - tel. 031/57.11.74 e-mail: comitato.como@unicef.it


MOSCHEE PROVE TECNICHE DI INTEGRAZIONE Articolo di Mattia Di Pierro Che tutto rimanga uguale. Non c’è nulla di più rassicurante della normalità. La novità irrompe e sconvolge, mette in dubbio, chiede spiegazioni insomma, porta con sé lavoro, ragionamento, preoccupazione a volte. Da sempre perciò in tempi in cui magari l’economia non è troppo stabile, in cui non vede con chiarezza il proprio futuro, il popolo chiede a gran voce: normalità. Stiamo parlando di quella normalità rasserenante, al cloroformio, fatta di oggetti familiari, di frasi conosciute in cui non c’è nulla da capire, ma solo da ricordare, con poco sforzo, tutto un lavoro di immedesimazione. L’avete in mente? Parliamo della normalità della giornata già programmata, oggi come ieri come domani, degli orari del lavoro, delle ore scandite dalle campane della chiesa del centro. Parliamo della normalità di un quadro con il sole chiaro su sfondo di cielo azzurro, sulle Alpi magari, con mucca e contadino annesso.

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Il principale monumento svizzero, la Wasserturm a Lucerna

Ma cosa succede se sullo sfondo appare un oggetto estrasoprattutto a noi che viviamo vicini a questa terra, e’ forte” neo, fuori contesto? Come minimo distrugge la serenità e poi “Credo che la Lega Nord possa e debba nel prossimo della composizione. Poco importa se poi il quadro risulti disegno di legge di riforma costituzionale chiedere l’inserieffettivamente migliore o peggiore: lì, il minareto, stona! mento della croce nella bandiera italiana”. Che non si dica Così succede che in Svizzera lo scorso novembre, a sorpresa, poi che non si parla di integrazione... la maggioranza dei cittadini (57%) ha approvato l’iniziativa La guerra al minareto in Svizzera ha ormai una lunga storia. popolare “contro l’edificazione di minareti” proposta dal I primi contenziosi risalgono oramai al 2000, ma la scintilla partito di destra Udc e dalla destra cristiana dell’Udf. Con che portò al referendum si accese nel 2005, a Wangen Bei questa riforma dell’articolo 72 della costituzione elvetica, Olten, un piccolo comune del Canton Soletta, nel nord non si potranno più costruire minareti del Paese. Quando infatti la locale assosul suolo svizzero. I quattro già esistenti, ciazione culturale turca fece domanda che a quanto pare deturpavano già abdi permesso edilizio per la costruzione bastanza il paesaggio, non saranno coldi un appariscente minareto di sei melo scorso novembre, piti da tale norma e verranno risparmiatri sul tetto del centro islamico, trovò la maggioranza dei cittadini ti. Subito il governo federale, che fin dal schierata la netta opposizione dei resiha approvato l’iniziativa principio si era dichiarato contrario al denti che si riunirono presto in un coreferendum, ha precisato che il risultato mitato. L’associazione turca si vide così “CONTRO L’EDIFICAZIONE del referendum non significa un rifiuto rifiutare il progetto dalla Commissione delle comunità musulmane, della loro comunale all’edilizia. Subito dopo la religione o della loro cultura. Se mai stessa associazione fece ricorso al Diparqualcuno l’avesse pensato...La curiosità della legge è infatti timento di edilizia e Giustizia accusando i membri del coquella di non proibire l’edificazione di moschee in genemitato comunale di essere motivati da pregiudizi religiosi e rale, ma semplicemente dei minareti. A difesa di questa ottenne l’approvazione. Il contenzioso venne quindi portadecisione, secondo i promotori ciò aiuterebbe a garantire to dal comitato di cittadini e dal comune di Wangen tra le la pace tra le diverse comunità religiose, eliminando quello mani della Corte Amministrativa del cantone di Solothurn, che sarebbe un simbolo politico e non puramente religioso, ma ancora una volta la ragione venne data all’associazione il minareto appunto (cosa che i cattolici di tutto il mondo, turca. Siccome poi, tale decisione fu confermata dalla Corabituati ai loro campanili non possono affatto comprente Suprema federale, fu rilasciato il permesso e il minareto dere). Dall’Italia arriva un grido rassicurante sull’interprevenne eretto sopra gli elvetici tetti nel luglio 2009. Fu a tazione della legge svizzera da parte del vice ministro alle questo punto però che gli oppositori mostrarono la loro infrastrutture Castelli che dice: “Il messaggio, che arriva tenacia, la sicurezza di chi ha un’ideale, (l’antiminaretismo

IN SVIZZERA

DI MINARETI”

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LUOGHI DI CULTO IN EUROPA E NEI SINGOLI STATI

1300 Inghilterra

totale Europa

7500

200

1500

Spagna

Francia

2500 300 Olanda

Germania 258 Italia

La grafica si riferisce a tutti i luoghi di culto, e comprende quindi anche semplici stanze di preghiera e le madrasse, ovvero le stanze annesse alle scuole coraniche. La stima è approssimativa.

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Due modi diversi di pregare, La Mecca e viale Jenner a Milano

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4 in questo caso) e la controversia si trasferì sul terreno politico. Dal 2006 i membri del Udc (Unione democratica di centro) e dell’Udf (unione democratica federale) lanciarono numerose iniziative cantonali contro la costruzione di minareti e costituendosi nel comitato Egerkinger proposero, nel 2007, un’iniziativa popolare che modificasse, come poi è avvenuto grazie al giudizio popolare, l’articolo 72. Una terra salva dai minareti. Ma la Svizzera non è sola a trovarsi ad avere problemi con le moschee (o parti di esse), in tutta Europa scorre la fobia per la moschea, ormai comunemente associata a un luogo fuori dalla legge e dallo stato, dove si addestrano fondamentalisti pronti a tutto, si “predica l’odio” e che, ovviamente, rompe la tranquillità e il paesaggio quotidiani. Tranquillità che veniva facilmente rotta anche a Milano, nell’ormai celebre viale Jenner quando, nei giorni di preghiera, i fedeli musulmani, si “impadronivano” dei marciapiedi antistanti il centro islamico per pregare. Situazione che creava ovvi disagi. Così quando i fedeli islamici milanesi si sono allora trovati all’interno del velodromo Vigorelli, noto tempio del ciclismo che però non ospita più gare dal 1985, lasciando i marciapiedi di nuovo alla sosta delle auto milanesi, gli abitanti sono insorti, gridando al rispetto del “tempio”, che non poteva essere profanato da tale, poco milanese, preghiera. Sfrattati nuovamente, i fedeli si sono così spostati al palazzetto di Assago, dove ancora pregano in attesa di un luogo anche minimamente più idoneo, più volte promesso dal comune.

mila fedeli stanchi di girovagare per la città continuano a chiedere un luogo dove poter pregare, senza chiedere soldi pubblici, (abitudine questa si, poco italiana) ma chiedendo solo un permesso per costruire. Quella di Milano non è però una situazione isolata, il primo censimento sui luoghi di culto dedicati all’islam nel nostro Paese fotografa una situazione insolita e preoccupante. Solo 2 dei circa 749 edifici in cui si trovano nella preghiera i fedeli islamici, sono effettivamente nati per il culto, gli altri sono garage, scantinati, appartamenti, capannoni e luoghi di fortuna, organizzati dai fedeli. I minareti che spuntano negli italici cieli, sono miseramente tre. Oltre alla moschea di Catania, dono della Libia alla Sicilia nel 1980, si conta la moschea di Segrate, costruita nel 1988 e naturalmente quella di Roma sul monte Antenne, costruita dai paesi arabi in intesa col governo italiano nel 1995. Intanto i cittadini italiani che si sono convertiti all’Islam raggiungono ormai quota 10 mila e crescono di circa 500 ogni anno, si voglia o non si voglia vederli. In Europa poi sfiguriamo un po’, pur essendo il quarto Paese per numero di moschee, contro le 2600 della Germania o le 2100 francesi. Lanciando lo sguardo oltre le Alpi, le moschee, anche se molte vengono costruite negli ultimi vent’anni, non sono una novità, eppure fanno ancora paura. La prima moschea moderna a sorgere in Europa fu proprio in Francia, nel 1926, in omaggio ai caduti musulmani del 14-18. Seguì Berlino, l’anno dopo, ma tutte le capitali

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L’albero della vita, un simbolo islamico

europee ospitano ormai una o più Mosche, da Lisbona (dal 1985), a Vienna, a Madrid (dal 1992). La storia d’Europa è poi fatta anche di Moschee, si pensi semplicemente alla Spagna alla moschea di Cordoba (785 d.C.), e di islam, in un continuo incontro-scontro. Ma le paure di oggi non si appellano che a una storia diversa, fatta di rigidi confini e rigide idee. Una storia di popoli che sono, sono stati e sempre saranno la stessa cosa. Già, perchè qui, con le paure di oggi, poco c’entra la storia, quella vera, perchè alla storia non si vuol guardare se non è rassicurante, e non lo è quasi mai. Le moschee sono divenute oramai simbolo di un conflitto e di una paura che striscia da più di un decennio. Rappresentano in forma simbolica quella rottura della tranquillità, quell’ansia che ci accompagna ormai da anni, da quando l’orizzonte non è più così chiaro. La moschea diviene il catalizzatore di ogni paura e, per magia e retorica politica, ne diviene anche la causa. Siamo tutti più che consapevoli della difficoltà dell’incontro con culture tanto diverse, dei problemi che possono seguire all’immigrazione. Perchè mai però si parla di invasione e non immigrazione? Abbiamo forse noi, come italiani, “invaso” l’America, la Germania, la Svizzera stessa nel Novecento, fino a non troppi anni fa, o siamo forse emigrati? La storia, a cui troppo spesso forse ci si attacca senza troppa ragione, è storia di emigrazioni e di fusioni di popoli, anche la nostra stessa storia. Vuol dire adattamento e trasformazione. La richiesta sui nuovi e adeguati luoghi di culto da

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parte dei fedeli islamici deve essere vista forse anche come un positivo segno di radicamento, di partecipazione e integrazione nel territorio, naturalmente nel rispetto delle regole e delle leggi. Una moschea visibile e non nascosta in uno scantinato è un importante segno di integrazione, la condivisione in una città, in un quartiere di un unico spazio per culti differenti, tutti, ugualmente visibili e manifesti. Se l’islam deve imparare a vivere in Europa, dobbiamo dargliene l’opportunità, deve poter respirare la nostra aria, vedere le nostre città. Nascondere in scantinati o garage preghiere che non si vogliono sentire o vedere aiuterà forse a passeggiare sereni per la strada, ma certamente non aiuterà una facile integrazione. Infine, avere dei luoghi di culto precisi e ben visibili non è forse meglio, per il controllo del rispetto delle leggi stesse delle miriadi di anonimi e privati appartamenti o garage? Non è meglio che anche la comunità islamica celebri alla luce del sole, davanti agli occhi di tutti? Invece l’integrazione deve essere per noi qualcosa di silenzioso, che non disturba. Quella di chi striscia a chiederci aiuto e poi striscia di nuovo all’ombra a nascondersi la sera. La cosa importante è che non si vedano, che non li vedano i nostri bambini. Abbiamo trasferito odio e paure nel cemento di una moschea o di un minareto, ma siamo sicuri che sia nel cemento il nostro problema? Qualcuno già propone di costruire dei campanili più alti dei loro minareti...Oppure chiudiamo gli occhi e che tutto resti uguale.•


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RUOTEARTIGLIATE E PAESAGGI MOZZAFIATO

Il Monte Tamaro è ormai diventato una Mecca per i bikers che amano sfidare se stessi immersi completamente nella natura.

Il territorio racchiuso tra i laghi di Como, di Varese e di Lugano sta riscoprendo una seconda giovinezza grazie al turismo sportivo, ovvero grazie a quelle persone che non si accontentano di visitare un luogo in modo superficiale, ma che vogliono viverlo e sudarlo in ogni sua parte, andando a scoprire angoli nascosti e speciali grazie soltanto alla forza del loro fisico, correndo, nuotando o pedalando. Proprio seguendo questo nuovo trend alcune località hanno radicalmente cambiato il loro classico modo d’essere e si sono organizzate per accogliere al meglio questi nuovi “pazzi della natura”. Il monte Tamaro, la montagna che getta la sua ombra su Lugano, una decina d’anni fa era meta di sciatori ed amanti della neve, ma a causa dei grossi problemi climatici che lentamente stanno sempre più alzando il limite delle nevi, si è visto costretto e chiudere i battenti, lasciando gli impianti ad uso e consumo solo del tempo. Poi sono arrivati loro, i bikers, gli amanti della mountain bike, che hanno riscoperto i sentieri della montagna svizzera, hanno gioito nel

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raggiungere la sommità dell’Alpe Foppa 1567 metri più in su, si sono emozionati davanti alla Cappella di Santa Maria degli Angeli costruita su progetto dell’architetto Mario Botta e sono inorriditi di fronte alle imponenti antenne poste sulla sommità da Swisscom. Rapidamente la voce di questo nuovo spot (nome con cui la tribù dei bikers definisce i luoghi in cui si può praticare il loro sport preferito) si è sparsa, così il monte Tamaro è diventata una delle mete più ambite dai pedalatori off road di tutta la zona insubrica, tanto da ospitare nel 2001 i campionati mondiali di mountain bike. Per una settimana la montagna ticinese è diventata il centro del mondo, portando i gestori degli impianti ad aprire la telecabina che da Rivera porta fino in cima anche al trasporto delle biciclette. Da quel momento in poi i sentieri hanno sempre più assaggiato il morso delle ruote artigliate. Nel 2009 è stato anche aperto un bike park, un’area attrezzata con salti, paraboliche e passerelle in legno, dove gli scatenati freeriders, i mountain biker più folli, possono compiere incredibili


evoluzioni. Il ruolo di grande importanza nel panorama Mtb svizzero del monte Tamaro viene suggellato nel week end del 1 e 2 marzo, giorno in cui la pista di downhill, specialità in cui i ciclisti si lanciano in discesa su un percorso estremamente tecnico, ospita la tappa d’apertura del campionato iXS Swiss Downhill Cup, la più importante challenge del territorio elvetico, un vero successo se si pensa che le strutture per la discesa hanno soltanto un anno di vita. All’arrivo della telecabine, sull’Alpe Foppa, sorge un accogliente ospizio con ristorante e posti letto. Il bel laghetto conferisce all’alpe un aspetto particolarmente suggestivo. Per i bambini è stato allestito un parco giochi; un’ulteriore attrattiva molto apprezzata dalle famiglie è la slittovia. Dall’Alpe Foppa i ciclisti possono seguire il sentiero che sale altri 430 metri fin sulla vetta del Monte Tamaro (1962 me-

tri sul livello del mare). Il sentiero passa accanto alla Capanna Tamaro, che offre altri 60 posti letto. Per i biker la salita da Rivera fino alla capanna rappresenta una vera sfida sportiva. Invece della salita in vetta, molti escursionisti scelgono la traversata verso il Monte. Questa è una delle più note escursioni perché offre una vista spettacolare in tutte le direzioni, dai laghi ticinesi alle Alpi, e si snoda fra pascoli verdi e assolati, castagneti e faggeti selvatici, passando accanto a tipici villaggi montani ticinesi dalle case con i tetti di pietra. Per questa gita, altrettanto bella anche con partenza dal Monte Lema, è in funzione nel tardo pomeriggio un servizio navetta che collega le due stazioni di Miglieglia e Rivera: con un biglietto combinato si può così tornare senza problemi al punto di partenza. Sul monte Tamaro ci sono due itinerari segnalati espressamente dedicati alla mountain bike: il primo parte dal Ri-

CHIAMATELI PAZZI DELLA

NATURA

SPORT 59


bambino via Muralto, 15 COMO tel/fax 031.260216

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storante Alpe Foppa e misura ben 33 chilometri, tragitto che un ciclista ben allenato compie in circa 4 ore; il secondo percorso prende il via dalla telecabina di Rivera ed in 10 chilometri arriva fino all’Alpe Foppa, scalando la famigerata salita. Un percorso non troppo impegnativo, su strade larghe e battute che si completa in poco più di due ore e mezza. Per i “pazzi” che invece amano buttarsi a capofitto in discesa la telecabina offre un servizio di trasporto biciclette dalle 8.30 di mattina fino alle 17 del pomeriggio al costo di soli 37 franchi svizzeri. Per chi vuole cimentarsi nel downhill bisogna ricordare l’obbligo di indossare casco e protezioni, in caso contrario i gestori degli impianti non danno l’autorizzazione ad iniziare il percorso. Tutte le informazioni necessarie possono essere richieste sul sito ufficiale del monte Tamaro: www.montetamaro.ch Quindi ora non resta che saltare in sella alla propria mountain bike e scoprire le bellezze paesaggistiche di un luogo così vicino a noi, ma troppo spesso dimenticato.

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LEGGI LA STORIA DELLA MOUNTAIN BIKE SU AKAPPA.IT

Nelle foto di questo articolo, alcune esperienze dei corridori di mountain bike. Pagina seguente: Umberto Corti, campione italiano XC 2008 (cross country).

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I DUE PERCORSI MTB NEL DETTAGLIO PERCORSO A Ristorante Alpe Foppa - Capanna UTOE - Bassa di Indemini A. Canigiolo - La Bassa - Alpe di Torricella - Arosio - Gravesano - Taverne - Mezzovico - Camignolo - Bironico - Rivera.

Distanza: 33 km - Durata: 4 ore - Difficoltà: media Fondo: 40% sterrato 20% asfaltato 40% sentiero PERCORSO B Stazione partenza telecabina Rivera - Monte Ceneri - Stazione Intermedia - Ristorante Alpe Foppa.

Distanza: 10 km - Durata: 2½ ore - Difficoltà: facile/media Dislivello: 1000 metri - Fondo: 100% sterrato

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N O L E G G I O E V E N D I TA C O P E R T UR E E D AT T R E Z Z AT UR E W W W. P R I V I T E R A - S A S . I T


IL MONDO DA UNA GIOSTRA Fotografie di Roberto Bulgheroni

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M COME

MISSONI

L’abito di maglia è Missoni. La sua miscela di colori e abbigliamento casual, le molteplici combinazioni di ombre, tessiture e disegni hanno creato uno stile inconfondibile ed inimitabile. Tutto comincia in un piccolo laboratorio a Gallarate, creato nella cantina della casa di Tai e Rosita Missoni. Piú avanti, verso la fine degli anni ’60, l’attività si trasferisce nell’attuale stabilimento dell’azienda a Sumirago, con la sua splendida vista sulla catena montuosa del Monte Rosa, una visione della natura che Rosita ha sempre adorato fin da piccola e che é diventata parte integrante dell’identitá e dell’immagine di Missoni. Le maglie di lana, seta, cotone e lino Missoni subiscono un’evoluzione nel corso degli anni; si scoprono nuove possibilitá fino ad allora sconosciute nell’ambito della confezione degli abiti e ció apre nuovi orizzonti nel mondo del tessile, del design e del colore. Quando nel 1969 Diana Vreeland, celebre direttore editoriale di American Vogue, conobbe i Missoni per la prima volta, trovó il loro concetto di moda “ingegnoso” e commentò: “Chi ha detto che sono solo colori, ci sono anche le ombre!” Dopo quest’incontro, alla fine degli anni ’60, le collezioni di Tai e Rosita iniziano a girare per il mondo e ad attirare sempre maggiore attenzione, ottenendo un pubblico internazionale. Nel 1979, la giornalista Maria Pezzi disse dei loro vestiti: “sono pezzi da museo che nonostante ció possono essere indossati”. Arrivano i primi riconoscimenti ufficiali, il prestigioso premio Neiman Marcus Fashion Award nel 1990 (per aver creato uno stile e aver avuto un grande im-

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patto nell’ambito del design tessile e della moda); il titolo de Honorary Royal Designer for Industry, consegnato a Londra nel 1997; il Dallas Historical Society’s Stanley Award e il dottorato onorifico in Scienze Umanistiche da parte della Academy of Art Collage di San Francisco nel 1999. La coppia diventa una grande famiglia e i tre figli – Vittorio, Luca e Angela – nati fra il 1954 e il 1958 e cresciuti mantenendo una stretta relazione con il lavoro dei genitori, diventano progressivamente co-autori di un progetto che continua catturando cuori e menti: oggi sono loro a gestire assieme la Missoni SPA. Divenuto molto popolare tra alcune delle celebritá del mondo, il marchio Missoni veste musicisti, ballerini, artisti del cinema e della televisione del calibro di Quincy Jones, Arnold Schwarzenegger, Madonna, Jennifer Lopez, Sharon Stone, Demi Moore e Cameron Diaz e molti altri. Il marchio continua ad attirare una crescente attenzione da parte della stampa mondiale. In un articolo dell’International Herald Tribune, Suzy Menkes scrive in maniera specifica sull’importanza dell’impatto che la famiglia Missoni aveva avuto e continuava ad avere sulla moda italiana. Nel 2003 il brand Missoni compie 50 anni. Ne nasce un grande evento retrospettivo, una selezione di piú di 100 oggetti fra tutti i pezzi presenti in Archivio con l’intenzione di mostrare la continuitá e l’attualitá di un linguaggio artistico.•


“… un nuovo concetto di profumeria, dove semplici mensole sbiancate si riscaldano dai colori e dagli odori delle più prestigiose maison, alternando magnificamente fragranze per ambiente a profumi artistici personali.”

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Nimb NELLO SCRIGNO BIANCO DEL TIVOLI GARDEN

di Roberto Uboldi I mezzi pubblici sono uno dei fiori all’occhiello della cultura scandinava moderna. Non fa eccezione la Danimarca e più in particolare Copenhagen, con le sue numerose linee attraversate da treni moderni, veloci, mai in ritardo. Per raggiungere il pieno centro della città vi basterà scendere, ça va sans dire, alla stazione centrale, a pochi minuti dalla fermata dell’aeroporto. L’atmosfera che potrete ricavare dalla costruzione ottocentesca non vi risulterà familiare - travi di legno brunito a vista, piccoli mattoncini scandinavi, lanterne di ghisa vecchio stampo ed enormi vetrate – così come il nome, Hovedbanegård, che i danesi stessi hanno ribattezzato più semplicemente Copenhagen H. Tuttavia uscendo risuonerà di certo alle vostre orecchie, meno esotico e più pronunciabile, il nome Tivoli. Sì perché proprio di fronte all’ingresso della stazione si estende il Giardino di Tivoli, uno dei progetti più innovativi e carichi di storia qui in Danimarca: un parco divertimenti del 1843 che conserva ancor oggi intatte numerose delle proprie eclettiche opere architettoniche. La data di costruzione lo pone al secondo posto tra i parchi di svago più antichi al mondo, e il nome è un omaggio alle magnificenze della cittadina italiana alle porte di Roma, oggi patrimonio dell’Umanità per l’Unesco.

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70 DESIGN


A

ll’interno del complesso del Tivoli Garden non farete fatica a trovare un edificio che riesce a differenziarsi, nonostante gli agguerriti rivali. La facciata pulita e lineare, attraversata da fitte decorazioni geometriche - come un enorme arabesco nasconde un luogo intimo e prezioso, uno scrigno bianco nel centro cittadino, pronto a svelare un’ospitalità casalinga, che si concilia tuttavia con il lusso di un hotel di altissimo livello. Benvenuti al Nimb, una delle perle del Tivoli, un luogo che conserva nel proprio nome le tracce di un passato memorabile per questa città. IL BAZAAR DI COPENHAGEN La famiglia Nimb aprì il proprio ristorante, il Divan 2, nel 1877, all’interno del Tivoli. Questo luogo, conosciuto anche come la Veranda dei Nimb, divenne in pochi anni ritrovo per le alte sfere della città. Un grande traguardo per questa allegra famiglia, soprattutto se pensiamo che prima della loro gestione il locale era modesto, mal gestito e, a detta dei cronisti, anche un po’ sporco. Gli affari andavano quindi molto bene, e le due figlie della proprietaria Louise Nimb, Henriette e Serina, impararono il mestiere dei propri genitori migliorando se possibile il servizio offerto. Durante il triste periodo della Prima Guerra Mondiale, la Veranda era un luogo di culto per il jet set della fiorente Copenhagen. Nel contempo, le due attivissime sorelle avevano preso in gestione anche il Bazaar, un edificio fortemente voluto da Cartensen, il fondatore del Tivoli, per commercializzare arte e artigianato locale. Il Bazaar meriterebbe un articolo a sé, per le sue cineserie, le sue eccentriche esoticità, ma è sufficiente sapere che in quel periodo era di gran lunga l’edificio più visitato dell’intero parco di divertimenti. Quello che successe a questo edificio nel 1909 è il punto di partenza per la storia dell’hotel. In seguito al progetto per la nuova stazione centrale di Copenhagen infatti, il Bazaar fu demolito completamente e ricostruito a qualche decina di metri di distanza, per opera dell’architetto Knud Arne-Petersen. L’architetto era sicuramente un appassionato di arte musulmana ed esotica a quanto ci risulta, perché negli anni a seguire non poche furono le proteste per la facciata così riccamente decorata e fastosa, che strideva con lo stile tradizionale della stazione. Nel 1932 tutta la parte frontale dell’edificio fu così modificata e resa più sobra per ordine del Consiglio della città.

IL NIMB RITORNA AI SUOI FASTI Dopo la gestione delle sorelle Henriette e Serina l’hotel visse periodi meno felici. L’ultimo Nimb ad amministrare il ristorante-bazaar fu Jules, loro nipote, che dovette infine far fagotto e cedere l’attività, visti i bilanci negativi. Nel corso degli anni si sono avvicendate numerose gestioni, molte volte l’edificio ha cambiato la sua identità e per lunghi anni il Bazaar è rimasto uno scheletro vuoto, un fantasma di un’epoca di splendore vissuta prima della Seconda Guerra Mondiale. L’unica cosa che orgogliosamente conservava però, come usurato vessillo della propria grandezza, era il nome originale e celebre dei Nimb. Solo nel 2008 la proprietà del Tivoli ha rilevato e di conseguenza ristrutturato tutto l’edificio, riuscendo a preservare l’originale idea di un luogo tradizionale e familiare, con le punte di esoticità che caratterizzano peraltro tutto il parco. COME A CASA Non deve essere stato facile mantenere intatto il segreto del Nimb, questo misto così ben congegnato di accoglienza, tradizione e lusso arabeggiante; tuttavia attraversando oggi le sale enormi dell’albergo, alcune delle quali ancora in fase di sistemazione, ci si rende conto di quanto la passione per un progetto antico e sentito possa trasparire anche dai piccoli dettagli. È quanto cerca di spiegarci Julie von Sperling, una delle menti di questo progetto, quando ci parla dell’odore del legno che permea i saloni disposti sui vari livelli dell’hotel: come in una bella casa questo parquet pregiato ci fa dimenticare quelle moquette di seconda scelta che negli altri hotel ci fanno sentire fuori posto, a disagio. Ogni cosa è fatta per aderire ad un’idea di ospitalità di alto livello, che si fonde con tanti piccoli privilegi, di solito esclusivo appannaggio delle abitazioni di lusso: l’intimità, il servizio amichevole, gli spazi dilatati, il silenzio riposante, la vista su uno splendido giardino, e non ultima la crepitante fiamma del camino, dotazione standard di ogni camera qui al Nimb. Lo stile decorativo unico ed esclusivo per ogni stanza - ce ne sono appena 13 in tutto l’hotel - amplifica la sensazione di trovarsi in un bel palazzo antico rivisitato, così come i corridoi ampi e ben illuminati, simili ad eleganti atri di ispirazione classica. Stile coloniale, scandinavo, neoclassico: solo osservando la raffinatezza dei particolari, dei soffitti alti e riccamente rifiniti, dei fregi moderni alle pareti, dell’accostamento di essenze e virtuosismi scultorei, si può credere che tradizioni tanto diverse si possano fondere con tale eleganza.


RIPOSARSI, MA NON SOLO 1 stella Michelin: Julie ci ricorda che lo chef Thomas Herman ha finalmente ottenuto il riconoscimento che meritava, dopo due anni di “tutto esaurito” nel suo ristorante. Anche Thomas Herman, ex ragazzotto di belle speranze dello Jutland, segue la “Nimb-filosofia”, che vede la rivisitazione raffinata del passato come elemento fondante. Il geniale chef crea piatti che ripropongono la tradizione danese di alto livello, e che stuzzicando la memoria ci fanno ricordare eventi o persone piacevoli, sapori inconfondibili che sembrano provenire da quell’infanzia idealizzata che ognuno di noi si crea. Nel suo ristorante annesso all’albergo riesce davvero a farci rivivere sensazioni del passato, e non sappiamo se ciò sia merito della sua carriera sfolgorante o dell’aria che si respira qui. Oltre al ristorante troviamo poi la brasserie, un nome piuttosto generico che si traduce così: persone esperte ed affabili che cucinano davanti ai nostri occhi, pronte a soddisfare i nostri gusti con piatti essenziali e ricercati al punto giusto, senza quel bisogno di eccedere tipico degli hotel di lusso. Non mi ripeterò su quanto questo ci riporti nuovamente ad un’atmosfera casalinga. Una sala meeting professionale, una panetteria tradizionale e una vinoteca con 13 mila bottiglie completano in rapido elenco i servizi annessi all’hotel. LATTE FRESCO A COPENHAGEN Dalla precedente lista è stato volutamente escluso il progetto che più di ogni altro racconta la volontà del Nimb di integrarsi nel tessuto tradizionale della vita danese: la latteria. Infatti grazie alla collaborazione con l’azienda Oellingegaard oggi è possibile ritrovare al Nimb l’essenza dell’attività casearia un tempo diffusa anche nelle città danesi. Una ricca produzione interna di prodotti derivati dal latte, tra cui spiccano una gustosa variante del burro salato - tanto caro alla cucina scandinava – e un cremoso latte al cioccolato, prodotti noti anche al mercato nazionale. L’eccezionalità dell’operazione risiede nella volontà di rifornirsi con il solo latte di un territorio specifico nello Sjælland, una regione prossima al mare, che per transitività a noi misteriosa conferisce al latte un caratteristico gusto “salato” ed aromatico. La filiera protetta garantisce la qualità di un prodotto apprezzato dai raffinati palati danesi, che disdegnano spesso il mix di latte propinato dalle industrie, noncuranti delle specificità dovute alla provenienza del prodotto. Un’operazione di ritorno alla qualità e genuinità che stupisce favorevolmente se considerata nel contesto del progetto di un hotel di lusso.

IL RAPPORTO CON L’AMBIENTE Dopo una gustosa bevuta di latte al cioccolato, arriviamo al tema a noi caro dell’ambiente. Julie ci indica fuori dalle finestre una miriade di luci pronte a creare l’atmosfera le festose serate estive qui al Tivoli, e ci spiega che dentro tutti quei sofisticati intrecci art decò c’è un’anima “verde”. Tutte le vecchie lampadine sono state infatti sostituite con quelle a basso consumo energetico. Buon segno. Ma ancora di più ci stupisce sapere che la volontà di utilizzo esclusivo dei prodotti locali è una scelta consapevole e ragionata a favore dell’ecosostenibilità, e che gli avvertimenti volti a migliorare la sensibilità dei dipendenti dell’albergo verso il tema ambientale si sono tradotti in tante piccole modifiche del loro lavoro quotidiano. Il tutto è stato favorito dalla gestione del Tivoli che da sempre ha a cuore questi temi, ed in particolar modo il riciclo delle risorse. Se vi capita di prendere una bibita nel parco potete risparmiare qualche corona restituendo il bicchiere: un piccolo esempio di come cambiare le nostre abitudini, un’iniziativa di successo pur trovandoci in un paese ricco come la Danimarca. Se poi vi doveste perdere con il vostro bicchiere in mano, in cerca della ricompensa, e dimenticata la retta via vi ritrovaste nei sobborghi di Copenhagen, vi potrà capitare di imbattervi in un moderno mulino a vento. No, non è una scenografia di un parco di divertimenti, è un metodo innovativo per sfruttare il concetto di decentralizzazione dell’approvvigionamento energetico tramite fonti rinnovabili. Quel mulino può rifornire di energia pulita gran parte del sistema di illuminazione di tutto il complesso del Tivoli. Sistemi innovativi per le lavanderie e prodotti naturali per la pulizia completano il quadro ecologico del Nimb, programmi seri e non solo di facciata. PROGETTI Una spa che ricalchi lo stile arabesque, una palestra ben fornita, boutique di lusso, piani per l’ecosostenibilità in collaborazione con il Ministero per l’Ambiente: quando si chiede a Julie di parlare di progetti futuri si fatica a starle dietro, bisogna necessariamente prendere appunti. Non vuole svelare chi saranno i protagonisti dei prossimi eventi ospitati qui al Nimb forse per scaramanzia – non c’è nulla di ufficiale – forse per marketing. Quando infine ci comunica l’idea di aumentare il numero delle stanze entro i prossimi 5 anni, ci si chiede subito se esista anche la possibilità che i prezzi scendano, almeno un po’. Poi si osserva nuovamente tutto ciò che sta intorno: non è difficile capire che l’abbassamento dei prezzi è l’unico proposito che rimarrà disatteso, qui al Nimb.•

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Nelle foto in queste pagine la facciata del Nimb vista dal Tivoli Garden, gli interni delle stanze, della brasserie, alcuni prodotti derivati dal latte a marchio Nimb


BELLOTTI

TRA PROFUMI ANTICHI ED INNOVAZIONE di Luca Di Pierro

novazione dello stesso, applicando ad un materiale classico CERMENATE – Il profumo caratteristico lo si sente apcome il legno prodotti altamente tecnologici e naturali per pena varcate le porte dell’azienda. Ė un profumo vago, aprisposte sempre più flessibili alle richieste del mercato.Invepena accennato, ma inconfondibile. Una fragranza lontana stire in formazione e innovazione, in una visione ecososteche riporta il pensiero al piacere del “fare”, del costruire: è nibile di impresa, è questa la nostra vision. Innovazione di l’effluvio unico del legno. prodotto, di processo e di formazione, cerchiamo sempre Ottantatre anni di storia del legno hanno attraversato di formare e di innovarci. Investire in formazione, attraquesti piazzali, magazzini e uffici sin dal 1927 quando verso corsi di aggiornamento per tutti i dipendenti e non Bellotti spa aprì, o meglio sarebbe dire, si aprì al mersolo per i manager. Recente è la nostra cato del legname. collaborazione con il Politecnico di Ottantatre anni fitti di successi aziendaUN PROFUMO VAGO Milano con cui abbiamo partecipato e li di difficoltà superate, ma soprattutto APPENA ACCENNATO partecipiamo tuttora a corsi di Kaizen; di esperienze, di donne e di uomini che L’EFFLUVIO DEL una filosofia nata in Giappone e sperisono riusciti a costruire una realtà conmentata dalla Toyota con notevole sucsolidata che oggi si affaccia al mercato, cesso che ci ha permesso di ottimizzare, con rinnovata freschezza e insindacabiattraverso l’insegnamento di un nuovo le innovazione. Da qui abbiamo voluto metodo di lavoro a tutti i reparti, l’efficominciare l’intervista a Valentina Belcienza ed un miglioramento continuo lotti, responsabile Marketing & Comudei nostri standard produttivi e qualitativi, evitando ogni nicazione dell’azienda, cercando di capire quale visione ha spreco e facendo sì che siano proprio i dipendenti a essere voluto unire un materiale così antico come il legno a tecnopromotori del cambiamento. Innovazione è un’altra dellogie e materiali al top dell’innovazione. Il nostro percorso le nostre parole chiave ed è anche la nostra risposta alla inizia dal prodotto, ci spiega Valentina Bellotti, l’approccio crisi che sta attraversando il sistema in questi anni. Tra gli che abbiamo è quello di chi opera con piena conoscenza e ultimi un investimento importante in un momento non coscienza del materiale offrendo ai nostri clienti e partner propriamente facile come quello che stiamo vivendo, la un ufficio ricerca e sviluppo con il quale testare e creare l’in-

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scelta dell’azienda di implementare l’impianto fotovoltaico su tetto totalmente integrato più grande del nord Italia. Un investimento che guarda al futuro con ottimismo e speranza. Bellotti infatti è la prima azienda del settore del legno–arredo in Italia a realizzare un impianto di questo tipo. Un progetto che non può che confermare e fortificare la sensibilità dell’azienda in fatto di sostenibilità e ambiente. Aggiungendo un’altra tacca al percorso “green” che l’azienda mette in pratica; attraverso lo sfruttamento del 100% della materia prima, gli scarti di lavorazione vengono infatti utilizzati per produrre energia termica pulita fino all’ottenimento delle certificazioni FSC e PEFC, che garantiscono la catena di custodia del legno e ne assicurano la provenienza da foreste certificate e gestite con criteri di sostenibilità, non solo nella compatibilità con l’ambiente, ma anche nel rispetto dei diritti dei lavoratori e delle popolazioni locali. Una superficie di 10.000 metri quadrati di tetto su cui sono stati posati 4.500 pannelli fotovoltaici per un’estensione complessiva di 8.000 metri quadrati, una potenza di 9.922.285 Wp e una produzione di 10.260.600 kWh annui di energia pulita. Un impianto che conferma l’attenzione di Bellotti per l’ambiente, in un mercato italiano che guarda ancora con un alone di diffidenza all’ecosostenibilità e a processi verdi di impresa, questo è sicuramente una realtà capace di offrire una speranza e una nuova chiave di lettura del nostro tempo. Nelle foto: immagine storica del trasporto dei tronchi, il laboratorio, campioni delle essenze per lavorazioni e i pannelli compositi.


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UNA CASA. UNA COPPIA. A PONTO VALENTINO NEL CANTON TICINO PER VISITARE CÀ JANUS

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LA STRUTTURA

UN SISTEMA COSTRUTTIVO CONTEMPORANEO MEMORE DELLE CASE TRADIZIONALI CON MURI IN PIETRA, SOLETTE E TETTO IN CARPENTERIA


IL DOPPIO E L’UNO

DUE VOLUMI QUADRATI CHE SEGUONO L’ORDINE TOPOGRAFICO DELLA VALLE E DEL TERRENO, UN TETTO CHE UNISCE. L’ORIENTAMENTO DEI VOLUMI E DELL’ACCESSO NON È ORTOGONALE, ALL’OCCHIO OGNI LATO RISULTA DIVERSO.

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IL VISSUTO

SI RINGRAZIANO BUZZI E BUZZI ARCHITETTI, FRANCESCO BUZZI PER I TESTI, HANS E MICHÈLE MÜLLER PER LA GRADITA COLLABORAZIONE. FOTOGRAFIE NELLE PAGINE 76, 77, 78, 79 DI NICOLA ROMAN WALBECK

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GALLERIA

LA

PERLA

Passeggiata sulla spiaggia, olio su tela. cm 200x100 (2001)

Inaugurazione Sabato 8 Maggio ore 18.00

GIAMPAOLO TALANI La mostra rimarrà aperta dall’8 Maggio fino al 5 Giugno da Martedì a Sabato 9.00 - 12.30 / 15.00 - 19.30 - Lunedì 15.00 - 19.30 Domenica 9 Maggio aperto Festivi su appuntamento

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6 ZERI PER UN VIVERE ECOLOGICO Ha proprio questo significato il nome della Z6 House, firmata Ray Kappe: zero acqua, zero energia, zero emissioni, zero CO2, zero rifiuti, zero ignoranza. La casa di cui si parla in questo articolo è una casa unifamiliare di 230 mq situata a Santa Monica, California, ed è una delle abitazioni più ecologiche e sostenibili degli USA, tanto da essere il primo edificio residenziale ad aver ottenuto la certificazione LEED Platino. Il LEED è un sistema di valutazione della qualità energetico-ambientale per lo sviluppo di edifici “verdi” ad alte prestazioni, che funzionano in maniera sostenibile e autosufficiente a livello energetico. Nato nel 2000, è promosso dal U.S. Green Building Council, organizzazione no profit nata nel 1993, i cui membri sono rappresentativi di tutti i settori dell’industria delle costruzioni. La Z6 House è un’architettura particolare, soprattutto per il fatto che chiunque voglia ha la possibilità di farsene costruire una copia. Si tratta infatti di un edificio prefabbricato ad opera della Living Homes, società statunitense entrata nel mercato delle case prefabbrica-

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te nel 2006, che si è impegnata nella realizzazione di edifici a basso impatto ambientale, progettati e curati da architetti di alto livello. Tutte le case prefabbricate Living Homes sono realizzate con prodotti naturali, non tossici o comunque la cui produzione non sia troppo dannosa per l’ambiente, per ottenere così il minimo impatto ambientale dalla costruzione di ogni abitazione. La politica, o meglio, la filosofia dei “sei zeri” per la sostenibilità, intrapresa con successo dal progetto Living Homes, si pone come obiettivo quello di arrivare ad un impatto il più vicino possibile allo zero sulla nostra salute e sull’ambiente. Questa filosofia ha un riscontro molto pratico nella Z6 House: per ogni “zero” esiste una soluzione architettonica o tecnologica adeguata.

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Genzyme Corporation Headquarter, Cambridge, MA. Architetto: Behnisch, Behnisch

GREEN LIFE

IL FUTURO VERDE DELLE CITTÀ Dal 5 febbraio al 28 marzo nella curva di 1.500 mq al piano terra dello spazio espositivo della Triennale di Milano, sarà possibile confrontarsi con architetti e città che hanno investito in strategie innovative per un’architettura sostenibile e per spazi urbani (ri)qualificati in chiave ambientale. Un’intera mostra di progetti realizzati o in fase di realizzazione provenienti da tutto il mondo, il tutto incanalato nella corrente di sensibilizzazione che precede l’ EXPO 2015. Le città sono il nodo centrale nella lotta al cambiamento climatico. “Solo le città sostenibili del prossimo futuro - si legge nel comunicato degli organizzatori - potranno dare speranza a quella metà della popolazione mondiale che vive in città. E’ necessario passare dall’utopia alla realizzazione.” La mostra mette in luce che i temi trattati fanno parte di un terreno d’avanguardia in Italia: c’è poca attenzione, pochi studi professionali se ne occupano, pochissime amministrazioni locali fanno scommesse e investimenti in questo senso. L’obiettivo che gli organizzatori si sono posti con questa sfida è che si possono rinnovare le città costruendo nuova

bellezza (rara in Italia), tenendo d’occhio i nuovi materiali e le nuove tecnologie per ridurre le emissioni di CO2 e rientrare a concorrere in Europa anche in questo campo. Si evidenzia il rapporto tra realizzazioni, contesti e politiche urbane, lavorando sulle tre scale (città, quartiere, singolo edificio) con un focus sui quartieri ecologici già esistenti, sulle città del prossimo futuro, progettate ad emissione zero. Particolare attenzione è riservata ai materiali da costruzione ed alle tecnologie: numerosi gli esempi di materiali isolanti per limitare i costi energetici di riscaldamento e raffreddamento degli ambienti e di materiali riciclati per la costruzione. Green Life, infatti, è pensata sia per i professionisti, progettisti, pianificatori o imprenditori del settore edile che rappresentano il motore dell’auspicato cambiamento, sia per i cittadini che cercano idee per uno stile di vita nuovo, diverso e “eco”.

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ECOVETRINA Un vestito a led PER SCOPRIRE L’INQUINAMENTO DELL’ARIA

Quanto è inquinata l’aria che respiriamo? Da oggi sarà possibile scoprirlo soltanto indossando Climate Dress, l’abito da sera che fonde insieme tecnologia e moda, rilevando la quantità di CO2 nell’aria. L’abito è stato ideato dall’azienda danese Diffus ed è in grado di rilevare l’inquinamento grazie a centinaia di Led che si illuminano quando l’inquinamento dell’aria raggiunge livelli critici. In base ai livelli di CO2, i Led incastrati tra le trame del vestito, si illuminano a velocità diverse. Il vestito è solo un prototipo che difficilmente verrà commercializzato su larga scala, ma già l’azienda sta pensando ad un più pratico, ed economico, braccialetto dalle stesse caratteristiche. www.diffus.dk

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Libreria o bara?

Laura Parker

A VOI LA SCELTA

ASSAGGIATRICE DI TERRENO

Shit Box

Che William Warren sia un designer innovativo e “fuori dagli schemi” è dimostrato dalla sua ultima creazione: una libreria capace di “riciclarsi” per diventare una bara. La libreria dalle linee moderne è realizzata completamente in legno e molto facile da montare, ma ancora più facile è lo smontaggio e la conseguente trasformazione in bara da parte dei vostri cari. Un oggetto tragicomico e forse un po’ macabro, ma che focalizza l’attenzione sull’importanza del riutilizzo dei materiali. www.williamwarren.co.uk

Laura Parker è un artista, che da almeno 20 anni lavora ispirandosi all’agricoltura e ai contadini e che ha deciso di portare in giro per gli Stati Uniti, con la mostra itinerante “A Taste of place”, la sua capacità di riconoscere le qualità di un terreno al solo assaggio. La dimostrazione serve a far comprendere ai consumatori che ortaggi, verdure e frutta sono dipendenti e influenzati dal terreno in cui sono stati coltivati. E più il terreno è sano e più i frutti sono sani. Dunque, ai partecipanti, sono proposti in bicchiere diversi tipi di terreno, da quelli ipersfruttati a quelli destinati alle coltivazioni biologiche. Laura Parker mette un po’ di terreno in un calice di cristallo, come fosse un vino, e aggiunge un po’ d’acqua per far sprigionare gli aromi. A quel punto tutti sono invitati a usare narici e bocca per scoprire le essenze emanate. www.lauraparkerstudio.com

Immaginate di essere in viaggio, lontani da tutto e tutti, proprio in quel momento un atroce fitta allo stomaco vi colpisce. Nessun servizio igienico nelle vicinanze, come fare? Semplice! Basta montare Shit Box, un WC portatile di cartone totalmente ripiegabile e praticissimo da utilizzare come e quando si vuole. L’idea è venuta all’inglese Richard Wharton della Brown Corporation quando, durante un viaggio on the road, si ritrovò in tenda con solo una scatola vuota di Kleenex. Oltre ad essere una simpatica trovata è sicuramente igienica ed ecologica, considerando che tutta la struttura è realizzata in materiale riciclato e biodegradabile, proprio come il suo contenuto. www.thebrowncorporation.com

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OGM FREE

ECOVETRINA Michelle Obama ED IL COMPLEANNO OGM FREE

Michelle Obama per festeggiare il primo compleanno da first lady ha organizzato una festa nell’unico ristorante di Wahington che può vantare di offrire solo prodotti biologici certificati e OGM free. Il ristorante in questione è il Nora situato nei pressi di Dupont Circle e promuove “una cucina americana fondata su prodotti biologici”, un tema che, come manifestato in diverse occasioni, è particolarmente caro alla first lady, impegnata in prima linea a promuovere in America una nuova cultura del cibo. Il tutto nella convinzione che “Mangiare sano non significa solo stare meglio, ma anche risparmiare”. Una cena che vuole essere di esempio dunque, e che, anche secondo Coldiretti, “potrebbe significare un cambiamento nella politica agricola americana che fino ad ora ha promosso la diffusione di organismi geneticamente modificati (OGM) e difeso l’utilizzazione di ormoni negli allevamenti vietati in Europa. Ma non solo. Secondo l’associazione, infatti, questa svolta biologica promossa dai coniugi Obama, potrebbe rappresentare anche “un’ opportunità di mercato per l’agricoltura italiana che, leader in Europa per la qualità, con il maggior numero di imprese impegnate nel biologico (50mila), ha fatto la scelta di mantenere le proprie coltivazioni libere dalle contaminazioni degli Ogm.

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Comuni Ricicloni

Mobili

LOMBARDIA 2009

IN CARTONE RICICLATO

Qual è il comune lombardo più “riciclone” del 2009? Semplice, il piccolo borgo di Adro, in provincia di Brescia, seguito a ruota dal suo vicino Travagliato, ma la vera palma d’oro va a Lecco, primo capoluogo di provincia con un tasso di riciclo pari al 55%. Questo è ciò che emerge dal dossier Comuni Ricicloni Lombardia, compilato sulla base dei dati forniti da ARPA Lombardia e presentato da Legambiente. Sugli oltre 1500 comuni lombardi in gara, sono 627 quelli che si possono fregiare dell’entrata nella classifica dei Comuni Ricicloni 2009, un numero in aumento rispetto all’edizione precedente (588) nonostante i criteri più severi imposti per l’ingresso in classifica. Nella classifica dei capoluoghi di

provincia dopo Lecco, sale Bergamo che recupera una posizione su Varese che scende al terzo posto. Seguono la new entry Monza e Sondrio. Anche quest’anno a causa dell’innalzamento della soglia minima di raccolta differenziata per l’ingresso in classifica, fissata al 45% rispetto al vecchio 40%, resta fuori dalla classifica la città di Como. Un brutto smacco per quella che potrebbe essere la zona trainante del turismo lombardo. All’interno della classifica delle singole province troviamo al primo posto Villa Guardia per il comasco e Lierna per il Lecchese.

Resistenti, semplici, intelligenti ed ecologici, questi gli aggettivi che meglio descrivono i nuovi mobili della linea zBoard del marchio statunitense Way Basic. Si tratta di un pannello in cartone riciclato da assemblare secondo il proprio gusto per creare scaffali, cubi, tavoli, librerie e scrivanie. Apparentemente identici ad un comunissimo pannello in compensato, i modelli della ditta USA al loro interno sono composti da strati sovrapposti di cartone compresso e cartone ondulato il tutto proveniente dal riciclo. Questa struttura li rende resistenti al pari dei mobili tradizionali, ma sicuramente più leggeri e versatili. Naturalmente tutti i mobili creati sono 100% riciclabili, così come l’imballaggio in cui vengono consegnati. www.waybasics.com

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L’ELEGANZA DEL RICCIO

Un libro delicato e intenso, triste e intimo. INASPETTATO.

A cura di Alessandra Tettamanti Pochi sono i libri che grazie al passaparola dei lettori raggiungono e mantengono stabilmente i primi posti in classifica tra i libri più letti e venduti. Si potrebbero citare ad esempio “Harry Potter e la pietra filosofale” e “Il cacciatore di aquiloni” e perché no? Lo stesso Stieg Larsson con il primo libro della trilogia Millenium “Uomini che odiano le donne”. Similmente è accaduto anche a “L’eleganza del riccio” dell’autrice francese Muriel Barbery, che, eletto in Francia libro dell’anno nel 2007 è anche da noi oramai da quasi tre anni sempre in pole position tra i libri più acquistati in libreria e più richiesti nelle biblioteche. Perché i lettori italiani hanno subito scoperto, apprezzato e comprato questo romanzo? La casa editrice “e/o” non è certamente tra le più conosciute e pubblicizzate, la copertina è bellina ma non colpisce più di tanto, il titolo lo si potrebbe trovare accattivante ma non straordinario, e di solito i romanzi best-seller ci giungono da oltre Manica o da oltre oceano e così via. Basta cominciarne la lettura però e ci si accorge subito del perché... Il lettore resta immediatamente catturato dalle vicende del “bel palazzo parigino con cortile e giardino interni, suddiviso in otto appartamenti di lusso, tutti abitati, tutti enormi” e si sente ben presto immerso in un condomino dell’edificio al numero 7 di Rue de Grenelle. “L’eleganza del riccio” è un romanzo a due voci: quella di Renée, la portinaia vedova, bassa, brutta, grassot-

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tella e con i calli ai piedi che racconta la quotidianità della sua esistenza e del palazzo e la voce della piccola Paloma del quinto piano, figlia dodicenne di un ex diplomatico ora parlamentare, che attraverso il suo diario osserva e giudica il mondo con disincanto ed acume. Apparentemente Renée impersona in modo perfetto la figura della portinaia curiosa, sciatta e ignorante, con la tv sempre accesa sui programmi spazzatura, così come concepita dall’immaginario collettivo, mentre Paloma, la ragazzina, sembra la tipica adolescente con tutti i problemi dell’età. La chiave di lettura è proprio questa: Renée “impersona” e Paloma “sembra”. Già, perché in una società votata all’apparire, Renée e Paloma scelgono stranamente di passare inosservate. Renée e Paloma riescono brillantemente nel loro intento di “nascondersi”, perché sono pochi coloro che si interessano veramente alle persone che incontrano; per lo più tendono a darle per scontate. Di solito la gente guarda ma non vede, sente ma non ascolta e se qualche particolare non coincide con l’idea che si è fatta del personaggio che ha di fronte, preferisce ignorarlo. Tutti si rivolgono a Renée attraversandola con lo sguardo e le rivolgono la parola solo per parlare di fatti attinenti al suo lavoro di portinaia. Per questo nessuno si chiede la ragione del nome che Madame Michel ha dato al proprio gatto, per questo il giovane Pallières non presta attenzione alcuna al libro che è scivolato fuori dalla


I due attori Togo Igawa e Josiane Balasko, che nel film di Mona Achache interpretano Kakuro e Renée.

sporta rovesciata di Renée. Se ne rende conto però Paloma, perché, contrariamente agli altri, è capace di osservare, di “guardare” e quindi di riconoscere un’anima affine. E’ proprio lei che definisce Renée nel modo migliore: “Madame Michel ha l’eleganza del riccio: fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti”. Inevitabilmente, al termine del romanzo i rapporti tra molti personaggi del libro non saranno più gli stessi: un finale sconcertante, che coglie spesso impreparati. Un libro delicato e intenso, triste e intimo. Inaspettato. Renèè e Paloma, “insegnano” che, nonostante tutto, è possibile eliminare la maschera che ci mettiamo addosso…e che a volte basta davvero poco per cogliere i piccoli attimi di grande felicità che passano nella nostra vita.

tolineare con i suoi personaggi, come la cultura sia alla portata di tutti, se si ha la volontà di coltivarla e ricercarla, e non solo alla portata di saccenti intellettuali. Non c’è assolutamente snobismo, anzi, dietro alle persone più insospettabili può celarsi una persona colta. La narrazione è divisa tra le voci delle due donne, l’una in prima persona, l’altra sotto forma di diario. Nella versione italiana, la differenza è accentuata anche dalla traduzione affidata a due persone diverse.• Liberamente ispirato al libro è il film intitolato semplicemente “Il riccio”, della regista francese Mona Achache, proiettato nelle sale cinematografiche italiane a partire dallo scorso gennaio.

IL LIBRO

Lo stile della scrittrice Muriel Barbery, docente di filosofia, è raffinato, la storia ha ritmo. L’autrice entra nell’animo di un personaggio, poi ne riesce per guardare la scena da lontano: osserva, racconta, torna dentro un appartamento e ne riesce portandosi dietro la vita di qualcuno che sentiamo come reale, vivo davvero. L’eleganza del riccio è un libro apparentemente semplice che si presta a diversi livelli di lettura. Il primo, superficiale, mostra solo il gusto e la pedanteria per la citazione, lo snobismo del filosofo che sa di essere colto. In realtà, pensandoci bene, Muriel Barbery vuole sot-

“L’eleganza del riccio” di Muriel Barbery Ed. E/O 2007 pgg. 384 Il libro cult della scrittrice francese ed attualmente residente a Kyoto, che ha venduto più di 600.000 copie nella sola Francia.

LIBRI 93


IL PAESE DELLE MERAVIGLIE ALICE IN WONDERLAND

A cura di Andrea Mazzarella spessore dell’opera di riferimento. “Si tratta di un’esperienza Fin dagli albori della settima arte le avventure di Alice totalmente nuova: con tutte quelle versioni che esistono già, hanno scatenato la fantasia di moltissimi cineasti. É infatti non ne ho mai vista una che ha avuto un forte impatto su di del 1903 la primissima trasposizione di Hepworth e Stow, me. Ogni personaggio è strano e Alice in pratica vaga qua e prima di una lunga serie che ha visto numerosi registi cilà attraverso questi personaggi come un’osservatrice. Il mio mentarsi nel tentativo di catturare l’immaginario di Carroll scopo, invece, è stato quello di provare a realizzare un film e imprimerlo sulla pellicola. Il più famoso è senza dubbio coinvolgente dove mostriamo un po’ di psicologia e frel’omonimo film di animazione che Walt Disney volle reschezza del personaggio”. È la prima alizzare nel 1951; chi non ricorda l’assurdo ghigno dello stregatto o i Alice nel paese delle mera- volta che Burton sperimenta la tecfesteggiamenti del non-compleanno viglie e Tim Burton: perché nologia 3D, utilizzata con l’intento di rappresentare attraverso la tecnologia con il cappellaio matto e il leprotto non ci siamo arrivati prima? più evoluta immagini che sono già bisestile? A sessant’anni da questo aupresenti e ben radicate nell’immatentico “classico” la Disney ripropoginario dello spettatore. Un cinema ne le avventure di Alice in un nuovo 3D probabilmente diverso da quello lungometraggio in 3D diretto niente dell’Avatar dei record o dell’ultima meno che dal genio visionario di Tim pellicola natalizia di Zemeckis, A Christmas Carol, ma sicuBurton. Alice nel paese delle meraviglie e Tim Burton: perramente interessante se conforme alle esigenze delle vicende ché non ci siamo arrivati prima? Eccentrico, malinconico, narrate da Carroll. La sceneggiatura scritta da Linda Woolpoetico, fiabesco, grottesco. Ogni definizione è sprecata per verton (già autrice del plot de La bella e la bestia) riprende un artista di spessore, e film come Edward mani di forbigran parte degli elementi dei due libri, Alice nel paese delle ce o Nightmare before Christmas lo confermano. Dunque meraviglie e Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò, come non sfregarsi le mani pensando ad Alice nell’immagima contiene alcune differenze sostanziali volute dallo stesnario Burtoniano? Il regista stesso ha parlato della volontà so Burton. Alice ha infati 18 anni, ed è fuggendo da una di realizzare questo film, impresa molto delicata visto lo

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94 CINEMA


Così nacquero le opere di

carroll

proposta di matrimonio durante una festa vittoriana che si ritrova sulle tracce del bianconiglio. Precipiterà in uno strano cunicolo che la farà giungere nel paese delle meraviglie, posto che già aveva visitato dieci anni prima del quale però non ricorda nulla, e bevendo dalla bottiglia con la famosa etichetta le sue avventure avranno inizio. Ancora una volta Burton è riuscito ad ingaggiare un cast stellare: la giovane attrice Mia Masikowska sarà Alice, l’amico Johnny Depp sarà il cappellaio matto, la moglie Helena Bonham Carter la perfida Regina di cuori mentre Anne Hathaway la fulgida Regina bianca. Nel cast inoltre attori del calibro di Christopher Lee, Stephen Fry, Michael Sheen e Alan Rickman nei panni del brucaliffo. Prosegue inoltre il sodalizio con Danny Elfman, autore di quasi tutte le musiche dei film di Burton. Gli estimatori dei libri originali sono scettici, probabilmente saranno critici dopo la visione del film. I molti che da bambini si sono persi con Alice nel fantastico mondo animato da Disney forse non riusciranno a farsi trasportare come in passato. Nulla però è ancora detto, potrebbe essere la versione che metterà tutti d’accordo.•

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Le tre sorelle Liddell si stavano annoiando in quel “dorato pomeriggio” di luglio del 1862, quando chiesero agli accompagnatori di raccontar loro una storia. Lorina, Alice ed Edith stavano facendo una gita in barca sul Tamigi con due reverendi insegnanti di Oxford, Charles Dodgson e Robinson Duckworth, ed erano particolarmente irrequiete. Una delle tre bambine, Alice, pretese che le venisse raccontata una storia senza senso. Dodgson improvvisò come era solito fare, e Alice rimase talmente colpita da quella storia da pretendere che venisse messa per iscritto. Qualche tempo dopo Dodgson le consegnò un manoscritto illustrato: “Le avventure di Alice sottoterra”. I rapporti tra i due (sui quali si preferisce non indagare) si interruppero poco tempo dopo, ma Dodgson non si dimenticò della sua giovane musa ispiratrice e nel 1865 pubblicò una versione riveduta e corretta della storia, Alice nel paese delle meraviglie, con lo pseudonimo di Lewis Carroll. Nacque così uno dei più singolari libri della letteratura, al quale si aggiunse nel 1871 il seguito, Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò. Due libri pregni di allusioni a personaggi, poemetti e proverbi dell’epoca Vittoriana, costruiti giocando con regole linguistiche e logiche nella composizione e nella metrica, fisiche e matematiche nelle apparentemente assurde vicende di Alice. Alice Liddell non poteva immaginare cosa sarebbe diventato quel manoscritto e quanto le “sue” avventure avrebbero impressionato, spiazzato e divertito milioni di persone.


LE ORE

CHE NORMALMENTE DEDICAVO AL PIANOFORTE E ALLA MUSICA LE DEDICO A LORO, AI MIEI FIGLI E A MIA MOGLIE:

CREDIMI

IN 3 ANNI NON HO MAI PROVATO UN MINIMO RIMPIANTO.

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LUCA GHIELMETTI IL GUSTO DEL VERO ROCK AND ROLL di Luca Di Pierro

Un incontro che cambia la vita, una canzone che segna un tempo, un urlo controllato e costante che riapre le speranze! Così riassumerei la percezione di una vita fatta di altro e confessata nella Musica. La riassumerei in questa frase per suggerire una parola, che sono riuscito forse a cogliere dalla volontà di alcuni e dal bisogno di molti, di Vivere! Ma di vivere per davvero facendosi accompagnare per mano dalla passione che riesce a far nascere un progetto, una famiglia, una vita. Nonostante le difficoltà e i dispiaceri che a tutti la vita offre senza possibilità di rifiuto. Con queste premesse mi sento di conoscere “alcuni”, di incontrare Luca Ghielmetti. Vent’anni o forse più di musica e vita che arrivano oggi ad una famiglia e ad un disco uscito l’anno scorso che racchiude nove brani, nove suonate che raccontano un percorso indimenticabile e sicuramente da condividere. Parliamo dell’ultimo disco. Come è nato? Il disco è uscito nel Novembre 2009. É stato la realizzazione di un sogno. Vivere volentieri leggermente al di fuori di un mondo che vede la musica, forse esclusivamente, come un business mi ha permesso di dedicare alla musica il giusto tempo e nel contempo di stringere amicizie e rapporti professionali con molti tra i migliori strumentisti al mondo. Fondamentale l’incontro con Greg Cohen, che con la sua impagabile professionalità e passione mi ha regalato tanto. Con lui abbiamo costruito dei percorsi musicali favolosi. Poi nasce dall’amore per tutti i grandi cantautori italiani, quelli che ti facevano svegliare la notte per scrivere due strofe, due parole che riempivano una canzone. Un disco che mi racconta, parla di me, delle mie passioni, dell’amore per la musica, dell’amore per la famiglia…Di Luca Ghielmetti. Ma tu che rapporto hai avuto con musica? La musica mi ha dato molto di più di quanto avessi mai messo in programma! Ho iniziato da puro fanatico e mi sono trovato senza grossi meriti a suonare e scrivere per grandissimi artisti. Cosa potrei pretendere più di questo? Cosa vuol dire essere cantautore in Italia? Bisogna coccolarsi gli ultimi “dinosauri” come De Gregori, Guc-

96 INTERVISTA

SCOPRI LE DATE DEI CONCERTI DI LUCA GHIELMETTI, GUARDA LA VIDEO INTERVISTA E LA GALLERY

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cini, Jannacci, perché in mezzo non c’è niente; o meglio ci sono cinquecentomila cantautori, me compreso, ma quelli che facevano sì che tu mettessi il disco sul piatto e dicessi adesso qualcosa succede, non ci sono più. C’è un vuoto di missione musicale? Un vuoto di obiettivi e contenuti? Oggi è come se si rifiutasse l’idea di poter accettare che dopo il ‘78 ci potesse essere qualcosa di interessante, di determinante, un approccio differente. É come se rifiutassimo una nuova emozione perché nessuna potrà essere come la prima. Così manca la predisposizione nel riconoscere il capolavoro. Quello che 20 anni fa sarebbe stato un capolavoro oggi è un bel disco. Come continui? Io mi muovo sempre come se avessi 19 anni – non ho voglia di fare un nuovo disco, e neanche un disco di cover – vorrei far gustare delle canzoni ai miei amici e collaboratori che hanno emozionato me da piccolo. E poi voglio fare il papà, tanto, voglio fare il papà perchè mi aiuta anche nella musica. Ricordo questa frase di un filosofo tedesco: “Per essere un uomo bisogna nella vita aver piantato un albero, scritto un libro e fatto un figlio”… mi è sempre piaciuta questa idea! Di piante ne ho piantate moltissime, il libro è come un disco quindi… mi mancava il figlio. Quando è arrivato mi ha completato e sono riuscito ad avere una consapevolezza differente. Da musicista sregolato a padre di famiglia. Dove sta il vero rock’n roll? Le ore che normalmente dedicavo al pianoforte e alla musica le dedico a loro, ai miei figli e a mia moglie: credimi, in 3 anni non ho mai provato un minimo rimpianto. La musica c’è sempre a volte in modo più prepotente altre volte è solo sussurrata… succederà, tornerà di certo e io voglio aspettare. Il calore della famiglia è rock and roll, tra pianti, confusione familiare e gioia di viverla. Fumarsi una sigaretta alle 3 del mattino sul terrazzo quando hai messo a letto tutti, questo è vero rock and roll. Come vivi invece l’amicizia? Che sia vera, tanta, numerosa e rumorosa…evitando rapporti strettissimi come le grandi mamme che hanno anche 13 figli e ognuno crede di essere il preferito... Due canzoni che ti hanno caratterizzato più di altre ? La faccia del papà perché è quella che mi caratterizza di più in questo momento, Antes que muda el mar perché è la musica che ho sempre sognato, tra Messico, sonorità mediterranee e Spagna.


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Dai vitign i di Pinot ner o, Pinot Meunie r e Cha rdonnay, nasce Ramune r. Un’esplosione di p rofumi frutt ati con la raf finatezza delle classiche bollicine. L’aperitivo per eccellenza, un’avventura per il dopocena . SPAZIO-EVENTI RAMUNER v.le Rosselli 17 Como www.ramuner.com


BARBASSO UN AMERICANO A MILANO di Roberto Uboldi

infatti vendevano ai gestori dei propri bar le bottiglie non Nel bicchiere un grosso cubo di ghiaccio, un enorme iceal prezzo di mercato, ma secondo la loro personale idea di berg nel mare di un dopocena alcolico che tutti guardaquanto avrebbero potuto ricavare dalla vendita dei cocktail. no affascinati. Strano e triste periodo quello della seconda È facile capire che i margini di guadagno erano stretti, e ci guerra mondiale, quando le comodità che oggi ci sembrano si doveva inventare di tutto per far quadrare i conti, però scontate erano esclusivo appannaggio dei potenti. Quanil nostro Mirko non si perde d’animo, anzi. Si allena nella do un drink on the rocks stupiva davvero ed era segno di creazione sempre più precisa dei pregiati mix alcolici e nel prosperità, di agio. Quando l’inviato di Badoglio nella dif1953 entra a far parte dell’AIBES, Associazione Italiana ficile intesa per l’armistizio con gli americani, il generale Barmen e Sostenitori, attiva nella definizione degli standard Castellano, invitato a bersi un drink dagli yankee, si stupì dei drink. Gli anni passano e la tecnica si che gli potessero offrire un whiskey con MIRKO STOCCHETTO fa più precisa, la mano più veloce e le idee ghiaccio anche in un periodo di occupaE L’INVENZIONE DEL più chiare: Mirko vuole lavorare in prozione, convincendosi quindi per la resa. prio. Una svolta importante nella sua vita, Una leggenda penserete voi. Forse sì, ma la nascita di un mito per noi comuni morè una storia che ci regala l’immagine di tali. Nel 1967 il Bar Basso di Milano camun’Italia diversa da oggi, più povera e bia gestione e lo zampino di Stocchetto è legata alle tradizioni. È in quest’Italia subito visibile agli avventori che cercano che cerca lentamente di riprendersi dalle ristoro nel locale di via Plinio: idea forte sanguinose ferite della guerra che Mire rischiosa quella di portare il cocktail in un bar di strada. ko Stocchetto muove i suoi primi passi come bartender. Nonostante la difficoltà iniziale nel trovare gli strumenti Passi nella direzione giusta, che lo portano nell’immediato adatti, il locale diviene immediatamente un’icona di stile. dopoguerra a lavorare nel bar dell’Hotel Posta di Cortina, Il drink all’americana conquista tutti, anche le donne, ed i sotto la guida di Renato, già barman dell’Harry’s di Veneneofiti sono incuriositi dai grandi bicchieri disegnati dallo zia. Mirko comincia così a prendere confidenza con il gusto stesso Mirko. Bicchieri pieni di fiori in quegli anni, perchè allenato dei numerosi clienti americani, dovendo tuttavia la cultura hippie dilaga, ed i barbuti sostenitori della camifare i conti con i prezzi esagerati dei liquori. Gli alberghi

NEGRONI SBAGLIATO

98 LOCALI


Nelle foto: il locale negli anni 90, l’esterno visto dalla strada, uno dei bicchieri ideato da Mirko Stocchetto ed il Negroni Sbagliato.

cia a stampa non disdegnano certo un bel Negroni sbagliato, il fiore all’occhiello di Mirko. A voi sarebbe venuto in mente di modificare la storica ricetta del conte Camillo Negroni? Lui fece di necessità virtù, trasformando quello che è rimasto un must del bere all’italiana, per venire incontro ai gusti che richiedevano un drink più leggero. Per non parlare del Mangia e Bevi, che vuole il gelato ed il liquore far festa in un solo bicchiere e che fa riunire nello stesso locale grandi e piccini, come in una bella favola. Una favola che dura da più di quarant’anni, un locale che non solo ha resistito al tempo ma che si è anzi reinventato, seguendo lo spirito di innovazione che anima la famiglia Stocchetto. Maurizio infatti, il figlio di Mirko, unisce alla passione tutta italiana per le lettere quella di famiglia per i cocktail, e negli anni Ottanta comincia a lavorare stabilmente in un locale che si popola di celebrità dello spettacolo e del mondo del design. Il Bar Basso diventa anzi un fulcro per il design milanese e internazionale, e continua a esserlo ancor oggi. Potete sbizzarrirvi ad immaginare personaggi quali Jasper Morrison e James Irvine mentre pensano alle loro creazioni bevendosi un buon Americano. Non siete lontani dalla realtà. A dirla tutta oltre ad Irvine e Morrison è meglio aggiungere nella vostra fantasia le centinaia di progettisti della creatività che, specialmente nel periodo del Salone del Mobile di Milano, animano le giornate al Bar Basso. Non tutti assieme signori, vi prego, il locale è già pieno!•


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DOVE: V.le fratelli Rosselli 17 a Como Pedane di legno, poltroncine, grandi vetrate ed un lungo tavolo di legno massello di iroko, creano un’atmosfera piacevole ed elegante. Le fibre ottiche, disegnano soffitti, avvolgono gli arredi, le pareti di tronchi in sezione e il primo piano digitale della sensuale Bellucci. Innumerevoli sono le proposte: dalla cucina aperta fino alle due di notte, alla vasta scelta di etichette di vini, agli innumerevoli e particolarissimi cocktails, tra cui quelli dello zodiaco, caraibici, cinque stelle e ratafià. Il locale è aperto per l’aperitivo, la cena e il dopocena. Nel week-end dalle 18,30 alle 21,00 è possibile gustare un ottimo e ricchissimo “dinner-buffet”. www.ratafia.eu - tel. 031 571883

[SPAZIO EVENTI RAMUNER

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DOVE: V.le fratelli Rosselli 17 a Como Sogno e concretezza si fondono. Uno spazio, una filosofia, un’idea di comunicazione. Spazio-eventi Ramuner fa spazio alle idee Dalla mente creativa di Ratafià nasce Ramuner, il nuovo spazio-eventi pronto a soddisfare qualsiasi vostra esigenza. Se desiderate promuovere una mostra o un evento culturale, Ramuner si trasforma in una galleria d’arte per favorire giovani e talentuosi artisti emergenti, in un’atmosfera che favorisce tutte le espressioni della creatività. Se cercate la sala adatta per una ricorrenza speciale, un Battesimo, un compleanno, un addio al celibato o al nubilato, lo spazio-eventi Ramuner vi offre un ricco buffet personalizzato e la possibilità di inserire un dj-set con la musica adatta. Dovete organizzare un meeting di lavoro, o una conferenza? Grazie ai suoi supporti audiovisivi di ultima generazione Ramuner è pronto ad accogliere le vostre presentazioni di immagini e video, elevando il brief di lavoro a forma di creatività e comunicazione all’avanguardia. Un ambiente adatto anche a proporre i vostri prodotti e servizi, con durata variabile da pochi giorni a diverse settimane, in spazi creati appositamente, un concetto di temporary store nuovo ed accattivante. Scoprite questo nuovo modo di farvi conoscere, più economico di una campagna promozionale e meno impegnativo di un negozio. Lo spazio-eventi Ramuner vi regala il giusto luogo e la giusta atmosfera, calda e accogliente, per ogni vostro desiderio. Eventi, feste e meeting di lavoro diventano l’occasione per cincondare i vostri ospiti di bellezza, armonia e creatività... Preventivi gratuiti per ogni tipo di festa o evento info@ratafia.eu - tel. 031 571883

100 LOCALI


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PRECURSORI DELL’ELETTROMOBILITÀ

UN PIACERE DI GUIDA INNOVATIVO Nel 1998 Smart rivoluzionò la mobilità urLa nuova Smart Fortwo electric drive, prodotta in serie a bana proponendo con Smart Fortwo una partire da metà novembre 2009, costituisce quindi un ulvettura assolutamente unica. Oggi, Smart teriore passo nel cammino intrapreso dal marchio verso un conferma il suo ruolo pionieristico e ridefiambizioso obiettivo: la produzione di una vettura compatnisce la mobilità urbana in termini di cirta tecnicamente all’avanguardia e dal look accattivante che colazione ad emissioni zero”, dichiara Marc non inquini. In altri termini, una vettura Langenbrinck, direttore del ad emissioni zero. Smart ha iniziato nel marchio Smart. “Siamo la prima Casa 2007 a Londra a promuovere la circolazioautomobilistica europea a lanciare conne automobilistica ad emissioni zero, nelle temporaneamente in otto Paesi una difficili condizioni quotidiane del traffico vettura elettrica di serie. Con Smart cittadino. Nel 2008 è stato presentato il Fortwo electric drive, Daimler si pone SMART FORTWO concept di una seconda generazione di come precursore assoluto nel settore ELECTRIC DRIVE Smart Fortwo electric drive, una vettura dell’elettromobilità”. dotata di una trazione elettrica più avanzata Compatibilità ambientale e moderna ed equipaggiata con un’innovativa batteria funzionalità sono state le caratteristiche agli ioni di litio. Rispetto ad altri tipi di batdistintive di Smart Fortwo fin dal lancio terie, questa tecnologia offre diversi vantaggi fondamentali, sul mercato, avvenuto più di dieci anni fa. Da allora, il tra cui maggiore potenza, minori tempi di ricarica, maggiore suo innovativo concept è riuscito a coniugare tecnologie durata ed elevata affidabilità. Marc Langenbrinck afferma in sostenibili ed all’avanguardia con le esigenze individuali proposito: “Smart Fortwo electric drive di seconda generadi mobilità urbana. Oltre ad essere la più compatta vetzione si basa su un concetto di vettura di riconosciuto succestura in circolazione, la biposto può attualmente vantare so, che rispetta le risorse naturali. Il suo innovativo sistema di i più ridotti valori di consumo carburante ed emissioni. trazione elettrica a batteria la rende la compagna ideale per Smart Fortwo si distingue anche per il comfort e gli elegli spostamenti in città: agile, economica ed a basso impatto vati livelli di sicurezza. Per non parlare del design unico, ambientale. Con Smart circolare ad emissioni zero nell’area che la differenzia al primo sguardo da ogni altra vettura, urbana diventa realtà, e senza alcuna rinuncia”. l’ha resa un’icona di stile in tutto il mondo.

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pL'AGENDAp Eventi, manifestazioni e feste fino a fine Maggio 2010 locali ed internazionali

A cura di Vanessa Ferrandi

DAL 21/03 2009 AL 13/06 2010

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MAPPLETHORPE

LA PERFEZIONE DELLA FORMA Lugano Villa Malpensata, via Riva Caccia 5

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La mostra a cura di Corà, Felletti e Nelson, realizzata in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation di New York e la Galleria dell’Accademia di Firenze, presenta un percorso fotografico tramite novanta immagini, suddivise in cinque percorsi che raccontano lo studio della perfezione e della ricerca formale dell’artista americano. Un significativo repertorio di immagini che illustrano la costante ricerca di un’ideale perfezione plastica nel lavoro di Robert Mapplethorpe, ricerca che ha permesso di stabilire un affascinante dialogo tra il fotografo americano e i grandi maestri del Rinascimento, in particolare Michelangelo. Grazie a straordinari prestiti di prestigiose istituzioni fiorentine quali la Galleria dell’Accademia, Casa Buonarroti e il Museo Nazionale del Bargello, la mostra permette di stabilire un confronto diretto fra il lavoro di Mapplethorpe e i modelli rinascimentali a cui si ispirava: oltre a tre eccezionali opere di Michelangelo l’allestimento comprende anche capolavori di Pontormo e Giambologna. Il corpo umano costituisce il principale oggetto della fotografia di Mapplethorpe ma non mancano in mostra ritratti e nature morte, principalmente composizioni di fiori nelle quali l’artista ribadisce la sua attenzione per lo studio della luce e delle ombre sull’oggetto e sullo sfondo, finalizzata ad una perfetta definizione delle forme nello spazio. www.mdam.ch

31/03 2010

PATTI SMITH IN CONCERTO Lugano Palazzo dei Congressi

Patti Smith, icona rock americana, con la sua voce febbrile sarà in concerto con alcuni dei suoi musicisti “storici”. Il concerto è parte degli eventi organizzati dal Polo Culturale di Lugano in concomitanza con la mostra dedicata a Mapplethorpe, di cui la Smith è stata compagna e musa ispiratrice per moltissime opere.

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21/04 2010 alle ore 21.00

MIKA

Milano Forum di Assago Mika sarà al Forum di Assago il 21 di Aprile, unica data italiana del suo tour. La star presenterà il suo ultimo disco The Boy Who Knew Too Much

12/05 2010 alle ore 21.00

BLACK EYED PEAS Milano Forum di Assago

24-25/04 2010

HOBBY SCIENZA Milano Fiera Novegro

La manifestazione vuole accendere i riflettori su tutti i settori scientifici praticati da un crescente numero di appassionati a livello hobbistico o più genericamente nel proprio tempo libero. In questi ultimi anni, anche a livello giovanile, si è assistito ad un notevole incremento di attenzione nei confronti di argomenti una volta materia esclusiva delle aule universitarie o di consessi ristretti. Grazie alla molteplicità di iniziative editoriali rivolte all’affascinante mondo della Scienza portato alla comprensione anche dei meno esperti, si è notevolmente ampliata l’attività commerciale riferita a strumenti e attrezzature per la sperimentazione e la realizzazione di specifiche costruzioni. La microscopia, la mineralogia, l’astronomia, sono alcune della branche in cui si articola la mostra che ha l’ambizione di diventare, in tempi celeri, un punto di riferimento anche per le aziende più importanti che si muovono, a livello nazionale e internazionale, in questo campo. www.parcoesposizioninovegro.it

AGENDA 105


pL'AGENDAp Eventi, manifestazioni e feste fino a fine Maggio 2010 locali ed internazionali

Vernissage 08/05 2010. Fino al 05/06 2010

GIAMPAOLO TALANI Olgiate C.sco galleria La Perla

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La tecnica a fresco e il suo maestro Dopo Mimmo Rotella, Giampaolo Talani, Meloniski, “POP ART”, Ugo Nespolo, Maurizio Biondi, Aldo Parmigiani, il nuovo spazio espositivo “La Perla”, piazza Umberto I° 9, ospiterà nel corso del mese di Maggio il celebre artista, il toscano Giampaolo Talani che ha raggiunto grande notorietà in questi ultimi anni grazie alla sua perizia nella pittura a fresco e nella capacità evocativa riscontrabile nelle sue tele. Da tempo la critica considera Talani una delle voci più autorevoli tra i pittori dell’ultima generazione tanto che Vittorio Sgarbi, critico d’arte non facile agli entusiasmi, non ha lesinato le lodi nel presentarne una mostra dedicata al mare, una tematica a cui Talani si è sempre ispirato sin da giovanissimo in quanto figlio di un esercente di bagni pubblici di un lido livornese e lui stesso bagnino a tempo perso nel periodo di vacanze durante gli studi, prima il liceo artistico e poi all’Accademia di Belle Arti di Firenze. La fama di Talani si è accresciuta ultimamente in quanto autore del grandioso affresco che impreziosisce la Stazione di Santa Maria Novella a Firenze, già ritenuta monumento architettonico di per sé. Dall’anno duemila in avanti Talani ha esposto in

106 INCHIESTA

importanti mostre a New York, New Orleans, Innsbruck, Beiruth e Berlino. Nel 2008 la scenografica mostra presso il prestigioso Palazzo Vecchio di Firenze “la rosa dei venti” è stata una delle mostre più visitate degli ultimi 50 anni. Nei mesi di dicembre 2009 e gennaio 2010 è andato in onda uno speciale su RAI 1 tutti i giorni dopo il TG delle ore 13. Oggi le sue opere fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private e risulta artista di punta di importanti gallerie d’arte italiane ed estere, soprattutto negli Stati Uniti dove sta raccogliendo grandi consensi di critica e di pubblico. Giampaolo Talani sarà ad Olgiate Comasco presso il centro espositivo “La Perla” dove figureranno molte tele e affreschi di vario formato e saranno presentate da un critico specializzato nel corso del vernissage che si terrà sabato 8 maggio alle ore 18. La mostra rimarrà aperta al pubblico sino al 5 giugno. Galleria La Perla Olgiate Comasco (CO) P.zza Umberto 1°, 9 www.cornicilaperla.it


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Fino al 28/03 2010

ARTE POVERA

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ENERGIA E METAMORFOSI DEI MATERIALI Varese Villa Panza P.za Litta 1

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Villa e Collezione Panza ospitano la mostra “Arte Povera: energia e metamorfosi dei materiali. Opere dalle collezioni del Mart” a cura di Gabriella Belli e Anna Bernardini. Continua così il sodalizio tra il Villa Panza a Varese e il Mart, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, dopo il successo di “Giorgio Morandi: Collezionisti e Amici”. Tra le opere in mostra le installazioni di Pier Paolo Calzolari e quelle composte con legni di recupero, ferro e carbone di Jannis Kounellis, gli igloo di Mario Merz, le opere di Giulio Paolini il cui lavoro si distingue per l’arte della citazione e il dialogo con l’antico, di Gilberto Zorio, Giuseppe Penone eGiovanni Anselmo, Michelangelo Pistoletto, e infine i celebri arazzi ricamati di Alighiero Boetti che a Villa Panza, grazie a un suggestivo allestimento, possono dialogare con la collezione permanente. www.fondoambiente.it

19/03 2010

INAUGURAZIONE DEL MAGA Gallarate via De Magri

Il 19 marzo 2010, con un omaggio ad Amedeo Modigliani la Fondazione Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea Silvio Zanella Onlus inaugura la sua nuova sede. La mostra inaugurale è un omaggio al maestro livornese: 20 capolavori di Modigliani trovano una perfetta collocazione intorno al “Nudo coricato con le mani unite” della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli. A chiudere la mostra 50 splendidi disegni provenienti dai più grandi musei italiani e internazionali, e oltre 250 documenti originali che ripercorrono la vita del grande artista di cui quest’anno ricorrono i 90 anni dalla morte. Il Nuovo Museo d’arte di Gallarate (MAGa)apre le porte al pubblico, a quarant’anni dalla sua costituzione, in un complesso architettonico di grande prestigio firmato da Maria Luisa Provasoli e da Permichele Miano e Carlo Moretti, secondo un progetto museologico dello Studio Pandakovic e Associati.


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26-27-28/03 2010

10-11/04 2010

In molti comuni Italiani e Svizzeri

Cusago(MI)

VERDE PULITO

La Regio Insubrica promuove le Giornate Insubriche del Verde Pulito, evento transfrontaliero collegato alla Giornata del Verde Pulito promossa da Regione Lombardia. Nelle tre giornate enti, scuole e volontari si impegneranno in una serie di interventi di pulizia e valorizzazione del verde sia in Italia che in Svizzera.

GIARDINI NEL TEMPO Nel secondo week end di Aprile si terrà la mostra mercato di piante insolite “Giardini nel tempo”. L’evento, alla quarta edizione, si configura ormai come un classico e consolidato appuntamento primaverile per tutti gli appassionati del giardinaggio di qualità.

Quest’anno la mostra prevede un ricco campione delle aziende vivaistiche di ogni tipo, tutte selezionate e di qualità, e tutte caratterizzate da un’elevata specializzazione, con produzioni orientate su settori botanici specifici. www.giardinineltempo.it

Fino al 27/06 2010

PLUS ULTRA

Brescia Museo di Santa Giulia In occasione del bicentenario dell’Indipendenza dell’America Latina dal dominio coloniale, la mostra presenta 150 capolavori appartenenti al Barocco coloniale latino-americano provenienti dai maggiori musei del Centro e Sud America e d’Europa. L’iniziativa si prefigge di riportare l’attenzione sull’America Latina e sulla sanguinosa lotta decennale (1810-1822) da essa sostenuta per l’affermazione della propria identità politica ed etnica. Curata da Giorgio Antei, Plus Ultra ripercorrerà i passi che, nell’ambito dell’arte e della creatività, hanno portato all’attuale fisionomia culturale dei paesi che si estendono a sud del Rio Grande. La mostra dedica ampio spazio all’arte intesa come “fabbrica d’identità”, in quanto proprio questa funzione “formativa” rappresenta la cifra più caratteristica dell’arte latino-americana. www.bresciamusei.com

10-11/04 2010

ELECTRONIC DAYS

Lariofiere a Erba viale Resegone La fiera dell’informatica, dei computer, dei supporti per i nuovi media. Potrete trovare antenne, sistemi satellitari e ricambi, batterie, apparati per radioamatori, lettori mp3 e numerosi altri articoli elettronici. Molto ricercata e ricca anche la sezione riguardante l’editoria elettronica. www.lariofiere.com

AGENDA 109


pL'AGENDAp INTERNAZIONALE

Fino al 18/04 2010

FRIDA KAHLO Y SU MUNDO Bozar di Bruxelles (Belgio)

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Nell’ambito del festival dedicato al Messico, le sale del Bozar offrono un tributo alla pittrice simbolo del Messico rivoluzionario e della creatività avanguardista. Venti opere provenienti dal Museo Olmedo, disegni e numerose fotografie trattegiano la biografia tempestosa di Frida Kahlo, dove il dolore coincide con l’ispirazione, mentre l’arte e la vita si sovrappongono in una tensione tragica. Una mostra al femminile dove, esplorando l’immaginario dell’artista, si ha l’impressione di occupare un luogo privato, a tratti scomodo, dall’effetto conturbante. La scelta di avvolgere le opere nell’oscurità - non del tutto funzionale alla fruizione - esprime la volontà di ricevere i visitatori nell’intimo spazio di un’esistenza messa a nudo.

Fino al 01/04 2010

CARNABY STREET Londra (Inghilterra)

A Londra dal 26 febbraio al 1 aprile prossimo presso lo spazio espositivo di Carnaby Street 38 si inaugura la mostra che celebra i 50 anni della strada che, con la sua unica concentrazione di creatività, ha segnato gli anni ‘60. www.visitlondon.com



112 INCHIESTA


OGNUNO HA I SUOI 15 MINUTI Roberto Maino, 58 anni, libero professionista italiano

“ Niente mi fa paura, nemmeno la morte Parafrasando Andy Warhol, che nel lontano 1968 prevedeva un futuro di persone celebri per pochi istanti, abbiamo deciso di intervistare per ogni uscita una persona “qualunque”. Quale veicolo possiede? Un’utilitaria. Secondo lei qual è il futuro della mobilità? Auto a GPL, Idrogeno, Elettriche, bicicletta, mezzi pubblici, astronavi? La bicicletta, ci credo pienamente.

Foto: Dan Anders

Qual è la lezione più importante che le ha insegnato la vita? Mai disperare! Qual è la sua più grande paura? Niente mi fa paura, nemmeno la morte. Dove vorrebbe vivere? In Umbria: anche se non vi si affaccia è molto vicina al mare, l’aria è buona e la vita costa meno rispetto alla Lombardia.

Come si informa? Mi informo quotidianamente attraverso i giornali.

Chi vorrebbe che la impersonasse in un film sulla sua vita? Nessun attore in particolare, ma mi piacerebbe che il regista fosse Franco Battiato.

Cane o gatto come animale da compagnia? Gatto.

Qual è il suo libro preferito? “Elogio alla Follia” di Erasmo da Rotterdam.

Il problema del clima, realtà o finzione? Purtroppo è realtà.

Meglio dare o ricevere? Ricevere.

Quale persona vivente ammira di più e perchè? Tutti e nessuno.

Come si rilassa normalmente? Mangiando e oziando.

Cosa deplora maggiormente negli altri? La falsità. Qual è la sua idea di felicità? La semplicità.

Quale canzone vorrebbe fosse suonata in sua memoria? Il Requiem di Mozart. Vuoi essere intervistato anche tu da Akappa, o vuoi segnalarci una persona interessante? Collegati al sito www.akappa.it

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15 MINUTI 113


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