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N° 3 LUGLIO 2010
MARGHERITA
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Indice
Akappa Magazine N°3 2010
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74 12 22 32 50 58 6 | INDICE
FUORI DALLA FABBRICA Mangiarotti Nuclear: l’inchiesta MARGHERITA HACK La nostra intervista BARCELLONA La città nascosta KITESURF FOR DUMMIES La guida per saperne di più ART GALLERY Rude Britannia / Galleria Campari
74 82 92 98 106
ARCHITETTURA Dominare la valle TETTI VERDI Fotoreportage sui tetti in erba ECOVETRINA Curiosità dal mondo eco LIBRI Dedicato a Barcellona MUSICA Il disco solista di Andreani
Akappa e Multiutility Da questo numero Akappa certifica la propria eco-compatibilità
Akappa Magazine, da sempre sensibile alle tematiche ambientali, con una sezione da sempre dedicata all’“eco” ha intrapreso un’importante azione concreta verso questo tema, rendendo la produzione stessa della rivista eco-compatibile. Questo è stato possibile certificando tutti i consumi di energia elettrica legati alla produzione dei numeri di Akappa per un intero anno con “100% energia pulita Multiutility”. Grazie a questa iniziativa è stata evitata l’emissione in atmosfera di 24,47 t di CO2 e risparmiati 8.750 Kg di petrolio. Il marchio “100% energia pulita Multiutility” che appare in copertina, marchio di proprietà di Multiutility S.p.A. registrato a livello europeo e che viene concesso solamente a chi rispetta l’ambiente, è l’attestazione della scelta etica che ha deciso di portare avanti la redazione di Akappa.
novabile dagli impianti che altrimenti non avrebbero le condizioni economiche per continuare a produrre energia “verde”. I certificati RECS sono distinti dall’erogazione fisica dell’elettricità e la loro emissione consente la commercializzazione dei certificati stessi anche separatamente dall’energia elettrica cui fanno riferimento. Mediante il loro consumo, l’acquirente finanzia l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili testimoniando, pertanto, il suo impegno a favore dell’ambiente. Per informazioni: n. verde 800.046.318 oppure www.multiutility.it
La certificazione “100% energia pulita” è basata sull’immissione in rete (tramite l’annullamento di certificati RECS) di un quantitativo di energia rinnovabile pari al consumo di energia necessaria alla realizzazione della rivista. I certificati RECS (Renewable Energy Certificate System) sono titoli che attestano la produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile per una taglia minima pari a 1 MWh e favoriscono la produzione di energia elettrica da fonte rinAKAPPA | 7
n°3 del 16 Luglio 2010 Direttore Responsabile: Luca Di Pierro
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Coordinamento e segreteria di redazione: Martina Moretti redazione@akappa.it Progetto creativo e realizzazione: Roberto Uboldi Zero Atelier di progetto e comunicazione Hanno collaborato: Andrea Sabbadin, Carlo Arrigoni, Giulio Bianchi, Valentina Binda, Manuela Dotti, Vanessa Ferrandi, Mattia Di Pierro, Carlo Frontini, Stefano Lattanzi, Andrea Mazzarella, Michele Primi, Alessandra Tettamanti. Fotografie: Dan Anders, Marco Beltramo, studio Burnazzi Feltrin, Getty Images. In copertina: Illustrazione di Claudia Bettinardi
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Per la pubblicità Zero Comunicazione via Repubblica, 3 22077 Olgiate Comasco +39 031- 990078 - commerciale@dilloconzero.com Publisher Zero Editoria via Repubblica, 3 22077 Olgiate Comasco +39 031- 990078 - info@akappa.it Stampa Tecnografica s.r.l. Distribuzione Zerovie Posta Pubblicitaria www.zerovie.com Autorizzazione Tribunale di Como del 27/10/2009 www.akappa.it Alcuni giornalisti e collaboratori scrivono e operano in forma gratuita sulla rivista. Tutti i diritti riservati. I punti di vista espressi non sono necessariamente quelli dell’editore. L’editore non si assume responsabilità per errori ed omissioni relativi alla pubblicità o agli editoriali. Nessuna parte della pubblicazione può essere riprodotta salvo consenso esplicito da parte dell’editore.
L’editoriale di Luca Di Pierro
Oggi siamo partiti dal futuro. Costruendo un numero che attraverso storie, racconti, viaggi e progetti cerca di creare un percorso nel mondo. Abbiamo utilizzato l’arte, l’economia, lo sport la scienza per raccontarvi cosa esiste e cosa succede a migliaia di chilometri da voi come ad un palmo dal vostro naso, nella speranza di rendervi partecipi di un viaggio che ci auguriamo possa essere pieno di piacevoli incontri e interessanti spunti. Ponendoci tante domande e argomentando qualche riflessione sul come e sul perché di molti avvenimenti che caratterizzano i nostri tempi. Abbiamo aperto la rivista con un servizio inchiesta dedicato al mondo delle fabbriche, raccontando malesseri e pensieri di persone che si interrogano sul proprio ruolo, sul proprio futuro. Un futuro incerto che rispecchia le regole di un mercato economico forse poco chiaro e che troppo spesso si dimentica di una morale importante e imprescindibile che, se non seguita, lascia spazio ad una deregolamentazione che favorisce pochi con il sacrificio di molti. L’appello che siamo riusciti a raccogliere è uno e chiaro: siamo tutti pronti a competere e a concertare soluzioni e tesi di competitività globale, ma dateci regole, ruoli e che siano rispettati. Regole giuste capaci di far crescere mercati e persone. Altrimenti ci troveremo ad osservare il futuro con la consapevolezza di un’aspettativa che vede nel passato una ricorrenza incombente.
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ECONOMIA
IL FUTURO NERO DELL’ITALIA Il dialogo con Silvio Brusco, autore del blog noisefromamerika.org
Abbiamo rivolto qualche domanda in merito all’attuale crisi economica a Silvio Brusco, professore di economia presso la State University of New York at Stony Brook, associate editor di “The B.E. Journals of Theoretical Economics” e redattore del blog www. noisefromamerika.org. Partendo dal finale, alla domanda quale aggettivo userebbe per descrivere il panorama che ci aspetta, Brusco ha risposto “per l’Italia direi preoccupante”. Nella sua analisi servirebbero poche semplici regole da seguire, per cui il ruolo di un imprenditore oggi in Italia, ma anche nel mondo, è cercare di far soldi (e quindi produrre) rispettando le regole esistenti, dal momento che sono 10-15 anni che la produttività italiana cresce meno che negli altri paesi con cui ci misuriamo. “Come far crescere la produttività è un discorso lungo – afferma Brusco - ma dovendo ridurre all’osso direi che gli interventi prioritari vanno fatti su tasse e funzionamento della pubblica amministrazione. Oggi in Italia la pressione fiscale è enorme e fa sì che sia difficile remunerare adeguatamente i fattori di produzione, in primo luogo il lavoro. L’inefficienza della pubblica amministrazione è un altro importante fattore che riduce la produttività 10 | ECONOMIA
generale del sistema, rendendo difficile attrarre capitali stranieri o semplicemente mantenere i capitali italiani in Italia. La questione delle relazioni industriali è sicuramente importante ma ho l’impressione che venga dopo”. Già perché prima forse non c’è e non c’è stata la giusta attenzione a quelli che l’economista definisce “problemi di debolezza strutturale” e che per l’Italia consistono nella spesa pubblica eccessiva, nell’eccessivo livello della tassazione e, come già detto, nell’inefficienza della pubblica amministrazione. “La fase fortemente negativa del ciclo che ha caratterizzato il 2008-2009 dovrebbe essersi fermata e vari enti, come OCSE e FMI, prevedono un miglioramento della congiuntura nel 2010-2011”, tuttavia poiché nulla o quasi per migliorare le problematiche iniziali è stato fatto “dalla crisi usciremo quando ci sarà una ripresa a livello mondiale. Ma usciremo esattamente come siamo entrati, con tutti i fattori di debolezza strutturale tali e quali”. Nulla da obiettare alle parole di Brusco anche perchè viviamo quotidianamente i disagi di questa debolezza strutturale. Portando poi il discorso sulle condizioni dei lavoratori con lucidità l’economista afferma che in questa situazione di crisi anche le proteste, i presidi, le manifestazioni hanno poche prospettive dal momento che storicamente hanno dato risultati in periodi di espansione economica, invece in un periodo di crisi come questo è difficile che le condizioni migliorino e che si riesca
L’Italia uscirà dalla crisi, entro i prossimi due anni: ma uscirà esattamente come è entrata, con tutti i suoi fattori di debolezza strutturale Foto nel riquadro: Silvio Brusco
ad ottenere effettivamente qualcosa. Anche l’idea di sciopero, in tal contesto, assume una certa relatività di risultato ovvero “l’idea dello sciopero è causare un danno alla controparte per costringerla a fare concessioni. Se la controparte è un’azienda che non ha ordini e che vorrebbe ridurre la produzione allora lo sciopero non fa nessun danno”. Eppure per molte aziende non avere ordini non significa non averli del tutto ma al contrario avere grosse commesse all’estero, dove i reparti produttivi principali sono stati trasferiti; tuttavia alla domanda se una legge che regolamenti la delocalizzazione industriale dei medi e grossi gruppi imprenditoriali possa essere una soluzione, Brusco risponde ancora una volta con grande senso Silvio Brusco pratico che “il problema è creare le condizioni perché produrre in Italia sia conveniente. Impedire alle imprese di andare all’estero è una scorciatoia inutile e dannosa”. Proprio così, anche se la strada da percorrere sembra alquanto lunga dal momento che di fronte alla crisi, che ancora è tangibile nel nostro Paese, molti gruppi industriali preferiscono rimanere all’estero e chiudere del tutto la loro attività in Italia o ridurre i lavoratori ad una perpetua cassa integrazione.
Si potrebbe auspicare anche una rivoluzione del sistema economico, Brusco stesso paventa l’idea utopica di uno stato che produce solo servizi terziari per poi venderli e comprare prodotti industriali; aggiunge anche che normalmente non succede e in tutti gli stati c’è un mix di varie attività e che nell’evoluzione dei sistemi accadrà quello che già è successo ai lavoratori agricoli, “alcuni andranno in pensione, altri cercheranno con più o meno fatica posti in altri settori, altri resteranno nel secondario”. E’ nella storia stessa l’alternarsi di evoluzioni economiche, di momenti di crisi e successivi assestamenti; quello che indubbiamente manca, relativamente al nostro Paese, è la capacità di gestirsi e coordinarsi a livello strutturale e di pubblica amministrazione. Ognuno cerca di fare la propria parte cavalcando il proprio interesse: quella collaborazione che sarebbe auspicabile per attuare piani di rilancio dai risvolti vincenti resta ancora un miraggio. AKAPPA | 11
INCHIESTA
FUORI DALLA FABBRICA Mangiarotti Nuclear: l’inchiesta di Carlo Arrigoni
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mezzogiorno del 20 maggio 2010 e mi trovo a Milano in piazza Duca d’Aosta, di fronte al Pirellone, sede della Regione Lombardia. Questo luogo è presidiato da lunedì dai lavoratori della Maflow di Trezzano sul Naviglio. Oggi operai e impiegati delle aziende in lotta sul territorio milanese manifestano contro la cassa integrazione e la chiusura delle fabbriche. Accanto ai dipendenti della già citata Maflow, ci sono quelli di Agile-Eutelia, Lares, Metalli Preziosi, Marcegaglia, San Carlo, Informatica Engineering.it, Iveco, Alfa e Mangiarotti Nuclear, oltre a rappresentanti di altre ditte. Questa mattina i lavoratori hanno occupato, in modo del tutto pacifico, i binari della stazione centrale per circa mezz’ora. In questo momento i delegati sindacali parlano al microfono tra i gazebo, le bandiere e gli striscioni colorati, come quello rosso, rivolto verso il grattacielo della Regione: “le nostre vite valgono più dei loro profitti”. Alcuni operai al centro del luogo della manifestazione stanno ingegnosamente adoperandosi con un bidone e una griglia, abilmente arrangiati a barbecue, per cuocere delle salamelle: l’ora di pranzo si avvicina e la giornata è ancora lunga. Sotto un grande striscione che riporta il nome della loro azienda, sono seduti i metalmeccanici della Mangiarotti Nuclear, fabbrica di componenti per centrali nucleari, con sede in viale Sarca 336. In questo articolo racconterò la loro storia. Prima di cominciare è però necessario precisare il metodo utilizzato per raccogliere i dati. Questa inchiesta mira a documentare la lotta dei lavoratori della fabbrica da una prospettiva interna, ossia è una rielaborazione ordinata dei loro racconti, una ricostruzione della vicenda attraverso la voce di operai e impiegati, conosciuti e intervistati di persona. Non parlerò di tutti gli scioperi e le manifestazioni a cui hanno partecipato, ma di episodi chiave, sopratutto quelli legati al presidio organizzato fuori dai cancelli dell’officina, dove, qualche giorno fa, ho passato un intero pomeriggio. L’azienda, prima Breda, poi Ansaldo, è acquistata nel 2001 da
Camozzi (attuale proprietario della Innse di Lambrate), il quale compra sia l’area sia l’attività produttiva. All’inizio del 2008 il gruppo friulano Mangiarotti, che garantisce uno sbocco diretto sul mare, importante dal momento che sulle commesse l’incidenza del trasporto è di circa il 5%, acquista il 70% del pacchetto azionario, formando una joint venture con Camozzi. Dopo breve tempo quest’ultimo si defila cedendo il proprio 30% a Mangiarotti che diventa proprietario unico delle attività produttive, con l’impegno di mantenere a Milano la produzione, mentre l’area rimane di proprietà Camozzi. A metà del 2008 il nuovo padrone comincia a chiedere di azzerare gli accordi aziendali, che i lavoratori si sono costruiti, come riferisce Fabrizio Volpi, delegato Fiom nell’RSU e impiegato al controllo qualità, nel corso di trent’anni di attività sindacale e che garantiscono alcune tutele, frutto delle lotte del passato. Ma a Settembre 2008 l’azienda disdice tutti gli accordi aziendali e i lavoratori ricorrono al pretore del lavoro, il quale dà loro ragione e ripristina gli accordi. Tuttavia continua il tentativo di metter mano ai costi del lavoro, sul versante del personale, adducendo una motivazione che i dipendenti non possono accettare, ossia l’incapacità di alcuni di loro di svolgere i propri compiti. Occorre precisare che gli operai della Mangiarotti non sono semplicemente specializzati, sono ultraspecializzati. I pezzi che escono dalla fabbrica sono enormi e richiedono mesi o addirittura anni per essere realizzati, nonché una grande preparazione del personale. Giuseppe Bassi lavora da trent’anni nell’azienda ed è istruttore alla scuola di saldatura interna all’officina, in cui i nuovi assunti vengono istruiti anche per mesi, prima di passare direttamente alla produzione. Egli ci tiene a precisare che tutti gli operai che escono dalla scuola sono all’altezza: a provare ciò vi sono alcune lettere di clienti che si congratulano per l’esecuzione dei lavori. Ma torniamo alla narrazione dei fatti: dopo la fine del 2008, l’azienda dà il via a una progressiva diminuzione dei carichi di lavoro, causata dalla diminuzione delle commesse inviate dalla Mangiarotti di Sedegliano (Udine), che si occupa non di nucleare, bensì di Oil & Gas, il cui mercato è in calo. Come spiega Volpi, la fabbrica di Milano non ha in quel momento abbastanza commesse operative per garantire il normale svolgimento del lavoro e così l’azienda dichiara 57 esuberi. A questo punto, e invito il lettore a tener presente con particolare attenzione questo passaggio, i lavoratori sottoscrivono con il padrone un accordo (maggio 2009) che prevede la cassa integrazione a rotazione per 57 di loro, con l’intento di superare il periodo di crisi, riposizionarsi sul mercato e ripartire a pieno organico. La cassa integrazione abbassa il salario medio mensile da circa 1400 a 750-800 euro. Ma (e mi scuso con i puristi della lingua italiana per il AKAPPA | 13
ripetuto uso della congiunzione avversativa a inizio paragrafo: in questa storia i colpi di scena e i ribaltamenti si susseguono senza tregua) nel dicembre 2009 vengono dichiarati 98 esuberi (su 115 dipendenti totali). I dipendenti ricorrono nuovamente al pretore del lavoro con la Fiom, per la violazione degli accordi di maggio, che comunque garantivano il lavoro fino al 2013, e iniziano a presidiare la fabbrica (21 dicembre 2009). Il presidio è composto da una baracca da cantiere e un tendone, recuperati con l’aiuto dei comunisti di Sesto San Giovanni. Sotto il tendone, luogo dove ogni lunedì mattina si svolge l’assemblea dei lavoratori, sono state sistemate le stufe e montati i tavoli e una cucina. La baracca da cantiere è un posto in grado di garantire un po’ di caldo nel freddissimo inverno, utilizzato come ufficio dell’RSU e come ambiente per dormire. Come racconta Danilo Ferrati, fabbro-carpentiere nell’azienda dal 1980 e delegato AL Cobas, i lavoratori hanno scelto di dar vita non a una protesta spontanea, difficile da mantenere nel tempo, bensì di coinvolgere tutti nell’organizzazione e nella gestione del presidio, al fine di garantire la durata dell’iniziativa e di dare a tutti responsabilità e potere di decidere in assemblea le linee da seguire. I lavoratori si dividono i compiti, gestendo il loro tendone a turni di tre persone, responsabili della pulizia e dell’ordine, cui si aggregano tutti i dipendenti che vogliono fermarsi fuori dalla fabbrica. L’ultimo dell’anno i dipendenti brindano al presidio, con l’augurio “non di diventar ricchi, perché per questo basta andare a giocare e con un po’ di fortuna te la cavi”, dice Danilo Ferrati, “ma di tornare a lavorare dentro la fabbrica: una cosa non semplice e nemmeno piacevole, ma questo era l’augurio che ci facevamo tutti quanti”. Vorrei soffermarmi brevemente sul lavoro che gli operai della Mangiarotti Nuclear svolgono nello stabilimento, un’occupazione molto pesante e organizzata in turni: 06.00 – 14.00; 14.00 – 22.00; 22.00 – 06-00. Alcuni operai alternano i turni nelle settimane, con conseguenze fisiche e sociali. Il lavoro implica inoltre spostamenti di pesi, uso di macchinari che richiedono un’attenzione costante ed esposizione ad alte temperature. In ultimo la delicatissima questione dell’amianto, per la quale sono aperte delle cause, anche a livello nazionale. Fabrizio Volpi è dell’idea che, per quanto riguarda questo problema, non si è ancora giunti al picco. Nel 2001 quest’azienda ha usufruito del prepensionamento per la legge sull’amianto, avviando così un cambiamento generazionale nello stabilimento e abbassando quindi notevolmente l’età media dei lavoratori, molti dei quali, oltre ad avere una famiglia da mantenere, hanno anche dei mutui aperti. Il 7 gennaio 2010 operai e impiegati decidono di presidiare l’officina anche di notte, con il principale obbiettivo di opporsi all’uscita delle commesse e di garantirsi uno spazio di discussione. Durante il giorno si svolge la normale attività sindacale, come, per esempio, controllare le buste paga o fare il 730. Le restanti ore della giornate sono passate tra discussioni e dibattiti, grandi partite a risiko, per misurare le proprie abilità strategiche, a calcetto e calcio, alla playstation e a ping-pong (“basta unire tre tavoli e comprare una retina e due racchette e il gioco è fatto” dice Danilo Ferrati). Solidali con la lotta fuori dai cancelli della Mangiarotti Nuclear sono alcuni ex-dipendenti, sempre pronti a dare una mano, ragazzi dell’Università e dei centri sociali e qualche associazione milanese. 14 | INCHIESTA
Se
adesioni non mancano, quindi, dal mondo del lavoro e associativo, non si può dire altrettanto per le istituzioni. Gli operai si lamentano della totale assenza del Comune di Milano e della Regione Lombardia; solo a livello provinciale è stato aperto un tavolo di confronto. Anche i partiti non sembrano avere a cuore la causa della Mangiarotti, eccezion fatta per Rifondazione Comunista, mentre dal punto di vista delle istituzione la vera eccezione è costituita dalla giunta di Sesto San Giovanni (centro-sinistra). Il 5 marzo il giudice dà ragione ai lavoratori nella causa intentata con la Fiom, ristabilendo gli accordi del maggio 2009 e ordinando al padrone il pagamento delle spettanze trattenute dal 18 dicembre. Inoltre il giudice comanda il rientro a Milano del lavoro che era stato portato alla Mangiarotti di Udine, ordine che l’azienda mai rispetterà. Nell’attesa che l’azienda decida il da farsi, gli operai forzano la mano e rientrano in fabbrica, seguendo in colonna la macchina del direttore. L’azienda accetta il rientro degli operai, ma intima loro di non cominciare l’attività. I lavoratori a questo punto, di loro spontanea iniziativa, cominciano a fare le pulizie nei reparti e sulle macchine, rifiutandosi di rimanere in un angolino a giocare a carte o pallone, come nei desideri della proprietà, e in seguito accendono le macchine per far manutenzione. L’azienda reagisce togliendo la corrente in tutta la fabbrica, fermando così anche i pochi lavori in corso, e sanzionando alcuni operai. Dopo qualche giorno si arriva a un accordo: viene concesso ai dipendenti di mettere in funzione le macchine e fare addestramento e viene fornito loro del materiale per le esercitazioni.
Nel frattempo l’attività al presidio si riduce. Danilo Ferrati spiega: “noi consideriamo il presidio come una sorta di trincea; nel momento in cui veniamo buttati fuori dall’officina, ci mettiamo oltre i cancelli a controllare. Quando rientriamo al suo interno, il terreno del conflitto torna a essere dentro il posto di lavoro”. Il 5 maggio una rappresentanza dei dipendenti, accompagnata dalla giunta di Sesto San Giovanni, si reca alla sede della Regione Friuli a Trieste. Questa iniziativa mira non tanto a ottenere supporto dall’istituzione friulana, chiaramente favorevole allo spostamento della produzione sul suo territorio, bensì a sensibilizzare la Regione Lombardia, che continua a essere assente, nonostante i tentativi dei lavoratori di coinvolgerla. Ai primi di maggio scade l’accordo annuale, che, ricordo, prevedeva la cassa integrazione per 57 dipendenti a rotazione. In tutta risposta l’azienda riapre una nuova procedura di cassa integrazione a zero ore e senza rotazione per 65 dipendenti. Il presidio, tristemente, riprende il suo ruolo centrale nella lotta. L’intenzione di chiudere lo stabilimento di Milano è evidente, nonostante il lavoro sia garantito fino al 2013. Il gruppo Mangiarotti sta costruendo una fabbrica identica a Monfalcone, in Friuli, dove potrebbe sfruttare lo sbocco diretto sul mare. Bisogna tener presente anche il fatto che l’azienda di Milano è fortemente sindacalizzata e i contratti dei lavoratori sono tutti a tempo indeterminato. Una nuova officina a Monfalcone potrebbe (qui il condizionale è d’obbligo, trattandosi di ipotesi) sfruttare manodopera assunta con contratti a tempo determinato, più economici e meno difendibili dal punto di vista sindacale, o magari proveniente dai paesi oltre confine. Per di più aleggia sopra il capannone di viale Sarca 336 la nube della speculazione edilizia legata all’EXPO 2015. Basta guardarsi intorno per vedere cantieri aperti ovunque, nuovi appartamenti, centri commerciali. E i lavoratori? Che fine faranno i 107 attuali dipendenti della Mangiarotti Nuclear di Milano? “Qualunque ipotesi” dice Danilo Ferrati “il padrone possa fare, anche quella di spostarci da qui, deve partire dal presupposto che questa fabbrica ha lavoro e noi non siamo disposti ad accettare che qualcuno sia lasciato a piedi”. Operai e impiegati sono
“Tu trovi pensionati che hanno lavorato qui 30 o 40 anni fa che si sentono la Breda. Io non mi sento Mangiarotti e neanche la Breda.” AKAPPA | 15
pronti a discutere con la dirigenza e cercare strade alternative, ma questo presupposto rimane alla base: lavoro per tutti, nessuno escluso. Con orgoglio difendono il loro impiego, perché sanno quanto vale e l’importanza che ha. Ciò avviene nonostante abbiano ben chiaro i rischi che esso comporta. “I lavoratori” continua Ferrati “hanno maturato la coscienza che lavorare fa male alla salute. Questo fatto si traduce quotidianamente in un conflitto sindacale sulle condizioni di lavoro. Però è qualcosa che ti resta dentro: noi siamo giustamente orgogliosi di essere lavoratori, di essere operai, di essere capaci di lavorare, ma non ci identifichiamo più nell’azienda, come poteva essere una volta. Tu trovi pensionati che hanno lavorato qui 30 o 40 anni fa e che si sentono la Breda. Io non mi sento Mangiarotti e neanche la Breda. Noi che abbiamo vissuto apertamente gli anni ‘80, la questione dell’amianto, siamo consci del fatto che questa fabbrica e le dirigenze che si sono susseguite ci hanno esposto a gravi rischi per la salute, senza dire niente, anzi nascondendo le cose, negando quando chiedevamo. Ma ripeto, noi difendiamo la nostra unica possibilità di andare avanti a vivere in questo sistema: noi questo sappiamo fare e questo vogliamo fare”. Conclude Fabrizio Volpi: “non vogliamo che a Milano restino solo le macerie e che i lavoratori siano messi da parte e considerati come spazzatura. Vogliamo un’assicurazione per quello che è il nostro futuro: potrà essere qui o in una struttura più ridotta, utilizzando strumenti come accompagnamento alla pensione per chi possa usufruirne, ma non possiamo permettere che anche solo un lavoratore rimanga per terra”. Nel frattempo la manifestazione in piazza Duca d’Aosta è continuata: molti gli interventi, tra cui una sindacalista greca, reduce dai giorni di lotta di Atene. I lavoratori al microfono parlano di unità sindacale, prospettive per la classe operaia, internazionalismo e ho la sensazione che qualcosa si stia risvegliando... Ma alle mie spalle il palazzo della Regione mi riporta bruscamente alla realtà. Un operaio mi dà l’ultimissima notizia: un camion stamani ha tentato di portare via alcuni pezzi dalla fabbrica. AGGIORNAMENTI L’inchiesta è stata realmente scritta nei giorni seguenti alla manifestazione del 20 maggio. Tuttavia gli ultimi risvolti della vicenda impongono la scrittura di questa breve nota. Il 9 giugno i lavoratori della Mangiarotti Nuclear hanno dato vita a due presidi nei locali della direzione aziendale, uno in via Pero e uno in via Pirelli, per chiedere che venga rispettata l’ordinanza del giudice che impone il rientro a Milano delle commesse, che garantirebbero lavoro. Gli operai si sono accorti della mancanza di alcuni pezzi all’interno della fabbrica, probabilmente portati via durante la notte. Il giorno 10 il padrone chiede l’intervento delle forze dell’ordine per sgomberare gli uffici, cosa che prontamente avviene il giorno 11. I lavoratori continuano a presidiare dall’esterno fabbrica e uffici. Il 12 giugno Paolo Di Salvio, presidente e comproprietario con Tarcisio Testa della Mangiarotti Nuclear, ribadisce l’intenzione di chiudere i battenti della fabbrica alla fine del 2010. 16 | INCHIESTA
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I NUOVI VOLTI DELLA CRISI di Carlo Frontini
Quarant’anni fa bloccavano il traffico, costruivano barricate, formavano cortei, protestavano in strada. Oggi si arrampicano sui tetti, si appendono alle gru, si incatenano ai monumenti: salgono per rendersi visibili, organizzano interminabili presidi ventiquattr’ore al giorno davanti alle fabbriche. È un 2010 molto caldo per gli operai lombardi e non solo, è un grido disperato per evitare che il dramma della crisi rimanga pura statistica. Esemplare, in tutti i sensi, fu la scorsa estate il caso dell’Innse, un’azienda è importante ribadirlo, sostanzialmente sana che rischiò di chiudere i battenti lasciando sul lastrico i suoi dipendenti. Fu l’innovativa ed eclatante protesta di alcuni operai, dietro l’appoggio non solo morale dei colleghi , che si asserragliarono su una gru, mettendo in pericolo le loro vite, a portare dopo otto caldi giorni di trattative all’arrivo di un nuovo compratore, che differentemente dal precedente non era interessato al solo acquisto dei macchinari ma anche al futuro dell’azienda. Robe mai viste. Irripetibili? Forse, ma intanto rimangono due punti fermi: il primo è l’esempio di una forma di protesta vincente, non lesiva né per il lavoratore né per il proprietario e soprattutto non violenta. Il secondo, un po’ più complesso è legato alla crisi economica; occorre considerare che se la Innse avesse avuto milioni di debito, o una produttività insoddisfacente nel settore probabilmente il salvataggio sarebbe stato più complicato o forse addirittura non sarebbe giunto. Massimo Merlo, 54 anni, tra i fautori della contestazione mentre l’Italia seguiva le trattative sotto gli ombrelloni di agosto, rilascia una significativa dichiarazione a Repubblica : “Non si lotta per disperazione. Quando sei disperato hai già perso. Nel 1969
si lottava per migliorare, perché erano arrivati ragazzi giovani nelle grandi fabbriche, perché era andata in linea la generazione della scuola media dell’obbligo. Si facevano i cortei per ottenere nuovi diritti, non per sopravvivere”. Di certo situazioni molto meno fortunate nel mondo del lavoro non mancano, e le soluzioni non sono dietro l’angolo, ma è il contesto generale della crisi, che aleggia come uno spettro dietro ai licenziamenti a tappeto a essere mal affrontato dalla classe imprenditoriale; l’impressione è che il momento di depressione economica, in alcuni casi venga visto come una scappatoia una buona opportunità per de-localizzare la produzione, invece di affrontare il problema sul territorio, insomma una vecchia questione. Migliori guadagni a fronte di un minore costo del lavoro. La risposta della proprietà di solito è pressoché identica: è l’unico modo per rimanere competitivi sul mercato, un parere che di certo lascia molti insoddisfatti. Standard & Poor’s la pensa come la Cgil: il tasso di disoccupazione in Italia supera il 10%. Sul futuro prossimo incidono le scelte industriali di grandi gruppi come Telecom, che ha appena annunciato 6.800 esuberi (2.300 già previsti e 4.522 “nuovi”) da sistemare entro il 2012 , ma soprattutto le tante crisi sconosciute sparse sul territorio; quelle nelle piccole e medie aziende dove la ripresa annunciata non si è ancora vista. AKAPPA | 19
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È
del 20 maggio una protesta riunita, che raccoglie aziende dell’hinterland milanese sull’orlo della chiusura. Una mattina in piazza e mezz’ora di occupazione pacifica del binario 8 della Stazione Centrale sono solo l’ultima iniziativa in ordine di tempo di chi da 8 mesi (sono i lavoratori della Agile-Eutelia di Pregnana), da 6 mesi (sono gli operai della Maflow e della Mangiarotti Nuclear), da circa un anno (sono quelli della Metalli Preziosi e della Lares di Paderno) presidia gli stabilimenti per evitare la dismissione delle aziende e per riprendere l’attività. Ma le istituzioni che pure sono lì a poco passi sembrano sorde a ogni richiamo, eppure il problema non riguarda solo queste centinaia di lavoratori. Prendiamo a livello nazionale l’esempio della Fiat, che, nonostante il piano di rilancio che potrebbe portare anche a nuove assunzioni, avvia il suo nuovo piano industriale con la chiusura di due stabilimenti, quello di Termini Imerese, 1.400 lavoratori più 500 dell’indotto e quello della Cnh di Imola, 550 lavoratori compreso l’indotto. I numeri non lasciano spazio a molti dubbi; dall’ottobre 2008 al dicembre 2009 le ore di cassa integrazione autorizzate, tra ordinaria e straordinaria, sono state oltre 1 miliardo. Lo rileva la Cigl nel Rapporto sulla cassa integrazione guadagni (cig) del 2009. Nel solo 2009 c’è stato il maggiore ricorso alla Cig di sempre, con oltre 918 milioni di ore (+311% sul 2008). Se in patria non sono tutte rose, non possiamo certo guardare all’estero con piena fiducia in un’economia ormai globalizzata. “Portugal is not Greece, Portugal c’est pas la Grèce, Portugal não é Grécia”. Se il ministro degli esteri portoghese Luis Amado parlasse pure tedesco e cinese, probabilmente avrebbe usato anche quelli lo scorso lunedì 26 aprile quando dal Lussemburgo cercava disperatamente di convincere il mondo che Atene e Lisbona non sono la stessa cosa. Tutto inutile. I titoli ellenici vengono abbassati al valore di buonospazzatura e contemporaneamente quelli portoghesi passano da A + ad A -, il primo passo verso la discesa agli inferi. Risultato, i portoghesi hanno ripreso a emigrare ma non si sa quanti siano, visto che dal 2005 il governo ha smesso di presentare statistiche ufficiali. In confronto possiamo affermare che l’Italia ha gestito meglio il periodo peggiore della crisi,
tuttavia le recenti “vittorie” economiche non dovrebbero oscurarne la fragilità. È infatti altrettanto vero che il debito pubblico italiano (in confronto al prodotto interno lordo) equivale più o meno a quello greco e che gli indicatori demografici mostrano un declino della forza lavoro e un aumento dei costi della sanità e delle pensioni. Anche una voce critica e sempre attenta ai problemi economici come quella di Romano Prodi non ha tardato ad arrivare, nello specifico le sue parole giungono dalla conferenza tenutasi a Torino il 6 maggio dal titolo “Il denaro va dove va il potere?”. La riflessione di Prodi si è svolta a partire dalla crisi greca, un problema piccolo, che non è stato affrontato in modo idoneo e tempestivo. Gli Stati europei, a causa del crescente populismo e a questioni interne di modesta portata, non hanno saputo reagire, come avevano invece fatto per salvare le banche, per coprire un piccolo debito contratto da un Paese, che, bisogna ricordare, rappresenta il 2,6% del Pil europeo. Sicuramente, afferma l’ex premier, c’è stata una manipolazione dei dati, e questo è un problema politico, ma il grande problema è che i paesi europei non hanno affrontato in modo collettivo il problema. Il fatto di avere in ogni momento elezioni ovunque in Europa, sta cambiando il senso della democrazia e impone dei tempi talmente brevi che non si affrontano problemi a lungo termine. Si possono affrontare i problemi dell’Europa con l’orizzonte di 40 giorni? Si chiede Romano Prodi, osservando che ormai l’elemento sistemico dell’Europa è la paura, delle persone e delle merci in entrata. Questo aiuta l’espansione del populismo e genera l’impasse che viviamo. Ma, non dobbiamo rassegnarci a ciò, perché la democrazia è stata capace anche di fare scelte a lungo termine. In questo momento nessuno gioca il proprio futuro politico sull’europeismo, perché l’Europa è ancora dominata dalla paura. Ma chi ha paura, è destinato a perdere.
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MARGHERITA
HACK L’INTERVISTA
Uno spirito libero, un’atea convinta, una delle più eminenti astrofisiche a livello mondiale, un personaggio ricchissimo di sfaccettature. Noi abbiamo approfittato della sua spontaneità per rivolgerle domande che sono un interrogativo aperto per chiunque. Non vi resta che leggere quel che ci ha risposto. Articolo di Mattia Di Pierro e Luca Di Pierro
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Q
ual è la sua professione di fede? Io sono atea, e questa è in un certo senso una professione di fede, in quanto non posso dimostrare né che Dio ci sia, né che non ci sia. A me l’idea di Dio non persuade, mi sembra sia una scappatoia per spiegare tutto quello che la scienza non riesce ancora a spiegare e che forse non riuscirà mai. Credo che l’idea di Dio risponda poi al desiderio di non morire e serva per sperare in una vita nell’aldilà.
E in cosa crede lei, se crede in qualcosa? Io credo anzitutto che la materia abbia la proprietà di aggregarsi in forme sempre più complesse, dalle forme più semplici fino alle stelle. Questa qualità che ha la materia di aggregarsi passando dalle più minuscole particelle elementari fino a corpi più estesi e poi a noi è sicuramente qualcosa che meraviglia. Qualcuno spiega questo fatto con il disegno intelligente di un dio; io preferisco semplicemente accettare il fatto che la materia ha tale proprietà. Non si sa se l’universo ha avuto un’origine, potrebbe essere sempre esistito nel tempo e nello spazio; sappiamo però che sono cambiate ad un certo punto determinate condizioni fisiche. Sappiamo che si è liberata in origine una forma di energia che ha portato all’espansione dello spazio e quindi ad una diminuzione di temperatura e densità che ha permesso alle molecole di aggregarsi, quindi le prime reazioni nucleari e la formazione dei primi elementi fino alle stelle e alle galassie, ai pianeti e agli esseri viventi. Questo è un dato di fatto. Che posto può avere la religione invece all’interno di questa visione del cosmo? La religione è sempre stata presente, ma man mano che la civiltà ha progredito le divinità sono dimi24 | INTERVISTA
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L’astrologia deriva dall’ignoranza di secoli fa. Ancora oggi c’è questo desiderio di conoscere il futuro e avere una guida, ma sono tutte superstizioni che non hanno alcun fondamento.
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Lei è nata in una famiglia religiosa, qual è il percorso che l’ha portata ad essere atea? Non ho mai avuto grande interesse per la religione o la fede. Sono nata in una famiglia con una madre cattolica e un padre protestante. Entrambi erano però insoddisfatti delle loro religioni ed avevano perciò aderito alla teosofia, una filosofia indiana che crede nella reincarnazione e in alcuni maestri che guidano l’umanità, tra cui lo stesso Gesù per esempio. Ma io non sono mai stata troppo interessata e ho sempre creduto fossero un po’ matti quando a sette o otto anni li sentivo parlare di questi argomenti con i loro amici; non mi sono mai preoccupata troppo dell’aldilà, ho sempre vissuto nell’aldiqua.
L’astrologia
nuite e da umanizzate, com’erano nel passato, sono divenute sempre più spirituali. Una volta tutto ciò che non si capiva si attribuiva ad una divinità, oggi si sa invece che tante cose sono fenomeni naturali e non dipendono da poteri divini. La moderna idea di Dio è perciò molto diversa rispetto a quella passata. La domanda fondamentale resta però la stessa in quanto la scienza non spiega il “perché”, domanda a cui invece cerca di rispondere la religione. La religione risponde anche ad una ricerca di significato per la propria vita. Che senso dà alla vita un ateo? Anzitutto è da chiarire che un ateo non è “non etico”. L’etica di un ateo può coincidere con i comandamenti che tutti conosciamo, non fare agli altri quello che non vorresti essere fatto a te, o ama il prossimo tuo come te stesso, un ateo vede però l’etica avulsa dalla religione, il senso ultimo della sua vita è vivere in armonia con gli altri, aiutandoli quando è possibile. C’è poi anche il gusto di fare il proprio lavoro, cercando di farlo al meglio. Io ho la fortuna di fare un lavoro divertente che comporta anche il piacere di fare delle scoperte per portare un piccolo contributo alla scienza e questo mi basta. La molla poi che spinge tutti noi è anche la voglia di vincere, di riuscire, di fare meglio degli altri.
E la religione nella società invece cosa comporta? Dipende da come ci si approccia alla religione. C’è una religione che posso capire che è quella dei preti poveri, di quelli che vanno verso i più umili, che cercano di aiutare i bisognosi; c’è poi quella delle gerarchie, dello sperpero di ricchezza che considero una falsa religione. L’aspetto negativo della religione si ha infatti soprattutto nell’applicazione. Fino a che resta un’aspirazione personale, un desiderio per tentare di capire o di spiegare non ci vedo nulla di male. Mi infastidisce invece chi vuole imporre la propria fede agli altri o chi viola apertamente l’etica che professa, per esempio con lo spreco o il lusso. Come vede la situazione della religione in Italia? Credo che l’Italia sia un paese cattolico dove i cattolici che credono davvero sono molto pochi. La maggioranza probabilmente se ne frega. Lei ha passato la vita nella ricerca scientifica. Crede che la scienza abbia cambiato la religione? La religione ha perso di senso davanti al progresso scientifico? La Bibbia poteva essere considerata il libro delle verità secoli fa, ormai la scienza ha dimostrato che alcuni dati o immagini scritte nei libri sacri sono false. La religione ha dovu-
to prendere atto di queste scoperte e ora non ci manderebbero più al rogo, ma quando si tratta di materie di scienza biologica le cose stanno in modo diverso e la Chiesa è ancora pronta a dare battaglia. La ricerca sulle cellule staminali embrionali è proibita, solo per citare un esempio, con un danno enorme per la ricerca e per la salute di tutti e questo è demenziale. Ma ciò che è più preoccupante ancora è che lo Stato è succube della Chiesa. Questi sono degli ostacoli importanti per la ricerca e la colpa è del governo in quanto in Italia siamo di fronte ad uno stato laico che si fa condizionare fortemente dal Vaticano che oltretutto è uno stato straniero. Per questa ingerenza del Vaticano negli affari italiani non si riesce a trovare un accordo sui PACS, sul testamento biologico o sull’affidamento o adozione da parte di una coppia omosessuale e ciò è ridicolo. Siamo di fronte in questi ultimi decenni ad un progressivo allontanamento dalla religione, anche in Italia. Crede che questo fenomeno sia dovuto ad una reale presa di coscienza o semplicemente ad uno stile di vita che con le sue AKAPPA | 25
comodità e distrazioni ha aiutato negli ultimi decenni ad allontanarsi dalla religione? Certamente lo stile di vita incide molto; le comodità e il lavoro distraggono dagli impegni religiosi che passano in secondo piano. Credo però che in parte questo fatto si spieghi anche con il progresso scientifico che ha modificato la mentalità delle persone. Così anche a chi è meno razionale e più religioso qualcosa di scientifico è arrivato ed è difficile che ora non si abbia un minimo atteggiamento critico nei confronti della religione così come è ormai difficile prendere alla lettera storie di angeli e diavoli, benché qualche fondamentalista ancora ci creda.
una velocità di 40 km al secondo che produrrebbe un impatto della potenza di diverse bombe atomiche.
Dunque la religione è destinata a scomparire? Sicuramente è destinata a diventare più spirituale. Non credo però che sparirà completamente in quanto permane il bisogno di risposta e di senso, rimane cioè la curiosità in qualcosa che spieghi il perché della vita, delle malattie, delle sofferenze.
Abbiamo puntato il nostro sguardo all’universo. Lei lo fa ormai da decenni; che idea si è fatta del cosmo? L’immagine che ho io è anzitutto di un universo infinito nel tempo e nello spazio, in quanto non avrebbe senso pensarlo che comincia o che finisce. Quello che si sa poi è che l’universo è in espansione e che di conseguenza le galassie si allontanano sempre più l’una dall’altra. Si sa che quest’espansione è iniziata circa 13miliardi e 700milioni di anni fa, che è quella che si chiama età dell’universo. Questo dato si può osservare misurando la velocità di espansione delle galassie. In questa data, che però potrebbe non coincidere con il vero inizio del cosmo, l’universo aveva temperature di miliardi di gradi e densità miliardi di volte superiori a quella dell’acqua e, ad un certo momento, ha cominciato ad espandersi.
Sembrano invece non subire crisi altre superstizioni, come l’astrologia... È anche peggio della religione; almeno nella religione si può trovare una morale, l’etica. L’astrologia deriva semplicemente dall’ignoranza di secoli fa. Un tempo, quando non si sapeva spiegare il perché delle tempeste o degli eventi naturali si diceva fossero gli dei. Le stelle sembravano formare una cupola che avvolgeva la terra, diventando divinità che vivevano lassù e influenzavano la vita sulla terra. L’astrologia deriva da queste credenze. Ancora c’è questo desiderio di conoscere il futuro e avere una guida, ma sono tutte superstizioni che non hanno alcun fondamento. A proposito di superstizioni e paure più o meno fondate, spesso torna la fobia della fine del mondo, per esempio nel pericolo di avvistamento degli asteroidi... La possibilità che un asteroide impatti con la terra esiste, ma ci si può difendere. Si conosce l’esistenza di una famiglia di piccoli pianeti, denominata Neo (New Earth Object) caratterizzata da corpi con orbite identiche a quella terrestre, ma data la loro differente inclinazione c’è una bassa probabilità di scontri. Tra questi si distingue però un pianetino che si chiama Apofis con un orbita che, se resterà così come è oggi, nel 2036 dovrebbe impattare sulla Terra, creando un fenomeno simile a quello cui si attribuisce la scomparsa dei dinosauri. Parliamo di un asteroide di 200 metri di diametro con 26 | INTERVISTA
Dobbiamo dunque solo sperare che devii il suo percorso? No, oggi ci si saprebbe difendere; ci sono diversi modi per evitare lo scontro. Per esempio mandando una carica nucleare che faccia esplodere l’asteroide o usando un guinzaglio virtuale, cioè una grossa astronave che posizionandosi vicino lo attragga e ne faccia deviare l’orbita. O ancora si potrebbe mandare un astronave sull’asteroide stesso, trivellarlo facendone fuoriuscire gas e creando così una sorta di motore naturale che gli faccia cambiare direzione. D’altra parte si è già tentato con successo di atterrare su un asteroide con un veicolo aerospaziale.
Non sappiamo però quale energia abbia dato inizio a tale espansione.
intestazioni leggiamo decine di nomi.
Come vede la situazione della ricerca nel nostro Quest’idea di universo è frutto di decenni di ricerca scienPaese? tifica. È ormai parecchio tempo che si dedica al suo laSempre peggio. Continui tagli ai finanziamenti, il voro e sicuramente, da quando ha iniziato, avrà potuto blocco delle assunzioni e dei concorsi per i ricerassistere a notevoli progressi, anche teccatori. Molti neo dottori non nologici. In questi anni di lavoro com’è hanno nessuna prospettiva. Ora cambiata perciò la ricerca? è annunciato anche il taglio dei Ovviamente è cambiata moltissimo. cosiddetti “enti inutili” tra cui La strumentazione anzitutto: per dare si trova per esempio l’Istituto di un’idea, io ho fatto una tesi di laurea, alta matematica, un fiore all’ocpubblicabile al tempo su una rivista interchiello della ricerca matematica nazionale, con uno strumento da trenta che andrà perduto. Nella stessa centimetri, ora si fanno telescopi con dielista figura l’Istituto nazionale ci metri di diametro. Con gli strumenti di oceanografia e geofisica che attuali addirittura si possono collegare si occupa della situazione degli elettronicamente radiotelescopi in tutto il oceani e dello stato del territomondo per avere l’equivalente di un rario e che in un Paese come il nodiotelescopio di diametro pari al diamestro spesso colpito da terremoti tro della terra stessa. Naturalmente, cone dove franano interi paesi, non Margherita Hack seguentemente a queste nuove tecnologie, si capisce come possa essere inuè cambiato anche l’approccio alla ricerca: tile. E ancora l’Inaf, Istituto naci vogliono molte più competenze. Oggi zionale astrofisica che incorpora elettronici, informatici, chi osserva i risultati delle imi dodici osservatori italiani e altri istituti del CNR. magini e chi le interpreta teoricamente devono collaboCerto l’astrofisica non ha applicazioni immediate, rare ad uno stesso progetto in uno sforzo dettato da un ma è collegata intimamente alla ricerca spaziale, fine comune. Fino a qualche tempo fa alle pubblicazioni fonte di enormi progressi tecnologici, e dovrebbe astronomiche collaboravano due o tre studiosi, ora nelle essere tenuta in maggiore considerazione.
Lo spazio
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Io ho fatto una tesi di laurea, pubblicabile al tempo su una rivista internazionale, con un cannocchiale da pochi centimetri, ora si fanno telescopi con dieci metri di diametro.
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SCIENZA
RICERCHE SCIENTIFICHE NELLA SOCIETÀ di Mattia Di Pierro
E=mc2 Cosa vi viene in mente? Nel 1905 Albert Einstein presentava al mondo la sua teoria della relatività ristretta; dieci anni dopo era pronto per la presentazione della teoria della relatività generale che metteva in discussione le basi stesse su cui si era costruita la fisica del tempo e apriva una vera e propria nuova era nella scienza, nuovi panorami che prima erano a dir poco impensabili nella fisica o nell’astronomia. Sono passati ormai più di cento anni dalla formulazione di Einstein eppure, a parte qualche poster che raffigura il fisico tedesco, a parte la sua appariscente capigliatura, ormai divenuta simbolo dello scienziato stesso, ben poco è entrato davvero a fare parte delle nostre idee quotidiane, ben poco è penetrato nella testa e nel pensiero di chi non lavora direttamente nel settore scientifico. Già, perché non sono molti a conoscere davvero di cosa parli la teoria della relatività e la celebre formula E=mc² è conosciuta come poco più di uno slogan, senza un gran
significato. In realtà questa semplice formula ha rivoluzionato la fisica, ha portato un grande apporto alla ricerca nucleare ed è intimamente legata a nomi come Hiroshima e Nagasaki, che certo non rimandano a pensieri astratti o teorici. La nostra società infatti, e sembra quantomeno ovvio, è caratterizzata e si fonda sulla ricerca scientifica dove anche le ricerche più teoriche vengono sfruttate ogni giorno in maniera decisamente pratica, perfino nelle cose più banali; si pensi a molte delle ricerche spaziali e astrologiche che hanno fornito materiali e tecnologie poi usate nella vita quotidiana, o ancora all’energia atomica, alla chimica. Risulta allora di conseguenza che per capire la nostra società sarebbe opportuno seguire, anche se necessariamente in maniera poco professionale, il progresso scientifico; eppure nessuno di noi viene formato in modo appropriato nel suo percorso di studi obbligatori. La scuola infatti nasconde nel nostro Paese un problema serio e a tratti paradossale. La fisica che si studia nei licei si ferma inspiegabilmente alle teorie di Keplero e Newton, datate rispettivamente 1618 e 1687. AKAPPA | 29
T Se ho fatto qualche scoperta di valore, ciò è dovuto più ad un’attenzione paziente che a qualsiasi altro talento. Isaac Newton
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utto questo non può non apparire quantomeno strano in una società che basa il suo sviluppo soprattutto sulla ricerca scientifica. Naturalmente, dopo le eccezionali scoperte di questi due scienziati la ricerca scientifica è progredita incessantemente, fino a sostituire le teorie da essi proposte con altre nuove che rispondono ad esigenze e a domande differenti. Abbiamo introdotto questo articolo con la teoria della relatività, ma anche questa ormai non basterebbe più per un corretto insegnamento scientifico. La fisica quantistica, la teoria delle stringhe, quasar, nuovi modelli dello spazio, del tempo e dell’universo sono entrati nel gioco della scienza. L’abbiamo chiamata gioco non a caso. Un altro problema che infatti presenta la nostra istruzione scientifica riguarda il modo con cui siamo abituati a guardare la scienza. Le materie scientifiche sono insegnate con un metodo quantomeno bizzarro e lontano dalla realtà. Le formule, le scoperte scientifiche vengono solitamente presentate come delle verità rivelate assolute, che non si metteranno mai in discussione e che portano un progresso reale, come avvicinamento alla Verità per eccellenza. Gli scienziati sono allora, all’interno di questo quadro, coloro che sono riusciti, chiusi nei loro bui studioli tra polvere e ampolle, staccati dal mondo circostante, a cogliere un pezzo di verità. In realtà un approccio più storico all’insegnamento di queste materie, che metta in luce l’evoluzione delle teorie, potrebbe far capire come la scienza non è un gruppo di verità fissa, ma anzi come sia piuttosto un’insieme di modelli teorici che possono essere sbagliati e che sono sempre pronti ad essere sostituiti. Il crollo del valore di verità anche in questo campo, il capire come effettivamente funziona la scienza è un enorme aiuto al pensiero e anche al pensiero democratico, che aiuta la stessa convivenza nella società. Capire la scienza è infatti in un certo senso nient’altro che capire l’uomo, la storia delle sue idee, il suo modo di conoscere e di conoscersi. Paradossalmente, nel tentare di conoscere l’universo conosciamo più che altro noi stessi. Come affermava sir. Arthur Stanley Eddington, un famoso fisico del Novecento: «Tutte queste leggi di natura che sono state tessute in uno schema unificato (meccanica, gravitazione, elettrodinamica e ottica) hanno la loro origine non in uno speciale meccanismo della natura, ma nell’attività della mente. (…) Abbiamo scoperto una strana impronta sulla spiaggia dell’ignoto. Abbiamo escogitato profonde teorie, l’una dopo l’altra, per spiegarne la provenienza. Alla fine siamo riusciti a ricostruire la creatura che aveva lasciato quell’impronta. Ed ecco! È la nostra impronta.»
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ITINERARI
BARCELLONA LA CITTÀ NASCOSTA di Michele Primi
Vicino a casa mia, nel Barrio Gotico di Barcellona, nella strada che da Plaza San Miguel scende verso Calle Avinyò, dove ci sono gli uffici del comune in cui gli stranieri vengono a fare i documenti per diventare residenti, qualcuno ha fatto un graffito. Una striscia bianca divide la strada in due corsie immaginarie: Barceloneses e Turistes. E’ il segno di un percorso all’interno di questa città che vive di atmosfera, bagnata ad ogni ora da una luce che innamora, sdraiata tra il mare e la montagna, edonista e vanitosa, fiera e fragile nella sua disarmante bellezza. I due percorsi, quello del barcelones e del turista, che qui si chiama anche guiri (soprattutto se viene da un paese del nord Europa o, peggio, dagli Stati Uniti) tagliano non solo la geografia ma anche l’anima di Barcellona, rendendola una città speciale, splendidamente bipolare, irrazionale nella sua spensieratezza e nella sua voglia di farsi ammirare. Una città vacanziera ma allo stesso tempo votata agli affari, con una cultura orgogliosa, gelosa fino all’eccesso delle sue tradizioni e della sua lingua, ma pronta ad accogliere chiunque, a regalare interi quartieri alle comunità stranie-
re (il Raval pakistano e magrebino, la Calle della Cera filippina) e a farsi attraversare, invadere da un numero di turisti che cresce del 20% ogni anno. Poche altre città sono così tolleranti, e così rispettose della propria identità. Quale città avrebbe mai accolto senza scomporsi una comunità di 30.000 italiani, contando solo quelli che si sono registrati qui in Plaza San Miguel, a due passi dal nostro graffito? La ragione è nello spirito di Barcellona, nel suo irrefrenabile istinto verso la decadenza, in quella luce che fa venire voglia di vivere in strada, nelle linee curve e nei colori psichedelici dei palazzi modernisti che sembrano usciti da una favola dei Fratelli Grimm, nel ritmo rilassato che si respira nei vicoli stretti del centro storico, in quel senso di sospensione, incompiutezza ed eterna giovinezza simboleggiato dal suo monumento più famoso, la Sagrada Familia. AKAPPA | 33
Ragazzi che da tutta Europa vengono fin qui a seguire le tracce del figlio più famoso del Barrio Gotico, Manu Chao, a cercare il suono della patchanka tra le pareti rosse del Bar Bahia
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orniona, la città osserva se stessa mentre il mondo la ammira, come una donna troppo bella che sa di essere sempre sotto gli occhi di tutti. Barcellona è soprattutto uno stato d’animo, una sensazione, quasi sempre di inspiegabile leggerezza e gioia, a volte di soffocamento e vanità, ma di quelle che vale la pena provare almeno una volta nella vita. Per conoscerla, è necessario attraversare i due percorsi tracciati dal graffito, mischiarsi tra Turistes e scoprire i Barceloneses. I due mondi sono vicini, si sfiorano e si incrociano spesso. Non bisogna evitare la Rambla, la Plaza Real e gli altri luogi iperturistici, perché anche lì ci sono le tracce dei tre elementi che identificano Barcellona: gastronomia (tre chef premiati con tre stelle Michelin: Ferran Adrià, Santi Santamaria e una donna, Carme Ruscalleda) architettura e divertimento. Uno dei punti di incontro dei due percorsi si trova poco lontano dal nostro graffito, scendendo oltre Calle Avinyò fino a Plaza del Tripi (che in realtà si chiama Plaza George Orwell), dove gli artisti decaduti, i vagabondi e gli ubriachi aggrappati ai ban-
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coni dei tanti bar affacciati sulla strada si mischiano ai ragazzi che da tutta Europa vengono fin qui a seguire le tracce del figlio più famoso del Barrio Gotico, Manu Chao, a cercare il suono della patchanka tra le pareti rosse del Bar Bahia (nel cui bagno Tonino Carotone ha scritto Me Cago En El Amor), nel mondo rovesciato del Sincopa e del Mariachi, il bar preferito di Manu Chao nascosto nel vicolo più oscuro del quartiere, Calle Codols. Turistes e Barceloneses si incontrano di notte cercando i bar illegali, indirizzi misteriosi per ultimi drink a orari impossibili, in cui si entra suonando un campanello muto davanti ad una serranda chiusa. Il Kentucky di Calle Arc del Teatre dove un signore con i capelli bianchi ti aspetta per farti entrare in un pezzo di storia dell’underground della città, l’Armario di Calle Riereta che sembra uscito da un sogno ubriaco, in cui per entrare bisogna infilarsi in un vecchio armadio in una stanza vuota e uscire dall’altra parte, oltre lo specchio. Si incontrano anche ai tavoli del Romesco, una taverna di galiziani dall’aria truce ma gentilissimi, dove si mangia una deliziosa entrecot con guarnicion a prezzi stracciati, o davanti ad una enorme cotoletta impanata (la famosa milanesa, che in Argentina dicono aver inventato loro) al Boliche de Riereta, un ristorante gestito da una famiglia di intellettuali di Rosario, Argentina, in cui si stempera la nostalgia di casa fa-
Paseo del Carrer e PlaÇa del Rei
non esisterebbero Barceloneses. cendosi accudire dalla titolare, che tratta i clienti come se fosse Una delle immagini simbolo di Milano è una fotola mamma di tutti. Cercano, insieme, le tracce di Pepe Carvalho, modella spaesata che aspetta il tram, rigirando una l’investigatore gastronomo protagonista dei romanzi di Manuel cartina tra le mani. Allo stesso modo, è impensabile Vazquez Montalban tra i tavoli di Casa Leopoldo, il ristorante oggi Barcellona senza la coda, ordinatissima, di tupreferito dal grande scrittore. “Vasi di gerani in balconi cadenti, risti che riempie il marciapiede del lussuoso Paseo qualche garofano, gabbie di cocorite magre e nervose, bombole de Gracia davanti alla Casa Battlò o alla Casa Milà di gas. Insegne di levatrici e pedicure. Maite parrucchiera per detta “La Pedrera” disegnate da signora. Gustoso puzzo di olio fritto e Anton Gaudì (il quale, ironia rifritto: calamari alla romana, pesciolini della sorte, è morto investito in padella, patate al peperoncino…” La E’ impagabile quello che appare proprio da un tram nel giugno Barcellona passionale, decadente e nobile ad ogni strada che sfocia sulle del 1926). I turisti hanno fatdi Pepe Carvalho non esiste più. ManRamblas: l’improvviso delta di to girare la città verso il mare. quel Vazquez Montalban lamentava la Al Maians di Calle San Carles, perdita della sua identità, ma intravedeva un fiume dove fluisce la biologia la mia preferita tra le trattorie il suo futuro: “Carvalho conosce queste e la storia di una città strade e questa gente. Non cambierebbe tipiche del quartiere dei pescaquesto paesaggio che gli serve per sentirsi tori della Barceloneta, una penisola che fino a pochi decenni fa era tagliata fuori vivo, anche se di notte preferisce fuggire dalla città in ginocchio, in cerca di dintorni di colline dove sia possibile osservarla come dalla città dai binari della ferrovia e che ancora oggi conserva lo spirito indipendente di una comunità se fosse un’estranea. E’ impagabile quello che appare ad ogni strada che sfocia sulle Ramblas: l’improvviso delta di un fiudi gente di mare in una città che ama di più la me dove fluisce la biologia e la storia di una città, del mondo montagna,le pareti sono ricoperte di vecchie foto intero. Barcellona è davvero l’Europa.” Senza Turistes, oggi, d’epoca della città. AKAPPA | 35
Veduta e particolare della Casa Mila di Gaudì
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genuini de La Casita, rifugio di italiani del sud, accolti dalla arcellona voltava le spalle al mare. Il Barceloneta come figli suoi. Il Maians prende il nome dall’isolitorale era una sfilata di fabbriche e la che nel 1753 è stata unita alla città per ospitare le famiglie magazzini, una Manchester affacciata sfollate dal quartiere del Borne per fare spazio al forte della sul Mediterraneo, dalla cisterna del Ciutadela. Barcellona è cresciuta così: spostamenti, geograBesos fino allo stabilimento del liquore fie che cambiano. Dove ora c’è la Villa Olimpica c’era il Anis del Mono, a Badalona, dove oggi appoggiata Somorrostro, il quartiere di baracche dei gitani dove è nata al muro della fabbrica, chiusa e restaurata, c’è una Carmen Amaya, la regina del flamenco. spiaggia bellissima e segreta. I gitani si sono spostati prima a Santa Il Maians è un posto da BarceBarcellona è cresciuta così: Coloma e poi nel barrio della Mina, in loneses. I turisti vanno al Rey spostamenti, geografie che cui visse il grande Camaron de La Isla. del Gamba, evoluzione degli cambiano. Dove ora c’è la Villa Lo spirito di Carmen Amaya vive oggi antichi chioschi sulla spiaggia Olimpica c’era il Somorrostro, il nelle foto appese alle pareti de La Conche preparavano paella e arroz cha del Raval in Calle Robadors, o nel caldoso, bacalao alla llauna e quartiere di baracche dei gitani Bar Marseille frequentato da Picasso e chipirones per le famiglie che dove è nata Carmen Amaya, la Hemingway, uno dei luoghi che resistola domenica scendevano dai regina del flamenco. no all’avanzare del tempo, anche grazie quartieri alti. I barceloneses all’assenzio diluito con lo zucchero da vanno al Salamanca, il meun enorme barista inglese. Anche nel Raval la gente si è rendero preferito dei tassisti e dei poliziotti, o alla spostata. Strade buie e degradate sono state buttate giù Cueva Fumada di Calle Baluard, una taverna di peper fare spazio al museo d’arte contemporanea MACBA scatori che apre quando vuole, a orari assurdi, solo davanti al quale si radunano gli skater, e alla Rambla del quando arriva il pesce fresco. I due mondi si inconRaval, un angolo di medioriente dove tra palme ed odori trano al Santa Marta, il più spettacolare bar sulla di kebab sembra di essere a Beirut. Da vedere al tramonto spiaggia che si possa immaginare, o davanti ai piatti 36 | ITINERARI
quando la luce che scende rende ancora più surreale la scultura del gatto di Botero, sonnolento osservatore delle mille facce diverse che riempiono il Raval di culture e traffici, un monumento al bizzarro davanti al quale non si può fare a meno di sorridere. Barcellona si muove, si rigira su se stessa nel suo letto steso tra i palazzi nobili del Tobidabo e il mare. I quartieri si muovono. Il Poble Sec è un angolo di Sudamerica arrampicato sul Montjuic, una ragnatela di vicoli che salgono dal Parallel, la Broadway di Barcellona, la via dei teatri e dei cabaret. E’ stato costruito per ospitare i muratori che hanno costruito un altro quartiere, l’Eixample, il cuore residenziale della città, ordinato e geometrico, con le facciate dei palazzi in stile modernista, i ristoranti in cui mangiare la tortilla di bacalao (su tutti, la Bodega Sepulveda) e il fascinoso Dry Martini, antico cocktail bar in cui un contatore elettronico segna il numero di drink serviti dall’inizio dell’anno. Gente che costruisce case per altri, e che intanto crea un quartiere tutto per sé. Nella Calle Blai che attraversa il Poble Sec sembra di essere a L’Havana. I bambini giocano a baseball in strada tra aromi di carne arrosto e frijoles, le ragazze, bellissime, scendono sul Parallel per andare a ballare al Palacio de la Salsa, monumentale tempio alla sensualità del ritmo latino. Ma in questo angolo di Sudamerica, alla domenica arrivano i barceloneses per
un tradizionale vermut alla Bodega Saltò, sul cui piccolo palco chiunque può improvvisare spettacoli di teatro e cabaret. Seguono le tracce della tradizione fino al bar Quimet e Quimet dove si servono solo delizie di pesce in scatola, cercano la cucina veneziana nel ristorante Xe Mei. Tutto cambia a Barcellona. Dove una volta c’erano le fabbriche del Poble Nou, ora c’è una New York mediterranea fatta di open space, studi fotografici, gallerie d’arte, il club Razzmatazz, il negozio di modernariato Ultima Parada. Solo il barrio di Gracia rimane dove è, anarchico e fiero, guardando la città dall’alto, incoronato dalle forme oniriche del Parc Guell. E si riempie di turistes e barceloneses solo quando celebra la sua festa a fine agosto, che dura una settimana intera. Questa non è una guida, è un percorso immaginario che segue la traccia di un graffito, segno moderno tracciato su un marciapiede antico, nel cuore del Barrio Gotico, vicino a casa mia. Barceloneses e Turistes, mondi che si incontrano ogni giorno, in ogni vicolo. Barcellona. Perdersi nella sua luce è il modo migliore per conoscerla. Innamorarsi è il modo migliore per non lasciarla mai. AKAPPA | 37
HOTEL
Quando si vuole descrivere l’Hotel Arts di Barcellona non si può semplicemente parlare di design, di architettura o di lusso, bisogna invece partire dalla storia della rinascita della città Questa è la storia di un passato a noi prossimo, ma che tratteggia una Barcellona così diversa da quella odierna da farci pensare a episodi dai toni seppiati e sbiaditi, da vecchia cartolina. Fino agli anni ottanta infatti la città catalana era ricca di zone dominate dal degrado: ai depositi incontrollati di rifiuti e al marasma del porto vecchio si alternavano le facce scure e solcate dei poveri abitanti di Barceloneta, che spesso traevano giovamento da poveri traffici al limite della legalità, attorniati da un variopinto contorno di prostitute imbellettate. L’AYUNTAMIENTO Un quadro simile cominciò a cambiare solo a partire dalla morte del dittatore Francisco Franco, avvenuta nel 1975, e a partire dalla quale si cominciò a pensare non solamente a costruire enormi caseggiati per dare risposta all’aumento demografico, ma anche a sviluppare un piano urbanistico armonico che prevedesse spazi aperti e strutture per la collettività. Le opere che si strutturarono negli anni a seguire videro una commistione tra architettura, paesaggismo, scultura e arredo urbano che ancora oggi sono da esempio per rinnovi urbanistici di ogni tipo. Nel 1983 s’incominciò a ripensare il rapporto 38 | HOTEL
L’HOTEL ARTS
E LA NUOVA BARCELLONA di Roberto Uboldi con il mare, con interventi volti ad allungare le passeggiate verso la costa: l’eliminazione di un lungo muro prospiciente la scogliera cambiò radicalmente il volto dei quartieri interni che incominciarono a interfacciarsi tra loro e con il Mediterraneo. Per arrivare a un cambiamento radicale nella città bisogna attendere però il 1992, anno in cui grazie ai Giochi Olimpici e ai soldi che arrivarono per l’organizzazione si ebbe il celebre Ayuntamiento, un rinnovo totale della città, che rivolse i propri sforzi alla zona del porto ormai in disuso. Così dove un tempo c’erano solo cadaveri industriali oggi s’innalzano torrette di guardia per i bagnanti, le baracche affollate hanno lasciato il posto al verde dei parchi e al lusso dei complessi residenziali ed infine il pericoloso intrico di strade è oggi pieno di locali tipici, ristoranti e centri di cultura, pur mantenendo il proprio fascino labirintico e latino. LA VILA OLIMPICA Una di queste rinnovate zone, la Vila Olimpica, deve appunto il suo nome all’originale funzione di quartiere-dormitorio per gli atleti.La struttura urbanistica così aperta e funzionale, la cui organizzazione fu coordinata da Oriol Bohigas, è progettata perchè i due terzi dell’area siano occupati da aiuole, alberi e verde attrezzato. I progetti degli edifici seguono il fil rouge della scuola architettonica di Barcellona, che vede la funzionalità emergere nel contesto di una città metropolitana, in equilibrio tra tradizione costruttiva e innovazione
L’interno di una delle stanze, il terrazzo (Ph. Imanol Sistiaga) e il ristorante (Ph. Jordi Sarra) Osservando l’innumerevole lista di comodità che l’hotel dispensa, ci si imbatte poi nell’Enoteca che conta 450 etichette, nel ristorante dello chef Arola che con la sua interpretazione della cucina mediterranea ha conquistato due stelle Michelin, nella Verandabar, arrivando poi al massaggio relax di benvenuto: quello che si HOTEL ARTS dice cominciare bene. Tuttavia È proprio nella cittadella di fronte al porto per godere in pieno di questo 5 sportivo, nel quartiere di Vila Olimpica, che stelle bisogna guardare all’ulti si innalza oggi l’edificio più imponente della mo piano, dove gli ospiti dei 28 città, un moderno intreccio di vetrate e travi appartamenti possono godere di d’acciaio che ben si amalgama nel contesto una vista mozzafiato sulla Sadel rinnovo cittadino. L’Hotel Arts occupa grada Familia, grazie al proprio interamente questa costruzione con le sue Nella pagina a sinistra: vista della telescopio professionale gentil483 stanze, dominando con la vista uno Vila Olimpica (Getty Images). Nel mente fornito dall’hotel. Qui, se spicchio considerevole di Mediterraneo. Un riquadro: vista dell’Hotel Arts (Ph. ve lo potrete permettere, avrete panorama eccezionale che rende più piaInmamol Sistiaga) fino a 350 mq a disposizione, cevole il tempo speso nella spa dell’hotel, arredamenti personalizzati dalal 42° piano, o quello impiegato nella pala superstar del design catalano lestra contigua dove la disciplina olistica Jaume Tresserra, tecnologia di altissimo livello governa sulla serenità degli ospiti. Una tranquillità garantita fornita da Bang & Olufsen, profumi Acqua di dalla posizione dell’hotel, lontano soltanto una passeggiata Parma a volontà, nonché uno stuolo di inservienti dal centro pulsante della città, ma pur sempre al sicuro dache sapranno realizzare ogni vostro desiderio. gli schiamazzi inevitabili che riempiono le nottate catalane. tecnologica. Spazi aperti ed ariosi strettamente interconnessi, con passeggiate, piazze e altri luoghi di ritrovo disposti su vari livelli, che sembrano non solo comunicare fortemente tra loro, ma anche dirigere le proprie prospettive verso quella distesa d’acqua così importante per il paesaggio e la vita barcellonesi.
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ITINERARI | TURISMO LENTO
FERMARSI A SCOPRIRE COMO di Valentina Binda
Idee per una passeggiata alla scoperta delle bellezze artistiche della Como del ‘600
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entre le belle sale della settecentesca Villa Olmo fino a luglio incorniciano le opere dell’indiscusso maestro del barocco fiammingo Pieter Paul Rubens, nonché di altri minori quali Anton Van Dyck, Jacob Jordaens, Gaspar de Crayer e Theodor Thulden, a tutti i comaschi amanti del bello elegante e pieno si rinnova il sempre valido invito a scoprire i tesori seicenteschi della nostra città, vicini e sempre in mostra, e forse proprio per questo un po’ snobbati. Chi dunque vorrà seguire l’itinerario qui suggerito si ritroverà in luoghi noti, senz’altro già visti,
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ma forse mai guardati abbastanza, angoli di centro che sotto le mura di altre epoche schiuderanno la fioritura barocca di Como, avvenuta in concomitanza all’opera controriformista della chiesa locale; chi si lascerà incuriosire scoprirà le declinazioni locali di artisti importanti della Lombardia del tempo e richiesti da committenti talvolta lontani. Il capitolo dedicato al Barocco è uno dei più lunghi nella storia dell’arte della nostra città, dato che moltissimi sono gli edifici, soprattutto religiosi, che furono rifatti, completamente o solo in parte, secondo i nuovi canoni spaziali e decorativi dettati dalla chiesa allora impegnata in una fervida attività controriformista. Tra i tanti luoghi interessanti se ne sono scelti però solo pochi, perché la vostra passeggiata non sia di fretta, e di questi alcuni inizialmente vi sembreranno secondari, così che alla fine vi accorgerete di aver scoperto bellezze inaspettate e ancora straniere. Partiamo. Lasciata la macchina al vicino parcheggio della Ticosa e dopo una breve passeggiata, o scesi dal bus direttamente in Piazza Vittoria, subito al di là della torre medievale che oggi fa da guardia al centro pedonalizzato vi trovate in via Cesare Cantù e sulla destra la facciata neoclassica, imponente ed elegante dell’attuale liceo Volta, un tempo convento di suore agostiniane.
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mmiratene le linee composte e classicheggianti, fermate lo sguardo sulle otto colonne marmoree che in età romana decoravano la villa di uno sconosciuto comasco e successivamente il battistero della città un tempo nei pressi del’attuale chiesa di san Fedele. Ecco, ora vedete al di là dell’elegante colonnato e se non l’avete mai fatto prima noterete un portone: l’ingresso di una chiesa. Entratevi e rimarrete sorpresi nel scoprire tale travolgente sfavillare di decorazione barocca, nascosta da tanta lineare eleganza esterna. La chiesa di Santa Cecilia, di origine medievale e un tempo intitolata alla santa Croce, è sempre stata uno dei più frequentati luoghi di culto della città: si trovava infatti nel cuore di un quartiere un tempo animatissimo, vicino alla porta sud d’ingresso al centro, e a partire dal XIII secolo le fu annesso uno tra i conventi locali più ricchi e prestigiosi, scelto per le loro figlie dai cittadini nobili e più ricchi. L’interno, davvero inaspettato, non conserva più nulla delle fattezze medievali e presenta le forme cinquecentesche dell’impianto a navata unica, suddivisa in quattro campate scandite da archi e lesene che formano le cappelle laterali, il tutto avvolto dalla copertura a botte. Lo sguardo riesce così ad abbracciare tutta in una volta la meravigliosa e luminosa decorazione a stucco: ovunque una miriade di angeli e putti - ben centosei! -, un alternarsi di cornici e ghirlande, fino alla teatrale scena centrale sopra l’altare. Si tratta del capolavoro comasco dell’artista stuccatore Giovan Battista Barberini, nativo della Valle Intelvi, importantissimo protagonista del barocco lombardo che portò la sua grandiosa arte in numerose corti europee e soprattutto in Austria. Chiamato a lavorare per santa Cecilia negli anni ’80 del 1600 vi realizzò quest’opera coinvolgente, preziosa e luminosa, che celebrasse localmente il trionfo di Santa Romana Chiesa durante la crociata antiturca conclusasi nel 1683 e, guarda caso, promossa dall’allora pontefice Innocenzo XI, ovvero il comasco Benedetto Odescalchi. A completare il ciclo, di cui gli stucchi sono mirabile elemento d’unione, interviene la decorazione pittorica: il solare e classicista affresco sulla volta raffigurante appunto il trionfo della Croce, opera di
L’itinerario Liceo Volta via C. Cantù Santa Cecilia San Donnino via Giovio Duomo (Sacrestia dei Mansionari) San Provino piazza Roma Sant’ Agostino
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Andrea Lanzani del 1688, mentre come da contrappunto ecco gli scuri ovali raffiguranti gli Evangelisti e i dottori della chiesa e le tele degli altari laterali del Torriani e dell’Abbiati, entrambi vicini al gusto pittorico veneto. Lasciata Santa Cecilia ancora il Barberini scopriamo impegnato qualche anno prima per la decorazione della vicina parrocchia di San Donnino in Via Diaz - purtroppo spesso chiusa per problemi di gestione e per motivi di sicurezza. Era il 1662 quando l’artista, ancora giovane ma già buon conoscitore dell’arte romana, fu chiamato dai Volpi che abitavano il palazzo di fronte - oggi sede della pinacoteca civica - per la realizzazione degli stucchi della cappella funeraria di famiglia, la prima a sinistra, a coronamento delle decorazioni marmoree, pittoriche e statuarie volute dai dotti committenti. In questa prova giovanile l’artista rivela l’uso, tipico suo, di materiali diversi e policromi e regalò nuovamente la grazia di un gran corteo di angioletti di ogni età. Proseguendo verso il cuore del centro storico, dopo un buon caffè nella caratteristica piazza del Mercato 42 | ITINERARI
del Grano di fronte alla chiesa di San Fedele, impossibile non entrare in Duomo, armonica summa dei diversi linguaggi artistici dal XIV al XVIII secolo. Come le altre epoche anche il seicento barocco è all’interno riccamente declinato: per coglierne solo alcune bellezze arrivate fino alla zona dell’abside a lasciare salire lo sguardo lungo le pareti fino alle cupole, sfavillanti degli stucchi dorati realizzati dalla bottega dei Silva. Con un po’ di fortuna riuscirete poi a farvi aprire la Sacrestia dei Mansionari, posta sulla destra della zona absidale e ai tempi realizzata per servire il folto numero dei canonici addetti alle azioni di culto: assolutamente mirabile il bellissimo soffitto, affrescato tra il 1611 e il 1612 da Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone. L’estroso artista nativo di Varese, formatosi a Roma e sensibile alla lezione del Tintoretto e di Tiziano, lasciò qui uno dei suoi massimi capolavori e realizzò splendidamente la scena della Vergine in gloria: bella la resa prospettica dei corpi ruotati di 45° per essere visti dal basso, luminosissimo il contrasto tra il cielo glorioso del Paradiso, inondato di Spirito Santo, e le nubi quasi minacciose più vicine all’osservatore, graziosissimo il volto di Maria sovrastato dal delicato gesto incoronante del Padre e del Figlio, infine di grande interesse, anche dal punto di vista documentario, l’accurata raffigurazione degli angeli intenti al suonare violini, arpe, trombe, viole e altri svariati strumenti.
Con un po’ di fortuna riuscirete a farvi aprire la Sacrestia dei Mansionari, posta sulla destra della zona absidale del Duomo, con il suo soffitto affrescato dal Morazzone Nella foto afreschi della volta della sagrestia dei Mansionari nel Duomo, opera del Morazzone
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asciata la cattedrale, per la nuova tappa di questa passeggiata barocca dovrete arrivare in Piazza del Popolo, dietro al nostro Duomo, da lì prendere la secondaria via Rodari e andare a scovare la nascosta chiesetta dedicata a San Provino - dove si sposò il nostro famoso concittadino Alessandro Volta -, oggi sede parrocchiale della Chiesa ortodossa Romena. L’interno dell’edificio, dalla planimetria curiosa, tradisce la sobrietà romanica dell’esterno e nuovamente rivela nelle cappelle laterali aggiunte nel Cinquecento una ricca decorazione seicentesca. Da ammirare, in particolare, la cappella sulla sinistra voluta dalla famiglia De Orchi e dedicata a San Rocco, raffigurato nel bel rilievo marmoreo realizzato dalla bottega dei Rodari all’inizio del 1400: bellissima la decorazione a stucco e a fresco ancora di scuola morazzoniana. Infine, per i più volenterosi, l’ultima perla della collana può essere rappresentata dalla chiesa di Sant’ Agostino, in prossimità del lago e della stazione “Autovie”. Cuore di un fiorente convento agostiniano la chiesa fu ripetutamente modificata nel corso del XVI e XVII secolo ma solo poche, benché assai significative, aggiunte barocche sono state mantenute dal restauro novecentesco che ha preferito recuperare le forme altomedievali. Così, ammirata la bella facciata a spioventi divisa in tre parti e oltrepassato il portale quattrocentesco in
pietra passeggiate nella navata laterale di sinistra e soffermatevi davanti alla seconda cappella, la più celebre, dedicata alla Vergine della Cintura. Qui, incorniciata da una ricca decorazione a stucco di Giuseppe Bianchi, è da ammirare nuovamente la forza accattivante della pittura del Morazzone: un ciclo di affreschi databile al 1601 dedicati al tema mariano e quattro bellissime e più volte imitate tele raffiguranti le scene della Natività di Maria, la Presentazione al tempio, Le nozze di Cana e la Pentecoste, realizzate nel 1612. I loro toni scuri di ascendenza veneta e i giochi delle ombre mettono ancora più in risalto le forme più chiare delle figure e l’abile regia delle luci guida lo sguardo dell’osservatore che con pazienza voglia scoprire quanto raccontato. Il mio spazio e, credo, il vostro pomeriggio sono ormai finiti, e così vi lascio a un gustoso aperitivo fronte lago, che con le montagne al tramonto rimane senz’altro l’opera più spettacolare della nostra città, e affido alla personale curiosità di ciascuno la scoperta delle tante altre opere del nostro piccolo grande barocco comasco. AKAPPA | 43
Il 23 Luglio, il 30 Luglio e il 7 Agosto lo "Sbaracco" Dalle 19:00 alle 24:00 A Olgiate Comasco negozi aperti, degustazioni enogastronomiche, rassegne culturali, concerti e iniziative per i più piccoli. organizzata da:
in collaborazione con:
con il patrocinio di:
PRO LOCO
OLGIATESE Città di Olgiate Comasco Assessorato al Commercio
main sponsor:
Assessorato alla Cultura Città di Olgiate Comasco
media partner:
partner: GRISONI
www.olgiateviva.it
Nelle foto Agostino Arioli, la birra artigianale e alcuni dettagli dell’interno del locale. Ph. Marco Beltramo
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STORIE DI SUCCESSO
BIRRE DI CARATTERE Alla scoperta del Birrificio Italiano di Lurago Marinone
di Martina Moretti e Luca Di Pierro
Abbiamo incontrato Agostino Arioli al Birrificio di Lurago Marinone, un luogo vissuto che ha dato corpo ai sogni e alle passioni dei suoi giovani soci, primo tra tutti suo fratello Stefano, che oggi si occupa della gestione del locale e cucina manicaretti per i clienti. Il risultato è oggi un luogo accogliente che profuma di storia dove Agostino ci ha concesso una chiacchierata davanti a un buon boccale di birra.
Come nasce l’idea del Birrificio? Diciamo che sono sempre stato un appassionato bevitore di birra fin dai 16 anni, non dovrei dirlo così oggi, però accadeva che uscendo con gli amici si andava a bere qualche birra ricercando già allora quelle particolari e più buone. Alla fine , attorno ai 22 anni decisi di produrre la mia prima birra in casa. Nel frattempo avevo anche iniziato gli studi di agraria ma non ero proprio uno studente modello e la produzione di birra andò a compensare - in qualche modo! - studi applicati di biochimica e fermentazioni. Feci tutto da solo a partire dalla produzione del malto senza buoni risultati, in verità. Poi conobbi ed ebbi un grande sostegno e aiuto da Gianni Pasa, oggi responsabile della Birreria Pedavena, che mi fornì la materia prima fresca, come il malto in grani e il luppolo difficili da reperire in quanto al tempo iniziavano a comparire unicamente i primi kit di fermentazione con le polverine. Devo ringraziare anche i miei genitori che mi hanno sostenuto e aiutato, assieme a Mario Ciliberti che oggi lavora al Birrificio come barista e con il quale ho condiviso gioie e dolori dell’home brewing (“il fare birra in casa”). Da qui feci molte altre esperienze incitato sempre da Gianni Pasa, tra le quali diversi viaggi all’estero dove ebbi la possibilità di visitare piccole produzioni birrarie soprattutto
a Vancouver in Canada e in Germania. Arricchito da queste esperienze conclusi l’università con un tirocinio e una tesi sperimentale sulla birra in collaborazione con un’azienda svizzera specializzata nei sistemi di filtrazione. Dopo la laurea ebbi l’occasione di vari stage in Germania, presso produzioni artigianali dove la birra viene prodotta e venduta in loco. Altre esperienze le feci come controllo qualità all’interno dell’industria birraria finché alla fine del 1994 io e Stefano decidemmo di fondare, con altri nove soci, il Birrificio Italiano e iniziammo a cercare un luogo dove aprire l’attività. Trovammo lo stabile di Lurago il posto ideale per appoggiarci la produzione e la degustazione dei prodotti e così, dopo alcuni mesi di ristrutturazione che ci videro impegnati anche direttamente in cantiere, il 3 aprile 1996 inaugurammo ufficialmente il Birrificio. Come si è sviluppato il progetto del locale una volta aperto? Durante il primo anno e mezzo di apertura abbiamo faticato molto anche per una situazione di crisi finanAKAPPA | 47
e declinarlo poi nel proprio locale, usandolo per fare quello che si ama e che ci appassiona. Quindi sono contento di poter avere all’attivo collaborazioni birrarie un po’ ovunque in Europa e nel mondo, ciò mi permette proprio di unire l’esperienza locale con il globale e viceversa; aprendo nuovi orizzonti per ritornare al proprio territorio di origine con idee e spunti nuovi.
ziaria generale che ha richiesto una ricapitalizzazione della società, a seguito di questa però la linea innovativa tenuta fin dall’inizio con una spillatura fatta secondo precisi parametri, non filtrando la birra e tenendola ad una temperatura più alta che permette di gustare e assaporare tutti gli aromi ha dato i suoi frutti. La gente si è lasciata educare da questa nuova cultura della birra con richieste di birre di un certo livello. Tra il 2000 e il 2001 poi due nostri collaboratori, Giulio Marini e Maurizio Folli, sono entrati come soci ed ora sono vere e proprie colonne portanti nella parte di produzione e vendita a terzi, che dal 2005 è diventata una parte fondamentale della società, dal momento che oggi vendiamo ben più della metà della birra da noi prodotta ad altri locali birrari. Questo ci ha portato anche ad un lavoro più commerciale con ricerche di mercato, posizionamento del prodotto e ricerca del packaging. Qual è il vostro mercato di riferimento? Diciamo che se da un lato ci fa piacere poter esportare la nostra birra negli Stati Uniti o altri luoghi all’estero, dall’altro il nostro obiettivo principale è quello di poter conquistare il nostro territorio per proporre un prodotto che sia davvero artigianale e che quindi è logico che venga consumato e apprezzato nella zona in cui nasce. Queste nostre “creature”, più sono giovani (con alcune eccezioni), e più sono fragranti e buone. Come vedi il rapporto locale e globale? Penso che proprio a partire dalla globalizzazione che oggi inevitabilmente ci investe è necessario assorbire e percepire quello che accade e che si muove nel mondo 48 | STORIE
Parlando del vostro prodotto, su cosa ha puntato la vostra birra dall’inizio? Sicuramente su freschezza e fragranza. Dove la prima non va intesa tanto come “appena prodotta”, perché questo vale per alcune tipologie di birra ma non per altre, che al contrario richiedono la giusta maturazione per coglierne appieno la fragranza intesa come ricchezza di profumi, di sentori fruttati e speziati e di aromi dei luppoli. E’ quella che io definisco la personalità della birra e che permette di distinguerla da altre che non ne hanno. Tengo comunque a sottolineare che questa ricerca e cura non è volta alla produzione di birre necessariamente “strane” e inusuali negli ingredienti e/o nella lavorazione. Produciamo e vendiamo, ad entusiasti bevitori di birra, soprattutto Tipopils e Bibock di comune gradazione e colorazione, che hanno però una forte caratterizzazione e risultano “diverse” da quelle normalmente in commercio. A lato di questo trovano spazio delle sperimentazioni di pura ricerca per noi birrai che a volte riescono a conquistare anche il largo pubblico come la Fleurette, prodotta con fiori e spezie e che regala un bouquet floreale e leggero ideale per l’estate e molto richiesta oggi dai clienti. Si può quindi giocare su una gamma di abbinamenti molto interessanti che comprendano anche prodotti di nicchia senza però mai voltare le spalle alla birra come momento conviviale, da gustare ovviamente in modo consapevole e responsabile. Anche perché è nelle stesse origini del prodotto birra il suo essere bevanda popolare che raccoglie persone intorno ad un tavolo per due semplici chiacchiere o per riflessioni profonde. Da cosa nasce la scelta di associare ad ogni birra uno specifico bicchiere? Le motivazioni sono diverse e non sempre la scelta di un particolare bicchiere serve effettivamente per esaltare in modo sensoriale la tipologia di birra; è vero nel caso del bicchiere slanciato della Tipopils mentre altre volte si tratta più di una ricerca di immagine. Personalmente ci tengo molto ad associare ogni birra ad un bicchiere e anche i nostri clienti ormai sono affezionati e abituati a questo. Quello che è importante è sicuramente il modo in cui viene trattato il bicchiere prima che la birra venga servita, ovvero sciacquarlo sempre per togliere eventuali residui di detersivo o brillantante e di calcare e poi lasciare persistere la schiuma che protegge la birra dall’ossidazione ed è funzionale alla sua qualità. E proprio rispetto alla spillatura di cui parlavi prima, utilizzi un metodo particolare? Si perché la spillatura è un momento fondamentale e 14 anni fa ho messo a punto personalmente un sistema basato su spinta con piccole pompe a membrana. In questo modo la birra non viene spinta tramite gas, con il rischio di gasarsi troppo, ma viene pompata dal serbatoio/fusto, alle spine Ciò permette di mantenere il primo bicchiere uguale all’ultimo spillato.
Le birre
Bibock Birra di colore ambrato chiaro con schiuma bianca e compatta non molto persistente. Leggero perlage e medio livello di saturazione carbonica. Caratteri marcanti il tipo: aroma e profumo di luppolo fresco. Caratteri di media intensità: sapore dolce/amaro, pastoso con retrogusto amaro; odore e aroma di frutta, in particolare agrumi (chinotto) e spezie (arancio di Curacao) aroma di lievito fresco. Caratteri a debole intensità: sapore di malto e rinfrescante; aroma e profumo di malto (pilsener e caramello), frutta (banana e albicocca), fiori (gelsomino) con un sentore di burro o margarina. Prima Birra di colore bruno con schiuma anch’essa brunastra, poco compatta e poco persistente Leggero perlage e medio livello di saturazione carbonica. Caratteri marcanti il tipo: gusto dolciastro; aroma e profumo di caramello. Caratteri di media intensità: sapore amaro, corposo e di liquerizia; aroma e profumo di malto torrefatto,
Quanta birra producete attualmente? Posso fare una stima di 1800 ettolitri di massima in un anno, nulla a che vedere con un qualsiasi singolo impianto industriale che invece ne produce tra i 2 e i 3 milioni. Ma i numeri contano relativamente in una produzione artigianale dove importante non è la quantità ma il modo di produzione. Conta quindi la scelta maniacale delle materie prime e quella di non pastorizzare e microfiltrare il prodotto, che acquisisce così quella personalità di cui parlavo prima che altrimenti andrebbe subito persa a favore di una maggiore durevolezza. La nostra è una birra che nasce in loco e fatta per essere consumata sul suo stesso territorio di produzione. Come siete percepiti dal mercato locale? Quale accoglienza avete avuto?
di frutta (pesca e frutto della passione) e di liquerizia. Caratteri a debole intensità: sapore di malto, di acidulo (citrico) e rinfrescante, retrogusto amaro e di lievito più un sentore di “medicinale”; aroma e profumo di frutta (sorba, banana, melone ed albicocca), fiori (viola) e spezie (noce moscata e chiodo di garofano). Extra Hop Birra di colore giallo pallido con schiuma bianca, cremosa e persistente e leggero perlage. Medio livello di saturazione carbonica. Caratteri dominanti: gusto amaro. Caratteri di media intensità: sapore di malto Pilsener, e gusto rinfrescante; aroma e profumo di malto Pilsener, di luppolo fresco e di miele. Caratteri a debole intensità: sapore pastoso e retrogusto dolce; odore ed aroma floreale misto, mela verde e altra frutta asprigna, lievito fresco.
Questa è la nostra sfida in quanto attualmente sono pochi i locali del territorio che hanno accettato di commercializzare i nostri prodotti; trovo una grande difficoltà a far passare l’idea di prodotto artigianale nel comasco e nel varesotto, mentre per esempio abbiamo ottimi riscontri a Roma, Milano e l’Emilia Romagna. Quello che registro è la scarsa disponibilità ad aprirsi alla novità che si traduce in una staticità che porta a fare un confronto unicamente in base ai prezzi. Manca forse una cultura del rischio o dell’osare anche solo ad immaginare l’idea; tuttavia sono convinto che nonostante la paura e la crisi questo sia il momento giusto per spingere e per aprirsi a nuovi orizzonti. Bisogna ripartire necessariamente dal locale per arrivare al globale. AKAPPA | 49
SPORT
KITESURF for DUMMIES Tutto quello che c’è da sapere su uno sport in ascesa di Martina Moretti
Il Kitesurf si pratica con un’apposita tavola e un aquilone (kite) Il Kitesurf è uno sport relativamente recente, nato manovrato mediante un boma (barra) collegata ad esso in origine intorno al 1998 nelle acque delle isole Hawaii, anche da due cavi (linee) lunghi e sottili in dynema, i mose il kitesurfing ha un‘origine lontana delli attuali invece ne hanno quattro o cinque, dove nel tempo che si colloca nelle isole il quinto, chiamato quinta linea, è per la sicurezza. Le indonesiane. Tutto inizia negli anni condizioni ideali per il kitesurf sono di vento compreOttanta con due fratelli francesi, i Leso tra i 12 e i 30 nodi, e a differenza per esempio della gaignoux, che studiarono un sistema tavola a vela questo sport si può praticare anche con di vele di sicurezza per le scialuppe di emergenza. Da qui l’idea di realizzaventi deboli. In questo caso ideali sono i modelli foil o cassonati, aquiloni non gonfiabili e si usano kite di re degli aquiloni gonfiabili, capaci di dimensioni più grandi di quelli usati con vento forte. ripartire dall’acqua in qualsiasi condizione di mare, facili da governare ed in L’utilizzo di aquiloni In condizioni ideali è possibile praticare lo sport in magrado di creare un’energia motrice per per il traino di oggetti niera sicura, planando semplicemente o compiendo trarre in salvo gli equipaggi delle scia- - e persone - affonda le svariati salti ed evoluzioni sia nelle onde, sia con mare o lago piatti. Una caratteristica di questo sport è la veluppe di emergenza. Ma la loro idea sue radice nella Cina locità con cui si può imparare a planare e in seguito a non ebbe grande sostegno e seguito. della dinastia Song. La svolta arrivò nel ‘98 con il campiocompiere evoluzioni. E’ fondamentale però seguire un corso che fornisca tutte le basi per utilizzare con sicurezza questo ne di Windsurf Robby Naish che incuriosito da alcuni strumento affascinante quanto potenzialmente pericoloso. prototipi diede vita ad uno sport del tutto nuovo. 50 | SPORT
Regole da seguire Per la sua potenziale pericolosità il Kitesurf è disciplinato dall’ordinanza di sicurezza balneare e specialmente all’inizio, se non si è acquisita ancora una totale sicurezza e capacità di gestione del kite, è bene seguire queste regole: 1) scegliere una spiaggia ampia, non affollata e senza ostacoli pericolosi facendo stazionare eventuali spettatori alle proprie spalle e mai sotto l’ala. 2) non sottovalutare la potenza del vento, non alzare mai l’aquilone con vento rafficato e, all’inizio, mai se supera i 20 nodi. 3) non entrare in acqua fino a che non si è in grado di gestire l’aquilone e ricordarsi che, se lasciato, tende a volare indipendentemente dal manovratore. 4) non allontanarsi più di quanto si riuscirebbe a nuotare per raggiungere la riva, a meno che non ci sia un mezzo di soccorso a vigilare.
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Area di volo Zona di decollo e atterraggio Zona di pericolo Posizione del kiter
DIREZIONE DEL VENTO
L’attrezzatura Nella scelta dell’attrezzatura bisogna tenere conto di due variabili: il peso del kiter (chi guida l’aquilone) e la situazione ventosa dello spot usato (cioè della zona in cui si decide di fare kitesurf). Di base bisogna sempre ricordare che meno vento c’è più deve essere grande l’ala per sollevare lo stesso peso, questo incide ovviamente anche sulle dimensioni della tavola. Per esempio: un kiter di 90kg avrà bisogno di un’ala più grande e di una tavola più larga per planare (così si indica il surfare col kite) di un kiter di 70kg. Inoltre anche se si può uscire con una singola combinazione di ala più tavola diverse volte nello stesso spot, è da sottolineare che non esiste un’attrezzatura per ogni situazione. Le misure delle ali standard vanno dai 7m ai 17m e grandi differenze di dimensioni ci sono anche tra tavole lightwind (più larghe e lunghe) e tavole per vento più forte (più strette e corte). Per controllare la direzione, lo spostamento e anche la potenza di un kite è necessaria una barra di controllo con rispettive linee. Le linee sono cavi in dyneema o spectra lunghi dai 18 ai 35mt, ma in situazioni di vento particolarmente forte o per imparare si può usare un set di cavi più corti dello standard. Le barre invece sono di due tipi: a due linee, usata quando si fanno i primi passi con il kite solitamente inferiori ai 3 metri chiamati anche kite-scuola, e a quattro linee usata per tutti gli altri tipi di kite. Data la sua recente invenzione i prodotti e le attrezzature per Kitesurf si evolvono continuamente e anche per questo il mercato dell’usato è florido. Le ali e le tavole vengono differenziate non solo per dimensioni ma anche per anno di produzione. Dal 2006 è stato introdotto il nuovo bow o sle che aumenta il range di utilizzo dell’ala, usabile anche con forza di vento diversa. 52 | SPORT
Terminologia Antisdrucciolo: finitura ruvida posta sulla coperta della tavola, serve ad evitare lo scivolamento dei piedi nelle manovre. Aspect ratio (A.R.): allungamento, misura proporzionale fra l’apertura alare massima e l’altezza o corda della stessa. Bladders: tubolari gonfiabili dell’ala posti verticalmente rispetto al bordo d’entrata. Bordo d’entrata: lato lungo del kite esposto al vento. Boma: barra in alluminio o in carbonio fissata all’ala tramite cavi, serve per trattenere e pilotare l’ala. Cazzare: tirare il boma verso di noi.
kite gonfiabile. Leash: cima elastica con cui si assicura la tavola o l’aquilone al kiter. Linee: i cavi che collegano l’ala al boma. Pads: tappetini in gomma applicati sulla coperta della tavola, aiutano a non scivolare e ad ammortizzare i colpi. Pinne: realizzate generalmente in vetroresina o in carbonio, fissate sotto la tavola, aiutano a dare ad essa stabilità e direzione.
Chicken loop: anello dotato di un dispositivo di sicurezza sganciabile in caso di pericolo che connette il kiter tramite il trapezio alle linee di potenza del kite.
Prelinee: cime di spessore maggiore che collegano i cavi al boma.
De-power: dispositivo realizzato generalmente con un sistema di cavi o cinghie scorrevoli che permette, allontanando o avvicinando il boma al corpo, di togliere o dare potenza all’ala, utilizzabile solamente sui kites dotati di 4 o più cavi.
Rails: bordi della tavola, la loro forma influisce sulla navigazione.
Finestra di volo: spazio di cielo dove si fa volare l’ala affinché prenda vento. Grip: rivestimento morbido e ruvido del boma, serve a rendere più salda la presa. Lasco: andatura del kiter quando procede con la stessa direzione del vento.
Prua: parte anteriore della tavola. Poppa: parte posteriore della tavola.
Scotta: cima o corda. Strambata: manovra che permette di cambiare bordo offrendo la poppa al vento. Straps: cinghie fissate alla tavola nelle quali si infilano i piedi, aiutano a dirigere la tavola ed a controllarla nelle manovre aeree.
Lascare: togliere potenza al kite effettuata solitamente allontanando la boma.
Trapezio: imbragatura che consente di scaricare la forza di trazione dell’ala direttamente sul corpo opponendosi alla stessa con il proprio peso, alleggerendo il lavoro delle braccia.
Leading edge: bladder principale posto lungo il bordo d’entrata del
Traverso: andatura del kiter perpendicolare al vento. AKAPPA | 53
Dove praticarlo In Lombardia 4 sono le zone dove trovare aree attrezzate e scuole per imparare che si concentrano intorno ai principali laghi: il Lario con le province di Como e Lecco, il Garda con le località di Sirmione, Toscolano, Campione del Garda, Moniga e Al Prà, il Maggiore con i paesi in provincia di Varese come Ispra, Angera, Maccagno. In provincia di Como ottime zone per praticare Kitesurf sono Cremia, da aprile a settembre, dove consigliata è l’area attrezzata gestita dal ristorante pizzeria Lumin oppure Gera Lario che in primavera ed estate è la zona dove la Breva (vento del lago) entra più forte. Nella zona di Lecco invece è consigliabile la zona di Colico, ideale per i neofiti e per i più navigati, con possibilità di una scuola e noleggio dell’attrezzatura. Il periodo migliore per il kite sono i mesi di luglio e agosto. In
alternativa anche Dervio e Valmadrera offrono buone spiagge e venti importanti. Nel resto di Italia ormai un po’ ovunque lungo i nostri litorali si sono sviluppati centri per praticare il Kitesurf. Sono famose le spiagge toscane nella zona di Castiglione della Pescaia, Vada, Calambrone e Talamone; quelle siciliane nella zona di Marsala o Palermo; Platamona in Sardegna nella zona di Sassari, dove è presente l’unico corridoio di lancio per kitesurf nel nord dell’isola o Porto Pollo nella zona di Palau. Ancora in Friuli, sfruttando la bora a Lignano Sabbiadoro o sulle spiagge venete a Caorle e Jesolo vicino alla foce del fiume Piave. Nel centro della penisola invece grande concentrazione di kitesurfer è presente sulle spiagge di Latina Lido e lungo il litorale romano. Nel mondo sono le isole Hawaii, luogo che ha dato i natali al Kitesurf, ad avere un’ottima recensione seguite da Fuerteventura, isole Canarie, Capo Verde, Marsa Alam, Rodi, Sudafrica, Marocco e Brasile.
Kitesnow: per gli amanti dell’Inverno Per non rinunciare al kitesurf anche durante i mesi invernali, nel caso in cui non si abbia la possibilità di trasferte in paesi caldi e con condizioni ottimali, un’alternativa per mantenere l’allenamento e provare forti emozioni con tutte le differenze del caso è il Kitesnow. Questo recentissimo sport si può definire come l’evoluzione dello snowboard e permette di percorrere chilometri su neve fresca, risalire pendii anche con notevole pendenza, compiere salti vertiginosi. Implica l’utilizzo di un aquilone e lo sfruttamento dei venti, sotto di sé non più l’acqua ma la neve delle grandi altitudini. 54 | SPORT
N O L E G G I O E V E N D I TA C O P E R T UR E E D AT T R E Z Z AT UR E W W W. P R I V I T E R A - S A S . I T
TREND
Obiettivo: luce e volume I nuovi trend di Art Hair Studios per la Primavera Estate 2010 puntano sul volume e sulla luce
Parte dal Salone del Mobile, dalla mostra di arte contemporanea all’EUR, dal Salone della Luce e dalle riviste di arredo e design la ricerca di Art Hair Studios per la collezione primavera/estate 2010; il risultato sono tre filoni declinati in Luce, abbagliante e potenziata da elementi di fluorescenza e superfici riflettenti e argentate; Materia, con una predominanza di plexiglas e PVC, ma anche con il ricorso a materiali riciclati e reinterpretati come elementi moda; Aria e Acqua, con tonalità di azzurro cielo e trasparenza come filo conduttore, ma anche come purezza, libertà di movimento e fluidità imprevedibile. L’obiettivo generale è dare nuovo risalto ai volumi, ripristinando la morbidezza dei contorni con effetti di gradazione. Su questo concetto di rotondità sono state giocate tutte le lunghezze, in prevalenza corte, fino a un medio lungo un po’ anni ’80. E poi frange per lei e per lui; i colori sono una base di luce abbagliante come il biondo siderale su tutta la chioma (per lei) o con radici lievemente più scure (per lui). Il make up è luminoso, ma fortemente espressivo, con occhi sottolineati da ciglia scure e lunghissime e da pennellate di celeste e labbra sensuali e rosate, un po’caramellose. Si ringrazia: Paolo Beauty Center Via Roma, 70 – 22077 Olgiate C.sco (CO) tel. 031946436 Via Matteotti, 10 – 21046 Malnate (VA) tel. 0332 425301 info@paolobeautycenter.com
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Alla Tate Gallery di Londra fino al 5 Settembre
ART GALLERY
RUDE BRITANNIA a cura di Roberto Uboldi
Esaltare il ruolo che l’arte comica visuale ha avuto nella cultura e nel sociale, soprattutto in Inghilterra: questo lo scopo prefissato dalla mostra “Rude Britannia: British Comic Art” in cartello fino al 5 Settembre alla prestigiosa Tate Gallery di Londra. Non solo fumetti e vignette, in una esibizione che esplora le diverse forme artistiche, includendo dipinti, disegni, sculture, pellicole, fotografie e installazioni, come quella che vedete nella pagina a sinistra e che raffigura uno dei personaggi chiave della cultura anglosassone, Margaret Tatcher, nelle fattezze di un pupazzo di gommapiuma utilizzato nel celebre show televisivo “Spitting Image”, vera perla della comicità anni ’80 made in UK. La vasta rassegna visuale distende il proprio campo di interesse dal 1600 fino agli artisti a noi contemporanei, seguendo 4 gruppi tematici la cui scelta è stata supervisionata da altrettanti pilastri della cultura comica. Gerald Scarfe, di cui ricorderete i disegni animati in “The Wall”, si è occupato della sezione dedicata alla satira politica; Harry Hill, ex medico poi divenuto celebre in radio e tv, ha curato una sezione dedicata all’assurdo, un tema comico molto ben radicato nel tessuto culturale anglosassone; Steve Bell, vignettista del “Guardian” e i vignettisti del Viz Ma-
gazine hanno supervisionato due sezioni dedicate alla comicità nel sociale. “Rude Britannia” ci permette, grazie alla vastità e complessità dei temi, di scoprire o forse interpretare meglio il ruolo di spicco che la comicità anglosassone ha avuto nelle correnti culturali e artistiche ancor prima della nascita di un tessuto sociale borghese o della rivoluzione industriale. Se avrete modo di visitare Londra quest’estate, gironzolando nelle sale della Tate apprezzerete il lavoro dei curatori che hanno potuto mettere a confronto secoli diversi e diverse forme artistiche, scoprendo quella che definiremmo una verve comica all’inglese, tutta basata sul prendersi poco sul serio e sullo scherno ai potenti di turno. La mostra, organizzata da Martin Myrone, curatore della Tate, Cedar Lewisohn, programmatore degli eventi, Tim Batchelor, assistente curatore, è accompagnata anche da un libro prodotto dalla Tate Publishing. Per informazioni: www.tate.org.uk AKAPPA | 59
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Le opere Nella pagina d’apertura: Margaret Thatcher, 1989 courtesy Spitting image © Spitting Image. Nel tondo sopra il titolo: Steve Bell John Major - The Best Future for Britain, 1992 Private Collection © Steve Bell. Nel tondo, pagina a sinistra: David Shrigley I’m Dead, 2007 David Roberts Collection, London © Courtesy the artist and Stephen Friedman Gallery, London Photo: Stephen White. Sotto il tondo a sinistra: James Gillray The Giant Factotum Amusing Himself 1797 Credit Andrew Edmunds . Sotto il tondo a destra: Karmarama Make Tea Not War, 2004 © Karmarama Imperial War Museum, London. Sopra in questa pagina: Joseph Flatter Der Führer’s Future, Mein Kampf series, 1939 Imperial War Museum. Nel tondo qui a sinistra: William Heath Robinson One of those horrid after Christmas dreams, 1926 The Cartoon Museum. Image reproduced by permission of Pollinger Limited and the estate of Mrs. J.C. Robinson © The estate of Mrs. J.C. Robinson. Si ringrazia la Tate Gallery di Londra per la collaborazione
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UN CAMPARI in bella mostra Ha 150 anni ma non è mai cambiato di una virgola. L’aperitivo più celebre d’Italia, più vecchio dell’Italia, per festeggiare l’importante anniversario ha deciso di regalare a Sesto San Giovanni la Galleria Campari: il museo dell’aperitivo. a cura di Stefano Lattanzi
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ART GALLERY
A Sesto San Giovanni un percorso multimediale e interattivo traccia la storia del marchio Campari. La Campari Spa ritrova la propria sede storica nella città che ha ospitato per più di un secolo i luoghi della produzione: la palazzina liberty del 1904, in viale Gramsci 161, il primo stabilimento di Davide Campari, oggi ristrutturata e ampliata da Mario Botta e Giancarlo Marzorati. L’intervento nasce dalla volontà di recuperare l’area e l’edificio storico col proprio carico di memoria, di saperi, di competenze e di intelligenza produttiva, e di tenere a Sesto il cervello direttivo della multinazionale. LA SEDE. L’edificio è imponente e articolato su due corpi di fabbrica principali incernierati tra loro. Questi due edifici sono completati da due ulteriori porzioni, la prima costituita dal primo stabilimento Campari e la seconda da una grande piazza, caratterizzata da una copertura curvilinea che digrada verso uno specchio d’acqua e realizzata in legno lamellare con una copertura vegetale. Nell’edificio si mescolano con grande armonia i diversi materiali impiegati per il rivestimento di pavimentazioni e pareti. Ad impreziosire il tutto, due bassorilievi evocativi delle icone disegnate da Fortunato Depero per Campari, al fine di recuperare la memoria storica dell’azienda e l’identità della comunità sestese, lanciando un ponte ideale tra passato e futuro, tra campagne pubblicitarie del ’900 e architettura del nuovo headquarter. LA GALLERIA. Gli spazi di Galleria Campari sono stati suddivisi in tre grandi aree tematiche: comunicazione, arte e produzione. Ognuna di esse è caratterizzata da tre luoghi distinti: [1] la parete/muro di 32 metri dove è proiettata una selezione dei contenuti delle tappe fondamentali della storia Campari; [2] il percorso/carpet, ovvero un viale cittadino illuminato in cui l’esperienza sensoriale fatta di suoni, immagini e profumi accompagna il visitatore;
[3] il tavolo/archivio multimediale in cui, attraverso postazioni touch-screen, il visitatore può sfogliare la storia del marchio. A completamento dell’esperienza una parete/videowall, che proietta una selezione del ricco archivio delle campagne pubblicitarie Campari e una curiosa macchina del tempo, la Time Traveller, che fornisce le fondamentali tappe storiche del marchio. La Galleria è il frutto di un incontro tra arte e comunicazione: artisti di ogni campo si sono cimentati nella rappresentazione dell’essenza del marchio attraverso i registri narrativi specifici delle diverse correnti artistiche. Le opere futuriste di Fortunato Depero, in sede fino al 18 giugno, rappresentano il cuore di questa nuova sede espositiva con la mostra “Depero con Campari”, curata da Marina Mojana e Ada Masoero. In occasione delle celebrazioni del centenario del Futurismo (1909-2009) è stata allestita questa personale dedicata alla produzione di Depero sia per il futurismo, del quale è considerato uno dei massimi esponenti, sia per Campari, come autore della comunicazione dell’azienda dal 1926 al 1936. Chiude la mostra la frase storica proferita dal genio futurista negli anni ’30: “Un solo industriale è più utile all’arte moderna e alla nazione che 100 critici d’arte o 1000 inutili passatisti”. Dopo Depero, la sede museale ospiterà mostre temporanee di artisti già creativi per la Campari, come Matteo Thun, senza dimenticare il Campari Art Label e tre opere grafiche di altrettanti nomi dell’arte contemporanea sulle etichette delle bottiglie vendute in edizione limitata come AVAF, Tobias Rehberger e Vanessa Beecroft. Inoltre Marcello Dudovich, Nizzoli, Bruno Munari, Federico Fellini, Ugo Nespolo. Galleria Campari, aperta al pubblico dal 23 marzo scorso nelle giornate di martedì, giovedì e venerdì è aperta dalle 10.00 alle 19.00. Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito www.campari.com. AKAPPA | 65
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Manifesti Campari Tre stili a confronto: Sachetti nel 1936 (a sinistra); Nanni nel 1960 (sotto a sinistra); Cappiello nel 1921 (sotto)
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OGGI IL PIACERE DELL’
ARTE
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Il protagonista del Futurismo e la sua “Casa”
Fortunato
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DEPERO Scopriamo la Casa d’Arte Futurista Depero, terza sede del Mart di Rovereto, dedicata all’artista Fortunato Depero. a cura di Stefano Lattanzi
LA STORIA. Dopo anni di silenzio riapre il primo museo futurista voluto con forza e determinazione da Fortunato Depero per dare un degno alloggio alle sue numerose opere. Il desiderio dell’artista di creare un museo monografico - nonostante in vita avesse aderito al rifiuto futurista per qualsiasi forma o struttura che imprigionasse l’arte - risale agli anni ‘50, quando tornato da New York nella sua Rovereto, si impegnò con ogni energia per realizzare il proprio progetto. Così, dopo anni di trattative con il Comune, fu individuato l’edificio - l’ex Banco di Pegni - destinato a diventare la sua Casa. Il progetto museografico fu elaborato personal68 | ARTE
mente tra il 1957 e il 1959 da Depero, il quale vi si dedicò instancabilmente come testimoniano i numerosi schizzi che si riferiscono alla struttura, all’arredamento, alle decorazioni e ai rivestimenti del museo. L’artista destinò l’entrata all’esposizione di incisioni, riproduzioni e fotografie. Una grande sala, invece, fu progettata per accogliere le sue pubblicazioni e gli “echi della stampa”, mentre, sempre al piano terra, due sale furono dedicate alla celebrazione della storia di Rovereto e al settore della sua opera grafica. Il 1 agosto 1959 il museo aprì alla sola presenza delle autorità cittadine e dell’artista. L’inaugurazione ufficiale, annunciata per il mese di settembre, non ebbe mai luogo: Depero morì il 29 novembre 1960. Nel 1989, il Museo Depero divenne parte integrante del Mart.
300 mq. che, grazie ai collegamenti verticali, permettono la creazione di un display tematico e cronologico di interesse
IL RESTAURO E LA RIAPERTURA. Lo scorso anno, dopo il restauro dell’architetto Renato Rizzi, con un nuovo progetto museografico a cura di Gabriella Belli, direttrice del Mart, l’edificio torna ad aprire le sue porte e a far conoscere un mondo fiammeggiante di forme e colori. Grazie all’acquisizione dell’adiacente Casa Caden, che ha permesso l’ingresso da via Portici attraverso una corte interna, il museo può oggi avvalersi di un importante ampliamento con nuovi servizi come il guardaroba, il bookshop e una caffetteria. Lo spazio occupato dall’esposizione permanente è di 300 mq., una superficie non grande ma che consente, grazie alla nuova organizzazione dei collegamenti verticali e al recupero di aree in origine destinate a piccoli depositi, la creazione di un display cronologico e tematico di grande interesse. Le zone originali progettate da Depero a piano terra sono state completamente restaurate e conservate, mentre negli spazi al primo e secondo piano, che l’artista non era riuscito a com-
In queste pagine, Fortunato Depero in alcuni suoi scatti e con il futurista Marinetti
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Casa Depero: dipinti, disegni, arazzi, tarsie in buxus, collages, manifesti, locandine, mobili, giocattoli... La ristrutturazione ha risolto problemi di statica e di agibilità, dotando la sede di impianti e servizi di supporto. La riapertura della sede completa un percorso museografico che, dal Mart di Corso Bettini, condurrà il visitatore attraverso il centro storico di Rovereto e a visitare altri punti di interesse della città, come il Museo della Guerra e il Museo Civico. Un dialogo, dunque, tra storia e innovazione che ha come punto di partenza, o arrivo, il Mart di Mario Botta.
pletare, si è voluto assecondare il suo pensiero, mettendo al centro dell’attenzione tutta la fantasia e la vitalità del suo lavoro, che si mostra dunque nella sua più autentica vocazione futurista. In questi spazi sono esposte in modo ottimale le grandi tarsie di panno, che costituiscono il tesoro più prezioso e più originale dell’intera Raccolta di Depero. Altre sale espositive sono invece dedicate in particolare agli anni 1917 - 1918, periodo di straordinaria creatività per il giovane Depero a contatto con il mondo internazionale dei “Balletti Russi” di Diaghilev e agli anni 1928 - 1930, il cosiddetto periodo newyorchese, tappa fondamentale della sua storia artistica. 70 | ARTE
LE COLLEZIONI. Nei nuovi spazi della Casa-museo possiamo ammirare oli su tela, inchiostri di china su carta e su cartoncino, acquerelli, carboncini su carta, le teste – scolpite da Eraldo Fozzer – di Depero e della moglie Rosetta, ma anche quadri, schizzi, sculture, tarsie in buxus (un tipo di legno, inventato da Depero, prodotto con materiali di scarto), arazzi, giocattoli, marionette, mobili realizzati dall’artista roveretano. Per esporre gli arazzi, l’architetto Rizzi ha recuperato tutto il volume della sala fino al lucernario, seghettato, forma cara a Depero. La galleria rivive in un armonioso rapporto tra passato e presente. Casa Depero è anche sede di esposizioni temporanee su design, arti applicate, grafica pubblicitaria, laboratori didattici e visite guidate.
> Da sin. in senso orario: A. Mendini Mobili per uomo-Scarpa (1996), A. Mendini Murillo (2009), A. Mendini Qui (2008)
“Mendini > Depero” è la mostra attualmente in corso alla Casa Depero (fino al 17 Ottobre) la quale presenta una serie di mobili ed arazzi inediti ispirati alla creatività dell’artista roveretano, progettati e realizzati da Alessandro Mendini appositamente per questa occasione. Come sulla scena di un teatro, il pubblico sarà testimone di un continuo e serrato dialogo tra le opere di Depero e le nuove creazioni, come quattro arazzi di grandi dimensioni progettati dal maestro e realizzati da Katia Brida in un curioso accostamento con tarsie in panno eseguite da Fortunato Depero o i mobili di ispirazione alpina realizzati da artigiani locali. Un’idea affascinante e suggestiva, quella proposta dall’architetto e designer milanese, per far emergere legami stimolanti, combinazioni infinite tra le opere, dando ad ognuna la possibilità di essere colta sotto una luce nuova.
Mendini > Depero Uno spettacolo, un dialogo tra due artisti
La Casa d’Arte Futurista Depero, situata a Rovereto in via Portici 38, è aperta dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 18.00; dal 1 giugno al 31 agosto sarà invece aperta dalle 12.00 alle 20.00. Il costo del biglietto intero è di 6 €, ridotto 4 €. Per informazioni: www.mart.trento.it o infoline 800-397760. AKAPPA | 71
TREND
Protezione e tranquillità www.arredamentivitteritti.it
Da oggi grazie all’esclusivo servizio DIPPIÙ, Berloni regala ai suoi clienti tranquillità, assistenza e garanzia sui propri prodotti
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per la nostra casa a cura di Martina Moretti
La casa, la propria casa, è il posto più importante a cui ritornare, il rifugio dove ritrovare quel gusto unico e speciale che Berloni conosce e promuove da sempre. Per questo Berloni ha creato l’esclusivo servizio DIPPIÙ: un numero telefonico unico, efficiente e funzionale per dare ad ogni cliente l’assistenza necessaria a vivere la casa in totale tranquillità in ogni suo angolo, dalla cucina, al soggiorno, alla camera da letto firmate Berloni. Un servizio a 360° davvero vicino alla propria clientela dove il numero da memorizzare e contattare per ogni evenienza è da oggi 199.113.113.(tutte le tariffe sono disponibili al sito www.berloni.it) DIPPIÙ è più risposte, perché per ogni cliente che a lei si affida Berloni sarà sempre al suo fianco a soddisfare ogni sua esigenza. Il numero DIPPIÙ è infatti attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7 con operatori pronti ad indirizzare al servizio di assistenza più indicato, chiarendo qualsiasi dubbio riguardante i prodotti e mettendo il cliente direttamente in contatto con gli esperti di cui ha bisogno. DIPPIÙ è più tranquillità, perché la filosofia Berloni è proprio quella di dare ai suoi clienti la sicurezza necessaria in ogni spazio della casa. Così nasce la proposta del doppia taglian-
do per ogni cucina Berloni al 5° e 10° anno dall’acquisto; un check-up gratuito ad opera dei tecnici Berloni che permette di dare e avere la certezza sulla sicurezza di ogni cucina Berloni, in un’opera di monitoraggio unica nel suo genere. DIPPIÙ è più garanzie perché accanto al servizio di doppio tagliando durante i primi 10 anni dall’acquisto di ogni cucina Berloni, sono previsti 10 anni di assistenza completa e gratuita su tutto l’ambiente che ospita l’arredamento Berloni. Grazie alla collaborazione con la compagnia di assicurazioni fondatrice e leader mondiale del settore dell’assistenza privata – Europ Assistance – Berloni offre interventi di assistenza sul suo arredamento e soluzioni per emergenze idrauliche ed elettriche, con la garanzia di una presenza capillare su tutto il territorio nazionale di 30.000 artigiani altamente qualificati. Si tratta di falegnami, idraulici, elettricisti ed asciugatori tutti professionisti competenti che Berloni con Europ Assistance mette a disposizione tramite una semplice telefonata. Ma non basta, perché per Berloni anche gli elettrodomestici della propria cucina valgono di più e Berloni si impegna a proteggerli per 10 anni dalla data di acquisto. In questo caso basta un piccolo contributo da parte del cliente per assicurare
lunga vita a forno, frigorifero, piano cottura, cappa e lavastoviglie. Infatti per qualsiasi problema si potrà contattare il numero DIPPIÙ e usufruire di un servizio di assistenza veloce e puntuale che potrà risolvere il problema ad ogni elettrodomestico della propria cucina. Se poi lo stesso elettrodomestico dovesse guastarsi per più di tre volte per uno stesso difetto Berloni lo sostituirà definitivamente senza alcuna spesa a carico per il proprio cliente. Il servizio Berloni DIPPIÙ è disponibile presso gli showroom Vitteritti Arredamenti di Olgiate Comasco e Castiglione Olona, per qualsiasi informazione e curiosità ci si può rivolgere direttamente ai due punti vendita pronti a soddisfare ogni esigenza con competenza ed esperienza decennali. Gli showroom Vitteritti Arredamenti Olgiate Comasco (CO) Via Roma, 141 tel:031.94.33.52 – berloni@arredamentivitteritti.it Castiglione Olona (VA) Via C. Battisti, 13 tel:0331.07.15.44 - castiglione@arredamentivitteritti.it AKAPPA | 73
ARCHITETTURA
DOMINARE LA VALLE di Roberto Uboldi
Conciliare le esigenze del cliente con le peculiarità dell’idea architettonica, armonizzare le caratteristiche e le tradizioni del territorio con quei cardini progettuali che permettono il rispetto dell’ambiente: il progetto della casa unifamiliare PF di Pergine Valsugana dimostra quanto i vincoli possano talvolta fungere da stimolo ai progettisti.
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Il comune di Pergine Valsugana, principale centro dell’alta Valsugana, occupa una porzione considerevole della vasta conca ai piedi del colle Tegazzo.
Partiamo dalle richieste iniziali: l’ampliamento dell’edificio doveva prevedere una pianta libera da pilastri, dei percorsi esterni riparati dalle intemperie mediante elementi aggettanti della costruzione e infine logge e terrazzi spaziosi che permettessero di godere della splendida vista della valle. Richieste che sembrerebbero difficili da soddisfare nel contesto di un ampliamento di un edificio già esistente, costruito negli anni sessanta e che difficilmente avrebbe potuto sostenere il peso di un nuovo piano “sporgente” e di un sottotetto. La soluzione arriva però dall’ingegneria civile: due travi di circa nove metri vengono affiancate alla struttura preesistente, e sostengono una trave Vierendeel, posizionata nel sottotetto, alla quale per mezzo di travi e tiranti è letteralmente appeso il piano sottostante. Una risposta efficace e innovativa che trova pochi precedenti nell’edilizia rivolta alle abitazioni private: il nuovo piano diventa un elemento indipendente, 76 | ARCHITETTURA
la trave Vierendeel acquista una nuova dimensione estetica ed è resa ben visibile, per evidenziare quanto questa abbia un ruolo caratterizzante e unico nella costruzione. Proprio all’interno della trave sono poi state ricavate ampie vetrate fisse e scorrevoli, e una suggestiva luce notturna è resa possibile da illuminazioni incassate negli elementi verticali. Un elemento costruttivo di freddo acciaio diventa così fulcro della vita casalinga, e anche gli arredi su misura e le vetrate si allineano alla geometria della trave. CASA PF E L’AMBIENTE Con l’ampliamento si è data risposta a molte esigenze di ecocompatibilità, con una struttura caratterizzata da elementi ad alta prestazione energetica. Le pareti esterne sono in prefabbricato-preassemblato di legno con isolamento in pannelli di fibra di legno, una peculiarità che permette grande velocità in fase di posa e una migliore qualità, gli infissi in larice sono “basso emissivi”, consentendo un netto miglioramento di capacità di isolamento termico. Il sistema di riscaldamen-
Alcuni scorci dell’interno dell’edificio
Trave Vierendeel to e raffrescamento a pavimento e a parete sfrutta un sistema geotermico, mentre la tecnologia solare-termica permette l’approvvigionamento di acqua calda. La casa è poi dotata di un sistema domotico che controlla l’impianto elettrico per permettere una ancor maggiore efficienza energetica. Il notevole utilizzo di tecnologia innovativa non ha tuttavia snaturato e decontestualizzato l’edificio dall’ambiente circostante della valle, anzi la struttura crea un forte legame con l’architettura tradizionale, essendo costituita da due livelli che esprimono un alleggerimento percettivo verso l’alto. L’ultimo piano è infatti dominato dalle grandi logge a sbalzo, e dal legno di larice che si stende fin dentro l’abitazione, creando quella relazione interno-esterno tanto più importante pensando alla forte caratterizzazione paesaggistica e culturale della valle. Edificio unifamiliare PF di Pergine Valsugana, progetto architettonico: arch. Burnazzi Elisa, Feltrin Davide, Pegoretti Paolo. Si ringrazia per le foto lo studio Burnazzi Feltrin.
La trave, che deve il suo nome all’ingegnere belga Arthur Vierendeel, è piana, senza diagonali. Per questo motivo i nodi sono progettati in modo rigido, le sezioni sono più spesse e conseguentemente anche il peso della struttura è molto maggiore rispetto a una trave tradizionale.Utilizzata diffusamente nelle situazioni in cui c’è bisogno di legare acciaio e cemento armato, è solitamente realizzata direttamente sul cantiere tramite saldature dei profilati. Nell’edificio PF la trave sostiene con degli opportuni tiranti il piano superiore, permettendo in questo modo di non far gravare il peso sulla struttura di partenza. L’ingombro non indifferente è stato risolto trasformando questo elemento in particolare estetico della costruzione, ed abbinando vetrate e arredi alla sua geometria. AKAPPA | 77
ECOSOSTENIBILITÀ
LE PROMESSE ECOLOGICHE Volkswagen e Land Rover aprono la strada a motori di nuova generazione
Sempre più case automobilistiche negli ultimi anni si sono mosse per dare un contributo concreto nella riduzione di CO2 e sostanze nocive per le vetture da loro prodotte. Tra queste la tedesca Volkswagen ha concepito il nuovo “marchio”, sinonimo di efficienza, BlueMotionTechnologies, una promessa ecologica per l’ambiente e un risparmio per il portafoglio. BlueMotionTechnologies offre un’ampia gamma di modelli per scegliere in totale sicurezza l’auto che meglio risponde alle proprie esigenze di guida. A disposizione la versatile Touran TSI EcoFuel, l’ecologica Golf BiFuel, l’innovativa Passat TSI EcoFuel, l’economica Passat BlueMotion o Passat e Passat CC BlueTDI con il diesel più ecologico al mondo. Questo è solo l’inizio per Volkswagen che come obiettivo per i prossimi anni si è prefissata il passaggio dalla motorizzazione ibrida a quella elettrica, all’insegna del perfetto connubio tra ambiente, comfort e personalità. E per finire: Think Blue! Nove semplici consigli da seguire per una guida consapevole con notevole risparmio di carburante (www.think-blue.it) Ma Volkswagen non è l’unica a dare un contributo 78 | ECO
a cura di Martina Moretti
alla ricerca ecologica, anche Land Rover, con il nuovo modello Freelander 2 TD4_e, integra gli elementi del programma di progettazione sostenibile “e_TERRAIN TECHNOLOGIES” che grazie al sistema intelligente Start/Stop di accensione e spegnimento presente su tutti i modelli diesel a cambio manuale, permette di ridurre i consumi con lo spegnimento del motore quando si è fermi, se la situazione lo consente. Inoltre una spia sul cambio suggerisce quando una marcia maggiore potrebbe migliorare l’economia di consumo carburante. Grazie anche alla partnership con Climate Care, organizzazione esperta nel settore, Land Rover ha dato il via ad una serie di progetti di compensazione per le emissioni di CO2 dei suoi impianti produttivi di Solihull e Halewood, che hanno portato alla creazione di impianti per la produzione di energia eolica in Cina e generatori idroelettrici in Tagikistan. Senza contare che i veicoli Land Rover sono riciclabili all’85% e le stesse Freelander 2 contengono il 10% di materiali riciclati e il 10% di materiali rinnovabili. Per saperne di più e scoprire le altre iniziative di tutela del pianeta è possibile visitare il sito www.landrover.it/ourplanet
Nelle foto i modelli ecologici delle due case automobilistiche, il motore TDI Volkswagen e il quadro comandi Volkswagen con l’indicatore del sistema start / stop Si ringraziano per la disponibilità Frangi Auto (Volkswagen) e Clerici Auto (Land Rover) AKAPPA | 79
ECOSOSTENIBILITÀ
UNA GOLF
ILLUMINA LA CASA di Andrea Sabbadin
Volkswagen ha creato una minicentrale elettrica ecologica per uso domestico a partire dal motore della sua auto più famosa 80 | ECO
Mettiamo la chiave nella nostra centrale, accendiamola, schiacciamo un po’ l’acceleratore ed ecco che la nostra casa si riempie d’energia. Forse non è proprio così che funziona, ma è stata la prima immagine che ci è venuta in mente quando abbiamo scoperto che Volkswagen, la più grande e importante casa automobilistica tedesca, ha realizzato un impianto termoelettrico a metano destinato all’economia domestica. La particolarità è che il cuore pulsante di questo sistema è derivato direttamente dal propulsore montato di serie su alcuni autoveicoli. In parole povere si tratta di una minicentrale elettrica funzionante grazie al motore di una comunissima Golf a metano, proprio come quella che qualcuno di noi guida ogni giorno sulle affollate strade italiane. Il nome di questa innovazione tecnologica è EcoBlue e dovrebbe essere disponibile, in Germania, dalla metà di quest’anno. Il progetto nasce dalla collaborazione della casa automobilistica con una delle più famose società che si occupa di sviluppo delle energie verdi: la Lichtblick di Amburgo. Questa mini centrale, grande poco più di un frigorifero, è stata studiata in modo da poter essere posizionata in qualsiasi parte della casa e produrre l’energia necessaria ad alimentare l’intero sistema elettrico di un appartamento unifamiliare. Ecoblue va però oltre l’essere un semplice generatore di corrente, infatti l’energia prodotta in surplus, quindi non utiliz-
zata, viene trasmessa a un accumulatore, il quale a sua volta la ridistribuisce all’interno della rete locale. Così il “gioiello” della Volkswagen è stato pensato per funzionare all’interno di un unico sistema virtuale: le minicentrali private saranno infatti collegate tra loro in rete e saranno in grado di immettere al proprio interno l’energia in eccesso, ridistribuendola dove ce ne è più bisogno, oppure addirittura conservarla per i momenti di maggiore necessità. COME FUNZIONA? Il propulsore derivato dalle Golf di serie produce autonomamente energia, la quale mette in moto un generatore di corrente. I test hanno dimostrato che la minicentrale ha un’efficienza di produzione pari a circa il 94 per cento nel rapporto consumo-produzione e produzione-utilizzo possibile di energia. Un dato molto più alto rispetto al 40 per cento circa delle moderne centrali nucleari o a carbone, il tutto senza il rischio radioattivo, oppure l’inquinamento conseguente dall’estrazione e dalla combustione tipica del carbon fossile. La produzione di energia residua, non utilizzata in casa, viene convogliata insieme alla residua produzione delle altre 99.999 centrali domestiche che l’azienda ha pensato di produrre e installare entro al fine dell’anno. L’elettricità prodotta è poi immagazzinata in un accumulatore, con cui poi Lichtblick ridistribuisce la corrente ai suoi utenti in rete. Tutto senza costruire costose nuove grandi centrali, solo interconnettendo come tanti mini-computer collegati grazie a Internet le centomila (e forse domani i milioni) di mini-centrali domestiche. QUANTO COSTA? Non è una spesa irrisoria, ma neanche impossibile. Lichtblick conta di vendere a partire dal prossimo anno ben 100.000 unità denominate per creare l’equivalente di una stazione di 2.000 megawatt di potenza, l’equivalente dell’energia erogata da due centrali nucleari. Le unità saranno commercializzate prima esclusivamente ad Amburgo, e successivamente in altre parti del paese a un costo individuale di installazione di 5.000 euro per nucleo familiare. A questa spesa si aggiungerà un canone mensile di 20 euro, a cui si aggiunge il consumo mensile d’energia secondo le tariffe ufficiali, pubblicamente imposte, del gas. Il produttore dovrebbe però pagare all’utente 5 euro mensili di “fitto” e 0,5 cent per ogni chilowatt non utilizzato e quindi immagazzinato nell’accumulatore. Riparazioni e manutenzione naturalmente non saranno a carico dell’utilizzatore, ma del gestore. L’idea è quella di creare un nuovo produttore di energia che non la sprechi e che soprattutto rispetti realmente l’ambiente, il tutto ad un costo accessibile per la maggior parte delle famiglie. Un dispositivo del genere potrebbe anche risolvere i problemi energetici di paesi meno sviluppati, allontanandoli dalle tentazioni del nucleare, ed evitando i generatori a gasolio, inquinanti tanto quanto un camion a rimorchio.
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EFFICIENZA ENERGETICA
100MILA IMPIANTI
2MILA MEGAWATT
Il costo individuale di installazione
è di 5.000 €
a cui si aggiunge il canone mensile di 20 € secondo le tariffe imposte del gas
I NUMERI DEL PROGETTO AKAPPA | 81
REPORTAGE
TETTI VERDI
Il tetto verde: un’antica tradizione nordeuropea che rivive nell’ecodesign
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Islanda La terra del ghiaccio è forse la nazione con la percentuale maggiore di tetti “verdi” sul totale degli edifici costruiti. Un primato avvicinato solo dalle nazioni scandinave.
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USA Due case che si confondono con il brullo ambiente circostante: la prima è la casa Brunsell-Sharples in California di Obie Bowman, la seconda una semplice fattoria abbandonata. Foto nella pagina a sinistra: Obie Bowman
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ECOSOTENIBILITÀ
UN BOSCO SUL TETTO Tetti verdi per portare la natura in città di Andrea Sabbadin
Passeggiando per le nostre città alziamo lo sguardo e non vediamo nient’altro che grigio. Una piatta monocromia tetra e, a tratti, triste. Case, palazzi e capannoni colorati solo dai radi fiori che fanno capolino dalle finestre di chi ha il tempo per prendersi cura del proprio balcone. Qualche tempo fa una pubblicità di una nota marca di prodotti alimentari aveva immaginato i centri storici delle maggiori città italiane coperti di verde, di prati, piante e vegetazione, un sogno utopistico si pensò allora, ma invece così potrebbe non essere e non grazie ad avanzate tecnologie futuristiche, ma tramite un ritorno al passato, al passato remoto. Roma, Atene, Babilonia erano le principali metropoli dell’antichità e camminando tra i loro vicoli stretti e polverosi, alzando lo sguardo, proprio come facciamo noi oggi, si incontrava una grande quantità di “tetti verdi”. Quella tradizione è continuata, in sordina, fino ai giorni nostri e solo ora sta iniziando ad essere riscoperta grazie alle sue qualità isolanti e protettive.
COS’É IL TETTO VERDE? É un concetto di copertura della bioedilizia che utilizza, al posto dell’ardesia e delle tegole, uno strato di terra o di materiale vegetale. Il mix tra terra e vegetali attecchiti permette di realizzare delle coperture relativamente ben isolate, protette dall’aria e dall’acqua, resistenti al vento e al fuoco, utilizzando solamente materiali facilmente reperibili e soprattutto assolutamente rispettosi della natura. La costruzione di coperture vegetali è una tradizione in molti paesi scandinavi, ma anche in Nuova Zelanda e a Vienna, nella Loewengasse, sono stati introdotti tetti di erba e di bosco, che sono un completo successo. Nella Loewengasse, sono state dislocate 900 tonnellate di terra su 13 tetti incorniciati, una sorta di contenitori a scatola, e vi sono stati piantati 250 alberi e cespugli. Vista dall’alto, la casa è completamente verde. Ne è addirittura coinvolta, inverdita, più della superficie totale del fondo costruito, perché la piantagione si estende anche su piani ricoperti dal tetto e cinque alberi-inquilini danno altre superfici verdi. Un inverdimento del tetto è una cosa incredibilmente positiva. Porta vantaggi, gioia e benessere,
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non soltanto a quelli che utilizzano un tetto verde come questo, ma anche a quelli che abitano sotto a un pezzo di natura come questa: un’incredibile sensazione di gradevole calore e allo stesso tempo di frescura, una senso di sicurezza contro il fall-out e le radiazioni e un profumo quasi come in un bosco, comunque senza umidità. I tetti d’erba che si seccano d’estate ritornano completamente verdi, per conto proprio, in primavera e in autunno e dopo lunghi periodi di pioggia, e addirittura negli inverni senza neve. L’erba tagliata, o le balle d’erba arrotolate, vengono ricambiate ogni anno da tipi d’erba e di piante diversi, grazie ai semi o al volo degli uccelli, è una trasformazione continua. LA SITUAZIONE ITALIANA
A Milano
la Giunta sta spingendo verso l’utilizzo dei tetti verdi grazie agli aggiornamenti al regolamento edilizio che ne agevolano l’uso.
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L’Environmental Program delle Nazioni Unite stima che se a Pechino il 70 percento dei tetti venisse ricoperto di vegetazione, i livelli di anidride carbonica si ridurrebbero dell’80 percento. Anche in Italia, sebbene in ritardo rispetto agli altri Paesi europei, sta crescendo l’interesse verso i tetti verdi. Sono ormai numerosi i comuni i cui regolamenti edilizi incentivano l’uso del verde pensile. Secondo l’Associazione italiana verde pensile (Aivep), che ha dato vita al primo osservatorio nazionale, la cittadina più all’avanguardia è Bolzano, la prima città a favorire l’uso delle eco-coperture attraverso l’adozione, nel proprio regolamento edilizio, dell’indice Rie (Riduzione impatto edilizio), che dal 2004 impone l’uso di soluzioni in grado di favorire la permeabilità dei suoli per ottenere il permesso di costruire. A livello regionale a guidare è l’Emilia Romagna. Reggio Emilia, Rimini e Faenza hanno inserito il verde pensile fra le soluzioni che consentono, nei primi due casi, di accedere a incentivi volumetrici ed economici e, nel caso di Faenza, di utilizzarlo nell’ambito della cosiddetta «fascia di tutela a verde» e nei nuovi edifici industriali. Incredibilmente anche Milano sta spingendo verso l’introduzione dei tetti verdi. La giunta ha inserito il verde pensile fra gli aggiornamenti al regolamento edilizio agevolandone l’uso, ove possibile, su tutte le coperture piane. A Torino gli interventi edilizi che comportano variazioni volumetriche nei quali non sia possibile destinare a verde almeno il 20 percento dei terreni, sono obbligati ad adottare facciate o coperture verdi. Infine a Venezia le coperture vegetali sono fra i requisiti che danno diritto alla riduzione degli oneri di urbanizzazione. Il sogno di vedere le nostre città nuovamente sommerse dalla vera natura - e non da quei sofferenti tigli dei viali alberati malamente capitozzati, sempre nei periodi meno opportuni al loro sviluppo - sembra affacciarsi ai nostri balconi. Pensiamo alla gioia di uscire per comprare un semplice cartone di latte, alzare lo sguardo al cielo, incontrare i balconi e i tetti dimentichi del grigio e del tetro colore del cemento, ammirando, invece, radure di bosco vivente con tutte le meraviglie della natura che si trasforma attraverso le stagioni. Foglie, germogli e profumi, ammirando il ritorno di api, farfalle, maggiolini e merli.
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ECOVETRINA
Green Porno di Roberto Uboldi
Trasformare un’approfondita ricerca etologica in arte e rappresentazione visuale, a tratti comica: questo è l’intento centrato in pieno dalla celeberrima Isabella Rossellini nel suo Green Porno. Questo nome così schiettamente evocativo si materializza in alcune serie di cortometraggi realizzati a partire dal 2008 e scritti, diretti e interpretati dalla Rossellini, coadiuvata da Jody Shapiro e Rick Gilbert nella realizzazione della regia e dei costumi, che tradiscono un’aria vagamente kitsch. Carta colorata, tempere, gommapiuma e fondali tinta unita, questo l’armamentario utile per costruire video concettuali e fantasiosi, che sia nella costruzione delle scene sia nella resa visuale dimostrano uno spiccato marchio di fabbrica, tali da renderli riconoscibili tra le molte produzioni green indipendenti degli ultimi anni. La sessualità animale, il comportamento bizzarro degli insetti e le anomalie del rapporto maschio– femmina in esseri diversi dall’uomo sono al centro delle 4 serie firmate per il network online statunitense “Sundance Channel”, che sono reperibili all’indirizzo www.sundancechannel.com. 92 | ECO
Mentre la prima serie verteva principalmente sul mondo degli insetti, la seconda e la terza esplorano le profondità acquatiche, sfiorando anche più da vicino il tema dell’ecologia e della sostenibilità. Per la terza serie in particolar modo si è scelto di parlare della “vita quotidiana” degli animali marini pescati e che costituiscono quindi parte integrante del nostro sistema commerciale. Per questa serie fondamentale è stato l’apporto di Claudio Campagna, biologo esperto nei temi della conservazione delle specie marine. La quarta e recentissima serie “Seduce me” è maggiormente introspettiva e riguarda tutti i bizzarri rituali che nel mondo animale precedono l’accoppiamento. Trait d’union come si è detto sono l’ambientazione naif e lo spirito comico, che risultano un ottimo viatico per trasmettere valori fondamentali dell’ecologia, del rispetto degli animali, e possono naturalmente suscitare una sana curiosità che permetta poi uno studio più approfondito.
ECOVETRINA
Kiro, la batbox
Il pipistrello ci protegge dai nemici della notte. Non siamo a Gotham City e non stiamo parlando di Batman, bensì di un progetto recente promosso dagli zoologi del Museo di Storia Naturale di Firenze che hanno a messo a punto delle casette per pipistrelli standard – comunemente chiamate batbox il cui obiettivo è la preservazione dei pipistrelli, fondamentale gruppo animale anche per il nostro ecosistema. Questi rifugi, in vendita a 27 euro nei negozi Coop che hanno sostenuto attivamente l’iniziativa, sono stati realizzati dopo ricerche condotte sulle specie di chirotteri che maggiormente popolano le nostre città, al fine di ottimizzare forme e materiali per creare un ambiente adatto. Lo stretto ingresso non permette che uccelli o altri animali vi entrino, il legno grezzo dell’interno permette ai pipistrelli un miglior appiglio, e la geometria consente un ottimale stratificazione delle temperature. I benefici per l’ambiente sono numerosi, e tra questi il più notevole in vista dell’estate riguarda il passatempo preferito da questi animaletti notturni: la caccia alle zanzare. Un singolo pipistrello arriva a mangiarne 2000 in una singola giornata, un record che i nostri insetticidi - che tanto male hanno provocato anche alla comunità dei pipistrelli - non riescono ad eguagliare.
Molti comuni italiani hanno risposto attivamente al progetto di questa batbox, specie in Toscana e nell’Alto Adige, e calcolando l’installazione di 2000 batbox, possiamo stimare 4 milioni di zanzare e altri insetti uccisi senza ausilio di agenti tossici. Una nota per gli intraprendenti amici del fai-da-te: in internet si trovano con facilità consigli ed istruzioni su come costruirsi una batbox personale con legno, viti e tanta passione. Vi segnaliamo su tutti la guida in formato pdf dello stesso Museo di Firenze all’indirizzo www.msn.unifi.it, con la raccomandazione di scegliere bene anche dove posizionare la vostra batbox personalizzata, che rimarrebbe altrimenti desolata. R.Ub. AKAPPA | 93
ECOVETRINA
ECOVETRINA
Salvaleforeste
W gli oranghi
di Andrea Sabbadin
La classifica degli editori italiani Da dove viene la carta dei libri? Greenpeace ha diffuso la classifica Salvaleforeste, con gli editori che usano carta riciclata o certificata e quelli che non lo fanno. Cioè i più numerosi e i più noti del panorama italiano. In quest’ultimo caso, c’è poco da stare allegri: l’Italia, dice Greenpeace, è il più importante acquirente di carta proveniente dall’Indonesia – dove la deforestazione galoppa – e il maggior cliente europeo di APP, Asian Pulp and Paper, il campione della deforestazione. Soltanto il 18 per cento degli editori italiani usa alte percentuali di carta riciclata unita a fibre vergini certificate Fsc, cioè provenienti da un uso sostenibile delle foreste. Fra questi Bompiani, Edizioni Ambiente, Fandango, Hacca e Gaffi. Alcuni editori usano fibre certificate Fsc, ma secondo Greenpeace devono impegnarsi ad aumentare l’impiego di carta riciclata: sono pochi, e fra essi anche noi di Akappa. www.greenpeace.org/italy/news/slavaforeste-editori.
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Vittoria di Greenpeace: Nestlé si impegna in favore degli oranghi Il video shock diffuso da Greenpeace per porre all’attenzione del mondo il pericolo di estinzione per gli oranghi a causa delle coltivazioni di olio di palma per scopi alimentari ha sortito il primo effetto. Nestlé dopo aver visto che il video shock si è diffuso in maniera virale su blog, giornali on line e i social network, ha deciso di non acquistare più olio di palma prodotto da aziende che praticano la deforestazione selvaggia nel sud est asiatico.Tale pratica è utilizzata per far spazio alle piantagioni di palma che producono l’olio necessario a Nestlé e alle altre multinazionali alimentari per produrre il cioccolato che utilizzano per i propri snack. Questo successo, ammette Greenpeace è il risultato della combinazione delle azioni degli attivisti e delle azioni informatiche messe in atto da centinaia di migliaia di simpatizzanti. A.Sab.
ECOVETRINA
ECOVETRINA
La serra
Si fa Fiesta
Diffusi i dati Noaa: il Pianeta si sta scaldando
La Ford Fiesta è l’auto che consuma meno
Tra ciò che percepiamo e ciò che succede a livello globale c’è alle volte una distanza notevole. Mentre in Italia si imprecava contro la primavera dal carattere autunnale la Noaa (National Oceanic and Atmospheric Administration) ha divulgato uno studio sui mesi di Marzo e Aprile: tutti e due hanno battuto il record di caldo dal 1880, cioè da quando esistono dati sufficientemente affidabili per stilare una classifica. Tutto il primo quadrimestre dell’anno è andato in quella direzione. Una dimostrazione del cambiamento climatico in atto, benché le piogge abbiano funestato il nostro paese. C’è da chiedersi se non siamo di fronte ad un cambiamento: da clima continentale a pre-equatoriale? A.Sab.
Secondo l’EPA, Environmental Protection Agency, la nuova Ford Fiesta in vendita nel mercato USA dall’estate 2011 è l’auto che consuma meno carburante e per questo ha meritato la certificazione. Il calcolo è fatto all’americana cioè in miles per gallons, miglia per gallone. Ed ecco le performance: 40 mpg in autostrada, all’incirca con poco più di 3 litri di carburante fa circa 64 Km mentre in città ne fa circa 46 Km. Probabilmente non si tratta di un risparmio di carburante eccezionale, ma per un americano medio lo è! Per noi italiani si tratta forse di consumi un po’ complessi da decifrare visto che li valutiamo con i 100Km x litro. Comunque, sembra che anche l’EPA stia iniziando a pensare alla possibilità di passare al nostro sistema. Detto ciò la Ford fa sapere di essere arrivata a questi risultati grazie a una serie di tecnologie incluso il nuovo motore da 1.6 litri Duratec da 120 cavalli che ha un rubinetto che riduce l’afflusso di carburante in caso di decelerazione e un sistema che evita sprechi al climatizzatore e all’alternatore. A.Sab.
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LIBRI
Dedicato a Barcellona di Alessandra Tettamanti
Percorsi storici, artistici, culturali, gastronomici, perchè non pensare anche ad una sorta di itinerario letterario che celebri barrios, ramblas, monumenti, personaggi di Barcellona?
che, grazie ai piaceri semplici ma “corposi” della cucina catalana o al girovagare nelle viuzze dei barrios alla ricerca di luoghi ispiratori, ha trovato in Barcellona una città affascinante “dove non ci si stanca mai di tornare.......e tornare.”
A cominciare da un grande: [1] George Orwell e il suo “Omaggio alla Catalogna”, il suo personale resoconto della guerra civile spagnola a cui lo scrittore partecipò dal dicembre ’36 al giugno ’37. Il suo racconto/testimonianza è appassionato, sincero, lucido e onesto, con un pizzico di speranza anche nei momenti peggiori: “Le foglie dei pioppi bianchi che delimitavano le nostre trincee sfiorarono la mia faccia; io pensai che era una buona cosa essere vivo in un mondo dove i pioppi bianchi crescono”.
e cerchiamo invece un punto di vista femminile non possiamo dimenticare perlomeno due autrici: - Mercé Rodoreda con [3] “La piazza del diamante” : la storia di una vita, quella di Natàlia, fatta di gesti quotidiani, di avvenimenti insignificanti, di poche parole, come se lei non potesse permettersi il lusso di pensare ai sentimenti, anche se sentimenti e passione pervadono tutto il romanzo. “Ero come una casa quando vengono gli uomini del trasloco e mettono tutto sottosopra. Così ero io dentro: con gli armadi in anticamera e le sedie gambe all’aria e tazze per terra da avvolgere con la carta e metterle in una cassa con la paglia, e il divano e il letto disfatti e in piedi contro la parete e ogni cosa in disordine”; - [4] Alicia Gimenez Bartlett con i suoi ormai numerosi gialli che hanno come protagonista Petra Delicado, un’ispettrice della polizia di Barcellona, spalleggiata dal suo fido collaboratore, il viceispettore Fermin Garzon. Petra è una femminista convinta, testarda, con due matrimoni alle spalle, da lei sciolti deliberata-
« È una vera fortuna scoprire una seconda città oltre la propria che diventi una vera città natale... Una quarantina di anni fa ho avuto un colpo di fortuna: ho incontrato Barcellona » così scriveva nel 2005 nel suo [2] “Barcellona l’incantatrice”, il critico d’arte australiano residente a New York, Robert Hughes 98 | LIBRI
S
[1] Omaggio alla Catalogna di George Orwell
[2] “Barcellona l’incantatrice” di Robert Hughes
[4] “Il silenzio dei chiostri” di Alicia Gimenez Bartlett
[5] “Le ricette di Pepe Carvalho” di Manuel Vazquez Montalban
[6] “La chiave di Gaudì” di Martin e Carranza
[7] “La cattedrale del mare” di Ildefonso Falcones
[8] “Mistero di strada” di Francisco Gonzales Ledesma
[9] “Marina” di Carlos Ruiz Zafon
[3] “La piazza del diamante” di Mercè Rodoreda
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LIBRI
mente perché “non volevo vedere nessuno declinare accanto a me, né avere un testimone del mio declino”. Forte, battagliera, spietata negli interrogatori, ama giardinaggio e musica sinfonica ma non rinuncia all’occorrenza a fumo, alcol o ad una “sana” avventura. I battibecchi ironici e irriverenti tra Petra e il suo vice Firmin, danno spessore ai protagonisti e alle situazioni, sovvertendo e arricchendo lo schema classico del giallo.
R
omanzi gialli, noir e racconti di mistero, trovano spesso nel capoluogo catalano una location perfetta. Gli esempi non mancano: - [5] Manuel Vazquez Montalban dalla cui penna è nato il detective gourmet Pepe Carvalho, che prova a spiegarsi la vita attraverso le sue passioni gastronomiche. La sua è una Barcellona curiosa, fuori dai soliti itinerari, tra le bancarelle e i bar della Boqueria, nelle strade e nei locali del Barrio Chino e della città vecchia. Il personaggio di Pepe Carvalho è ironico, colto, cinico, ma anche appassionato e curioso, ha con la cucina un rapporto intenso e le sue avventure sono scandite dai piatti che il protagonista ama cucinare e gustare in compagnia di persone che li sappiano apprezzare. - [6] Esteban Martin e Andreu Carranza con “La chiave Gaudì”: una storia adatta a tutti coloro che hanno amato il “Codice da Vinci”. Siamo (inutile dirlo) a Barcellona, 1926. Una sera di giugno, Antoni Gaudí muore travolto da un tram. Fatalità? Incidente? Omicidio? Ottant’anni più tardi, Juan Givell, ormai gravemente malato, confida a sua nipote Maria un segreto mantenuto per tanto tempo: “Ero con Gaudí il giorno che lo uccisero”. Insieme a queste parole le consegna una strana chiave che deve condurla al segreto meglio conservato del grande architetto.... - [7] Ildefonso Falcones con “La cattedrale del mare”, ambientato nell’umile quartiere della Ribera nel XIV secolo. Un romanzo storico, un giallo, un libro d’amore, di passione, di grandi sentimenti ed emozioni. Protagonisti sono il piccolo Arnau e la grande chiesa in costruzione, Santa Maria del Mar, 100 | LIBRI
che sarà il fulcro di tutte le tormentate vicende dell’esistenza di Arnau. Ma c’è di più: la condizione della donna tristemente sottomessa all’uomo, gli anni bui della chiesa, l’inquisizione, il feudalesimo, le prime lotte dei contadini per la libertà, le pene per un amore che i pregiudizi del tempo vorrebbero condannare..... - [8] Francisco Gonzales Ledesma con “Mistero di strada”: dalle Ramblas al Barrio Chino, da Fobie Sec su a Montju’ic, sino alle spiagge della Barceloneta, si muovono il vecchio e duro poliziotto Mèndez, con il sogno di salvare il mondo da se stesso; David, padre deluso dalla vita dopo la morte del figlio; Eva, nata nel posto e nel momento sbagliati.....l’assassino nonché imprenditore senza scrupoli; puttane giovani e vecchie dal cuore d’oro. Sullo sfondo una Barcellona che ha perso la sua anima, il suo orgoglio, perché “con gli anni si impara a non pensare con il cuore perché inganna sempre, a non pensare con la testa perché ci saranno sempre teste più potenti. Con gli anni si impara a pensare con la pancia, che non tradisce mai ed è la tua”. - [9] Carlos Ruiz Zafon con i suoi capolavori dedicati alla città catalana: Marina, L’ombra del vento e Il gioco dell’angelo. Si tratta sempre di vicende intricate, avvincenti e coinvolgenti, che vanno avanti e indietro nel tempo. C’è sempre una donna fatale, un’immagine ritrovata o una musica ascoltata, qualcuno dal passato misterioso, l’amore per i libri e la scrittura, vecchi palazzi che trasudano storia e misteri… - Marc Pastor con “La maledetta”, liberamente ispirato ad un fatto realmente accaduto nella Barcellona dei primi novecento: la storia della famigerata “vampira del carrer Ponent” e degli otto bambini, figli di prostitute, scomparsi nel nulla.... Ma se Barcellona riscuote così tanto successo a livello mondiale, piacerà addirittura anche a chi viene da un altro pianeta? Pare proprio di sì. A confermarcelo è Eduardo Mendoza in “Nessuna notizia da Gurb”. 120 pagine divertenti e paradossali di una missione aliena in terra spagnola. È proprio l’alieno la voce narrante di questa storia, obbligato suo malgrado a mimetizzarsi nella folla per ritrovare appunto il compagno di missione Gurb, misteriosamente smarrito. E’ un susseguirsi di situazioni al limite del grottesco, utilizzate in chiave satirica per criticare di volta in volta usi, costumi e manie e assurdità della modernità. L’alieno, però, nonostante le disavventure e i continui attentati alla sua inguaribile fiducia nei confronti del prossimo, impara a vivere, oltre che a sopravvivere sulla terra, e scopre che l’imperfezione degli uomini e la loro imprevedibilità ne costituiscono anche l’aspetto più piacevole e divertente.
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CINEMA
La classe operaia va in Paradiso di Andrea Mazzarella
E
cco a voi il cinema d’autore, con uno dei BAN. E’ vittima del piccolo benessere ottenuto con ritmi di lacaposaldi del cinema italiano. “La classe voro devastanti, due intossicazioni da vernice e l’ulcera costanteoperaia va in paradiso”: quasi quarant’anmente in agguato. Troppo stanco per soddisfare la sua compagna, ni per uno dei più importanti lavori del parrucchiera anticomunista che si limita a vivere tra il salone e il maestro Elio Petri, autore impegnato, desiderio di una pelliccia, solo la televisione e il calcio accompapungente, caustico, che andando al di là della normale gnano le sue stanche serate di frustrazione. I nervi a pezzi, l’insofcritica o accusa indaga la generalità di una condizione. ferenza verso la propria condizione, l’insorgenza di strane manie; Con un linguaggio cinematografile visite in manicomio ad un ex co molto diretto, forte di un’accucollega vittima dell’alienazione forata documentazione sul campo, il mentano un’ossessione recondita. regista conduce lo spettatore all’inLa svolta arriva con un incidente; terno della fabbrica dove si ritrova la macchina gli trancia un dito e con gli operai al centro delle tensiole contraddizioni della sua esistenni tra sindacati, padroni e studenti. za prendono il sopravvento, in La vicenda è infatti ambientata nei un’esplosione di quella frustrazione primi anni ’70, dove il protagonista che con tanta fatica aveva sempre Lulù è l’esempio tipico dell’operaio cercato di reprimere. Il suo modo Gian Maria Volontè interpreta Lulù in massa: instancabile stakanovista, di vivere viene sconvolto, il suo “La classe operaia va in Paradiso” di Petri lavora forsennatamente, avaro delmodo di pensare continuamente le poche lire in più che il sistema strattonato dalle violente accuse del cottimo gli assicura a fine mese. degli studenti e dalle più moderate Odiato dai colleghi e benvoluto dai padroni, i suoi lotte sindacali. La contestazione al di là dei cancelli della fabbrica tempi vengono usati per stabilire i ritmi di lavorazione è infatti aspra, contraddittoria, rabbiosa. Lulù si schiera in prima di tutte le altre macchine. All’esterno della fabbrica i fila nella lotta intransigente e senza indugi, l’istinto lo conduce a megafoni delle organizzazioni studentesche in piena condividere l’impulsività degli studenti. E’ in prima linea negli protesta inneggiano allo sciopero continuo, alla vioscontri all’esterno della fabbrica, quando operai e studenti piclenza operaia come risposta alla violenza sfruttatrice chettano le entrate impediscono l’ingresso ai dirigenti. Scoppiano dei padroni. Lulù è distante, irraggiungibile alle frasi i disordini, interviene la polizia in assetto anti sommossa. Lulù urlate dai megafoni degli studenti così come da quelli viene licenziato e lasciato solo dalla compagna; è alla deriva. Ha delle organizzazioni sindacali fuori dai cancelli della modo di riflettere sulla sua condizione rivolgendosi a quelli che lo
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“L’aspetto delle cose varia secondo le emozioni; e così noi vediamo magia e bellezza in loro ma, in realtà, magia e bellezza sono in noi.” Kahlil Gibran
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Il regista / Elio Petri
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etri iniziò ad avventurarsi nel mondo del cinema come aiuto di De Santis nel 1952 e contemporaneamente scrisse a lungo come critico per l’Unità. Negli anni a seguire lavorò alla sceneggiatura di diverse pellicole e firmò due cortometraggi; poi nel 1961 diresse il suo primo lungometraggio “L’assassino”. Da qui l’ascesa e la scelta per un cinema d’impegno civile che ebbe massima espressione con “Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto” del 1970 e “La classe operaia va in paradiso” del 1972. Le opere successive segnarono il declino verso un pessimismo definitivo che può essere capito solo legato al contesto politico e sociale in cui le opere stesse nacquero.
hanno trascinato lì dove è arrivato. Gli studenti però sono troppo lontani dal suo modo di intendere le cose: interessati alla lotta di classe e non al caso individuale, gli propongono di cambiare vita, di militare a tempo pieno. Ma Lulù non cambia vita. Non può cambiare vita. Dall’altra parte i sindacati ottengono la sua riassunzione e la ridiscussione del cottimo, in quello che potrebbe sembrare un lieto fine. Ma l’espressione di Lulù al momento della notizia della riassunzione esprime ben poca felicità. Si torna al punto di partenza: la sua condizione non è cambiata e probabilmente non cambierà così come quella dell’intera classe operaia, tra gli istinti rivoluzionari degli studenti che non riescono ad avvicinarsi alla realtà, e le lotte riformiste delle organizzazioni sindacali che forse non possono fare altro che nutrire l’eterna illusione di un cambiamento troppo effimero, forse inconsistente. La scena finale è emblematica: gli operai finiscono in catena di montaggio La locandina e Lulù racconta di un sogno dove tra la nebbia il Militina (l’amico rinchiuso in manicomio), lui stesso e gli altri operai cercano di sfondare il muro del paradiso. Una volta sfondato non vedono altro che loro stessi.
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l linguaggio allegorico è forte, come le suggestioni regalate dai movimenti di macchina e dalla curatissima messa in scena. Lo stile di Petri è diretto, la regia scandisce i frenetici ritmi di lavoro riuscendo a tradurre in immagini l’alienazione degli operai. Le scene compongono una narrazione incalzante dal ritmo quasi schiacciante, dove la
“bellezza estetica” cinematografica si fonde armoniosamente con la profondità dei significati. E’ il lavoro di un intellettuale maturo, conscio. Un utilizzo magistrale del mezzo cinema coadiuvato dall’eccezionale colonna sonora di Ennio Morricone, che cita in continuazione i fastidiosi rumori della fabbrica in una cornice sonora che scandisce impeccabilmente il ritmo emotivo dell’intera pellicola. Eccellente è l’interpretazione di Gian Maria Volontè: il volto e la fisicità dell’attore sono totalmente invisibili, la postura, gli sguardi, l’inflessione lombardo-milanese; si potrebbe dire che non c’è traccia di Volontè, ma solo del suo talento, capace di plasmare un personaggio che facciamo fatica a credere non esista realmente. Interpretazione interessante anche quella di Mariangela Melato, molto a suo agio nei panni della moglie borghese e insoddisfatta che contesta al marito, sull’orlo della pazzia, di soffrire troppo la sua condizione. Una coralità di contributi eccellenti per una pellicola in grado di catapultare sullo schermo il dramma di un’intera classe sociale con le contraddizioni e le sfumature che lo contornano. Nulla è lasciato al caso, ogni personaggio, ogni luogo e ogni battuta è parte fondamentale di un corposo mosaico. Un assoluto capolavoro del nostro cinema. AKAPPA | 105
MUSICA
Filippo Andreani di Giulio Bianchi
Abbiamo parlato con Filippo Andreani, già front man nella nota band di alternative rock Atarassia, del suo esordio discografico solista: “La storia sbagliata”, che narra la vicenda di Luca Canali (Neri) e Giuseppina Tuissi (Gianna), partigiani attivi a Como e protagonisti di una vicenda emozionante. Un’ opera di assoluto valore anche fuori dall’ambito artistico locale, curatissima nei testi e matura musicalmente nel suo perfetto equilibro tra sonorità elettriche ed acustiche. 106 | CINEMA
Neri e Gianna, vita e morte di due partigiani combattenti nel disco di Filippo Andreani Come hai conosciuto la vicenda del Neri e della Gianna? L’ho conosciuta ormai molti anni fa, affondando in un libro edito da Nodo Libri e scritto da Giorgio Cavalleri. Poi ne ho approfondito la conoscenza leggendo altri testi, confrontandomi con alcuni ricercatori ed incontrando testimoni diretti di quell’epoca sognante e dolorosa, già “compagni di viaggio” del Neri e della Gianna. E’ una vicenda umana incredibile, dolcissima e straziante, il cui incontro non ti puo’ lasciare indifferente. Ho voluto raccontare la storia di un uomo e di una donna la cui esistenza terrena è stata – almeno nei loro ultimi tre anni di vita – la trama del romanzo piu’ avvincente che io riesca ad immaginare. Sostieni di non avere ambizioni di carattere storico, ma non pensi che recuperare i sentimenti, le passioni e l’umanità di una vicenda passata sia fare vera storia? Distinguo tra storia – scienza, fatta di dati empirici e di ricerca consapevole, e storia – racconto, in cui realtà ed invenzione si tessono nella narrazione di un evento per bocca o per penna del popolo. Se anche questa seconda storia è “vera”, come la chiami tu, allora è certamente possibile. Ma scrivere canzoni ti solleva comunque dalla responsabilità di offrire delle verità ed io non ho davvero la benché minima intenzione di insegnare qualcosa. Canto e suono perchè questo mi fa sentire più sereno, non perché mi dia una qualche autorevolezza. Nell’affrontare una vicenda così imbarazzante hai valutato il rischio di inevitabili travisamenti e strumentalizzazioni politiche? Le provocazioni revisioniste, i travisamenti consapevoli, le strumentalizzazioni interessate, sono la voce di chi finge di non capire con lo scopo di smettere di vergognarsi. Io posso e voglio parlare di questa “Storia Sbagliata” perché ne discendo, perché appartengo a quelli che – voltandosi indietro – non arrossiscono. La Gianna ed il Neri, in quanto partigiani combattenti, sono stati, sono e saranno patrimonio dell’umanità. Non di chi li ha chiusi in un armadio, non di
La vicenda Nato a Como nel 1912 Luigi Canali, reduce dalla campagna di Russia, entra dopo l’ 8 settembre nella resistenza col nome di Capitano Neri. Abile e tenace costituisce la 52a Brigata Garibaldi ed organizza le sezioni comuniste nel Medio e Alto Lario. Nel ‘44 viene affiancato dalla staffetta ventenne Giuseppina Tuissi detta Gianna, con la quale ha un’appassionata relazione sentimentale. Nel gennaio 1945 i due vengono arrestati. Torturati, rifiutano di dare indicazioni sull’organizzazione partigiana. La loro successiva
chi cerca l’armadio solo per sputtanare chi se ne è ingoiato le chiavi. Puoi presentarci gli strumentisti che ti hanno affiancato nell’incisione del CD? Chi ha collaborato al disco lo ha fatto dimostrandomi la grande differenza che esiste tra musicisti (loro) e suonatori (io). Da loro ho imparato, con loro ho suonato ed ascoltato all’infinito ogni nuovo arrangiamento, ogni linea melodica. Tutti hanno partecipato condividendo con me non solo le ore di studio, ma anche e soprattutto l’amore per la musica e l’interesse emozionato per questa incredibile vicenda. Forse anche grazie alla congiuntura di intenzioni ed approcci simili il risultato è così profondo. Davide Lasala - chitarrista per forza, fonico per professione! - ha creato con me ogni arrangiamento aggiungendo colore, cancellando, picchiando o accarezzando a seconda dei momenti. A lui, senza dubbio, va prima che ad ogni altro la mia riconoscenza. Come hai abbandonato le grezze e aggressive sonorità rock degli Atarassia a favore di arrangiamenti molto più curati ? Ho sempre coltivato anche il mio lato meno “rumoroso”, più intimo. All’ingresso di casa mia ti accolgono due quadri che ritraggono Joe Strummer e De Andrè. Che non sono il diavolo e l’acqua santa, ma due modi diversi di bere lo stesso vino. In alcuni brani emerge palese l’influenza di De Andrè. E’ a lui che ti sei ispirato? No. Anche se l’influenza dei miei ascolti più frequenti è inevitabile. Spero comunque che chiunque possa considerarle sempre e solo influenze e non emulazioni.
evasione suscita però sospetti e un tribunale partigiano milanese li condanna a morte. A Como però nessuno crede al tradimento, tanto che la sentenza non viene eseguita e Canali, ripreso il suo posto nella 52a Brigata, ha un ruolo importante nella cattura di Mussolini. A liberazione avvenuta Neri si oppone all’appropriazione da parte del PCI dell’oro di Dongo, tesoro di Stato. Una scelta coraggiosa che Canali, rapito e scomparso nel nulla, paga con la vita. Stessa sorte tocca a Gianna che indaga sulla fine del compagno. AKAPPA | 107
MILANO
Bar Basso E’ un locale che ha fatto storia a Milano e non solo, famoso per l’invenzione da parte del titolare Mirko Stocchetto del Negroni Sbagliato e del Mangia e Bevi, che vuole uniti in un solo bicchiere gelato e liquore. Erano gli anni ‘60 e per la prima volta Mirko accetta la sfida di portare il cocktail in un bar di strada. Sfida vinta pienamente, il drink all’americana conquista tutti, donne comprese, creando uno stuolo di neofiti incuriositi dagli stessi bicchieri disegnati da Mirko per ospitare le sue creazioni. Oggi questo spirito di innovazione viene portato avanti da Maurizio, figlio di Mirko, che a partire dagli anni ‘80 rende il locale meta prediletta di celebrità dello spettacolo e del mondo del design. Bar Basso diventa ed è un fulcro per il design milanese ed internazionale, con un particolare affollamento durante il periodo del Salone del Mobile. Via Plinio 39 - 20129 Milano tel. +39 0229400580 - info@barbasso.com
COMO
Ratafià - Ramuner
108 | LOCALI
All’inizio è stato Ratafià, un locale curato nell’arredo e nel design con pedane di legno, poltroncine e grandi vetrate; un luogo ideale per ogni momento, dall’aperitivo alla cena e al dopocena, con una cucina aperta fino alle due di notte, la vasta scelta di etichette di vini e una carta cocktail capace di ingolosire e sorprendere, e tutti i giorni dal mercoledì alla domenica, dalle 18,30 alle 21,00 il ricchissimo e ottimo “dinner-buffet”. Oggi a Ratafià si affianca il nuovissimo Spazio Eventi Ramuner, per fare spazio alle idee e regalare a Como il suo primo temporary store. Location ideale per promuovere una mostra o un evento culturale, per festeggiare un Battesimo, un matrimonio, un compleanno o qualsiasi ricorrenza importante, per organizzare un meeting di lavoro o una conferenza. In questo nuovo spazio ciascuno può esprimersi liberando idee e creatività, supportati da uno staff preparato e pronto ad offrire buffet personalizzati, dj set, supporti audiovisivi di ultima generazione. Un ambiente adatto anche a promuovere i propri prodotti e servizi, con durata variabile da pochi giorni a diverse settimane. Lo Spazio Eventi Ramuner regala il giusto luogo e la giusta atmosfera, calda e accogliente, per ogni desiderio. Preventivi gratuiti per ogni tipo di festa o evento. V.le fratelli Rosselli 17 - 22100 Como Tel. 031 571883 - info@ratafia.eu - www.ratafia.eu
COMO
LUGANO
Caffè Ambrosiano
Coccodrillo Snack Bar
Caffè Ambrosiano è il locale ideale per l’aperitivo, posizionato nella splendida cornice di Piazza Cavour a Como. Aperto sette giorni su sette, dalle 7 la mattina alle 2 la notte, è il nuovo punto di incontro per la città. A distinguerlo una lista di oltre 100 cocktail preparati da bartender professionisti, un royale buffet ad accompagnare l’happy-hour tutte le sere con tante proposte sfiziose, tra cui spesso la tartare di manzo che costituisce uno dei fiori all’occhiello anche per i lunch del mezzogiorno. Non mancano ovviamente le proposte per la colazione e per i dopocena. Da non perdere ogni giovedì sera, fino a settembre, l’appuntamento con Aperitour in collaborazione con gli altri locali che si affacciano su Piazza Cavour. E per l’estate 2010 il cocktail da assaggiare assolutamente è un mix delicato ai petali di rosa, da sorseggiare nell’area all’aperto affacciata sul lago. Piazza Cavour, 8 - 22100 Como Tel. 3939649602
Nessuna lacrima per questo coccodrillo, solo sorrisi. Atmosfera accogliente, ideale per la colazione, l’aperitivo o uno spuntino nella vostra passaggiata nel centro di Lugano.Tavolini all’esterno, sulla bellissima via Nassa, tavolini all’interno in un locale curato nel dettaglio dell’estetica e della scelta dei prodotti; qualità svizzera! Via Nassa 62 - 6900 Lugano (CH) Tel. +41 (0)91 9233550 - ansobar@ticino.com
OLGIATE COMASCO
La Perla Troquet “La Perla Troquet”: un locale nuovo, piccolo ma elegante dove chiunque si possa sentire “a casa” e dove gusto, accoglienza e cortesia, uniti a proposte di assoluta qualità sono sempre presenti. Il “buon cibo” ed il “buon bere” creano comunicazione, convivialità, avvicinano le persone, che intorno ad una tavola, possono trovare momenti di serenità e piacevoli sensazioni per il palato. In cucina troviamo lo chef Tiziano Medina. Il menù propone gustosi piatti della cucina tradizionale, rivisitata secondo l’esperienza e la sensibilità dello chef, che utilizza prodotti scelti, freschi e cucinati al momento: pesce di mare, pesce di lago, carni selezionate di allevamento, degustazioni di formaggi e salumi tra le proposte, dolci freschi, una piccola ma curata scelta della cantina vini e liquori. Una tappa obbligata per abbondanti aperitivi prolungati fino a tarda sera oppure per soddisfare temporanee lussuriose voglie culinarie. Viale Trieste 45 - 22077 Olgiate Comasco (CO) Tel. 031 48 92 967 - laperla63@tiscali.it
AKAPPA | 109
APPUNTAMENTI
“La Bisbetica Domata” in scena al Teatro Licinium di Erba dal 3 Luglio al 7 Agosto 2010
proprio degli spettacoli. Anche quest’anno il Teatro Licinium di Erba torna ad Vanno in scena capolavori di grandi autori come Shakespeare, Piaffascinare il suo pubblico nelle serate estive. Dopo il randello, Rostand, Cervantes, Molière e Goethe sotto la direzione grande successo de “La Tempesta”, dello scorso anno, la artistica e regia di Gianlorenzo Brambilla, capace di far coesistere stagione 2010 propone un’altra celebre opera di Shake- e rendere al meglio - attori professionisti e amatoriali. speare: “La Bisbetica Domata”. Gli spettacoli saranno Il 2010 è l’anno del grande rinnovamento: il Teatro Licinium sceripresi tutti i venerdì e sabato dal 3 luglio al 7 agosto, glie un nuovo indirizzo artistico, dedicando l’intera produzione con recupero la domenica in caso di maltempo. esclusivamente alle opere di Shakespeare. La decisione si inserisce Il Teatro all’aperto Licinium di Erba nasce alla fine dein un progetto di più ampio respiro, finalizzato alla valorizzazione gli Anni Venti per volontà dei fratelli Alberto e Federico dello storico Teatro erbese anche in ambito nazionale e internaAiroldi. La progettazione viene affidata agli ingegneri zionale, e al rilancio di un turismo di qualità in Fermo Bassi e Giacomo Pozzoli che, grado di attrarre sul territorio consistenti flussi rifacendosi ai modelli greco-romani Il 2010 come anno turistici. Il bacino più naturale sarà quello costiin voga in quegli anni, realizzano una tuito dai frequentatori abituali, italiani e straniestruttura di forte suggestione, ispirata di svolta: l’intera ai dettami architettonici delle arene produzione dedicata ri, del Lago di Como ma, più in prospettiva, dal formidabile indotto di Expo 2015, con i suoi 23 classiche, e in grado di valorizzare al milioni di visitatori concentrati nell’area milanemeglio la cornice naturale circostante. a Shakespeare se e le sue adiacenze. Inoltre, la struttura en plein Dopo un lungo periodo di declino, air del Licinium, isolata e quasi ‘sospesa’ sulla città, offre la cornice seguito ad anni di grande fama e notorietà, nel 1993 ideale per l’ambientazione delle opere shakespeariane. la gestione artistica del Teatro viene affidata alla neoLa commedia proposta quest’anno è “La Bisbetica Domata” che nata Accademia dei Licini, con la finalità di riportare il verrà affrontata dal regista in chiave meta-teatrale: una sfida dupliLicinium ai suoi antichi ‘splendori’. ce, anche per gli attori, che dovranno recitare secondo i dettami e A restauro ultimato, molte rinomate compagnie tornale ‘mode’ dell’epoca shakespeariana. no a calcare le scene del Licinium, ridestando interesse Nell’accurata trasposizione di Gianlorenzo Brambilla, nulla viene e consensi sempre maggiori. affidato al caso: e se i gesti e i linguaggi teatrali sapranno efficaceNel 2000, la prima svolta decisiva: la produzione in 110 | APPUNTAMENTI
Nella pagina a sinistra: Gianlorenzo Brambilla, regista e direttore artistico de “La Bisbetica Domata”, uno scorcio del teatro all’aperto. In questa pagina: Luisa Rovida De Sanctis, Presidente dell’Accademia dei Licini, e un momento della conferenza stampa.
Malgrado il forte impegno, le attività dell’Accademente ricondurre il pubblico al momento storico in cui si svolge la mia dei Licini non si esauriscono qui: la passione vicenda, non di meno lo faranno i costumi di scena, rigorosamente per il teatro che spinge i suoi membri - tutti volondisegnati e realizzati da Sara Bianchi secondo la moda del tempo. tari - ha dato infatti vita ad un’altra importante iniI ruoli dei protagonisti, Caterina e Petruccio, sono affidati a ziativa, realizzata in collaborazione con l’AssessoraGiovanna Rossi e Mino Manni. Completano il cast altri nomi to alla cultura del Comune di Erba: Il Laboratorio importanti, già noti e cari al Teatro, e alcuni volti nuovi. di Teatro “Gianfranco Mauri”. La qualità e le scelte artistiche dell’Accademia dei Licini Fondato nel 2001 con l’obiettivo di creare un hanno portato il Teatro Licinium a diventare, negli anni, centro permanente per lo sviluppo e la promooggetto di richiamo anche per gli spettatori stranieri. Per zione dell’arte drammatica e della cultura teaagevolare questo pubblico internazionale, nella stagione trale, il Laboratorio consente al 2009 è stata introdotta un’importante novipubblico, in particolare ai giotà, destinata a consolidarsi negli anni a veni- Anche quest’anno i vani, di conoscere più da vicino re: una postazione sperimentale di traduttori simultanei di ultima generazione, che con- visitatori internazionali l’affascinante mondo del teatro e i suoi “mestieri”. sente di seguire i testi in lingua originale. saranno aiutati dai Il percorso formativo proposto dal “Un segno importante di attenzione verso Laboratorio, e aperto anche ai diveril pubblico internazionale che frequenta con traduttori simultanei samente abili, prevede corsi di recitasempre maggiore assiduità e interesse le stazione, sartoria teatrale, accoglienza e, in futuro, scenogioni estive del nostro storico Teatro”, spiega la Presidente grafia, regia, audio-luci. A fine corso gli allievi hanno la dell’Accademia dei Licini, Luisa Rovida De Sanctis. “In possibilità di partecipare al casting per lo spettacolo della prospettiva, il Licinium sarà quindi in grado di ampliare la stagione estiva del Teatro Licinium, oppure di offrire il propria offerta non solo in termini di ‘eccellenza’ artisticaproprio contributo in altri settori di attività ‘artigianali’ continua Rovida – ma anche di modernità e tecnologia, per fondamentali per la messa in scena dell’opera. lo sviluppo di un turismo culturale sempre più esigente e Per ulteriori informazioni: www.licinium.it, oppure ‘intelligente’, che troverà nelle celebrazioni di Expo 2015 scrivere a info@accademiadeilicini.it. uno dei suoi più alti punti di espressione.” AKAPPA | 111
EVENTI
L’arte di Moraldi allo spazio Ramuner a cura di Manuela Dotti
Nel panorama artistico contemporaneo si staglia la figura di Juan Antonio Gonzalez, pittore spagnolo conosciuto anche con il nome d’arte di Moraldi. Aven-
do infatti un nome così comune in Spagna, grazie ad un gioco di combinazione di varie parti dei suoi nomi, ha creato questo pseudonimo ed è curioso come tramite una ricerca in internet Antonio abbia scoperto che proprio un certo Moraldi era un antico mecenate di artisti. Sicuramente un nome azzeccato che gli ha portato molto successo. Gonzalez nasce a Cadice, nell’estremo sud della Spagna, nel 1961 e si avvicina all’arte fin da piccolo, quando invece dei numeri e delle lettere per comunicare usava la pittura. Inizialmente si ispira agli Impressionisti, cercando di copiare i loro quadri, e sarà proprio uno di questi primi esercizi pittorici a fargli vincere un
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premio all’età di 11 anni. Durante l’adolescenza, verso i 17/18 anni, la sua fidanzata di allora Lola, oggi sua splendida moglie e consigliera più fidata, lo spinge a proseguire con la pittura ed è proprio grazie a lei se attualmente possiamo godere dell’arte di Moraldi. L’anno della svolta, e del suo emergere per la prima volta come artista, è il 1992 quando inaugura la sua prima mostra. Da allora non si è più fermato, conquistando fama e popolarità anche a livello internazionale. La pittura di Moraldi, nel suo percorso di crescita e sviluppo, ha attraversato diverse correnti artistiche dall’impressionismo all’espressionismo, dal cubismo alla pittura analitica, fino ad oggi dove si inserisce in una corrente di astrattismo che tuttavia spesso incorpora elementi figurativi, in cui le opere hanno un’intensa forza cromatica e sono caratterizzate da singolari percezioni legate alla sua terra andalusa. Siamo davanti ad un artista che con le combinazioni di colori e linee vuole trasmettere emozioni e molte volte anche elementi del suo privato, senza troppi simbolismi o significati nascosti, dare emozioni e niente di più. Non ha mai
Il Don Chisciotte di Moraldi
avuto un artista di riferimento, ama molto Picasso ma non è di sicuro l’artista che gli dà ispirazione, al contrario questa si sviluppa solo dal continuo lavoro nel suo studio, luogo dove ama rinchiudersi per far fluire al meglio le sue idee. Moraldi è stato protagonista sia di mostre collettive che individuali a Parigi, L’Aja, in Colombia e Argentina e ovviamente nella natia Spagna presso Cordoba, Siviglia, Valencia, Barcellona e Madrid, solo per citarne alcune. Attualmente è possibile ammirare alcune sue opere in esposizione permanente presso la Galleria di Arte “GH 40” di San Fernando a Cadice, alla CIALEC di Cordoba e all’American Print a Barcellona. Durante il suo percorso artistico ha vinto diversi premi, a partire dal 1992 con il Primo Premio di Pittura “La Laguna” a Cadice, fino all’ultimo nel 2010 con la Menzione d’Onore per il XXIX Certamen de Pintura di “Villa de Montellano” a Siviglia. Dall’8 maggio al 21 maggio scorsi alcune opere di Juan Antonio sono state ospitate nella cornice dello Spazio Ramuner a Como, il primo temporary store della città. L’esposizione si è aperta con un vernissage sabato 8 maggio a
cui era presente lo stesso Moraldi che ha intrattenuto il pubblico con una sua performance dal vivo, creando al momento un’opera guidato e ispirato dal violino del maestro Alessandra Romano che collabora con le più importanti orchestre italiane e straniere e che per l’occasione si è esibita in un recital di violino solo. Dal connubio di queste due artisticità è nato un alto momento creativo e musicale insieme, che ha portato ad una nuova opera di Moraldi facilmente associabile ad uno stilizzato “Don Chisciotte” cervantiano sotto gli occhi attenti e curiosi del pubblico, coprotagonista della performance. L’opera è stata poi donata dall’artista al Dott. Luigi Piccinini dell’istituto “Nostra Famiglia” di Bosisio Parini. Per informazioni su Moraldi e la sua attività si possono visitare i siti: http://juanantoniopintor.artelista.com e http://moraldi.blogspot.com
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APPUNTAMENTI
Como Luxury è pronto ad impreziosire l’autunno lariano Il Salone dell’Eccellenza torna a settembre a Villa Olmo Reduce dal successo dell’edizione 2009 “Como Luxury. Il Salone dell’Eccellenza… Just Lux It!” riproporrà dal 24 al 26 settembre a Villa Olmo il meglio del territorio lariano dal punto di vista del turismo, della produzione artigianale e industriale e dei servizi. Cinquanta primarie e selezionate aziende che operano nel mondo del lusso sono pronte a incantare e a guidare i visitatori di Como Luxury in un mondo da sogno dove ogni desiderio diventa realtà, nulla è scontato o globalizzato e diciamolo pure, nulla è alla portata di tutti. L’originalità del Salone dell’Eccellenza ha posto la rassegna di Villa Olmo al top delle esposizione di settore anche al di fuori del territorio lariano. I tremila visitatori dell’edizione pilota del Salone dell’Eccellenza dimostrano quanta sia la sete e la curiosità verso una nicchia di mercato che non sembra conoscere crisi, quella delle cose belle ed esclusive.
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L’edizione di quest’anno di “Como Luxury” si dipana su tre temi principali: “Il turismo di lusso e la realtà territoriale del Lago di Como”, un’analisi sull’indotto turistico dei soggiorni d’élite; Il “Luxury Wedding Day” ossia come rendere esclusivo e da sogno il giorno più importante della vita di una coppia; e una suggestiva rievocazione dello spensierato periodo della “Belle Époque”. Le tre giornate espositive saranno arricchite da numerosi eventi collaterali: sfilate, cocktail musicali e un elegante fuori salone nello Spazio Ramuner. Previsti un’asta benefica, un party e un gran finale con “Sciabola Champagne”. Sono mesi di lavoro intenso e di selezione degli espositori per lo staff organizzativo di “Como Luxury”, coordinato dal direttore artistico Paolo Polli. Il team di lavoro ha varato, per arricchire ulteriormente l’edizione 2010 della manifestazione, anche un’inedita partnership con il golf, lo sport dell’eleganza per eccellenza. “Como Luxury” è infatti sponsor del Como Golf Trophy, una suggestiva sfida a tappe sugli splendidi green delle province di Como e di Lecco. Info: www.comoluxury.it
Il direttore artistico Paolo Polli
Il fuorisalone allestito allo spazio Ramuner
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L’arte di Giampaolo Talani
EVENTI
Il maestro dell’ “a fresco” alla GALP di Olgiate Comasco a cura di Martina Moretti
nale. Passando infatti attraverso la pittura, la scultura e la perforE’ stata inaugurata l’8 maggio al centro espositivo mance Talani si è affermato oggi in una complessità artistica che Galleria “La Perla” di Olgiate Comasco la mostra lo vede come massimo conoscitore, tra i contemporanei, della dedicata a Giampaolo Talani, artista toscano che tecnica pittorica “strappo d’affresco”. E’ infatti suo il più grande negli ultimi anni ha raggiunto notorietà sia in Itastrappo d’affresco al mondo dal titolo “Partenze”, circa 80 mq, lia che all’estero e che la critica considera come uno posizionato all’interno della stazione di Santa Maria Novella a dei più autorevoli tra i pittori di ultima generazione. Firenze nel 2006; grazie a particolari studi tecnici l’affresco è Un evento importante che ha permesso di avvicinare stato realizzato con la possibilità di essere trasportabile e ricolall’opera dell’artista molti visitatori ormai affezionati locabile anche altrove. Con quest’opera Talani agli appuntamenti culturali della Galviene riconosciuto e consacrato come un’artista leria olgiatese. Non solo pittura, dalle grandi potenzialità espressive, in grado di A tessere le lodi di Talani non si è realizzare progetti pubblici di forte impatto e risparmiato neppure Vittorio Sgarbi, ma anche scultura unanime condivisione. Anche per la profonda che ha molto apprezzato una sua mo- combinata alla conoscenza della pittura a fresco Talani è constra dedicata alla tematica del mare e che potrebbe anche fare da ponte per performance artistica sulente designato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali per iniziative volte alla conuna partecipazione dell’artista alla servazione e valorizzazione delle più antiche opere a fresco esiprossima Biennale di Venezia. All’evento di apertura stenti in Italia. Ma Talani non è solo pittura, in lui trova ampio della mostra è stato molto interessante il contributo spazio anche la scultura combinata con la performance; ricordiadi Massimo Ferrarotti, critico specializzato della nota mo a questo proposito la sua partecipazione nel giugno del 2009 galleria d’arte “Spirale Milano” relatore della serata, alle celebrazioni europee per il ventennale della caduta del muro che ha permesso di meglio capire e conoscere il percon l’installazione “Berlino oltre la duna – Gli ombrelli della corso artistico di Talani riconducibile alla scelta di libertà” a Berlino. Si trattava di una installazione con un centiqualificare la sua arte attraverso un percorso istituzio-
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naio di ombrelloni da mare originati dal busto alto 3 metri di un marinaio fuso in resina, che letteralmente volavano oltre quel che resta del muro berlinese, lungo le rive della Sprea. Talani ha inaugurato, con questa performance, una poetica della libertà che gli ha permesso di toccare e visitare altri luoghi, laddove l’uomo prima si è tolto e poi ha riconquistato la sua libertà. Altra tappa fondamentale per l’artista è stata il 13 giugno scorso l’inaugurazione dell’opera monumentale “Il Marinaio”, presso il nuovo porto turistico di San Vincenzo (Li), alta 7 metri. Da questo marinaio lo stesso Talani aveva preso spunto per creare il mezzo busto di marinaio collocato a Berlino lo scorso giugno. Una riproduzione in piccolo dell’opera, una scultura in bronzo di 119 centimetri, rientrava anche nel percorso espositivo allestito alla Galleria “La perla” e che è stato possibile ammirare durante l’intero periodo di apertura accanto ad altre 40 opere di Talani, tra cui diversi “strappi d’affresco”, oli su teli di juta, oli su tavola vecchia e altre sculture in bronzo. Come ha sottolineato Massimo Ferrarotti, Talani si distingue per la capacità di confronto non solo con il lavoro di realizzazione spicciolo dell’opera, che comunque c’è ed è tangibile che si tratti dell’affresco o della tela, ma egli sa andare oltre e non rinuncia mai alla sua vitalità artistica anche attraverso progetti istituzionali di cui l’ultima opera ,“Il Marinaio”, ne è un esempio.
E in questo percorso rientra la sua probabile partecipazione alla prossima Biennale di Venezia, sede istituzionale e punto d’arrivo che avverrà attraverso l’affresco, con un ritorno proprio alla tradizione pittorica. Insomma un contributo importante per la realtà artistica italiana contemporanea che può fregiarsi di questo artista affermato che percorre la penisola e che ha lasciato un segno tangibile di presenza anche con l’esposizione temporanea durante il mese di maggio ospitata alla Galleria “La Perla”. Grazie alla dedizione e al lavoro del titolare Mauro Colombo, che inizia la sua attività nel 1984 con il laboratorio di cornici offrendo qualità e competenza per ogni tipo di prodotto, dall’opera d’arte alla fotografia, oggi “La Perla” può vantarsi a pieno del titolo di Galleria con le diverse mostre ospitate negli ultimi anni e la vasta offerta di opere di artisti italiani e stranieri e di varie tecniche pittoriche che qui trovano spazio. Info: GALP - Piazza Umberto I, 9 – 22077 Olgiate Comasco (Co) - tel. (+39) 031944063 - www.cornicilaperla.it
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EVENTI
Da Pagani il segreto degli Champeneuse a cura di Martina Moretti
Una serata di alta enologia dedicata a Champagne Henriot è stata ospitata il 25 maggio nello storico magazzino Pagani a Lurate Caccivio. Pagani S.r.l. che del commercio di acque, bevande, liquori e vini ha fatto il proprio business, da sempre affermata sul territorio, inaugura oggi anche la rivendita della prestigiosa marca Champagne Henriot, una certezza per gli esperti di enologia e una piacevole scoperta per chiunque si avvicini al mondo dello champagne. Per scoprire i segreti di questa tradizione vinicola è necessario risalire al XVI secolo quando Nicolas Simon Henriot, proveniente da una famiglia borghese “champenoise” attiva nel commercio della lana, sposa Apolline Godinot, nipote dell’Abbé Godinot, uomo di grande cultura i cui lavori hanno contribuito al progresso della viticoltura. Questo matrimonio sancisce una fruttuosa alleanza familiare che darà vita allo Champagne Henriot. E’ poi nel 1808 con Apolline Henriot che viene fondata la Maison Henriot; grazie alla sua forte personalità e al coraggio imprenditoriale Apolline inizia a commerciare i suoi vini in Francia e all’estero, in un’escalation di successi e conquiste. Nella storia della Maison, infatti, diversi sono i ri-
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conoscimenti ufficiali da parte delle grandi corti reali a partire dal re d’Olanda che le attribuisce il Brevetto Reale di fornitore ufficiale della Corte nel 1850, fino a Francesco-Giuseppe II, Imperatore d’Austria e Re di Ungheria, che nel 1905 lo concede a Alexandre Henriot. Dopo un periodo di crisi all’inizio del XX secolo, a causa della fillossera che distrugge i vigneti e dagli eventi della prima guerra mondiale che distruggono Reims e la sua regione, a partire dagli anni ‘30 la produzione della Maison Henriot riprende con l’acquisto di nuove proprietà e aprendosi a nuovi mercati d’esportazione. Ad oggi, dopo sette generazioni, vengono ancora conservati e arricchiti i segreti della fondatrice Apolline con una produzione eccellente e un mercato d’esportazione che permette di trovare gli Champagne Henriot nei più prestigiosi hotel e ristoranti del mondo. La produzione di Champagne Henriot è assicurata dai vigneti della Maison situati sulla Côte des Blancs e sulla Montagne de Reims nel Nord-Ovest della Francia, ma anche da contratti a lungo termine con viticoltori fedeli alla Maison da molte generazioni. Ciò che distingue i prodotti Henriot è la preferenza nell’assemblaggio solo di Pinot Nero e Chardonnay e la scelta di lasciare i suoi vini ad invecchiare in cantina molto a lungo. La famiglia Henriot da sempre predilige la qualità alla resa; i vigneti sono rispettati al meglio e coltivati
500 anni di bollicine di classe
senza diserbanti e senza l’uso di concimi. Durante la vendemmia i raccoglitori procedono esclusivamente con la raccolta a mano per permettere solo la scelta dei migliori grappoli. La pressatura è poi realizzata singolarmente per ogni parcella preferibilmente sul luogo della vendemmia o in zone limitrofe, evitando lunghi trasporti che sarebbero dannosi alla freschezza delle uve. I mosti decantati e fermentati vengono così assemblati la primavera successiva alla raccolta per giungere ad una sola filtrazione con argilla, che permette di eliminare le ultime impurità, e poi all’imbottigliamento. Gli Champagne Henriot riposano infine per un lungo periodo di maturazione nella calma e oscurità delle “Crayères” Gallo-Romane di Reims, cantine scavate nella creta a 18 metri di profondità. Il tempo di riposo è diverso a seconda delle cuvées, alle quali la Maison lascia il tempo necessario per esprimersi anche con tempi di maturazione due volte più lunghi di quelli imposti dalla legge. Un prodotto quindi raffinato e unico, che concentra in sé tutte le qualità di una produzione che ripercorre la tradizione della famiglia Henriot e per il quale oggi Pagani S.r.l. ne diventa distributore ufficiale. Per maggiori informazioni e per scoprire tutta la gamma degli Champagne Henriot ci si può rivolgere a Pagani S.r.l. a Lurate Caccivio contattando il numero (+39)031 490278 o visitando direttamente l’attività in via IV Novembre, 5.
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Agosto
Dalla-De Gregori in concerto Toccherà anche Campione di Italia il tour 2010 della ritrovata coppia Dalla – De Gregori che tanto successo ha registrato nei maggiori teatri e città d’Italia. Riflettori puntati dunque in Piazza Maestri Campionesi il 9 agosto alle ore 21.00, la prenotazione dei biglietti può essere effettuata presso l’Azienda Turistica di Campione d’Italia o tramite Ticino Online; costo dei biglietti 35 Frs. (25 Euro) posti a sedere o 20 Frs. (14 Euro) posti in piedi. Per informazioni: tel. 004191 649 5051
12-22 Luglio
“10 Giorni Suonati” a Vigevano Nasce una nuova rassegna nel panorama musicale dell’estate italiana: “10 GIORNI SUONATI”. Tra il 12 e il 22 luglio 2010 si esibiranno infatti al Castello di Vigevano, pochi chilometri fuori Milano, artisti nazionali ed internazionali, tra cui Roberto Vecchioni e J-Ax. Sarà predisposto anche un servizio di gastronomia per assaporare l’eccellenza di cibi e bevande di provenienza e qualità particolarmente ricercate, all’insegna della valorizzazione di luoghi, sapori e suoni indiscutibilmente riconosciuti come patrimonio culturale. Infine a precedere alcuni dei concerti in programma sarà una serie di “Aperitivi con l’Autore”, per conoscere i protagonisti della letteratura musicale attraverso incontri aperti al pubblico con alcuni scrittori, giornalisti, autori e musicisti.
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Agenda dal 3 Luglio al 7 Agosto tutti i venerdì e sabato
La Bisbetica Domata al Licinium di Erba La Bisbetica Domata, nuovo spettacolo della stagione 2010 teatro Licinium – Erba (CO). Ritorna l’appuntamento con la rassegna 2010 al Teatro Licinium di Erba (Co), dopo “La tempesta” dello scorso anno ecco un nuovo testo shakesperiano ad animare le notti estive erbesi. La scelta di Gianlorenzo Brambilla, regista della Compagnia dei Licini, è caduta questa volta su “La Bisbetica Domata”; una storia che “sembra scritta da un misogino” dice Brambilla, ma forse “c’è ancora qualcos’altro da scoprire... in un percorso che a differenza delle apparenze non celebra la vittoria della forza e della prevaricazione maschile, ma è un inno all’essenza stessa del femminile”. Guardare per credere! Date spettacoli: 3, 9, 10, 16, 17, 23, 24, 30, 31 luglio e 6, 7 agosto. Inizio ore 21.30. Info: www.teatrolicinium.it
www.teatrolicinium.it
LA
BISBETIC A domata di WILLIAM SHAKESPEARE
REgIA di
gianlorenzo Brambilla con Dafne Niglio, Mino Manni, Antonio grazioli, Sergio Masieri, Mattia Colombo, Marco Ballerini
3. 9. 10. 16. 17. 23. 24. 30. 31 luglio 6. 7 agosto 2010 - ore 21.30 biglietti: interi c23 - ridotti c18 · ingresso gratuito fino a 12 anni Infoline 24/24h e prenotazioni: 02.54915 www.ticket.it/licinium
Prevendite: circuito Ticket.it
Prenoticket
Punti info a Erba: LA LIBRERIA di VIA VOLTA - ERBALIBRI corso XXV Aprile, 45 - LIBRERIA COLOMBRE via Plinio, 27
fino al
5
Settembre
Ernesto Neto Dal 19 giugno al 5 settembre la Hayward Gallery di South Bank ospita le straordinarie installazioni di Ernesto Neto, rinomato per le sue opere d’arte coinvolgenti, spesso realizzate in lycra allungata, che danno l’impressione di trovarsi all’interno di un corpo. Visitabile giovedì, sabato e domenica dalle 10.00 alle 18.00, il venerdì dalle 10.00 alle 22.00.
Agenda 18-30 Festival di Cernobbio
Luglio
Sarà la musica classica a fare da protagonista in questo “Festival Città di Cernobbio”, che si terrà in Riva, una delle più belle piazze affacciate sul Lago di Como, dal 18 al 30 luglio. Organizzato dal Comune con il patrocinio di tre Ministeri (Beni e Attività Culturali, Gioventù e Turismo) e con i contributi di Regione Lombardia, Provincia di Como e importanti sponsor privati, la manifestazione si pone l’obiettivo di avvicinare il grande pubblico alla musica classica e farne apprezzare, in un contesto paesaggistico di assoluta bellezza, l’intensità espressiva. Le novità di questa edizione saranno il teatro-tenda trasparente e il progetto benefico a favore della Fondazione per la ricerca sulla Fibrosi cistica onlus (FFC). Per informazioni sul programma delle esibizioni visitare il sito www. festivaldicernobbio.eu
23-30 7 Luglio
Agosto
Olgiate Viva 5 buoni motivi per vivere l’estate a Olgiate! 5 serate di negozi aperti, rassegne culturali, degustazioni enogastronomiche, concerti e iniziative per i più piccoli. Organizzata dall’Assessorato al Commercio del Comune di Olgiate Comasco con la collaborazione di UPCTS sezione olgiatese, l’Assessorato alla Cultura Comune di Olgiate Comasco, la Proloco olgiatese e con il Patrocinio di Camera di Commercio di Como, Olgiate Viva coinvolge e promuove tutte le attività commerciali della cittadina nelle serate del 3, 10, 23, 30 luglio e 7 agosto, dalle 19.00 alle 24.00. Da non perdere tra gli altri gli Aperitivivi con la possibilità di un aperitivo omaggio nei locali aderenti presentando il gettone free-drink, e le degustazioni di birre artigianali a cura di Birrificio Italiano, Doppiomalto, Menaresta, Birrificio Lariano e Bidù; entrambi tra le 19.00 e le 20.30. Per ulteriori informazioni: www.olgiateviva.it o info@olgiateviva.it
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COMO
Agenda fino alla Primavera 2011
Quel genio di Leonardo... La mostra “Leonardo da Vinci – Il genio e le invenzioni” di Roma presenta quasi cinquanta macchine inventate dallo sconfinato genio di Leonardo da Vinci: macchine per il volo, come il predecessore del paracadute, una bicicletta, una sega idraulica e molte altre invenzioni. Tutte le macchine sono funzionanti e possono essere toccate e provate, per consentire un’intensa esperienza percettiva sensoriale attraverso cui attivare meccanismi emotivi e cognitivi in rapporto profondo con la ateria “Leonardo”. Le macchine sono suddivise in 5 categorie. I 4 elementi essenziali della vita - acqua, aria, terra e fuoco - ai quali si aggiunge la categoria “Elementi macchinali” o Meccanismi, che comprende tutti quei meccanismi con diverse possibilità di applicazione, come la trasformazione del moto o la vite senza fine. Uno dei progetti più interessanti è il Carro Armato, per la prima volta a Roma nella sua grandezza originale: pesa due tonnellate, ha un diametro di circa sei metri ed è alto tre. Il carro armato è visitabile al suo interno. La mostra sarà aperta fino al 30 Aprile 2011, all’interno dello storico Palazzo della Cancelleria, in Piazza della Cancelleria (adiac. Piazza Campo de’ Fiori). Ulteriori informazioni: www.mostradileonardo.com
Como Contemporary Contest 10 Dal 6 giugno al 25 luglio, lo Spazio Natta (via Natta 18) di Como ospiterà la mostra dei finalisti della seconda edizione di CO.CO.CO. - Como Contemporary Contest, il concorso ideato e promosso dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Como, con lo scopo di promuovere i giovani talenti sulla scena dell’arte contemporanea e diventare punto di riferimento delle poetiche delle nuove generazioni. L’esposizione darà voce a una pluralità di linguaggi che vanno dalla pittura alla fotografia, dalla scultura alla video arte, e rappresenta un’opportunità concreta per far conoscere il lavoro di questi giovani talenti, che si affacciano sul palcoscenico della grande arte. Info: Assessorato alla Cultura, Comune di Como cultura@comune.como.it www.comune.como.it L’opera di Aura Zecchini, vincitrice della prima edizione del “CO. CO. CO.”
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fino al Luglio
Olgiate Comasco - via San Gerardo, 40
Agenda L’architettura vegetale di Löhr a Villa Panza
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fino al Settembre
Fino al 5 settembre sarà possibile visitare la mostra “Christiane Löhr. Dividere il vuoto”, organizzata dal FAI –Fondo Ambiente Italiano- nelle Scuderie di Villa e Collezione Panza di Varese. Oltre 50 le opere esposte, tra disegni, installazioni, sculture, alcune delle quali realizzate esclusivamente per gli spazi espositivi delle Scuderie. L’artista tedesca presenta infatti una serie di microcosmi che si sviluppano negli spazi della Villa creando un affascinante relazione con l’architettura. Il filo conduttore delle opere è il contatto diretto con la natura, che scaturisce dall’utilizzo insolito di materiali come semi di piante, crini di cavallo, e altri selezionati appositamente dall’artista, attingendo anche alle risorse naturali dei 33.000 metri quadrati di parco che circondano Villa Panza, con la volontà di creare un percorso poetico e un’inconsueta relazione tra interno ed esterno.
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Milano Jazzin’ Festival 2010
fino al Agosto
foto Gianluca Saragò
Torna anche quest’anno per la sua quarta edizione il Milano Jazzin’Festival, dal 12 luglio al 2 agosto nella cornice dell’Arena Civica “Gianni Brera”. L’MJF è il più grande Festival musicale della città lombarda, che con le sue scelte artistiche sempre rivolte all’eccellenza, proietta il capoluogo in una dimensione non più solo italiana ma internazionale. Un cartellone eclettico, scelto con la consulenza di Nick The Nightfly come direttore artistico. Tutti i concerti MJF sono disponibili in prevendita sul sito ufficiale
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Tutte le date 12 luglio Mario Biondi 13 luglio Elisa 14 luglio Mark Knopfler 15 luglio Kruder&Dorfmaister 16 luglio Crosby Stills and Nash 17 luglio Cerrone 18 luglio Dweezil Zappa Plays Zappa 19 luglio Dulce Pontes 20 luglio Norah Jones 21 luglio Paolo Nutini 22 luglio Pink Martini 23 luglio Swing Out Sister 24 luglio Bookashade Live + Gus Gus Dj 25 luglio Mike Patton’s Mondo Cane 27 luglio Gary Moore 28 luglio Dirty Dozen Brass Band 02 agosto Sa Ding Ding
BOMBONIERE UNICEF. COSÌ I RICORDI PIÙ BELLI NON SARANNO SOLTANTO I TUOI.
Trasforma ogni ricorrenza in un aiuto concreto. Con una bomboniera UNICEF scegli di legare i momenti più importanti della tua vita al futuro di milioni di bambini. Un gesto d’amore che servirà a comprare zanzariere antimalaria, vaccini contro il morbillo, matite per la scuola in paesi come Niger, Haiti, Eritrea e tanti altri: sul sito dell’UNICEF potrai scoprire dove sono arrivati i tuoi aiuti. Trasforma la tua festa in quella dei bambini di tutto il mondo. Matrimonio, battesimo, comunione, cresima, laurea: scegli la tua bomboniera su
uniti per i bambini
unicef
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Famosi per 15 minuti Giulio Canepa, 26 anni, italiano, tatuatore.
Quale veicolo possiede? Macchina e Harley Davidson. Secondo lei qual è il futuro della mobilità: auto a gpl, idrogeno, elettrica, bicicletta, mezzi pubblici o astronavi? Nel futuro ci muoveremo a piedi nudi.
Qual è la lezione più importante che le ha insegnato la vita? Farmi i fatti miei. Qual è la sua più grande paura? Fallire.
Nudi? Ovvio!
Dove vorrebbe vivere? A casa mia, ovunque sia.
Come si informa? Con internet.
Chi vorrebbe che la impersonasse in un film sulla sua vita? Benicio Del Toro.
Cane o gatto come animale di compagnia? Cane... ma purtroppo ho un gatto per questioni d’amore. Il problema del clima realtà o finzione? Realtà. Quale persona vivente ammira di più e perchè? Mio padre, perchè è una persona umile. Cosa deplora maggiormente negli altri? La maleducazione; un buongiorno o un sorriso non fanno mai male a nessuno. Qual è la sua idea di felicità? La semplicità.
Qual è il suo libro preferito? “Gomorra” di Saviano. Meglio dare o ricevere? Meglio dare. Come si rilassa normalmente? Disegnando o dipingendo. Quale canzone volesse fosse suonata in sua memoria? “Highway to hell” degli AC/DC.
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