Dissentire
Casa Masaccio San Giovanni Valdarno 04.05.13 – 09.06.13
Documentazione -----
Dissentire Alba Braza BoĂŻls Fotografie
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Interviste Fernando SĂĄnchez Castillo
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Cristina Lucas
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Cabello/Carceller 29 Yaima Carrazana
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Michelangelo Consani
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Dissentire
Alba Braza Boïls
Il dialogo non poteva finire parlando del passato fra di noi (artistacuratore), è stata un’opportunità per disfare, rifare, fare e coinvolgere anche il pubblico che di solito visita Casa Masaccio. La mostra ha tre punti di partenza sovrapposti che confliggono volutamente fra loro: Dissentire dalla storia attraverso l’opera d’arte, Dissentire dalla storia narrata da opere monumentali e/o anonime, Dissentire su di noi come partecipanti al gioco. ---------------------------------------------------------------------------------------Dissentire dalla storia attraverso l’opera d’arte
Tradizionalmente la storia dell’arte e la storia sono presentate in modo parallelo, rendendo la storia dell’arte uno strumento oggettivo, documentario. Possiamo considerare più semplice interpretare l’arte contemporanea come un racconto pieno di decodificazioni soggettive risultanti dall’ideologia di ogni artista; l’arte del passato è invece ormai consacrata, si colloca di solito all’interno di una cornice fissa con una lettura già stabilita dalle proprie fonti di documentazione. Non avendo come premessa la realizzazione della scrittura di una storia alternativa a quella ufficiale, né di concentrarci su casi concreti, “Dissentire” mette in evidenza il ruolo dell’artista come elemento di trasmissione e come agente critico, e riflette sul potenziale della storia dell’arte come risorsa per scrivere la storia. Nel nostro “Dissentire”, diventa molto importante un’introduzione e l’informazione relativa alle circostanze dalle quali è partita l’opera per porre il pubblico in una posizione che gli permetta di avere uno sguardo critico senza dover cercare tali informazioni, consapevoli di correre il rischio di sembrare troppo didattici e descrittivi. Questo testo diventa allo stesso tempo testimone e preambolo di una serie d’interviste fatte a ogni artista per porre l’opera nel contesto della mostra e all’interno del percorso artistico di ognuno. La mostra stessa è concepita come testo, un capitolo da aggiungere all’interno di un raccoglitore più ampio che forse appartiene a un archivio storico o a una raccolta di documenti utili alla realizzazione di un libro di storia a carattere divulgativo. In questa ipotetica integrazione si inseriscono i lavori di artisti che usano l’arte come mezzo per riflettere sul ruolo che essa ha di strumento di trasmissione e creatore di soggettività. Le origini degli artisti e il loro pensiero sul mondo sono decisivi al fine del loro inserimento in questo immaginario raccoglitore. Cabello/Carceller, Fernando Sánchez Castillo e Cristina Lucas sono di origine spagnola, mentre Yaima Carrazana è cubana. Michelangelo Consani è l’unico artista italiano e non a caso la sua presenza si ripete con due mostre consecutive a Casa Masaccio.
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Fra le immagini che ormai formano la nostra memoria, che identifichiamo come un fatto storico univoco, troviamo “La libertà che guida il popolo” (1830) di Eugène Delacroix, sulla quale potremmo aggiungere, come disse Roland Barthes, che per spiegare qualcosa, il pittore ha a disposizione soltanto un istante, che immobilizzerà sulla tela, per questo lo deve scegliere con molta cura (“Diderot, Brecht, Eisenstein”, Image—Music— Text, Hill and Wang, 1997). Cristina Lucas, avvantaggiata dal poter lavorare con l’immagine in movimento, parte da questa accurata scena, scelta da Delacroix, per fare una lettura critica di quel trionfo delle libertà ottenute grazie alla Rivoluzione Francese, che ipotizzava grandi progressi per i cittadini. Ci teniamo a sottolineare che cittadini non era un termine generico ma che si riferiva unicamente agli uomini. Questo video, La liberté raisonnée, parte ironicamente dal dipinto, che usa l’immagine della donna come allegoria della libertà che guida e conduce il popolo ad un finale sanguinario per ottenerla. Ora, con uno sguardo critico nei confronti di un sistema di potere, Lucas ci offre una lettura degli avvenimenti dopo la scena suddetta, basata sull’aggressione violenta da parte del gruppo che non si lascia scappare l’occasione della caduta a terra della donna. Occorre a questo punto ricordare che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, conteneva i principi di uguaglianza, sovranità democratica, e libertà fra gli strati sociali, ma la donna era esclusa dal diritto di voto. Lucas ha una visione nata dalle esperienze e dai cambiamenti che sono accaduti dopo il momento scelto sia da Delacroix sia da lei e anche dal fatto che oggi ci possiamo permettere con più facilità di parlare con libertà e senza timore di commettere errori. Lo stesso succede in Habla, sempre di Cristina Lucas. Inizia dalla leggenda che racconta di Michelangelo che, contemplando il “Mosè” al termine delle ultime rifiniture, picchiando con il martello sul ginocchio della scultura chiede: “Perché non parli?”. Leggenda o realtà, possiamo solo essere certi che non ebbe alcuna risposta, così come Lucas quando
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si rivolge a questa immagine del patriarca del monoteismo chiedendo risposte e chiarimenti, lasciandosi trasportare dall’ira causata dall’incomprensione, arriva fino a distruggere (forse “uccidere”) la scultura a martellate. Una distruzione del padre che ci riporta a Freud e Nietzsche e a tutti i conflitti socio-politici fra religioni che non hanno trovato ancora soluzione. Simboli di potere che si nascondono dietro la bellezza sono presenti anche in Pegasus Dance, di Fernando Sánchez Castillo. Nel video due furgoni usati dalla polizia antisommossa fanno un’esibizione coreografica al ritmo di “Artist Life” di Strauss. Si tratta di un dolce ballo dove la comunicazione fra le due parti, i due furgoni, è molto presente. Il bisogno di creare nuovi capitoli in libri già compiuti è anche una risposta al desiderio di capire il presente, le sue incoerenze e come si è andata formando la cosiddetta visione oggettiva. Necessità oggi ancora più urgente in un presente ricco di trasformazioni epocali e di svolte politico-economiche a livello globale, che non solo richiedono risposte, ma sono anche consapevoli dell’esistenza di spiegazioni che giacciono dimenticate in archivi nefandi. Álex, la protagonista di A/O (Caso Céspedes), di Cabello/Carceller, azzarda e apre uno degli archivi più segreti e oscuri, quello dei processi dell’Inquisizione Spagnola. Si tratta della narrazione della vita di Elena/o de Céspedes, personaggio della Spagna del secolo XVI che è rimasto a margine degli interessi di cronisti, storici, e scrittori di storia “alternativa”. Nel nostro contesto (Dissentire) soffermarsi a narrare la sua vita e spiegare le ragioni per cui è stata scelta da Cabello/Carceller diventa un vero bisogno, come se si parlasse di un racconto o di una fiaba. Elena, nata in Alhama de Granada, donna, mulatta e schiava si libererà dal suo giogo, sposerà un uomo da cui avrà un figlio del quale si perde subito ogni traccia. Cambia città abbandonando la sua vita precedente e impara il mestiere di sarto per poi lavorare per un mercante, lo stesso che, poco tempo dopo, venendo a sapere che Elena intrattiene rapporti sessuali con sua moglie, geloso, la caccia dalla sua casa e la accoltella. Questo, è solo un piccolo aneddoto della sua vita. Ad appena venti anni, decide di andare alla Guerra dei Moreschi come uomo. Da questo momento, nel racconto, ogni regola grammaticale di concordanza fra i generi diventa povera e insufficiente per definire Elena/o. Devo cancellare più volte le parole scritte quando cerco di spiegare le ragioni di un avvenimento che le accade oppure quando semplicemente devo trovare la parola giusta per parlare di lui/lei, il vocabolario non è ancora pronto per farlo in maniera corretta. Rimane il fatto che fino a qui è sopravvissuta e che d’ora in poi si farà chiamare Céspedes. Finita la guerra lascia l’Andalusia per la Castiglia, per vivere un’altra vita, ora come chirurgo, mestiere che impara dal chirurgo della Corte di Castiglia con il quale intrattiene una stretta amicizia. I pochi dati su di lei/lui che sono arrivati fino a noi, il come e quando, si
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trovano negli atti del Tribunale dell’Inquisizione davanti al quale viene trascinata due volte per essersi risposata senza aver annullato il primo matrimonio. Questa volta Céspedes è sposata con una donna e pur essendo felice e lontana dalla vita precedente, viene denunciata da un ex compagno di guerra, che giura che è una donna. Al primo processo, dopo gli esami, i medici, certificano che Céspedes è chiaramente un uomo, ma nel secondo quando ormai non cercano più di provare che sia un uomo, le suore incaricate dell’esame, certificano che si tratta di un ermafrodito. Il suo reato fu quello di bigamia, la sua pena duecento colpi di frusta e la condanna a dieci anni di attività, come donna, in un ospedale. La vita di Céspedes apre nuove prospettive di studio sulla schiavitù, sulla medicina, sul ruolo sociale del Sant’Uffizio, sul transgenderismo e sul lesbismo. Per arrivare al racconto è stato necessario, per Cabello/Carceller, condurre una accurata ricerca dei documenti rimasti e sparsi in diversi archivi. L’opera, A/O (caso Céspedes), narra la vita di Céspedes attraverso l’identità di Álex, che assumendo l’immagine del protagonista del film di Antonioni Blow Up (1966), ci pone la seguente domanda: “Il presente è il prodotto del passato, ma cosa sappiamo noi della storia?”. Álex si appropria della macchina fotografica, che userà per raccontare la vita di Céspedes, per trovare se stessa e per trasportarci nelle diverse sequenze del film di Antonioni. Lontano da Álex e Céspedes, Susan Sontag scriveva: In Blow Up, Antonioni mostra un fotografo di moda che ondeggia convulsamente sul corpo di Verushka facendo continuamente scattare la sua macchina. Macché sconveniente! In realtà l’usare la macchina fotografica non è un modo molto efficace di instaurare un rapporto sessuale con qualcuno. La macchina non stupra, e neanche possiede, anche se può intromettersi, invadere, trasgredire, distorcere, sfruttare e spingendo la metafora all’estremo, assassinare, tutte attività che, a differenza dell’atto sessuale, possono essere svolte anche da lontano, e con un certo distacco. (Susan Sontag, “Sulla fotografia Realtà e immagine nella nostra società”, Einaudi, 1978). “Dissentire” stabilisce il ruolo dell’artista come cronista della storia e lo assume come una figura che ha la possibilità di aprire nuove letture. Senza trattarsi di esempi unici, né pretendendo che siano rivelatori, tutte le opere in mostra trattano questo discorso in modo diverso. Yaima Carrazana indaga negli errori di traduzione degli errata corrige che compaiono a volte nei mezzi di divulgazione. Potrebbe sembrarci strano l’errore di interpretazione che finì per dare delle piccole corna al “Mosè” di Michelangelo, ma invece non si tratta di un fatto isolato. Che Guevara y el Arte Conceptual è composto da un libro trovato dall’artista, intitolato “Conceptual Art”, edito da Taschen nel
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2005, aperto alla pagina otto, sulla quale Carrazana ha effettuato un intervento che è consistito nell’evidenziare in colore giallo un errore palese trovato in una frase del testo, che recita così: “Che Guevara morì in Colombia in uno scontro con l’esercito.” Forse “scontro” è una interpretazione soggettiva dello scrittore, o forse si tratta di una traduzione inesatta, ma sicuramente accadde in Bolivia.
rappresenta un aguzzino che brandisce la frusta e la seconda uno schiavo incatenato. Nonostante il loro aspetto monumentale, sono di piccolo formato, tascabili, all’urgenza facili da nascondere. Inoltre, il termine “false flag” (falsa bandiera) allude alla strategia condotta generalmente da governi, servizi segreti o agenzie d’intelligence, che creano falsi nemici per depistare e controllare l’opinione pubblica.
Una modifica della logica dell’ordine e della composizione potrebbe essere la spiegazione di Untitled. (Moscú 1988 - New York 2003) sempre di Yaima Carrazana. Qui si mostrano due libri: Kasimir Malevich 1878-1935, Mosca 1988 e Kasimir Malevich: Suprematism, New York, 2003. Entrambi illustrano il lavoro Rettangolo Nero, Triangolo Blu (1915) di Malevich, ma mentre nel primo l’opera è correttamente collocata, nel secondo l’immagine è ruotata di novanta gradi, in modo tale che l’opera ora è più vicina ad un paesaggio con una montagna blu che all’opera originale.
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---------------------------------------------------------------------------------------Dissentire dalla storia narrata da opere monumentali e/o anonime Uno dei lavori che riprende discorsi che rompono patti di silenzio fra presunti gentiluomini e che dà parola a personaggi secondari è Baraka, di Fernando Sánchez Castillo. Il video parla della recente storia spagnola, del periodo della dittatura di Franco, che comincia nel 1939 e finisce con la sua morte nel 1979. “Baraka” è un termine arabo che significa fortuna, destino e forza e veniva usato dalle truppe marocchine per rivolgersi al Generale. Nel video l’artista intervista la persona che ha aiutato a realizzare la maschera mortuaria del dittatore. L’artigiano, fino ad ora anonimo, assisteva in questo lavoro lo scultore Santiago de Santiago. Nell’intervista ci spiega dettagliatamente il processo di realizzazione delle ultime tre immagini fatte a Franco dopo la sua morte: calco del viso, del pugno e del palmo della sua mano. Si tratta di una testimonianza che comincia con la confessione dell’artigiano di aver preso un ciglio del defunto, ciglio che diventerà un’ossessione per l’artista; il video continua con la visita di Sánchez Castillo a una serie di indovini per far leggere, attraverso una fotografia, le linee della mano del dittatore. La revisione della storiografia può causare discordia e risvegliare emozioni che pensavamo dimenticate. Per effettuarla basta spostare e nascondere le statue, oppure abbiamo bisogno di distruggerle? Potremmo includere le statue equestri o maschere mortuarie recenti dentro la storia dell’arte privandole del messaggio per il quale furono create? False Flag, di Michelangelo Consani, usa il potere trasmesso dalle opere monumentali e dalle statue commemorative a beneficio di chi dissente. Le due sculture sono di artisti anonimi che lavorarono al servizio di Mao Tse-tung, appartenevano a un gruppo di circa cinquanta elementi pubblicati in un libro edito in Cina e trovato dall’artista. La prima
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Dissentire su di noi come partecipanti al gioco Yaima Carrazana rivede le opere di una serie di artisti contemporanei che hanno usato il gioco del Mikado attribuendogli un significato sociale, politico. Mette in tensione la funzionalità degli oggetti e il contenuto simbolico che l’arte contemporanea attribuisce loro. The Last Mikado cita il lavoro di Ulay e Marina Abramovic, Philippe Terrier Hermann, Pascale Marthine Tayou e Jota Castro, lo studia e lo ripete proponendo ironicamente un’opera che polemicamente pone fine a questa serie, utilizzando un’immagine del loro lavoro. Michelangelo Consani accoglie il mio azzardato invito a “dissentire” sul lavoro da lui presentato in questo spazio nella mostra precedente. Sono rare le occasioni in cui un artista modifica un lavoro finito e già presentato in pubblico, anche quando i suoi convincimenti, le sue idee sono mutati rispetto alle premesse. Possiamo accettare che una diversa visione del mondo dell’artista, un suo diverso punto di vista lo costringa a operare un cambiamento su una sua opera già finita? L’opera David (Verrocchio) e la patata: The Caspian Depression. And a One Straw Revolution, presentato in “Fuori posto” a cura di Pier Luigi Tazzi, sarà l’oggetto di questo esperimento. Come in altre occasioni, l’artista adopera i materiali usati in opere già presentate, come gesto di responsabilità e contro lo spreco di ogni tipo di energia. Si tratta di un atto responsabile che mette in relazione con il concetto di decrescita economica di cui ci parla in questo lavoro. Partire dall’opera precedente, è un modo per sviluppare una stessa idea, approfondire, dissentire e andare oltre. Questa pubblicazione non è pensata come un catalogo, non è il racconto di quello che sarà, ma la memoria di ciò che è già stato. Non lasciamo traccia di quello che avverrà e le immagini pubblicate sono di opere prodotte in precedenza. Ogni riflessione diventa il punto di partenza per “dissentire” dalla propria teoria.
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----Fernando Sánchez Castillo
Pegasus Dance, 2008 Video XDCAM 15' Courtesy dell’artista e collezione Helga de Alvear
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Baraka, 2007 Video 23'46" Courtesy dell’artista
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----Cristina Lucas
La liberté raisonnée, 2009 Video HD 4:3, 4'20" Courtesy dell’artista
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Habla, 2008 Video HD 16:9, 7' Courtesy dell’artista e Frac Lorraine, Metz, Francia
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----Cabello/Carceller
----Yaima Carrazana
A/O Blow Up #1, 2010 Fotografia a colori, cm 150x100 Courtesy delle artiste, Galleria Elba Benítez, Madrid e Joan Prats, Barcellona
A/O (Caso Céspedes), 2009-2010 Video HD 14'40" Fotografie delle riprese Courtesy delle artiste, Galleria Elba Benítez, Madrid e Joan Prats, Barcellona
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The Last Mikado, 2010 Installazione, 4 fotografie digitali e 41 manici di scopa, dimensioni variabili. Courtesy dell’artista
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----Yaima Carrazana
Che Guevara y el Arte Conceptual, 2010 Oggetto trovato, cm 44x29x4 Courtesy dell’artista
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Untitled. (Moscú 1988 - New York 2003), 2011 Oggetto trovato, cm 72x60x7 Courtesy dell’artista
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----Michelangelo Consani
False Flag, 2013 Installazione Courtesy dell’artista
David (Verrocchio) e la patata: The Caspian Depression. And a One Straw Revolution, 2013 Installazione Courtesy dell’artista
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“Queste domande mi arrivarono per scritto. Ho risposto nello stesso modo, ma improvvisando e senza cambiare praticamente nulla dalla prima stesura. E l’ho fatto, non perché credo nella virtù della spontaneità, ma per lasciare un carattere problematico, volontariamente incerto, alle dichiarazioni fatte. Quello che dico in questa intervista non è “cosa penso”, ma ciò che spesso mi chiedo se non possa essere pensato.”
Michel Foucault, “Un diálogo sobre el poder y otras conversaciones”, Alianza Editorial, Madrid, 2008
FERNANDO SÁNCHEZ CASTILLO
Fernando Sánchez Castillo. Azor, 2012. Installazione. Courtesy dell’artista e Matadero Madrid.
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---------------------------------------------------------------------------------------Dall’inizio del suo percorso artistico, Fernando Sánchez Castillo, cerca di rimanere ad una certa distanza dal suo paese di origine, la Spagna, e dalla sua storia contemporanea, usandole solitamente come materiale per i suoi interventi. Nelle sue opere analizza gli strumenti di potere usati dai regimi autoritari attraverso diversi elementi che acquisiscono una dimensione speciale grazie al racconto che lo stesso artista ne fa. Ne rivela la storia e gli usi ma racconta anche il duro lavoro che ha dovuto fare per avvicinarsi a questi perché non sono accessibili ai cittadini. Fernando Sánchez Castillo ci racconta il limbo giuridico nel quale si trovano e come, nel momento in cui ci si accosta ad essi, che esistono ma non si possono vedere, si toccano argomenti controversi, si alzano muri e si ricevono solo risposte evasive. Il patto di silenzio ha fatto sì che non ci siano archivi dove sono conservate testimonianze della recente storia spagnola, un invito, senza possibilità di rifiuto, a dimenticare e perdonare in nome degli interessi nazionali. Spesso neppure si sa dove sia possibile reperire materiale documentario e talvolta invece è inaccessibile al pubblico perché gelosamente custodito in mani private. Per esempio le sculture in onore del generale Franco ritirate, ma non distrutte, dal governo democratico che lo ha succeduto, sono in attesa dell’oblio delle future generazioni. Il lavoro di Fernando Sánchez Castillo contribuisce anche a ricostruire alcuni capitoli della storia e rende queste riflessioni adattabili a qualsiasi altro tipo di regime politico. Acquisire la nave del dittatore Franco e farla diventare un rottame (Azor, 2012) o permettere ad un gruppo di persone non vedenti, interessati alla storia della Spagna, di conoscere l’aspetto del dittatore attraverso il tatto di una scultura equestre che lo rappresenta (Episodios nacionales, 2010), sono alcuni esempi. Nelle sue opere compaiono abitualmente anche immagini di archivio, attestati di verità di quello che stiamo vedendo.
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Alba Braza Boïls In Baraka fai vedere tre fotografie di tre sculture in bronzo del viso e delle mani del generale Franco fatte dopo la sua morte. Farsi fare delle sculture é in realtà una abitudine propria degli imperatori, infatti il dittatore fu considerato come uno di loro. In questo lavoro come in altri la narrazione del percorso e delle difficoltà che hai trovato per accedere alle informazioni diventa parte dell’opera stessa; immagino che avrai guadagnato una certa esperienza a causa delle risposte negative o sfuggenti che hai ricevuto. Pensi che gli ostacoli alla restituzione pubblica e la protezione continua dell’immagine di Franco siano la conseguenza del timore di quelli che ancora la custodiscono o addirittura una forma di rispetto assoluto per l’immagine del dittatore? Fernando Sánchez Castillo Derrida nel suo libro “Mal di archivio. Un’impressione freudiana” parla di una società democratica, del suo rapporto con gli archivi e della loro accessibilità da parte dei cittadini. In Spagna pare che tutto sia rimasto come le ultime parole dette dal dittatore “legato e ben legato” e ancora si seguano i suoi consigli... “Lei faccia come me... non entri in politica”. Queste parole sono il motivo conduttore delle risposte che riceviamo quando ci rivolgiamo alle istituzioni con semplici domande. Non parlerei tanto di timore o rispetto come di una sorta di sindrome
di Stoccolma, di una simpatia speciale per il sequestratore dei diritti, e anche, perché non dirlo, del risultato della pulizia sistematica di decenni di censura e esilio, ma del fatto che, per noi, alla fine questa modalità è diventata un atteggiamento radicato e permanente. Le persone di una certa età hanno il costante timore di dover vivere un’altra guerra civile o che ci siano conflitti con una risoluzione non pacifica e senza dialogo.
----Mentre preparavo l’intervista, mi é venuto in mente di telefonare al Museo Militare di Toledo, dove mi hai indicato che si trovano le sculture di cui abbiamo parlato. Subito dopo aver fatto il numero, prima di poter parlare con qualcuno del museo, una segreteria telefonica mi ha avvisato che la conversazione sarebbe stata registrata. Non sono riuscita ad ottenere alcuna informazione oltre l’orario di apertura, ma una volta finita la conversazione ho provato una sensazione di timore e diffidenza: in fin dei conti avevo telefonato ad un museo anche se questo dipende dal Ministero della Difesa. Come affronti e con quali tempi le difficoltà che incontri, dato che per poter realizzare le tue opere occorrono questi tramiti?
Molti dei miei lavori, quando inizio sono imprevedibili. A volte ho la sensazione che un usciere possa aprire delle porte che nessun lungo processo legale potrebbe aprire, altre volte penso “se non divento io ministro della difesa nessuno lo farà mai”, non assumendosi il rischio di essere trasparenti per assurdo produciamo maggior sfiducia. Spesso chiedo a amici, soprattutto stranieri, di collaborare in questo lavoro di ricerca storica. Per gli spagnoli è più facile entrare in confidenza con qualcuno che non si conosce che con le persone che condividono i nostri codici culturali e di vita.
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CRISTINA LUCAS
Fernando Sánchez Castillo. Episodios nacionales, 2010. Video 17'. Courtesy dell’artista.
Nel video vediamo come chiromanti e indovini descrivono alcuni aspetti della personalità di Franco senza essere stati informati in precedenza di quello che andavi a trattare. Come è nata questa idea?
Credo che coloro che hanno ordinato di fare il calco pensassero di poter leggere il destino della Spagna attraverso le linee del palmo della mano del dittatore. Dobbiamo sapere che Franco si paragonava a personaggi come El Cid, Carlos V o un santo... la chiesa cattolica “lo portava sotto un baldacchino”. Quando Franco morì la mano gli si contrasse in un pugno a causa del rigor mortis, ma non conveniva a nessuno che, della mano del paladino contro il comunismo, rimanesse questo ricordo, perciò la dovettero forse rompere e schiacciarne violentemente le articolazioni per aprirla.
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Pensi che il potere che ha l’immagine di Franco, incluso il controllo sull’uso e il divieto di toccarla, sia diverso da quello hanno altre immagini a carattere religioso o le grandi opere che si trovano nei musei? Stiamo parlando d’arte o di politica?
In Spagna le immagini religiose si toccano, si baciano e si portano in processione. Nessuno dei grandi artisti ha lavorato sull’immagine di Franco: Picasso ha fatto una caricatura in una serie di fumetti di fantascienza dal titolo “Sueño y mentira di Franco” (Sogno e menzogna di Franco) dove appare mentre adora una moneta, il docile Dalí nemmeno lo dipinge.
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Fernando Sánchez Castillo. Baraka, 2007. Video 23'46". Courtesy dell’artista.
Pensi che l’arte contemporanea sia il racconto del presente e possa anche riscrivere nuove versioni della storia passata?
Certo, quasi tutte le discipline o hanno fallito o sono in grave difficoltà. Mi viene in mente per esempio il fatto che se vuoi studiare la storia contemporanea della Spagna, devi andare a farlo in un’università americana. In questo paese non ci piace parlare degli episodi più recenti della nostra storia... al potere oggi ci sono persone con gli stessi cognomi del passato. Mi dà anche molta tristezza vedere che il giornalismo sia caduto così in basso e come sia sottomesso al potere economico che controlla i media.
-----------------------------------------Fernando Sánchez Castillo é nato a Madrid nel 1970, vive e lavora tra Madrid e Amsterdam. Fra le sue personali più recenti: Guernica Syndrome, Kunstverein Braunschweigh, Germania e Abierto X Obras, Matadero Madrid; Artificial Amsterdam, De Apel Foundation, Amsterdam; Monumentos Ciegos, Espacio ECAT, Toledo, Spagna; Método del Discurso, CAC Malaga, Spagna; El lugar de la Memoria, Univerisità del Cile, Santiago de Chile, Cile; MARTa, Herford Museum, Herford, Germania; Abajo la inteligencia, MUSAC, León, Spagna; Parti de la Peur, Centre d’Art Contemporain, Ginevra, Svizzera. Fra le sue collettive: Sint Jan, Saint Bavo Cathedral Ghent, Belgio; Passionnément, Ajaccio Palais Fesch/ Musée des Beaux Arts, Aiaccio, Francia; Fiction and Reality, Moscow Museum of Modern Art - MMOMA, Mosca; Eldorado, Musée d’Art Moderne Grand-Duc Jean, MUDAM, Lussemburgo.
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Il lavoro di Cristina Lucas scaturisce dal bisogno di trovare letture alternative della storia per spiegare meglio il presente, a partire da esempi concreti che accadono in tutto il mondo e riguardano temi comuni a tutti noi come la sessualità, l’economia, i bombardamenti aerei sulla popolazione civile. Ferran Barenblit, direttore del Museo CA2M di Móstoles, e Cristina Lucas, in una intervista, hanno sottolineato che una delle costanti della sua produzione consiste nell’idea di potere legato all’esercizio della forza: l’autorità. L’artista usa riferimenti diretti a personaggi e momenti storici per spiegare questo potere che viene da tutti noi dato come scontato e indispensabile. Così, La liberté raisonnée apre una riflessione che ha il suo punto di partenza nella Rivoluzione Francese, mentre Habla parte dalla figura di Mosè. Nell’intervista prima citata Lucas spiega che assumersi la responsabilità di essere cittadino riguarda il fatto di interrogarsi senza paura sui meccanismi dell’autorità. (“Entrevista”, Light Years. Cristina Lucas, CA2M Centro de Arte Dos de Mayo, Madrid, 2010, p.71). “Dissentire” si interroga su come questo sia possibile usando l’arte come strumento principale.
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Cristina Lucas. La liberté raisonnée, 2009. Video HD 4:3, 4'20". Courtesy dell’artista.
----Alba Braza Boïls In La liberté raisonnée inizi dalla scena del dipinto di Delacroix, ma nel tuo video l’allegoria della libertà cessa di esserlo e diventa una donna in carne e ossa. Non è più un’immagine pietrificata e senza vita, ma una persona con sentimenti, paura e rabbia. Tutti i dettagli sono curati con attenzione, non c’è movimento, gesto o sguardo che non abbia significato. Proprio per questo, mi piacerebbe che ci soffermassimo sul fatto che sia proprio la donna che inciampa e cade da sola. Accadimento che viene sfruttato da un gruppo di uomini per attaccarla, fino a che punto non ci è dato saperlo a causa della fine del video. Ma non siamo davanti ad una resistenza o a un assalto, piuttosto a un’occasione, forse una delle tante, in cui si sfrutta la debolezza del altro. Cristina Lucas A me sembra che, date le circostanze in cui si trovano i personaggi che appaiono nel video, la cosa più probabile che possa succedere sia cadere. Non solo perché la donna è senza scarpe ma anche perché si sta arrampicando sulla barricata mentre ovunque scoppiano spari che
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distolgono l’attenzione. Chiaramente, il fatto più significativo è che la donna viene picchiata e maltrattata dal popolo, cittadini maschi di tutte le classi. Non direi che hanno “colto l’occasione” ma invece che l’hanno provocata. La libertà maltrattata dalla massa del popolo è la vera lettura storica che ci si dovrebbe aspettare tenendo conto del percorso che ha avuto la democrazia. Vorrei aggiungere anche un’altra interpretazione, la punizione viene inflitta ad una donna, che corre mezza nuda e senza scarpe, perché ha osato occupare lo spazio pubblico, territorio maschile.
----Una delle prime immagini che appaiano nel video sono tre colombe, uno dei pochi elementi che non compaiono nell’opera di Delacroix. Potresti parlarci del significato di questa eccezione?
Sia la presenza delle colombe bianche che i dettagli dei piedi sono accorgimenti narrativi per rendere più gradevole la lettura dell’opera. Naturalmente anche a queste innocenti colombe bianche viene fatta violenza dal fragore degli spari e delle esplosioni. Niente rimane calmo, in pace, la storia che segue è guerra al cento per cento.
----Entrambi i lavori che presenti partono da un’opera d’arte per aprire un discorso più ampio. Altre volte hai riflettuto direttamente sul ruolo dell’arte come in Quid pro quo,
Cristina Lucas. Quid pro quo, 2010. Video 60'. Courtesy dell’artista.
patriarcato. Sebbene per realizzare il video ci siano state delle difficoltà tecniche, sono partita da una chiara determinazione teorica. In realtà ho fatto quello che Freud aveva consigliato di fare, uccidere il padre e l’ho fatto nel modo in cui Nietzsche diceva che si doveva fare filosofia, a martellate. Questa performance simbolica sintetizza molti concetti errati che dovrebbero sparire. Il monoteismo è stato per secoli il pretesto per fare guerre, nelle quali sono morte migliaia di persone e alle quali ancora oggi i monoteisti dell’Islam, dell’Ebraismo e del Cattolicesimo non hanno messo fine.
Cristina Lucas. Más luz, 2003. Video 10'. Courtesy dell’artista e MUSAC, León, Spagna.
2010, video nel quale hai usato una conferenza stampa per porre a giornalisti e critici d’arte domande che riguardavano la loro professione; o nel video Más luz, 2003, nel quale chiedevi a diversi sacerdoti in atto di confessione perché pensassero che l’arte contemporanea e la religione fossero così lontane fra loro. In Habla in realtà esigi delle risposte su diversi aspetti (religiosi, politici, sociali…), attraverso la ripetizione di un gesto basato su una leggenda, per arrivare alla distruzione, rompere completamente le gerarchie di potere, in quanto si tratta da una parte della figura di Mosè e dall’altra di una scultura di Michelangelo. Come ti rapporti con questo gesto?
Ciò che principalmente sta dietro ad Habla, è il confronto con il
Mosè è il padre di queste religioni, sarebbe meglio che ci parlasse. Allo stesso tempo, il patriarcato socio/politico/religioso crea la convinzione che la donna sia un essere sporco, di seconda classe, che deve la sua esistenza al fatto di essere sottoposta al proprio maschio di riferimento, padre, fratello, marito, figlio... Questo ordine patriarcale è fuori da ogni logica democratica e illuminista che dovrebbe dare dignità a tutti i cittadini allo stesso modo, questo sistema dovrebbe essere già stato eliminato perché incostituzionale. Michelangelo inizia timidamente la performance colpendo il ginocchio della statua mentre le chiedeva di parlare, ho deciso che era bellissima e che la dovevo continuare.
----Quale ruolo o responsabilità pensi che dovrebbe avere l’arte contemporanea per fare in modo che la storia non sia scritta solo da un unico punto di vista?
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CABELLO/CARCELLER per troppo tempo e poste ai margini della storia. Interrogarsi su questa terribile situazione, che esiste ancora in tanti paesi, forma un lungo elenco di “perché”. In ogni caso, il grado di sviluppo democratico e di modernità che ha un paese è direttamente collegato al grado di integrazione sociale e responsabilità pubblica che le donne hanno in quella società.
Cristina Lucas. Habla, 2008. Video HD 16:9, 7'. Courtesy dell’artista e Frac Lorraine, Metz, Francia.
Nella mia opinione, non è solo l’arte a doversi occupare di rivisitare la storia, altrimenti la responsabilità sarebbe enorme. In ogni caso rileggere il passato appartiene all’arte, e noi ci confrontiamo con Michelangelo nello stesso modo in cui nel Rinascimento guardavano all’arte classica romana o greca. Il mio interesse per la storia cerca di rispondere all’eterna domanda: perché? Dalle risposte si può capire il presente e io posso raccontare il mio tempo.
----Pensi che questa responsabilità sia ancora maggiore per il fatto di essere una donna artista?
La responsabilità non penso sia maggiore ma le domande si moltiplicano perché le donne sono state occultate
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-----------------------------------------Cristina Lucas é nata a Jaén, Spagna, nel 1973, vive e lavora tra Madrid e Amsterdam. Fra le sue personali più recenti: Light Years, CA2M Centro de Arte Dos de Mayo, Madrid e Museo de Arte Carrillo Gil, Città del Messico; Talk, Stedelijk Museum, Schiedam, Paesi Bassi; Caín y las hijas de Eva, Galleria Juana de Aizpuru, Madrid. Fra le sue collettive: Res Publica, Fundação Calouste Gulbenkian, Lisbona; Beyond Credit, Antrepo, Istanbul; Dominó Canibal, Sala Verónicas PAC, Murcia, Spagna; A cidade do homem nu, Museu de Arte Moderna, Sao Paolo; Desplazamientos, 104, Parigi; Desplazamientos, Arts Santa Mónica, Barcellona e La Casa Encendida, Madrid; Tracking Traces, Kiasma, Helsinki; Reflections: The World Through Art; I Bienal de Dojima River, Osaka, Giappone; Huésped Colección MUSAC, MNBA Museo Nacional de Bellas Artes, Buenos Aires; Integración y resistencia en la era global, X Bienal de La Habana, L’Avana; Em vivo contato, 28 Bienal de Sao Paulo; Eurasia. Geographic cross-overs in art, MART, Rovereto, Italia; Nuevas historias. A new view of Spanish photography, Kulturhuset Stockholm, Stoccolma; Not Only Possible, But Also Necessary: Optimism in the Age of Global War, X Biennale di Istanbul; Belief, I Biennale di Singapore; Witnesses/Testigos, Fundación MNAC, Cadice, Spagna.
---------------------------------------------------------------------------------------Cabello/Carceller è un gruppo artistico formato da Helena Cabello e Ana Carceller. Cominciano a lavorare insieme in maniera continuativa nei primi anni Novanta e da allora combinano il loro lavoro artistico con la ricerca, la scrittura e la cura di mostre. Il loro eclettico profilo si riflette chiaramente nel lavoro, che potremmo definire azzardato per le tematiche trattate, ma anche per il modo in cui viene presentato. Dichiarano infatti che anche i lavori artistici hanno un genere… “Dal nostro tentativo di saltare ostacoli, per sfuggire dai ghetti e dalle normative di esclusione, emerge una modalità artistica androgina, un incrocio senza gerarchia dove maschile e femminile si fondono, formalmente e concettualmente”. (“Anotaciones, 2002. (Recopilación de algunos textos y referencias dispersos)”, t.i. (todo incluido, o maneras contemporáneas de viajar a la utopía), Málaga, Spagna, 2002).
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Fotografie degli atti del tribunale dell’Inquisizione. Archivo Histórico Nacional, Madrid.
Fotografia degli atti del tribunale dell’Inquisizione. Archivo Histórico Nacional, Madrid.
----Alba Braza Boïls A/O (caso Céspedes) è un video, ma non solo; così come Céspedes non era né solo uomo né solo donna. Fa parte di un progetto più ampio ancora in corso. Coerentemente col vostro lavoro artistico, per questa occasione in cui vi invito a “dissentire”, proponete senza paura temi proibiti anche oggi, nel 2013. Visitate archivi e consultate documenti, con sguardo critico, leggendo fra le righe senza mettere in dubbio l’intelligenza e l’astuzia delle confessioni di coloro che passarono per ermafroditi, streghe, stregoni, posseduti dal demonio. Mi piacerebbe sapere di più su quello che io identifico come uno dei punti di forza del vostro lavoro, l’inclusione nella Storia di Elena/o de Céspedes, aprendo così un nuovo capitolo che tratta temi come la schiavitù e il transgenderismo.
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Cabello/Carceller La Storia che ci è stata consegnata può essere valutata sia in base alle presenze che considerando le assenze. I racconti che la compongono omettono tutte e tutti coloro che risultavano scomodi, ed è proprio per questo che richiedono una lettura critica. Nascondere ciò che dà fastidio è dettato dall’esigenza di adoperare il racconto storico come strumento per stabilire genealogie egemoniche nella configurazione delle identità, conseguenza del desiderio di favorire la produzione e riproduzione di un modello concreto e molto limitato di relazioni umane “adeguate”. Al resto si nega la rappresentazione. Non è che non siano esistite alternative, gli esseri umani sono molto fantasiosi e differenziati, ma gli esempi di alterità sono stati, nel peggiore dei casi, cancellati mentre nel migliore, demonizzati. Su coloro che sono stati omessi possiamo solo fantasticare, costruire ipotesi, mentre su coloro
che sono stati demonizzati possiamo andare oltre, perché hanno lasciato tracce che certificano la loro esistenza. La ricerca su quelli che dalla collettività sono considerati “demoni” è uno degli argomenti che ci interessa di più, indagare ciò che non si vuole vedere oppure dare nuove interpretazioni dopo aver fatto una lettura diversa degli avvenimenti. Per quanto riguarda la storia della Spagna, che è anche la storia d’Europa, abbiamo vissuto attraverso Céspedes i divieti e le punizioni corporali imposte a tutti coloro che si sono ribellati alla normalizzazione sociale. Per noi, Céspedes, è un personaggio molto importante in quanto dimostrò chiaramente che l’oggetto del processo non riguardava un problema religioso, ma evidenziava il bisogno degli altri di imporre con la forza bruta sia l’eterosessualità, sia il privilegio sociale di una mascolinità biologica, dimostrando di fatto che non sono comportamenti naturali: questi privilegi esigono infatti l’eliminazione radicale di tutti gli esempi di alterità che potrebbero servire a dissentire.
All’epoca, alla fine del XVI secolo, un periodo turbolento della storia in cui le persecuzioni religiose erano al loro apice, Céspedes fu una personalità complessa. Il caso Céspedes é paradigmatico perché include variabili che nella storia, quella insegnata nelle scuole secondarie e in gran parte del ciclo universitario, vengono occultate, sottovalutate e relegate negli studi di genere. Nascere schiava e mulatta dice della mescolanza delle razze, fatto abituale nella penisola iberica, per estensione nel resto d’Europa, e della possibilità di superare questi ostacoli, nonostante il controllo imposto. Céspedes superò anche la barriera dell’analfabetismo tipica delle classi inferiori e dovette superare due esami per poter praticare il mestiere di chirurgo. Infine, ruppe il muro che separava i generi dominanti, maschile e femminile, costruendosi come uomo dopo aver vissuto come donna, quasi l’unica alternativa possibile, in quel momento, per mostrare la differenza di genere. Il processo a cui fu sottoposta fu risolto per l’Inquisizione con l’incriminazione per il reato di bigamia, poiché l’accusa di aver cambiato genere
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Álex è nato non tanto come alternativa ma come alter ego di Céspedes. A/O (caso Céspedes) non è un documentario, la vita di Céspedes viene narrata attraverso Álex, che assume allo stesso tempo l’immagine del protagonista del film di Michelangelo Antonioni Blow Up. Come siete arrivate a tracciare i punti di collegamento fra queste figure?
Fotografia dell'ingresso dell'Archivo Histórico Nacional, Madrid.
avrebbe comportato una rapida condanna a morte da parte del tribunale civile. Elena de Céspedes si sposò in gioventù con un uomo e ebbe un figlio, il matrimonio non fu mai sciolto e quando si risposò in chiesa con una donna commise un reato di oltraggio al sacramento del matrimonio e divenne bigama. Proprio per questo il suo caso fu trasferito al Tribunale dell’Inquisizione. Lo zelo archivistico degli inquisitori, il bisogno di giustificare le condanne e la voglia di trasmettere di essere nel giusto, ci ha permesso di accedere alla pratica dettagliata del processo. In ogni caso, per gli storici spagnoli, Céspedes non è una figura significativa, a malapena è menzionata in alcune fonti documentarie secondarie, rimane chiusa nell’“armadio” della Storia.
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La nostra idea non è mai stata quella di fare un documentario, infatti, siamo molto critiche nei confronti degli accorgimenti narrativi che adotta il documentario quando prova a giocare con la maschera dell’obiettività. Noi ci muoviamo nel campo della finzione e formuliamo attraverso di essa connessioni mentali che non si possono trovare in altri ambiti. Per quanto riguarda Céspedes, riteniamo che la trascrizione dei verbali sia il migliore racconto della sua vita che possa esistere. È una storia raccontata in prima persona che permette ad ognuno di noi di trarre le proprie conclusioni. Il percorso che ci ha portato ad unire Álex con Céspedes è complesso. Abbiamo voluto attualizzare Céspedes, e per questo motivo, avevamo bisogno di un collegamento che lo permettesse. Una parte importante dei nostri progetti si colloca nel difficile terreno dell’appropriazione e mette in discussione i modelli rappresentativi dati da un sistema che tenta di naturalizzare la mascolinità associandola a dei corpi “corretti”. In realtà, parliamo della dualità della costruzione di genere e scommettiamo che se si desidera erigere una società diversa dobbiamo andare oltre questi ostacoli, superare le barriere di razza e di classe non sarà mai abbastanza, se non si cambiano i modelli delle relazioni andremo a riprodurre precisamente quei fantasmi che sono i germi delle ingiustizie sociali.
Álex è un fotografo che ha l’incarico di fare sopralluoghi per la realizzazione di un film su Céspedes. Non conosce il personaggio ma, nella sua ricerca, entra in relazione con il protagonista in un percorso di comprensione empatica e di assimilazione della personalità. La storia di Céspedes non è qualcosa che è accaduto in un passato remoto e già dimenticato, ma è legata al nostro presente, perché noi siamo il prodotto di questo passato e del modo in cui lo affrontiamo. Il/la ambiguo/a Álex diventa padrone della macchina fotografica, per poter possedere il controllo dell’immagine; non è l’oggetto dello sguardo ma è il soggetto che guarda. Come tale, si accosta a Céspedes, che allo stesso tempo ha cercato di appropriarsi a modo suo della propria esistenza. Vestiamo allora Álex da Thomas, il personaggio principale di Blow Up, il film di Antonioni. Thomas non rappresenta il modello maschile ed è per questo che siamo interessate a lui, alle contraddizioni presenti nei modelli d’identità che ci propone e ai quali, anche se vogliamo, non possiamo sfuggire. Álex va al di là di Thomas e dei suoi comportamenti stereotipati perché non è né sarà mai Thomas, neppure vuole esserlo. Cammina cercando, la ricerca lo avvicina a Céspedes infine trova se stesso.
----Nel vostro lavoro la parte di produzione è rilevante. Alcune volte, addirittura, proiettate il video nello stesso luogo dove è stato girato (“Off Escena: Si yo fuera”, Abierto X Obras, in Matadero Madrid, 2011; “Suite Revolta”, nella Galería Elba Benítez, 2011; “A/O (caso Céspedes)”, nel CAAC Centro Andaluz de Arte Contemporáneo, 2010) rendendo il pubblico complice e partecipe del vostro lavoro.
In ogni caso tutte le vostre produzioni prevedono un lungo periodo di ricerca, permessi, accordi di collaborazione (in “Off Escena: Si yo fuera”, le attrici erano le carcerate del Centro Penitenciario Madrid-I di Alcalá Meco, Madrid). Qual'è stato il processo compiuto prima di arrivare al testo e alle riprese di A/O (caso Céspedes)?
A/O è iniziato nei primi mesi del 2009 su incarico del CAAC Centro Andaluz de Arte Contemporáneo. Il suo direttore d’allora, José Lebrero, ci invitò a sviluppare un progetto che andasse oltre la solita idea di mostra. Era una proposta aperta che ci ha permesso di pensare e lavorare all’interno del contesto del centro. In quel momento avevamo finito la trilogia MicroCinema e stavamo facendo un progetto fotografico, Archivo: Drag Modelos. Entrambi questi lavori sono incentrati sul cinema come scuola di comportamento identitario. Grazie alla natura processuale e partecipativa di parte di questi lavori siamo state sempre molto consapevoli della necessità di avere dei riferimenti culturali sulle politiche d’identità che ci permettessero di rendere le teorie femministe e queer più vicine al quotidiano. Abbiamo quindi deciso di indagare su storie vere accadute in Andalusia ed è così che abbiamo trovato gli atti del processo dell’Inquisizione di Elena/o de Céspedes. In primo luogo ci ha colpito la sua assenza nei testi in lingua spagnola, abbiamo trovato solo qualche riferimento in alcuni scritti femministi, dato che è stata la prima donna chirurgo conosciuta in Europa, ma il fatto di autoclassificarsi come ermafrodito durante il processo l’aveva allontanata dagli interessi delle femministe. Questo fatto avrebbe dovuto invece essere una ragione per rivendicarla come queer, ma non è avvenuto. Non è sorprendente dato che
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in questo, come in molti altri campi del pensiero spagnolo, si è deciso di essere traduttori più che creatori, importatori più che produttori. In questo frangente avevamo deciso di utilizzare Céspedes come strumento per provocare discussioni intorno al genere e alle identità alternative nelle scuole secondarie e nelle università di Siviglia, la città dove si trova il Centro Andaluz de Arte Contemporáneo. Il video sarebbe dovuto servire per fare un percorso formativo. Álex è l’immagine che “concretizza” le parole, vedere le varie identità confuse non è lo stesso che immaginarle. Questo progetto era composto dal video A/O e da alcuni testi che avevamo per l’occasione commissionato a tre ricercatori: lo storico Sergio Rubira, che ne ha scritto uno sulle rappresentazioni della schiavitù e delle diverse forme della sessualità nella pittura spagnola del XVI secolo, l’antropologa Aurelia Martin Casares dell’Università di Granada uno sulla schiavitù e la differenza di genere e María José Bellbel che ha compilato la bibliografia disponibile su Céspedes da un punto di vista queer. Né questo strumento educativo, né la sua attivazione sono state realizzati, a causa di alcuni cambiamenti nella direzione del centro, il progetto è rimasto fermo e il video ora viaggia da solo. La parte più importante nella realizzazione del video è stata la ricerca della protagonista. Noi lavoriamo sempre con attrici/attori non professionisti che sviluppano le loro modalità per interpretare la mascolinità come “copia” di un corpo “non naturale” al fine di indicare che non ci sono originali da copiare e che tutto è una copia della copia. Thomas ha una istrionica mascolinità, come quasi tutte quelle che si trovano
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nei film, coloro che, come direbbe Judith Butler, si rivolgono ad un originale inesistente, naturalizzato a forza di essere ricreato volta dopo volta. In questo caso avevamo bisogno di qualcuno con un corpo e un atteggiamento capace di integrare fisicamente i diversi argomenti che Céspedes mette in discussione. La voce fuori campo del narratore ci ha permesso anche di dire tutto quello che Álex non verbalizza, di vederlo da una certa distanza e ricollocarlo in una situazione in cui la fotocamera spia il fotografo che spia Céspedes. Come hai accennato fare le riprese negli stessi spazi dove sarà poi presentato il video per la prima volta è parte del nostro abituale percorso di lavoro. Durante la mostra una parte degli spettatori ha un approccio diverso, sono coloro che vedono il video per la prima volta e che attraversano lo spazio come se fosse il set ed in alcuni momenti diventano complici della narrazione. Il video è stato girato e presentato, per la prima volta, al CAAC, un antico monastero con una chiesa sconsacrata, un orto e dei giardini ricostruiti nel corso del XIX secolo, anche questi sono stati la scenografia delle riprese.
----Fino a che punto possiamo dire che l’arte contemporanea si muove in uno spazio di libertà tale da permettere di rileggere la storia, trattare argomenti come lesbismo e transgenderismo?
Uno dei grandi vantaggi delle pratiche artistiche è che la loro evoluzione non segue criteri rigorosi; possiamo indagare, selezionare dati e costruire un immaginario con una libertà difficilmente paragonabile con altre discipline. Questa indisciplina è anche causa della precarietà che circonda gli artisti, ma allo stesso
tempo è la fonte della nostra libertà creativa, in arte nulla è dato per scontato. È difficile sapere quali saranno i passi futuri, cosa è arte, dove sono i suoi limiti, ammesso che a qualcuno interessi saperlo. In questo senso l’arte ha un carattere abissale, apparentemente un eccesso di libertà genera un sano senso di vertigine, che permette agli artisti di dire l’indicibile e, ancora più importante, che questo indicibile sia ascoltato dagli altri. Nonostante questa apparente libertà discorsiva e formale, le pratiche artistiche sono un riflesso della società che le crea, con tutte le sue miserie e i suoi limiti. È proprio per questo che il dissenso sessuale e di genere viene ghettizzato, ridotto ad una parte enunciativa e marginale, forse con lo scopo di diminuire eventuali conseguenze. Nel passato, i tribunali dell’Inquisizione, con gli autodafé hanno reso esemplare la punizione che dovevano avere i “pervertiti”. Nei casi di lesbismo evitavano di leggere le imputazioni per non dare alle altre donne idee sulla possibilità di pratiche sessuali che non necessitano degli uomini e rappresentano una valida e soddisfacente alternativa al coito eterosessuale. Oggi sessualizzare l’arte offende tutti e nessuno, forse perché non si vuole essere protagonista di un episodio di censura, allo stesso tempo non si parla di sessualità e si continua a lavorare in un quadro di azione pre-Foucault. Esiste un conflitto di poteri difficilmente identificabile, ad esempio, è molto frequente visitare mostre che trattano tematiche politiche ma dove non si parla di rivoluzione sessuale, altre volte questi argomenti sono trattati a margine di altre problematiche presentate, si cerca di emarginare
la rivoluzione identitaria e di ri-naturalizzare la famiglia monoparentale come struttura cardine della società. Per quanto riguarda le discipline come la storia, le possibilità di espressione e di ricerca sono tante, ma in confronto con la capacità espressiva che l’arte contemporanea ha raggiunto negli anni Settanta, la delusione è ovvia.
-----------------------------------------Cabello/Carceller sono nate a Parigi nel 1963/ Madrid nel 1964, vivono e lavorano a Madrid. Come artiste hanno partecipato alle seguenti collettive: Genealogías feministas, MUSAC, León, Spagna; Juego de máscaras, TEA-Tenerife Espacio de las Artes, Tenerife, Spagna; Ficciones y Realidades, Moscow Museum of Modern Art - MMOMA, Mosca; Biennale di Bucarest e Biennale Latinoamericana di Arti Visive, Curitiba, Brasile; Nuevas Historias. New View of Spanish Photography, Kulturhuset, Stoccolma; Stenersen Museum, Oslo, e Kuntsi Museum of Modern Art, Vaasa, Finlandia; The Screen Eye or The New Image, Casino Luxembourg, Lussemburgo; Global Feminisms, Brooklyn Museum, New York; Cooling Out, Lewis Glucksman Gallery, Cork, Irlanda. Fra le loro personali più recenti: Off Escena; Si yo fuera…, Abierto X Obras, Matadero Madrid; Archivo: Drag Modelos, Galleria Joan Prats, Barcellona e CAAM, Las Palmas de Gran Canaria, Spagna; Suite Rivolta, Galería Elba Benítez, Madrid, A/O (Caso Céspedes), CAAC Centro Andaluz de Arte Contemporáneo, Siviglia, Spagna.
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YAIMA CARRAZANA
---------------------------------------------------------------------------------------Di origine cubana, ha studiato all’Accademia Nazionale di Belle Arti San Alejandro di Cuba, L’Avana. Specializzatasi in pittura, ha iniziato quasi subito a lavorare in diversi paesi europei, usando di volta in volta il mezzo che le risultava più congeniale. Dopo la sua residenza alla Rijksakademie di Amsterdam, si trasferisce in questa città. Il lavoro di Yaima Carrazana propone un dialogo, a volte irriverente, con la storia e l’arte contemporanea, una ricerca costante negli instabili limiti fra quello che si considera arte e quello che non lo è, nello stesso tempo crea una delicata rete di commenti sul contesto politico, culturale e di genere che determinano il modo in cui l’arte interpreta l’attuale mondo globalizzato.
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Alba Braza Boïls Hai ricevuto la tua prima formazione artistica a L’Avana e hai avuto la possibilità di confrontarti con i concetti di periodizzazione storica e storiografica in diversi paesi europei, una esperienza dalla quale possono nascere molti motivi per “dissentire”. In opere come Political Prison, 2005, o Decade, 2009, hai mostrato una critica esplicita su diversi aspetti della politica di Cuba, ma con il tempo questo sguardo si è trasformato e hai cominciato ad attingere direttamente alla storia dell’arte contemporanea. Quale pensi sia il punto di svolta che ti ha fatto allontanare dal discorso strettamente politico e ti ha fatto invece concentrare sul potere dell’arte? Yaima Carrazana Political Prison era un pacchetto della stessa cartolina che ho comprato in un negozio a L’Avana dove vendono souvenir e foto di spiagge. Questa cartolina era strana perché rappresentava i ferri che aveva portato José Martí (scrittore e rivoluzionario cubano) mentre era prigioniero politico. L’ho distribuita fra alcuni amici a Cuba e anche inviata, dopo una accurata selezione fatta in base a delle ragioni molto specifiche, ad alcune persone fra coloro che lavoravano alla Fondation Cartier pour l’art contemporain. Nel 2005 la Fondation Cartier pour l’art contemporain mi ha invitata a partecipare ad una mostra di giovani artisti intitolata “J’en rêve”, dove ho presentato uno dei miei primi video dal titolo La Hybris de un rey per l’occasione sono stata chiamata anche a presenziare all’inaugurazione. Non avevo mai lasciato Cuba, sarebbe stata la mia prima mostra in un altro paese, ma per fare quel viaggio avevo bisogno del permesso del Consejo
Nacional de las Artes Plásticas (Consiglio Nazionale delle Arti Plastiche). Ricordo me stessa in un ufficio a chiedere l’autorizzazione al direttore e il suo netto rifiuto. Quell’uomo, da quell’ufficio decideva quale artista poteva andare all’estero e quale invece no, ed io ero fra i NO. La Fondazione Cartier non riuscì a capire perché non sarei andata all’inaugurazione, ma decisero di inserire lo stesso il mio video nella loro collezione. Con i soldi provenienti dall’acquisizione sono emigrata a Madrid. Sono andata via da Cuba nel dicembre dello stesso anno. Penso che la decisione di restare in Europa sia stata il punto di svolta. Ho lasciato un paese che conoscevo, dove sono nata e cresciuta, ma con tanti impedimenti, la mancanza di libertà e soprattutto l’assenza di informazione. È stato come ricominciare da zero. Questo nuovo inizio a Madrid è stato difficile, ho impiegato un bel po’ di tempo per imparare a sopravvivere in Europa e continuare a fare arte è stata per me una sfida, perché essere cubano ti condiziona molto. Ho iniziato cercando di capire che tipo di lavoro ci si aspettava da un artista cubano e se era possibile lavorare al di là di questo vincolo. Superare questo limite è stato uno dei miei obiettivi e mi ci è voluto un po’ di tempo per raggiungere questa libertà.
----L’ironia e la citazione diretta del lavoro di artisti contemporanei è molto presente nelle tue opere. È qualcosa che non c’è solo in The Last Mikado, ma appare, tra l’altro, anche Nail Polish Tutorials, 2010-2011, e in Sit and do nothing, 2010. Partendo da queste considerazioni sei più interessata alla citazione esplicita di opere che hanno segnato
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Yaima Carrazana. Barnett Newman. Nail polish tutorial, 2010. Video HDV 2'50". Courtesy dell’artista.
percorsi, stili o strategie, o alla revisione di alcuni aspetti di esse?
Penso che la citazione diretta sia strettamente legata alla mia scoperta della quantità eccessiva di informazioni che si riesce a trovare in tutto il mondo e che a Cuba, appunto, non si trova. Continuo ad essere affascinata da tutte queste informazioni. Tutti i miei video della serie Nail Polish Tutorials iniziano con una ricerca su Google. Digiti il nome di un artista, selezioni una immagine e trovi tantissime informazioni. In questi video cito artisti astratti americani o europei che hanno prodotto cambiamenti significativi nella storia dell’arte e diverse sono le motivazioni di queste scelte. Potrei parlare dei motivi per cui li nomino e di come il video tutorial di YouTube è diventato una mia cifra stilistica. La libertà di citare artisti come Barnett Newman, così lontano da ciò che si intende come arte cubana è per me davvero eccitante. L’unico punto di contatto che conosco tra Barnett Newman e l’arte cubana è Carmen Herrera quando parla di come ha incontrato Newman e sia stata
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Yaima Carrazana. From the series: Sit and do nothing, 2010 Oggetto trovato, cm 42x40. Courtesy dell’artista.
influenzata dal suo modo di intendere la pittura, ma si tratta di un’artista cubana che ha vissuto in esilio e il cui lavoro è stato riconosciuto solo quando aveva ottantanove anni. Naturalmente le mie ricerche non sono solo su Internet, cerco in ogni luogo, in ogni contesto. In Sit and do nothing mostro una serie di sedie piene di macchie di colore appartenenti a pittori della Rijksakademie di Amsterdam. Le ho esposte appese come quadri, alle pareti, in un momento in cui volevo mettere in discussione tutto, mi sono presa la libertà di fare un ready made e stare seduta, non fare niente, non sollevare alcuna bandiera.
----In questi giorni parlando a proposito di The Last Mikado, in qualche modo hai accennato come delle volte associamo (parlo al plurale come soggetto coinvolto) i valori critici, o sociali a oggetti, forzandone il rapporto e anteponendoli alla loro stessa funzione. Puoi spiegarci questa idea in relazione a The Last Mikado?
Nel 2009, mentre riflettevo sull’arte
politica, ho cominciato a notare alcune opere sul gioco del Mikado, forse proprio a causa di questa mia continua ricerca di informazioni. In diverse di queste opere ho rilevato un elemento estetico molto importante e un modo di concepire il lavoro da parte degli artisti molto simile fra loro. Tutti avevano ripreso quell’antico gioco cinese, fatto con piccoli bastoncini di legno, per riprodurlo in una scala più grande. Ho trovato quattro opere fatte da quattro artisti diversi che avevano però la stessa impostazione, mettevano in relazione l’estetica con un discorso politico, sociale, di potere per evidenziare il carattere democratico dell’arte contemporanea. Allora ho realizzato un quinto pezzo in cui appaiono questi riferimenti e allo stesso tempo ho proposto un ultimo gioco, l’ultimo colpo di mikado: il mio.
----Quali criteri hai seguito per selezionare le opere citate? (Ulay e Marina Abramovic, Mikado, 1987; Philippe Terrier Hermann, Mikado, 1997; Pascale Marthine Tayou, Mic-totwo “Starje” / Mic-to-two “etoile”, 2008, Jota Castro, Shanghai, 2009).
La prima opera che ho visto sul gioco del Mikado è stata quella di Jota Castro nel 2009, poi leggendo un catalogo di una mostra di Marina Abramovic al Museo Reina Sofia, ho scoperto il suo lavoro del 1987 e naturalmente ho notato che era di circa venti anni prima. Poi in un catalogo molto piccolo di Pascale Marthine Tayou ho visto il suo Mic-to-two étoile e mi sono resa conto che l’arte si ripeteva più e più volte e il fatto che almeno tre artisti avevano usato il gioco del Mikado stava lì a dimostrarlo. Non avevo ancora deciso di realizzare la mia installazione fino a quando qualcuno mi ha detto che alla Rijksakademie c’era un altro che sarebbe potuto entrare nel gruppo, Philippe Terrier Hermann, che aveva esposto Mikado nella stessa accademia nel 1997. Poi ho continuato a scoprire artisti che avevano lavorato con questo gioco, ma nessuno era paragonabile agli altri quattro, così ho deciso di concludere la mia ricerca producendo The Last Mikado.
----Da anni lavori partendo da errori di battitura o errori nei contenuti che trovi in diversi testi di divulgazione della Storia dell’Arte. In “Dissentire” mostriamo Che Guevara y el Arte Conceptual, 2010, in cui la tua azione è stata evidenziare l’errore: “Che Guevara è morto in Colombia in uno scontro con l’esercito”. Hai sottolineato, ma non corretto, l’errore portandolo in primo piano. In Untitled. (Moscú 1988 - New York 2003) ripeti in qualche modo questo gesto, ma in questo caso ci mostri due volumi che presentano lo stesso lavoro: Rettangolo Nero, Triangolo Blu di Malevich, uno dei quali mostra l’immagine collocata correttamente e l’altro ruotata di novanta gradi. Potremmo dire quindi che il medium “azione” agisce come una analisi critica che rivela la soggettività
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che può stare dietro l’errore. Dove collochi l’interpretazione o la giustificazione dell’errore? Che Guevara y el arte conceptual è un pezzo che ho preso da un libro edito da Taschen nel 2005 intitolato “Arte Conceptual”, nella sua versione spagnola. È un libro a carattere didattico sull’arte concettuale con esempi di opere di diversi artisti. Alla pagina otto si parla della dialettica moderna e si pone le basi per la comprensione dell’arte concettuale, mostrando immagini di Manet, Picasso e Braque, con una serie di note a piè di pagina su i più importanti avvenimenti degli anni Sessanta. In una di queste note si legge: 1967 - Che Guevara è morto in Colombia in uno scontro con l’esercito. In realtà è morto in Bolivia non in Colombia. Mettere in evidenza questo errore è stata la prima motivazione per cui ho deciso di esporre il libro aperto su quella pagina e incorniciato. Allo stesso tempo il simbolo di Che Guevara mi ha perseguitato anche lontano da Cuba e credo che questo sia ciò che accade a molti cubani, un simbolo facile che si mette solitamente in relazione con un pensiero di una sinistra ingenua. Il rapporto fra Che Guevara e l’arte concettuale è veramente remoto. La pagina del libro è per me un incontro meraviglioso degno di essere esposto come un’opera d’arte.
Anche i libri su Malevich sono esposti incorniciati e aperti su una pagina specifica. Si tratta di un’edizione russa del 1988 e di una del Guggenheim Museum di New York del 2003, ma su questo lavoro non vorrei commentare oltre, preferisco che sia visto direttamente, mi piace lasciare allo spettatore la possibilità di una sua interpretazione. Questi lavori hanno lo scopo di attirare l’attenzione su qualcosa. Mostrare ciò che a volte è trascurato e dargli un’importanza oltre l’errore.
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Come sai, ho invitato Michelangelo Consani a dissentire sul lavoro da lui presentato nella mostra precedente alla nostra, senza perdere l’occasione della coincidenza della sua partecipazione in entrambe. Se tu avessi trovato un errore di battitura o un errore in uno dei tuoi lavori già realizzato, lo avresti usato come materiale per l’opera successiva per esempio in Che Guevara y el Arte Conceptual o Untitled. (Moscú 1988 New York 2003), o non toccheresti mai una tua opera compiuta?
MICHELANGELO CONSANI
Avere la possibilità di dissentire rispetto al proprio lavoro è un’esperienza molto stimolante. Non so se userei un errore personale allo stesso modo in cui uso i libri, dato questi non sono stati progettati nello stesso modo in cui viene concepita l’opera d’arte. Tutti gli errori che si commettono nel fare un lavoro artistico li paragonerei a quello che in pittura viene chiamato pentimento: correzioni fatte perché si vuole modificare qualcosa e che a volte si scoprono guardando un’ombra. Ci sono molti pentimenti nell’arte perché spesso ripensiamo più volte uno stesso concetto, ma è anche questo che ci permette di andare avanti. Cerco sempre di cambiare le cose, non ho paura di ricominciare da zero.
-----------------------------------------Yaima Carrzana é nata a Santiago de Cuba nel 1981, vive e lavora ad Amsterdam. Fra le sue mostre: Punkt.Systeme - Vom Pointillismus zum Pixel, Ludwigshafen am Rhein, Germania; Who More Sci-Fi Than Us, hedendaagse kunst uit de Cariben, Kunsthal KAdE. Amersfoort, Paesi Bassi; 12th Biennale di Istanbul; Formally Speaking/And what shall we do with Painting in the 21st Century?, Haifa Museum of Modern Art, Israel; Out of Storage II – Rhythms, MUDAM, Lussemburgo; J’en rêve, Fondazione Cartier, Parigi; Biennale di Liverpool; Biennale di Gwangju; Salud Deporte y Control, Galleria Umberto di Marino, Napoli; Collection of the Fondation Cartier pour l’art contemporain, MOT Museum of Contemporary Art, Tokyo.
---------------------------------------------------------------------------------------Non è la prima volta che Michelangelo Consani presenta il suo lavoro a Casa Masaccio, ma probabilmente è la prima volta che partecipa a due mostre consecutive nello stesso spazio, essendo stato invitato addirittura a “dissentire” sullo stesso lavoro presentato nella prima delle due occasioni. L’artista usa diversi media per trattare concetti di energia, ambiente, equilibrio fra consumo delle risorse e sostenibilità. Questi interessi lo portano anche ad esaminare teorie fisiche e scientifiche contemporanee, con uno sguardo attento a ciò che lo circonda nell’immediato, trovando in questo la materia prima per sottolineare diverse problematiche politicosociali nella storia e nel presente. Nel momento in cui intervisto Consani la mostra precedente è ancora in corso, per cui lavoreremo su una ipotesi, l’invito a presentare di nuovo David (Verrocchio) e la patata: The Caspian Depression. And a One Straw Revolution mostrato in occasione di “Fuori posto” dal 2 marzo al 20 aprile 2013 nello stesso spazio.
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Alba Braza Boïls Mi piacerebbe partire da lontano e chiederti di parlare di David (Verrocchio) e la patata: The Caspian Depression. And a One Straw Revolution, nostro punto di partenza, soffermandoti su come sei arrivato a questa opera. E per questo vorrei prima chiederti di parlare del libro che hai recentemente pubblicato, “The Caspian Depression”, che nasce dal collegamento fra la tua mostra “Ancora ancora la nave in porto. Amoco Milford Haven files” con altre due personali che hai realizzato nella prima metà del 2011: “La festa è finita” e “M.H.G. Three Personalities For A New Ecological Memory”. Qual’è il filo di questa ricerca che ci conduce al nostro punto di partenza? Michelangelo Consani Pier Luigi Tazzi mi ha contattato verso la fine dell’estate del 2012 per coinvolgermi in un nuovo progetto dal titolo “Fuori Posto”. Non ho avuto nemmeno modo di pensare che qualche giorno dopo… è arrivata la tua e-mail d’invito per la mostra “Dissentire” anch’essa nello stesso museo! Inizialmente ho provato una sensazione di compiaciuta soddisfazione che poi si è trasformata in disagio ed infine in un ‘peso’ che, solo ora, capisco di poter associare ad uno ‘stato di forte responsabilità’. Responsabilità, amplificata dal fatto di ‘operare’ nello stesso spazio pubblico per ben due volte; in un contesto storico, quello attuale, caratterizzato da una profonda crisi economica, politica e istituzionale. Vorrei fare un passo indietro, per farti comprendere meglio la gestazione che ha portato alla nascita del lavoro (dal titolo alla Lina Wertmüller) David (Verrocchio) e la patata: The Caspian Depression. And a One Straw Revolution. La prima idea nasce durante la personale al CAMeC pianozero di La Spezia. La mostra apre una riflessione sulla fine delle risorse fossili, sul petrolio e il suo secolo di riferimento e si articola in rapporto ad una collezione d’arte contemporanea e al suo valore in quanto accumulo di ricchezza. Il percorso espositivo si sviluppa attraverso l’idea di un museo del genere umano “post-fallout”
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nucleare, nel quale ogni oggetto, anche il ‘rifiuto’ -in quanto oggetto ormai raro- diviene reperto e viene esposto accanto ad opere d’arte. In fase d’allestimento, volevo inserire un elemento a chiusura della mostra: due teste in gesso che formano un’unica scultura (l’attuale parte centrale dell’opera David (Verrochio) e la patata: The Caspian Depression. And a One Straw Revolution, con cui lavoreremo insieme nel nostro progetto). Parlando con Matteo Lucchetti, curatore della mostra, abbiamo deciso di non inserirla perché non necessario all’interno del percorso espositivo. Io e il curatore abbiamo ‘scelto insieme’, invertendo in alcuni momenti, i ruoli assegnateci dal sistema dell’arte e dalle nostre specifiche competenze. Successivamente abbiamo pensato di fare un libro dal titolo “The Caspian Depression. And a One Straw Revolution”, organizzando un gruppo di lavoro costituito da Kunstverein (Milano/Amsterdam/New York) e Zirkumflex Berlino. Il libro ha l’intento di dare visibilità alla ricerca sulla decrescita economica, che porto avanti da diversi anni, unendo un contributo specialistico e seminariale, come quello di Serge Latouche, ad una esaustiva lettura critica da parte di alcuni curatori che hanno seguito da vicino la mia produzione recente. L’apparato iconografico, oltre a documentare tre mostre, si articola in una sezione autonoma che raccoglie i tre progetti in un unico flusso di immagini. In questa parte la mia ricerca si sviluppa visivamente trattando i tre episodi espositivi come tre parti di un’unica riflessione che nasce dalla consapevolezza della decadenza del sistema occidentale contemporaneo. Questo allo scopo di far emergere storie individuali attraverso l’indagine e l’archiviazione. Uomini e donne appartenenti ad ‘una storia minore’, non contemplata ‘dalla storia ufficiale’ scritta dal sistema politico dominante. Personaggi marginali che assumono la valenza di testimoni di altrettante alternative praticabili per una nuova società del futuro. L’idea è quella di studiare pratiche nate
dall’intuito dei singoli e metterle in pratica in modo collettivo. Riporto una citazione di Castoradis (“Une société à la dérive”, Seuil, Paris, 2005) che ritroviamo nella mia pubblicazione. Bisogna che si producano dei cambiamenti profondi nell’organizzazione psicosociale dell’uomo occidentale, nel suo atteggiamento verso la vita, in sostanza nel suo immaginario. (…) bisogna che sia abbandonato l’immaginario capitalistico di uno pseudocontrollo pseudorazionale del mondo, di una espansione illimitata. Questo possono realizzarlo soltanto gli uomini e le donne insieme. Un individuo isolato, o un’organizzazione, possono al massimo preparare, criticare, stimolare, delineare degli orientamenti possibili. Fatta questa lunga premessa, posso dire che sono molto contento di ‘dissentire’ insieme a te ragionando sui nuovi sviluppi di un’opera. A questo punto, rischiando di essere pedante, devo svelare com’è pensata e formalmente eseguita quest’opera che si mostra ancora nell’attesa di essere di nuovo trasformata. In Casa Masaccio ho effettuato misurazioni metriche, in modo tale da trovarne il centro. Conseguentemente, basandomi sulla posizione del museo rispetto ai quattro punti cardinali, ho creato una mappatura che rappresenta il mondo. Al centro -che io colloco idealmente nella zona geografica detta ‘depressione caspica’ ma che nella realtà si trova sulle rive orientali del Mar Caspioho posto, sopra a un tavolo di marmo, la famosa scultura (quella che doveva essere esposta a chiusura del progetto del CAMeC pianozero), ovvero le due teste di gesso. Le teste sono due copie, una rappresenta quella del gigante Golia, l’altra è “Il Malatiello” di Vincenzo Gemito. Le due sculture si passano una patata con la bocca, in un gesto ‘metafisico di sospensione’ che potrebbe essere di scambio oppure di scontro, di bene o di male. Le teste, dunque, si trovano nell’area geografica della depressione caspica,
Michelangelo Consani. David (Verrocchio) e la patata: The Caspian Depression. And a One Straw Revolution, 2013. Installazione. Courtesy dell’artista.
quella dove l’occidente decadente incontra l’oriente emergente. Partendo da questo ipotetico centro, in corrispondenza delle posizioni geografiche di nascita/provenienza, ho posizionato personaggi minori: agronomi, scienziati, economisti; nell’area corrispondente al Giappone troviamo ad esempio Masanubu Fukuoka padre della bioagricoltura; nella parte del museo coincidente con l’Italia, lo scienziato assistente di Guglielmo Marconi, Pier Luigi Ighina. Ciascun personaggio è rappresentato con delle patate dipinte e germoglianti. Una sorta di mappature del mondo e nel mondo, di quelle personalità individuali che possono aiutarci a trovare la via per una società più equa, conviviale e sostenibile salvandoci dallo ‘scontro’ tra il sistema capitalistico emergente e il moribondo modello occidentale. Scontro che, a mio parere, potrebbe segnare la fine di una civiltà.
----Nell’intervista a Yaima Carrazana, rispondendo ad una domanda a proposito dell’invito che ti ho fatto a dissentire su questa opera, Yaima ha preso come riferimento il concetto che in pittura viene denominato pentimento. Tu come lo definiresti? Pensi che si possa applicare in questo caso? Oppure si tratta di un tuo modo di lavorare, nel quale le idee si sviluppano, una dietro l’altra, attingendo anche dalle occasioni che ti vedono partecipe, mostre, avvenimenti sociali, politici, economici, personali?
Non vedo nell’invito a dissentire sull’opera un sentimento di
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pentimento, piuttosto una voglia di cambiamento. In questo preciso momento storico voglio prendermi la responsabilità di dissentire rispetto alla classe politica e alle istituzioni del mio paese. In questo fine settimana di metà aprile, in cui sto rispondendo alle tue domande, in Italia la politica è naufragata nella vana ricerca di un nuovo Presidente della Repubblica. Mentre il paese attraversa una pesantissima recessione economica, assistiamo attoniti e impotenti allo sbando della classe dirigente nazionale. La crisi politica continua ad avvitarsi su se stessa tra tatticismi, “meline”, tentazioni di “inciucissimi” all’italiana, sberleffi e velleitarismi neomillenaristici di ogni sorta. Da vent’anni ci siamo allontanati dalla nostra storia, recente e anche lontana, vegetando in un presente che non ricorda e non progetta, privo di visione. Questa nostra modernità è caduta prima nel vuoto di un’ignoranza elogiata e poi nel pieno, ma troppo esile, di uno specialismo autorevole ma privo di una prospettiva che vada oltre l’economia. La causa sta forse in un’idea sbagliata di progresso. Non esiste una comune indignazione per quello che sta succedendo nel nostro paese e forse non è mai esistita: L’intelligenza non avrà mai peso, mai nel giudizio di questa pubblica opinione. Neppure nel sangue dei lager, tu otterrai da uno dei milioni di anime della nostra nazione, un giudizio netto interamente indignato: irreale è ogni idea, irreale ogni passione, di questo popolo ormai dissociato da secoli, la cui soave saggezza gli serve a vivere, non l’ha mai liberato. (Pier Paolo Pasolini da: “La Guinea” Poesie in forma di rosa, in “Bestemmia” volume primo). La responsabilità non è soltanto della nostra classe dirigente che ha contribuito alla creazione di modelli di riferimento decadenti, causando un inquietante appiattimento culturale ma anche dei cittadini; in Italia non ci dividiamo il pane ma ci sbraniamo per un osso. La mancanza di collaborazione tra individui è il punto nodale di una civiltà in caduta libera verso la decadenza:
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Il tuo grano è maturo, oggi, il mio lo sarà domani. Sarebbe utile per entrambi se oggi io... lavorassi per te e tu domani dessi una mano a me. Ma io non provo nessun particolare sentimento di benevolenza nei tuoi confronti e so che neppure tu lo provi per me. Perciò io oggi non lavorerò per te perché non ho alcuna garanzia che domani tu mostrerai gratitudine nei miei confronti. Così ti lascio lavorare da solo oggi e tu ti comporterai allo stesso modo domani. Ma il maltempo sopravviene e così entrambi finiamo per perdere i nostri raccolti per mancanza di fiducia reciproca e di una garanzia. (David Hume, “Trattato sulla natura umana”, 1740, libro III). Ecco perché ho accolto con grande entusiasmo l’idea di dissentire insieme a te in modo ‘costruttivo’ per cercare di fare qualcosa. Magari protestare con la dignità che solo il provare a ‘fare’ ci può garantire. La crisi si combatte con la cultura che non necessariamente deve essere veicolata dalle istituzioni, spesso ‘distratte’ o addirittura assenti. Ho in mente una cultura ‘attiva’ fatta di persone che attraverso gruppi di lavoro cooperano insieme cercando di ritrovare il contatto diretto con il pubblico, da troppo tempo ormai messo in fuga da una cultura sempre più “elitaria”. In occidente la crisi è durissima, ma dopo due anni che si parla solo di questo, gli artisti devono dimostrare la vivacità di soluzioni fattibili e concrete non dobbiamo solo guardarci dentro ma dobbiamo agire fuori! Sono un inguaribile romantico e un utopista ma vorrei che oggi gli artisti creassero qualcosa di realmente utile, dimostrando all’arrogante classe politica individualista che il cambiamento è possibile. Da parte mia, come del resto ho gia fatto in passato con il progetto “Barter platform” nato nel 2001, voglio sempre più lavorare su un’esperienza diretta e radicale della realtà che intenda riflettere sulle nuove possibili alternative economiche creative e sulla ‘riscoperta’ di modelli economici regressi, cercando di abolire il concetto di spettatore a favore di chi parteciperà attivamente alle riflessioni, superando il particolarismo delle proprie competenze
e personali campi d’azione per agire nell’interesse comune. Mi piacerebbe creare una rete internazionale di collegamenti, raccogliere esperienze, informazioni e documentazione sulle nuove forme di economia alternativa e sulle scoperte scientifiche non sviluppate perché non in linea con le attuali politiche. Riscoprire e analizzare i concetti di ‘Dono’ e di ‘Baratto’, verificandone limiti e possibilità e cercando di creare un collegamento con i gruppi e i singoli che attivamente e quotidianamente li applicano. Insomma un sacco di buoni propositi e un fiume di idee che ti ho esposto per questa gran voglia di cambiamento nata proprio da un sentimento di “Dissenso”.
----False Flag contiene una fotografia di due sculture di artisti anonimi della Repubblica Popolare Cinese. Una rappresenta un aguzzino che brandisce una frusta e l’altra uno schiavo. Sono due immagini che hai trovato, scelto e abbinato dopo averle estrapolate da un libro. Mi piacerebbe che ci raccontassi un po’ di questo gesto e di come le hai associate al concetto di “falsa bandiera”.
False Flag viene tradotto in italiano con falsa bandiera; si intende: una tattica segreta condotta generalmente da governi, servizi segreti e agenzie d’intelligence e progettata per apparire come perseguita da altri enti e organizzazioni, anche attraverso l’infiltrazione e/o lo spionaggio di questi ultimi. L’idea è quella di ‘firmare’ una certa operazione per così dire ‘issando’ la bandiera di un altro stato o la sigla di un’altra organizzazione. Un’operazione False Flag può vedersi come la versione in grande, strategico-politica, di un falso d’autore, ma non solo: la tattica falsa bandiera non si limita esclusivamente a missioni belliche e di contro-insorgenza, bensì viene utilizzata anche in tempi di pace, come ad esempio nel periodo italiano della strategia della tensione; copre inoltre operazioni nelle quali il nemico viene guidato a sua insaputa verso il raggiungimento di un obiettivo che lo stesso nemico può persino ritenere
essere connaturale al completamento della propria missione e/o all’attuazione della propria strategia. In tempo di pace le operazioni di False Flag servono per controllare l’opinione pubblica ed ovviamente le masse. Le notizie che i media quotidianamente ci propinano sono spesso manipolate in modo tale da influenzare il nostro pensiero. Se ci domandassimo il perché di certe notizie -invece di limitarci ad assorbirle passivamentescopriremmo grandi inganni ma soprattutto non rimarremmo vittime della guerra psicologica attuata dai poteri forti del pianeta che mirano a farci vivere con un’idea di insicurezza, frustrazione e paura per poi legittimare qualsiasi intervento (guerre, crisi economiche, ecc). La realtà è completamente diversa da quella che i potenti della terra ci vogliono far credere; l’unica via d’uscita per sfuggire al globale “Truman show” che ci hanno costruito intorno è riappropriarci della capacità di pensare. Per questo motivo utilizzo le immagini di due sculture in terracotta eseguite da artisti anonimi a servizio del regime maoista che nascono come dimostrazione dell’importanza e della necessità della conquista tibetana, non per motivi economico-politici ma in nome della democrazia (come del resto hanno sempre fatto gli americani).
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Michelangelo Consani. Dynamo Project. Bicycles against Black out!, 2010. Installazione. Courtesy dell’artista.
Nel tuo lavoro c’è un chiaro interesse per le storie minori e per i personaggi minoritari della storia che una volta divenuti parte del tuo archivio sono testimoni con voce propria. La tua storicizzazione di queste
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vicende e di questi personaggi, ignorati o messi da parte dalla Storia, viene ricostruita sia dalla vita dei personaggi(Dynamo, 2010), dai gesti della vita quotidiana (Beat on the Brat 4, 2009) e anche attraverso azioni(Kill the Butterfly, 2006). In “Dissentire” le piccole storie, i personaggi anonimi, diventano protagonisti (Elena/o de Céspedes, l’artigiano della maschera mortuaria del dittatore Franco...) In quale modo situeresti all’interno di “Dissentire” gli scultori delle immagini che fanno parte di False Flag?
Michelangelo Consani. Kill the Butterfly, 2006. Azione. Courtesy dell’artista.
Dynamo: biciclette contro il black-out traeva spunto dalla storia di Marshall Walter Taylor, giovane ciclista afroamericano vincitore, nel 1899, del titolo mondiale su pista e vittima, nel corso della sua carriera, di numerose ingiustizie razziali. Basti pensare che negli Stati Uniti, a fronte delle vittorie di Taylor, fu inserito nel regolamento del ciclismo su pista il requisito di essere bianco, formalmente rimosso solo nel 1999. Questa storia marginale, è diventata il punto di partenza per una riflessione più ampia sui rapporti tra ambiente, energia, equità e giustizia sociale. Il modello economico postfordista è stato fallimentare, l’economia occidentale è in grave crisi. Molti paesi europei potrebbero trovarsi da un giorno a un altro con un’economia interna al collasso.
Io, per dirla alla Fukuoka, mi interesso di un filo di paglia che comunica la sua trasparente umiltà al mondo. “La politica del filo di paglia è fuori dalla storia, è contro la storia, è prima e dopo la storia”. La politica del filo di paglia è fatta di personaggi marginali che la storia ha omesso perché scomodi, non collocabili in nessun sistema oppure, in certi casi, perché considerati alla stregua di ‘numeri’ a servizio del sistema, come nel caso dei due scultori dell’opera False Flag di cui non sappiamo nulla, neanche il nome.
Credo che la società debba pensare ad un modello completamente opposto rispetto a quello attuale. La storia dell’imperialismo, del colonialismo e della decolonizzazione -che hanno stravolto i sistemi economici e profondamente mutato gli scenari culturali di tutte le aree del mondo, portando ad una assimilazione ed uniformazione ai valori occidentali e determinando lo stato di crisi economica e di risorse nel quale versa il pianeta- deve finire! Siamo tutti troppo abituati e legati al concetto che ‘il tanto’ sia meglio del ‘giusto’. Bisogna riscoprire l’attenzione alle piccole cose, ai rapporti, alle cause e agli effetti. Non dobbiamo farci abbagliare dal potere delle grandi cose, quello è dei tribunali, dei giornali, dei laboratori scientifici, delle fabbriche, dei
Fra le sue collettive più importanti: Artkliazma, Festival of Contemporary Art at the Klazminskoye Reservoir, Mosca; Rites de passages, Schunck-Glaspaleis, Heerlen, Paessi Bassi; Suitcase Illuminated, Musée d’Art Contemporain du Val de Marne, Francia; Splav Meduze, Center for Contemporary Art Celje, Celje, Slovenia; Practicing Memory, CittadellarteFondazione Pistoletto, Biella, Italia; Aichi Triennale, Nagoya, Giappone; Anno del Drago, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato, Italia; 10a Biennale dell’arte africana contemporanea, Dakar, Senegal; In Vitro, Mac Museo d’arte contemporanea, Lissone, Italia. Fra le sue personali: Michelangelo Consani – M.H.G. Three Personalities For A New Ecological Memory, Kunstraum Muenchen, Monaco di Baviera, Germania; Ancora ancora la nave al porto, CAMeC, Centro d’Arte Moderna e Contemporanea, La Spezia, Italia. Nel 2010 riceve da EX3 Centro per l’Arte Contemporanea di Firenze il premio come miglior artista under 40, recentemente la Kunstverain Milano / Amsterdam / New York ha pubblicato un libro sull’artista, il libro è stato presentato al PS1 di New York e al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Milano.
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palazzi presidenziali, della tecnologia intellettuale e della politica più in generale, insomma delle maggioranze.
-----------------------------------------Michelangelo Consani è nato a Livorno nel 1971, vive e lavora a Castell’Anselmo, Livorno.
Dissentire Mostra e catalogo a cura di Alba Braza Boïls Casa Masaccio San Giovanni Valdarno 04.05.13 – 09.06.13 ----Mostra realizzata nell'ambito del progetto di iniziativa regionale Toscanaincontemporanea2012 ----Catalogo edito da Settore8 Editoria Progetto grafico Andrea Sansoni ©Casa Masaccio, San Giovanni Valdarno ©Per i testi Alba Braza Boïls ©Cabello/Carceller, VEGAP, Valencia 2013 ©Per le fotografie gli artisti Ringraziamenti Si ringraziano tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione della mostra, in particolare Vittoria Ciolini perché la nostra relazione ci permette sempre di collaborare al di là dei ruoli predefiniti, Valentina Lapolla per la sua cortese pazienza, Saretto Cincinelli che mi ha mostrato strade diverse, Cristóbal Jiménez per il suo sostegno quotidiano. Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti.