Alberto Sana, Quindici anni con Tommaso da Olera (2018)

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QUINDICI ANNI CON TOMMASO DA OLERA

A volte succede. Anche senza tirare in ballo la solita serendipità, accade che qualcosa di buono capiti senza cercarlo; o meglio: che, alla vaga ricerca di qualcosa, ti capiti proprio quella cosa, ma un po’ diversa da come la pensavi tu. E la tua vita cambia. È successo anche a me, quindici anni fa. Dopo una laurea in lettere e un dottorato in teoria e analisi del testo, cercavo altro: le storie che trovavo nei libri non mi appassionavano più come un tempo e mi lasciavano l’amaro in bocca e un certo senso di vuoto. Ma cominciamo dall’inizio. Ho sempre amato leggere, e leggere è anche il mio lavoro: faccio l’insegnante di italiano e latino. Negli anni mi sono anche provato a mettere a frutto quel poco o tanto che ho imparato all’università pubblicando qualche saggio letterario e qualche edizione di testi. Mi attraeva soprattutto un secolo strano come il Seicento, e all’università (ho frequentato i corsi a Pavia) avevo ricevuto una formazione storico-filologica piuttosto rigorosa: non si fa critica senza accertamento testuale, filologia e critica devono procedere appaiate. Contini dalla città dei collegi universitari (che conserva le spoglie di sant’Agostino e Boezio) non era passato invano, e neanche Dante Isella. C’erano Maria Corti e Cesare Segre. Carlo Dionisotti era venerato come maestro de lonh. Io mi sono laureato col bergamasco – come me – Franco Gavazzeni (figlio del celebre Gianandrea), che, con altri docenti pavesi come Cesare Bozzetti e Luigi Poma, ha insegnato a molti alunni la tecnica del ‘piccolo punto’: la verifica del particolare è un passo, sia pure minuscolo, verso la verità. Nella preparazione della tesi di laurea, e per tramite di Gavazzeni, ho avuto modo di incontrare insegnanti che mi hanno dato consigli preziosi e le cui personalità hanno lasciato in me più di una traccia. Il napoletano Giorgio Fulco mi ha suggerito l’argomento della ricerca e ha sciolto molti miei dubbi; il ticinese Padre Giovanni Pozzi – insieme a Isella l’allievo più brillante di Contini – mi ha periodicamente fornito indicazioni di lavoro e di metodo; il modenese (ma romagnolo di nascita) Martino Capucci ha creduto fortemente nelle mie proposte e ha accolto sulla sua rivista (“Studi secenteschi”) alcuni miei saggi. Tutti a modo loro maestri e persone di valore, oggi tutti nel mondo dei più; e mi trovo spesso e nostalgicamente a pensare a loro come a dei padri, accanto a mio padre, anch’egli da vent’anni scomparso. Verso la fine del dottorato di ricerca (avevo ventott’anni) la crisi: di ciò che avevo scritto per la dissertazione conclusiva di quel ciclo di studi (romanzo greco e rielaborazioni barocche) mi importava poco o nulla. Ero stato irresistibilmente attratto da altro: per caso su Avvenire ero stato incuriosito da una recensione a un libro di Maurizio Blondet (Gli Adelphi della dissoluzione) che citava Nietzsche e Guénon. Nietzsche l’avevo letto un po’ al liceo (e, mea culpa, non mi aveva entusiasmato), Guénon non sapevo nemmeno chi fosse. Da quel momento e per qualche anno qualunque libro vagamente esoterico che avesse a che fare con scienza sacra, tradizione, induismo, taoismo e sufismo divenne mio pasto, mio solo pascolo: avevo scoperto un mondo. Nel mio perenne provincialismo mi ero quasi convinto di essere una sorta di eletto. Vivevo a qualche metro da terra e aspettavo una quale che sia apocalisse prossima ventura. Fondamentalmente (e lo riconosco sorridendo) divenni un adelphiano in pectore, un chiliaste in sessantaquattresimo. Cattolico praticante da sempre, ho continuato ad andare a messa la domenica (come dicevano i miei vecchi), ma in quel periodo ero infatuato di problemi come questo: in che modo conciliare il creazionismo delle religioni monoteistiche con l’emanazionismo orientale? Oppure: davvero tutte le religioni non sono che le ramificazioni dell’unica vera e primitiva? Questioncelle, come si vede. A quei tempi non avevo alcuna informazione su figure come Panikkar o Le Saux; Eliade arrivò dopo. Ho passato anni a leggere e a studiacchiare, senza tuttavia mai conseguire una seria e solida preparazione teologico-filosofica in merito. Sia come sia, la dottrina esoterica della ‘crisi del mondo moderno’, del ritirarsi della vera Tradizione (con la t maiuscola) in oriente e cose così, creò in me una frattura. Non riuscivo più a 1


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