Satricum

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Latina,

2500

anni fa

I resti del Tempio dedicato a Mater Matuta, nell’area archeologica di Satricum

L’area archeologica di Satricum è testimonianza della grande città latina che prosperò sulle sponde dell’Astura, oggi Le Ferriere, prima ancora che Roma nascesse

U

di ALESSIA FRATINI

na bonifica al contrario, a ritroso nel tempo. La palude che scompare man mano che, scavallando i secoli dell’era moderna e medievale, si ritorna indietro in epoca romana e, prima ancora, in quella latina. Civiltà di grande spessore culturale e commerciale che resero l’attuale piana pontina uno snodo fondamentale per gli scambi mercantili tra le popolazioni dell’epo-

ca, ben prima che la Lupa capitolina fagocitasse ogni segno distintivo. Tutte testimonianze di un valore archeologico inestimabile, seppellite dalla storia ma anche dall’incuria e dall’indifferenza, il cui recupero fisico e concettuale, portato avanti di recente, riabilita la nostra stessa provenienza. Non siamo nati nella palude come giovani zanzare, discendiamo da un popolo più antico di Roma, nasciamo prima dell’ab urbe condita. Nasciamo a Satricum.


L’antica città latina di Satricum Satricum è forse il sito archeologico più importante e meno conosciuto del comune di Latina. L’antica città, che aveva un’estensione di oltre quaranta ettari, conobbe il suo periodo d’oro tra il VII e il VI secolo a.C.. Oltre 2500 anni fa prosperava sulle rive del fiume Astura un’importante città con contatti in tutto il bacino del mediterraneo orientale. Dobbiamo immaginare il fiume, all’epoca molto più grande di ora, come una direttrice viaria e commerciale. Da qui il fiume non era più navigabile, quindi si scaricavano le merci e intorno a questo Satricum ha conosciuto diverse fasi architettoniche, che corrispondono grosso modo alle fasi architettoniche del Tempio che sorgeva sull’acropoli, la parte più alta del pianoro occupato dalla città. La prima fase costruttiva risale al VIII secolo a.C. quando sulla collina dell’acropoli sorgono le prime capanne. In questo periodo qui, come nel resto d’Italia, si viveva ancora in capanne rotonde o ovali scavate in parte nel terreno. Anche il Tempio era una capanna, con

grande mercato sono sorte prima le capanne e poi l’importante città… Un antico terminal commerciale dove oltre ai Latini, s’incontravano Etruschi, Greci, Volsci e forse Fenici. La città occupava un pianoro sopraelevato, nella zona oggi chiamata Le Ferriere. Qui la pianura Pontina non era una palude disabitata, anzi vi si trovava Satricum, una fiorente città fondata dai Latini in epoca preromana, e una rete di strade che la collegava ad altre città. Agli inizi del V secolo a.C. a Satricum cominciarono ad arrivare i Volsci, un popolo montanaro e nomade che scese nella regione pontina verso i centri urbani della costa. Col tempo la componente volsca diventò più cospicua e in mano ai Volsci la città lentamente iniziò a decadere. Nonostante ciò, Satricum costituì fino al IV secolo uno dei principali baluardi dei Volsci contro l’espansione romana verso la pianura Pontina. Venne infine distrutta a più riprese, nel 377, e ancora nel 346 e finì lentamente dimenticata: a giudicare dai dati archeologici, la zona doveva essere

abbandonata già nel II secolo a.C. Città distrutta più volte, ma fu sempre risparmiato l’importante tempio della Mater Matuta.

Il tempio di Mater Matuta Il fulcro intorno a cui ruotava la vita della città, sia da un punto di vista spirituale e sociale che architettonico, era il Tempio dedicato alla Mater Matuta, dea dell’alba e dell’aurora, colei che tutte le mattine faceva nascere il sole. La divinità latina della vita che comincia e come tale nume tutelare delle donne in gravidanza e della vita stessa. In realtà non si tratta di un solo tempio, ma di una serie di luoghi sacri edificati l’uno sull’altro nello stesso posto nel corso di 7 secoli. L’ultima costruzione, realizzata da maestranze provenienti dalla Magna Grecia, è un rarissimo esempio di tempio arcaico su modello greco: in Italia centrale si conosce solo un altro caso, il tempio B di Pyrgi, più antico di pochi anni.

Dall’alto: Le ricostruzioni del primo abitato di Satricum (VIII sec. a.C.) e del Tempio II, all’epoca di maggior splendore. Una statuetta che rappresenta la divinità latina Mater Matuta. I maggiori centri dell’età arcaica e del ferro nel basso Lazio.

un focolare al centro e un deposito votivo per conservare oggetti di culto donati (statuine, vasi in ceramica e oggetti riferiti alla sfera delle attività femminili). Dal VII secolo a.C. si comincia a costruire in muratura gli edifici più importanti. Sull’acropoli si construisce il “sacello”, una stanza rettangolare con tetto in elementi leggeri, per celebrare il culto.


Intorno al 540 a.C. al posto del sacello viene costruito il “Tempio I”, contornato da colonne su tutti i lati tranne che sul retro e con il tetto ricoperto da tegole e “terrecotte archiettoniche”. La città in questa terza fase è si dota di un muro di cinta costruito con la tecnica del terrapieno. All’inizio del V secolo il tempio, diventato ancora più importante, necessita di una nuova ricostruzione. Si abbatte quindi il Tempio I per far posto a uno più grande, ma con un orientamento diverso rispetto ai precedenti. Il nuovo tempio ha una architettura ancora più complessa: colonne lo contornano per intero e il tetto è decorato con una grande varietà di figure e di statue a grandezza naturale. Nella costruzione di quest’ultimo tempio è stato utilizzato un blocco di tufo che si è poi rivelato come uno dei ritrovamenti più importanti provenienti dal sito: il Lapis Satricanus. Qui è incisa la famosa iscrizione, che contiene una dedica al console romano Publio Valerio.

Satricum, foto aerea e mappa dell’antica città. In alto i resti di una magnifica statua di Zeus che decorava il tempio.

Una città dimenticata Satricum fu scoperta il 24 gennaio 1896 da un archeologo francese, Henri Graillot, che andava alla ricerca di antiche città latine seguendo “La storia di Roma” di Tito Livio. Secondo lo storico nell’Agro pontino sorgeva una città chiamata Satricum,, abitata prima dai Latini, poi dai Volsci e distrutta nel 346 dai Romani, dopo molte guerre. L’archeologo francese individuò il tempio della Mater Matuta sulla collina delle Ferriere ma dopo pochi mesi, forse per l’importanza della scoperta, furono messi a capo delle ricerche tre archeologi italiani allora molto famosi: Felice Barnabei, Adolfo Cozza e Raniero Mengarelli. Gli scavi proseguirono per due anni (1896-98) e con i reperti trovati riempirono senza difficoltà due intere sale del Museo

di Villa Giulia a Roma, allora appena istituito. Poi, 80 anni di buio, come dimenticato. Nel 1976 per salvare il sito, nel frattempo trasformato in vigneto, dalla speculazione edilizia, il Comitato per l’Archeologia Laziale, creato per difendere il patrimonio archeologico del Lazio pre-romano, chiese aiuto all’Istituto Olandese di Roma. Con l’approvazione del Ministero dei Beni Culturali un gruppo di archeologi dell’Istituto Olandese dette così l’avvio, nel 1977, alla prima di una lunga serie di campagne, durante la quale Conrad Stibbe portò alla luce uno dei più importanti reperti della città: il Lapis Satricanus, una iscrizione in latino arcaico dedicata a Publio Valerio. Le ricerche da parte Olandese sono andate avanti e continuano, prima in collaborazione con l’Università di Groningen e poi con l’Università di Amsterdam guidati dalla Dott.ssa Marijke Gnade, docente di Archeologia delle culture preromane dell’Italia Centrale e responsabile dei lavori di scavo di Satricum e Casale del Giglio. Satricum è una testimonianza storica importantissima e tuttora poco conosciuta, un sito archeologico da valorizzare e un’occasione per il turismo, ma è anche la dimostrazione che questo è un territorio ricco di storia, storia antica. Sfatiamo quindi un mito: prima della bonifica qui non c’era solo palude!

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Prof. Michelangelo La Rosa Per spiegare l’importanza degli scavi di Satricum ci siamo avvalsi dell’aiuto del paletnologo Michelangelo La Rosa, Vicepresidente dell’Ecomuseo dell’Agro pontino – Nuovo Mater Matuta, associazione che si prodiga per promuovere la consapevolezza delle radici storiche e culturali delle comunità. Il professor La Rosa è anche docente di Archeologia del territorio pontino nelle scuole di ogni ordine e grado della provincia di Latina.

Antichi commerci internazionali

Scarabei egizi e la testa di una statua in stile greco a testimoniare i rapporti dei Latini con le altre popolazioni del tempo

Nasce a Satricum l’agro “pontino” Secondo molti archeologi la città in precedenza aveva un altro nome. Satricum sarebbe il nome dato successivamente dai Volsci: si tratta, infatti, di un nome volsco, come si deduce dall’esistenza di un’altra Satricum, anch’essa volsca, nella valle del Liri. L’ipotesi più accreditata nel mondo accademico è che la città latina anticamente si chiamasse Pometia, il che potrebbe spiegare anche il toponimo “Agro Pontino”. La zona circostante alla città in latino era denominata ager, quindi Ager Pometinus che nel tempo è cambiata in Pomptinus e e poi in Pontino… da qui Agro Pontino. Se fosse stata realmente la storia a guidare la scelta del nome, questa città avrebbe potuto chiamarsi invece di Littoria o Latina, Satrico in memoria della grande città latina che 2500 anni fa prosperava a soli 10 kilometri da qui.

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La varietà di reperti archeologici ritrovati a Satricum dà un’idea dei molteplici rapporti commerciali intrattenuti con le popolazioni del mediterraneo centro-orientale: Etruschi, Greci e Fenici Si può immaginare la città di Satricum come un terminal commerciale: nel VII secolo già s’importava il vino dalla Grecia e si commerciava vasellame con gli Etruschi, che vivevano oltre il Tevere. Probabilmente portati dai Fenici, sono qui stati ritrovati anche scarabei egiziani e perfino tazze di bronzo provenienti dalla Siria.

L’alfabeto più usato nel mondo, è nato qui Nella prima campagna di scavo olandese, Conrad Stibbe recuperò il Lapis Satricanus, una pietra con l’iscrizione arcaica in latino dedicata a Publio Valerio, poi riutilizzata come materiale da costruzione nelle fondazioni del tempio. L’iscrizione, risalente al V secolo a.C., è un importante conferma storica dell’esistenza di Publio Valerio Publicola, console della repubblica ritenuto uno dei padri fondatori della Repubblica di Roma. Ma soprattutto, il Lapis Satricanus, citato anche dai libri scolastici tra i documenti all’origine della lingua latina, è una delle prime testimonianze dell’alfabeto latino, tuttora l’alfabeto più usato nel mondo. Qui infatti, nella terra madre dei Latini, tra il fiume Tevere e il monte Circeo, si è formato il popolo che ha elaborato l’alfabeto latino, sulla base di quello greco (così come avevano fatto gli Etruschi). L’alfabeto è stato poi usato e diffuso dai Romani in tutta Europa e da lì al resto del globo, ma ad inventarlo sono stati i Latini! Dopo tanti anni passati negli scantinati questo importante reperto è finalmente esposto nella sezione epigrafica del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano. “[…] iei hanno eretto (questo monumento) come amici di Publius Valerius a Marte.”


I reperti a Roma Solo da pochi anni, i reperti archeologici ritrovati a Satricum nell’800 sono stati sistemati, in quattro nuove sale della Villa Poniatowski. Finalmente si possono ammirare in una sezione dedicata nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, fondato allo scopo di raccogliere insieme tutte le antichità pre-romane del Lazio.

Visitare Satricum Si può visitare in gruppo, bisogna inviare un fax alla Soprintendenza archeologica del Lazio che nell’arco di qualche giorno manderà un addetto per aprire il cancello. All’interno c’è una struttura che copre e preserva i resti del tempio, un percorso didattico all’ingresso del parco archeologico e uno all’interno delle ex-ferriere, in una struttura denominata “area documentale”. Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio: Tel. 06 3265961 Fax 06 3214447

Un museo alla fine del 2013? Lo scorso 26 luglio, con la consegna della vecchia scuola di Borgo Le Ferriere, dal Comune di Latina all’Università di Amsterdam, è partito il rilancio dell’area storica di Satricum. I locali della scuola, ristrutturati dal Comune, saranno utilizzati come laboratorio per i reperti trovati e come dormitorio per gli studenti olandesi impegnati nei lavori di scavo nell’area di Satricum. La consegna della struttura alla dottoressa Marijke Gnade, direttrice del gruppo di archeologi olandesi che da più di trenta anni lavora sul sito, ci avvicina quindi all’apertura di un museo dedicato a Satricum. Sarebbe uno dei più importanti musei pre-romani d’Italia e un potenziale volano sotto il profilo turistico. L’amministrazione comunale si occuperà della messa in sicurezza della struttura museale e la Soprintendenza curerà la parte scientifica del progetto; se tutto procederà come previsto, è probabile che questo patrimonio sarà

L’iscrizione col nome di Mamarcus. In basso satiri danzanti, una delle tante antefisse che decoravano il tetto del tempio

inaugurato e finalmente aperto ai turisti entro la fine dell’anno, magari per il 18 dicembre, compleanno della città di Latina.

Latini vs Volsci Satricum fu fondata intorno al IX secolo a.C. dai Latini, una popolazione urbanizzata e con rapporti commerciali con diversi paesi del bacino mediterraneo, Marsiglia, Cartagine, Grecia, Spagna, Egitto. Alla fine del VI secolo a.C. inizia la migrazione dei Volsci, popolo montanaro e nomade, proveniente dalle valli del Liri e del Sacco e attratto dalla ricchezza dei centri urbani Latini della costa.

Mamarcus, un abitante di Satricum

fino alla sera, per immergersi nell’antica Satricum e conoscere usi e costumi del tempo.

Sotto le discariche Anche dove oggi sono le discariche, c’erano dei resti archeologici. Erano probabilmente delle ville romane, informazione che all’epoca si è deciso semplicemente d’ignorare nonostante vi fossero già autorevoli testimonianze a conferma. Infatti, era già noto lo studio topografico pubblicato nel 1977 da Fabio Piccarreta, uno dei maggiori esperti in topografia antica, riportato anche nella mappa archeologica della valle dell’Astura, pubblicata dall’università di Groningen.

Mamarcus è il nome, l’unico che conosciamo, di un abitante vissuto nel VI secolo a.C. a Satricum. La sua casa si trovava di fronte al tempio di Mater matuta sull’acropoli, qui è stata ritrovata l’iscrizione incisa su un frammento di un vaso, “Viva il buon Mamarcus”, indizi che fanno pensare a un benestante, forse un ricco commerciante. Questi reperti sono stati infatti lo spunto per una ricostruzione delle abitudini degli abitanti della città fatta dal prof. Michelangelo La Rosa, in collaborazione con la prof. ssa Gnade, in occasione di un recente convegno. Un suggestivo racconto della giornata di Mamarcus, dall’alba

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