Diario tragicomico di una fotografa amatoriale che posta su Facebook

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All’inizio era il buio. Poi venne la luce. Venne creato l’uomo. L’uomo creò la macchina fotografica. Nacque IL FOTOGRAFO, un cyborg in cui si mescolavano elementi umani e meccanici. La luce divenne “buona luce” o “cattiva luce”, si iniziò a ragionare di ISO, di esposimetri e polarizzatori. Il buio riavvolse l’universo, come in un loop cosmico, ed il genere umano iniziò la propria involuzione, accelerata, in parte, dall’immissione, sul mercato mondiale, di oggetti vari capaci di fotografare ed immortalare attimi del gramo quotidiano, tipo cellulari che fanno tutto meno che telefonare, tappi di sughero che si selfano nel medesimo istante in cui vengono espulsi dalla bottiglia, tagliaunghie che fermano, in una stampa color seppia anticata 20X30, l’immagine stessa dell’unghia poco prima del distacco completo dall’alluce del piede.


Una volta creato, il fotografo non ha più alcuna speranza di ritornare l’uomo felice ed apprezzato che era prima. Gli amici, a poco a poco, si allontaneranno da lui, soffocati dal suo continuo scattare foto compulsivo, li creeranno il vuoto attorno pur di sfuggire al suo maniacale bisogno di fotografare anche l’ultimo baffo di cioccolato che la torta ha lasciato sul piatto, oppure il gas di scarico che fuoriesce dal tubo di scappamento di un’auto (ci è giunta, a tal proposito, recentemente, la notizia che molti esimi colleghi che avevano scelto, per questo tipo di scatto, un’auto tedesca, in particolare una Golf o una Polo sono, ahimè, deceduti per soffocamento ed avvelenamento da emissioni...osserviamo per loro un minuto di rispettoso silenzio). Dopo l’allontanamento da parte degli amici, inizia, inevitabilmente, quello da parte dei familiari che si concluderà, in un caldo pomeriggio assolato, con l’abbandono del povero fotografo sul ciglio di un tratto autostradale molto trafficato, da parte del coniuge che si premunirà di legare il congiunto al guard rail con una cinghia che reca, in bella vista, il logo della Nikon o della Canon, rarissimamente quello della Pentax, a seconda del tipo di virus che lo ha contagiato. Il buon coniuge, se ancora innamorato, lascerà anche una ciotola di acqua fresca. Questo tipo di abbandono è necessariamente in aumento all’inizio della stagione estiva in quanto nessun familiare intende recarsi in un qualsiasi luogo di villeggiatura con il fardello del cliccatore folle al proprio seguito. A questo punto il fotografo è solo, libero di dedicarsi al proprio hobby.


Abbiamo lasciato, alla fine del capitolo precedente, il nostro collega fotografo solo con la propria macchina, libero di dare sfogo a tutto il proprio delirio. Il percorso che lo attende, adesso, è un percorso che, in parte o totalmente, tutti noi fotografi da strapazzo abbiamo già intrapreso prima di lui. Si inizia con una stampante, con qualche programmino gratuito di fotoritocco sul pc, magari utilizzato solo per raddrizzare qualche scatto, e si finisce con un consumo di cartucce d’inchiostro e carta fotografica da fare invidia ad un colosso editoriale, una spesa pari al PIL di un paese del terzo mondo, la casa invasa da fotografie inguardabili e con colori talmente saturi da aver perso qualsiasi contatto con la realtà (cosa che, d’altronde, abbiamo fatto pure noi). E’ a questo punto che, come in una visione provocata da acido lisergico ingurgitato in dosi massicce, ci appare nella mente, a lettere cubitali dai colori psichedelici, la parola CONDIVISIONE, CONDIVISIONE, CONDIVISIONE. Un bianconiglio dagli occhi rosa, alto quanto un palazzo, ci suggerisce in un orecchio di iniziare a postare le foto sul nostro profilo facebook invece di stamparle.


Ma certo!!! E’ l’uovo di Colombo! Come abbiamo fatto a non pensarci prima?? Con questa folgorazione, degna di quella subita da San Paolo sulla via di Damasco, ha inizio la seconda ed ultima fase del nostro isolamento. I tuoi contatti feisbucchiani, quegli amici virtuali che, fino a questo momento, non frequentandoti di persona, si erano persi il tuo progressivo cambiamento, si troveranno, da un giorno all’altro, la bacheca intasata dalle tue foto. All’inizio, poveri ignari e ingenui esseri, ti incoraggeranno, ti loderanno, si complimenteranno con te. Commenteranno i tuoi post plurigiornalieri con parole gentili, perché non se la sentono assolutamente di umiliarti, confessandoti che la vista di alcune delle tue foto ha provocato loro un attacco recidivo di colite. Dopo un po’ di tempo si accorgeranno dell’errore fatto e, dapprima cesseranno di commentare e “piaciare” le tue ciofeche, poi bloccheranno le tue notifiche, in ultimo ti banneranno a vita e, se per caso dovesse capitare che ti incontrino per strada, abbasseranno il capo, e, furtivamente, rasentando i muri, fingeranno di non conoscerti e se la daranno a gambe. Ma tu, prode guerriero, reso ormai cieco e sordo dal delirio galoppante, non cedi il passo ed imperterrito continui il tuo viaggio alla conquista della fama imperitura. E’ a questo punto che un nuovo, impellente bisogno, più dirompente di quello che prova la tua vescica dopo che hai bevuto due litri di tisana diuretica, si fa avanti dentro di te, come un esploratore armato di machete si apre la strada nella giungla del tuo ormai fatiscente organo pensante.


Perché è appurato che, dopo un po’ che inizi a fare foto, che tu sia bravo, bravissimo o uno che vale una benemerita cippa, sentirai, tuo malgrado, ahimè, una spinta compulsiva che ti porterà ad entrare in un gruppo fotografico. E lo farai, ignaro dell’arena in cui ti tufferai e dei gladiatori assetati di sangue che aspettano solo te.


Su facebook i gruppi fotografici sono migliaia, tu ne sceglierai uno a caso, magari uno dei più grandi, oppure uno che abbia un nome od una “filosofia” che ti ispirano, senza sapere che, nella maggioranza dei casi, la tua scelta oculata sarà totalmente inutile. Finirai, comunque ed inesorabilmente, in una macchina tritatutto (e soprattutto tritapalle), in un gioco al massacro in cui a te verrà destinato un ruolo variabile a seconda degli umori o delle simpatie che susciterai negli altri (e bada bene che ho scritto “tu”e non “i tuoi scatti”). A tal proposito verrebbe anche da chiedersi perché fior fiore di fotografi professionisti o semi-professionisti si cimentino nella condivisione dei propri scatti superlativi postandoli accanto a quelli di personaggi totalmente incapaci, che si ostinano a mostrare al mondo foto inguardabili ed oscene....ma lasceremo perdere questa domanda. Accettiamo questo come fosse un dogma, un mistero della fede. Iniziamo, invece, col dire che nessuno è diventato un fotografo ricco e famoso postando su fb, quindi, tanto per cominciare, mettiamoci bene in testa che stiamo tutti solo giocando, che stiamo postando per divertimento, che il nostro successo ottenuto un giorno con una


foto è più effimero di una scorreggia sotto il maestrale, che la nostra fama nel mondo dei fotografi è l’equivalente di un escremento di mosca sulla volta celeste, che abbiamo più possibilità di passare alla storia come vincitori di una gara di rutti internazionale che come fotografi. Se si è assimilato e metabolizzato questo concetto, possiamo provare ad entrare nell’arena. E…quando il gioco si fa duro.........le mezzecalzette cominciano a giocare. Se sei persona educata e rispettosa, appena verrai ammesso al gruppo, scriverai un ringraziamento, saluterai gli altri e, indiscutibilmente, non verrai cagato neanche di striscio. Questo, detto tra noi, non aiuta l’autostima. Ma noi fotografi dilettanti siamo dei duri, abbiamo un’autostima che fa provincia e paga pure l’IMU, quindi, a testa bassa, andiamo avanti, come tanti tori nelle vie di Pamplona nel giorno della festa di San Firmino. Esistono varie tipologie di gruppi fotografici, e ciò è dovuto, prevalentemente, al fatto che esistono varie tipologie di amministratori. Proverò, qui, a descriverne alcuni ma riconosco che questa è una impresa titanica e che, come di fronte ad un iceberg nell’Oceano Artico, sono riuscita a scoperchiarne solo la punta. 1) GRUPPO FOTOGRAFICO DEL PRIMO TIPO: “IL MATTATOIO”. Gruppo fotografico con migliaia di iscritti, amministratori totalmente assenti e latitanti, membri che, di fatto, si autogestiscono. Praticamente un gruppo in cui vige l’anarchia assoluta.


In questo tipo di gruppo i membri, ogni giorno, si azzannano al pari di cani addestrati per le lotte clandestine e lasciano morti e feriti sul campo. Più che ad un’arena qui siamo di fronte ad una macelleria. Discussioni e polemiche chilometriche sotto alcune foto, offese tutt’altro che velate, lapidazioni nella pubblica piazza ed altri divertenti passatempi del genere. In più, avendo l’amministratore di tale gruppo un ego non indifferente, la copertina, quella cosa che in altri gruppi regala una parvenza di premio ai membri, qui non è mai messa in discussione, è sempre e solo scattata dal padrone di casa. Trovo, personalmente, che un gruppo del genere sia folle, un luogo in cui solo sadici e masochisti possano trovarsi a loro agio. Per citare il meraviglioso film Blade Runner: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi”. Ho visto persone postare ogni giorno foto ingiuriose di posteriori sovrappeso di ignare vittime per sacrificarle al pubblico dileggio, ho letto commenti disgustosi sotto foto di nudo, ho trovato chi ha cercato di gettarmi nel mezzo alla folla inferocita solo perché un mio scatto riceveva apprezzamenti e non critiche............ Inutile aggiungere che da un gruppo del genere conviene svignarsela il prima possibile, prima di uscirne malconci e depressi. Di fronte a tali comportamenti la bellezza o meno degli scatti che vi si possono ammirare passa decisamente in secondo piano, diventa irrilevante. 2) GRUPPO FOTOGRAFICO DEL SECONDO TIPO: “IL FEUDO”. Gruppo fotografico con migliaia di iscritti, amministratori autoreferenti, struttura piramidale da feudo medioevale. Gli admin regnano come Signorotti, circondati dal Gotha dei membri. Il loro entourage è formato dai Vassalli, dai Valvassori e dai Valvassini, nominati dal Signorotto di turno, e tutti gli altri membri


sperano di riuscire, un giorno, ad entrare tra questi prescelti, faranno carte false nel tentativo di farsi notare. I membri del Gotha se la cantano e se la suonano, al punto che gli stessi giudicanti partecipano alla competizione. La stragrande parte dei membri, invece, rappresenta il volgo, sono i poveri servi della gleba, invisibili come dei paria indiani, il pulviscolo atmosferico cosmico che c’è ma non si vede. Ho provato una tale sensazione di invisibilità in un gruppo di questo tipo, che sono arrivata a chiedermi se, per caso, non fossi morta e riapparsa sotto forma di entità incorporea senza essermene resa conto. Inevitabile che, in un gruppo così, le polemiche siano all’ordine del giorno, forse semplicemente perché le polemiche servono ai membri per sentirsi vivi. 3) GRUPPO FOTOGRAFICO DEL TERZO TIPO: “LA GIURIA NON DI QUALITA’ ”. Gruppo di medie dimensioni ma in continua crescita, con amministratori attenti, in cui i membri vengono invitati a partecipare attivamente alla scelta dello scatto migliore. In pratica, qui, ogni membro viene investito di responsabilità, la platea viene democraticamente trasformata in giuria. Ma è proprio in questa democrazia che si nasconde la trappola mortale. Per cercare di spiegare al meglio quello che intendo dire, ci traferiremo, per un po’, nel mondo del cinema, abbandonando quello della fotografia. Nel gergo cinematografico il successo di “pubblico” e di “critica” sono sempre stati separati. Film che hanno incassato cifre astronomiche al botteghino, pieni zeppi di effetti speciali, che i nostri decerebrati figli hanno trovato fantastici, a noi, magari, fanno l’effetto dell’assunzione di tre litri di una purga tipo “sale inglese“o, ancor peggio, di un clistere di sapone.


Nei Festival del cinema chi decreta la vittoria di un film è una giuria appositamente selezionata, detta “giuria di qualità”, non il pubblico seduto in platea. Questo avviene per impedire che la Palma od il Leone d’oro vengano vinti da film del calibro di “Quel gran pezzo dell’Ubalda, tutta nuda e tutta calda”, “Giovannona coscialunga disonorata con onore” o, addirittura, “Biancaneve sotto i nani” (che pare abbia avuto un successo di pubblico non indifferente...........). E’ pure vero, altresì, che, a volte, la giuria di esperti ha premiato film che neppure un torturatore professionista avrebbe mostrato alla propria vittima di turno: film con sottotitoli in aramaico o sumero antico, imprescindibilmente in bianco e nero, cupi, tristi, lunghezza media dalle 12 alle 38 ore, film che hanno provocato il suicidio dei rispettivi montatori, insomma film che, per citare l’amato Ragionier Ugo Fantozzi...”sono una cagata pazzesca!”. In poche parole sarebbe sempre auspicabile, in questo come in ogni campo della nostra esistenza, trovare quella giusta via di mezzo che pare sempre più irraggiungibile. Per tornare ai gruppi fotografici in questione posso solo aggiungere che trovo l’idea di base fantastica, la realizzazione un po’ meno, in quanto resta tutt’ora un’utopia quella che l’uomo sappia gestire con saggezza il potere che viene a lui consegnato nelle mani. Il potere lo rende spesso cieco, e giudicare uno scatto da non vedenti è assai complesso. GRUPPO FOTOGRAFICO DEL QUARTO TIPO: “IL DISIMPEGNO TOTALE”. Gruppo di media o piccola dimensione, con amministratore gentile ed animato da buona volontà. Vi si entra, si posta il proprio scatto, si da un’occhiata distratta alle altre foto, se ne esce. Sono gruppi in cui non si raggiungono mai grandi successi, i votanti sono pochi e distratti.


Non ci sono litigi né polemiche, non si fanno amicizie, si lascia ogni tanto un commento, un like, niente di più. Non coinvolgono, vanno bene per i periodi di stress. GRUPPO FOTOGRAFICO DEL QUINTO TIPO: “IL TECNICO”. Gruppo in cui ti fanno le pulci anche allo scatto più bello e riuscito della tua carriera. Si distingue in due sottocategorie: quella in cui i commenti e le critiche sono espresse in educazione, quella in cui ti smontano solo per il piacere di smontarti e lasciarti a terra agonizzante. Proporrei una spedizione punitiva per cancellare da Fb quelli appartenenti alla seconda categoria, accetto di buon grado quelli della prima. In fondo non siamo qui a pettinare le bambole, postiamo foto. Se ci insegnano a farlo meglio è tutto di guadagnato. Prestate sempre molta attenzione al regolamento del gruppo in cui chiedete di essere ammessi, spesso vi potete trovare un accenno a ciò che vi aspetterà una volta entrati. Se gli amministratori prevedono punizioni corporali, fustigazioni e gogna per tutti coloro che bruceranno i bianchi, forse è il caso di desistere. Sconsiglio, comunque, vivamente, l’iscrizione ad uno dei suddetti gruppi a chi è in possesso di una misera compattina, a chi ignora cosa siano i dati EXIF, a chi è permaloso, a chi è debole di cuore, a chi si sente già arrivato, a chi non controlla mai se l’orizzonte è dritto. Praticamente al 70% dei fotoamatori.


Questa breve analisi sulle tipologie più diffuse di Gruppi Fotografici, come ho già accennato, non è certo esaustiva, né pretende di esserlo. Ho volutamente descritto gruppi in cui tutt’ora posto (almeno per adesso.....) od ho postato in passato, perché non amo descrivere le cose per sentito dire ma solo circostanze che ho toccato con mano od esperienze che ho vissuto in prima persona. Detto questo, torniamo al nostro percorso, quello che, inevitabilmente, ci sta conducendo, passo dopo passo, verso il baratro, un baratro con tanto di rocce acuminate e rapide. Siamo entrati in uno o in più gruppi. Dapprima saremo titubanti (vista e considerata pure l’accoglienza ricevuta), cammineremo in punta di piedi, resteremo stupiti ed affascinati dagli scatti altrui, che ci sembreranno dei capolavori assoluti, che ci faranno prendere in considerazione l’idea (purtroppo solo per un nanosecondo) di appendere la macchina al chiodo. Sceglieremo con cura estrema le foto da postare, non vogliamo sembrare degli incapaci, e bruceremo in pochi giorni tutti i nostri scatti migliori.


Poi, lentamente, col tempo, prendiamo coraggio (come ho già detto noi fotoamatori somigliamo terribilmente a tori con la testa incastrata dentro un corbello) e postiamo, postiamo, postiamo. Ed arriva poi, magari, inaspettato............ IL GIORNO. Il GIORNO è il punto di svolta, il punto di non ritorno. Il GIORNO altro non è che quello in cui una tua foto finisce sulla copertina di uno qualsiasi dei tanti gruppi frequentati. Apriti cielo! Nessuno riesce più a contenere la tua autostima, improvvisamente cammini tre metri sopra il cielo senza bisogno di Moccia e delle sue terrificanti storie da adolescenti lobotomizzati. Il giorno della tua prima copertina si imprime indelebilmente nella tua mente (io, ad esempio, l’ho ottenuta il 18 Agosto del 2014) e niente, da quel giorno in avanti, sarà più lo stesso. Il bianconiglio chiama rinforzi e ti ritrovi a prendere il tè e festeggiare il “non-compleanno” con il Cappellaio Matto. E quel tè da assuefazione, una copertina tira l’altra peggio delle ciliegie, ogni giorno che passerà senza un qualche riconoscimento tu entrerai in astinenza, ti sembrerà di impazzire e farai bava dalla bocca peggio di un cane rabbioso. Non riesci più a concludere niente, getti giornate intere nel cesso cercando scatti che possano essere degni di un’altra copertina, ti deprimi ogni volta che una tua foto non viene apprezzata come tu avresti voluto. Inizi a perdere la capacità di giudicare con lucidità, l’obiettività va a farsi fottere. Entrano in gioco gelosia ed invidia. Inizi a crederti qualcuno, molli gli ormeggi che ti tenevano ancorata al molo, in acque sicure, ed inizi ad avventurarti in acque pericolose, senza neanche il salvagente.


Entri nella fase “ogni scarrafone è bello a mamma soja”, non accetti critiche, ti consideri molto più bravo di quello che sei. E’ qui che avviene il cambiamento più triste: hai iniziato a postare perché fare foto ti divertiva, adesso non ti diverti più. Non è più un gioco, hai perso il sorriso, hai perso un po’ di te. Giunto a questo punto, il fotografo dilettante, passa ormai gran parte del proprio tempo su fb, a controllare quanti like stanno prendendo le proprie creature. Ogni notifica lo eccita. Il suo umore va di pari passo ai like ottenuti. Come lui, anche altre decine di persone stanno subendo lo stesso processo degenerativo cerebrale. Capita, così, che si conoscano. Iniziano a scambiarsi qualche commento. Inizia, adesso, una sorta di bulimia da contatti. Si ammettono decine e decine di sconosciuti nelle proprie case virtuali (perché, in qualche modo, il nostro profilo fb è come se fosse l’anticamera che immette alle nostre case, alla nostra vita), ci circondiamo di altri fotografi in modo compulsivo, tutti estranei con i quali, molto spesso, non abbiamo scambiato neanche una parola. Vuoi riconoscere a che livello della degenerazione fotoamatoriale è giunto qualcuno? Controlla le sue amicizie ed il suo diario. I contatti pescati nei gruppi sono inversamente proporzionali alle amicizie reali, se sono la quasi totalità dei tuoi amici.......preoccupati. Se ti riduci a circondarti solo ed unicamente di “colleghi”, se il tuo diario è diventato solo un album fotografico su cui appunti i tuoi successi, un medagliere su cui condividi le tue menzioni e compili


l’elenco infinito delle foto che sono state ben valutate........fermati un attimo e prendi fiato. La stai prendendo nel modo sbagliato. Prenditi una pausa. Smetti di postare. Vivi. Ridi. E, nel mio caso, scrivi. La competitività è umana, ma se viene spinta all’eccesso è pericolosa, ti trasforma in belva assetata di sangue. Ti cancella il sorriso dalle labbra, e questo non deve mai accadere. Almeno non per questo. Tanti fotografi insieme assomigliano ad uno sciame di locuste africane che distrugge ogni piantagione che incontra sul proprio cammino. E le locuste volano lontane, invadono ogni ecosistema. Ne vuoi la prova? Cerca, in un qualsiasi gruppo fotografico esistente su fb, anche asiatico o dell’America Latina, fosse anche di una sconosciuta isoletta sperduta in Papua Nuova Guinea, leggi l’elenco dei membri e................scoprirai che tra gli iscritti c’è un tuo contatto o comunque qualcuno che conosci. La compulsione a postare sfata un vecchio adagio, che recita che “tira di più un pelo di xxxx (diciamo pubico) che un carro di buoi”. Per gli pseudo-fotografi il pelo (sia maschile che femminile) non conta più, si deve postare, postare, postare.


L’orgasmo da copertina o da scatto selezionato ha ormai superato in intensità quello da sesso. Per alcuni aspetti, questo comportamento, potrebbe anche essere rassicurante in quanto un disinteresse sessuale rende assai difficoltosa la riproduzione, e l’idea di uno sciame di piccoli fotografi in erba ha un che di inquietante.


E’ indubbio che l’avvento della fotografia digitale abbia facilitato notevolmente il contagio del virus decerebrante, permettendo anche al dilettante più scarso di tirare fuori dal cilindro, ogni tanto, uno scatto buono o almeno decente. Il costo della pellicola e dello sviluppo rendeva, inoltre, tutti quanti molto più stitici nello scattare foto, si cercava di non sprecare click. Internet, i vari social (Fb, istagram), i programmi di fotoritocco, i telefonini di ultima generazione hanno completato l’opera, rendendo il contagio planetario. Un tempo, se volevi entrare in un gruppo fotografico, dovevi farlo fisicamente, pagare un’iscrizione, seguire corsi, ed i tuoi scatti venivano giudicati e demoliti in diretta, vis a vis. Insomma, in poche parole, se eri una cippa te lo dicevano in faccia e, magari, avevi pure pagato per fartelo dire.


Adesso si entra in un gruppo virtuale con un click, se ci bastonano uno scatto abbandoniamo quel gruppo e ci trasferiamo in un altro. E’ tutto più semplice, solo che non impariamo mai niente. Agli occhi di un fotografo tutto ciò che lo circonda è il possibile protagonista dello scatto perfetto, sia esso un tramonto pieno di colori strabilianti (non a caso i tramonti sono tra i soggetti che vanno per la maggiore e sono sempre molto gettonati), una finestra scalcinata, una crepa nel muro, la nostra ombra mentre, seduti sul water, ci facciamo un selfie. In poche parole non esiste niente o nessuno che noi fotografi non si trasformi nel soggetto di uno scatto (e questo si riallaccia a ciò che abbiamo ampiamente trattato nel primo capitolo di questo breve manuale, e cioè l’abbandono progressivo da parte di amici e familiari). Siamo alla costante e perenne ricerca dello scatto perfetto, dello scatto che faccia gridare tutti al miracolo, quello che ci farà, alfine, diventare ricchi e famosi (ebbene si, ancora ci illudiamo, ancora siamo convinti che questo avverrà, prima o poi.......). Non ci importa né come né quando, fosse anche che una nostra foto venisse scelta per la pubblicità di una pomata per le emorroidi, di un farmaco contro l’onicomicosi o contro la diarrea. Quello che conta veramente è raggiungere la fama, poter dire agli altri, nel sottopasso della stazione o della metropolitana, dove troneggia il manifesto pubblicitario con, in bella vista, scritte del calibro di “Milan merda”, “Roberta la dà a tutti”, “Topolina ti amo da impazzire”: QUELLA FOTO L’HO FATTA IO!!! Quindi, inseguendo questo nostro sogno, avendo perso l’occasione di iscriversi al campionato mondiale di rutti come da me suggerito


precedentemente, iniziamo anche a sperimentare nuove tecniche, improvvisiamo studi fotografici ovunque capita. Nel mio caso specifico, in genere, lo studio professionale è posizionato in cucina, sul bancone, tra fornelli unti e macchie di sugo di pomodoro per dare allo scatto quell’effetto patinato, quel nonsoché di vissuto. La sperimentazione ci porta, inevitabilmente, ad affrontare, nostro malgrado, l’annosa questione che divide l’universo fotografico in due galassie ben distinte, la galassia dei puristi versus la galassia dei creativi, ovvero: fino a che punto è lecito spingersi con il fotoritocco e la snaturazione di una foto?? La foto deve essere solo ed unicamente la rappresentazione fedele della realtà o essa, essendo una forma d’arte come la pittura, può osare anche qualcosa di diverso?? Queste ed altre domande simili rischiano di farci l’effetto di qualcuno che ci passeggia sui testicoli con i tacchi a spillo. Ho già trattato ampiamente questo argomento in una vecchia nota, intitolata “RIFLESSIONI.............SENZA LA REFLEX”, quindi, in questo vademecum mi limiterò a dire che porsi, costantemente, domande del genere, affermare che il ritocco è ammesso solo fino ad un certo punto poiché, altrimenti, la realtà non è più reale, ed in quanto realtà irreale diventa realtà inaccettabile e falsa, in quanto la realtà è realtà reale per definizione, è leggermente da gente che ha bevuto troppi tè in compagnia del bianconiglio e del Cappellaio Matto. Vorrei ricordare ai sostenitori di entrambe le fazioni che perfino Marte e Venere, considerati da sempre i rappresentanti di due modi di concepire il mondo totalmente inconciliabili, nella realtà conciliavano benissimo i loro caratteri nell’intimità dell’alcova, in quanto amanti focosi e generosi.


Quindi, per farla breve, consiglierei a tutti quanti, rispolverando un vecchio slogan degli anni 60-70, che non passa mai di moda, di “fare l’amore e non fare la guerra”. Motivi per farsi il sangue amaro, a questo mondo, ce ne sono a bizzeffe, evitiamo di farcelo anche su questioni tutt’altro che vitali. I gruppi fotografici somigliano molto a quelle sfere di vetro che se le capovolgi cade la neve su un piccolo paesaggio in miniatura. Sono dei microcosmi nei quali, in tutto e per tutto, si potranno ritrovare tutte le tipologie presenti in una società. Ci saranno i polemici recidivi, per i quali ogni scusa sarà buona per entrare baldanzosamente in campo; ci saranno i falsi e gli ipocriti; ci saranno i ruffiani ed i lecchini; ci saranno i simpatici e gli antipatici, le persone socievoli e quelle indisponenti, i modesti ed i gasati, gli educati ed i maleducati. E’ normale, ed è pure giusto che sia così. Inevitabile, però, che ci si azzuffi come gatti in amore, graffiandoci e sbraitando come matti, fino a quando qualcuno non lancerà un secchio d’acqua gelida dalla propria finestra per riportare un po’ di calma apparente. In un contesto così variegato le varie differenze caratteriali le si potranno capire anche osservando gli scatti postati. Ci sono coloro che scattano solo ed esclusivamente in bianco e nero, perché si sentono molto più fighi degli altri e che, alla vista di una foto a colori, reagiscono come Dracula di fronte ad un crocifisso. Io li definisco gli SCOLORITI. Ci sono coloro che non riescono a postare neanche una foto senza accompagnarla da una “dotta” citazione, magari copiata dai baci Perugina, quasi certamente presa da una di quelle pagine web che riportano frasi celebri ed aforismi. Vogliono sembrare colti.


Io li definisco gli INTELLETTUALOIDI DA STRAPAZZO. Ci sono coloro che fotografano il niente, ci sono coloro che fotografano tutto, coloro che si fossilizzano su di un genere od un effetto, altri che si rinnovano continuamente. E’ un mondo vario, pieno di sfaccettature, un’occasione imperdibile per studiare e catalogare il genere umano. Un caleidoscopio di varia umanità.


Siamo alfine giunti al termine di questo viaggio virtuale tragicomico. I passeggeri sono invitati ad avvicinarsi alle uscite. Parafrasando il grande Fabrizio De Andrè, voglio assicurare tutti quanti che non ho cercato di dare buoni consigli a nessuno, che non mi sono mai sentita come Gesù nel Tempio e, soprattutto, che ho dato innumerevoli volte, in passato, il cattivo esempio e che continuo a farlo tutt’ora. Questo per dire che tutto ciò che ho descritto, sebbene condito da un po’ di sano umorismo e da qualche licenza letteraria, è un percorso che ho vissuto io in prima persona. Io mi sono tuffata a piè pari nella tana del bianconiglio. Io ho bevuto il tè insieme al Cappellaio Matto. Ogni tappa descritta in questo tour immaginario mi ha vista protagonista. Poi, un giorno, mi sono guardata nello specchio e non mi sono riconosciuta, quello che ho visto non mi è piaciuto. Non c’era più un essere umano ma un cyborg mezzo donna e mezzo macchina. Così, attaccandomi all’autoironia, che da sempre mi fa da salvagente nei momenti critici, ho cercato di capire, ed ho iniziato a scrivere questo breve vademecum, stimolata anche dal fatto che, in


privato, molti miei contatti mi avevano confessato di aver provato, o di provare tutt’ora, le stesse sensazioni. Così, in una sorta di taumaturgico periodo sabbatico, ho smesso quasi totalmente di postare foto (e posso assicurare che non è impresa semplice ma il cervello festeggia e ringrazia), e mi sono gettata a capofitto in questa avventura. Il caso ha voluto che, in contemporanea, anche la mia macchina fotografica mi abbandonasse, per tornare alla casa madre, un abbandono che si sta prolungando nel tempo e che mi rende assai nervosa (ho vissuto questo distacco come un trauma terribile, peggiore di quello di una figlia che esce definitivamente di casa). Intendiamoci, non è la mancanza di scatti a disposizione ciò che preoccupa gente come me. Ho un archivio foto, tra memoria esterna, chiavette varie e pc, che potrebbe permettermi di vivere di rendita per i prossimi anni a venire, quasi fossero scorte alimentari in un rifugio antiatomico ben equipaggiato. Credo fermamente, comunque, che nonostante qualche evidente ironica esagerazione, tutto ciò che ho descritto sia vero. Il mio compagno di vita non mi ha abbandonata, certo, anche perché dotato della pazienza di Giobbe (vivere al mio fianco, mi rendo conto io stessa, non è per niente facile), e mi accompagna volentieri nei tour fotografici. Meno volentieri, invece, sopporta le mie ore trascorse al pc e, soprattutto, il malumore che riverso su di lui, povero innocente capro espiatorio, ogni qualvolta resto delusa per l’accoglienza riservata ad un mio scatto in un qualche gruppo. Non mi ha ancora abbandonata sul ciglio di una strada trafficata, è vero, però, ultimamente, si è fatto parecchio insistente nel propormi gite od escursioni in boschi sperduti, facendomi tornare


alla mente la storia di una coppia di fratellini teutonici di nome Hansel e Gretel. Anche le mie amicizie reali più intime non mi hanno abbandonata, mentre ho realmente notato un progressivo allontanamento dalla mia pagina fb da parte di amici un po’ più distanti. Da qualche mese ho ripreso in mano il mio diario. Non posto più decine di foto alla settimana, non condivido più tutti i miei “successi” costringendo gli altri a congratularsi con me. Il mio diario sta lentamente tornando quello che volevo che fosse fin dall’inizio, una pagina che mi rappresentasse al 100%, in cui condividere con gli altri alcuni dei miei interessi, non solo ed unicamente la fotografia. Non voglio più un medagliere da esporre con vanità, voglio un mio spazio per comunicare con gli altri, con gli amici ed i contatti. E voglio tornare a scrivere, una delle cose che mi rende veramente ed intimamente felice. Da un po’ di tempo, inoltre, non accetto più amicizie nei gruppi, ed ho eliminato moltissimi di coloro che avevo accettato in passato. Riconosco che questo è un comportamento che, purtroppo, si paga: qualcuno ti banna, altri ti ignoreranno per il resto della loro vita e non metteranno un loro like ad un tuo scatto neanche sotto tortura. Questo perché, ricordiamocelo sempre, le foto vengono votate, nella maggioranza dei casi, per amicizia o simpatia, non per merito. Dopo la pubblicazione di questo manuale, ovviamente, la mia popolarità subirà un ulteriore calo, scenderà a picco come successe alla borsa nel 1929. L’ho già messo in conto. Però non mi importa.


Se qualcuno, fosse anche solo uno, dei miei contatti si sarà ritrovato nelle mie parole ed avrà sorriso, io avrò ottenuto quello che volevo. Aggiungo solo un’ultima cosa: tra i contatti che peschiamo nei gruppi, ogni tanto, c’è anche qualche pesce pregiato. Sta a noi individuarlo e trarlo fuori dalla rete, non confonderlo con tutto il resto del ciarpame. Non buttiamo via il bambino assieme all’acqua sporca. Ogni medaglia ha il suo risvolto positivo, basta saperlo cercare. Basta guardare oltre il “fotografo” e cercare la persona. Non in molti lo fanno. Per concludere, un unico consiglio: non smettete mai di sorridere. Ridere è la miglior medicina, sempre, e l’autoironia una delle doti più belle al mondo. Fotografate, postate, entrate in centinaia di gruppi, fate quello che vi pare MA non fatevi cancellare il sorriso dalle labbra. E, se invece che divertirvi, state iniziando a innervosirvi, ispirate profondamente, uscite da Fb ed iscrivetevi al prossimo campionato mondiale di rutti. Io, da giovane, ero assai bravina, sapevo farli pure finti e sfidavo molti amici. Se non sbaglio, poi, la campionessa in carica tra le donne, è un’italiana. Inizierò ad allenarmi. Buona luce e buona vita a tutti.

Alessandra- 9 Ottobre 2015


Ho scritto il “Breve vademecum per il fotoamatore dilettante che posta su Fb” in Ottobre. Dopo qualche mese mi sento di poter aggiungere un capitolo extra, una sorta di epilogo. Come ogni drogata che si rispetti, ho trovato grande difficoltà a disintossicarmi e, ciclicamente, sono rientrata nel vortice del “postamento compulsivo” all’interno di vari gruppi, ho ampliato il mio areale iscrivendomi a nuovi gruppi pescati a casaccio sul web, ho accettato, mio malgrado, nuove amicizie tra i fotografi e gli amministratori. La disintossicazione e la ricerca di un minimo di equilibrio mentale sono veramente ostiche, lo ammetto. Mi sono iscritta ad un gruppo di autoaiuto per postatori compulsivi feisbucchiani, dal nome intrigante di “Postatori Anonimi”, in cui mi sono dovuta presentare, tramite web-cam, di fronte agli altri membri, pronunciando le fatidiche parole “Ciao a tutti, mi chiamo Alessandra ed ho un problema. Posto fotografie in una decina di gruppi fotografici e non riesco a smettere”. Sono stata accolta a braccia aperte da tutti gli altri membri ed ho potuto conoscere gente molto interessante, compreso il veterano del gruppo, detentore indiscusso di numerosi record mondiali, un genio inimitabile che è arrivato a postare, contemporaneamente, un proprio scatto, in ben undicimilasettecentotredici gruppi fotografici distinti, ma che poi, ottenendo complessivamente solo quindici like


ed un adesivo con il ditone, ha tentato il suicidio colpendosi ripetutamente il capo con una confezione di stracchino di Nonno Nanni. E’ stato salvato, fortunatamente, dalla moglie che, non trovando il formaggio, comprato quella mattina, nel frigorifero, si è recata nello studio del marito per ottenere informazioni e lo ha trovato esanime e completamente spalmato di stracchino. Una scena veramente cruda e traumatizzante che ancora perseguita ogni notte la povera signora. Devo ammettere che il variegato campionario di fauna che ho potuto osservare in questi mesi si è arricchito di individui assolutamente straordinari, unici ed inimitabili. A tal proposito vorrei proporre a tutti voi una nuova sorta di pratica etologica, ovvero il “Photographer-Watching”, una sorta di BirdWatching in cui i soggetti da scovare e catalogare non siano più gli uccelli bensì i fotoamatori dilettanti. Armati di binocolo e vestiti in modo mimetico, in modo da non spaventare e mettere in allerta il soggetto, potremmo studiare l’esemplare prescelto mentre svolge i suoi gesti abitudinari nel proprio ambiente preferenziale ed annotarne le caratteristiche principali sul nostro taccuino naturalistico. In questo modo avremmo l’opportunità di annotare l’avvistamento del diffuso esemplare di “CACCIATORE DI LIKE”, colui che sfrutta le innumerevoli conoscenze ed amicizie nei vari gruppi per incrementare i like sotto alle proprie foto. Questa specie è assai comune e diffusa nei vari habitat fotografici, gli esemplari sono territoriali, difendono il loro areale arruffando le piume ed emettendo acuti versi d’avvertimento, sono individui competitivi ed aggressivi, che, generalmente, vivono in piccoli stormi i cui i membri si sostengono e si votano a vicenda.


Sono stormi facilmente avvistabili, se allunghi la mano offrendo loro del cibo puoi riuscire anche ad addomesticarli. In altri casi ci capiterà di incontrare ed osservare qualche raro esemplare di “PIAGNONE”, specie con molte sottospecie, una delle quali, la cosiddetta “LADY PIAGNISTEO”, mostra un comportamento molto particolare. Essa, infatti, emette il proprio caratteristico verso lamentoso per giustificare eventuali errori od imperfezioni presenti nei propri scatti. Tutte le sottospecie di Piagnone, comunque, hanno in comune sia il verso lamentoso che l’atteggiamento cosiddetto da “giustificazione sempre pronta” del tipo “Signora maestra non ho potuto fare i compiti perché mi è morto il pesce rosso” oppure “Signora maestra io i compiti li avevo fatti ma se li è mangiati il cane”. Assolutamente da non perdere, poi, l’esemplare “LINGUALUNGA” a volte pure detto “ZERBINO AMBULANTE”. E’ un esemplare facilmente riconoscibile poiché inciampa continuamente nella propria lingua, cresciuta a dismisura a forza di leccare i vari amministratori o gli altri fotografi. Emette pure un pessimo odore dalla bocca, forse a causa della parte del corpo altrui che slinguazza con solerzia. Si prostra davanti agli altri, emette un verso simile ad una serie di gridolini estatici. Si possono poi incontrare esemplari di “AMMINISTRATORE VOLUBILE”, “AMMINISTRATORE SCOSTANTE”, “AMMINISTRATOREFOTOGRAFO-REPRESSO”, “AMMINISTRATORE LEZIOSO” . Pure il campionario degli amministratori è ricco, interessante e variegato. In fondo gli amministratori sono, a loro volta, fotografi, quindi appartengono anche loro alla stessa Classe animale.


Consentitemi, da ultimo, di esulare dall’esclusivo habitat dei fotografi, per descrivere l’esemplare più ricercato e prezioso presente nel web, colui senza il quale non avrebbe alcun senso frequentare i social............il meraviglioso ed ineguagliabile “POLLO FEISBUCCHIANO”. Ognuno di noi ne ha almeno uno tra i propri contatti, non lo possiamo negare. E’ colui che, a dispetto della propria età anagrafica, si aggira nel mondo virtuale con lo stesso sguardo imbambolato di un bambino nel Paese dei Balocchi, e che, proprio come accadde a Pinocchio e Lucignolo, finisce inevitabilmente ed inesorabilmente trasformato in ciuco. Crede ad ogni bufala che legge e la riporta sul proprio diario arricchendola di commenti stizziti, copia-incolla una serie infinita di catene di Sant’Antonio invitandoci, ogni volta, a non condividerla ma a copiaincollarla a nostra volta (....cosa, questa, alla quale, lo confesso, a tutt’oggi non ho saputo dare una spiegazione logica e per la quale perdo ore ed ore di sonno a notte.....). Questa specie ha una netta predominanza di esemplari femminili, e proprio per questo, da un pò di tempo, circola sul web un bellissimo post, gentile ed educato, che, rivolgendosi a queste copiaincollatrici compulsive, recita il seguente testo: “Fatevi un gatto, cazzo! O fatevi un cazzo, gatto!”. E’ lapalissiano che per i copiaincollatori di sesso maschile andrebbe creato un post differente, per adesso non ne ho trovati di adatti. Prometto che ci lavorerò sopra. Aggiungo, per concludere, che tutto il cicaleggio che leggo giornalmente in vari diari, sulla presunta violazione della nostra amata privacy (?) e sulla mancanza di democrazia che vige in questa sorta di terra di mezzo, mi fa veramente sorridere. Quando postiamo o scriviamo su Fb lo facciamo in casa di Mark. Sua la casa, sue le regole.


E’ come quando, da bambini, si giocava con il pallone di un amico. Lui decideva a cosa giocare e come, altrimenti portava via il pallone. E’ assai semplice da capire. Ed è altrettanto semplice risolvere questa questione tutt’altro che annosa.......basta uscire da faccialibro. Punto. Beh, auguro a tutti una buona vita, anche a coloro che mi banneranno. Se accadrà me ne farò una ragione.

Alessandra – 25 Gennaio 2016




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