(ovvero passeggiare nelle nuove periferie) di Alessandra Moschini
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Sono nata e cresciuta nella stessa città in cui vivo ancora adesso, alla soglia dei sessant'anni. Ho visto una città di medie dimensioni espandersi in modo esponenziale, nuove periferie inglobare le campagne circostanti, generazioni di architetti sbizzarrirsi nel realizzare moderni alveari umani. Una nuova città è cresciuta attorno alla vecchia, sottraendole residenti, luoghi di lavoro, centri commerciali.
Questa giungla di termitai giganti, di alberi di cemento, di cui alcuni di essi, già obsoleti, mostrano i segni del tempo, come tristi menhir di un modernariato ancora in divenire, è una città tutt'ora ai più sconosciuta, chiusa nel proprio tran-tran frettoloso di strade trafficate, rotonde e semafori. Mentre passeggi in essa, milioni di finestre, come tanti occhi spalancati, ti osservano, ti fissano, con sguardo cieco.
Ti senti catapultato in un alienante futuro da film di fantascienza, in una realtà deprimente, ti tornano alla mente i meravigliosi quadri di Hopper, in cui si poteva leggere tutta la solitudine dell'uomo moderno. Ma si può pure trovare una via d'uscita da tutto questo. Penso che si possa cancellare il grigio cercando ovunque un po' di colore, la rassicurante geometria delle forme, che si possa trovare l'arte ed il bello ovunque, magari facendo ricorso ad un pizzico di fantasia.
L'arte pittorica non si è fermata al Rinascimento. Ha percorso altre strade, fino a giungere ai vari Kandinskij, Pollock o Mondrian. La stessa cosa può farla la fotografia (lo ha dimostrato Franco Fontana meglio di tanti altri). Fermarsi ad ammirare ed a fotografare un tramonto sui lungarni pisani, tra colori. riflessi ed armonie delle forme architettoniche classiche, è facile. Più difficile cercare l'armonia nelle periferie. Ho deciso di cimentarmi in questa sfida, una sfida, soprattutto, con me stessa. Non so cosa potrà venir fuori, né se la vincerò, ma la giocherò a modo mio, da amante delle forme lineari, della geometria, del colore, delle simmetrie, del surreale, della pittura.
Perché la fotografia non è mera riproduzione della realtà.
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Il MINIMAL non è certo un genere fotografico tra i più scenografici. Non è un nazional-popolare, per intenderci. È un genere particolare, che viene riassunto dalla frase “LESS IS MORE”. Fondamentali, per una buona riuscita dello scatto, sono la linearità, la pulizia, la composizione, l’attenzione quasi certosina per la geometria ed il colore. Forse è il genere in cui possedere “l’occhio fotografico” è più necessario, fondamentale. A me diverte, anche se adoro spaziare e svolazzare come un’ape da un genere ad un altro, per non sentirmi prigioniera di una etichetta. Questa volta ho scelto di raccontare le periferie urbane e ho voluto farlo tramite scatti rigorosamente MINIMAL, perché decisamente i più adatti alla visione che volevo condividere con voi. Spero di riuscire a comunicarvi qualcosa.
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Gli orologi fusi sono tra i simboli che rendono immediatamente riconoscibili alcune delle opere del genio di Salvador DalÏ. I vetri e le vetrate che abbondano nelle architetture moderne ci rimandano, molto spesso, riflessi deformati, edifici colanti, dalle linee curve, assolutamente degni del grande artista spagnolo. In questo mio percorso virtuale, concepito come una passeggiata tra le sale di una pinacoteca immaginaria, ognuna delle quali dedicata ad un artista o ad una tematica a lui cara, non poteva che aprire le danze lui, il maestro del surrealismo, ed il gioco di riflessi distorti che ho potuto cogliere passeggiando in periferia. PerchÊ si può guardare semplicemente, oppure si può vedere. Magari anche un dipinto surrealista dentro ad un vetro.
Buona passeggiata.
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“L'arte è fatta per disturbare, la scienza per rassicurare.” (Salvador Dalì)
“Giovane pittore, sì, sì, sì e sì! Devi, soprattutto da giovane, usare la geometria come guida alla simmetria nella composizione delle tue opere. So che i pittori più o meno romantici sostengono che queste impalcature matematiche uccidono l'ispirazione dell'artista, dandogli troppo su cui pensare e riflettere. Non esitare un attimo a rispondere loro prontamente che, al contrario, è proprio per non avere da pensare e riflettere su queste cose, che tu le usi.” (Salvador Dalì)
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C'è stato un grande artista, Piet Mondrian, che rivoluzionò le convenzioni della sua epoca dipingendo solo gli elementi più semplici, ossia linee dritte (nessuna curvatura o tridimensionalità) ed adoperando, esclusivamente, i colori primari.
Il tutto perfettamente composto.
Se ci soffermiamo ad osservare il particolare, invece dell'insieme architettonico, possiamo ricreare, anche in fotografia, qualcosa di molto simile ai dipinti dell'artista olandese. Mi son presa un'unica libertà: inserire, ogni tanto, qualche linea curva. Spero non me ne voglia. La forma delle foto, però, è, in tutte, rigorosamente quadrata.
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“L'aspetto delle forme naturali si modifica mentre la realtà rimane costante.” (Piet Mondrian)
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Che il punto di osservazione del grande artista americano sia posto all’interno oppure all’esterno delle finestre o degli edifici rappresentati, poco cambia: ciò che si percepirà da uno qualsiasi dei dipinti di Edward Hopper sarà, inequivocabilmente, una sensazione di isolamento umano e sociale, di solitudine del singolo individuo, inglobato e fagocitato dalla giungla urbana in cui vive. Le finestre, come le vetrine, da lui raffigurate, ci offrono l’occasione di spiare all’interno delle vite altrui oppure, viceversa, offrono uno spaccato di mondo esterno a chi è chiuso all’interno delle mura della propria casa. Tutti noi subiamo, chi più chi meno, il fascino incredibile delle finestre. Non sono assolutamente esente da questa dipendenza. Ho solo cercato un nuovo punto di vista nella ricerca, stavolta, legato più alla geometria ed alla simmetria dei soggetti che all’emozione. Le architetture moderne offrono enormi spunti, basta cercarli.
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“Quello che vorrei dipingere è la luce del sole sulla parete di una casa.” (Edward Hopper)
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Giacomo Balla adorava talmente la luce che chiamò così pure una delle sue figlie. La sua rappresentazione futurista di un lampione nella celebre opera “Lampada ad arco” ha decisamente rivoluzionato il modo romantico di dipingere le luci notturne di città. Lune elettriche moderne spengono la luna classica, musa dei poeti del passato. Così io, come ispirata dall’opera “Seraluci”, sono andata alla ricerca di un astrattismo colorato e geometrico, inglobando all’interno di esso, i lampioni cittadini. L’ho fatto di giorno, però. I lampioni, così, sono visti non come fonti di luce ma, altresì, come parte integrante della composizione fotografica. Con le loro forme, diverse e particolari, arricchiscono i soggetti stessi degli scatti, diventandone comprimari.
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“Data l’esistenza della fotografia e della cinematografia, la riproduzione pittorica del vero non interessa né può interessare più nessuno.” (Giacomo Balla)
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Quando vidi, per la prima volta, una foto di Franco Fontana, ne rimasi folgorata. Pensai che rappresentasse la perfezione, ciò che io concepisco, nel mio immaginario, come “bellezza assoluta”. I colori estremi, i contrasti, la composizione, il soggetto, l’armonia del tutto mi rapirono e mi aprirono un mondo. Ovviamente la prima foto di Fontana che ammirai era uno dei suoi famosi paesaggi. Però, approfondendo il suo lavoro, ho avuto modo di apprezzare molto anche i suoi scorci urbani e così ho imparato a guardare tutto ciò che mi circonda in modo diverso, a cercare nuovi punti di vista, mi ha donato la capacità di apprezzare maggiormente certe architetture moderne e certi agglomerati urbani. Considero Fontana un artista a tutto tondo, un esempio per tutti, un libero pensatore, un uomo controcorrente che non ha ceduto a facili compromessi. Ha smesso di fotografare paesaggi quando ha corso il rischio di inflazionarsi o di creare, parole sue, delle “fontanate”. Questo lo rende, ai miei occhi, unico. E poi non si è mai iscritto a nessun circolo fotografico…proprio come me! Come posso non amarlo?
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“Fotografo il colore perché fortunatamente vedo i colori.” (Franco Fontana)
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L’ultima sala di questo particolare museo virtuale l’ho riservata a me stessa. Questo non perché mi senta, anche solo lontanamente, paragonabile ai veri maestri citati precedentemente, ma per lasciare un po’ più di libertà e di fantasia alle foto qui esposte. In questa sala non ci sarà un tema a legare le varie foto. Esse saranno diverse, sia per la forma che per il taglio e la tipologia. Perché io sono casinista, volubile, caotica, ondivaga e la sala deve rispecchiare me, così come sono e per il modo in cui vedo gli agglomerati urbani che fotografo, ossia, talvolta, strutture architettoniche ed abitative senza né capo né coda. Miscellanee. Un unico appunto, che valga da citazione di me stessa. Mentre girovagavo tra gli edifici, con la macchina al collo, è capitato che qualcuno mi chiedesse perché stessi fotografando la sua abitazione. E confesso che, con alcuni, è stato molto divertente conversare un po’. Quindi…ben venga la fotografia se essa riesce a renderci più umani ed a farci socializzare, anche all’interno di alveari umani. Ci vuol molto poco.
Less is more.
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Fine (Alessandra Moschini)
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Si tratta sempre di cancellare per evidenziare. In ogni situazione cerco la significazione, la sintesi delle cose affinchÊ da oggetto diventino soggetto, e il compito della fotografia creativa non è illustrare o rappresentare ma esprimere. (Franco Fontana)
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Tutte le immagini sono di esclusiva proprietà dell’autrice Alessandra Moschini. La foto sul retro di copertina è stata scattata da Alberto Gianfranco Baccelli (Bag). Finito di stampare a maggio 2018.
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Nel mio mondo, ricercando geometrie.
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