Riciclasi capannoni_estratto low

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Re-It 20

Riciclasi capannoni

Riciclasi capannoni è il ventesimo volume della collana Re-cycle Italy. La collana restituisce intenzioni, risultati ed eventi dell’ostero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – che vede coinvolti oltre un centinaio di studiosi dell’architettura, dell’urbanistica e del paesaggio, in undici università italiane. Obiettivo del progetto Re-cycle Italy cicli di vita per quegli spazi, quegli elementi, quei brani della città e del territorio che hanno perso senso, uso o attenzione.

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L’attenzione è posta sui territori improduttivi, in particolare sulle piccole e medie imprese localizzate prevalentemente nel NordEst e nel centro Italia che, per via della crisi economica, hanno interrotto le loro attività. Sono i capannoni proliferanti del capitalismo molecolare a costituire l’oggetto della trattazione, manufatti prevalentemente anonimi che hanno consumato suolo, opere edilizie realizzate in tempi brevi per far fronte a una domanda in alcuni casi reale e in molti altri solo presunta, alimentata dalla speculazione edilizia. Il caso adriatico, in modo spe-

RICICLASI CAPANNONI

a confronto con i distretti produttivi del territorio veneto. I casi noni puntando al superamento della zonizzazione industriale, al riequilibrio dell’assetto morfologico del territorio, dunque alla

ISBN

Aracne

euro 28,00

978-88-548-9076-3



RICICLASI CAPANNONI

A CURA DI LUIGI COCCIA ALESSANDRO GABBIANELLI

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Progetto grafico di Sara Marini e Vincenza Santangelo Copyright © MMXV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it info@aracneeditrice.it via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978-88-548-9076-3 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. Fotografie: Mariano Andreani: 7; Peppe Maisto: 20, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32, 33; Paolo di Stefano: 36, 112; Alessandro Gabbianelli: 44, 98, Francesca Chioini: 106; Sissi Cesira Roselli: 120, 122, 123, 124, 125, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 132, 133, 200; Sabina Favaro: 134; Luigi Coccia: 212. I Edizione: Dicembre 2015

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PRIN 2013/2016 PROGETTI DI RICERCA DI INTERESSE NAZIONALE Area Scientifico-disciplinare 08: Ingegneria civile ed Architettura 100%

Unità di Ricerca Università IUAV di Venezia Università degli Studi di Trento Politecnico di Milano Politecnico di Torino Università degli Studi di Genova Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Università degli Studi di Napoli “Federico II” Università degli Studi di Palermo Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria Università degli Studi “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara Università degli Studi di Camerino

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Unità di ricerca di CAMERINO Pippo Ciorra Piotr Bronislav Barbarewicz Umberto Cao Luigi Coccia Giovanni Corbellini Marco d’Annuntiis Anna Rita Emili Alessandra Marin Gabriele Mastrigli Lucia Nucci Piero Orlandi Bianca Maria Rinaldi Partecipanti all'unità di ricerca Alessandro Gabbianelli Emanuele Marcotullio Collaboratori Giulia Menzietti Responsabile del Laboratorio Re-cycle

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INDICE

p.11

Il declino della Terza Italia Luigi Coccia, Alessandro Gabbianelli UNICAM Capannoni nella cittĂ diffusa adriatica Paesaggi sospesi Peppe Maisto

p.21

Il riciclo del banale Marco D'Annuntiis

p.37

Dissoluzione programmata Luigi Coccia

p.45

Metamorfosi degli spazi improduttivi Alessandro Gabbianelli

p.99

Capannoni: caratteristiche tipo-tecnologiche e strategie di riciclo Roberto Ruggiero

p.107

Parchi e reti ambientali per smart territories Massimo Sargolini

p.113

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IUAV Capannoni nella città diffusa veneta Ritratto di un capannone molto stanco Sissi Cesira Roselli

p.121

Urbs in horto: una visione per la città diffusa Paola Viganò

p.135

Una diversa tassonomia della dismissione Cecilia Furlan

p.143

Piccole patrie. Storie dal Nord Est Sara Marini

p.167

Nuovi destini cercasi. La capannopoli veneta Vincenza Santangelo

p.175

Riusare la città della produzione Ezio Micelli

p.201

POSTFAZIONE p.213

Architetture perfette Pippo Ciorra BIBLIOGRAFIA

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INTRODUZIONE

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IL DECLINO DELLA TERZA ITALIA Luigi Coccia Alessandro Gabbianelli >UNICAM

Distretti industriali e città diffusa sono fenomeni strettamente correlati tra loro. Il primo ha indubbiamente concorso alla manifestazione del secondo; entrambi sono espressione di un principio di organizzazione spaziale, nonché economico-sociale, che opera sul territorio nella sua dimensione estesa. Si può dunque ritenere che, a partire dal secondo dopoguerra, lo sviluppo delle piccole e medie imprese entro specifici ambiti del territorio italiano sia direttamente connesso all’affermazione, nei medesimi ambiti, di un modello insediativo diffuso. Il carattere omogeneo del contesto geografico, generalmente espresso da suoli pianeggianti, e la costruzione di nuove strade a scorrimento veloce hanno favorito l’espansione urbana fatta prevalentemente di capannoni e di case sparse a bassa densità. Il capannone è stato in questi anni il simbolo del capitalismo molecolare1, associato alla diffusione di stabilimenti produttivi operanti nei settori tradizionali dell’abbigliamento, del pellame, del mobilio e delle ceramiche. Lo sviluppo locale e il ruolo dei distretti industriali sono temi centrali nelle ricerche condotte da alcuni economisti italiani negli anni ’70 e ’80; tra questi si distingue Giacomo Becattini che approfondisce l’argomento e pubblica i primi esiti dei suoi studi sulla rivista «Economia e Politica In-

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UNICAM Capannoni nella cittĂ diffusa adriatica

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PAESAGGI SOSPESI Peppe Maisto

Percorro la valle. Guardo sapendo di voler restituire la sospensione dei luoghi attraversati. Una sospensione di attività e allo stesso tempo una sospensione di senso. Utilizzo due "misure". Quella dell'assenza. Del vuoto. Dell'attesa. E quella del suolo. Del primo piano vuoto. Delle nature differenti. Il paesaggio dell'industria e dell'agricoltura. Paesaggi che si insinuano. Si alternano. Si sostituiscono vicendevolmente nel tempo e nello spazio. Mi muovo sul limite dei due paesaggi. Dal bordo delle aree posso guardare lontano. Le forme del territorio sono lo sfondo. Frammenti di campagna superano le barriere. Nei recinti dell'industria la campagna si organizza con nuove possibilità. In primo piano è il suolo. È la misura del territorio e dell'edificato. La sua prospettiva segna la linea d'orizzonte al centro di ogni fotografia. L'inquadratura orizzontale presuppone una visione dinamica degli spazi. Spazi che divengono macchine di visione. Che provo a vedere come luoghi di nuove relazioni. La natura spontanea, pioniera, rompe la compattezza dell'asfalto. Si insinua nelle fratture del cemento.

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VALLE DEL TRONTO

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10000 mq Superficie coperta capannoni utilizzati 1.394.100 mq Superficie coperta capannoni sottoutilizzati 584.000 mq Superficie coperta capannoni inutilizzati 1.285.400 mq

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ANCARANO-CASTORANO


COLLI DEL TRONTO-SPINETOLI

CONTROGUERRA-MONSAMPOLO

MONTEPRANDONE COLONNELLA CENTOBUCHI

PORTO D'ASCOLI

Ricognizione della Valle del Tronto. Tesi di laurea di Alessia Mogliani e Dario Traini, 2015. Relatore: prof. Luigi Coccia, correlatore: arch. Maria Teresa Granato. Fonti: Autorità di bacino interregionale del fiume Tronto; Provincia Ascoli Piceno, Ufficio Urbanistica; Piceno Consind, ex nucleo industriale; indagine conoscitiva condotta da Sandra Di Berardino e Roberto Grascelli per la tesi di laurea Recycle by Recycle, relatore: prof. Marco D'Annuntiis.

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IL RICICLO DEL BANALE Marco D'Annuntiis >UNICAM

Il sistema produttivo della città adriatica riflette plasticamente la crisi generale che ha interessato l’Italia negli ultimi anni, resa evidente dalla chiusura di migliaia di piccole e medie imprese. Gli inquietanti risultati delle analisi socio-economiche trovano infatti un’inequivocabile e concreta conferma anche negli esiti fisici dei recenti processi di trasformazione territoriale, che qui hanno avuto come risultato un’anomala sovraproduzione di edifici, in gran parte capannoni, spesso mai acquistati e mai usati. Ai problemi di genere - legati al mercato del lavoro, alla competitività esterna nei settori maturi a basso costo del lavoro, all’obsolescenza ed al ridimensionamento della base industriale a cui corrispondono una sostanziale difficoltà all’innovazione e allo sviluppo di settori terziari avanzati - si sovrappongono in questi territori le complicazioni derivanti dalla smodata accumulazione di centinaia e centinaia di oggetti edilizi, di fronte ai quali risulta vano qualsiasi tentativo di sminuirne, riducendoli, gli effetti negativi. Le indagini condotte nel corso degli ultimi anni da alcuni componenti dell’unità di ricerca di Ascoli Piceno hanno evidenziato che nelle principali valli del medio adriatico esistono oltre tre milioni di metri quadrati

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DISSOLUZIONE PROGRAMMATA Luigi Coccia >UNICAM

Sono territori abbandonati quelli che si dispiegano lungo le principali infrastrutture viarie su cui hanno preso forma gli insediamenti urbani diffusi di recente formazione, contrassegnati dalla smisurata presenza di volumetria edilizia inutilizzata. Investita dalla crisi economica che attanaglia da qualche anno il nostro Paese, la città adriatica si offre ancora una volta come caso studio emblematico, come laboratorio sperimentale entro il quale mettere a punto programmi e strategie innovativi, utili ad indagare la realtà contemporanea attraverso lo strumento del progetto di architettura. Dismissione Capannoni dismessi, capannoni sottoutilizzati, capannoni ultimati ma mai occupati, capannoni non finiti sono gli elementi che contraddistinguono le aree improduttive nel territorio medio-adriatico. Il capannone, fulcro delle attività di piccole e medie imprese che nell’arco di un ventennio hanno dato un forte impulso all’economia italiana, è divenuto uno spazio vuoto, il segnale più evidente della crisi in atto. Lo stato di abbandono non investe solamente i capannoni, opere edilizie che, come direbbe Daniele

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DISSOLUZIONE PROGRAMMATA_Strategie Il campo di applicazione della ricerca coincide con il territorio medioadriatico investito da una urbanizzazione diffusa che, a partire dal secondo dopoguerra e in poco più di mezzo secolo, ha interessato la fascia costiera spingendosi progressivamente nell’entroterra lungo le aree di fondovalle. Lo studio si è rivolto ai principali ambiti vallivi, quelli attraversati dalle recenti strade a scorrimento veloce, occupati da un consistente numero di capannoni industriali. Il Metauro, l’Esino, il Chienti, il Tronto, il Tordino e, più a sud, il Pescara e il Sangro sono i fiumi che identificano le vallate con la più alta presenza di distretti industriali e quindi le aree che hanno maggiormente risentito della crisi in atto. Un esercizio ricognitivo, accompagnato dalla elaborazione di mappe interpretative, ha consentito di descrivere il fenomeno della dismissione e di misurare le quantità di spazi inutilizzati1. Di fronte alla incertezza della domanda e alla indeterminatezza dei programmi di riciclo del patrimonio ordinario in disuso, la ricerca ha inteso esplorare il fenomeno e anticiparne i possibili sviluppi, utilizzando il progetto di architettura come strumento conoscitivo e prefigurativo di soluzioni adeguate al riutilizzo di manufatti e suoli dismessi. Operando su alcuni casi campione, espressione di situazioni tipiche e ricorrenti, la ricerca ha messo a punto strategie innovative per la riconversione delle aree dismesse, concorrendo alla definizione di una metodologia di progetto associata al riciclo dei capannoni inattivi. Riduzione volumetrica, interazione spaziale, infiltrazione vegetale, commistione di usi, tendono ad esplicitare una auspicabile dissoluzione progressiva dei capannoni nei contesti di appartenenza. La valutazione delle risposte formali espresse dai progetti, nonché l’adeguatezza delle soluzioni trovate agli obiettivi previsti da un programma ipotetico predefinito, consentono di verificare il senso di una operazione di riciclo applicata ai manufatti presi in esame. Le proposte progettuali, condotte all’interno del laboratorio di 3° anno diretto da Luigi Coccia con Roberto Ruggiero, disposte in successione come pagine di un atlante, concorrono a delineare nuovi scenari all’interno dei territori industriali improduttivi. (L.C.) Note 1. Si rimanda alla sezione Visioni, a cura di Luigi Coccia e Marco D’Annuntiis, in Menzietti, G., TRUE-TOPIA. Città adriatica riciclasi, Aracne, Roma, 2014, pp. 138-139. La mappa pubblicata alle pp. 34-35 di questo volume descrive e misura il fenomeno della dismissione di capannoni su una vallata campione, la valle del Tronto.

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valle del Metauro

valle dell'Esino

valle del Chienti

valle del Tronto

valle del Tordino

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N 43° 49' 42.31'' E 13° 02' 36.75''

N 43° 17' 05.08'' E 13° 41' 07.74''

N 43° 16' 45.51'' E 13° 29' 18.10''

N 43° 16' 22.08'' E 13° 37' 33.49''

N 43° 13' 20.88'' E 13° 19' 34.14''

N 42° 51' 47.22'' E 13° 46' 19.93''

N 42° 43' 36.61'' E 13° 57' 05.64''

N 42° 42' 19.07'' E 13° 49' 07.25''

N 42° 42' 14.58'' E 13° 50' 57.98''

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METAMORFOSI DEGLI SPAZI IMPRODUTTIVI Alessandro Gabbianelli >UNICAM

"Parlare di città come di qualcosa che può essere riciclato porta a considerarne ritmi, cicli di vita, metamorfosi. È in questo senso che va interpretato il titolo del famoso libro di Jane Jacobs The Death and Life of the Great American City. La città non segue un percorso biologico immodificabile, ma ha la capacità di rigenerarsi al suo interno, di superare un ciclo di vita e di declino reinterpretando se stessa. Il concetto di ciclo di vita ha una lunga storia nelle scienze sociali ed economiche: parla di mutamento opposto a staticità; di sequenze e avvicendamenti; di flussi, dinamiche e processi"1. Le mappe a pagina 55 mettono in evidenza come le aree produttive situate nelle valli del medio-adriatico assomiglino a isole di un arcipelago nel mare della natura/campagna. “E il Mare per eccellenza, l’archi-pélagos, la verità del Mare, in un certo senso, si manifesterà, allora, là dove esso è il luogo della relazione, del dialogo, del confronto tra le molteplici isole che lo abitano: tutte dal Mare distinte e tutte dal Mare intrecciate; tutte dal Mare nutrite e tutte dal Mare arrischiate”2. Massimo Cacciari in questa descrizione mette in evidenza due azioni contrastanti del mare:

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CAPANNONI: CARATTERISTICHE TIPO-TECNOLOGICHE E STRATEGIE DI RICICLO Roberto Ruggiero >UNICAM

La pratica del “recycle” nel campo delle costruzioni ha conosciuto, nell’ultimo decennio, una discreta fortuna. Numerosi filoni di ricerca hanno portato alla nascita di materiali da costruzione riciclati o riciclabili, e non mancano esempi di edifici realizzati interamente secondo queste caratteristiche. Anche l’Architettura d’autore si è talvolta cimentata in questo ambito a partire da alcune esperienze pionieristiche tra cui, forse, la più affascinante ed emblematica è quella di Shigeru Ban1. Più recente è un filone di sperimentazione che ha spostato il focus della ricerca dalla scala del materiale a quella dell’edificio e della città, facendo del recycle uno degli approcci attualmente più innovativi al tema della rigenerazione urbana2. Ragionando prevalentemente alla scala dell’edificio, è difficile ipotizzare strategie di recycle che prescindano dalle caratteristiche tipologiche e tecnologiche dei manufatti. Queste, infatti, pongono di volta in volta vincoli e offrono possibilità diverse all’azione progettuale che, in questo campo, si trova a operare su un “costruito” scarno, ma non per questo meno problematico. Un interessante ed attuale ambito di sperimentazione nel recycle alla scala dell’edificio (che può in alcuni casi coinvolgere

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PARCHI E RETI AMBIENTALI PER SMART TERRITORIES Massimo Sargolini >UNICAM

Questa breve riflessione prende le mosse da una ricerca già pubblicata per i litotipi della Springer (Urban landscape. Environmentale network and quality of life, 2012), e ne coglie le assonanze e le complementarietà con un altro pensiero elaborato dalla Fondazione Fabbri di Pieve di Soligo, in cui Aldo Bonomi e Roberto Masiero integrano e completano alcune intuizioni territoriali fornendo nuova luce sui cambiamenti in atto, dal punto di vista comunitario-evolutivo e dei processi di produzione. Il denominatore comune sembra essere il riconoscimento della perdita di senso delle azioni progettuali puntuali e localistiche da ripensare e rimettere in gioco nelle profonde relazioni che innescano con un ambito territoriale più esteso. Da una parte, la spinta al consumo di suolo naturale, avvenuta inopinatamente, in molte aree agricole ora invase da inutili infrastrutture, residenze diffuse, o volumi di grandi dimensioni adibiti ad uso agricolo o industriale e altri manufatti spesso inutilizzati; dall'altra, un mondo di aree protette che è numericamente cresciuto, negli ultimi vent'anni, sino a coprire quasi il 12% del territorio nazionale ma, salvo rare eccezioni, senza avere la capacità di contaminare fertilemente i contesti in cui gli stessi ambienti tutelati ricadevano. La separatezza tra gli obiettivi della

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IUAV Capannoni nella cittĂ diffusa veneta

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RITRATTO DI UN CAPANNONE MOLTO STANCO Sissi Cesira Roselli

Il progetto fotografico si colloca in Veneto, un pomeriggio di luglio, intorno a un capannone industriale molto stanco. È un ritratto, non un reportage: la cronaca se ne è andata da questi luoghi e si è lasciata alle spalle una maschera dal volto di capannone, vuota di funzioni, orfana di padroni, in attesa di nuove regie. Quelli fotografati sono i resti di una promessa mantenuta a metà. Attraverso un punto di vista parallelo al soggetto si cerca l’ordine dove non c’è: nel caos dell’abbandono, la geometria delle linee tenta di far ritrovare un orientamento preciso nella grande pianura dei destini rovesciati. La fotografia che ne risulta è una raffigurazione sfalsata, non aderisce perfettamente alla verità delle cose, tenta di raddrizzare le storture della realtà e di sovra-esporre coni d’ombra di un’economia pallida. L’obiettivo si pone con rigidità di fronte alla faccia-facciata del capannone, in una danza misurata intorno alle sue occhiaie da giorno dopo la festa, alle finestre dalle palpebre socchiuse, agli intonaci rugosi, alle bocche-porte serrate. Il racconto del suo perimetro slabbrato è lo stesso di tutti gli altri capannoni senza gloria, stanchi di essere stanchi, stanchi di essere immobili.

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URBS IN HORTO : UNA VISIONE PER LA CITTÀ DIFFUSA Paola Viganò >IUAV

I progetti illustrati in queste pagine propongono una riflessione su un territorio, la città diffusa veneta, negli anni della crisi del suo modello economico, sociale ed ambientale. Tuttavia l’interpretazione che ne sarà proposta non è composta di immagini contrastate, di contrapposizioni evidenti come quelle che tradizionalmente associamo al processo di abbandono e di riciclo. Attraverso numerose e lunghe campagne di rilievo, di interviste, di progetti esploratori, di occasioni di dibattito con le istanze locali, ciò che emerge è un quadro sfumato, che mette a dura prova i nostri strumenti analitici e concettuali e di progetto. La crisi economica e la struttura molecolare della piccola e media impresa, incontrandosi, danno luogo a situazioni non dicotomiche entro le quali il tema “Riciclare capannoni” non è la sola operazione rilevante: spesso, nonostante la crisi, non lo è affatto. Esso rappresenta, piuttosto, un’ipotesi iniziale, da falsificare o verificare nel corso della ricerca, capace di introdurre ad un processo più ampio di ristrutturazione e di transizione epocale. E’ di questo processo e delle sue potenzialità che ci siamo occupati a partire da una riflessione sul concetto di ciclo di vita e di città come risorsa1. L’ipotesi che ha guidato lo studio della riqualificazione e del riciclo degli

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ferrovie abbanodnate

L discariche, depuratori

B edifici residenziali sottoutilizzate

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aree senza destinzione d'uso

aree arabili in zone irrigue

aree arabili in zone non irrigue

aree verdi sottoutilizzate

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* Il titolo riprende il saggio di Marcel Smets Una tassonomia della dismissione, del 1990, pubblicato sul n. 42 della rivista ÂŤRassegnaÂť. Fig. 1 Mappa rappresentante i diversi tipi di scarto nell'area centrale veneta, PA-TRE-VE, (50x50km). Fonte: osservazione diretta C Furlan, tesi di dottorato IUAV, 2005

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UNA DIVERSA TASSONOMIA DELLA DISMISSIONE * Cecilia Furlan >IUAV

Come in molti altri territori europei, anche all’interno dell’area centrale veneta, si inizia a percepire che il lungo processo di sviluppo del territorio si stia concludendo (Fabian, Munarin, 2015), e che un silenzioso processo di metamorfosi stia iniziando. Se, come afferma Corboz (1998), il territorio può essere considerato come un palinsesto queste trasformazioni hanno certamente lasciato delle tracce su di esso. La recente crisi ha infatti messo in discussione gli attuali modelli produttivi, e lasciato in eredità una varietà di spazi non più propriamente utilizzati. Ponendo l’interrogativo: che cos’è lo spazio dello scarto oggi? Quali forme ha? “ ” (B. Quinn 1997). Il concetto di spazio dello scarto, o di wasteland all’inglese, apparentemente sembra abbastanza ovvio. In realtà esistono più di cinquanta differenti vocaboli per denominarlo e classificarlo. Sebbene la comunità scientifica sia concorde nel dichiarare che lo spazio dello scarto sia il naturale risultato di un processo di urbanizzazione, è molto difficile formulare una definizione generale (Berger 2006; Lynch 1990). Storicamente, con questo termine s’intendevano una varietà di ecologie accumunate principalmente dal loro stato di disordine, dalla loro resistenza ad essere

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«Àncore 1», rivista a cura di Sara Marini e Alberto Bertagna, “edita” in occasione del workshop Capannone senza padrone, Festival Città Impresa, 26-30 aprile 2011

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PICCOLE PATRIE. STORIE DAL NORD EST Sara Marini >IUAV

Nel 2011 viene presentato al pubblico italiano il film Cose dell'altro mondo di Francesco Patierno, dopo tre anni viene proiettato nelle sale cinematografiche Piccola patria di Alessandro Rossetto. La ricerca del cinema veneto sulla propria terra ricorre senza mai diventare particolarmente nota: resta un'eco di provincia. I due film parlano della fabbrica, del disegno del territorio, mettendo al centro un mosaico sociale segnato da desideri d'autonomia ed istinti d'indipendenza. In Cose dell'altro mondo, inaspettatamente e inspiegabilmente, un giorno gli extracomunitari di una qualsiasi cittadina del Nord Est spariscono, tutto si ferma a partire dalle fabbriche. Piccola patria prende le mosse dall'incontro di due ragazze in un gigantesco Grand Hotel che campeggia in una campagna urbanizzata a brandelli. I rapporti tra le persone di diversa nazionalità sembrano costituire la trama centrale dei due racconti, in realtà senza lo scenario in cui si muovono gli attori le due storie sarebbero incomprensibili. Si tratta di una terra, il Veneto, che continua a credere nel lavoro e che ha "riversato" questa fiducia in forma di architettura e di città. I due film riflettono due aspetti dell'attuale stato dell'architettura della produzione in Veneto. Il primo fenomeno che caratterizza lo scenario è la scomparsa di funzio-

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«Àncore 3», rivista a cura di Sara Marini, “edita” in occasione del workshop Il destino del capannone, Wave 2011, 27 giugno-15 luglio 2011

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NUOVI DESTINI CERCASI. LA CAPANNOPOLI VENETA Vincenza Santangelo >IUAV

Il territorio italiano è sempre più teatro di una serie di processi di trasformazione dei modi di abitare e produrre1, che in parte intercettano i territori della città dispersa2 e disegnano nuove geografie. Negli ultimi trent’anni si è passati dall'industria, come grande apparato di produzione e lavoro, ad altre modalità come il terziario, il commercio, la produzione più individuale, i distretti, ecc. Se fino ad alcuni anni fa al centro di molti dibattiti c’era il problema del destino delle grandi aree dismesse – rispetto al quale sono stati fatti degli esperimenti di riqualificazione, bonifica e progettazione –, oggi ci si confronta con nuove forme di dismissione la cui caratteristica rispetto alle precedenti è che se le prime erano più esplicitamente circoscrivibili nel tempo e nello spazio, oggi invece sono di natura più puntuale e meno rintracciabili3. Lo svuotamento dei capannoni, materiale e di senso, è una delle nuove forme di dismissione con cui confrontarsi: piccole luci che si spengono, simboleggiando dismissioni totali o parziali in attesa di nuovi destini. Shoebox. La proliferazione e il disincanto Già alla fine degli anni Ottanta gli Statunitensi coniano il termine “Shoe

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RIUSARE LA CITTÀ DELLA PRODUZIONE Ezio Micelli >IUAV

La lunga fase di stagnazione economica del nostro Paese modifica i modi di elaborare e promuovere lo sviluppo delle città. Le valutazioni sul settore del real estate e delle costruzioni divergono. Se alcuni contano sul ritorno alle condizioni dei primi anni del secolo con valori e volumi in costante crescita, altri - più lucidamente - riconoscono la natura strutturale dei cambiamenti e la necessità di un mutamento in grado di coniugare in modo originale redditività e sostenibilità, consenso e sviluppo. Ciò vale anche per la città della produzione, per le tante aree a destinazione produttiva realizzate negli ultimi decenni. Per anni le nostre imprese hanno scommesso sull’immobiliare per sopperire a una capitalizzazione modesta, hanno realizzato capannoni per sostenere patrimonialmente la crescita. È stato il tentativo di superare, per via immobiliare, i limiti del “capitalismo molecolare” (Bonomi, 1997): se il capitale è assente, il capannone ne rappresenta il surrogato. Ora, queste costruzioni non servono più o si rivelano sovradimensionate. Realizzati nella convinzione - condivisa con il sistema finanziario - che l’investimento immobiliare fosse a rischio nullo, oggi i capannoni rivelano, in molte aree del Paese, una redditività quasi azzerata e prospettive

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POSTFAZIONE

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ARCHITETTURE PERFETTE Pippo Ciorra >UNICAM

Gli autori lo sanno, ci ho messo un po’ a trovare il tempo per leggere e scrivere un post-testo a questo libro. La ragione è nell’ovvia congestione, che scompare magari dalle nostre città in crisi ma non dalle nostre vite sballottate ancora in puro stile anni ‘90, ma anche in una specie di inconscia resistenza alla lettura della pubblicazione numero 20 sviluppata nell’alveo della nostra ricerca Recycle. Ora finalmente, complice l’isolamento aviatorio, riesco a leggere con calma i testi, a guardare un po’ i progetti, a considerare posizioni e ipotesi. Capisco che mi sbagliavo, è un libro vero, che mette in fila voci autorevoli e rimette in fila i temi legati alla questione del riciclo in modo “necessario”, muovendosi agilmente tra premesse storico-economiche, sintesi sociologiche, visioni architettoniche, urbanistiche e di scala “vasta”. Ringrazio gli autori, dopo un vagabondare esasperato intorno ai temi del riciclo e anche intorno a temi che col riciclo hanno poco a che fare la ricerca ritrova qui il suo centro, si avvicina alla sua conclusione e mette ordine in un insieme complesso, dove finalmente si cerca di distinguere tra indagine, lettura e proposte. Il libro ha quindi per me due facce. Da un lato una ricapitolazione virtuosa ed efficace delle questioni “progettuali” del riciclo, dove per proget-

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