“Framing Iraq in political and media discourse” Esame di Relazioni Internazionali. Prof. Pierangelo Isernia Relazione sui risultati della ricerca – Alessandro Tocci
Il lavoro effettuato è consistito nell'estrazione e catalogazione di dati provenienti da una serie di articoli campione, estratti su un totale di 70.000 articoli che, nel periodo considerato (2002/2006), contenevano alcune parole chiave come “Iraq” o “Saddam”. I giornali utilizzati per effettuare la raccolta dati in questione sono il New York Times, rappresentativo della situazione americana ed il Corriere Della Sera, per quanto riguarda quella italiana. Lo scopo dello studio, come dice il nome, è quello di raccogliere una sufficiente quantità di dati riguardanti il “framing”, ovvero l'inquadramento teorico che i mass media hanno dato alla guerra in Iraq, fin da prima dell'inizio del conflitto che, come sappiamo, è avvenuto il 19/03/03. Per quanto riguarda il sottoscritto, sicuramente la mole di dati a disposizione è insufficiente per elaborare delle statistiche propriamente dette; tuttavia, è già possibile effettuare alcune considerazioni preliminari sulla base dei dati a disposizione. Da notare che la comparabilità delle serie di dati (NYT e CORRDELS) è relativamente bassa, non solo a causa dell'evidente diversità politica e culturale esistente tra USA e Italia, quanto per la sfasatura temporale esistente tra gli articoli di oltreoceano e quelli italiani. Ad esempio, un solo articolo del NYT è disponibile per il periodo precedente lo scoppio della guerra, a fronte di molti del corriere della sera: non è però certo possibile utilizzare il dibattito avvenuto in Italia, paese poco più che spettatore, come indicativo di ciò che accadeva nel 2002 negli USA, paese colpito dal terrorismo e protagonista indiscusso della vicenda bellica. In virtù di queste considerazioni, anche i grafici che qui vedremo sono suddivisi tra New York Times e Corriere Della Sera, così da ridurre al minimo la perdita di informazioni. Fatte le dovute premesse, passiamo adesso all'analisi dei dati di cui disponiamo, che possono comunque fornire alcune indicazioni. Lo studio è centrato su un libro codice che prende in considerazione un pool di 73 variabili ritenute significative per rilevare il tipo di inquadramento effettuato dai media: le prime 15 hanno lo scopo di individuare l'articolo e, soprattutto, la fonte che di volta in volta fornisce le informazioni rilevanti; le variabili 15 e 16 contengono i frammenti di testo ritenuti rilevanti e quindi utilizzati ai fini dello studio; le rimanenti voci sono quelle che effettivamente raccolgono i dati da elaborare e che sono interessanti per lo studio. Esse sono divise in tre categorie: rappresentazione della minaccia; soluzioni per il problema (prima e dopo la caduta del regime di Saddam Hussein); perdite umane. Esaminiamo adesso i dati relativi ad ogni categoria.
Rappresentazione della minaccia In questo ambito, il primo argomento esaminato è la presenza di riferimenti espliciti ad armi di distruzione di massa in mano a al regime iracheno, suddivisi tra 4 variabili: armi attualmente possedute, precedentemente possedute, loro utilizzo e armi nucleari. Il tema delle Weapons of Mass Destruction (WMD) è stato a lungo sulla bocca di molti, prima della guerra, per argomentare la pericolosità della minaccia irachena e, in seguito, per via delle polemiche sulla veridicità delle informazioni fornite dall'amministrazione Bush prima dell'attacco. I dati in mio possesso a tal proposito sono scarsi ma abbastanza coerenti: vediamo come, prima della guerra, l'argomento WMD sia molto popolare e centrato sulla presenza di arsenali in Iraq, anche atomici. Ciò sembra coerente con l'obiettivo naturale dei promotori dell'attacco di fornire adeguate motivazioni a supporto del proprio intento. Con il passare del tempo la presenza di questo argomento si va rarefacendo, evidentemente sovrastato da problematiche di maggiore rilievo. Si nota come, a guerra iniziata, compaiano dei riferimenti ai massacri compiuti da Saddam con tali armi, forse a voler enfatizzare la necessità morale di sopprimere un regime sanguinario e crudele. Per quanto riguarda il versante italiano, un certo numero di fonti ritornano a citare le WMD nel 2006, e precisamente in corrispondenza delle elezioni che hanno visto cambiare la coalizione di governo. Infatti, in molti
chiesero al nuovo governo il ritiro delle truppe in virtù dell'inconsistenza della paventata minaccia delle armi irachene, che era stata addotta quale ragione dell'attacco. Per quanto riguarda il modo in cui l'argomento WMD è stato presentato ogni volta, vediamo chiaramente come, specie nel 2002, la presenza di tali armi in Iraq sia stata dichiarata come cosa certa. Nel 2002 alcune fonti sostengono anche che Saddam Hussein sia stato coinvolto negli attacchi dell'11 settembre 2001. Nessuno, tra le fonti considerate, ha citato il fatto che l'Iraq ha violato il diritto internazionale, o risoluzioni dell'ONU (variabile v24). Per quanto riguarda i bersagli della minaccia irachena, i dati al riguardo sono assai scarsi (solo 4 fonti); tuttavia, sono concordi nell'indicare sul piano interno la popolazione irachena come destinataria della minaccia (altro punto coerente con la necessità di “rendere giusto” l'attacco a Saddam); sul piano estero, il principale bersaglio è indicato negli USA. Un altro punto saliente dell'analisi, il collegamento tra la guerra in Iraq e la stabilità nei mercati petroliferi (var. 30, 31,32), è pressoché ignorato in toto dagli articoli analizzati; l'unica menzione rilevata viene da uno studio economico che afferma che l'instabilità irachena è tra le cause del forte rialzo del prezzo del greggio; studio che, certamente, non parla al grande pubblico ma solo agli addetti ai lavori. Andando a valutare poi la situazione irachena nel periodo successivo alla caduta del regime baathista, a tal proposito la variabile più importante è la v34, per la quale disponiamo di un numero accettabile di dati: in un continuum che va da 1 a 5, con 1 che indica una situazione irrimediabile andando a salire man mano che il giudizio migliora, vediamo come (i dati riguardanti la prima fase della guerra siano pressoché assenti) i dati si fanno più consistenti a partire dall'inizio del 2004, quando ormai l'avanzata americana è compiuta e Saddam è prigioniero. v34_POSTSADDAM Linear (v34_POSTSADDAM)
Valutazione situazione post Saddam - NYT 5 4 3 2 1
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Valutazione situazione post Saddam - CDS
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Da notare come i primi dati siano assai meno strutturati: fino a metà 2005 i giudizi sono quasi equamente divisi tra peggioramento, situazione stabile e miglioramento. Nella seconda metà del grafico, invece, assistiamo ad un lieve compattamento delle opinioni, che tendono maggiormente a valutare la situazione come “stabile”. Nel complesso, la valutazione è andata peggiorando costantemente, ma ad una velocità decisamente ridotta; come mostra la retta di regressione lineare, la valutazione media stimata cala di meno di mezzo punto nell'arco di 3 anni. Per quanto riguarda i fattori sui quali si basa la valutazione della situazione, i dati non lasciano spazio a dubbi: il motivo principale di insicurezza e preoccupazione per il futuro dell'Iraq (e quindi della coalizione occupante) è il numero di attentati terroristici (più del 30% delle notizie che riguardano perdite umane e la metà di quelle che riguardano ferimenti parlano di attentati). Come si vede dal grafico, la metà circa delle affermazioni che parlano di peggioramento della situazione adducono tra i motivi il problema degli attentati. Problema che, peraltro, rimane una costante nel tempo: è citato fin dai primi articoli, e permane in maniera pressoché costante fino al 2006. Il grafico è riferito al solo New York Times, in quanto per il Corriere non esistono dati su questa variabile.
Ragioni per cui la situazione in Iraq sta peggiorando - NYT fazioni in lotta Attentati resistenza alla stabilizzazione fragilità nuove istituzioni Forze occidentali senza consenso Niente diritti/libertà in Iraq altro
Per quanto riguarda invece le motivazioni delle valutazioni “positive” della situazione irachena, assistiamo ad una forte carenza di dati che non ci permette alcun tipo di valutazione “statistica”, ma solo alcune considerazioni. Innanzitutto, è certamente vero che le dichiarazioni ottimistiche sono state poche, negli anni, per ovvi motivi: disillusione dopo previsioni troppo ottimistiche, opposizione politica, situazioni oggettivamente critiche sul campo; inoltre, alcune delle esternazioni che lasciano meglio sperare vengono da politici che appoggiano la causa, e non scendono quindi nel
dettaglio per evitare di essere contraddetti (Es. Bush). Infine, non possiamo non considerare la natura dei media che sono oggetto del nostro studio: organi seri e indipendenti, che rispondono però come tutti alle leggi del mercato. In altre parole, è lecito supporre che alle notizie negative e truculente sia stata sistematicamente data una copertura maggiore di quelle positive (per quanto di modesta entità). Tale riflessione è tra l'altro presente nell'editoriale n. 2669 (William Safire, 31/05/04) del New York Times. L'autore non ritiene certo l'Iraq uno stato pacificato, con delle istituzioni regolarmente funzionanti. Tuttavia, egli informa, i politici iracheni stanno cominciando a prendere decisioni autonome, e la gente muore meno spesso; quindi il futuro potrebbe essere ancora migliore: semplicemente, se lo dicono i politici o sono “falchi” che fanno propaganda, o sono “colombe” che lo dicono a metà per giustificare il loro “no” alla guerra, creando una gran confusione. I giornali, quindi, dovrebbero avere uno sguardo più realistico sulla faccenda e dare il giusto spazio anche ai suoi sviluppi positivi; ma d'altronde è risaputo che “una buona notizia non è una notizia”. Come recita un detto inglese: “if it bleeds, it leads”.
Soluzioni per il problema La proposta di soluzioni al “problema” Saddam Hussein viene suddivisa dallo studio in tre fasi: cosa fare, come farlo e perché va fatto. Riguardo al cosa (var.39), abbiamo poche opzioni disponibili, e i dati a disposizione sono pochi: tuttavia, tutte le fonti concordano sulla necessità di agire per garantire la sicurezza dalla minaccia irachena, anche se solo due (Bush e Lieberman) dicono apertamente che si rende necessario un cambio di regime in Iraq. Gli altri sono favorevoli ad una azione volta a far cambiare atteggiamento al governo iracheno, in modo da rassicurare la comunità internazionale. Tuttavia le fonti sono pochissime (5 in tutto), per cui ci riserviamo di dare loro il peso che meritano in un secondo tempo, al momento dell'aggregazione dei dati ricavati dalle varie ricerche. Per ciò che concerne il come (var.40), a fronte della mancanza di dati NYT precedenti la guerra abbiamo un certo numero di fonti provenienti dal Corriere, che esprimono opinioni alquanto strutturate: vediamo nel grafico come la prima opzione preferita (area interna del grafico) sia quasi la stessa per tutti, ovvero “favorire l'invio/ritorno di ispettori in Iraq” (valore 6). La seconda opzione, invece, si attesta decisamente sul ricorso alla guerra o minaccia dell'uso della forza (area esterna del grafico).
Come agire nei confronti dell'Iraq - CDS
Far rispettare le sanzioni Soluzione diplomatica Favorire ispezioni Guerra Altro (minaccia della forza)
I dati del grafico si riferiscono al periodo tra l'8/10/02 e il 25/11/02
Arrivando poi a parlare del perché sia necessario agire nei confronti dell'Iraq (var.41), l'unica motivazione addotta dalle fonti analizzate è evitare che l'Iraq possa utilizzare armi di distruzione di
massa contro altri paesi o fornirle a gruppi terroristici. Tuttavia, la scarsità delle fonti (sono 3) che motivano la necessità di agire è tale da impedire qualsiasi tentativo di interpretazione. La valutazione delle ispezioni (v43) sembra confermare quanto mostrato dalla variabile (v40) che rileva come bisogna agire, affermando la necessità di far tornare gli ispettori e dare loro altro tempo: nessuno, nemmeno tra chi sostiene la necessità della guerra, afferma che essi non siano in grado di garantire il disarmo dell'Iraq. Per quanto riguarda invece il ricorso alla guerra (v44), abbiamo un panorama variegato, nel quale emerge una contrapposizione abbastanza netta fra coloro che dicono un “no” deciso, e coloro che in un modo o nell'altro ammettono la possibilità di ricorrere alla forza: i due gruppi sono in rapporto di quasi parità, anche se i secondi sono frammentati in vari livelli di propensione all'opzione guerra. La contrapposizione emerge anche esaminando la variabile (v45) che rileva il possibile ruolo dell'ONU in un eventuale conflitto: le fonti, per quanto scarse, si pronunciano tutte nel senso di una possibile azione anche senza l' “ombrello ONU” sulla testa; tutto ciò mostra da un lato la decisione dei “falchi” di andare comunque avanti, ma anche il rifiuto totale degli oppositori, a prescindere dalla legittimità internazionale dell'attacco. Anche in questo caso mancano fonti del NYT.
La guerra contro l'Iraq - CDS
Va evitata Va considerata come estrema ratio È una delle possibilità è inevitabile
I dati si riferiscono al periodo che va dal 8/10/02 all'inizio della guerra
Per quanto riguarda la durata e i costi previsti della guerra, appare questa una questione di secondaria importanza rispetto alla decisione di intraprendere o meno la strada del conflitto; infatti i dati relativi (variabili v46, v47, v48 e v49) sono scarsi e limitati al New York Times. In effetti, è lecito pensare che il tema dei costi, sia umani che monetari, sia stato più presente all'opinione pubblica USA, che si sentiva coinvolta in prima persona, che non a quella italiana, per la quale il dibattito sull'Iraq è stato animato forse dal sentimento politico piuttosto che da considerazioni utilitaristiche. Anche sul fronte del ruolo degli alleati i dati sono pressoché nulli. Il parere di chi scrive è che questo sia dovuto alla scarsità degli articoli relativi al periodo precedente alla guerra, momento in cui la “coalition of the willing” era in fase di gestazione e quindi l'argomento degli alleati era assai discusso. L'unico dato raccolto è una dichiarazione dell'allora presidente della Francia Jacques Chirac, che afferma che il suo paese non avrebbe inviato truppe in Iraq. Il discorso cambia quando andiamo a vedere quali azioni dovrebbero essere intraprese nel periodo successivo alla caduta del regime (v53): per quanto riguarda in New York Times, a fronte di un numero abbastanza alto di dati, dobbiamo constatare una scarsa strutturazione delle opinioni in merito; le opinioni sono molto variegate, come mostra il grafico sottostante. Un momento di convergenza emerge tuttavia in corrispondenza del valore 12 dell'asse delle ordinate, che corrisponde nel codebook all'opzione “abbandonare l'Iraq/lasciare l'Iraq agli iracheni”: in effetti, tale accumulo di posizioni contrarie alla guerra emerge in corrispondenza del momento cruciale della campagna elettorale USA del 2004, campagna in cui il futuro dell'impegno americano in Iraq
ha avuto un ruolo da protagonista. Dal 2005 in poi, l'opzione che viene proposta più spesso è la numero 2, ovvero “creare una forza di sicurezza irachena in grado di garantire la sicurezza del paese”.
Cosa fare dopo Saddam - NYT 12 10 8
v 53_ACTPHASE2_1 v 53_ACTPHASE2_2 v 53_ACTPHASE2_3
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Cosa fare dopo Saddam - CDS 12 10 8
v 53_ACTPHASE2_1
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Per quanto riguarda il Corriere Della Sera, osserviamo come la soluzione citata più volte sia ancora l'abbandono dell'Iraq (valore 12); tuttavia, l'argomento è affrontato in maniera certo più sporadica. Vediamo inoltre come, verso la fine del 2004, ci sia un aumento sia del numero che della varietà delle soluzioni proposte: ciò è dovuto all'approvazione della risoluzione 1546 del Consiglio di Sicurezza ONU sull'Iraq, la quale prende atto della situazione esistente e individua una serie di priorità e traguardi successivi da raggiungere per stabilizzare la situazione, rinfocolando quindi il dibattito in materia. Parlando di valutazione della gestione politica della situazione irachena, rileviamo la presenza di dati solo da parte del New York Times, con valutazioni che nel tempo non sono mutate significativamente restando abbastanza negative. Unica nota: esse sono maggiormente concentrate a metà del 2004 circa, questo potrebbe essere anch'esso dovuto al fermento pre-elettorale. Nel grafico, la lunghezza della colonnina rappresenta l'apprezzamento espresso per la politica adottata, il rombo indica lo stato a cui la valutazione è riferita (nel nostro caso sono sempre gli USA).
Valutazione della politica attuata - NYT 5 4 v 54_WESTPOLICY
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Non emergono particolari regolarità riguardo alle variabili che rilevano la necessità di diminuire o aumentare le truppe dislocate sul campo: sul NYT solo poche fonti parlano di ritiro delle proprie truppe nel 2006; sul Corriere l'unica regolarità è una sporadica richiesta di ritiro delle truppe italiane, non molto significativa. Non c'è nessuna affermazione della necessità di restare in Iraq. Lo stesso discorso vale per la variabile v67 che rileva le affermazioni riguardanti l'eventuale ritiro delle truppe: non c'è sufficienza di dati né strutturazione per trarre conclusioni: unica osservazione, le sporadiche esternazioni sul ritiro delle truppe si presentano in Italia come delle richieste senza appello né condizioni, mentre in America si tende a parlare di ritiro delle truppe solo dopo aver raggiunto degli obiettivi definiti. Anche da ciò sembra emergere il fatto che, per gli USA la posta in gioco è assai più alta di quanto non lo sia per l'Italia, in cui ci si può permettere di chiedere il rientro immediato dei soldati dispiegati.
Perdite umane Un elemento di primaria importanza nel determinare l'impatto e la percezione della guerra da parte dell'opinione pubblica è sicuramente la notizia delle morti sul fronte. Su questo aspetto la copertura offerta dai due giornali è nettamente differente: il New York Times è infatti molto accurato nel riportare ogni perdita tra i soldati, i quali per la gran parte sono americani, ma anche tra i civili, fino al punto di istituire una apposita rubrica nelle prime pagine del giornale; il Corriere, al contrario, riporta soltanto i casi più eclatanti dal punto di vista dell'Italia. Ne risulta un quadro molto diverso tra i due giornali. Vediamo qui sotto il grafico relativo alle notizie di morti in Iraq: le colonne indicano il numero dei morti (rappresentato in scala logaritmica per ragioni di praticità), i quadrati indicano se le perdite sono tra i militari, miliziani, etc... espressi con un codice numerico. Come vediamo, le fonti si riferiscono per lo più a morti di soldati americani (valore 8) o a civili iracheni (valore 1), con una copertura costante per tutto il periodo considerato. Compaiono anche alcuni riferimenti all'uccisione di miliziani/terroristi (valore 7). Da ricordare, tuttavia, come le fonti che parlano di cifre superiori a “quota 100” non si riferiscano ai morti dei giorni precedenti, ma fanno un bilancio di respiro più ampio (settimane, mesi o anni precedenti).
v59_CASUALRATE_NO_1
Perdite umane - NYT
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I dati provenienti dal Corriere Della Sera sono abbastanza scarsi al proposito: vediamo come le fonti sono significativamente minori, e soprattutto le cifre riportate sono di entità assai minore. Possiamo inoltre verificare facilmente come ci siano due eventi che condizionano l'altrimenti scarsa mole di dati al riguardo: il primo è lo scandalo degli abusi sui prigionieri per mano dei dei soldati americani, che ha portato a molte indagini ed a molti articoli di giornale (rilevato dalle due alte colonne all'inizio del 2004); il secondo è la liberazione di tre ostaggi italiani, sequestrati assieme ad un connazionale che poi è stato ucciso durante la prigionia. La liberazione è stata commentata da molti articoli, che figurano nel grafico con una lunga serie di valori “3” della variabile v58. v59_CASUALRATE_NO_1
Perdite umane - CDS
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v58_CASUALRATE_1
10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
35 30 25 20 15 10 5
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Volendo confrontare i due grafici, è evidente come la copertura del NYT sia nettamente superiore: essa non solo è più costante, ma fornisce più dati anche per quanto riguarda la popolazione irachena. D'altronde, è lecito supporre che gli Stati Uniti abbiano un forte interesse verso ciò che succede là dove i loro uomini sono dispiegati in così grande quantità; interesse che l'Italia non ha mai avuto. Un breve cenno a parte merita la questione dei feriti: la copertura giornalistica dei ferimenti è assai bassa in entrambi i giornali, forse perché ritenuta di minore importanza. I dati sono pochissimi e non coerenti tra loro; si rimanda quindi anche per la loro analisi al lavoro di aggregazione successiva.
Conclusione Vediamo infine che valori hanno assunto le quattro variabili finali, che riferendosi alla totalità del documento in esame intendono saggiarne il senso generale, o meglio il messaggio che trasmettono al lettore in relazione a quattro argomenti: percezione della minaccia; valutazione sulla legittimità/necessità dell'attacco; probabilità di successo e valutazione della situazione presente.
Percezione della minaccia Parlando di minaccia percepita, non abbiamo dati per quanto riguarda il NYT; sul corriere c'è invece un certo numero di documenti che danno un'idea generale della pericolosità irachena. Vediamo che, sebbene la metà affermi che la minaccia è “grave, ma non imminente” (4), un numero pari di documenti sembra suggerire un'immagine più pacata, perfino innocua del regime baathista; un framing quindi apparentemente contraddittorio, che se fosse confermato potrebbe aiutare a spiegare la forte divisione dell'opinione pubblica sul tema della guerra.
Minaccia - CDS
5 4 Gravità della minaccia
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Valutazione sulla legittimità/necessità dell'attacco I dati a disposizione non mostrano significative differenze tra il quotidiano americano e quello italiano: entrambi tendono a dare un resoconto neutrale rispetto alla questione. Essi possono magari dare spazio a opinioni anche molto schierate, ma chi scrive il “pezzo” si pone quasi sempre in modo abbastanza neutrale.
Legittimità/necessità attacco - NYT 2 1 0
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Legittimità/necessità attacco - CDS 2 1 v 71_EVALUATION
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Probabilità di successo Per quanto riguarda le probabilità di successo dell'intervento in Iraq, parrebbe ancora valido il discorso fatto per la legittimità dell'azione; posizioni coerenti e strutturate, tendenti a non esprimere posizioni particolari; tuttavia, volendo azzardare il calcolo di una curva di regressione, possiamo vedere come il trend sia in discesa: nei tre anni che vanno dal 2003 al 2006 la media attesa della valutazione è calata di mezzo punto circa.
Successo operazione - NYT 2 v72_SUCCESS Linear (v72_SUCCESS)
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Successo operazione - CDS
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v72_SUCCESS
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2 20 02 20 03 20 04 20 04 20 04 20 04 20 04 20 04 20 04 20 04 20 04 20 06 20 06 20 06
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2
-2
Valutazione della situazione presente Questa valutazione finale è probabilmente quella in cui i dati sono più interessanti e coerenti; assistiamo infatti ad un abbassamento lento ma deciso della valutazione che emerge dalla lettura del giornale. Dopo una fase iniziale in cui la situazione non si poteva definire né “buona” né cattiva c'è una costante tendenza al ribasso nel tono generale degli articoli, che alla fine del periodo considerato vede una valutazione media attesa inferiore di un intero punto rispetto al momento iniziale. Purtroppo i dati relativi al CDS sono scarsi e poco significativi ai fini della nostra indagine.
Situazione - NYT
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In conclusione, appaiono alcune sostanziali differenze nell'inquadramento e nella scelta delle priorità dei due quotidiani esaminati. In particolare, possiamo vedere come il NYT offra maggiore spazio alle notizie sui caduti, e abbia maggiore scrupolo nel valutare la situazione e nel parlare di ritiro delle truppe o abbandono dell'Iraq. Questo è pienamente comprensibile, ove si consideri che l'America ha investito la sua credibilità, e offerto un pesante tributo di vite umane, nell'impresa irachena, ed un eventuale ritiro anticipato sarebbe un pesante colpo politico ma anche morale per l'intera nazione. In Italia al contrario, a fronte di un interesse minore sembra di essere di fronte ad uno scontro almeno altrettanto acceso, che però appare motivato da fattori ideologici piuttosto che pratici, dato l'impegno relativamente piccolo del nostro paese sul campo. Per quanto riguarda i paragoni storici evocati dalle variabili v26 (NAZIANALOGY), v29 (JAPANALOGY), v33 (VIETNAMANALOGY) e v42 (MUNICHANALOGY), non è stato trovato alcun riscontro negli articoli analizzati di entrambi i giornali. N.B. : a proposito degli articoli CDS, è opportuno notare come la presenza nel campione in esame della giornata successiva alla liberazione degli ostaggi italiani ha in pratica monopolizzato l'attenzione della ricerca, essendo gli articoli di quella giornata un numero altissimo se rapportato al totale; questo per dire che, se il numero degli articoli è comunque troppo basso perché si possa parlare di statistiche, la presenza di questa invadente anomalia inficia in partenza qualunque conclusione si possa trarre dai dati considerati.