RICOSTRUZIONE DEL COMPLESSO DI S. MARIA DEL TEMPIO A LECCE: OGNI PETRA AZZA PARITE
Tesi di Laurea a.a. 2016 - 2017 Laureando: Alessio Verardo Relatore: Prof. Arch. Francesco Collotti Correlatore: Arch. Eliana Martinelli
RICOSTRUZIONE DEL COMPLESSO DI S. MARIA DEL TEMPIO A LECCE: OGNI PETRA AZZA PARITE
Tesi di Laurea a.a. 2016 - 2017 Laureando: Alessio Verardo Relatore: Prof. Arch. Francesco Collotti Correlatore: Arch. Eliana Martinelli
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Introduzione
PARTE I. Presentazione
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1. Lecce e il suo territorio
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2. Area di progetto e città stratificata
PARTE II. Indagini storico-critiche
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1. Storia di uno spazio urbano, dal “Feudum Domus Templi” a Piazza Tito Schipa
1.1. La fondazione
1.2. Il progetto degli Osservanti
1.3. L’avvento dei Padri Riformati
1.4. La soppressione napoleonica
1.5. Il ritorno dei Padri Riformati
1.6. La soppressione sabauda e la trasformazione in caserma
1.7. La demolizione
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2. La cripta di Santa Lucia
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3. Analisi dello sviluppo urbano
3.1. Anno 1856
3.2. Anno 1882
3.3. Anno 1912
3.4. Anno 1953
3.5. Anno 2004
3.6. Risultati dell’analisi
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4. Progetti di riutilizzazione dell’area
4.1. Analisi dei progetti
4.2. Elementi emersi dall’analisi
PARTE III. Conoscenza dell’area di progetto
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1. Descrizione dell’area
1.1. Area archeologica
1.2. Cripta di Santa Lucia
1.3. Intersezione stradale
PARTE IV. Il progetto
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1. Il tema di progetto
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2. Il Convento francescano come modello
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3. Ricostruzione
3.1. “Ogni petra azza parite
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4. Il Masterplan
4.1. La strategia
4.2. Le connessioni funzionali
4.3. Le connessioni percettive
4.4. Le connessioni ecologiche
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5. La sistemazione esterna
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6. Il parco archeologico
6.1. I tipi di intervento
6.2. Le parti del parco
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7. L’infopoint e lo spazio espositivo
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8. I laboratori polifunzionali
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9. La cripta di Santa Lucia
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10. Caratteri costruttivi e tecnologici
10.1. Interventi esterni
10.2. Struttura di elevazione verticale
10.3. Chiusura verticale trasparente
10.4. Chiusura orizzontale superiore
10.5. Chiusura orizzontale inferiore
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11. Riferimenti progettuali
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Bibliografia e sitografia
97 Ringraziamenti
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Introduzione
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“Il mondo delle rovine è entrato in una riserva protetta assolutamente separata dal luogo dell’architettura. È questo il momento drammatico: quando si crea la separazione che io definisco “fatale” tra il mondo del costruire e il mondo delle rovine che hanno sempre nutrito la costruzione, divenendo così l’archeologia nemica dell’architettura e della città, insidia inarginabile per l’architettura.” Francesco Venezia, Che cos’è l’architettura
In genere l’architettura viene associata a un’idea di trasformazione, mentre l’archeologia all’idea di conservazione, come se si trattassero di due elementi distinti. Ma che cos’è l’archeologia se non un’architettura che avendo perso la sua funzione ne assume una nuova legata al suo significato? Se non un’architettura che attraverso la storia ha mutato la sua forma per assumerne una diversa? Personalmente credo che architettura e archeologia abbiano molto di più in comune rispetto a quello che la cultura moderna, influenzata dal pensiero romantico, è portata a credere e credo che sia nostro compito cercare di colmare questa dicotomia. L’esigenza di annullare questo divario risulta ancora maggiore quando l’archeologia si presenta all’interno di una città costruita e stratificata. In questo caso il ruolo del progetto di architettura assume una valenza maggiore, perché ha il compito di far dialogare le caratteristiche dello scavo archeologico con quelle del tessuto urbano in cui si trova ad intervenire. Queste mie convinzioni rispetto a questo specifico ambito disciplinare sono alla base della scelta di questo tema
per la mia tesi e l’area archeologica di Piazza Tito Schipa a Lecce offre la possibilità di approfondire queste tematiche. Rispetto alla città l’area si presenta come un lacerto e la tesi si propone lo scopo di ricucire il vuoto creatosi con la demolizione del precedente edificio, partendo dalla presa di consapevolezza della criticità data dalla presenza dei resti archeologici. La strategia che si è adottata è quella della ricostruzione critica dell’edificio scomparso, che si misura con la scala urbana e che assegna gerarchie differenti ai diversi elementi che compongono il progetto. Il lavoro può essere diviso in quattro fasi, che qui corrispondono alle quattro parti in cui si struttura il testo. La prima parte riguarda l’analisi del territorio e dell’urbanistica di Lecce, per poi passare ad inquadrare l’area di progetto rispetto alla città e descrivere gli elementi principali che contraddistinguono l’urbanizzato storico di Lecce, con cui l’area si rapporta. Nella seconda parte viene analizzata la storia dell’area di progetto, lo sviluppo urbano della città e alcuni progetti di riutilizzazione dell’area.
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La terza parte riguarda una conoscenza più approfondita dell’area di progetto, in cui vengono analizzate le caratteristiche attuali dell’area, distinguendo le diverse parti di cui di l’area di intervento si compone. Queste tre parti costituiscono la parte iniziale del lavoro e rappresentano il bagaglio di conoscenza che permette di fare delle considerazioni importanti per l’intervento sull’area. La quarta parte riguarda il progetto più nello specifico. Per prima cosa viene affrontato il tema di progetto, per poi passare allo studio del modello del convento francescano (in quanto il convento che sorgeva sull’area era di questo tipo) e ad esplicitare il tema della ricostruzione. In seguito si passa a esaminare più in dettaglio il progetto, partendo dal masterplan e dalla strategia individuata, per arrivare alla sistemazione esterna dell’area e alle diverse parti che compongo il progetto più nello specifico, fino ad arrivare ai caratteri costruttivi e tecnologici dell’edificio. Questa parte si conclude esponendo i riferimenti che sono stati scelti e hanno aiutato a comporre il progetto.
PARTE I. Presentazione
1. Lecce e il suo territorio
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“Lecce, Licia o Lupia, “è situata in pianura amenissima, e abbondante di Grascie, e di Ortaglie; in distanza dell’Adriatico di sei miglia per lo Settentrione, e dal Jonio 24. Pel mezzo giorno fra Brindisi, ed Otranto, a 25 per parte; godendo il commodo per lo traffico senza pericolo d’essere invasa. Quieto, e temperato, ma tendente al caldo è il suo clima. Di tre miglia in circa la circonferenza di lei si misura, con le muraglie sostenute da Torri, Fosse, Cortina, e fortificazioni alla moderna, con quantità di Baloardi, e Castello inespugnabile (...). È delle più popolate del Regno (...). Piena è di Giardini, con Aranci, Fiori, e Frutti diversi, e benché vi sia quantità d’acqua salmastra, supplisce la dolce, che sorge, con quella dell’aria, per le Cisterne. La neve bensì viene portata da Martina, Albero bello, e da Calabria per la strada di Taranto, scarseggiandovi un poco. Le sue strade sono larghe, e lunghe, frequentate quelle con Botteghe assai piene, ove si lavora, e si spaccia del raro, e curioso, da quantità di Carrozze”. È così che l’Abate Giovan Battista Pacichelli descrive Lecce in una passeggiata per la città sul finire del 1600.
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Immagine sopra: Veduta di Lecce, G. B. Pacichelli, 1703
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Lecce si trova nel lembo a sud est d’Italia, incuneata nel Mediterraneo, posta nella parte centro settentrionale della pianura salentina e dista 11 chilometri dalla costa adriatica e 23 da quella ionica. La città trova la sua identità attraverso il rapporto con la natura o con la natura artificiale (un esempio son le cave). Il territorio è un referente importante per la città, nell’antichità con la limitatio, in età moderna con le piantagioni di ulivi e con la corona di orti e giardini. Questo si caratterizza per la morfologia pianeggiante ed è costituito in gran parte da aree a vocazione agricola e di interesse paesaggistico e ambientale oltre a caratterizzarsi per la presenza di un particolare tipo di roccia, di origine calcareo-marnosa, che è comunemente chiamata col nome di “pietra leccese”, facilmente cavabile e adatta alla lavorazione con lo scalpello. Lecce si struttura a partire dalla città storica intramurale, la quale assume una forma planimetricamente assimilabile ad un trapezio disposto con il vertice acuto a nord. Questa presenta un tessuto urbano molto denso ed intricato ed è racchiusa dalla cerchia dei viali ottocenteschi.
Dopo l’abbattimento delle mura nell’800 la città si è espansa prevalentemente verso est. Questa parte di città si può definire come extramurale compatta, presenta le matrici tipiche dell’urbanistica ottocentesca e isolati a cortina. Con questa espansione la città tramuta il suo impianto planimetrico da trapezoidale a circolare. A definire questa parte di città c’è una cerchia di viali esterni oltre ai quali si sviluppano le aree di espansione, che man mano che ci si allontana dal viale presentano una densità sempre più bassa, fino a confondersi nel territorio circostante. In questo modo la città arriva a toccare alcuni centri vicini, come Surbo a nord e Castromediano a sud. In quest’ultimo caso Castromediano, seppur frazione di Cavallino, risulta ormai inglobato dallo sviluppo urbanistico di Lecce, divenendone in pratica un quartiere. La presenza di un’urbanizzazione diffusa si presenta anche in tutto il territorio circostante la città soprattutto lungo le arterie viarie più importanti, dando vita al fenomeno dello sprawl. La città è circondata da un anello tangenziale, da cui si diramano le strade che collegano Lecce con il territorio e con le arterie viarie più importanti.
2 Area di progetto e cittĂ stratificata
L’area di intervento si trova all’interno del quartiere San Lazzaro, in una posizione centrale della città, tangente al viale Felice Cavallotti. Nonostante si collochi al di fuori della città storica l’area è in realtà in rapporto molto stretto con questa, vista la vicinanza e l’importanza storica che l’area ricopriva per la città a causa del Convento francescano che qui sorgeva. Il legame è anche percettivo, in quanto dall’area si riescono a scorgere alcuni elementi della città storica, come il campanile del duomo e il Castello Carlo V, che dista dall’area meno di 100 metri. Gli edifici realizzati dalla seconda metà dell’800 in poi in stile neoclassico e neobarocco rendono progressivo il passaggio dalla città nuova a quella storica, grazie alla continuità stilistica e materica, data all’uso della pietra leccese per la loro realizzazione. Questo fattore di vicinanza e legame tra l’area e la città antica rende indispensabile per il progetto un’analisi più dettagliata di quest’ultima, che permetta di mettere in evidenza le caratteristiche spaziali e gli elementi urbani più importanti. L’organizzazione spaziale preponde-
rante con cui si presenta il nucleo antico di Lecce è costituita dall’impianto urbano che manifestava già negli ultimi anni del 1600. La lettura planimetrica degli elementi architettonici contenuti all’interno della perimetrazione delle mura spagnole, evidenzia una forma geometrica d’insieme assimilabile ad un trapezio il cui vertice acuto coincide col bastione di San Francesco a nord. Questa forma è il risultato della crescita del centro urbano e di assetti storici consecutivi. L’assetto planimetrico dell’urbanizzato in età romana era rappresentato dal Castrum che, seppur con alcune alterazioni, è riscontrabile ancora oggi nell’impianto della città. In seguito l’urbanizzazione di Lecce annovera delle scansioni evolutive di ambiti abitati, perimetrati da consecutive mura di difesa, che possono essere ricondotte all’età normanna, tra il 1000 e il 1100; all’età angioina ed aragonese, tra il 1300 e il 1400; ed alla completa riorganizzazione urbanistico-amministrativo-religiosa, che ebbe inizio nei primi decenni del 1500 ed ha avuto, come risultato, l’articolato spaziale racchiuso nell’ultima perimetrazione.
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L’analisi di quest’ultimo fa intuire che prima della sua realizzazione esistevano dei “pittagi”, ossia delle piccole entità urbane, quasi autonome, che avevano parti della perimetrazione in contiguità tra loro. Dalla lettura delle cronache traspare che siano stati i Normanni a promuovere l’accorpamento dei “pittagi” in un’unica entità urbana. Dai primi decenni del 1500 sia l’articolazione urbana, sia un notevole numero degli addendi architettonici di Lecce mutarono di assetto e di aspetto. L’innesco di questa revisione urbana sembra dovuto alle perplessità che gli apparati difensivi evidenziarono dopo l’eccidio di Otranto da parte dei Turchi nel 1480. L’artefice della riprogettazione delle mura di perimetrazione bastionate e del castello fu Giovan Giacomo dell’Acaja. Con i suoi interventi Lecce acquisì quella unità spaziale che, planimetricamente, ha similitudini con la forma geometrica di un trapezio, e che si mantenne inalterata perlomeno fino alla morte di Ferdinando IV di Borbone nel 1825. Contemporaneamente alla riedificazione delle mura e del castello si ebbe un notevole impulso nella ristruttura-
zione di molti edifici. Artefici di questo fenomeno furono soprattutto gli Ordini religiosi: i Teatini che si stabilirono nel 1574, i Gesuiti che giunsero nel 1586, i Celestini, gli Olivetani, le Teresine, le Alcantarine che acquisirono potenzialità tali da stravolgere il preesistente assetto di molte strutture architettoniche. Lecce nell’arco temporale che va dal 1550 al 1570, ha trasformato completamente la conformazione spaziale di molti edifici. Queste modalità attuative hanno comportato l’innesco e la elaborazione di uno dei linguaggi architettonici più inventivi della nostra epoca, qual è il Barocco. Nel contesto antico di Lecce si ravvisa l’applicazione di un dogma importantissimo per la vita sociale di una città, ossia il rapporto esemplare tra superfici libere e superfici edificate, tra larghezze stradali e quinte architettoniche, tra piazze e perimetrazioni di edifici. In questa città risultano realizzate quelle idee che furono alla base di molti degli insediamenti di Spagna, e che nel Regno di Napoli ebbero riscontri solo in alcuni insediamenti. Lecce costituisce l’essenza delle ap-
plicazioni dei dogmi urbanistici spagnoli fuori dalla Spagna. È in quest’ottica che dobbiamo focalizzare i dati contenuti nel nucleo antico di questa città. La piazza Duomo con il suo articolato architettonico di perimetrazione, la piazza Sant’Oronzo, strutturata sopra l’anfiteatro, il castello e i notevoli palazzi, conventi e monasteri sono innestati nel sistema urbano con concezioni che travalicano gli assunti che riscontriamo nelle altre città pugliesi. Giovan Battista Pacichelli ci ha dato modo di constatare queste particolarità attraverso i contenuti di una delle sue stampe che, in effetti, diventa originale documentazione della città nell’aspetto che aveva nel 1687. La notazione dell’edificio precedente al palazzo del Seminario; l’assetto di piazza Sant’Oronzo, con la colonna, con la statua equestre di Carlo V e la fontana; la fisionomia della corte del castello, priva della struttura centrale che è elaborazione successiva. Per quanto la ristrutturazione di molte delle fabbriche di Lecce, nel 1600 e nel 1700, richiese l’accorpamento di molti dei preesistenti lotti edilizi, alcuni dei brani del tracciato viario furono mantenuti con gli stessi assetti di per-
corso. Pertanto nelle consecutive elaborazioni delle fabbriche, e soprattutto nella ricerca della destinazione fruitiva più logica per le piazze, da una certa epoca in poi è mutato prevalentemente l’apparato decorativo delle facciate degli edifici che ne delimitavano lo spazio, le quali hanno acquisito addobbi scultorei di inusitata espressione, piuttosto che l’articolazione delle forme delle piazze e dei raccordi viari che le collegavano. Le origini messapiche e i resti archeologici della dominazione romana si uniscono all’impianto urbano medioevale e rinascimentale e alla ricchezza e alla fastosità del barocco seicentesco per dar vita ad una città
Immagine pagine 22 e 23: Vista dal teatro romano Immagine pagine 26 e 27: Vista di piazza Sant-Oronzo
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PARTE II. Indagini storico-critiche
1 Storia di uno spazio urbano,
dal “Feudum Domus Templi a Piazza Tito Schipa”
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Lecce per la quantità di chiese, conventi, e altri edifici religiosi, era chiamata “la città chiesa”. Alcuni di questi edifici sorgevano al di fuori dalle mura della città, formando una rete che abbracciava il centro abitato. La posizione esterna è dovuta alle regole degli ordini religiosi, soprattutto minoritari e mendicanti che prevedevano la separazione della vita monastica da quella urbana. Uno di questi ordini che aveva sede a Lecce era quello francescano, il cui convento sorgeva sull’area di intervento ed era intitolato a Santa Maria del Tempio. Analizzeremo in questo capitolo le vicende storiche di questo edificio, dalla realizzazione alla demolizione. 1.1 – La fondazione Le fonti più antiche riferite all’area di intervento risalgono all’incirca al 1308. In questo periodo l’area veniva chiamata “Feudum Domus Templi” e rappresentava una delle più importanti proprietà dell’ordine cavalleresco dei Templari a Lecce (Falco, 2012). In seguito alla loro soppressione, avvenuta nel 1310, l’area passò nelle mani dei conti di Lecce e rimase di loro dominio fino al 1400 circa. Pochi
decenni dopo, nel 1432, l’area venne acquisita da Nuzzo Drimi, nobile leccese e barone di Corigliano d’Otranto (ma non vi è alcun documento riguardante il passaggio di proprietà). Così, una volta ottenuto il possedimento, Drimi ordinò la costruzione di un convento che prese il nome della vicina e preesistente cappella dedicata alla Presentazione della Vergine al Tempio. Essa si trovava in una zona immediatamente adiacente alle mura della città, la stessa zona dove esistevano due altre chiese: quella di Santa Lucia e quella di San Lazzaro (Cappello, 1981). La gestione ed il culto del convento, assieme alle tre cappelle sopra citate, furono assegnate, come testimoniato dalle due epigrafi rinvenute sulle mura, ai francescani dell’Osservanza Vicaria di Bosnia, già proprietari della chiesa e del convento di Santa Caterina a Galatina. Questo gruppo religioso, infatti, trovò significative espressioni nella parte meridionale della penisola. In seguito grazie anche all’unificazione con la Regolare Osservanza della Provincia Apuliae, l’istituzione venne rafforzata e progredì tantissimo durante il XV secolo e raggiunse, alla fine dello stesso, l’apice dello splendore (Ricciardi, 2003).
1.2 Il progetto degli Osservanti Grazie all’incredibile sviluppo, la Regolare Osservanza pugliese decise di voler creare a Lecce una sede degna della tradizione minoritica; perciò la fabbrica fatta edificare dal Drimi venne sostituita da una nuova struttura. Padre Riccardo Maremonti, che dal 1446 ne aveva assorbito le dimore, nel 1508 diede inizio ai lavori: ideò il progetto per la sacrestia, l’officina, il refettorio, la cucina e due scale, una più grande e una più piccola; disegnò, inoltre, un ampio quadriportico in corrispondenza del lato settentrionale della chiesa, demolendo invece il piccolo convento quattrocentesco (Caprino, 2013). Grazie ai fondi offerti dai vari benefattori leccesi, vennero realizzati anche il braccio meridionale fiancheggiante la chiesa e l’ala est verso il giardino, che ospitava la cucina e le altre officine e, al primo piano, un corridoio con dodici stanze. I due bracci del chiostro si caratterizzavano per la presenza di sei archi a sesto acuto per lato, impostati su eleganti capitelli in stile ionico, fioriti in quattro semplici volute e retti da massicce colonne monolitiche a fusto liscio poggianti su basi a profilo mosso, a loro volta sostenute da un largo stilobate;
le gallerie erano sormontate, al primo piano, da ampie terrazze. Queste ristrutturazioni contribuirono a dare all’edificio una particolare importanza per due principali motivi: innanzitutto i lavori di completamento del dormitorio al piano superiore e di due lati del chiostro del pian terreno, permisero di adibire il nuovo convento a infermeria e a studio di teologia, radunandovi una comunità di venti religiosi; in secondo luogo per le scelte stilistiche e materiche effettuate dal Maremonti, il quale fu il primo fra gli architetti leccesi ad utilizzare un materiale lapideo più duro per i gradini delle scale e le soglie, che in seguito venne utilizzato anche per selciare le strade (Caprino, 2013). 1.3 L’avvento dei Padri Riformati Pian piano, negli ultimi decenni del XVI secolo, si iniziò a sentire sempre più l’esigenza di una più rigida interpretazione della Regola ed emerse così un potente desiderio di rifarsi alle origini, quindi ad un’interpretazione più rigida (maggiore rispetto) della Regola dettata dal creatore San Francesco. Perciò fu indetto il ritorno alla perfezione evangelica con l’osservanza dei voti di obbedienza, povertà e castità.
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Proprio in questo clima nacque il nuovo movimento minoritario, chiamato Serafica Riforma di San Nicolò in Puglia (Ricciardi, 2003). Questa nuova corrente iniziò a coinvolgere nuovi frati, estendendosi a macchia d’olio. Fu per tale motivo che negli anni tra il 1590 e il 1835 molte dimore, fino ad allora governate dalla Regolare Osservanza, passarono ai frati della Serafica Riforma. Tra questi conventi fu loro ceduto anche quello di Santa Maria del Tempio, che non appena venne ereditato, fu adattato ai loro principi di estremo rigore 27
dando inizio a profonde trasformazioni (Perrone, 1981). Così prima del 1634 venne risistemato il piano superiore con la creazione di un dormitorio più stretto, fiancheggiato da numerose cellette; venne realizzata la nuova infermeria provinciale, sull’area occupata dal chiostro quattrocentesco, oltre a ventisette camerette per gli ammalati (Infantino, 1634). Prima del 1641 venne completato il chiostro inferiore con la costruzione dei lati nord ed ovest, riprendendo lo stile della parte realizzata da Riccardo Maremonti, e, al piano superiore, fu costruito il corridoio del
lato nord con una decina di celle. A seguito dei lavori, il convento che nel 1634 poteva accogliere cinquanta religiosi, nel 1647 costituiva una possibile dimora per settanta frati. Infine tra il 1681 e il 1683 venne realizzata la biblioteca (Caprino, 2013). Nella seconda metà del secolo i lavori continuarono per il convento francescano; infatti i Riformati, spinti da esigenze pratiche di apostolato, rifecero completamente la chiesa: conservando la sagrestia, allungarono ed allargarono il perimetro della fabbrica, aggiungendovi cappelle laterali. Attorno al presbiterio edificarono il coro supe-
riore e venne rifatto l’altare maggiore. Come emerso dagli studi e delle ricerche effettuate (Caprino, 2013), si può dunque affermare che nella nuova veste la chiesa, definita la più devota dei templi urbani e suburbani di Lecce, aveva tredici altari, compreso il maggiore. Fra le opere ivi conservate vengono menzionate le più note: una scultura di Sant’Antonio di Padova, una statua di Santa Lucia di uno scultore leccese, le statue di San Francesco d’Assisi e di Santa Chiara che ornavano l’altare maggiore, oltre a interessanti dipinti come la pala raffigurante Santa Maria al Tempio (In28
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fantino, 1634). Grazie a queste numerose ristrutturazioni ed ampliamenti il convento diventò la più grande struttura di tutta la provincia francescana e, assieme ad altri templi, permisero l’attribuzione a Lecce del titolo di “Città Santa” (Cappello, 1984), oltre a meritare l’ammirazione da parte dei cronisti Paone (1974) e Perrone (1981) per il complesso monumentale: “Questo convento oggi è magnifico, ha bellissimi dormitori ed ampi giardini. Tiene la sua infermeria pe’ padri e lo studio pe’ professi. Ha una bellissima e grande chiesa e la sacrestia da breve è stata rivestita di olivo”. 1.4 La soppressione napoleonica Ben presto però il grande sviluppo avvenuto nel XVIII ebbe fine. Infatti con l’arrivo dell’Ottocento, a causa di varie soppressioni, la comunità minoritica subì la deprivazione di numerose dimore, tra cui il convento di Santa Maria del Tempio che fu sottoposto ad ulteriori trasformazioni. In particolare nel 1811 i decreti napoleonici di sovversione, con l’applicazione della legge murattiana, tolsero il controllo di tutto lo stabile, compresa l’infermeria, che passò sotto l’ammini-
strazione napoleonica. Rimase aperta solo la chiesa, officiata da un sacerdote diocesano. Nel 1812 il convento perse le sue funzioni originarie e fu trasformato in ospedale straordinario per gli ammalati di tifo petecchiale, scoppiato nelle carceri centrali. Nel 1813 la struttura venne assegnata alla città come ospedale militare ed in seguito, nel 1815, il consiglio generale delle polveri e salnitri del restaurato governo borbonico decise di utilizzare tutti i locali, esclusi la chiesa e la sagrestia, come nitriera. 1.5 Il ritorno dei Padri Riformati Nel 1822, grazie alla restaurazione del vecchio regime e all’interessamento di Fra Angelico da Lecce, l’edificio venne restituito da Ferdinando I di Borbone ai riformati che tentarono di ridare alla loro dimora leccese l’antico splendore, destinandola dapprima a sede di noviziato ed in seguito a sede di studentato filosofico e teologico e, poco prima del 1852, di studio generale dell’Ordine. 1.6 La soppressione sabauda e la trasformazione in caserma Quella napoleonica non fu però l’unica soppressione che subì il conven-
to di Santa Maria del Tempio. Infatti, verso la seconda metà dell’ottocento con la nascita del nuovo governo italiano, fu applicata una legge che sanciva l’abolizione di tutti gli Ordini e Congregazioni religiose e prevedeva il passaggio al Demanio dei beni della Cassa Ecclesiastica. Perciò, nel 1864 il Prefetto della Provincia di Terra d’Otranto anticipava al sindaco di Lecce la soppressione della comunità dei Riformati da parte del Ministero e la conseguente cessione della fabbrica conventuale all’Amministrazione Comunale in cambio di un canone annuale. Così i religiosi furono costretti a lasciare definitivamente il convento il 14 settembre del 1864 e ciò avvenne quasi all’improvviso; infatti, come descritto da Padre Leonardo Putigiani: “Mentre i Frati piangenti erano in Chiesa a pregare, una fiumana di uomini curiosi, affamati, pretenziosi, dietro ai due messi civili che portavano il decreto della Soppressione, penetrarono in ogni lato del Convento per devastarlo, per derubarlo, per spogliarlo di tutto ciò che era possibile (…)”. La fabbrica (struttura) venne consegnata all’Amministrazione Comunale il successivo 11 ottobre dalla Dire-
zione speciale della Cassa Ecclesiastica, che ne concesse l’utilizzo a sua discrezione. Infine il 9 agosto del 1869 venne stipulato il contratto con il municipio di Lecce e l’immobile venne destinato per la pubblica utilità. Lo stabile di Santa Maria del Tempio, ormai svuotato di ogni suo significato e funzione caratteristici, fu affidato al Comune di Lecce, il quale avanzò due proposte: in un primo momento pensò di utilizzare parte dell’immobile (il piano superiore) per la realizzazione di abitazioni private da destinare ai cittadini meno abbienti (Caprino, 2013) ma in seguito, guardò alla possibilità di installarvi il comando del Distretto Militare. Fu proprio questo il progetto definitivamente approvato e così nel 1872 il convento fu trasformato in caserma del comando del Distretto Militare che dapprima prese il nome “Tempio” e, dal 1905, su proposta dell’autorità militare, fu denominato “Oronzo Massa”, in memoria di un illustre concittadino fucilato a Napoli dalla restaurazione borbonica. Poiché costruito per fini religiosi e divenuto solo in seguito una caserma, l’immobile venne sottoposto ad innumerevoli modifiche: di volta in volta vennero eseguiti lavori per il rifaci-
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mento dei pavimenti, delle coperture, della fognatura, per il risanamento di alcuni locali e per la costruzione di altri (Cappello, 1981). Fra il 1940 ed il 1945 l’edificio divenne sede dell’Opera di Previdenza della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, che, nel 1943, ne acquisiva la proprietà in virtù di una donazione fatta dal Comune di Lecce. Ma finita la guerra a causa della revoca della donazione, l’immobile rientrava definitivamente nella proprietà comunale che propose ancora un nuovo progetto che contemplava la formazione di una piazza studiata per rendere agevole l’incrocio dei cinque assi stradali in essa convergenti, prevedendo sui lotti derivanti la realizzazione di insediamenti residenziali e commerciali per un’altezza di dieci piani fuori terra. Così come sostenuto da Cappello (1981) emerge quindi come, nell’ambito del contenzioso con le Autorità Militari, al Comune non interessasse la disponibilità dell’edificio in sé, ma il punto centralissimo sul quale esso insisteva, per poter utilizzare in modo conveniente l’area risultante dal suo abbattimento (Cappello, 1981).
1.7 La demolizione A tal fine il comune mise in atto delle pressioni e sollecitazioni per la demolizione del fabbricato, così che le Autorità Militari si videro costrette a liberare i locali della caserma e nel 1969 il Comune bandì un’asta pubblica per la vendita del fabbricato “ex Caserma O. Massa” con la possibilità di usare l’area di risulta. A nulla servì la decisa opposizione della Soprintendenza ai Monumenti di Puglia e Basilicata; infatti nel 1970 il Comune, per voce del Sindaco Capilungo, autorizzò la demolizione dello stabile “ex Caserma O. Massa” e bandì un appalto concorso per la sistemazione urbanistica dell’area unitamente alla progettazione di un centro operativo commerciale da realizzarsi sul sito. Prima della demolizione in odore di speculazione edilizia, iniziata il 1 febbraio del 1971 e compiuta in poche settimane, le fabbriche del complesso conventuale erano già state pesantemente sconvolte, avendo subito massicce trasformazioni a seguito delle ristrutturazioni come caserma, distretto militare, scuola media, circolo di ufficiali ed appartamenti di abitazioni per militari (Paone, 1974). Così il convento di Santa Maria del
Tempio scomparse definitivamente, inghiottito dalla città e da una colata di asfalto che lascia il posto alla “pubblica utilità” e ad un parcheggio rinominato “Piazza Tito Schipa”.
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Immagine sopra: Vista assometrica del Complesso
2 La cripta di Santa Lucia
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Immagine sopra: Immagine storica della Cripra e del Convento Immagine a pagina 36: Vista dello stato attuale della Cripta
L’area di progetto include anche l’area relativa alla piccola cripta dedicata a Santa Lucia, che a un primo sguardo dall’esterno sembrerebbe essere del tutto scomparsa, ma a uno sguardo più attento si possono riconoscere le porte di accesso che sono state tamponate. La chiesa ipogea di Santa Lucia, detta “Santa Lucia di fuori” si trova in corrispondenza dell’incrocio fra le attuali via S. Lazzaro e via Orsini. La sua origine risale al XIII secolo, anno in cui in seguito al passaggio in Terra d’Otranto delle reliquie della santa che dalla Sicilia erano dirette a Venezia, si decise di costruire una cripta in suo onore. Ad essa vi si accedeva tramite due porte con due scalinate distinte per uomini e donne, dato che in quel tempo durante le celebrazioni i due sessi dovevano restare separati. Una volta entrati, riferisce Eugenia Quarta (2013), i fedeli sedevano su panchette in legno rustico scalfite dal tempo, mentre un’alcova ospitava la statua di Santa Lucia vestita di rosso con un mantello verde; su di una mensola vi era, invece, il busto della Santa con in mano il piattino con gli occhi, tipica rappresentazione iconografica riferibile alla stessa. Tutto l’ambiente
ipogeo, decorato con immagini dedicate alla santa, era coperto a volta e al suo interno erano presenti tre altari, di cui uno dedicato alla stessa e gli altri all’Addolorata e a San Pantaleone; questo è quanto venne comunicato dalla visita pastorale di S. E. Luigi Viola vescovo di Lecce, avvenuta nel 1880. Ma tra quanto raccontato nei libri, riscontrato dai documenti d’archivio, e il rilievo dello stato di fatto vi è una grande differenza, dovuta alle trasformazioni che la chiesa ha subito nel corso dei secoli. Andando indietro nel tempo, infatti, è possibile scoprire che essa venne modificata per la prima volta nel 1561 ad opera del vescovo leccese Annibale Saraceno che appose il suo stemma sulla facciata (Quarta). Lavori ben più importanti furono operati, tra il XVI e il XVII secolo, dall’abate veneziano Donato Maria Mocenigo che ne ordinò l’ingrandimento e la trasformò in una fabbrica costruita, anche se ipogea (Foscarini, 1929). Le ristrutturazioni continuarono fino al 1934, anno in cui il Capitolo della Cattedrale, che nel 1601 ottenne il possesso della chiesa di Santa Lucia, decise di stipulare un contratto con
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l’Amministrazione di Lecce per poter consentire l’allargamento di via S. Lazzaro; a tal fine cedette parte della chiesa per utilità pubblica. Purtroppo da questo momento in poi il destino della cripta sembrò essere segnato. Infatti qualche anno dopo, nel 1952, nell’ambito di una visita pastorale, S. E. Mons. F. Minerva riportò la condizione di degrado in cui versava la chiesa dopo la sostanziale modifica architettonica dovuta all’intervento di allargamento dell’asse viario (1936), che comportò anche la demolizione di uno dei tre altari presenti al suo interno. A seguito della demolizione, la campana e gli altri arredi vennero trasferiti nella sacrestia della chiesa di S. Angelo, mentre la statua della Santa si conserva tuttora all’interno della chiesa di S. Antonio della Piazza. Nonostante ciò la chiesa continuò a restare aperta al culto. I fedeli, come sempre, il 13 dicembre, in occasione della festività della Santa, accorrevano numerosi per la fiera di Santa Lucia, chiamata anche “Fera de li pupi”, un evento che sin da allora si rinnova a Lecce preannunciando le feste natalizie. A cavallo tra gli anni ’50 e ’60 del secolo passato la parte fuori terra della
cripta, insieme alla piccola chiesa laterale, è stata distrutta. Il proprietario della parte restante dell’area, Carlo Guercia, uno dei maggiori costruttori di Lecce, aveva intenzione di creare qui un nuovo edificio che presentava un’altezza superiore a quella consentita dallo strumento urbanistico comunale, e per questo non gli fu concesso di procedere. Ciò che rimane oggi è la parte in ipogeo, che insieme a tutta l’area versa in condizioni di degrado.
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3 Analisi dello sviluppo urbano
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L’analisi storica sull’area di progetto evidenzia che ci sono state delle dinamiche estrinseche all’area che hanno determinato la demolizione dell’edificio del Convento e la nascita di una matrice urbana intricata in questa parte di città. Queste dinamiche sono relative allo sviluppo urbano della città successivamente all’annessione di Lecce all’Italia e all’abbattimento delle mura difensive. La storia dell’edificio è quindi legata a quella della città ed è importante a tal punto procedere ad una analisi dei passaggi dello sviluppo urbano, partendo dalla situazione preunitaria
relativa ancora alla dominazione borbonica fino ad arrivare ai giorni nostri. Questa analisi è stata possibile grazie ad un intenso lavoro di ricerca delle fonti presso biblioteche, archivi e internet e ad una successiva elaborazione del materiale trovato, riconducendolo alla stessa porzione di città, scala e stile di rappresentazione, in modo da renderlo più leggibile e poterne permettere una più chiara analisi e comparazione. L’analisi mette a confronto cinque periodi diversi dell’evoluzione del comparto urbano nel quale si trova l’area, relativi a diverse planimetrie della città, con un range di tempo via via
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maggiore, fino a coprire un arco temporale di quasi 150 anni. In particolare le planimetrie analizzate sono: - Anno 1856, “Pianta del Castello di Lecce col circostante terreno sino alla distanza di 100 tese verso la campagna, e di 60 tese verso la città” (Napoli, Archivio di Stato) - Anno 1882, “Pianta della Città di Lecce”, Michele Astuti (Archivio Storico Comunale, Lecce) - Anno 1912, Mappa Catastale della città (Catasto, Lecce) - Anno 1953, Pianta relativa ad un progetto di sistemazione (Archivio Storico Comunale, Lecce) - Anno 2004, Rilievo Aerofotogrammetrico del Comune di Lecce (Comune di Lecce) 3.1 Anno 1856 Questa planimetria è la prima in grado di darci informazioni dettagliate sulla città. L’urbanizzato è ancora all’interno della perimetrazione definita dalle mura di difesa, anche se queste sembrano essere state sostituite da altri edifici, viste le linee di lottizzazione tra un’unità e l’altra, mentre il Convento di S. Maria del Tempio e la Chiesa di Santa
Lucia appaiono in posizione isolata. Il castello Carlo V, la cui pianta sembra uguale a quella odierna, è ancora cinto dal fossato. Si può vedere che esistono già delle strade al di fuori del centro urbano, che coincidono con l’attuale viale Otranto, Viale Felice Cavallotti e via Orsini del Balzo. Quindi quello che poi diventerà il viale nell’espansione futura della città ricalca una viabilità precedente. 3.2 Anno 1882 Questa planimetria mostra la situazione dopo l’Unità d’Italia. La città comincia ad espandersi verso l’esterno. Viene aperta la via “Santa Lucia” (attualmente via Marconi), delineando così il percorso dei viali. Inoltre viene realizzata via San Lazzaro, tra la Caserma O. Massa e la Chiesa di Santa Lucia, in modo da creare un collegamento con la Chiesa di San Lazzaro. Vengono lottizzati e costruiti i primi isolati del quartiere San Lazzaro, tra la città storica e il viale, oltre ad essere edificata la testa dell’isolato tra viale Otranto e via Orsini del Balzo. Con l’interramento del fossato e la demolizione di alcuni edifici a sud del
Castello si viene a creare uno spazio urbano denominato “Piazza delle Erbe”, che fungerà da spazio per il Mercato cittadino.
lottizzata in modo da formare isolati con una matrice a maglia rettangolare, in cui si collocano edifici che occupano per intero, o quasi, l’isolato. Tra questi edifici il più degno di nota è 3.3 Anno 1912 Palazzo Tamborino. In questi 30 anni la città continua ad Inoltre a ovest di viale Cavallotti viene espandersi molto velocemente, ve- realizzato il Palazzo delle Poste e denendo occupati dai nuovi edifici gli finito lo spazio di Piazza G. Libertini. isolati definiti in precedenza. La Caserma O. Massa viene a essere toc- 3.5 Anno 2004 cata dalla città e ne diviene parte del In questa fase ciò che appare più suo tessuto, anche se a nord rimane evidente è la mancanza dell’edificio ancora libera. dell’ex Convento demolito nel 1971. Alcuni interventi importanti riguardano Questo infatti, con l’urbanizzazione la realizzazione di Palazzo Rubichi e della città, cominciò ad essere percedel monumento a G. Libertini. Inoltre pito ormai solo come un contenitore viene aumentata la larghezza di via ingombrante di cui liberarsi per far Santa Lucia, divenuta nel frattempo posto ad altri edifici, vista l’appetibilità via Vito Fazzi (attuale via Marconi), e la rendita dell’area grazie alla sua rendendola simile a quella attuale, e centralità e vicinanza al centro. Ma spostata la posizione di Piazza delle quello che è stato realizzato è in realtà Erbe verso est. un parcheggio. Nell’intorno vengono costruiti quei ter3.4 Anno 1953 reni rimasti ancora liberi e strutturato In questo arco temporale di 40 anni “meglio” l’incrocio stradale tra viale appare evidente come l’urbanizzazio- Otranto e Viale Marconi. ne della città abbia raggiunto la Ca- La conformazione spaziale dell’inserma O. Massa fino ad inglobarlo e torno appare comunque pressoché l’aspetto planimetrico dell’intorno ri- identica a quella di 50 anni prima a sulti quasi uguale a quello attuale. quella che si riscontra oggi (2017). La porzione a nord dell’edificio viene
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3.6 Risultati dell’analisi Affiancando le planimetrie analizzate relative ai diversi momenti storici si ha una pellicola che mostra come la città si è sviluppata e che permette, comparando le diverse piante, di fare alcune considerazioni importanti per la successiva elaborazione del progetto. Ciò che emerge con più chiarezza è che quando la consistenza urbana della città è ancora all’interno del tracciato definito dalle mura, il Convento ha per la città un’importanza rappresentata dalla funzione che per questa svolge. Quando invece la città incomincia ad espandersi, questa importanza viene sempre meno, mentre nel contempo aumenta sempre più il valore del suolo su cui sorge l’edificio. Ciò che ha determinato la fine della vita dell’edificio è perciò l’alto valore della rendita fondiaria su cui questo sorgeva, vista l’appetibilità del suolo data dalla centralità e dalla vicinanza al centro. La comparazione permette anche di capire come si è creato l’incrocio stradale tra viale Otranto, viale Cavallotti, viale Marconi, via Orsini del Balzo e via San Lazzaro. Sembra infatti inspiegabile come si sia potuto far conver-
gere così tante strade in un solo incrocio. È stato uno scopo importante del progetto risolvere questo nodo, che rispetto all’area si presenta come un vero e proprio perno. La conformazione delle strade in questo punto è evidente già nella Pianta dell’Astuti del 1882 e ciò che l’ha determinata è stata l’apertura delle vie Marconi (ex Santa Lucia) e S. Lazzaro, in quanto viale Otranto, viale Cavallotti e via Orsini del Balzo erano già preesistenti allo sviluppo ottocentesco della città, al contrario di come si potrebbe pensare. In un’altra pianta sempre dell’Astuti vengono messi in evidenza i tracciamenti relativi ai nuovi assi stradali, che qui come in altre parti della città sono guidati dal posizionamento di fabbriche esterne alla città. Quindi l’apertura delle vie San Lazzaro e Marconi dipende da una scelta precisa, molto probabilmente per cercare di creare qui una nuova centralità, ma che al contrario diverrà un punto critico, soprattutto dopo l’allargamento entro il 1912 di viale Marconi.
Immagine a lato: Pianta della Città di Lecce, Michele Astuti, 1882
4 Progeti di riutilizzazione dell’area
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Come accennato nei paragrafi precedenti, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale l’Amministrazione Comunale è dell’idea che l’edificio sia un grosso, inutile contenitore d’ostacolo ad una corretta utilizzazione dell’area e che pertanto debba essere abbattuto, con la convinzione che la sua demolizione avrebbe permesso la realizzazione di importanti strutture in una zona nodale di Lecce. Già a partire da questo periodo si pensa a cosa si possa costruire sull’area. Sono stati analizzati 5 di questi progetti, i più importanti, per vedere che tipo di intervento propongono sia nella riutilizzazione dell’area, sia nel ricucire il tessuto urbano.
4.1 Analisi dei Progetti Il primo progetto è stato redatto dall’Ufficio Tecnico Comunale nel 1953. Questo propone la formazione di una piazza all’incrocio delle cinque strade e prevede sui lotti che conseguono a questa soluzione la realizzazione di insediamenti residenziali e commerciali a “inquadramento e completamento dell’Edilizia esistente”, anche se vengono proposti edifici di 10 piani rispetto a quelli del contesto che non superano i cinque. Inoltre si pensa a ricostruire la testa dell’isolato dove si trova la Chiesa di Santa Lucia. Nel 1960 sempre l’Ufficio Tecnico redige un progetto che prevede di edi-
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ficare sull’area di risulta il nuovo palazzo di giustizia, ricostruendo anche in questa ipotesi la testa dell’isolato dov’è ubicata la Chiesa di Santa Lucia e aumentando lo spazio relativo all’incrocio stradale tra i viali. Nel 1981 A. Cappello e C. Ziemachi in seguito a un loro interessamento e studio sulle vicende legate all’area procedono ad una ipotesi di ricostruzione sull’area che prevede la realizzazione di più volumi con diverse funzioni, dall’abitativo al commerciale, a edifici e spazi per la collettività, come il cineforum, oltre alla realizzazione di un parcheggio sotterraneo. La viabilità sull’incrocio dei viali rimane invece com’è. È del 1985 il progetto di C. Aymonino e M. L. Tugnoli che progettano un Mercato coperto con una piazza (disegno progettuale nella pagina a lato). Il progetto prevede anche una serie di negozi dal lato opposto alla piazza e il recupero della tettoia liberty che in precedenza si trovava sul lato est del Castello Carlo V. L’intervento previsto interviene massicciamente anche sull’intorno, rivendendo completamente la viabilità e l’incrocio stradale dei viali e prevedendo la distruzione della Cripta
di Santa Lucia per rivedere la forma dell’isolato. Nel 2004 il Comune con un bando di gara affida l’ideazione e l’esecuzione dei lavori di ricostruzione dell’area all’iniziativa privata. Il progetto vincitore è stato redatto dall’architetto G. Francia e comprende la creazione di un centro commerciale con 51 negozi su due livelli, un centro direzionale con 95 uffici e il recupero della vecchia tettoia liberty che, dopo il restauro, verrà collocata all’esterno dell’edificio. Nello spazio antistante l’edificio è prevista una piazza con un parcheggio interrato di circa 500 posti. Dopo tante battaglie contro la realizzazione dell’edificio, da parte di chi sull’area vorrebbe invece un parco archeologico il progetto è stato rivisto e sarà lasciata libera una porzione di piazza, in modo da permettere la vista di alcune rovine sottostanti, relative a una parte della chiesa del convento. Il progetto prevede inoltre la riprogettazione della viabilità dell’area e dell’incrocio tra i viali con la creazione di una rotatoria. 4.2 Elementi emersi dall’analisi Ciò che emerge dall’analisi dei pro-
getti qui descritti è che in tutti i casi questi mirano ad una riutilizzazione del suolo dell’area, tralasciando completamente l’esistenza del convento, nei progetti precedenti alla demolizione, e l’impianto dato dai resti archeologici, nei casi successivi alla demolizione. Tutti i progetti affrontano il tema della ricucitura urbana e del completamento del vuoto intervenendo con l’innesto di nuovi volumi che creano nuovi isolati o completano quelli esistenti. Il problema dell’incrocio tra i viali non è risolto. Nei primi due casi nonostante l’aumento della dimensione dell’incrocio la situazione sarebbe aggra-
vata dall’apertura delle nuove strade che qui confluirebbero, nel terzo caso non si è intervenuti sul tema, mentre nel quarto si stravolge completamente tutta la viabilità. L’ultimo progetto cerca di trovare una soluzione al problema con la creazione della rotatoria, ma le rampe di accesso al parcheggio interrato costituiscono un motivo aggiuntivo di traffico. Inoltre il progetto che dovrebbe essere realizzato con la creazione di più piani sottoterra da destinarsi a parcheggi andrebbe a distruggere completamente i resti archeologici del convento, cancellando per sempre la memoria e la storia di questo luogo.
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PARTE III. Conoscenza dell’area di progetto
1 Descrizione dell’area
L’area di progetto è compresa tra viale Otranto e viale Cavallotti a ovest, via 95° reggimento fanteria a nord, via Niccolò Foscarini a est e via S. Lazzaro e via Orsini del Balzo a sud, e comprende l’ormai ex Piazza Tito Schipa, la testa dell’isolato tra via Orsini del Balzo e via S. Lazzaro e l’incrocio stradale sui viali.
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1.1. Area archeologica L’area identificata come Piazza Tito Schipa risulta perimetrata da una recinzione metallica che ne impedisce l’accessibilità per presenza sull’area dei resti archeologici relativi al convento di S. Maria del Tempio. L’approvazione del progetto vincitore del bando infatti ha reso necessarie per la sua realizzazione indagini archeologiche preventive che sono state condotte per volontà della Soprintendenza dei beni Archeologici della Puglia. Gli scavi sono stati eseguiti tra il 2011 e il 2012 e hanno portato alla luce le rovine del convento. In questa occasione sono state effettuate anche indagini più accurate su alcuni saggi relativi a diverse parti dell’area. Il piano di scavo si trova ad una quota inferiore rispetto al piano stradale e risulta prevalentemente roccioso men-
tre l’archeologia presenta resti sia in elevato, muri e fondazioni, ché in trincea, fosse, ossari, cisterne. I resti delle strutture murarie si riferiscono sia al convento, sia alla caserma e differiscono per gli spessori e la tecnica costruttiva utilizzata. I primi sono caratterizzati da uno spessore importante e dall’utilizzo di conci di pietra leccese sbozzati e tenuti insieme da bolo e altri detriti di pietre, formando in alcuni casi delle murature a sacco. I secondi sono di spessore più ridotto e sono realizzati con conci di tufo o pietra leccese squadrati con, probabilmente, giunti in malta. L’area più ricca di sedimentazioni è quella relativa alla chiesa. Qui al di sotto del piano pavimentale in mattonelle di cemento di colore bianco e rosso, visibile in alcuni punti, sono presenti degli ambienti ipogei utilizzati come ossari, scavati direttamente nel banco roccioso e sorretti da coperture voltate a botte, che risultano per lo più diroccate. Inoltre sono presenti anche altre fosse soprattutto lungo la navata centrale, usate anche queste come sepolture. All’interno del chiostro più grande si trova la fossa relativa alla cisterna del convento, che rappresenta il punto
più profondo degli scavi. Nella parte nord est dell’area archeologica si trova un piccolo parco di forma triangolare, di circa 500mq, che è il risultato di una sistemazione precedente dell’area relativa agli anni ’50 e che presenta alberi ad alto fusto come palme e lecci.
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pari a circa 90 mq, è costituita da due ambienti distinti, di cui un vestibolo di piccole dimensioni a cui si accede da una doppia scalinata e presenta una struttura perimetrale in muratura. Inoltre sul lato di via Orsini del Balzo troviamo una facciata in pietra leccese relativa a uno degli edifici distrutti, che si presenta in parte diroccata e 1.2. Cripta di Santa Lucia con le aperture tamponate e che inLa testa dell’isolato tra via Orsini del sieme all’edificio posto all’incrocio di Balzo e via S. Lazzaro rientra all’inter- tale strada crea una continuità della no dell’area di progetto, in quanto su perimetrazione dell’isolato. quest’area sorge la Cripta di Santa Lucia le cui vicende storiche si legano 1.3. Intersezione stradale a quelle del Convento di S. Maria del L’incrocio stradale tra viale Otranto, Tempio. viale Cavallotti, viale Marconi, via OrCon l’apertura di via S. Lazzaro infat- sini del Balzo e via San Lazzaro rienti parte della cripta è stata distrutta e tra nell’area di intervento, in quanto negli stessi anni in cui si comincia a si crede che risolvere le criticità che parlare di riutilizzo dell’area di S. Maria dimostra questo incrocio è importandel Tempio lo si fa anche per S. Lucia, te per la riuscita stessa del progetto e portando così alla demolizione della del suo rapporto con il contesto urbachiesa insieme ad altri edifici presenti no. Ciò che appare guardando dall’alsull’area, per costruire un unico edifi- to questo incrocio è una situazione di cio mai realizzato. confusione, data dalle diverse strade Il sito, in parte di proprietà della Dio- che qui si incontrano. La gerarchia dei cesi e in parte privata, versa ora in viali rispetto alle altre strade di quarstato di totale abbandono e degrado. tiere è assente e gli spartitraffico reaCiò che resta è la Cripta priva di co- lizzati oltre che non migliorare la viapertura, posta a 3,70 m. al di sotto bilità risultano antiestetici in un punto del livello stradale. La sua superficie è così centrale della città.
Immagine sopra: Saggi di scavo condotti sull-area
PARTE IV. Il progetto
1 Il tema di progetto
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Tutti gli elementi analizzati finora, dallo collegamento tra la città e l’archeolostudio dell’urbanistica della città, alle gia, ed è in grado di interagire sia con indagini storico-critiche sull’area e la prima ché con la seconda. sullo sviluppo urbano, ai progetti sviluppati in precedenza, fino ad arrivare allo studio dello stato di fatto dell’area oggi, rappresentano il bagaglio di conoscenza iniziale da cui la tesi parte per proporre una strategia di intervento progettuale sull’area. Il progetto affronta il tema del rapporto tra il nuovo e l’antico, nel stabilire il quale il punto di partenza è assunto dall’antico, rappresentato dall’archeologia e dalle tracce dell’edificio distrutto. Lo scopo del progetto è quello intervenire sull’area in modo da ristabilire una connessione con il resto della città, guardando all’area non come una superficie da occupare, ma come uno spazio attraverso il quale si possa ristabilire un dialogo con il passato. Questo dialogo viene costruito cercando un rapporto dialettico con l’archeologia, nel quale questa diventa materiale vivo del progetto, annullando la distanza tra presente e passato, e tra antico e moderno, che invece porta all’esclusione di un elemento dall’altro. Il progetto assume quindi il ruolo di
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2 Il Convento francescano come modello
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Dal momento che l’area di progetto si caratterizza per la presenza dei resti archeologici relativi alla fabbrica del convento di S. Maria del Tempio è importante analizzare il tipo del convento francescano, in modo da comprendere le caratteristiche fondamentali e, se ci sono, le differenze con gli altri tipi di conventi. Il movimento dell’Ordine francescano prevedeva come dimora un organismo saturo di povertà, in grado di rispecchiare i precetti del fondatore S. Francesco. Le dimore costruite dall’Osservanza, fondate nel basso Medio Evo e agli inizi dell’era moderna, costituiscono la documentazione della riscossa dell’ordine e si rivelano archetipi di povertà, contenuta entro un cliché di classicismo e umanesimo. Gli edifici fondati dalla Serafica Riforma in poi, proprio perché dovevano corrispondere alle coordinate di rigidità e ascetismo, furono ideati e costruiti in sintonia con questi ideali. Gli architetti e i maestri tradussero e calarono le loro esperienze religiose, a volte ristrutturando e riadattando persino le dimore e le chiese ottenute dall’Osservanza, creando moduli di edifici e chiese che dovevano essere
funzionali e dovevano corrispondere alle sofferte istanze ascetiche. La collocazione del Convento francescano in rapporto ai centri abitati era preferibilmente alla periferia di questi. Nello spirito del rigido ideale francescano, rinvigorito dalla spinta della Riforma cattolica, il convento minoritico riformato non si caratterizza come monastero, come abbazia e come fissa dimora, ma come luogo dove il frate minore fa tappa nel suo itinerante ministero. Per questo motivo gli statuti dei frati minori riformati nel 1643 fissarono le direttive precise sulla fondazione dei conventi francescani. Essi a tale proposito stabilirono: “Acciò non si erri attorno alle fabbriche, si ordina, che in ogni Capitolo si costituiscano due Fabbricieri, uno de’ quali sia Sacerdote, li quali con il Padre Ministro determinino quello, che sarà necessario, tanto nelle fabriche vecchie, quanto nuove. Non si fabrichino Conventi nuovi, se prima non sia fatto il modello da Periti, e sottoscritto dal Diffinitorio né si fabrichino Campanili a Torre, se non fosse pericolo de’ Corsari”. Pertanto il tipico “luogo” minoritico
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nel suo impianto si presenta strutturato dalla casa religiosa e dalla chiesa (domus Domini). L’impianto del convento è prevalentemente quadrato, o si struttura a partire da una matrice quadrata. I forti muri perimetrali al piano superiore sono segnati solo dalla sequenza delle piccole finestre delle celle e dalle monofore più ampie, che conferiscono luce ai corridoi, mentre al piano terra si dischiude il porticato. Nell’interno l’edificio è scandito nei quattro corpi di fabbrica, che si rinserrano nel chiostro, nelle officine conventuali, nei corridoi di disimpegno coperti da volte a botte e nel rettangolo del refettorio. Il chiostro è ridotto all’essenziale, essendo costituito da corridoi che immettono nell’atrio attraverso archi a tutto sesto, impostate su colonne coronate da semplici cornici, ma spesso prive di modanature. Fa centro l’immancabile pozzo o per attingere l’acqua. Sempre al piano terra tutto appare disposto in modo funzionale: le officine che circondano il quadriportico, il rettangolo del refettorio servito da corridoi di disimpegno che collegano la chiesa, il giardino e la scala che porta al piano superiore. All’unico
piano elevato, sono disposti i corridoi coperti da volte a botte e illuminati da grandi finestre, ai cui lati si snoda la sequenza delle celle coperte con lo stesso tipo di volte e illuminate da piccole finestre. I campanili a torre non sono frequenti, spesso si usa il più modesto campanile a vela o a ventola che s’innalza di poco sopra il corpo della chiesa. Da questo studio sul tipo del convento francescano emerge che gli elementi principali della vita del convento sono la chiesa con il campanile e il chiostro.
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Immagine a pagina 59: Vista del Complesso ai tempi della Caserma O. Massa Immagine sopra: Pianta dell’edificio con evidenziati gli elementi essenziali
3 Ricostruzione
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“Il segno della distruzione e quello dell’impossibile ricostruzione possono coesistere nella forma latente, nella forma incompiuta� Giorgio Grassi, Architettura lingua morta
Con la demolizione del convento di S. Maria del Tempio è venuto meno un elemento importante della storia di Lecce. Da qui il proposito di far sì che questa parte importante della sua memoria storica possa tornare a essere protagonista della trasformazione fisica della città di oggi. Nasce da questa presa di posizione la decisione di ricostruire il convento di S. Maria del Tempio. Questa operazione si concretizza con la ricostruzione di parti che alludono a qualcosa di essenziale dell’edificio demolito, attraverso l’analisi del tipo del convento francescano (vista nel precedente capitolo). Il lavoro parte da uno studio della pianta dell’edificio distrutto relativa al periodo della caserma, sulla quale vengono individuati gli elementi relativi al convento. Questi vengono sovrapposti alla pianta dell’archeologia, permettendo di individuare a quali parti dell’edificio si riferiscono le diverse rovine. Si procede così a ricostruire i muri del convento, sovrapponendoli alle rovine e stabilendo una continuità fisica tra l’archeologia e il nuovo. Sempre sulla pianta relativa all’edificio distrutto vengono individuati gli ele-
menti essenziali del tipo del convento francescano, vale a dire la chiesa con il campanile e il chiostro. A questi elementi viene assegnata una gerarchia maggiore rispetto agli altri. Il complesso dopo aver perso il valore rappresentato dalla sua funzione ne acquista così uno nuovo, legato al significato di sé che riesce a trasmettere. Questo lavoro è stato possibile grazie a una notevole quantità di documentazione d’archivio, alla sua lettura, interpretazione e rielaborazione. 3.1 “Ogni petra azza parite” La filosofia che sta alla base del progetto si può spiegare con un detto salentino: “ogni petra azza parite”. Significa che ogni pietra contribuisce all’innalzamento di un muro. Questo annuncia già il carattere materico dei muri, realizzati in pietra leccese creando una continuità non solo fisica, ma anche materica. Inoltre vuole essere un monito affinché si abbia una maggiore sensibilità nell’intervenire in aree con forte valore storico e culturale.
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4 Il Masterplan
4.1 La strategia La ricostruzione permette attraverso le spazialità che si vengono a creare di ricucire lo spazio urbano circostante e tenere insieme le diverse parti costruite, in particolare l’isolato di edifici a nord-est dell’area con l’isolato tra via Orsini del Balzo e via San Lazzaro e l’isolato a sud-est dell’area con la spazialità a nord-ovest e idealmente con il castello Carlo V. Altra scelta della strategia è stata quella di delimitare esternamente l’area con dei muri, in modo da creare una continuità con i prospetti degli edifici già costruiti e dare maggiore forza all’isolato che si viene a determinare. Inoltre questo permette di creare un limite tra il viale trafficato e lo spazio interno all’area che risulta più intimo e raccolto. Questi elementi presentano interruzioni o portali per permettere l’accesso. In particolare si interrompe in prossimità di palazzo Tamborino, sia per rispondere alle caratteristiche geometriche dell’area, visto lo spazio ridotto con l’edificio ricostruito, sia per rapportare meglio il progetto con la scala di palazzo Tamborino, facendo sì che esso stesso diventi scena del progetto. Per rinsaldare ancora di più l’isolato
vengono pensati sei edifici, che insieme formano una pianta ad “E”, che permettono di creare un nuovo fronte urbano, dal momento che i prospetti degli edifici adiacenti sono ciechi, e di rispondere alle esigenze funzionali dell’area ed espresse dal comune, con la creazione di unità a carattere terziario, commerciale e abitativo. La strategia adottata per l’isolato compreso tra le strade San Lazzaro e Orsini del Balzo è quella di rinsaldare la testa dell’isolato attraverso la ricostruzione Cripta di S. Lucia e la costruzione di un edificio a “C”, costituito da cinque unità a carattere commerciale, che permetta di tenere insieme la Cripta e l’altro edificio a nord con la parte restante dell’isolato. Viene a crearsi in questo modo una spazialità interna, che si configura come una corte e che presenta delle aperture tra i vari edifici, in modo da permettere una maggiore fruibilità dello spazio. 4.2 Le connessioni funzionali Il progetto tiene conto sia della viabilità carrabile, sia di quella pedonale. Dal punto di vista della prima l’elemento che ha impegnato i maggiori sforzi progettuali è senza dubbio l’in-
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crocio sui viali. Innanzitutto si sono ridisegnati gli elementi spartitraffico, in modo da dare una gerarchia maggiore ai viali e minore alle altre strade. Inoltre viene interrotta la viabilità proveniente da via San Lazzaro, chiudendo la strada al traffico carrabile. Tuttavia la strada permette comunque l’accesso alla viabilità di servizio, riguardante i mezzi di soccorso e agli altri autorizzati. Un ingresso di servizio viene pensato anche tra via Otranto e via Marconi. Su via Niccolò Foscarini è stato ripensato l’elemento spartitraffico e pensato un piccolo parcheggio. 67
Dal punto di vista degli accessi l’area risulta molto permeabile su tutti i lati. 4.3 Le connessioni percettive Nello sviluppo del progetto si è tenuto conto dei diversi allineamenti percettivi, in grado di legare ancora di più il progetto con il contesto circostante. Questi in alcuni casi, come su via S. Lazzaro, ricalcano gli allineamenti che stabiliva il Complesso di S. Maria del Tempio prima della demolizione. In altri casi invece si tiene conto di alcuni elementi dell’intorno che si connotano per l’alto valore espressivo, come palazzo Tamborino, Palazzo Rubichi e il Castello Carlo V.
In altri casi ancora le connessioni percettive risultano meno tangibili e comprendono più elementi, come nel caso delle spazialità aperte. All’interno del parco le visuali sono diffuse e una particolarità è data dal campanile belvedere, che si presenta come un punto percettivo, dal quale si ha una vista su tutto l’intorno.
vista ecologico, grazie alla presenza di alberi di leccio. Rilevante sempre nell’intorno è la presenza di un albero di phitolacca, che si caratterizza per la sua mole. Le aree verdi progettate si caratterizzano per la presenza di arbusti e cespugli oltre che per il trattamento erboso della superficie e permettono la definizione delle spazialità all’inter4.4 Le connessioni ecologiche no del progetto, oltre che creare zone Il progetto prevede la realizzazione di d’ombra e mitigare la temperatura nei aree verdi sia all’interno che all’ester- mesi estivi. In alcuni punti permettono no del parco archeologico. di nascondere elementi poco apprezEsternamente il viale costituisce l’e- zabili del contesto. lemento verde principale dal punto di 68
5 La sistemazione esterna
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L’area esterna al parco archeologico è stata pensata in modo da creare una serie di spazialità pavimentate e a verde in grado di caratterizzare e riqualificare lo spazio urbano adiacente e di permettere una fruibilità continua su tutta l’area. La matrice utilizzata per la progettazione di queste spazialità è dettata dagli assi ortogonali corrispondenti alla direzione sud-est/nord ovest dell’edificio ricostruito. Viene così determinato un modulo rettangolare, dalle dimensioni di 4.00m x 3.00m, riscontrabile anche nella dimensione del gettato in cemento di parte della
pavimentazione, e che permette di arrivare a un disegno razionale e unico dello spazio. Giungendo all’area da viale Cavallotti, dopo aver oltrepassato le strisce pedonali, si arriva in uno spazio con una pavimentazione in lastricato, dove si trova un’aiuola con degli arbusti alcune sedute. Da qui è possibile entrare nel parco a sinistra, andare verso la Cripta di Santa Lucia oppure proseguire lungo il percorso pedonale tra i due isolati. A sinistra si entra in un piccolo parco che si presenta come uno spazio raccolto, delimitato da un muro esterno 70
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che presenta due portali larghi 3.67m, di cui uno è posto su viale Cavallotti e l’altro su via 95° Reggimento. All’interno di questo spazio ci sono due grandi aree verdi, caratterizzate da un trattamento erboso del terreno e da arbusti, cespugli e altre piante decorative. La creazione di un asse percettivo che tenga insieme il Castello con l’area si concretizza con la creazione di un percorso che parte dal portale arriva fino all’entrata del parco archeologico e proseguire con i percorsi creati all’interno di questo. Nella parte antistante all’entrata della chiesa si configura una spazialità più grande, con una larghezza pari a quella della chiesa e una profondità pari all’altezza che questa aveva prima della sua demolizione. Questo spazio diventa così una sorta di sagrato e permette già all’esterno di descrivere la singolarità della porzione relativa all’edificio ricostruito. Dal lato opposto, a sud-est dell’area, si trova uno spazio che è delimitato a sud-est dai volumi relativi ai nuovi edifici pensati nel Masterplan e a nord-ovest con l’area archeologica, a cui è possibile accedere grazie a una rampa e a due scale. La scelta di inserire un’area verde permette da una parte
di creare una spazialità più definita, dall’altra di dare un’idea dei giardini che un tempo contornavano il convento. Questa si presenta come un piccolo agrumeto, dove sono ci sono alberi di limoni e aranci, che grazie al profumo dei loro fiori caratterizzeranno questo spazio anche dal punto di vista olfattivo. Sul lato nord-est si presenta un percorso che si caratterizza per la dinamicità data dai muri dell’edificio ricostruito e da spazi pavimentati che si alternano a spazi verdi, creando così delle aree più raccolte. Questi spazi sono caratterizzati dalla presenza di sedute e in uno di questi è stata posizionata una piccola fontana in pietra. L’area relativa all’attuale sede stradale di via San Lazzaro è stata ridisegnata in modo che la sua forma segua l’irregolarità data dal contesto, stringendosi e allargandosi in prossimità dell’incrocio. La strada è chiusa al traffico grazie a dei dissuasori in pietra posti su via S. Lazzaro. Inoltre è stato aumentato lo spazio antistante l’isolato relativo alla Cripta di S. Lucia, caratterizzandolo con una pavimentazione in lastricato, mentre la corte interna presenta una pavimentazione in gettato di cemento che
segue gli allineamenti dettati dall’isolato. L’idea di usare due differenti tipi di pavimentazioni, ovvero il lastricato e il gettato di cemento è data da scelte specifiche del progetto. Il cambio di pavimentazione si realizza solo dal punto di vista materico, e non di altezza, in modo da non creare barriere architettoniche. Il gettato in cemento viene usato per pavimentare la parte interna degli isolati e la strada che li congiunge; si caratterizza per la presenza all’interno della sua composizione di inerti di pietra locale, che gli conferiscono una tonalità che gli permette di sposarsi con il colore della pietra leccese scelta per gli alzati dell’edificio. Inoltre il getto si interrompe solo per realizzare i giunti di dilatazione, permettendo così di avere dei formati molto grandi. Il lastricato è costituito da lastre in pietra di Soleto, un calcare locale di colore bianco, che presentano una lunghezza di 2.00m e una larghezza con formati di 40, 60, 80 cm, montate a correre, secondo il disegno visibile negli elaborati grafici. Questo è usato per pavimentare le parti esterne degli isolati, in modo da dare più forza all’idea di ricomposizione degli stessi.
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6 Il parco archeologico
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6.1 I tipi di intervento L’intervento sull’area archeologica riguarda prevalentemente tre tipi di intervento: la ricostruzione dei degli elevati, la fruizione dello spazio interno, la protezione dallo scavo. La ricostruzione della struttura muraria del complesso di S. Maria del Tempio è considerata l’intervento più importante del progetto. Questa permette di ricreare le spazialità del convento, ognuna delle quali si caratterizza per i suoi elementi specifici. I muri sono realizzati in pietra leccese, una calcarenite locale, e ricalcano gli alzati dell’edificio distrutto, sia in pianta, ché in alzato, presentando forature poste negli stessi punti e delle stesse dimensioni delle aperture dell’edificio distrutto. La struttura presenta altezze differenti, in funzione del tipo di elemento e delle caratteristiche morfologiche dell’archeologia su cui poggia. L’area archeologica nel modo in cui è stata pensata diventa un parco archeologico aperto verso la città e molto permeabile dall’esterno. Questo ha comportato uno studio molto attento del piano di scavo e dell’archeologia, in modo da riuscire a comprendere le caratteristiche morfologiche, geometriche e materiche e determinare
l’intervento da eseguire su ogni parte per poter garantire la creazione di percorsi all’interno dell’area. Gli interventi di fruibilità interna si dividono in generici e puntuali. Quelli generici riguardano il trattamento della superficie di scavo con materiali adatti a permettere la fruizione e vengono usati dove laddove la superficie si presenta pressoché regolare. Riguardano a realizzazione di battuti di terra stabilizzata, strati di ghiaia per l’area interna ai chiostri e manti erbosi calpestabili nella parte a nord-est. Gli interventi puntuali si realizzano laddove si presentano discontinuità e interruzioni che non sono in grado di permettere una fruibilità dello spazio. Questi riguardano la realizzazione di elementi lapidei, in pietra di Soleto, posti nei punti di minore discontinuità e di passerelle pedonali in acciaio e grigliato in cor-ten nei punti con discontinuità maggiore. Queste passerelle sono costituite da puntelli telescopici in acciaio su cui poggia una struttura costituita da travi principali in profili scatolari 100x50 mm. e da travi secondarie in profili scatolari 50x50 mm; su questa struttura sono fissati i grigliati in acciaio cor-ten delle dimensioni di 110x110 mm.
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Altro intervento importante è quello riguardante la realizzazione di elementi di protezione rispetto ad alcuni elementi critici dell’area di scavo. Laddove il pericolo risulta ridotto si hanno degli elementi parapiede in acciaio cor-ten, mentre nei punti di pericolo maggiore ci sono dei parapetti sempre in acciaio cor-ten. Inoltre questi elementi sono usati in assenza di una struttura preesistente per perimetrare le aree dove si realizza un cambio materico.
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6.2 Le parti del parco Arrivando all’area dal percorso pedonale che fiancheggia il Castello il primo spazio che si può visitare è quello relativo alla chiesa, a cui si accede dalla porta centrale. Oltre a questa apertura sono state ricostruite tutte le altre relative alla chiesa, la cui altezza è stata ricavata da alcune foto storiche. Quest’area è l’unica a cui si accede solo dall’esterno e quella che più di tutte si caratterizza per la quantità e la complessità dei resti archeologici. L’operazione progettuale riguarda la
creazione di uno spazio che permetta di visitare le rovine e che possa fungere da spazio pubblico, abbastanza ampio da poter essere usato dagli abitanti per eventi come conferenze o altro. Da qui la scelta di creare una struttura in grigliato metallico che ricalca lo spazio relativo alla navata della chiesa preesistente, diventandone a tutti gli effetti la nuova navata. Questa struttura poggia sull’archeologia in modo puntuale, attraverso dei puntelli telescopici che permettono di superare l’irregolarità altimetrica e
morfologica data dall’archeologia sottostante. Adiacente alla chiesa si trova il campanile, alto 10.40 m. rispetto alla strada. La sua altezza tiene conto del probabile aspetto della struttura originaria che era probabilmente non tanto alta, visti i precetti sulla costruzione dei conventi dati dai frati francescani. La struttura muraria ha un aspetto diroccato, come a mostrare la tragedia della demolizione che ha colpito il precedente edificio. Questa accoglie al suo interno una scala metallica
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raggiungibile da una passerella che la collega con l’accesso al parco a sudest e con l’area del chiostro grande. Il campanile, così, persa la sua funzione originaria ne acquista una nuova, diventando un “Belvedere” da cui si ha una vista sull’area archeologica e sulla città circostante. Il chiostro grande è più di tutti l’elemento in grado di ricreare l’atmosfera tipica del convento, grazie alla ricostruzione dei muri e alle aperture che corrispondono ai vari ambienti che vi affacciavano. L’area interna al chio-
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stro è stata trattata con uno strato di ghiaia, in modo da preservare i resti archeologici presenti e permetterne l’accessibilità. La cisterna è stata perimetrata con un parapetto in cor-ten in modo da garantire la sicurezza. L’area relativa al quadriportico è in battuto di terra e anche qui sono state delimitate con dei parapetti le fosse più pericolose. A nord-est si procede invece con una passerella in grigliato metallico, per via dell’inaccessibilità data dai resti archeologici presenti. Camminando sulla passerella è possibile
vedere alcuni reperti recuperati con lo scavo collocati sul muro ricostruito, che diventa così un antiquarium. Dal chiostro è possibile accedere alla serie di ambienti che si aprono nella manica di sud-est. L’accesso è possibile grazie agli elementi in pietra di Soleto che permettono di superare le discontinuità fisiche dell’archeologia. Il terreno anche in questo caso è trattato in battuto di terra. Alcuni ambienti sono collegati tra loro in modo da formare un percorso, come nella parte superiore, dove si viene a creare una
continuità anche con la parte esterna a sud-est. Qui si crea uno spazio tra l’edificio ricostruito e la piazza esterna, delimitata da un muro rivestito in acciaio cor-ten alto 1.40 m, e a cui è possibile accedere grazie a due scale, in prossimità delle quasi ci sono due aiuole delimitate da un elemento in cor-ten dove si trovano delle piante aromatiche, a memoria di quelle che, coltivate nei giardini del convento, vanivano usate per la preparazione dei farmaci. La manica a nord-est del chiostro è
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composta da sei ambienti che si caratterizzano per la presenza di discontinuità altimetriche. Il progetto ricrea la continuità attraverso la realizzazione di passerelle in grado di connettere le parti ora interrotte e di collegare il parco con l’area esterna. Alcune superfici del terreno sono state trattate in battuto di terra, mentre le altre con un manto erboso. Il chiostro dell’infermeria presenta una definizione meno netta rispetto al chiostro grande. Questa caratteristica è data sia dalle rovine che si presenta-
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no indistintamente su tutta l’area, sia dalla presenza solo parziale del muro che delimita il portico dal chiostro. La prima operazione è stata quindi quella di ristabilire il limite tra queste due parti attraverso la realizzazione di un elemento continuo in acciaio cor-ten e il trattamento della superficie di calpestio con ghiaia, per la parte relativa al chiostro, e in battuto di terra, per il portico esterno. La parte relativa al camminamento ha riguardato anche interventi per la fruizione dello spazio, ricreando una continuità attraverso
passerelle ed elementi in pietra che permettono di superare l’irregolarità delle rovine. Buona parte del chiostro risulta delimitata da un parapiede continuo in acciaio cor-ten a protezione degli scavi presenti. Questo spazio risulta intimo e raccolto, e al suo interno sono posizionate delle sedute in pietra, una piccola fontana, alcuni arbusti e anche gli elementi provenienti dallo scavo, come capitelli o fusti di colonne, che viste le loro dimensioni non possono essere collocate nell’antiquarium.
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7 L’infopoint e lo spazio espositivo
Nella parte a sud dell’area per tener conto del maggior rapporto che qui si stabilisce con gli edifici del contesto la ricostruzione si realizza in modo più deciso attraverso la creazione di spazi coperti. Posto alla stessa quota della strada si trova il primo ambiente che funge da infopoint turistico. Qui visitatori e turisti possono entrare e chiedere informazioni sull’area, sulla storia del Convento e quant’altro riguardante sia il parco ché la città. Sempre qui troviamo uno spazio attrezzato con delle sedute, dove è possibile intrattenere conversazioni. Dall’esterno scendendo la rampa in lastricato si arriva al piano dell’area archeologica. Qui attraverso un portale che ricalca quello originario e che insieme a quello a nord-ovest si configura come l’accesso principale, si accede all’interno di un ambiente scoperto. Questo funge da spazio intermedio tra la parte interna e quella esterna all’area. Procedendo diritti si accede al chiostro, mentre a sinistra si trova una porta che permette di entrare nello spazio espositivo. Questo comprende due ambienti distinti e raccoglie gli arredi relativi al convento che, in seguito alla diaspora, sono
ora conservati in altri luoghi, e i reperti recuperati dallo scavo archeologico dell’area. Il primo ambiente funge da quadreria, dove trovano posto le tele che, prima della demolizione, sono state spostate in altre chiese o musei. Queste sono collocate su strutture espositive in acciaio cor-ten e disposte lungo il perimetro della sala. Lo spazio centrale lasciato libero permette di apprezzare maggiormente le tele, che sono di grandi dimensioni, e può essere inoltre usato anche per piccole conferenze o seminari. Il secondo ambiente raccoglie sia i reperti recuperati sull’area, come il materiale ceramico e metallico (monete, piccole medaglie, ecc), che è esposto in apposite teche vetrate con struttura in cor-ten. Inoltre l’esposizione comprende altre opere, come busti in pietra, crocefissi, tabernacoli e altro. Anche in questo caso questi elementi sono alloggiati su strutture espositive in cor-ten disposte lungo il perimetro della sala, in modo da permettere una maggiore fruibilità dello spazio e apprezzabilità dei reperti che presentano dimensioni maggiori.
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8 I laboratori polifunzionali
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Nella parte dell’area precedentemente occupata dall’infermeria, sono stati ricostruiti alcuni ambienti che definiscono in modo chiaro l’angolo dell’edificio e creano un limite tra la parte esterna e il chiostro interno. Tre di questi hanno la funzione di laboratori polifunzionali utilizzabili da chiunque ne faccia richiesta per organizzare corsi o workshop e sono attrezzati con tavoli, sedute e armadiature per il deposito dell’attrezzatura utilizzata. A differenza di quanto fatto per la parte coperta a sud, qui si è proceduto in modo più leggero per la copertura degli ambienti, utilizzando due pensiline metalliche, disposte ortogonalmente tra loro, che danno l’idea di trovarsi in un’area archeologica. Le strutture hanno una dimensione di 20.10 x 9m e risultano molto leggere dal punto di vista dimensionale e materico. I pilastri hanno un interasse di 3,25m, uguale a quello che esisteva tra le colonne del portico stabilendo così una continuità delle proporzioni tra la vecchia struttura e quella nuova. Questi sono costituiti da profilati in acciaio a sezione circolare Ø 60 mm. regolabili nella parte superiore per permettere di superare la discon-
tinuità altimetrica del terreno su cui è fissata la struttura. Sulla struttura verticale troviamo quella orizzontale formata da due travi di bordo disposte longitudinalmente, con una sezione scatolare quadrata, b 80mm, su cui poggiano trasversalmente delle travi con sezione scatolare rettangolare, 160 x 80mm, con un interasse tra loro di 65cm. Questa struttura regge una copertura costituita da lastre di acciaio cor-ten.
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9 La cripta di Santa Lucia
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Immagine a lato: Vista in pianta e in sezione dell’intervento
L’intervento progettuale relativamente allo spazio della cripta di Santa Lucia ha lo scopo di rendere nuovamente l’edificio un luogo di culto aperto ai fedeli. Questo intento si concretizza con la scelta di ricostruire l’edificio il più possibile fedele all’originale. Gli interventi riguardano la ricostruzione della struttura di elevazione verticale in muratura portante costituita da conci di pietra leccese e della copertura, costituita da un solaio in acciaio con lamiera grecata e finitura superiore in lastre di pietra leccese (“nchiancato”). All’interno è stata demolita la struttura muraria relativa al vestibolo e al suo posto ne è stato realizzato uno nuovo, più piccolo e in struttura metallica. Inoltre è stata pensata la disposizione degli elementi di arredo, prevedendo una serie di panche da due e tre posti, per una capienza totale di 30 posti a sedere, il trono del sacerdote, un piccolo altare e un leggio. Sono stati tenuti e integrati nell’intervento i due altari superstiti della demolizione, che rappresentano ora la testimonianza del passato dell’edificio, dove era professato il rito greco. h h
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10 Caratteri costruttivi e tecnologici
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Dal punto di vista tecnologico si è studiato più in dettaglio il particolare costruttivo relativo alla sezione passante per lo spazio espositivo e la rampa che conduce all’area archeologica. Questa porzione si caratterizza più delle altre dal punto di vista architettonico e per la quantità di elementi costruttivi e tecnologici che presenta. 10.1 Interventi esterni La sistemazione esterna all’edificio prevede per la parte interna al parco un piano di calpestio realizzato in battuto di terra stabilizzata dello spessore di 10cm, al di sotto del quale si ha uno strato di terreno compatto spesso circa 20cm che funge da sottofondo e da strato di livellamento. La rampa di accesso al parco è costituita da uno strato di ghiaia fine alto circa 15cm, su cui si ha un letto di posa in sabbia dello spessore di 5cm e lo strato di finitura superficiale in lastre di pietra di Soleto. Sempre esternamente all’edificio su entrambi i lati della sezione si prevede un’opera di impermeabilizzazione delle fondazioni per evitare parte dell’umidità di risalita. Questa è realizzata grazie a un canale perimetrale riempito con ghiaia a pezzatura
più grossa per la parte inferiore e più fine per quella superiore. Il contatto di questa con il terreno è mediato da un foglio di tessuto non tessuto. Tra la ghiaia si trova un tubo drenante in cls prefabbricato rivestito da uno strato impermeabilizzante che prosegue a contatto con le fondazioni. 10.2 Struttura di elevazione verticale La struttura di elevazione verticale dell’edificio è costituita da muratura portante, poggiante direttamente sulla struttura muraria preesistente. Il contatto tra le due avviene attraverso dei conci di pietra che vengono modellati in opera per adattarli alla geometria della muratura esistente, realizzando così un primo filare di livellamento su cui è posto uno strato impermeabilizzante e da cui partono gli altri filari della struttura. In questo modo solo il primo filare sarà a contatto diretto con l’archeologia, quindi i problemi tipici di risalita saranno contenuti in questa parte, impedendogli di procedere nella parte superiore della muratura. Ai fini di un maggiore controllo ambientale si è scelto di prevedere una intercapedine d’aria, non tanto per aumentare le prestazioni energetiche dell’involucro, che visti gli spessori ha
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già ottime prestazioni, ma per evitare problemi relativi all’infiltrazione di acqua dall’esterno. In questo modo si ha un involucro esterno spesso 50cm e uno interno, distanziati tra loro dall’intercapedine larga 15cm, il cui ammorzamento avviene nella parte superiore e nella parte inferiore di contatto con le rovine. La muratura è costituita da conci squadrati di pietra leccese, disposti a filari e con giunti in malta, apparecchiata “alla gotica” e tenendo conto delle dimensioni diverse dei conci.
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cese spesse 3,5cm. 10.4 Chiusura orizzontale superiore La struttura relativa alla copertura è realizzata con travi in acciaio IPE 300, fissate con bullonatura alle due travi di bordo UPN 300 le quali, a loro volta, presentano dei tirafondi metallici che le collegano a i cordoli in cls armato. Alle travi tramite dei rivetti è fissato il solaio in lamiera grecata e getto in cls, con pioli e rete d’armatura interna per uno spessore di 11cm, a cui è incollato un foglio di barriera vapore che protegge lo strato isolante in lana di roccia spesso 14 cm. Sull’isolante è adagiato uno strato desolarizzato costituito da un foglio di tessuto non tessuto su cui si ha il massetto in cls con una pendenza del 2% dalla mezzeria dell’edificio verso l’esterno. Su questo vi è una guaina in polietilene che in corrispondenza dell’intercapedine rigira e permette il fissaggio del pluviale. Lo strato di finitura è realizzato con lastre in pietra leccese, dello spessore di 3,5 cm, a formare il cosiddetto “nchiancato”.
10.3 Chiusura verticale trasparente In prossimità dell’apertura dal lato esterno si inserisce un davanzale in pietra leccese, munito di gocciolatoio e sigillato con uno strato impermeabilizzante, che realizza qui la continuità materica tra muratura interna ed esterna. L’infisso presenta una struttura fissa e mobile in acciaio ed è collegato nella parte inferiore alla muratura e nella parte superiore ad un architrave in cls armato alta 15cm. Questa presenta un pezzo speciale in laterizio che permette di chiudere lo spazio dell’intercapedine ed è rivestita sia all’interno 10.5 Chiusura orizzontale inferiore che all’esterno con lastre di pietra lec- All’interno dell’edificio il piano di cal-
pestio è pensato in modo da avere una soluzione reversibile, che non vada a compromettere il piano di scavo sottostante. Questa scelta si realizza staccandosi dal terreno di circa 25cm attraverso una pavimentazione soprelevata costituita da casseri in acciaio con un getto di cls, delle dimensioni di 1.00 x 1.00m. e dello spessore di 4cm, poggianti su puntelli regolabili in acciaio. Il contatto con il terreno invece è mediato da uno strato di tessuto non tessuto che blocca la crescita di erbe infestanti. Su questo si procede con uno strato di circa 10cm di argilla espansa sfusa, che impedisce la risalita dell’umidità. Questa infatti non essendo gettata non provvede all’isolamento dal terreno, ma l’edificio risulta comunque ben isolato dall’esterno grazie all’involucro.
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11 Riferimenti progettuali
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Giorgio Grassi, Ricostruzione del Prinz Albrecht Palais, Berlino, 1984
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DĂśllgast, SĂźdlicher friedhof, Monaco di Baviera, 1954
93
Carrilho Da Graรงa, musealizzazione del sito archeologico di Praรงa Nova del Castello di Sรฃo Jorge, Lisbona, 2008
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