Ribalta di Puglia n. 26 - 2005

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Ogni anno un Almanacco con gli avvenimenti della tua città

È in preparazione l’Almanacco 2004 Chiedi la Collana «Almanacco di Taranto» Prenotala presso Ink Line Tel. 099 4535456 - 4594525


Ai nostri Lettori

R

In copertina: in questo numero l’Arsenale di Taranto, al centro di una maxi-inchiesta giudiziaria senza precedenti. Quella delle attività navalmeccaniche, legate alle esigenze della flotta navale della Marina Militare, potrebbe essere una scommessa di sviluppo, ma a tenere banco sono le indagini per presunte truffe imprenditoriali ai danni dello Stato (foto di Massimo Todaro).

RIBALTA di Puglia Edizioni Ink Line REGISTRAZIONE TRIBUNALE DI TARANTO N. 600

Direttore responsabile: Mimmo Mazza Direzione, Redazione, Amministrazione Corso Umberto, 131 - 74100 Taranto Tel. 099.45.35.456 - Fax 099.45.94.525 www.inknews.it Foto: Archivio InkLine; Renato Ingenito; Luciano Miano; Giuseppe Pino; Archivio PuntoLinea; Angelo Todaro; Massimo Todaro Grafica ed impaginazione: PuntoLinea - Taranto 099.7712254 email: studio@puntolineatodaro.com Stampa: Brizio Industrie Grafiche - Taranto Lama

innoviamo il nostro impegno editoriale con un numero che propone una serie di riflessioni, in particolare sui fronti dell’economia, del lavoro e dell`archeologia. Per l’economia torniamo sul “programma-Alenia”, il maggiore investimento a forte valore aggiunto degli ultimi venti anni in Puglia. Quasi un atto dovuto perché si possa conoscere la sua reale portata e i vantaggi che potrebbero scaturirne sul territorio, per l’imprenditoria specializzata come per le alte professionalità richieste. Eppoi i problemi del lavoro, quelli della sicurezza nel centro siderurgico. Su questo versante s’è fatto poco per rimuovere annosi ostacoli in direzione di un serio e concreto accordo finalizzato a migliorare le condizioni di lavoro nei reparti della più grande fabbrica d’acciaio d’Europa. Per l’archeologia diamo spazio ai nuovi talenti, pubblicando un articolo sulla tesi di un giovane neolaureato che ha saputo ben condensare l’interesse e la passione culturale e scientifica per la ricerca, con la capacità di denuncia del degrado cui sono consegnati alcuni importanti “siti”, come il parco archeologico di Saturo, finanziato, realizzato e relegato al più totale abbandono. Sullo sfondo, intanto, restano le non liete notizie della lunga attesa per la riapertura del Museo nazionale di Taranto (si parla ora del 2006), chiuso per restauro da quasi sei anni. La storia di Taranto illustrata per immagini e disegni fa da cornice al… capitolo archeologico. Turismo, cultura, sport e rubriche giuridiche completano la rivista che si appresta ad arricchire la sua offerta. Immancabile il libretto storico, sempre più richiesto e di grande interesse per gli estimatori della storia locale impegnati ad arricchire mediante Ribalta di Puglia la collana inaugurata alcuni anni fa.

L’Editore

Hanno collaborato a questo numero: Paola Abbracciavento, Guglielmo De Feis, Vito Donato Litti, Marilina Mastrangelo, Nica Mastronardi, Lorenza Pessia, Carmela Tiziana Pulpito, Cosimo F. Riondino, Cosimo Scaligina, Roberta Scialpi, Angelo R. Todaro

Ribalta di Puglia

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A N N O

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Economia Alenia-Arlotta, binomio perfetto.............................

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di Cosimo F. Riondino

Enti locali L’ attività intensa della Provincia di Taranto........

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Camera di Commercio La forza del Consorzio.............................................

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di Cosimo F. Riondino

Sicurezza Fabbrica di insicurezze.............................................

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di Cosimo F. Riondino

Temi giuridici Uno strumento di competitività per le imprese.....

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dell’Avv. Carmela Tiziana Pulpito e Dott.ssa Roberta Scialpi

Turismo Turismo dei siti minori: alternativa di sviluppo locale..................................

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di Nica Mastronardi

Società Speranze in passerella..............................................

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di Cosimo F. Riondino

Personaggi Mimmo Pecoraro/Ho scritto con il lavoro il romanzo sulla mia vita…...........................................

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di Vito Donato Litti

La storia di Taranto Verso la Sicilia...............................................…………...... diciannovesima puntata

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di Angelo R. Todaro

Archeologia Gli scavi archeologici clandestini in Italia............ di Lorenza Pessia

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Ribalta di Puglia

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N .

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OT TO B R E - N OV E M B R E

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L’insediamento messapico di Masseria Vicentino

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di Cosimo F. Riondino

I viaggi culturali di Ribalta La via della seta......................................................... prima puntata

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di Angelo R. Todaro

Cinema “ Piccole cose” per grandi idee............................

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di Cosimo Scaligina

Spettacoli Il fenomeno “ Negramaro” /Loro ce l’ hanno fatta....

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di Paola Abbracciavento

Tour 2005/Il “ volo” della Crisalide....................

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di Marilina Mastrangelo

Arte L’ arte pittorica di Franco Clary...........................

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Ricorrenze Venerato da aviatori e paracadutisti.....................

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di Paola Abbracciavento

Sport Intervista a Romeo Benetti....................................... Intervista a Tonio Bongiovanni................................

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di Guglielmo De Feis

Rubriche Tarantinamente Il voto politico e lo scenario attuale.......................

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Politica Arsenale al setaccio..................................................

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di Mimmo Mazza

Libri Al di là del muro al di là del mare..........................

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di Lorenza Pessia Ribalta di Puglia

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TARANTINAMENTE

IN APRILE SI RIAPRIRANNO LE URNE PER IL NUOVO PARLAMENTO

Il voto politico e lo scenario attuale LE ATTESE ELETTORALI ED IL DIBATTITO SULLE CANDIDATURE COL SISTEMA PROPORZIONALE SULLO SFONDO. IL CONFRONTO ALL’INTERNO DEGLI SCHIERAMENTI E LE DIFFICOLTÀ DI SCELTA DA PARTE DELLE FORZE POLITICHE. IL PANORAMA REGIONALE POLITICO-ECONOMICO

I

l centrosinistra procede speditamente in campo nazionale. I sondaggi – da qualunque parte giungano – prevedono un’avanzata sostanziale anche mediante il voto proporzionale alle prossime elezioni politiche. Fatta salva l’intesa fra Democratici di Sinistra e Margherita, la candidatura di Romano Prodi trascinerĂ l’intera “Unioneâ€? nel nuovo programma di

Governo e in periferia, in campo regionale come nelle province, tale aspettativa viene vissuta con qualche difficoltĂ per le candidature possibili. Non è un mistero, infatti, che il‌ â€?nuovoâ€? sistema elettorale determini forme di concorrenza all’interno delle liste e degli schieramenti.

In Puglia il centrosinistra deve peraltro fare i conti con l’effettoGiunte per le candidature. Laddove, alla Regione come in tutte le Province e in alcuni Comuni (Bari in testa), esponenti e forze dell’Unione sono alla guida degli esecutivi, appare piĂš difficile mettere ordine fra le attese di quanti, dopo avere offerto un congruo sostegno alle passate elezioni, puntano ora a candidarsi. E il gioco dei collegi può causare conflitti inimmaginabili.

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Romano Prodi durante le recenti primarie dell’Unione.

íˇžíˇ&#x; Ăˆ un problema che attanaglia anche i partiti del centrodestra, ma con minore virulenza, essendo lo schieramento della Casa delle LibertĂ meno‌ affollato da pretendenti o da aventi diritto su scelte locali.

MASSIMO TODARO

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Ribalta di Puglia

Insomma, non sarà facile per alcuno rendere compatibili le esigenze di immagine solida e unitaria dello schieramento con quelle personali di esponenti politici che una volta esclusi potrebbero mollare l’impegno elettorale favorendo addirittura gli avversari.


I tempi, tuttavia, sono strettissimi. Si voterĂ nel prossimo aprile e giĂ in gennaio tutte le forze in campo dovrebbero avere un chiaro programma d’azione elettorale, prima ancora che un vero e proprio “programmaâ€? da sottoporre agli elettori, in linea con il canovaccio tematico nazionale. Impresa davvero ardua se si pensa alle sole difficoltĂ che – per esempio – incontrano negli enti locali gli attuali amministratori, affannosamente presi dai gravi problemi finanziari che impediscono di portare a termine progetti giĂ presentati e per i quali molti si sono piĂš che impegnati nelle precedenti campagne elettorali.

MASSIMO TODARO

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íˇžíˇ&#x; Eppoi ci sono i grandi temi economici e sociali sui quali è giunto il momento di operare scelte Maurizio Gasparri e Silvio Berlusconi.

concrete e definitive. Bari deve fare i conti con il programma di appalti per l’Area metropolitana, con la Cittadella della Giustizia, con Punta Perotti, con il futuro della Fiera del Levante e di una sanità ancora in bilico fra vecchio e

nuovo piano di intervento. Foggia avverte difficoltĂ di sostentamento del comparto agricolo in crisi, deve fare quadrato per un definitivo sviluppo dell’UniversitĂ e per il decollo del suo Aeroporto mentre non conosce quale futuro possa essere riservato al suo EnteFiera. La Bat-provincia lotta strenuamente per abbattere i lunghi tempi di realizzazione delle sue sedi istituzionali in un quadro di equilibri territoriali particolarmente delicato, fra Barletta, Andria e Trani. Lecce accusa le gravi ripercussioni della crisi economica nei comparti del calzaturiero, del manifatturiero, della tabacchicoltura e non può puntare tutto esclusivamente sulla cultura turistica che pure ha dato moltissimi frutti di immagine. Brindisi deve uscire dal guado della chimica e dell’energia per affermarsi su fronti bene indicati, quali la portualitĂ commerciale e turistica. Taranto insegue la sua diversificazione produttiva da vent’anni fra molti ostacoli e con un panorama imprenditoriale di carente portata nonostante sia incoraggiante lo scenario offerto dalla stessa Alenia come dal Porto industrialecontainers.

íˇžíˇ&#x; Questa è la Puglia dinanzi ai nostri occhi alla vigilia delle elezioni politiche che dovrebbero traghettare il Paese intero verso novitĂ tutte ancora da interpretare. E se difficile appare l’interpretazione del futuro per l’Italia, può bastare molto poco a comprendere quale avvenire incerto abbiano le realtĂ di un Mezzogiorno giĂ fortemente condizionato da politiche nazionali distratte, poco inclini a riconoscere certe emergenze strutturali ed infrastrutturali. Sal


P O L I T I CA

LA MAXI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ NELLO STABILIMENTO MILITARE

Arsenale al setaccio QUARANTANOVE IMPRESE NEL MIRINO DELLA PROCURA DI TARANTO PER PRESUNTE IRREGOLARITÀ SULL’APPLICAZIONE DEI CONTRATTI AI DIPENDENTI, SUL RISPETTO NELLE NORME ANTINFORTUNISTICHE, SUI REQUISITI PER LA PARTECIPAZIONE ALLE GARE D’APPALTO di Mimmo Mazza

L

uoghi di lavoro ad alto tasso di insicurezza. L’inchiesta avviata dalla magistratura sulle aziende dell'indotto dell’Arsenale hanno squarciato il velo su un mondo dove l’illegalità sembra la regola. Nell’area di circa 18mila metri quadrati all’interno dell’Arsenale della Marina militare sottoposta a sequestro preventivo e probatorio dai carabinieri del Reparto operativo, della compagnia di Taranto e del Nil e dai funzionari dell’Ispettorato del lavoro per presunte violazioni della normativa sulla sicurezza sul lavoro operavano 49 ditte dell’appalto in 70 capannoni che ogni giorno – fino al 10 novembre – costituivano il posto di lavoro per circa 400 operai. Il provvedimento – eseguito dai militari diretti dal maggiore Antonio Russo – è stato adottato dopo una serie di controlli eseguiti su disposizione del pubblico ministero Vincenzo Petrocelli, titolare di una delle due indagini avviate sull’indotto dell’Arsenale della Marina Militare (l’altra inchiesta, per molti versi analoga, è coordinata dal sostituto procuratore Italo Pesiri). Nel corso delle ispezioni compiute da carabinieri e ispettori del lavoro sarebbero state riscontrate violazioni della 8

Ribalta di Puglia

Sopra: l’interno dell’Arsenale della Marina Militare di Taranto. A lato: il maggiore dei Carabinieri Antonio Russo ha diretto le indagini.

normativa sulla sicurezza, presenza di amianto, mancati versamenti di contributi previdenziali e assistenziali ai lavoratori, carenze sia igienico-sanitarie sia relative alla sicurezza nelle strutture (capannoni, officine e altro) utilizzate dalle ditte appaltatrici. Per alcune ditte sarebbe emersa la mancanza dei requisiti utili per poter partecipare alle gare di appalto espletate dalla Marina militare, per altre, invece, sono stati avviati accertamenti sulle modalità con le quali è stato ottenuto il


Il ministro della Difesa, Antonio Martino.

certificato Nato necessario per effettuare interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria sulle navi militari. Al momento le ditte coinvolte negli accertamenti sono 49. L’intera area posta sotto sequestro – per complessivi 70 capannoni – è stata affidata in custodia giudiziale al direttore dell’Arsenale di Taranto, ammiraglio ispettore Ernesto Gauzolino. Gli investigatori hanno acquisito documenti passati poi al vaglio dei funzionari dell’ispettorato del lavoro, diretti dall’ingegner Fernando Severini, e dei carabinieri del Nil, guidati dal maresciallo Mario Tomasi. Altra documentazione è stata acquisita negli uffici dello Stato Maggiore della Marina militare a Roma. A quanto si è appreso da fonti giudiziarie, l’inchiesta è scaturita, oltre che da alcuni esposti anonimi, da un controllo di routine compiuto in una ditta che è risultata non in regola con i contributi previdenziali e assistenziali. Per questo motivo i due titolari della stessa ditta sono già stati iscritti nel registro degli indagati. Le contestazioni al momento riguardano presunte violazioni alla legge 626/94 e al Dpr 547 del 27 aprile 1995 in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, e al Dpr 303 del 19 marzo 1956 in materia di igiene sempre sui luoghi di lavoro. In tre o quattro casi si sta verificando invece la presenza di violazioni alla legge 277/91 in materia di amianto. In una seconda fase verranno esaminate le documentazioni relative alle certificazioni di qualità, tecnicamente “Aqap 120”, rilasciate alle ditte per partecipare alle gare d’appalto espletate dalla Marina militare e per il cui ottenimento molte aziende non avrebbero avuto i requisiti richiesti.

Non sono mancate naturalmente le reazioni sull’apertura della scottante inchiesta. Una interrogazione urgente al ministro della Difesa, Antonio Martino, per chiarire «alcuni aspetti oscuri e per certi versi inquietanti» della vicenda, e un invito al ministero del Lavoro perché possano essere applicati tutti i benefici di legge ai lavoratori delle aziende coinvolte nell’indagine sono le due iniziative annunciate dal vicesindaco di Taranto, on. Michele Tucci. Secondo il parlamentare dell’Udc, che è anche membro della commissione Difesa della Camera dei deputati «emergono gravi che, qualora dovessero essere suffragati da oggettivi riscontri, indurrebbero ad una seria riflessione su quanto accaduto negli ultimi anni nel settore della cantieristica tarantina, e mi riferisco all’uscita di scena di importanti e storiche aziende sulla cui qualità professionale e tecnica nulla ancora oggi si potrebbe eccepire». L’invito che Tucci rivolgerà al ministero del Lavoro, invece, è che la questione del futuro dei lavoratori «assuma carattere nazionale e i dipendenti impiegati nelle aziende, i cui capannoni sono posti sotto sequestro, possano godere di ogni possibile beneficio di legge nelle more di un’inchiesta finalizzata alla

loro tutela ma che paradossalmente rischia di penalizzarli, ovviamente per presunte responsabilità dei loro datori di lavoro». Mario Lancia, presidente dell’associazione delle piccole imprese, «esprime – invece – preoccupazione per le ricadute economiche ed occupazionali in un territorio che, esclusi pochi settori, soffre di una situazione al limite della paralisi. È auspicabile – aggiunge Lancia – che, pur nelle more degli accertamenti del caso, possano proseguire le lavorazioni nei cantieri e sulle navi in riparazione e manutenzione mediante lo sblocco di macchinari ed attrezzature non appena verificate e ritenute idonee alle lavorazioni ed alla sicurezza, partendo dalla situazione “fotografata” al momento degli accertamenti». Anche il sindaco Rossana Di Bello ed il presidente della Provincia Gianni Florido seguono da vicino la vicenda che oltre a riguardare direttamente 400 lavoratori e di conseguenza 400 famiglie, rischia di gettare una pesante ombra sull’imprenditoria tarantina, pronta a chiedere con forza ed insistenza all’Alenia di essere coinvolta nel progetto che riguarda l’aeroporto di Grottaglie e poi tirata pesantemente in ballo per una lunga serie di irregolarità. ■ Ribalta di Puglia

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ECONOMIA

di Cosimo F. Riondino

L’occasione irripetibile

Alenia-Arlotta binomio perfetto Numeri da capogiro per lo stabilimento di Grottaglie. Una sfida in parte già vinta. C’è già una commessa da un miliardo di euro che da sola, vale due anni di lavoro Un Boeing 747 LCF.

lavori sono appena cominciati e già si parla delle prime commesse. Il progetto Boeing comincia bene. A fine 2005 cominceranno le selezioni del personale e quando la prima ala dello stabilimento sarà agibile, saranno testati i primi impianti di produzione. La prova vera e propria giungerà nel 2007 quando saranno consegnate le prime fusoliere per il Boeing 787 costruite a Grottaglie nel nuovo stabilimento di Alenia.

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MASSIMO TODARO

Lo stabilimento di Alenia nell’aeroporto Arlotta di Grottaglie.

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Ribalta di Puglia

Prende corpo così uno delle più grandi sfide economiche degli ultimi anni per il nostro territorio, un affare da 250 milioni di euro. Grottaglie fabbricherà la parte centrale della fusoliera, ma l’elemento positivo è che lo stabilimento comincia con una commessa che assicura lavoro per due anni, considerati gli ordini acquisiti e in via di acquisizione ci sarebbero già duecento richieste. Confermati anche i numeri del progetto: cinquecento addetti tra diretti e indotto nel 2008, fino a mille due anni dopo da un minimo di ottocento. Si attende con ansia la partenza del primo 747 LCF, che ben presto partirà da Grottaglie con il primo carico di fusoliere, per poi fare scalo a Foggia dove si imbarcheranno gli stabilizzatori (le ali di coda degli aerei), per raggiungere il South Carolina. Qui confluiranno gli altri pezzi che saranno trasferiti a Seattle per l’ultimo assemblaggio. Tempi previsti dall’imbarco della fusoliera a Grottaglie alla consegna dell’aereo: una settimana. È questa una premessa indispensabile per far capire l’importanza degli interessi in gioco. Gli stabilimenti grottagliesi rappresenteano l’ingranaggio fondamentale di questo costoso meccanismo. «Alenia ha scommes-


Chi è Alenia?

Dati principali consolidati 2004 (mln di euro) 2004 • Valore della produzione 1.490 • Portafoglio ordini 5.187 • Ordini 2.985

2003 1.188 3.898 1.373

La società, insieme alle controllate Aeronavali e SIA, occupa 8806 dipendenti.

zionale ed industriale di Alenia riprendendo così quella proficua discussione avviata nei mesi scorsi per passare, finalmente, alla fase operativa. La provincia di Taranto è pronta a mettere a disposizione i suoi uffici e la competenza dei dirigenti e dei funzionari in un’ottica di condivisione di metodi e strumenti per raggiungere gli obiettivi che tutta la comunità ionica intende raggiungere». Resta ancora aperta la partita Atitech, la società di manutenzione che fa capo ad Alitalia, presente a Grottaglie con uno stabilimento mai entrato in funzione. Alenia sarebbe disposta a farsene carico attraverso un fitto ramo di azienda, ma le parti non hanno firmato ancora nulla. Paradossi dell’economia: l’Eni, l’Ever-

Il 747 LCF ha la sezione di coda apribile per consentire di ospitare al suo interno qualunque sezione della fusiolera del nuovo 787 Dreamliner. I lavori di costruzione della nuova pista e delle strutture per l’assistenza al volo.

MASSIMO TODARO

so sulla Puglia e sarebbe doveroso proseguire questa sfida – come ha sottolineato Antonio Perfetti, direttore generale di Alenia – in un clima positivo, di condivisione della posta in gioco e delle responsabilità che essa pone». È sembrato sulla stessa linea anche il Presidente della Provincia Gianni Florido durante un incontro con i vertici di Alenia, al quale hanno preso parte la società Finmeccanica, i sindaci di Grottaglie, Monteiasi e Carosino, i vertici dell’Assindustria e l’Associazione delle Piccole Imprese. «È una sfida internazionale – ha affermato il Presidente Florido – che richiama tutti noi al massimo impegno. Sono sicuro che le istituzioni locali, le associazioni di categoria e di rappresentanza sapranno offrire, ciascuno in relazione alle proprie competenze, il giusto supporto per il successo di questa iniziativa imprenditoriale». Le grande attese però, non si esauriscono nell’ansia di chi aspetta, un posto di lavoro. Parliamo delle ansie, ben più giustificate di chi, quel posto di lavoro deve organizzare. A tal proposito, l’assessore provinciale al lavoro e alla Formazione professionale, Raffaella Quaranta ha avviato i primi contatti con i vertici dell’azienda che darà un impulso decisivo al rilancio del polo aeronautico in provincia di Taranto. «Alenia – afferma l’assessore – rappresenta un’occasione irripetibile per far decollare, è proprio il caso di dirlo, la nostra economia. Come Provincia di Taranto, sentiamo forte il peso delle nostre responsabilità in virtù delle funzioni che la legislazione ci assegna. Mi riferisco, in particolare, alle politiche attive del lavoro e alla formazione professionale. È chiaro che su questo fronte avremo il delicato compito di coordinare tutte le iniziative, soprattutto in sede di programmazione. Naturalmente, contiamo sul prezioso contributo degli altri enti, istituzioni ed organizzazioni ugualmente interessate a questo progetto. Servono, insomma, interventi qualificati e massima collaborazione evitando però inutili quanto controproducenti sovrapposizioni di ruoli. Quel che ci fa ben sperare, è proprio che Alenia ha riconosciuto alla Provincia questa fondamentale funzione di coordinamento. Presto saremo in grado di valutare il piano occupa-

Le principali attività di Alenia Aeronautica riguardano la progettazione e produzione di velivoli militari e civili, di aerostrutture per velivoli civili e militari e, attraverso la società controllata Aeronavali, la trasformazione, manutenzione e revisione di aerei civili e militari. La società è interamente posseduta da Finmeccanica ed ha la sede legale a Pomigliano d’Arco, Napoli.

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green e il Porto di Taranto potrebbero, con il completamento di Alenia, trainare interi segmenti economici verso un contesto internazionale di tutto rispetto. E per questo che il destino di quei 128 corsisti che non hanno mai cominciato a lavorare, nonostante il periodo di formazione e i numerosi interventi fatti a riguardo, sembra ancora più amaro. Decisamente a buon punto sono gli interventi per migliorare i collegamenti nella zona dove opererà Alenia. Dodici milioni di euro saranno spesi per adeguare le strade vicine all’insediamento. La Regione parteci-

perà con undici milioni e 750mila euro, la Provincia con 250mila euro per adeguare circa sedici chilometri di strade. Il progetto è stato raccolto. Le strade provinciali saranno allargate dagli attuali cinque-sei metri a quindici e mezzo. Inoltre, saranno realizzate rotatorie di smistamento nei punti considerati più critici e una bretella per scavalcare l’abitato di Monteiasi. Gli interventi riguardano l’area attorno all’insediamento di Alenia in previsione dell’aumento del traffico normale e di carichi speciali. Alenia non ha escluso che le fusoliere possano essere anche trasportate su gomma. ■

Cosa produce Alenia Aeronautica VELIVOLI DA DIFESA Eurofighter/Typhoon Velivolo da superiorità aerea con elevate capacità di attacco al suolo, I'Eurofighter/Typhoon è sviluppato e prodotto insieme a BAIE Systems e EADS. Alenia Aeronautica, con una quota del 19,5%, è responsabile della progettazione dell’ala sinistra, della fusoliera posteriore insieme a BAIE Systems, di alcuni sistemi di bordo, dell’integrazione di tutto il sistema d’arma e dell’assemblaggio finale degli esemplari destinati all’Aeronautica Militare Italiana. Ammonta complessivamente a 620 velivoli la produzione pianificata dai quattro partner: Germania (180), Regno Unito (232), Italia (121) e Spagna (87). Un ulteriore ordine riguarda 18 esemplari per le Forze Armate austriache. AM-X Aereo da supporto tattico e da ricognizione realizzato da Alenia Aeronautica, in qualità di capocommessa, insieme ad Aermacchi e alla brasiliana Embraer. Dell’AM-X, in dotazione all’Aeronautica Militare Italiana e alla Forza Aerea Brasiliana, sono stati sinora ordinati e consegnati 192 esemplari. Tornado Bireattore con ala a freccia variabile, frutto della collaborazione tra Alenia 12

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Aeronautica (15%), BAE Systems e EADS, il Tornado è stato realizzato nelle versioni IDS (Interdiction Strike), ADV (Air Defence Variant) e ECR (Electronic Combat Reconnaissance). Ne sono stati venduti 974 esemplari. Joint Strike Fighter Alenia Aeronautica svolge un ruolo importante nel nuovo cacciabombardiere interforze Joint Strike Fighter (JSF), realizzato da Lockheed Martin. In base agli accordi, la società produrrà, in qualità di “second source”, il cassone alare e realizzerà il 100% della produzione degli aerei forniti all’Italia e il 50% di quelli destinati agli Stati Uniti e al Regno Unito, con l’opzione per gli altri eventuali clienti. In una fase suc-

FOTOSeRVIzIO BOeING COMPANy

ECONOMIA


ECONOMIA

Aerei prodotti con la collaborazione di Alenia: sopra, l’Eurofighter Typhoon; qui a lato, l’AM-X; qui sotto, il bireattore Tornado nella versione ADV e più a destra lo SKY-X; in basso a sinistra il cacciabombardiere Joint Strike Fighter; in basso a destra il trasporto C-27J.

cessiva, secondo le esigenze dell’Amministrazione Difesa italiana, Alenia Aeronautica potrà occuparsi anche dell’assemblaggio finale dei velivoli destinati all’Italia e potrà rivestire un ruolo primario se l’Italia deciderà di dotarsi di un centro di supporto logistico nazionale. La società italiana ha, inoltre, siglato un accordo di collaborazione con Honeywell e Caterpillar Logistics Services, le due aziende statunitensi scelte da Lockheed Martin per l’organizzazione della logistica mondiale del JSF, per la gestione, in Europa, della catena logistica dei componenti relativi alla produzione e manutenzione dei velivoli destinati alle Forze Armate europee. VELIVOLI UAV/UCAV SKY-X Alenia Aeronautica ha realizzato nel settore dei velivoli UAV/UCAV un dimostratore tecnologico, denominato Sky-X, che ha effettuato il primo volo il 29 maggio scorso presso il poligono di

Vidsel, in Svezia. Lo Sky-X, che avrà compiti di ricognizione, difesa e per impieghi duali, è una ‘piattaforma’ sperimentale che farà maturare le esperienze realizzate in varie iniziative di ricerca nazionali ed europee, grazie alle caratteristiche di modularità e di adattamento all’evoluzione delle configurazioni richieste come, per esempio, la bassa osservabilità radar. Il dimostratore ha una lunghezza di 6,94 metri ed un’apertura alare di 5,74 metri. I dati e le esperienze acquisiti con lo Sky-X arricchiranno il know-how tecnologico di Alenia Aeronautica, anche in funzione del recente accordo industriale per la partecipazione italiana al programma europeo ‘Neuron’, cui finora hanno aderito sei Paesi: Francia, Grecia, Italia, Spagna, Svezia e Svizzera. Alenia Aeronautica è capofila di un pool di aziende italiane in cui figurano anche altre società di Finmeccanica come Galileo Avionica e Selex Communications. Alenia Aeronautica è, inoltre, impegnata nei maggiori programmi di ricerca italiani e dell'Ue tra cui: il Piano Nazionale di Ricerca Militare (PNRM), il Western European Armament Group (WEAG), I’European Technology Acquisition Programme (ETAP), il Programma Ricerche Aerospaziali (PRO.R.A.) in collaborazione con il Centro Italiano Ricerche Aerospaziali (CIRA). VELIVOLI DA TRASPORTO MILITARE C-27J Velivolo da trasporto militare in grado di effettuare molteplici missioni, il C-27J è stato sviluppato ed è prodotto pariteticamente da Alenia Aeronautica e Lockheed Martin. Il velivolo, già ordinato dalle Forze Aeree di Italia e Grecia (12 esemplari ognuna) e selezionato dalla Bulgaria (8 velivoli), è dotato di avionica e motori avanzati, gli stessi del C-130J, che consentono una forte riduzione dei costi operativi e una grande flessibilità di impiego. Attualmente il C-27J è in valutazione presso Stati Uniti, Canada, Australia, Taiwan, Irlanda, Portogallo, e altri Paesi Ribalta di Puglia

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ECONOMIA

che recentemente hanno aderito alla Nato. Il C-27J è, infatti, il velivolo che risponde pienamente alle caratteristiche di interoperabilità, necessarie per i futuri velivoli in dotazione alle Forze Aeree dell’Alleanza. G222 Prodotto in oltre cento esemplari, l’aereo da trasporto militare G 222 è in servizio nelle Aeronautiche Militari di nove paesi, tra cui l’Italia e gli Stati Uniti (nella versione C-27A). Il velivolo consente di svolgere anche missioni con compiti antincendio, aeroambulanza, lancio di paracadustisti, radiomisure e calibrazione di apparati per l’assistenza al volo. VELIVOLI PER MISSIONI SPECIALI ATR42 MP Velivolo altamente innovativo, I’ATR 42 MP (Maritime Patrol), è in grado di svolgere numerosi ruoli come pattugliamento marittimo (per la ricerca e l’identificazione del naviglio di superficie), SAR (ricerca e soccorso), lotta al narcotraffico, alla pirateria, al contrabbando, intervento in caso di disastri ecologici (inquinamento petrolifero o da sostanze chimiche), protezione delle acque territoriali (pesca, diritti minerari off-shore), monitoraggio ambientale. Dell’ATR MP sono già stati ordinati cinque velivoli da parte della Guardia di Finanza italiana (tre aerei) e della Guardia Costiera italiana (due esemplari). Attualmente l’ATR42 MP è in gara in India e in fase di valutazione in numerosi paesi, tra i quali Arabia Saudita, Brunei, Oman e Australia. ATR72 ASW (Anti Submarine Warfare) Alenia Aeronautica sta sviluppando una nuova versione del velivolo ATR72-500, denominata ATR72 ASW, nata per rispondere alle richieste di un aereo di medio raggio e di costo contenuto in grado di svolgere missioni ASW. L’ATR72 ASW è stato recentemente selezionato dalla Turchia per la fornitura alla Marina Militare di dieci velivoli che 14

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svolgeranno compiti di pattugliamento marittimo e sorveglianza antisommergibile. L’ATR72 ASW integra il Sistema di Missione dell’ATR42 Maritime Patrol con le capacità antisommergibile.

In alto un trasporto militare G222; qui sopra due ATR42 in versione Maritime Patrol e Anti Submarine Warfare; qui sotto, in primo piano, un ATR72 per il trasporto civile regionale.


ECONOMIA

centrale realizzata in tre parti, oltre alle relative attività di ingegneria. Le due società hanno, inoltre, siglato un ulteriore accordo per nuove attività da effettuare per la versione cargo del velivolo (A380 Freighter). Alenia Aeronautica è anche impegnata nella realizzazione della sezione di fusoliera dell’Airbus A321. Per EADS la società italiana produce la sezione posteriore della fusoliera dell’Airbus A340-500/600, mentre, per BAIE Systems, produce parti meccaniche destinate ai velivoli A319/320/321, A300/310, A330/340 200/300 e A340-500/600.

In alto un Airbus A380 in volo; qui sopra a sinistra un Boeing 717/200, del quale Alenia Aeronautica produce le sezioni della fusoliera; a destra, il bireattore Falcon 2000 della Dassault.

VELIVOLI CIVILI ATR42/ATR72 Velivoli impiegati per il trasporto regionale, gli ATR42 e ATR72 sono progettati e prodotti da Alenia Aeronautica insieme alla società EADS. Il successo del programma italo-francese ATR è testimoniato dagli oltre 719 esemplari ordinati in tutto il mondo da circa 115 operatori.

AEROSTRUTTURE Presente in questo settore da oltre trent’anni, Alenia Aeronautica ha collaborato alla realizzazione di oltre 6.000 aerei commerciali in cooperazione con le principali industrie internazionali. Airbus Alenia Aeronautica partecipa, con il ruolo di risk-sharing partner, alla realizzazione del velivolo A380. Il contratto rappresenta oltre il 4% della produzione della cellula dell’aereo. Il coinvolgimento di Alenia Aeronautica riguarda la progettazione e la produzione – per tutti i velivoli della famiglia A380 e derivati – di una sezione allestita di fusoliera

Boeing Alenia Aeronautica produce per Boeing elementi strutturali del velivolo a medio raggio 767 (superfici mobili dell’ala, cono di prua e impennaggi), parti mobili delle ali del bireattore a medio/lungo raggio 777 e pannelli di fusoliera per il 757. Per il velivolo 717-200 Alenia Aeronautica produce le tre sezioni della fusoliera (anteriore, centrale, posteriore). La Società italiana partecipa come partner strategico insieme alla statunitense Vought Aircraft Industries, alla progettazione, produzione e integrazione di significative parti strutturali del nuovo velivolo 787 Dreamliner, pari al 60% della fusoliera. In particolare saranno realizzate sezioni di fusoliera centrale e posteriore nonché della coda dell’aereo. Alenia e Vought hanno costituito una joint-venture, denominata Global Aeronautica, e avviato i lavori per la costruzione di un nuovo stabilimento a Charleston (South Carolina) per l’assemblaggio e l’integrazione delle sezioni di fusoliera realizzate da Vought negli Stati Uniti, da Alenia Aeronautica in Italia, e da altri produttori internazionali di aerostrutture. Dassault Alenia Aeronautica collabora con Dassault per il bireattore executive Falcon 2000, di cui realizza l’intera sezione di coda, e per il Falcon 900EX, di cui produce le gondole e gli invertitori di potenza. ■ Ribalta di Puglia

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Boeing 787 Dreamliner L’aereo del terzo millennio

I

l consiglio d’amministrazione di The Boeing Company ha approvato ad aprile 2004 il lancio del 787 Dreamliner e in poco più di un anno ha già raccolto un totale di 252 tra ordini e impegni d’acquisto, provenienti da 20 clienti di tutti e cinque i continenti. Il 787 rappresenta attualmente il programma più avanzato nel campo dell’aviazione civile e costituirà la soluzione di riferimento per lo sviluppo strategico delle compagnie aeree nei prossimi decenni. Denominato inizialmente 7E7, il Dreamliner è stato ribattezzato 787 nel gennaio 2005, continuando la tradizionale numerazione Boeing iniziata con il 707 e proseguita fino al 777.

Le tre versioni del Dreamliner • Il 787-8 è la versione “base”, in grado di trasportare circa 200 passeggeri in una configurazione a tre classi su rotte fino a 15.700 chilometri. Ha una velocità di crociera (Mach 0,85) simile a quella dei più veloci widebody in servizio. • 11 787-9 è la versione più grande, in grado di trasportare 250 passeggeri in tre classi. Ha la stessa velocità del 787-8 e un’autonomia di 15.400 km. • Il 787-3 è la versione a corto raggio (autonomia di 6.500 chilometri). Potrà ospitare 300 passeggeri (configurazione a due classi) e avrà la stessa velocità di base delle altre due versioni. Per ottimizzare le sue funzioni, apertura alare e peso del carrello saranno inferiori rispetto agli altri membri della famiglia. Interni di nuova concezione Gli interni del Dreamliner sono stati progettati dopo aver sondato i desideri di passeggeri ed equipaggi in tutto il mondo su quale fosse l’ambiente migliore da trovare a bordo di un aereo. Due sono stati gli aspetti principali emersi: in primo luogo, le persone sono affascinate dalla sensazione di volare e amano vivere pienamente questa esperienza quando sono in volo. In secondo luogo, desiderano trovare in aereo un 16

Ribalta di Puglia

ambiente accogliente e tranquillo. Gli interni di nuova concezione del 787 si potranno apprezzare già sulla porta d’accesso, dove si è accolti da un ampio ingresso con soffitto a volta, studiato per trasmettere una sensazione di benvenuto e di spaziosità. La spaziosità è accentuata da un sapiente mix di illuminazione e design del soffitto che riproduce un “effetto cielo”. Ampie arcate simili a quelle dell’ingresso sono poi riprodotte in altre parti della cabina, per permettere una piena fruizione di spazi ben proporzionati. L’effetto cielo è replicato lungo tutti e due i corridoi dell’aereo, con fonti luminose che La fusoliera è larga 35 centimetri in più rispetto ai modelli concorrenti, rendendo disponibile per l’installazione dei sedili lo spazio più grande mai offerto su un aereo commerciale. Con un allestimento a otto posti per fila, i sedili della classe economica saranno i più larghi mai installati su un aereo da trasporto passeggeri. I corridoi della classe economica avranno una larghezza di 55 centimetri, vale a dire 6 cm in più di quelli presenti solitamente in questa classe su ogni altro aereo a doppio corridoio. I finestrini (48 x 28 cm) sono molto più grandi rispetto a quelli degli aerei odierni e consentiranno una buona visuale verso l’orizzonte anche dai sedili centrali. Cambia inoltre drasticamente il concetto di oscuramento: l’equipaggio potrà infatti oscurare elettronicamente i vetri dei finestrini, in modo da ricreare un ambiente adatto per i passeggeri che vogliano riposare. Al tempo stesso i vetri resteranno sufficientemente trasparenti da permettere agli altri di godersi appieno il panorama e l’esperienza del volo. Resta comunque a disposizione di ogni passeggero la possibilità di oscurare completamente il proprio finestrino. Gli alloggiamenti per i bagagli a mano saranno i più grandi mai realizzati per un aereo e consentiranno a ciascun passeggero di sistemare sopra il

FOTOSeRVIzIO BOeING COMPANy

ECONOMIA


ECONOMIA

Un modello del Boeing 787 Dreamliner in esposizione ad una fiera aeronautica. Qui sotto, la prima sezione del muso è stata completata dalla Boeing di Wichita.

proprio sedile almeno una valigia tra quelle più diffuse in commercio (28 x 40 x 55 cm). La possibile configurazione senza cappelliere centrali prevede in sostituzione pannelli “effetto cielo” che aumentano il senso di spaziosità della cabina passeggeri. Aumenta lo spazio a disposizione dei passeggeri anche nelle toilette, grandi a sufficienza in tutte le classi da permettere l’accesso alle persone in carrozzina. A 13 mila metri di quota, la pressurizzazione della cabina in volo sarà equivalente alle condizioni dell’aria ad un’altitudine di 1.800 metri - contro i 2.400 degli aerei attuali - riducendo i disagi che alcuni passeggeri subiscono nei viaggi lunghi. L’umidificazione dell’aria sarà più elevata rispetto a quella a cui siamo abituati oggi in volo, in modo da ridurre la secchezza della bocca e degli occhi. Rispetto per l’ambiente e costi operativi ridotti per le compagnie aeree 11 787 consentirà alle compagnie aeree di ridurre sensibilmente i costi operativi, con consumi inferiori del 20 per cento rispetto agli altri aerei di dimensioni simili. Per ottenere questo risparmio Boeing ha lavorato sull’aerodinamica, sui materiali e sui sistemi di bordo:

ognuno di questi ambiti contribuirà in parti uguali al miglioramento dell’efficienza energetica, quantificabile complessivamente in un 9 per cento. I nuovi motori contribuiranno poi alla riduzione dei consumi di circa l’8 per cento. Il restante 3 per cento è dato dalla sinergia fra questi elementi. Mediante un nuovo sistema di sensori si potrà poi monitorare costantemente le condizioni dell’aereo, eliminando così i periodi di ritiro programmato nell’hangar per la manutenzione: infatti con questo sistema si potrà intervenire ‘a richiesta’, cioè ogni volta che l’auto-diagnosi segnala un intervento da effettuare. Molto significativo per le compagnie aeree è anche l’aumento dello spazio a disposizione per il trasporto delle merci. Con una capacità di 5 pallet di merci e 5 container standard LD-3, il 787-8 può contenere il 57% di merci in più rispetto all’A300-600, il modello Airbus a cui può essere paragonato per dimensioni. Il 787-9 potrà ospitare fino a 6 pallet e 8 container LD-3, equivalenti ad un carico superiore del 44% rispetto a quello massimo dell’A330-200. Un aereo nato dalla collaborazione internazionale Il programma Boeing 787 Dreamliner coinvolge l’elite mondiale dei costruttori aeronautici. Il ruolo dell’industria italiana nella realizzazione di questo aereo rivestirà un particolare significato in considerazione dell’alto livello tecnico del suo contributo, specialmente per i materiali compositi, settore in cui Alenia vanta competenze mondialmente riconosciute. Per facilitare lo scambio di informazioni con i suoi partner di tutto il mondo, Boeing sta realizzando con la francese Dassault Systèmes un ambiente lavorativo virtuale, denominato 787 Global Collaboration Environment (GCE). Questo sistema virtuale consentirà a Boeing di progettare, costruire e testare in modo digitale ogni singolo aspetto del 787 e dei suoi processi di produzione, prima di iniziare la fabbricazione “reale” del nuovo aereo. In Ribalta di Puglia

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ECONOMIA

questo modo tutta la squadra mondiale che sta sviluppando il Dreamliner potrà lavorare insieme in tempo reale. Struttura Alenia Aeronautica è stata coinvolta sin dalla fase di progettazione del nuovo bimotore, di cui costruirà – in joint venture con la statunitense Vought Aircraft Industry – lo stabilizzatore (o piano di coda orizzontale) e le sezioni centrali e posteriori della fusoliera, per una quota complessiva che ammonta al 26% dell’intera struttura del 787. Circa il 35% della struttura del nuovo aereo sarà costruito direttamente da Boeing e comprende la deriva, le parti fisse e mobili del bordo di attacco dell’ala, la cabina di pilotaggio e alcuni componenti della sezione anteriore della fusoliera. Boeing realizzerà queste aerostrutture nei suoi stabilimenti statunitensi (negli stati di Washington, Oklahoma e Kansas), canadesi e australiani. Mitsubishi Heavy Industries sarà responsabile della realizzazione della struttura fissa dell’ala. Kawasaki Heavy Industries fornirà la sezione anteriore della fusoliera, l’alloggiamento per il carrello principale e le parti fisse del bordo di uscita dell’ala. Fuji Heavy Industries si occuperà della parte centrale dell’ala e della sua integrazione con l’alloggiamento per il carrello. La quota di lavoro attribuito a queste tre aziende giapponesi ammonta a circa il 35% dell’intera aerostruttura. Tre aziende cinesi – Chengdu Aircraft Industrial Group, Hafei Aviation Industry e Shenyang Aircraft Corporation – costruiranno rispettivamente il timone in composito, le carenature di raccordo ala-fusoliera e l’assemblaggio del bordo d’attacco della deriva verticale. Per la prima volta nella sua storia Boeing ha affidato la fornitura di un’importante parte dell’aerostruttura di un suo aereo ad un’azienda francese, scegliendo Latecoere per la costruzione delle porte passeggeri del Dreamliner. L’azienda di Tolosa ha fatto parte sin dall’inizio del team di sviluppo dell’aerostruttura del 787. 18

Ribalta di Puglia

Motori Per la propulsione sono stati selezionati due tipi di motore, il GENX di General Electric e il Trent 1000 di Rolls-Royce. Tutti e due i motori selezionati saranno in grado di fornire una spinta compresa tra i 25.000 e i 32.000 chili (55.000-70.000 libbre), consentendo la stessa motorizzazione di base per le tre versioni del 787. Per la prima volta nella storia dei jet commerciali, due tipi di motore useranno la stessa interfaccia standard con l’aereo, in modo da poter entrambi essere istallati in qualsiasi momento su ogni versione del nuovo bimotore. L’interscambiabilità dei motori rende il 787 un bene flessibile e quindi scambiabile facilmente tra vettori, caratteristica molto allettante sia per le società finanziarie e di leasing che per le compagnie. Un’altra importante novità del 787 è l’utilizzo dei più efficienti generatori elettrici al posto dei tradizionali sistemi di spillamento d’aria compressa dal motore per alimentare vari impianti di bordo (dal condizionamento e pressurizzazione dell’aria in cabina ai sistemi di sbrinamento e antighiaccio). Impianti e sistemi I molteplici impianti e sistemi di bordo verranno forniti da aziende leader mondiali nel loro settore. La britannica Smiths Aerospace realizzerà il sistema centrale del 787, una piattaforma avionica integrata che sostituisce il complesso dei cavi dedicati alla trasmissione dei segnali con sistemi di concentrazione dei dati remoti. Fornirà inoltre gli attuatori dei carrelli d’atterraggio. L’azienda statunitense Hamilton Sundstrand fornirà l’unità ausiliaria di potenza (APU), il sistema di controllo ambientale, l’impianto principale e le unità remote di distribuzione di energia elettrica, il generatore di corrente elettrica per l’avviamento, i generatori di azoto e di emergenza e il sottosistema di generazione elettrica delle pompe idrauliche.

La cabina di pilotaggio.


ECONOMIA

Il motore Trent 1000 di Rolls-Royce. In basso, l’interno dell’aereo.

Dati tecnici

La statunitense Rockwell Collins si occuperà dei display e dei sistemi di controllo e comunicazione. Una sua controllata, Kaiser Electroprecision, fornirà i comandi di volo (volantino, colonna del volantino e pedaliera) e meccanismi associati, nonché la loro connessione con il controllo della spinta dei motori. Un’altra società statunitense, Honeywell, fornirà sistemi di controllo di volo e di navigazione, sensori per il monitoraggio delle prestazioni e delle condizioni dell’aereo, sistemi per comunicare in tempo reale lo “stato di salute” del 787 all’equipaggio e al personale a terra e luci di navigazione e anticollisione. La società californiana Goodrich Corp è stata scelta per fornire gondole, invertitori di spinta, indicatori di livello del carburante, software di gestione dei consumi, ruote, freni elettrici, luci esterne e sistema movimentazione merci. L’azienda statunitense basata a Cleveland, Parker Hannifin, fornirà i sottosistemi idraulici. Tre aziende francesi del gruppo Snecma realizzeranno carrello principale ed anteriore (Messier-Dowty), ruote e freni elettrici (Messier-Bugatti) e cablaggio (Labinal). Due controllate del gruppo francese

Zodiac, Monogram Systems (basata in California) e Air Cruisers (basata nel New Jersey), realizzeranno rispettivamente l’impianto di rifornimento e scarico dell’acqua e gli scivoli di emergenza. Un’altra società transalpina, Thales, realizzerà l’impianto di trasformazione dell’energia elettrica e il dispositivo a cristalli liquidi Integrated Standby Flight Display (ISFD). La giapponese Bridgestone fornirà i pneumatici, mentre l’azienda di Seattle, Korry Electronics (gruppo Esterline Technologies), si occuperà dei pannelli di controllo della cabina di pilotaggio. Le pompe e le valvole dell’impianto carburante saranno fornite dalla britannica FRHiTemp. La divisione Boeing di Wichita fornirà i piloni motori, mentre il timone di direzione sarà prodotto in Cina. Un’altra importante novità del 787 è l’utilizzo dei più efficienti generatori elettrici al posto dei tradizionali sistemi di spillamento d’aria compressa dal motore per alimentare vari impianti di bordo (dal condizionamento e pressurizzazione dell’aria in cabina ai sistemi di sbrinamento e antighiaccio). L’assemblaggio finale sarà realizzato da Boeing ad Everett, vicino a Seattle, dove sarà localizzato anche il quartier generale e il centro di coordinamento della progettazione del 787. Il mercato Le sue dimensioni medie e la grande autonomia di volo ne fanno l’aereo ideale per ottimizzare sia le frequenze che l’estensione del network dei vettori, mentre la sua grande efficienza costituisce un beneficio sia per le compagnie di linea che charter. Per un aereo con queste caratteristiche Boeing prevede un mercato potenziale di circa 3.500 esemplari nell’arco di 20 anni. Le prossime tappe 2006 primo assemblaggio 2007 primo volo (fine estate) 2008 certificazione (aprile) e prima consegna (maggio). ■ Ribalta di Puglia

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E N T I L O CA L I

L’attività intensa della Provincia di Taranto L’impegno per rimettere in piedi una macchina amministrativa al collasso, per restituire una guida autorevole

il lavoro prodotto sino a questo momento è sotto gli occhi di tutti: dai cospicui investimenti per la viabilità e la sicurezza stradale alla manutenzione degli edifici scolastici, dalle politiche sociali con la positiva soluzione di spinose vertenze come quella delle ragazze madri alla gestione oculata delle risorse finanziarie che ci consente di avere i conti in ordine per guardare con serenità al futuro. Gianni Florido

Un discorso a parte merita la stabilizzazione di 301 posti di lavoro attraverso la costituzione della società taranto isolaverde, braccio operativo del nostro ente locale che si occupa delle funzioni proprie assegnate alla provincia in materia di governo del territorio. Abbiamo così creato buona occupazione assolvendo nello stesso tempo a compiti specifici come la manutenzione del verde e la tutela del nostro patrimo n i o i mm o b i l i a r e . U n impulso non indifferente è stato dato sul versante delle grandi opere come la Strada regionale 8, meglio conosciuta come “litora-

nea interna” e la tangenziale sud; a questo proposito, vorrei ricordare la realizzazione dello svincolo per la base navale di Chiapparo che sarà ultimato nella prima metà del 2006. Confermati, inoltre, gli impegni per l’università ed una formazione professionale che tenga conto delle reali esigenze del mercato del lavoro. Assieme agli altri enti territorialmente interessati, abbiamo acceso i riflettori sul porto per farne la vera, grande sfida della comunità ionica; si pensi alle attività già messe in campo per Agromed, l’Agenzia dello Sviluppo e il distripark. Altro tema scottante, quello dell’ambiente. Appena insediati, è stato approvato un Atto di indirizzo con il quale abbiamo assunto una posizione precisa: stop a nuove autorizzazioni e a eventuali richieste di ampliamento delle discariche già in funzione in attesa di elaborare un piano complessivo sul ciclo dei rifiuti.

MASSIMO TODARO

Sono molti i provvedimenti adottati nell’ultimo anno di attività. Abbiamo innanzitutto rimesso in piedi una macchina amministrativa praticamente al collasso, valorizzando le risorse umane disponibili e rendendo così più efficienti i servizi resi dai nostri uffici. Un’operazione necessaria e per certi versi propedeutica per rilanciare l’immagine di una provincia il cui contributo, nei diversi settori di intervento, era risultato spesso e volentieri impalpabile.

ma se possiamo ragionevolmente dirci soddisfatti per i risultati conseguiti grazie all’impegno di tutti gli Assessorati (e scorrendo queste pagine ve ne potrete rendere conto in maniera analitica) sappiamo anche di dover qualificare ancora di più la nostra proposta politico-amministrativa. lo faremo con il concorso di tutte le forze politiche e sociali che ci hanno lealmente sostenuto nella comune consapevolezza che la nostra provincia ha bisogno di una guida autorevole. ■



CA M E R A D I C O M M E R C I O

La forza del Consorzio Nasce Agromed, una società a cui prenderanno parte anche la Provincia e il Comune di Taranto. Importanti gli scopi che ci si propone di realizzare: valorizzazione delle produzioni tipiche del territorio, innalzamento del livello tecnologico e sviluppo delle catene distributive. Un progetto da nove milioni di euro che non rappresenta un’esperienza isolata di Cosimo F. Riondino foto di Massimo TodARo

Nelle due foto in basso: la sede della Camera di commercio di Taranto.

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Ribalta di Puglia

IL COMPARTO AGROALIMENTARE TARANTINO, complice la difficile situazione anche nazionale del settore, necessitava di un programma lungimirante che mettesse in pratica dei provved i m e n t i a s o s t eg n o d i u n s eg m e n t o importante per l’intera economia pugliese. Un segnale forte in questa direzione è stato lanciato con la costituzione della Società consortile “Agromed” con la

Provincia, il Comune e la Camera di commercio di Taranto. L’iniziativa, finanziata con circa nove milioni di euro della delibera CIPE, è volta alla realizzazione di un moderno centro agro-industriale. L’infrastruttura realizzata e gestita dalla neonata Società rappresenta un tassello strategicamente importante per l’incremento della redditività del comparto agroalimentare e complessivamente, per la crescita infrastrutturale della provincia jonica. Un progetto che fortunatamente non è isolato in questo contesto, poiché si aggiunge agli altri già in corso di realizzazione per lo sviluppo dell’intera area retroportuale. Scopo dichiarato, si diceva, della nuova Società consortile è quello di incrementare il livello di redditività del comparto attraverso lo sviluppo della logistica retroportuale in connessione con l’area portuale. Non da meno si propone di valorizzare le produzioni tipiche del territorio per il comparto ortofrutticolo, al fine di elevare il livello tecnologico e dare nuovo impulso alle catene distributive. Un passo avanti che potrà contribuire ad incrementare il livello di occupazione, diretta e dell’indotto. «Un altro atto importante per la creazione degli imprescindibili presupposti di sviluppo e crescita dell’economia provinciale – commentano unanimemente Emanuele Papalia neo presidente della


nuova società, Gianni Florido e Rossana Di Bello. – Non una formalità, ma la concretizzazione degli obiettivi di natura socio-economica che la Camera di comm e r c i o d i Ta r a n t o , i l C o m u n e , l a Provincia e l’Autorità Portuale, si propongono e che tutti gli interventi ricompresi nelle delibere CIPE attuative della Intesa Istituzionale di Programma fra Governo e Regione Puglia del 1993 perseguono. Agromed rivestirà un ruolo essenziale nello sviluppo del comparto agroalimentare tarantino, soprattutto in questo particolare momento in cui è necessario risalire la china di una crisi generale dell’economia jonica e del mondo agricolo in modo particolare, anche garantendo la diffusione della innovazione tecnologica, il rilancio di un settore tradizionale e la crescita delle connessioni fra produzione e commercializzazione. In questo senso Agromed – ci supportano in tale certezza i nostri analisti economici – potrebbe diventare uno snodo logistico di grande rilevanza non solo per Taranto ma per tutto il Mezzogiorno». E in questa prima fase di avvio il Consiglio di amministrazione sarà composto dai tre rappresentanti degli Enti soci: Gianni Florido, Emanuele Papalia e

Rossana Di Bello. In tal modo si spera di imprimere il massimo impulso all’iniziat iva i n f r a s t r u t t u r a l e c h e , i n s i e m e a Distripark e alla Piastra logistica, è considerata strategica per lo sviluppo del

In alto: Emanuele Papalia, presidente della Agromed, e Gianni Florido con Rossana di Bello, rispettivamente Presidente della Provincia di Taranto e Sindaco di Taranto.

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SICUREZZA

ILVA ANCORA UN INCIDENTE

di Cosimo F. Riondino

Fabbrica di insicurezze

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ono da sempre la grande illusione: l’Ilva e gli straordinari vantaggi che sarebbero ricaduti sul nostro territorio. Così come sono illusori i proclami show che di tanto in tanto si fanno su “imminenti” interventi ai macchinari e alle infrastrutture per tentare di ridurre i danni all’ambiente e per aumentare la sicurezza sul lavoro. Fredda e costosa voce in bilancio che in un momento volge da argomento a fatto di cronaca. L’ultimo incidente in cui è morto Giovanni Satta, operaio originario di Nuoro e dipendente della Sepi di Savona, si è verificato in assenza delle condizioni di sicurezza. È questa la conclusione al quale sono giunti gli uomini dell’ispettorato del lavoro, guidati da Nando Severini, a chiusura quasi ultimata dell’inchiesta avviata subito dopo l’ennesimo incidente nell’area Agglomerato 1, in disuso da anni, che gli operai avevano cominciato a demolire. «Abbiamo potuto appurare – ha affermato Severini – che non sono state rispettate le norme di sicurezza. La demolizione è stata effettuata con una metodologia non conforme alle norme. Cioè dall’alto verso il basso con un programma di lavoro completamente improvvisato, scalzando dal basso dei pilastri tirando poi giù la parte superiore. Gli operai dunque, con la fiamma ossi-

propanica tagliavano la base dei pilastri e mantenendosi a distanza di cingolati con delle funi e tiravano giù. In occasione dell’incidente è scollato tutto prima del previsto». Ed è successo un’altra volta. Il gruppo degli operai che si trovava nella zona sotto-

MASSIMO TODARO

ANGeLO TODARO

L’ultima morte bianca riapre il dibattito sulla sicurezza sul lavoro. Aprire un tavolo di discussione è solo un primo passo in avanti se non si attuano i provvedimenti necessari per impedire questa agghiacciante escalation

Fernando Severini, ispettore del Lavoro.


stante sono riusciti a scappare tutti eccetto Giovanni Satta rimasto schiacciato. Le modalità dell’infortunio – al momento – chiamano in causa anche l’Ilva. «L’intervento di demolizione del capannone Agglomerato 1 – prosegue nella motivazione Severini – rientra nel decreto legislativo 494 del 1996 che impone all’azienda committente di predisporre piani di sicurezza e di nominare tecnici per presiedere alle attività delle ditte e per garantire la vigilanza sull’osservanza delle norme di sicurezza. Sappiamo che i tecnici sono stati nominati, ma dov’erano? Non possiamo fare a meno di inserire l’Ilva in quest’inchiesta». Due mesi fa non si era potuto fare e dire nulla di diverso. A perdere la vita un operaio di Mottola, Gianluigi Di Leo 24 anni. In quell’occasione lo scontro di due carriponte provocò la caduta di una trave che colpì e schiacciò dopo un volo di venti metri, il giovane Di Leo che in quel momento passava sotto i carri ponte per andare a timbrare il cartellino, prima di tornare a casa. Anche quella volta i tecnici dell’ispettorato al lavoro e dell’Arpa concludendo la verifica sui carri accertarono che il sistema frenante non era in funzione. La vicenda per ora ha prodotto solo quattro avvisi di garanzia per omicidio colposo e omissione di cautele contro gli infortuni sul lavoro. In quell’occasione il presidente della Regione Nichi Vendola aveva preannunciato «dure segnalazioni sui livelli di salvaguardia della sicurezza e di prevenzione all’interno della fabbrica», che non ci sono state, e il timore che neanche questa morte cambierà drasticamente le cose è legittimo. Le reazioni di sindacati e rappresentanti sindacali sono state compatte e immediate. «Una morte che addolora – l’ha definita il Presidente della Provincia Gianni Florido – un altro episodio che conferma la necessità di alzare la guardia per quel che riguarda la sicurezza». Più duro il commento di Mimmo Pantaleo, segretario generale della Cgil Puglia. «All’Ilva di Taranto – ha affermato amareggiato il segretario – si continua a morire e l’azienda non fa assolutamente nulla per salvaguardare la sicurezza dei lavoratori. Ancora la morte di un lavoratore. L’ennesima morte causata dalla carenza

negli interventi per garantire le condizioni di lavoro dignitose, da ritmi sempre più elevati, dalla ricerca esasperata di risparmi sulle manutenzioni e sui sistemi di sicurezza. L’uomo in quella fabbrica è ridotto a merce e i diritti dei lavoratori vengono sistematicamente ignorati e calpestati. Spero che l’azienda non continui a ripetere le solite giustificazioni non più credibili, non solo per il sindacato, ma nelle coscienze dell’intera comunità pugliese. Se Riva non cambia atteggiamenti e dimostra effettivamente di voler discutere dei problemi della sicurezza non ci possono essere intese

Un momento del funerale a Mottola di Gianluigi Di Leo, che vide la partecipazione del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, nella foto circondato dai cittadini.

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sui temi ambientali e sul piano industriale». Le organizzazioni sindacali di categoria Fim, Fiom e Uil – si legge nel documento unitario divulgato quel giorno – hanno indetto lo sciopero a fronte di quest’ultimo incidente mortale che evidenzia una forte responsabilità dell’Ilva nell’assegnare i lavoro a terzi senza che questi ultimi abbiano caratteristiche di specializzazione. Abbiamo verificato che questa attività veniva svolta dalla ditta violando le normali procedure di sicurezza e non dotando i lavoratori degli indumenti protettivi. Una posizione molto dura che si è contrapposta alla sprezzante freddezza dei vertici dell’Ilva barricati per ventiquattrore dietro un inspiegabile silenzio. L’ultima notazione, va fatta sull’astensione dal lavoro proclamata dalle organizzazioni sindacali e sul significato, non del tutto nuovo, che ha rivestito. Gli operai che hanno protestato la mattina del 28 ottobre con una presenza significativa (circa l’ottanta per cento) forse sono il segnale che c’è una nuova generazione di dipendenti che comincia a temere meno le ritorsioni di patron Riva & C. Gli altri rimasti “a straordinario” per rimpiazzare quelli in sciopero invece, sono la dimostrazione che certe nuove generazioni non sempre rappresentano un motivo di miglioramento: vergogna! Mentre tutti gli impianti si fermavano si faceva imponente la manifestazione svolta sulla statale Appia e sulla Taranto-Statte. Bisogna chiedere urgentemente di mutare, e in modo approfondito, le parti del piano industriale d’impresa riservate alla sicurezza sul lavoro. Vorremmo considerare lontani gli sfregi ambientali e le morti sul lavoro, ma ci tocca constatare che già troppa gente li considera problemi distanti, superati o superabili. Purtroppo solo un altro incidente, l’ennesima emissione in mare o in aria di sostanze nocive, o un’altra morte sopraggiunta un attimo prima di timbrare il cartellino, renderà questo articolo inattuale. Fino ad allora nulla o poco sarà cambiato, soprattutto lì dentro. ■

Alcuni momenti della protesta degli operai Ilva nella mattina del 28 ottobre con sbarramento della via Appia.

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FOTOSeRVIzIO DI MASSIMO TODARO

SICUREZZA


SICUREZZA

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TEMI GIURIDICI

IL “MARCHIO REGISTRATO”

Uno strumento di competitività per le imprese Un tema di attualità che fa leva sui diritti e sulle opportunità offerte dal “marchio” come strumento di competitività delle imprese. Un incentivo per gli operatori del territorio

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er il sapere comune, come d’altronde per il giurista, il marchio è un segno che caratterizza e contraddistingue una serie di prodotti e/o servizi, individuandone la provenienza da una specifica impresa o casa produttrice. Proprio per le imprese esso costituisce un importante strumento di competitività, in quanto il successo di un’impresa non si raggiunge unicamente rendendo competitivi i prezzi dei proprio prodotti, ma piuttosto attraverso una giusta organizzazione di fattori quali l’innovazione e la qualità. Uno dei modi in cui la qualità può essere messa in evidenza è dato dalle opportunità e dalle garanzie che la registrazione del marchio d’impresa offre a un imprenditore. I vantaggi che scaturiscono dalla registrazione di un marchio pre prodotti e/o servizi sono davvero notevoli e proprio le piccole e medie imprese e gli imprenditori in genere del nostro territorio pugliese – e jonico in particolar modo – possono trarne profitto. Ovviamente, vi è tutta una disciplina che regole il diritto dei marchi, sia a livello nazionale (ved. artt. 2569-2574 codice civile, e fino a poco tempo fa il r.d. 929/1942 e successive modificazioni, oggi sostituito assieme alle leggi regolatrici delle altre proprietà industriali come brevetti e modelli, dal Codice delle Proprietà Industriale contenuto nel d. leg. n. 30 del 10 febbraio 2005) sia a livello internazionale (vedi Convenzione d’Unione di Parigi del

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1883 e Accordo di Madrid del 1891, nei testi attualmente in vigore). Ma quale può essere il suo contenuto? Si tratta di tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente: parole, disegni, lettere, cifre, suoni, colori ed anche combinazioni di alcuni fra essi. Il marchio può essere costituito anche dalla sola forma dei prodotti o della loro confezione (c.d. marchi di forma o tridimensionali), ma deve trattarsi di una forma arbitraria e priva di valore estetico, dovendo esclusivamente indicare la provenienza del prodotto. È anche possibile inserire nel marchio il ritratto o il nome di una persona, ma evidentemente solo con il consenso della persona stessa, lo stesso dicasi nel


caso del nome, se si tratta di nome notorio come ad esempio per le personalità d’arte, della letteratura e dello spettacolo. Un marchio deve possedere alcuni indispensabili requisiti, ovvero: a) deve essere lecito, cioè le parole, figure e segni che lo compongono non devono essere contrari all’ordinamento giuridico e al buon costume; b) originale, nel senso che anche se composto da parole comuni e non appositamente create (nel qual caso sarebbe di per sé originale), queste devono riferirsi a significati diversi da quelli utilizzati per il prodotto identificato; c) nuovo, ossia non deve essere identico o simile ad altri marchi registrati, per prodotti dello stesso genere o di genere affine. Tra le privative industriali, il marchio è senz’altro la privativa che offre la tutela più forte per i prodotti o i servizi che contraddistingue, configurandosi al tempo stesso come un importantissimo strumento di competitività per le imprese. Il marchio, infatti, svolge molteplici funzioni che il pubblico dei consumatori consapevolmente o inconsapevolmente è in grado di cogliere con facilità, essendo d’altronde il destinatario naturale dei prodotti recanti i marchi di impresa e quindi giudice della bontà degli stessi. Le principali funzioni del marchio sono: a) La funzione distintiva che consente al pubblico di identificare determinati prodotti dagli altri dello stesso genere, collegandoli all’origine imprenditoriale; tale funzione porta con sé il diritto di negare a terzi l’uso di tali segni identici, o anche simili; b) La funzione attrattiva, che si realizza quando un imprenditore individua un segno, che per la notorietà acquista in relazione ad altri prodotti di pregio (c.d. marchio celebre), costituisce da un sé un valore che lo rende ambito dal pubblico dei consumatori. In quest’ultimo caso l’imprenditore ha il diritto di vietare l’uso del marchio a

terzi se l’estensione a altri prodotti gli crea un danno, oppure anche se non c’è danno, se il terzo trae comunque un vantaggio. Sarà allora possibile che il marchio svolga anche una funzione suggestiva sul pubblico che associa al marchio di un prodotto o di un servizio una qualità superiore ala media, e ciò maggiormente quanto più il marchio è rinomato e riconosciuto. Spesso, e soprattutto in settori quale l’abbigliamento e la cosmesi, esso diviene un vero e proprio fatto di moda. L’imprenditore dunque, tramite lo strumento del marchio, riesce non solo a distinguere i propri prodotti dagli altri, ma acquista il diritto all’utilizzazione esclusiva del marchio, che inevitabilmente reca con sé garanzia di serietà e qualità. E non solo. Il diritto al marchi rappresenta lo strumento di tutela più facile da raggiungere, proprio perché attuabile attraverso una semplice registrazione presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi (UIBM) e anche per il tramite di studi di consulenza specializzati. In questo caso si riceve una protezione molto forte, in quanto il diritto all’utilizzo esclusivo del marchio si acquista in tutto il territorio dello Stato e per tutti i prodotti indicati nella domanda di registrazione. Inoltre, il titolare di un marchio registrato ha la possibilità di agire in sede giudiziaria s tutela dei propri diritti per contrastare e far cessare immediatamente con un ordine del giudice le utilizzazioni non autorizzate e quindi le contraffazioni, oltre naturalmente a poter ottenere il risarcimento dei danni subiti. Inoltre l’azione potrà avvenire anche in sede penale al fine di accertare il reato di contraffazione, alterazione o Ribalta di Puglia

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TEMI GIURIDICI

uso di marchi contraffatti o alterati. Diversamente da ogni altro tipo di esclusiva, la registrazione dei marchi ha la durata di dieci anni, ma può essere rinnovata senza limiti di volte, dando vita ad una tutela profonda e duratura per il titolare, quasi una sorta di pila che si carica periodicamente del lavoro dell’imprenditore e dei frutti che esso ha dato sul mercato. La registrazione pertanto, oltre che semplice, costituisce anche e soprattutto un validissimo metodo di difesa nei confronti degli imprenditori concorrenti ed attribuisce una serie di vantaggi e facoltà che la mancata registrazione sicuramente non consente. Il titolare del marchio ha anche la possibilità di trasferire tale diritto a terzi per la totalità o per una parte dei prodotti o servizi per i quali è registrato, oppure può trasferire anche il solo diritto di uso del marchio tramite i c.d. contratti di licenza che possono essere esclusivi o non esclusivi. La registrazione del marchio, peraltro, offre tutela anche a livello internazionale grazie all’esistenza di convenzioni internazionali che consentono una protezione estesa ai mercati più lontani ossia quelli dei paesi esteri. In questo trend di vera globalizzazione di amministrazioni e mercati, infatti, la maggiore novità è rappresentata dal Protocollo all’Accordo di Madrid in virtù del quale, con una singola Registrazione Internazionale, i Paesi aderenti (l’Italia dal 2000) ottengono protezione per i propri prodotti o servizi nei paesi designati nella domanda di registrazione – sempre che siano aderenti all’Accordo o al Protocollo – sul solo presupposto della registrazione di base, ossia la registrazione o la pendente domanda di registrazione nel paese d’origine. Infine, a livello europeo, il Regolamento CE n. 40/94 ha introdotto la registrazione del c.d. marchio comunitario che si effettua presso l’Ufficio per l’armonizzazione del mercato interno 30

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(UAMI), con sui si conferisce al titolare del marchio il diritto di utilizzarlo in modo esclusivo in tutto il territorio dell’Unione europea. Si può ben comprendere l’importanza di questo strumento nell’attuale assetto dell’economia nazionale ed europea e nella generale tendenza a superare limiti territoriali nella commercializzazione di prodotti e servizi: il titolare di un marchio comunitario, anche attraverso le licenza d’uso, sfrutta commercialmente la propria privativa moltiplicandone la sfera d’incidenza e facendone menzione nella corrispondenza commerciale, nelle campagne pubblicitarie, via internet e raggiungendo in tal modo territori fino a cui una privativa d’ambito solo nazionale non può spingersi. Nel quadro delle facoltà e dei vantaggi che un marchio offre al suo titolare, si può cogliere l’enorme potenziale di sviluppo che un territorio come quello pugliese e in particolare il nostro territorio jonico ha la possibilità di raggiungere attraverso la tutela industrialistica e commerciale delle proprie produzioni tipiche, e non solo a livello di grandi imprese che costituiscono una miniera d’oro per l’economia pugliese e jonica. Le grandi opportunità di diffusione e di conoscenza dei prodotti e servizi della nostra terra, che i diritti di marchio garantiscono sia sul territorio nazionale sia su quello europeo ed internazionale, possono essere conseguite in modo semplice e rapido attraverso la registrazione non solo di marchi d’impresa, che quindi rendono nota la provenienza del bene da un determinato imprenditore o gruppo di imprese, ma anche attraverso la registrazione dei c.d. marchi collettivi, che sono concessi ad enti e associazioni per garantire l’origine, la natura o la qualità di determinati prodotti. Basti pensare alle numerosissime produzioni tipiche agro-alimentari che la Puglia e la provincia di Taranto vantano o possono diffondere, in maniera sempre più profonda e capillare in Italia e all’estero.


PuNTOLINeA

Peraltro, al di là dei marchi individuali e collettivi che offrono una protezione di natura privatistica, nel settore agro-alimentare ed a causa della debolezza di quest’ultimo, lo Stato incentiva gli operatori con delle privative pubblicistiche a tutela della qualità alimentare la cui normativa “quadro” è rinvenibile nei regolamenti della C.F.. Tali privative sono la DOP (Denominazione di Origine Protetta), le IGP (Indicazioni Geografiche Protette), le DOC (Denominazione di Origine Controllata) e le DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita), le ultime tre sono con riferimento ai vini. Le privative suddette svolgono un importantissimo ruolo di incentivazione nei confronti dei produttori agricoli e si differenziano dal marchio (sia esso individuale o collettivo) per la natura pubblicistica della denominazione o indicazione protetta, in quanto queste ultime non hanno come unico obiettivo la tutela delle singole imprese che fanno uso della privativa, ma, soprattutto, la valorizzazione del prodotto tipico contraddistinto da tali segni, assicurando dunque per così dire “istituzionalmente” la provenienza del prodotto e la sua bontà. Infatti, il bene protetto deve trovarsi in un particolare rapporto con una zona territoriale delimitata, cioè deve essere originario di un’area precisa e circoscritta e l’origine del prodotto deve conferirgli caratteristiche specifiche in termini di qualità e reputazione. Non vi è chi non veda le grandi possibilità di sviluppo e diffusione dei prodotti pugliesi e jonici che offre questo tipo di privativa, sol che si ponga mente al numero elevatissimo di prodotti tipici – dal vino, ai formaggi, ai latticini, ai salumi, agli agrumi – originari della terra di Puglia ed in particolare di Taranto e Provincia, il cui commercio otterrebbe una straordinaria espansione anche sui mercati impossibili da raggiungere per un produttore agricolo. Taranto in particolare vedrebbe i suoi prodotti e i suoi servizi pubbliciz-

zati e garantiti come solo una tutela forte e istituzionale come quella che deriva dai diritti e dalla facoltà dei titolari di marchi di impresa o collettivi può promettere. Ne trarrebbero vantaggio non solo prodotti come i mitili tarantino, i vini e gli agrumi della provincia, quelli da forno e gli altri articoli da tavola (pasta, pane, olii, ecc…), ma anche prodotti di artigianato tipico quali le ceramiche e i vari manufatti artistici, o servizi come ad esempio attività turistiche, sagre, fiere, feste patronali, manifestazioni folkloristiche, riti religiosi, spettacoli musicali, artistici e culturali, visite guidate ai siti archeologici ed escursioni nei luoghi più belli e rinomati della Provincia e della Regione. Si pensi inoltre alla tutela forte e rigorosa che anche le piccole e medie imprese otterrebbero senza grandi sforzi attraverso la registrazione dei marchi dei propri prodotti, con una garanzia di qualità che si punta e si deve continuare a puntare nel territorio jonico, nei quali è forte l’offerta in settori come il turismo, l’artigianato e il terziario, attività vocazionalmente indicate per una tutela qualitativa del servizio reso. E la tutela migliore e più facile da conseguire è proprio ottenibile attraverso lo strumento di competitività insito nei diritti di marchio. Avv. Carmela Tiziana Pulpito Dott.ssa Roberta Scialpi Ribalta di Puglia

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TURISMO

LE ALTRE POSSIBILITÀ

di Nica MAsTRonARdi

Turismo dei siti minori: alternativa di sviluppo locale Provincia di Bari

Il progetto comunitario Equal Radici per la valorizzazione dei “territori marginali” e delle risorse umane nelle province di Bari, Lecce, Matera, Potenza, Salerno

Provincia di Lecce

Provincia di Matera

S

Provincia di Potenza

Provincia di Salerno

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carsa vendibilità e marginalità del territorio sullo scenario turistico definiscono il cosiddetto “turismo minimo”. Siti minori sono infatti tutte quelle aree territoriali che restano escluse dai grandi flussi turistici di massa, destinate ad un turismo di passaggio perché non appetibili dal punto di vista storico-artistico per l’assenza di monumenti particolarmente importanti, per esempio. Una parte considerevole del territorio meridionale presenta caratteristiche uniche sotto il profilo storico, culturale e ambientale ma spesso dimenticate o non opportunamente valorizzate. Si attivano politiche di marketing territoriale ma i flussi turistici

Ribalta di Puglia

sembrano continuare a dominare le mete turistiche classiche. Chi sceglie la Puglia per le proprie vacanze per esempio non trascurerà certamente il consueto percorso della Valle d’Itria, nell’entroterra fra le province di Bari, Brindisi e Taranto che comprende i caratteristici Trulli di Alberobello. Così come sulla costa adriatica non si farà sfuggire un tuffo nelle ‘acque cristalline’ del Gargano o una passeggiata fra i trionfi del Barocco nel Salento. È tempo di vacanze. Sfogliando le pagine dei cataloghi dei più noti tour operator la Puglia continua ad essere rappresentata dal mare di Vieste e Peschici, dalla religiosità di San Giovanni Rotondo, dai monumenti di Castel del Monte e Trani, dalle bellezze paesaggistiche di Lecce e dintorni. E pensare che il territorio su cui insiste ciascuna di queste località è ricco di piccoli centri e masserie immerse negli uliveti della Murgia, sintesi di tradizione, cultura e sapori tipici. Il problema però non è una brillante definizione dei confini delle aree territoriali ma la capacità di riscoprire il filo


Le è mai capitato di fare vacanza in “territori marginali”? rosso in grado di dare senso compiuto a itinerari che devono mostrarsi sempre nuovi e d’interesse, per vecchi e nuovi clienti, locali ed esterni. Dal turismo di massa dunque al turismo tematico: ambiente, natura, storia, cultura, archeologia, monumenti, tradizione, folklore, gastronomia e tanto altro ancora per soddisfare un turista che ricerca una vacanza riposante, poco caotica, alla riscoperta di radici ormai dimenticate. Secondo una recente ricerca sui siti minori condotta dalla dott.ssa Elisa Capozzi, esperta in marketing turistico dell’Università degli studi di Bari, chi sceglie questo tipo di vacanza viene considerato un “consumatore di emozioni, di storia e di sentimenti”, lo si identifica di classe economica media e di cultura medio alta, per lo più si tratta di giovani famiglie sia italiane che straniere. Questo tipo di turismo è, inoltre, solitamente rivolto a studiosi, ricercatori e scolaresche. Dal lato della domanda però la vacanza nei siti minori non è molto gettonata. Fra le motivazioni del non acquisto, il “non mi interessa “ o “non ho avuto occasione” sono le più rilevanti: questi dati fanno immaginare scarsi livelli di consapevolezza sulle caratteristiche e le modalità di fruizione di una vacanza originale e innovativa come può essere quella in un sito minore. Le zone interessate dall’indagine (Bari, Lecce, Matera, Potenza, Salerno) sono per lo più protagoniste di un turismo di passaggio: spesso ci si limita ad intercettare flussi turistici diretti verso altre mete e portarli solo per poche ore nelle proprie località. Le condizioni necessarie affinché il turismo di zona diventi stanziale sono: formulare itinerari tematici in grado di creare attrattiva verso il territorio; creare e/o migliorare i supporti logistico-infrastrutturali tali da garantire validi servizi ai turisti (strade e collegamenti, strutture ricettive, …); educare la popolazione locale alla cultura dell’accoglienza. Probabilmente domanda e offerta non sono in equilibrio. L’offerta non ha investito adeguatamente nella costruzione di formule di alto contenuto di servizio e visibilità, così come la domanda non si è accorta del patrimonio integro e prezioso che ha a portata di mano. La scarsa appetibilità delle proposte turistiche alternative offerte dagli

organizzatori di viaggio porta il turista locale ed esterno ad autogestirsi quando visita siti minori non sedimentando dunque consapevolezza: il turismo dei siti minori non può e non deve essere concepito come turismo in concorrenza con le mete più gettonate, ma come un turismo diverso, con lo stesso contenuto di servizio ma con esperienze da vivere non standardizzate.

Fonte: Ricerca qualitativa sulla valorizzazione dei siti minori, Progetto Radici, a cura della dott.ssa Elisa Capozzi e del dott. Franco de Leo.

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TURISMO

Come valorizzare dunque le aree marginali e renderle attrattive turistiche? È questo l’obiettivo che si è posto il progetto comunitario Equal “Radici” (IT-SMDL-304), integrando il bisogno di lavoro con le potenzialità di un territorio. È un dato di fatto che le migliori risorse umane emigrino alla ricerca di quelle opportunità che la propria terra non riesce ad offrire. È altrettanto vero la difficoltà del turismo tematico ad entrare nei circuiti nazionali ed internazionali oltre alla elevata difficoltà a

rimanervi. Il percorso offerto dal progetto Radici, le cui tappe sono state rappresentate da attività di ricerca, di animazione sul territorio, di orientamento, di formazione e di accompagnamento alla creazione di impresa si è rivolto ai disoccupati delle province di Salerno, Potenza, Matera, Bari e Lecce che hanno aderito al progetto, per sostenere nuove idee imprenditoriali tese alla valorizzazione dei beni culturali, ambientali e paesaggistici delle aree marginali di questi territori.

Cosa è Equal Equal è una nuova iniziativa comunitaria, in linea con le novità del Fondo Sociale Europeo per il periodo 2000-2006: obiettivo è la promozione di nuovi strumenti atti a combattere tutte le forme di discriminazione e di disuguaglianza nel contesto del mercato del lavoro attraverso la collaborazione transnazionale, da un lato tra i progetti, dall’altro tra i decisori. L’iniziativa Equal si basa sui risultati dei programmi comunitari Adapt e Occupazione che attraverso partnership di sviluppo (PS) fra soggetti quali autorità pubbliche, servizi pubblici per l’impiego, associazioni non governative, imprese e parti sociali, mirano alla diffusione e generalizzazione delle buone prassi. Equal assicura la continuità di queste iniziative nell’ambito di un nuovo contesto, quello della strategia europea per l’occupazione attraverso quattro settori tematici: • occupabilità, per l’accesso e l’integrazione nel mercato del lavoro; • imprenditorialità, per fornire gli strumenti necessari alla creazione d’impresa e alle possibilità di occupazione nelle zone urbane e rurali; • adattabilità, per promuovere la formazione professionale di coloro che soffrono discriminazioni e disuguaglianze e per favorire la capacità di adattamento delle imprese ai cambiamenti economici e strutturali; ß pari opportunità fra uomini e donne, per conciliare la vita familiare con la vita professionale sviluppando forme efficaci di organizzazione di servizi di assistenza alle persone. (fonte: www.europalavoro.it)

Occupazione, come definizione di nuovi profili professionali e turismo come approccio strategico al problema dello sviluppo locale. Da un lato infatti gli operatori della formazione professionale di Puglia, Campania e Basilicata hanno permesso ai destinatari del progetto Radici, delle cinque province interessate, di beneficiare di un’attività di bilancio di competenze per valutare il proprio potenziale professionale, il proprio fabbisogno formativo e la collocabilità sul mercato del lavoro. E questo di per se è un approccio innovativo nelle attività di formazione svolte nelle regioni meridionali . Dall’altro la realizzazione di azioni di accompagnamento alla creazione di impre-

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sa, nell’ambito della fruizione dei beni culturali e ambientali, ha posto le basi per uno sviluppo turistico che parte dalle risorse locali preesistenti. Le fasi di ricerca e animazione sul territorio hanno permesso di individuare i potenziali centri turistici: nell’ambito della provincia di Bari per esempio sono emersi 35 comuni (Minervino Murge, Spinazzola, Gravina, Altamura, Santeramo, Cassano delle Murge, Sammichele di Bari solo per citarne alcuni) che pur essendo aree marginali presentano caratteri di vendibilità del prodotto turistico, cultura e tradizioni soprattutto. I giovani disoccupati coinvolti dal progetto hanno quindi analizzato le proprie

Il territorio interessato dal Progetto Radici.


TURISMO

capacità e competenze durante la fase di orientamento, mentre la successiva fase di formazione ha permesso ai giovani selezionati di approfondire temi riguardanti la progettazione di un’impresa turistica, dall’analisi del mercato sino alla definizione del piano d’investimento. Complessivamente hanno fatto domanda di partecipazione al progetto Radici 173 giovani per le cinque province considerate, rispetto ai 450 disoccupati previsti dal bando, 51 su 73 selezionati hanno avuto la possibilità di formulare la propria idea imprenditoriale con l’aiuto di esperti, 26 stanno attualmente realizzando il piano d’impresa . I progetti che hanno beneficiato della fase di accompagnamento riguardano attività di promozione territoriale e accoglienza turistica attraverso la costituzione di agenzie specializzate, gestione di bed & breakfast e ostelli della gioventù, tour operator specializzati nella costruzione di pacchetti turistici tematici . Durante il convegno conclusivo del percorso Radici, tenuto a Bari presso il complesso di S. Teresa dei Maschi, recentemente restaurato e destinato a biblioteca provinciale, si sono commentati questi dati. Ancora una volta la compartecipazione pubblico e privato infatti stenta a decollare. Da un lato la scarsa partecipazione dei giovani al progetto denunzia una carenza di informazione a livello territoriale sulle iniziative comunitarie promosse oltre a una carenza di fiducia nelle istituzioni e amministrazioni locali; dall’altro gli stessi enti provinciali, secondo quanto indicato da Angelo Ruffo,

Presidente della Beta Consult Srl e soggetto referente del Progetto Radici, hanno dimostrato difficoltà nel partecipare alla partnership di sviluppo settoriale promossa dal progetto (che ha visto coinvolti oltre alle 5 Province prima indicate anche Sviluppo Italia Basilicata spa, Novaform, Legambiente Basilicata, Clio srl, Promez Srl, Bic Salerno e Banca Popolare Etica) . I giovani imprenditori necessitano del supporto politico ed economico degli enti locali per promuovere le proprie idee, le amministrazioni locali di ciascun territorio necessitano dei giovani per promuovere il proprio sviluppo. Uno scambio sinergico determinante per la qualificazione del settore turistico in generale, per la promozione delle aree marginali in particolare. Brillante in tema di comunicazione dei siti minori l’intervento di Enrico Finzi, sociologo esperto di ricerche di mercato e presidente di Astra-Demoskopea. Correttezza nel comunicare informazioni veritiere sui luoghi da vendere; passione nel comunicarle; immedesimazione nel cliente; utilizzazione di strumenti di comunicazione quali Internet, fiere di settore e relazioni pubbliche; essenzialità nelle informazioni da comunicare; capacità di fare rete; arte nel saper vendere una “favola” al cliente e non solo informazioni fredde; qualità appassionata per essere competitivi: dieci comandamenti come regole di un turismo alternativo a quello di massa. Territorio, turismo, lavoro: sono questi i tre pilastri dunque su cui basare lo sviluppo turistico dei siti minori. Con la partecipazione di tutti. ■

Le regole d’oro per la valorizzazione dei siti minori Informazione: rivolta ai turisti, ma anche informazione a supporto delle scelte legate alla qualificazione e sviluppo delle aree marginali Pianificazione: governare lo sviluppo dei siti minori significa pianificare scelte strategiche ed azioni operative per raggiungere obiettivi specifici Promozione: creazione di un consorzio tra gli operatori, sulla base delle esperienze già realizzate con successo in altri contesti territoriali Accoglienza: creazione di una rete di punti di informazione/assistenza al turista, valorizzazione delle opportunità offerte dal territorio Qualificazione degli operatori: processi formativi tesi al miglioramento della qualità del servizio, dell’accoglienza e al rafforzamento della cultura locale Ricettività: creazione di strutture di standard internazionale o progettare la ridestinazione di ville/dimore storiche a ricettività di prestigio; ricettività a misura del turismo ambientale, turismo enogastronomico, turismo week-end ed escursionismo; qualificazione di spazi di prestigio per la convegnistica aziendale

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SOCIETÀ

LA FELICE ESPERIENZA DI ALCUNE DETENUTE TARANTINE NEL

Speranze in passerella di Cosimo F. Riondino

idee socialmente utili. Così si riassume l’esperienza di un gruppo di detenute della Casa Circondariale di taranto chiamate a partecipare a un corso che potrebbe costituire una base concreta per ricominciare a vivere una volta fuori... 36

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i sono manifestazioni che meritano di essere ricordate per tanti motivi: affluenza di pubblico, bellezza degli scenari, validità degli ospiti, ecc. La serata di cui parleremo andrebbe ricordata solo perché c’è stata e resterebbe comunque impressa nella memoria di chi ha potuto godere di uno spettacolo piacevole e senza dubbio originale. Fuori Moda è il provocatorio titolo della serata-evento svolta verso la fine di agosto nell’area del porto di Campomarino. Un’occasione che la Consigliera Provinciale di Parità Perla Suma, da sempre attenta a tali iniziative, non ha voluto lasciar sfuggire. «Abbiamo voluto chiamarla Fuori Moda – ha dichiarato la stessa Suma – volendo

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indicare nella Moda la nuova aspirazione con cui riempire di concretezze lo spazio (e il momento) anelato del Fuori. Ma anche alludendo alla condizione di “corpi estranei alla società” che le detenute vivono e che non risulta facilmente cancellabile anche al momento dell’uscita dal carcere a causa del pregiudizio

La Consigliera Provinciale di Parità, Perla Suma, durante il suo intervento alla sfilata di moda tenuta a Campomarino. In alto un momento della sfilata.


CAMPO DELLA MODA

sociale». Non è stato quindi, un defilé come tutti gli altri, anche se i convenuti hanno potuto ugualmente ammirare le creazioni: moda mare, linea estate, abiti d’alta classe e da sposa. Non c’erano grandi marche e mediocri griffe di consumo, a sfilare sono stati i modelli creati e confezionati da diciannove detenute della Casa Circondariale di Taranto. Il frutto di uno dei pochi piani di lavoro realizzati in Italia con successo dalla Pubblica Amministrazione, solitamente tirata in ballo per mettere in evidenza l’esatto contrario: sprechi di denaro pubblico a sostegno di progetti inutili ad uso e consumo di pochi, fortunati personaggi. Tutto è cominciato lo scorso gennaio quando le future stiliste hanno cominciato un percorso formativo diviso in due moduli: uno pratico-applicativo, l’altro preparatorio all’inserimento nel mondo del lavoro, incentrato sull’apprendimento di informazioni giuridiche e economiche e sui temi riguardanti le pari opportunità. Il corso che vanta un partner illustre del calibro di Microsoft, oltre che Hp,

Intel, ha cercato di offrire qualcosa di molto importante: imparare qualcosa che serve ovunque. Non a caso il filo conduttore di tutta l’esperienza è stato l’uso della tecnologia, perché oltre a saper usare ago e filo, e a completamento elle nozioni di conduzione aziendale, le ragazze hanno potuto apprendere il funzionamento di Auto-Cad, un software per progettisti utilizzato anche per chi disegna moda, impiegato nell’applicazione di regole per lo sviluppo taglie. Mai come in questo momento per

Modelle in passerella con i modelli creati e confezionati dalle diciannove detenute della Casa Circondariale di Taranto.

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Altri momenti del defilè.

affrontare il mondo del lavoro, così avaro di opportunità ma sempre più esigente, la conoscenza dell’uso delle tecnologie facilita un inserimento meno problematico, prospettando (anche se non è sempre così e non sempre, qualora questo avviene si traduce in vantaggi) una riduzione dei tempi di produzione. La serata, è giunta a coronamento di un percorso che le ha portate a conseguire il titolo di “Tecnico di Modellistica e Confezionamento”, patrocinato anche dal Ministero dell’Innovazione Tecnologica. La Puglia, regione tra le cinque italiane a maggiore sovraffollamento carcerario, soffre pesantemente – nel campo dell’occupazione – della difficile fase congiunturale dell’economia e fa un piacevole effetto pensare che un giorno si potrebbe aver bisogno delle competenze di una di quelle diciannove ragazze. Il progetto ovviamente mira a questo: favorire il futuro reinserimento in società delle corsiste nel campo dell’industria delle confezioni o in quello del lavoro autonomo di settore. Difficile prevedere gli effetti che potremo raccontare domani, ciò che di concreto rappresenta tutto questo è il valore simbolico che racchiude: per qualcuno la volontà di riscatto per giovani madri che hanno deciso di incamminarsi lungo il percorso della rieducazione attraverso il lavoro, per altri un primo efficace laboratorio di speranze. In epoca di tagli alla ricerca e al lavoro, l’idea di portare un ex detenuta in un industria tessile, sembra rivoluzionaria oltre che paradossale, ma continua a piacerci. ■

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Alcuni dati utili • La Casa Circondariale di Taranto ha una capienza ottimale di 420 detenuti (ma 3 anni fa ha toccato le 750 presenze) e può ospitare una popolazione carceraria femminile nel numero massimo di 50 unità. • Le detenute-madri della Casa Circondariale di Taranto hanno il permesso di tenere in cella i loro bambini.

• Dati dell’Ufficio per io Sviluppo e la Gestione del Sistema Informativo Automatizzato del Dipartimento dell’Am-ministrazione Penitenziaria, riferiti al 30 giugno 2004. • Popolazione carceraria in Puglia: Uomini 3.510 Donne 137 Totale 3.647 • Il 51% dei carcerati detenuti in Puglia possiede solamente la licenza elementare. • La Puglia è tra le cinque regioni italiane a maggiore sovraffollamento carcerario. • In Italia, un carcerato su quattro lavora. Sono, infatti, 14.214 i detenuti occupati,

su una popolazione carceraria di 56.532 persone. Vale a dire il 25,1% del totale. A tenersi attivi in prigione sono più gli uomini rispetto alle donne (13.347 contro 867). La Puglia è quart’ultima, tra le regioni italiane, per incidenza dei lavoratori sul totale dei detenuti, con il 18,7% (in valori assoluti, 705 unità). Sono ben 4.132 gli iscritti ai 367 corsi di formazione professionale attivati, vale a dire il 7,3% della popolazione carceraria. Di questi, 3.714 sono uomini e 418 donne. A frequentare i corsi sono anche 1.087 stranieri (950 uomini e 137 donne), con un’incidenza sul totale degli immigrati reclusi leggermente inferiore rispetto agli italiani (6,1%). In Puglia, la percentuale più bassa di iscritti (1,2%). Non tutti però sono promossi alla fine delle lezioni. Al titolo, infatti, arriva il 67,7% dei frequentanti. Più meritevoli sembrano essere gli stranieri, che superano le prove nel 72,6% dei casi. In Puglia, è pari al 58% la percentuale dei promossi.




PERSONAGGI • Mimmo Pecoraro

Ho scritto con il lavoro il romanzo sulla mia vita… «Le mie speranze le ripongo nelle mie figlie, auguro loro la stessa fortuna, spero siano rispettose della vita che hanno e che non si sottraggano mai all’impegno e al sacrificio» di Vito Donato Litti

Nelle due foto: Mimmo Pecoraro e la sua casa a Manduria.

pesso io e mia moglie siamo ospiti in casa di amici a Manduria, antica cittadina messapica nella penisola salentina, ai margini della provincia di Taranto. Ho conosciuto Mimmo e sua moglie Lucia da molti anni, durante i quali stima e affetto hanno solidificato la nostra amicizia, ma, se devo essere sincero, ritengo affascinante di quest’uomo la sua ferrea volontà di adempiere i suoi progetti e la sua capacità nel realizzarli. A pensarci bene, le sue doti hanno già premiato la sua vita avventurosa, riservandogli non poche soddisfazioni; se un giorno vi capiterà di essere nella sua casa, vi accorgerete che oltre ad essere molto carina è anche funzionale, a partire dagli ambienti arredati con stile, la bellezza delle piante che guarniscono i balconi, le calate di fiori sulle finestre, insomma nulla nella casa di Mimmo Pecoraro si trova lì, casualmente. Se siete nella sua officina (dove svolge la sua attività di carburatorista), sarete colpiti dall’ordine con cui sono sistemati gli strumenti, le serie di chiavi appese in apposite bacheche, i ricambi in capienti scaffalature, i suoi lucidi banchi da lavoro. Se siete invitati nel giardino attiguo, sarete sorpresi della distribuzione ottimale dei suoi alberi da frutto e quelli ornamentali, la volta barocca dei tralci che si accendono di verde dalla primavera fino a ottobre inoltrato, sul terreno (negli ampi spazi tra un fusto ed un altro) non un filo d’erba, ma piante di ortaggi, verdure e altre primizie che è abituato ad offrire agli amici. L’amore per la terra risale alla sua infanzia trascorsa nei campi ad aiutare suo padre, tra i profumi della natura, le distese di coltivazioni, dove trascorreva le stagioni estive. Mimmo ricorda quei tempi come un sogno, la finestra di una realtà mitica, che sa di avere vissuto, ma è andata perduta per sempre. Forse per questo, quando ci pensa, ne rimane distante, come se leggesse un romanzo in cui non è lui il protagonista, ma lo emoziona ogni volta, quando qualcuno lo persuade a raccontare. Mimmo Pecoraro abitava in una piccola viuzza del centro storico, a due passi dall’edificio scolastico dove

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frequentò i primi due anni di scuola elementare. Benché fosse timido e riservato aveva molti compagni con cui era per strada nei giochi innocenti della sua età: a “buttuni” (consisteva nel contendersi i bottoni inservibili recuperati da indumenti vecchi), a cartine, a biglie di vetro colorate, a mago libero e tanti altri che hanno caratterizzato l’infanzia di un epoca. La famiglia Pecoraro viveva del lavoro dei campi, il padre non riusciva a guadagnare abbastanza, doveva sopportare sacrifici enormi; Mimmo visse in questi anni di stenti, ci ricorda il desiderio del cibo, la madre continuamente ammalata, si cercava di tirare avanti. Tuttavia la vita in famiglia si svolgeva in armonia, i problemi contingenti venivano superati dal buon umore del padre, il quale faceva di tutto per far sorridere i suoi figli e la moglie. Quando terminò la terza elementare il padre trova finalmente un lavoro stabile, fu assunto come guardiano presso una grande azienda agricola sperduta tra i latifondi di Salice Salentino. Questo cambiamento portò benefici alla famiglia, in quanto il signor Pecoraro ebbe un salario garantito e poteva disporre di alcune provviste stabilite dal nuovo contratto: fave, ceci,grano, vino,olio e quanto la coltivazione dei campi poteva offrire. Mimmo subì alcuni scompensi da questo stravolgimento, che comportava la perdita di tutti i suoi amici con i quali era abituato a giocare nelle stradine di Manduria e la lontananza del luogo dove si era trasferito lo costrinse ad interrompere la scuola. Qualche mese dopo due maestre di buona volontà avevano predisposto in una casa colonica due stanze, in cui avevano organizzato due corsi: nella prima frequentavano bambini di prima e di seconda, nella seconda c’erano i più grandicelli, come Mimmo, che si dividevano in alunni di terza, quarta e quinta. Il piccolo scolaro riprese la scuola interrotta, ma quando tornava a casa invece di trovare gli amici ad aspettarlo, il padre, malgrado lui fosse piccolo e troppo magro, se lo accattivava con qualche ricompensa irrisoria o, semplicemente, gli veniva imposto di aiutarlo nel lavoro dei campi. In estate i bambini erano felici che la scuola era finita e le vacanze cominciavano, per qualche mese potevano solo giocare. La realtà di Mimmo non era questa, il padre lo impiegava come «acquarulu», che è colui il quale trasporta le anfore d’acqua, che servivano per dissetare i braccianti, uomini e donne, che si affaticavano nella raccolta del prodotti della terra. Mimmo era un 42

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ragazzino che non contestava mai gli ordini del genitore, pensava che il suo dovere di figlio era unicamente obbedire e anche se soffriva per quelle imposizioni (come altri bambini-operai che conobbe in seguito), durante gli attraversamenti dei campi con le anfore di acqua, ricordava con nostalgia i vecchi amici dei vicoli del paese. Dopo la licenza elementare si iscrisse al Primo Avviamento Industriale e, poiché il paese più vicino alla masseria dove viveva era san Pancrazio Salentino, ogni mattina era costretto a raggiungere il paese con la bicicletta, portandosi la sorella minore sul volante. È inutile che vi dica che le strade di collegamento erano in terra battuta e quando pioveva s’infangavano, erano delle lunghe pozzanghere. Nonostante queste difficoltà egli riuscì caparbiamente a superare due anni durissimi di enormi mortificazioni, in quanto i suoi compagni di scuola lo canzonavano ripetutamente per le grandi fatiche a cui si sottoponeva in famiglia, non escluso il lavoro dei campi. Quando il padre fu licenziato dalla masseria, egli rientrò finalmente a Manduria, iscrivendosi alla scuola professionale del “Villaggio del Fanciullo”. Mimmo ricorda che quegli anni furono assai tranquilli, il professor Sabatini lo prese a cuore e, poiché egli era volonteroso, l’insegnante si dimostrò molto disponibile, fu prodigo a illustrargli l’uso delle diverse attrezzature, gli

Mimmo Pecoraro nell’ufficio della sua officina e con la moglie Lucia.


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L’AMORE PER LA

TERRA RISALE ALLA SUA INFANZIA

TRASCORSA NEI CAMPI AD AIUTARE SUO PADRE…

spiegò lo strumento del tornio, come utilizzarlo, così fece anche per altri macchinari. Un giorno il padre gli propose di recarsi presso una buona officina meccanica di autoriparazione onde affiancare alle nozioni di teoria anche la pratica di un mestiere, che avrebbe potuto offrirgli una strada per il futuro. Mimmo acconsentì e unì all’impegno della scuola anche lo sforzo del lavoro «… a patto che possa frequentare i miei amici», disse. Fra essi c’era un certo Paolo Brescia, un coetaneo con il quale trascorreva alcune ore della domenica in avventure e scoperte adolescenziali. Sentite questa. Con i piccoli risparmi del suo lavoro Mimmo Pecoraro riuscì ad acquistare un vecchio scooter di seconda mano, Aquilotto Bianchi, la vecchia moto gli diede la sensazione di essere diventato già grande. Una sera i due amici erano nel comune limitrofo di Avetrana, attirati dalla festa patronale di san Biagio. Trascorsero la serata in piazza tra le bancarelle illuminate da mille luci multicolori e si fermavano a partecipare al giuoco del tiro a segno. Vinsero una bottiglia di marsala. Sulla strada del ritorno si trovarono in aperta campagna, al buio, fermi sulla loro moto, che non aveva più miscela nel serbatoio. I due amici, a malincuore, si affidarono ad un rimedio impossibile quanto fantasioso, aprirono la loro bottiglia di liquore, versarono il suo contenuto nel serbatoio vuoto e… brmmm bbrrmm bbbrrrm… riuscirono a ripartire. Erano anni di spensieratezza , la vita scorreva allegra nelle vene del giovane Mimmo, il quale cominciava a vedere il mondo con più autonomia e padronanza. Finalmente giugno era arrivato, il conseguimento del diploma doveva rivelarsi il premio del suo infaticabile impegno, purtroppo Mimmo si ammalò proprio nei giorni degli esami. Quando tutto era compromesso per lui, il prof. Sabatini andò a casa e gli disse «alzati! Alzati, su dai…» fu costretto per qualche ora di tirarsi giù dal letto, perché doveva recarsi a scuola per sostenere gli esami. Mimmo era febbricitante, non se la sentiva, ma il suo professore era perentorio. “Non devi lasciarti mai sfuggire una sola occasione della vita. Chiaro?” Strinse i denti, prese i suoi libri e lo seguì davanti alla commissione di professori. Che lo premiarono! Successivamente Mimmo accettò di lavorare con il padre in campagna, dove il mestiere bracciantile, anche se modesto, fruttava pur sempre una giornata di lavoro. Ma egli non era soddisfatto.

Nei primi mesi del 1968 decise di partire per Torino, dove si trovava la madre, ospite da una zia. Arrivò nella stazione di Porta Nuova con enormi scatoloni di cartone,in cui ,tra i suoi effetti personali, aveva impacchettato fave, ceci, farina, friselle, pentole e coperchi ecc… che gli era stato raccomandato di portare dal paese. Dopo che Mimmo salì a fatica sul tram con tutti i suoi bagagli, due scatole si ruppero e fuoriuscirono i tegami, rotolando rumorosamente sul pavimento del mezzo pubblico, tra l’ilarità dei passeggeri. Nel capoluogo piemontese Mimmo si accorse subito che quella metropoli potesse offrire molto ad un giovane come lui. Avrebbe dovuto solo cercare, cercare con insistenza, alla fine trovò lavoro presso una piccola autofficina; dopo qualche giorno un amico di famiglia, conoscendo le sue capacità professionali, gli propose di presentarsi in una fabbrica la Robott F.” dell’indotto Magneti Marelli. Durante il colloquio il direttore constatò la sua preparazione e, apprezzando il suo diploma di “congegnatore meccanico”, che aveva conseguito ai salesiani di Manduria, gli comunicò che l’indomani sarebbe stato assunto come operaio di terza categoria. Naturalmente il suo entusiasmo era alle stelle. Tuttavia risentì alquanto l’impatto nella grande azienda, era molto diverso dalla piccola officina di paese in cui era abituato, dove i lavori erano alquanto rari; qui, invece, si trovava in una febbrile fabbrica del nord di seicento operai, che gli procurò non poco disagio,ma alla fine la sua buona volontà e il suo spirito di adattamento prevalsero. Non trascorse molto tempo che anche i suoi diretti superiori stimarono le sue potenziali capacità e la sua inesauribile voglia di fare; per la sua diligenza nelle mansioni che espletava gli proposero di entrare a far parte della turnazione delle squadre di operai del suo stesso settore. Dopo i primi quindici giorni Mimmo ebbe un acconto di diecimila lire e, a fine mese, gli venne consegnata la sua prima busta paga, sulla quale risultava un saldo pari a settanta mila lire. Era una cifra enorme per l’infaticabile lavoratore di provincia. Quella sensazione lo portò a credere nelle sue capacità «se mi pagano vuol dire che valgo». Egli visse questo periodo favorevole mantenendo lo stesso ritmo, lo stesso impegno, continuava ad imparare, a lavorare, ad essere responsabile nel suo lavoro, tutto questo gli fecero conseguire risultati incoraggianti per i quali invitò il padre e i fratelli a lasciare i faticoRibalta di Puglia

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si lavori dei campi del paese e di raggiungerlo nel capoluogo piemontese, perché lì di lavoro ce n’era… e si guadagnava bene. Il padre di Mimmo lesse scettico la sua accorata lettera, non considerò con importanza il suggerimento del figlio, ma dopo la violentissima grandinata del 24 giugno di quell’anno, in cui venne compromesso l’intero raccolto, si persuase a malincuore di partire per Torino e si ricongiunse con la sua famiglia, che lo aspettava. Mimmo intanto faceva carriera nella sua azienda, i suoi superiori apprezzarono la sua solerzia, fu promosso capo squadra del proprio settore. La sua carriera gli procurava soddisfazioni, una dopo l’altra. La vita continuava a regalargli momenti di plauso, gli amici gli consigliavano di concedersi un po’ di svago, conobbe alcune ragazze e si aggregava spesso in discoteca o in qualche sala cinematografica, a fine settimana si univa alla sua comitiva per andare in montagna, al Sestriere. Si, la vita di Mimmo Pecoraro era decisamente cambiata, egli era diventato un uomo, grazie al proprio lavoro e la vita dinamica che conduceva. Erano lontani i tempi in cui era uno squattrinato ragazzo di bottega, senza futuro. Ve lo ricordate? Il suo impegno, il suo coraggio di affrontare di petto le difficoltà della vita, la sua sfrenata voglia di fare, alla fine lo avevano premiato. Ma egli sentiva che non poteva ancora fermarsi, il successo conseguito in quegli anni non riuscì minimamente a smorzare la sua passione per il lavoro, i suoi interessi… la sua irrefrenabile voglia d’imparare nuovi mestieri lo tenevano sempre in fibrillazione. Ascoltate un po’ il resto della storia, i accorgerete quanto quest’uomo abbia avuto tanta energia da calamitare la fortuna dalla sua parte. Aveva trascorso un breve periodo in cui oltre il suo impiego in fabbrica si dedicava nelle passeggiate con amici, con i quali vagava spensierato nelle strade di Torino: bar, discoteche, chiacchierate… No, no… cominciava a perdere il suo entusiasmo per ciò che faceva, all’improvviso sentì la necessità di occuparsi di altro, non si potevano sciupare ore intere senza fare qualcosa di utile, di interessante. Una sera, si avvicinò istintivamente ad una vecchia officina meccanica, dove si stava riparando un’auto. «Maestro – chiese istintivamente – avete bisogno di un operaio per qualche ora al giorno?». Il proprietario acconsentì, quando vide che Mimmo ci sapeva fare con i motori gli fece la proposta di una assunzione immediata. Egli vi 44

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rimase dal 1970 fino al 1977, periodo in cui Mimmo riuscì ad imparare quel nuovo mestiere, che gli riservò una nuova svolta della sua vita. Quella definitiva. Scopri casualmente di avere nostalgia per il suo paese, questa idea cominciava a formicolargli nella testa. «Ma se torno giù, come faccio a vivere? Con quale lavoro? A Manduria è tutto fermo come l’ho lasciata anni fa, non c’è possibilità di una sistemazione…». Quando Mimmo Pecoraro ebbe l’ardire di sfidare nuovamente il suo destino era un giovane David, appena ventisette anni. Tornò nel suo paese con moltissima esperienza, un nuovo mestiere ben saldo nelle sue mani, nella mente già frullavano idee nuove, progetti, grande fiducia in se stesso e un segreto nel cuore. Infaticabile voglia di lavorare! Egli attinse a tutti i suoi risparmi che aveva messo da parte da quando era «l’emigrante», impiegò quel piccolo capitale per costruire la sua nuova officina sul suolo che la madre gli concesse e… finalmente avviò la sua attività di artigiano carburatorista. Quando egli rese stabile la sua azienda si persuase che, per essere felice nella vita, era tempo di cercare una ragazza, che lo comprendesse e con lei raggiungere un obbiettivo comune. La fortuna gli diede ancora una mano, incontrò un’amica, con la quale si stimarono e si amarono da subito. Ora la sua vita si svolge seguendo due principi fondamentali, l’impegno nella gestione della sua ditta (una delle più attrezzate della provincia di Taranto nel campo dei carburatori per auto), e la cura devozionale della famiglia, l’amore paterno verso le due figlie, Patrizia, oggi studentessa universitaria a Lecce, e Mariella nelle scuole medie superiori della città messapica. Chiedo a Mimmo Pecoraro se ha un desiderio da confidarmi. «Quelle che sono le mie speranze le ripongo in Patrizia e Mariella, auguro loro la mia stessa fortuna, ma soprattutto siano rispettose della vita che hanno, non si sottraggono all’impegno e al sacrificio, energie necessarie che con l’andare premiano, premiano chiunque. Proprio come è successo a me!». ■

SCOPRÌ

CASUALMENTE DI

AVERE NOSTALGIA

PER IL SUO PAESE, QUESTA IDEA COMINCIAVA A FORMICOLARGLI NELLA TESTA…



La aaaaaaaaaa aaaaaa aa Taaaaaa

Un viaggio impossibile

Verso la Sicilia testo e disegni di Angelo R. Todaro diciannovesima parte

Mentre nell’arena iniziano gli scontri tra i gladiatori professionisti, Orazio narra dell’Italia e di Cartagine, della ricchezza e della crudeltà punica, e di come iniziò la guerra tra le due più grandi potenze del Mediterraneo occidentale

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S

iamo ancora seduti sui gradini dell’anfiteatro di Statilio Tauro. Dopo l’inutile giro del carro con le ragazze spargi doni, inutile almeno per noi, Orazio, Lucio Vario ed io siamo in attesa che compaiano i primi pali, come mi hanno detto, i gladiatori professionisti. – Allora, Orazio – chiedo – , i duelli dei professionisti sono più interessanti? – Sono più coreografici. – Ma essi sono anche più bravi, Angelo – aggiunge Vario – e te ne accorgerai. Sonori squilli di tuba richiamano la nostra attenzione. La grande porta si spalanca e appaiono due carri da guerra, ognuno tirato da due cavalli. Poi, man mano, si riversano nell’arena altre bighe. Su ogni carro, oltre all’auriga, c’è un gladiatore vestito di tutto punto, alcuni con l’elmo tenuto sotto il braccio, altri indossato sul capo. Ognuno saluta il pubblico con ampi gesti della mano, sommerso dagli applausi e dalle grida d’incitamento. Dietro ai carri seguono i suonatori. – Ecco i primi pali – m’informa Orazio. La sfilata di carri effettua un giro completo dell’arena poi tutti si schierano al centro. I gladiatori smontano e in corteo compiono un altro giro, quindi si dirigono verso il podio di Augusto, levano il braccio destro e ripetono la formula. – Ave Caesar, morituri te salutant! – Ave – risponde Augusto, che tiene sollevato anch’egli il braccio destro. – Mi sembra che questi gladiatori non portino i collari – dico. – Non ne hanno bisogno – risponde Vario – sono professionisti che duellano

solo per denaro. – E per denaro muoiono? – Anche. Possono morire, ma di solito non duellano all’ultimo sangue… – Cioè? – chiedo. – Di solito il duello è fermato al primo sangue, Angelo, ma non sempre è così – aggiunge Orazio. – Allora, che professionisti sono? – Anzi, proprio per questo. Perché sono professionisti e molto abili nel loro lavoro… Intanto i gladiatori sono rimontati sulle bighe e salutano ancora il pubblico mentre gli aurighi li conducono fuori dall’arena. Escono anche i suonatori. – Essi sono talmente bravi nel duellare – continua a spiegare Orazio – che godono di una certa fama. Ai vincitori spettano onori d’ogni tipo, oltre al denaro


MMMMMMMMMMMMM íˇ€MMMMMMMMMMMMM – L’ebbe nella seconda guerra punica‌ – Punica? – SÏ‌ – mi dice Orazio agitando una mano – le guerre di Roma contro i Puni‌ con questo nome i Romani chiamavano i Cartaginesi. – Ah‌ le guerre contro Cartagine. E cosa avvenne nella seconda guerra punica? – Arrivò in Italia Annibale ‌ – Annibale, il grande condottiero‌ portò anch’egli gli elefanti, mi pare‌ – SÏ‌ – Però se c’è stata una seconda guerra‌ vuol dire che c’era stata anche una prima. – Ma che bravo! – mi dice Orazio, accennando un sorriso – Però nella prima guerra punica Taranto non ebbe parte, se non fornendo navi e marinai, al pari delle altre cittĂ greche‌ e comunque combatteva per Roma e non contro. – Quindi scoppiò davvero la guerra tra Roma e Cartagine cosĂŹ come aveva previsto Pirro – concludo – . – GiĂ . Proprio cosÏ‌ Ricordi, vero? Infatti l’aveva predetto. Rientrano i suonatori, ma questa volta non nell’arena, bensĂŹ sugli spalti lungo il muro di cinta. E infatti lĂŹ si fermano, in uno spazio che

Scudo cartaginese d’ispirazione greca.

La grande porta si spalanca e appaiono due carri da guerra, ognuno tirato da due cavalli. Poi, man mano, si riversano nell’arena altre bighe‌

Š testo e disegni di Angelo Todaro

guadagnato. I loro volti li puoi vedere dipinti sui manifesti che celebrano e pubblicizzano le loro imprese e persino sul vasellame che i tifosi espongono in casa. – Ma guarda! – Eppoi i gladiatori vittoriosi sono ammiratissimi dalle donne – aggiunge Vario. – Cosa dici? Quei tizi, dalle brutte facce piene di cicatrici, sono ammirati dalle donne? – Proprio cosĂŹ – dice Orazio annuendo col capo – Molti di essi hanno avuto l’appellativo di suspiria puellarum, sospiro delle fanciulle, oppure di decus puellarum, gioia delle fanciulle, per l’amore che essi suscitano nelle ragazze ed anche nelle dame dell’aristocrazia, le quali apprezzano molto i loro abbracci. A quelle donne poco importano le cicatrici che deformano i loro volti e sono invece affascinate dalla brutale forza fisica‌ – ‌ al punto di trascurare anche marito e figli – aggiunge Vario – . Si sono verificati molti casi del genere, Angelo. Alcune donne sposate sono fuggite col loro beniamino, anche se era un bruto, sfregiato e tutto coperto di cicatrici. – Chi l’avrebbe mai detto! – Ai loro occhi, Angelo, quei gladiatori appaiono dei Giacinti – conclude Orazio – . Ăˆ il ferro che esse amano‌ e il sangue! – Guardati da quelle donne, allora! – concludo io – . Ma intanto che aspettiamo, Orazio, raccontami di Taranto‌ quindi, Taranto non fu cancellata dalla storia dopo la resa a Roma? – Infatti è cosĂŹ. – Ma quale altra occasione ebbe, se era in potere dei Romani?

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MMMMMMMMMMMMM íˇ€MMMMMMMMMMMMM

Dopo la conquista della Magna Grecia, per infondere nei confederati (anche greci) un sentimento nazionale, i Romani rispolverano per la nuova Italia l’antico appellativo di “uomini togatiâ€? per antitesi ai Celti che sono “uomini bracatiâ€?, cioè che portano i pantaloni e non la toga.

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prima era rimasto vuoto. – Ma perchĂŠ ora suonano da lĂ sopra? – Per lasciare libera l’arena; – m’informa Vario – ci sarĂ bisogno di spazio. – Ah!‌ I suonatori cominciano a strombettare e i tamburi a rullare, solo per intrattenere gli spettatori in attesa che accada qualcosa. – Cosa avvenne con Annibale? – chiedo ad Orazio. – Prima di parlare di Annibale, Angelo, sarebbe meglio raccontarti ciò che accadde prima. L’impresa di Annibale avvenne come diretta conseguenza di avvenimenti accaduti in precedenza, e se non li considerassimo non potremmo neanche comprendere la stessa esistenza di Annibale. – Davvero?‌ – Ebbene‌ – continua Orazio – tu sai che durante la guerra contro Pirro, Roma e Cartagine furono alleate. – Ricordo. – In quel tempo Cartagine padroneggiava il mare. Ma mentre Taranto era stata piegata dall’occupazione romana, Siracusa disputava ancora ai Puni la signoria del mare d’occidente‌ Oltre a Siracusa soltanto la greca Massalia continuava ad essere padrona del suo mare Gallico, mentre tutte le altre cittĂ marittime avevano scarso peso nel commercio navale. Stessa sorte era per Roma, che poteva occuparsi poco dello stato delle cose nel Mediterraneo‌ come sai. Per questo i Romani avevano volto la loro politica alla sottomissione della penisola italica. – GiĂ , lo so‌ si son beccati anche Taranto! – Ma nonostante Taranto fosse caduta, di fatto ai Romani era ancora precluso di navigare ad oriente. – Come mai? – PerchĂŠ la gelosia dominatrice sul mare di Cartagine costringeva i Romani a rassegnarsi all’esclusione dagli scali del commercio, tanto a levante quanto a ponente. – Proprio fetenti, ’sti Cartaginesi!‌ – Ma ora le piĂš importanti cittĂ della costa italica erano occupate da colonie romane: Cere, Anzio, Terracina, l’isola di Ponza, Sinuessa, Sena Gallica, Castronovo, Brindisi‌ e pure le cittĂ greche, come Neapolis, Reggio, Locri, Eraclea, Taranto‌ Tanto che i cittadini di tutte le cittĂ costiere erano stati esentati dalla leva per l’esercito di terra per andare a costituire una rete tesa a protezione di tutti i lidi d’Italia. – Per proteggerli dai pirati? – Per proteggerli dai Cartaginesi, specialmente. Noi Romani temevamo un allargamento della loro influenza anche in Italia‌ Ma gli uomini di Stato, però, sapevano bene che tutte queste fortificazioni costiere poco contavano senza una marineria da guerra che potesse tenerli lontani. Quindi Neapolis, Taranto e le altre cittĂ furono obbligate a fornire navi da

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guerra e marinai come contingente federale, che ingrossarono di molto la misera flotta romana. – Perciò Roma ora aveva una flotta da guerra‌ – Il Senato romano intendeva conquistare l’indipendenza sul mare per sostituire Taranto nelle sue relazioni commerciali, ma per far ciò doveva lottare contro la supremazia cartaginese e questo creò attrito con Cartagine. – E scoppiò la guerra. – Non ancora. Non dimentichiamo che nel nord della penisola abitavano i Celti, e anch’essi costituivano una minaccia‌ Il pericolo celtico favorĂŹ l’accentramento delle forze militari del resto d’Italia in mani romane. I Romani, pertanto, si misero alla testa della difesa nazionale e obbligarono gli Etruschi, i Latini, i Sabelli, gli Apuli e gli Elleni a concorrervi secondo le proprie forze. Quest’unione militare-amministrativa, che fino a quel momento era stata piuttosto vacillante, acquistava ora una saldezza definita e basata sul diritto pubblico. Ma Roma non si limitò a questo per infondere negli italici un sentimento nazionale‌ – Cosa vuoi dire, Orazio? – ‌ ad esempio il nome “Italiaâ€?, che in origine gli Elleni avevano dato all’estrema punta della terra dei Brutii, e che poi avevano esteso all’intero arco ionico, fu volutamente allargato dai Romani a tutte le regioni abitate dalla gente togata. – Cioè?Come sarebbe?‌ togata‌ – Ma sĂŹ, Angelo‌ cominciò anche a diffondersi, tra le popolazioni confederate con Roma, un nuovo appellativo comune, quello di “uomini togatiâ€?, che era l’antica designazione che i Greci davano ai Romani e ai Latini. – Ho capito‌ Ma perchĂŠ questo? – Proprio per generare nel popolo un sentimento nazionale‌ te l’ho detto. Il paese gallico fin dai tempi piĂš antichi s’era sempre presentato come nemico naturale del paese italico, perciò gli italici si definivano ora “uomini togatiâ€? per antitesi ai Celti, che erano invece “uomini bracatiâ€?, cioè che portavano le brache e non la toga. – Ah, sÏ‌ i pantaloni‌ ma non capisco il perchĂŠ di questa distinzione! – Beh, Roma aveva buone ragioni per diffondere tra i confederati, anche tra i Greci, questa antica definizione. Insomma, se qualche comune italiano si fosse unito ancora con i barbari contro Roma, approfittando dell’occasione per recuperare la perduta indipendenza, certamente il “sentimento nazionaleâ€? avrebbe prevalso. Pensa‌ com’era possibile che “uomini togatiâ€? potessero mettersi in combutta con “uomini bracatiâ€?? – Ohibò! Ăˆ vero! Che furbacchiata! – Quindi la nuova Italia era diventata un’unitĂ politica e cercava di crearsi un’unitĂ nazionale, anche se era piĂš facile a dirsi che a farsi‌


MMMMMMMMMMMMM íˇ€MMMMMMMMMMMMM Comunque, con lo scorrere degli anni, oltre al denario romano anche la lingua latina si diffuse in tutta la confederazione italica per divenire l’idioma di tutti coloro che portavano la toga latina. Ciò nonostante‌ – SĂŹ? – chiedo incuriosito. – ‌ i Greci d’Italia consideravano i Romani e gli altri popoli italici ancora dei barbari‌ – Ah, lo credo bene‌ in fondo non parlavano il greco. – Infatti‌ – continua Orazio – e quando giunse Annibale, il piĂš pericoloso nemico di Roma, molte cittĂ greche si allearono con lui, Taranto compresa. – Mi sembra logico? Ebbene? – Ebbene‌ come potevano i Romani avvicinare i Greci e farsi considerare loro pari? – Già ‌ come? – Ad esempio‌ perchĂŠ non approfittare, immaginarono i Romani, dell’idea avuta dal poeta greco StesĂ­coro, che per primo cantò la venuta di Enea in occidente, per arricchire poeticamente il mondo favoloso della sua patria nativa e adottiva, la Sicilia e la Magna Grecia? Infatti fu lui a gettare le basi della leggenda di Enea che rimasero incancellabil; dell’eroe che, col vecchio padre Anchise recante le sacre reliquie e col tenero figlio Ascanio, fuggĂŹ da Troia in fiamme per approdare in Italia‌ Certo che, se anzichĂŠ sbarcare in Sicilia, Enea fosse sbarcato nel Lazio‌ e magari avesse preso parte alla fondazione di Roma‌ ciò sarebbe stato fantastico! – PerchĂŠ, non fu cosĂŹ? – Beh! Secondo Ellanico, che scrisse nell’epoca di Archita, Enea venne nella penisola italica, e qui le donne troiane che lo seguivano bruciarono le navi, ed Enea e i suoi seguaci furono costretti a fermarsi fondando una cittĂ , alla quale dettero il nome di una di quelle troiane: Roma. – Davvero? – ‌ Ma Aristotele, una ventina d’anni piĂš tardi, narrò invece che furono alcune navi achee a gettarsi su una spiaggia latina; lĂ le navi furono incendiate dalle schiave troiane, e perciò dai discendenti di quegli uomini Achei, costretti ormai a rimanere lĂŹ, e delle loro donne troiane erano discesi i Latini. – Che baraonda‌ ma insomma, chi aveva ragione? – Allora‌ ecco dare manforte ai Romani un altro scrittore greco, Timeo di Tauromenio di Sicilia, il quale fuse le due leggende e narrò, proprio negli anni in cui tutta l’Italia veniva ridotta all’obbedienza di Roma, che Enea era invece sbarcato nel Lazio, aveva fondato prima Lavinio, ponendovi la sede dei Penati troiani, e poi edificato Roma. A Lavinio, infatti, c’è un antichissimo santuario che si dice costruito sulla tomba di Enea. Egli inserĂŹ nella leggenda di Enea anche Didone, la fondatrice di

 ‌Infatti fu lui a gettare le basi della leggenda di Enea che rimasero incancellabil; dell’eroe che, col vecchio padre Anchise recante le sacre reliquie e col tenero figlio Ascanio, fuggÏ da Troia in fiamme‌

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MMMMMMMMMMMMM íˇ€MMMMMMMMMMMMM Cartagine, e aggiunse anche che Roma e Cartagine erano state fondate nello stesso anno. – Insomma! Fu cosĂŹ oppure no? – Angelo, queste novitĂ furono ispirate da quanto ti ho detto prima e dalla crisi che si andava preparando fra i Romani e i Cartaginesi, come scrisse lo stesso Timeo, ed anche da relazioni pervenute in Sicilia sui costumi e sugli usi dei Latini di cui Timeo aveva udito narrare. Ad ogni modo, ai Romani piacque questa storia: se si poteva dire che Roma era stata fondata da Troiani, quindi da Elleni o comunque orientali, ciò avrebbe aiutato l’Urbe a migliorare le relazioni con le cittĂ greche confederate. – Capisco cosa vuoi dire. Un conto è essere sottomessi da una cittĂ barbara, un altro è esserlo da una cittĂ che comunque ha avuto un’origine greca‌ sia pure lontana, come nel caso di Roma. – Infatti. – Beh, ma non ha detto la stessa cosa Virgilio?‌ mi riferisco alla leggenda di Enea‌ – SĂŹ, con la sua Eneide, poema sublime‌ fortemente voluto da Augusto‌ – Cosa vuoi dire con ciò? Che la storia di Enea è tutta una balla? Orazio non ha modo di rispondermi perchĂŠ acuti squilli di tuba zittiscono tutti gli spettatori. – Inizia lo spettacolo – dice Vario. Poi una voce tuona nell’arena interrompendo il breve silenzio che s’era creato: – Ed ecco a voi due valorosi combattenti, eroi di tante battaglie vinte con onore nelle arene di tutto l’Impero‌ Eliodoro l’essedarius in lotta contro Turio l’hoplomachus! A sentire quei nomi il pubblico scoppia in un vigoroso applauso. Grida e incitamenti s’alzano in particolare dalla zona occupata dalle donne. Nell’arena cadono persino coriandoli e petali di fiori, specialmente dal podio occupato dalle Vestali. – Per Bacco – dico – , anche le Vestali sono in festa? – PerchÊ‌ non sono donne quelle? – chiede Orazio ammiccando un sorriso. – Beh, ma sono vergini, no? – continuo. – Sicuro. – conferma Vario – Sono donne votate alla castitĂ . Ma non per questo‌ Non conclude la frase perchĂŠ nell’arena è comparso, solitario, un gladiatore che avanza verso il centro dell’arena. Al suo apparire la folla tace di colpo, poi leva grida d’incitamento, quindi diviene tumultuosa. Il gladiatore indossa un elmetto con cresta e cimiero e si protegge con una manica al braccio destro, due alti schinieri e un piccolo parma. Ma non ha il gladio, bensĂŹ una lancia; l’asta non è molto lunga ma ha la punta lunga e acuminata. – Beh, ma‌ un solo gladiatore? E contro chi dovrĂ combattere? – chiedo sorpreso. – Contro un essedarius ‌ – mi informa


MMMMMMMMMMMMM íˇ€MMMMMMMMMMMMM Orazio. – Un altro tipo di gladiatore? – Combatte stando su un esseda. – Cos’è? – Eccolo là – dice Vario indicando verso la grande porta. Giro il volto in direzione dell’arena. Vedo entrare una biga che comincia a fare il giro attorno all’arena tra gli scroscianti applausi del pubblico. Intanto l’altro gladiatore si mette subito in guardia, sollevando il piccolo scudo e impugnando la lancia come se volesse scagliarla. – Ecco l’esseda – mi dice Orazio – . Ăˆ quel carro, però simile a quello dei Celti, con quelle lame alle ruote‌ Le vedi? – Come no? E devono fare molto male, anche. Se ti prendono le gambe‌ Infatti lunghe lame a forma di falce sono fissate ai mozzi delle ruote e girano insieme ad essi. Sul carro, il gladiatore che lo guida indossa una lunga veste con sopra una corazza fatta di tante strisce di cuoio, ha un piccolo scudo e indossa uno strano elmo la cui celata rappresenta un viso piuttosto effeminato. Il carro continua la sua corsa lungo il muro dell’arena, tenuto sott’occhio dall’hoplomachus al centro. Anche perchĂŠ l’essedario, ha tratto un corto giavellotto da una specie di faretra che è posta su un lato del carro e con quello minaccia l’avversario. Durante la sua corsa circolare, piĂš volte l’essedario fa il gesto di voler scagliare il giavellotto, finchĂŠ l’asta parte davvero dal suo braccio in direzione dell’hoplomachus. Costui repentinamente si abbassa e l’arma lo oltrepassa sfiorandolo. – Beh, ma questo lo vuol liquidare subito, Orazio. – Non è cosĂŹ facile come sembrerebbe, Angelo. Per ora l’ hoplomachus darĂ un saggio della sua bravura nello schivare i giavellotti. Infatti l’auriga ha preso dalla faretra, dove ce ne sono molti, un altro giavellotto e lo tiene in alto minaccioso. L’altro tenta di avvicinarsi al carro correndo,

scudo in avanti, poi allunga la sua lancia verso l’avversario. Non lo raggiunge, anche perchĂŠ deve stare molto attento a non farsi falciare dalle lame sulle ruote. L’auriga, appena oltrepassato l’avversario, si volta e velocemente lancia il suo giavellotto. L’hoplomachus dĂ ancora prova della sua abilitĂ acrobatica spostandosi di lato e schivando il colpo. Applausi del pubblico. – Però non è giusto, Orazio. Quello appiedato è in svantaggio, non credi? – Fa parte dei ruoli. – mi risponde osservando l’arena – . Ognuno ha il suo problema. – Ma andrĂ avanti cosĂŹ? – Per un po’ sicuramente sĂŹ. – Allora continua il tuo racconto, senti a me. Orazio osserva ancora l’arena, anzi entrambi teniamo gli occhi puntati sull’arena. Non si sa mai. – Beh, Orazio‌ – insisto – . Ciò che hai detto mi fa capire che la sconfitta di Taranto portò effettivamente a tanti cambiamenti. – Fu cosĂŹ. – mi conferma – . Con la sconfitta di Taranto e della Magna Grecia, l’Italia e Roma cambiarono il loro futuro e si prepararono ad un’altra importante operazione: la conquista della Sicilia. – Combattendo contro i Cartaginesi!‌ Orazio, parlami di Cartagine. – Cioè di Kart Hadasht , cittĂ nuova, o Karthada‌ oppure, come la chiamavano gli Elleni, Karchedon ‌ mentre per i latini era Carthago‌ – Cartagine aveva tutti ’sti nomi? – Tanti nomi per una stessa cittĂ , che si dice fondata da Didone, la quale in fenicio si chiamava invece Elissa. Era sorella di Pigmalione, che fece uccidere suo marito Acherbas per diventare re e impadronirsi delle sue ricchezze. Con Elissa si schierarono diversi patrizi di Tiro, coi quali essa lasciò la propria patria portando via un tesoro. Arrivata a Cipro, alcune donne si unirono all’equipaggio e le navi si diressero verso la costa

Pagina precedente: ‌ Ma Aristotele, una ventina d’anni piĂš tardi, narrò invece che furono alcune navi achee a gettarsi su una spiaggia latina; lĂ le navi furono incendiate dalle schiave troiane, e perciò dai discendenti di quegli uomini Achei, costretti ormai a rimanere lĂŹ, e delle loro donne troiane erano discesi i LatiniÂť

ÂŤEcco l’esseda. Ăˆ quel carro, però simile a quello dei Celti, con quelle lame alle ruote‌

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Moneta di Siracusa con sul frontre l’effigie di re Gerone.

africana dove Elissa fece edificare la città ‌ Questa è la leggenda, ‌ comunque sia, Cartagine fu fondata da Fenici provenienti da Tiro. Anche se non era la piĂš antica cittĂ fenicia della Libia, in poco tempo Cartagine sorpassò tutte le cittĂ vicine, grazie alla sua posizione straordinariamente favorevole e all’operositĂ dei suoi abitanti. E come tutte le cittĂ fenicie Cartagine divenne bella, risplendente d’oro, con possenti mura difensive e un porto funzionale‌ GiĂ esistevano le colonie greche di Massalia in Gallia e Cirene in Libia, giĂ tutta la Sicilia orientale era nelle mani dei Greci, quando Cartagine, con lunghe e ostinate battaglie, pose un limite alla penetrazione degli Elleni ad occidente e aiutò i mercanti fenici, che erano sull’estrema punta occidentale della Sicilia, a difendere i loro territori. Nel secondo secolo di Roma, Cartagine era giĂ padrona dei mari tra l’Africa, la Sardegna e la Spagna. Essa non era una semplice cittĂ mercantile, Angelo‌; cosĂŹ come facevano gli Elleni, i Cartaginesi assoldavano soldati mercenari e la guerra divenne per essi una grandiosa speculazione, che rispondeva assai bene alla loro indole e al loro costume. I Cartaginesi sottomisero presto gli indigeni nordafricani e poterono, in tal modo, sfruttare liberamente il ricco terreno libico grazie ad enormi

quantitĂ di schiavi incatenati che lavoravano la terra. Pensa‌ singoli cittadini cartaginesi possedevano ciascuno fino a ventimila schiavi. – Capperi! Fecero tutti schiavi? – I cosiddetti “liberiâ€?, contadini libi dei villaggi limitrofi alla cittĂ , furono trasformati in servi che dovevano pagare ai loro signori un tributo, consistente nella quarta parte dei prodotti del suolo ed erano assoggettati al reclutamento per la formazione dell’esercito cartaginese. Restavano veramente libere solo le tribĂš nomadi sui confini, ma esse col tempo furono respinte nei deserti e nei monti oppure costrette a riconoscere la supremazia cartaginese, a pagare tributo e a prestare servizio militare. – Proprio potenti, non c’è che dire! – CosicchĂŠ i Cartaginesi, come disse un antico scrittore, da Tiri divennero nel tempo Libi e la civiltĂ fenicia prese a dominare in Libia. Alle corti dei capi tribĂš nomadi si parlava e si scriveva in fenicio, e le razze indigene civilizzate accettavano per la loro lingua l’alfabeto fenicio, nonostante non vi fosse nello spirito di Cartagine, nĂŠ nella sua politica, l’intenzione di fenicizzarli completamente. Ma, nel tempo, anche la loro potenza marittima e coloniale si sviluppò fortemente. – Lo so. – Ad esempio, sulla costa della Spagna v’era una catena di fattorie cartaginesi o fenicie


MMMMMMMMMMMMM íˇ€MMMMMMMMMMMMM assoggettate, la cui piazza principale era l’antichissima colonia tiria di Gades, e nell’interno i Cartaginesi possedevano il ricco territorio delle miniere d’argento. Le isole Baleari furono presto occupate per divenire avamposti verso i Massalioti e da qui, infatti, scoppiavano le piĂš violente lotte contro quella cittĂ greca in Gallia‌ – ‌ che era amica dei Romani‌ – SĂŹ. E come sai, i Cartaginesi andarono a sfruttare anche le coste dell’isola di Sardus, il figlio di Eracle‌ – Sardus? Che isola è, Orazio? – Ma, Angelo‌ è la Sardegna. – Dici che il figlio di Eracle‌ ha abitato la Sardegna? – Certo! L’ha colonizzata. A lui si deve il nome dell’isola, Angelo. Anzi, furono i Romani a chiamare Sardegna l’isola che invece gli Elleni chiamavano Ichnusa. – Ah, non conoscevo ’sta storia‌ – Beh, sai‌ anche Eracle fu un colonizzatore. Come saprai l’eroe semidio, perchĂŠ figlio di Alcmena e Zeus, ricevette un oracolo da Delfi; gli predisse che avrebbe dovuto affrontare le famose dodici fatiche, ma anche che al termine avrebbe dovuto inviare una colonia a Ichnusa, della quale avrebbe messo a capo i suoi figli, quelli nati dalla faticosa notte d’amore con le cinquanta figlie di Tespi. – Capperi! Cinquanta donne in una notte! SĂŹ

che Eracle ci sapeva fare! – Beh, aveva diciott’anni, Angelo‌ – PerchĂŠ tu, a diciott’anni, avresti fatto altrettanto? – Ma io non sono Eracle ‌ Ci mettiamo a ridere a crepapelle. – Della colonizzazione – continua poi Orazio – se ne occupò Iolao, il nipote di Eracle. Infatti, quando l’eroe ascese immortale sul carro di Atena fino all'Olimpo, Iolao si prese cura degli Eraclidi, ovvero dei numerosi figli che Eracle aveva avuto da varie compagne, figli sparsi nei luoghi del suo passaggio. CosĂŹ Iolao condusse ad Ichnusa i figli di Eracle nati in Beozia, i nipoti di Tespio, e quelli nati ad Atene. Sull’isola Iolao fondò diverse cittĂ , prima fra tutte Herakleia, la cittĂ di Eracle; fu venerato come un dio e gli abitanti gli riconobbero il titolo di Pater, ovvero fondatore della patria. Uno dei figli di Eracle si chiamava Sardus, ed anche lui onorarono come pater, Sardus pater. – Ho capito. Da lui i Romani presero il nome di Sardegna e chiamarono Sardi tutti gli abitanti. – Proprio cosÏ‌ ma questa è un’altra storia, Angelo‌ non dilunghiamoci troppo e torniamo ai Cartaginesi, altrimenti domentico cosa volevo dirti. – Ăˆ meglio. – Perciò‌ per mantenere il possesso della Spagna meridionale, delle isole Baleari, della Sardegna e della Sicilia occidentale i Cartaginesi

Moneta di Messana del periodo dei Mamertini.

Allora, poichÊ Gerone ora assediava Messana, i Mamertini fecero come i Tarentini‌


MMMMMMMMMMMMM íˇ€MMMMMMMMMMMMM cosa dovettero fare? – Cosa? – Dovettero divenire padroni assoluti del Mediterraneo occidentale, ecco cosa. Essi navigavano in comune con altri popoli solo il mare Tirreno ed il Gallico‌ Poi, per quanto riguarda la Sicilia, per ben quattro volte i Cartaginesi la occuparono tutta, ma non Siracusa‌ poichĂŠ per quattro volte le loro armi si spuntarono contro le mura della possente cittĂ dorica. – GiĂ . La forte cittĂ guerriera.

Moneta cartaginese del tempo della prima guerra punica: sul fronte la dea Tanit; sul retro Pegaso, il cavallo alato della mitologia greca.

La dea Tanit, sposa di Baal.

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Nell’arena l’essedarius sta terminando i suoi giavellotti, tutti scansati dal suo avversario. Ora impugna l’ultimo, giacchĂŠ la sua faretra è vuota, ma questo lo afferra come un gladio, per l’estremitĂ del legno. E cambia tattica; il carro smette di girare lungo il muro dell’arena e punta dritto verso il centro. – Guarda – urla Lucio Vario – ora tenterĂ di investirlo. Ovviamente della manovra s’è accorto anche il suo avversario; guardingo, saltella a destra e a manca cercando di disorientare l’altro che invece continua dritta la sua corsa. Quando il carro gli è quasi addosso l’hoplomachus si scansa, effettua un alto salto e supera di slancio le pericolose lame poste sulla ruota. L’auriga si volta repentinamente e tenta di colpirlo con il giavellotto tenuto in mano, ma siccome è corto non lo raggiunge. – Orazio, ma sono acrobati quei due? – chiedo, quasi un po’ deluso. – Non direi proprio. Ăˆ ovvio che devono offrire agli spettatori uno spettacolo eccitante e questo fa parte del loro compito, ma aspetta e vedrai. Il carro effettua un altro giro, poi si dirige ancora verso l’hoplomachus che di nuovo lo scansa e salta oltre le lame. Ma mentre è in volo allunga la sua lancia per colpire l’auriga, che invece para il colpo con lo scudo. – Bah!‌ a me paiono degli acrobati. Continua a raccontare, Orazio, dai! – Se ricordi, per tre volte i Siracusani, condotti da valenti generali, quali Dionisio il vecchio, Agatocle e Pirro, furono anch’essi sul punto di scacciare i Cartaginesi dall’isola. Ma gli Africani resistettero sempre e attesero fiduciosi che una mossa falsa di Siracusa facesse cadere la cittĂ in loro potere. Infatti, con l’uscita di scena di Pirro i Fenici s’erano ripresi quasi tutta la Sicilia mentre ai Siracusani restava solo Taormina e la parte sud-orientale dell’isola. In Messana, invece, tiranneggiavano ancora i Mamertini, con a capo i due meddices, i due magistrati‌ – Ma non erano stati sconfitti dai Romani e da Gerone di Siracusa? – Tu parli dei Mamertini di Reggio, quelli sĂŹ erano stati catturati e uccisi‌ ma la sfrenata e

Ribalta di Puglia

violenta soldatesca campana che ancora risiedeva in Messana rappresentava ancora la terza potenza dell’isola. – Beh, Allora? – Allora, poichÊ Gerone ora assediava Messana, i Mamertini fecero come i Tarentini‌ – Che vuoi dire? – Si divisero: la maggior parte di loro chiese aiuto a Roma, la minore a Cartagine. – Inaudito! Quei ribelli si azzardarono a chiedere l’aiuto di Roma? – E l’ottennero pure. – Ma come fu possibile? Erano ribelli, come quelli di Reggio, che furono tutti giustiziati proprio dai Romani! – Cerca di capire, Angelo. Era l’occasione propizia per Roma per portare la sua politica in Sicilia. Se avessero rifiutato l’aiuto, Messana, piuttosto che divenire siracusana, si sarebbe gettata nelle braccia dei Fenici. Roma non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione, che certo non sarebbe ritornata mai piÚ, d’impossessarsi della testa di ponte fra l’Italia e la Sicilia. Infatti, come poteva rinunciare al possesso di Messana, dell’ultimo libero passo fra il mare d’Occidente e quello d’Oriente ? – Capisco‌ Quindi i Romani aiutarono i Mamertini‌ – A dire il vero la prospettiva di una nuova guerra, dopo quella appena finita contro Pirro, non pareva un’ipotesi accettabile per il Senato, il quale, sembra per la prima volta nella storia di Roma, rimise la decisione al popolo convocato nei comizi delle centurie. Il popolo era piuttosto interventista, ma nemmeno i comizi centuriati si proclamarono favorevoli alla guerra: si dichiararono, invece, favorevoli a stringere alleanza con Messana accogliendola nella Federazione italica, il che, praticamente, avrebbe portato alla guerra, visto che gli assedianti di Messina erano i Siracusani e i Cartaginesi. Comunque fu deciso di mandare loro l’aiuto richiesto. – Ma Cartagine e Siracusa non erano alleate di Roma? – Formalmente sÏ. Certo‌, c’era da vedere cosa essi avrebbero fatto. Avrebbe Gerone tolto l’assedio a Messana? E cosa avrebbero fatto i Cartaginesi?‌ che consideravano le cose di Sicilia questioni interne e solitamente non tolleravano l’ingerenza d’una potenza estranea? – Quindi? – Era l’anno della centoventinovesima olimpiade, gli atleti greci ad Olimpia gareggiavano tra loro per il possesso di una semplice quanto ambita corona d’ulivo‌ – Ehi, Orazio‌ che c’entra, non fare il poeta. – ‌ quando i Romani avviarono la loro prima spedizione militare fuori della penisola italica! – Ah, ecco‌


MMMMMMMMMMMMM íˇ€MMMMMMMMMMMMM – Ma, Angelo‌ non indicate cosĂŹ gli anni, voi Elleni, quando datate gli avvenimenti? Non li legate alle edizioni delle Olimpiadi, forse? – Veramente, oggi usiamo un altro metodo‌ Il gioco nell’arena sta continuando alla solita maniera. L’hoplomachus evita un altro attacco del carro falcato e salta sulle lame. L’auriga ancora allunga il suo giavellotto cercando di colpire l’avversario, ma questa volta l’hoplomachus, mentre ancora è in volo, afferra il giavellotto e dĂ un violento strappone. L’auriga non molla la presa e cade pesantemente giĂš dal carro. L’altro gli è subito sopra e lo blocca al suolo con un ginocchio e con la lancia. Ovazione del pubblico che urla ÂŤiugula!Âť, ÂŤiugula!Âť. – Ma come‌ lo vogliono morto? – chiedo. – Evidentemente quel tizio non è piaciuto – commenta Vario. L’arena è una bolgia. Sotto l’incitamento del pubblico, l’indeciso pretore è costretto alla fine ad appoggiare la loro decisione. L’hoplomachus si rialza, osserva l’uomo steso per terra, e pianta la lancia nel suo petto. – Orazio, ma non mi avevi detto che questi duelli erano fermati al primo sangue? – “Quasiâ€? sempre, Angelo‌ non sempre. Nell’arena, intanto, è entrato un altro perso-

naggio. Porta al viso un mascherone azzurro con piume sul cranio e stringe in mano un bastone con due serpenti che s’intrecciano attorno, come nel simbolo dei medici; in cima, il bastone ha un pomo di ferro. – Chi è quello‌ – chiedo – non mi sembra Caronte‌ – Infatti è Mercurio – spiega Vario –. Porta il caduceo, non vedi? – Quel bastone si chiama caduceo? Ma cosa è venuto a fare? L’uomo dalla maschera azzurra raggiunge il morto, lo osserva e poi vibra un colpo al suo cranio. Il pesante pomo del bastone fracassa la testa del disgraziato. – Non me lo dire‌ – commento – , lo capisco da me. – Non ci resta che attendere la prossima coppia – aggiunge Orazio – . Dove eravamo? – Roma decise di aiutare Messana – gli ricordo. – Ah, giĂ , Roma radunò a Reggio una flotta composta di navi di Neapolis, Taranto, Velia e Locri, e inviò lĂ l’esercito destinato a soccorrere i Mamertini. Ma quando l’avanguardia romana era giĂ a Reggio giunse da Messana l’inaspettata notizia che i Cartaginesi avevano, da “neutraliâ€? bada bene‌, negoziato una pace tra Gerone e i Mamertini. – Ma pensa un po’‌ – Quindi l’assedio era stato levato e nel porto di Messana s’era ancorata una flotta cartaginese; e nel castello della cittĂ c’era un presidio pure cartaginese, entrambi sotto il

Baal Hammon su una stele punica. Come lo Zeus greco stringe in pugno un fulmine.

Il governo cartaginese accusò Annone di essere ingenuamente caduto nelle mani dei Romani e lo crocifisse

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Il segno di Tanit, usato dai Cartaginesi per assicurare alla famiglia la concordia, il benessere, la feconditĂ .

Nella pagina seguente: La cosa avveniva cosÏ: i bambini salivano i gradini dell’altare con i polsi e le caviglie legate, mentre un velo nero li avvolgeva per impedire loro di vedere, ma, di conseguenza, impediva anche alla folla di riconoscerli‌

La grande Madre Baalat, chiamata anche Ashera o Ashtart.

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comando dell’ammiraglio Annone. – Bella fregatura, per i Romani! – I Mamertini inviarono subito messi per ringraziare i generali romani per il sollecito aiuto federale loro inviato, ma dissero pure che ormai non ne avevano piĂš bisogno. – Tutto quel viaggio per nulla? – Fu quello che pensò l’impetuoso e temerario duce Gaio Claudio. Egli fece egualmente vela con le sue truppe verso Messana. I Cartaginesi respinsero le navi romane e molte furono prese‌ ma l’ammiraglio Annone, per non dare alcun motivo di guerra, le rimandò agli “amiciâ€? al di lĂ dello stretto. – Quindi, dinanzi a Messana, i Romani si erano tolta la maschera inutilmente‌ cosĂŹ come avevano fatto i Cartaginesi davanti a Taranto? – SĂŹ, ma Claudio non si lasciò spaventare. Fece un secondo tentativo e questa volta potè far approdare l’esercito. Quindi convocò i cittadini messanesi, e chiese anche all’ammiraglio cartaginese di partecipare all’adunanza. Annone vi andò per evitare un’aperta rottura, ma i Romani lo catturarono e lo costrinsero a dare ai suoi l’ordine di resa. Il presidio cartaginese ubbidĂŹ al generale e sgombrò la cittĂ . Ecco, in questo modo l’importantissima cittĂ siciliana cadde in mano dei Romani. – E fu guerra? – Infatti. Il governo cartaginese accusò Annone di essere ingenuamente caduto nelle mani dei Romani e lo crocifisse. – Cosa? L’ammiraglio fu ucciso soltanto perchĂŠ, con l’inganno, era stato fatto prigioniero? – Beh, Angelo‌ questo era ciò che spesso accadeva ai generali cartaginesi sconfitti. Nessuna pietĂ v’era da parte del Consiglio degli anziani e dei due Suffeti, i magistrati che governavano la cittĂ . Del resto si mormorava pure che i Fenici fossero, per loro natura, gente crudele e sanguinaria e che persino i loro dèi lo fossero. Vuoi un esempio? – Di’ pure‌ – ‌ Ebbene, a Baal Hammon, il dio delle forze naturali che altrove chiamavano anche Moloch, pare che, al verificarsi di guerre, epidemie, eccetera eccetera‌, in suo onore i Cartaginesi effettuassero sacrifici umani secondo un rito chiamato “molkâ€?. Pare che all’ignobile dio fossero offerti in special modo sacrifici di bimbi, che venivano sgozzati e bruciati su di una graticola, oppure si diceva che lĂ dove c’era una statua di bronzo del dio, la piccola vittima venisse posta sulle braccia tese della statua, quindi tramite delle catene fosse fatta sollevare e lasciata cadere dentro la statua precedentemente resa incandescente. – Incredibile!‌ davvero? – Ma a volte il medesimo sacrificio “molkâ€? prevedeva casi di sostituzione con vittime animali‌

Ribalta di Puglia

– A beh! – ‌ tori, agnelli, montoni, pecore, uccelli, eccetera, ognuno ad un costo prefissato‌ Si parlava anche di Tanit, sposa di Baal Hammon e dea dell’amore, di carattere lunare in contrapposizione a Baal, dio solare ‌ – Vabbe’!‌ quella era la dea dell’amore‌ – ‌ sĂŹ, ma anche della morte, per cui si raccontava che anche a lei venissero offerti sacrifici di fanciulli. – Ancora! Ma era una mania! – E poi tutte le urne, contenenti i resti dei fanciulli sacrificati agli dèi, venivano poste in un cimitero sacro chiamato tophet‌ ogni cittĂ fenicia ne aveva uno. – Ma, Orazio‌ è tutto vero quello che stai raccontando? Non erano, invece, false notizie messe in giro dai Greci e dai Romani per screditare i Cartaginesi? – Bah! Questo ci hanno tramandato gli storici. Anche Diodoro Siculo racconta del sacrificio di duecento bambini presi dalle piĂš illustri famiglie di Cartagine, notizia che sicuramente ha tratto da un autore piĂš antico. Siccome in un sacrificio precedente si era proceduto alla sostituzione dei fanciulli delle migliori famiglie con bambini comprati o adottati da famiglie miserabili, scoperta la cosa e per redimersi dell’errore compiuto, il governo di Cartagine decretò il sacrificio di duecento bambini appartenenti tutti a famiglie nobili. E questa volta senza che ci fossero “erroriâ€? di nessun genere‌ – Non capisco‌ Com’era stato possibile sostituire i propri bambini con altri‌ comprati. Bastava guardarli in faccia, no? – La cosa avveniva cosĂŹ: i bambini salivano i gradini dell’altare con i polsi e le caviglie legate, mentre un velo nero li avvolgeva per impedire loro di vedere, ma, di conseguenza, impediva anche alla folla di riconoscerli. In effetti, quando dal numero rilevante di bambini destinati al sacrificio veniva scelta a sorte la vittima, diveniva possibile scambiarla segretamente con un’altra. – Comunque‌ poveri bambini! – Si ricorda anche il caso del figlio di Annibale, quello famoso, che era stato destinato al sacrificio‌ – Ah, sĂŹ? Annibale s’era sposato? – SĂŹ, con Imilce, donna spagnola che gli dette un figlio. Prima di partire per l’avventura militare in Italia, Annibale condusse moglie e figlio a Gades, da dove li imbarcarcò per Cartagine al fine di proteggerli dalle vicissitudini della guerra. Invece il governo di Cartagine decise di sacrificare suo figlio: per superare quel momento difficile, era stato sentenziato, gli dèi esigevano carne e sangue di un bambino “prestigiosoâ€?. Imilce ovviamente si oppose all’atroce decisione e ottenne dal Consiglio una sospensione del sacrificio per poter informare il marito; la ottenne anche perchĂŠ era severamente vieta-


MMMMMMMMMMMMM to, a genitori e parenti che dovevano essere presenti, di esternare il proprio dolore dinanzi all’altare, in quanto lacrime e gemiti avrebbero sminuito il valore del rito. – E certamente Imilce non avrebbe esternato gioia! Cosa accadde? – Annibale rifiutò di immolare il figlio e, al suo posto, giurò di sacrificare migliaia di nemici… Beh, sì… sembra proprio che accadessero queste cose tremende tra i Fenici… – Perché, Orazio… quello che è accade qui, nell’arena, a te pare meno tremendo? – Ma Angelo… una differenza c’è. Qui si dà possibilità ad un condannato a morte di riscattare la propria vita tramite il coraggio e la destrezza. I Fenici, invece, sacrificavano deliberatamente agli dèi i loro figli, ed anche i loro uomini e donne, quando non c’erano prigionieri da immolare. – Certo, vista così la faccenda… Ma Orazio, i Cartaginesi adoravano soltanto dèi così crudeli? – Beh, no… c’era Eshmun, il dio guaritore, che stringeva anch’egli un caduceo…


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CosĂŹ i Fenici raffiguravano Eracle chiamandolo Melqart.

come Esculapio, insomma; Kusor, dio del mare e guardiano delle stagioni; Hijon, protettore degli artigiani e degli industriali; Dagon, dio del grano; Reshef, amministratore di tuoni e di fulmini; Misor e Sydyk, dèi della giustizia‌ – Ho capito, anch’essi erano tanti. – Ma sopra a tutti c’erano El e Baalat. El era il dio inafferrabile, lontano dall’uomo, irraggiungibile‌ il creatore della Terra, sulla quale aveva separato la terra dalle acque e poi aveva creato tutti gli dei ed anche l’uomo, e dato origine alle vite animali e vegetali. Baalat era la sua sposa, la grande Madre, chiamata anche Ashera o Ashtart, dea della maternitĂ , colei che dava calore, fertilitĂ e sicurezza all’uomo. – Pensavo che fosse Baal Hammon il loro dio piĂš importante‌ – Baal Hammon era il loro figlio, il piĂš

C RONOLOGIA *

raggiungibile dall’uomo. Ogni anno Baal moriva e poi risorgeva, come le stagioni; egli si sacrificava per l’uomo: moriva e risorgeva per lui. Ma Cartagine aveva anche un proprio dio protettore, che era lo stesso di Tiro‌ il protettore e inventore degli interessi fondamentali della societĂ cartaginese, dalla porpora alla navigazione verso occidente. – Chi era? – Eracle. – Cosa? L’Eracle greco? Anche loro? – SĂŹ, però lo chiamavano Melqart. – Beh, Orazio‌ – concludo – alla fin fine le religioni si somigliano un po’ tutte, non ti pare? – GiĂ . Tuttavia, per tornare alla nostra storia, il governo cartaginese dichiarò guerra ai Romani. Iniziava cosĂŹ la prima guerra punica. – Bella storia. Davvero! (continua)

DEGLI AVVENIMENTI IN I TALIA AL TEMPO DELLA

M AGNA G RECIA

* Ăˆ stata riportata la data dalla fondazione di Roma, secondo l’uso dei Romani, e quella dalla nascita di Cristo. Alcune date sono approssimative, sebbene abbastanza vicine al vero, poichĂŠ non sempre le fonti greche corrispondono a quelle romane.

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485 di Roma = 269 a.C.

Con l’unione militare-amministrativa di tutte le genti stanziate di qua dell'Appennino fino al capo Iapigico e allo stretto di Reggio, comincia a divulgarsi anche un nome nuovo e comune a tutte queste popolazioni, quello cioè di “uomini togatiâ€? (antica designazione dei Romani originariamente usata dai Greci), cosĂŹ chiamati in antitesi ai Celti, che sono “uomini bracatiâ€?, cioè che indossano i pantaloni. Ciò per generare un nuovo sentimento nazionale contro i barbari provenienti dal nord.

487 = 267 a.C.

A Roma si eleggono quattro nuovi questori della flotta (Quaestores classici). Il primo ha la sua sede in Ostia, porto della città di Roma; il secondo deve vigilare da Cales (allora capitale della Campania romana) le coste campane e della Magna Grecia; il terzo da Rimini deve sorvegliare le coste al di là dell'Appennino; il quarto probabilmente è a Brindisi.

487-488 = 267-266 a.C.

Roma è in guerra con i Salentini intorno a Brindisi. Ai consoli Attilio Regolo e Giulio Libone i fasti a Roma per le vittorie sui Salentini. Inizia la penetrazione dei Romani anche a nord, nella Pianura Padana.

489 = 265 a.C.

I Mamertini, assoldati dai Messinesi, sono costretti, dopo la battaglia sul fiume Longano, guidata da Gerone di Siracusa, a rifugiarsi a Messina. Alcuni Messinesi, chiedono aiuto a Cartagine, altri lo chiedono a Roma. I Cartaginesi inviano in Sicilia un presidio. Roma, invece, inizialmente incerta, decide poi di intervenire a sostegno dei Mamertini.

490 = 264 a.C.

Roma fonda una colonia cittadina a Castronovo (Castrum Novum = Civitavecchia), ulteriore posto avanzato contro i Galli.

490 = 264 a.C.

Roma ha terminato i preparativi per soccorrere i Mamertini sempre piĂš in difficoltĂ : l'esercito è in marcia, mentre una flotta, composta di navi di Napoli, Taranto, Velia e Locri, è pronta a veleggiare. Ma quando l'avanguardia romana, capitanata dal tribuno Gaio Claudio, raggiunge Reggio (in primavera), si apprende che i Cartaginesi, d'accordo col partito antiromano di Messana, hanno negoziato una pace tra Gerone e i Mamertini. Infatti nel porto di Messana è ancorata la flotta cartaginese dell’ammiraglio Annone. I Mamertini informano i generali romani che non hanno piĂš bisogno d’aiuto. Ma Claudio fa egualmente vela contro Messana e approda sull’isola. Convoca i cittadini e l'ammiraglio cartaginese che vuole evitare una aperta rottura. Annone è catturato e Messana cade in mano dei Romani.

490 = 264 a.C.

Tre coppie di gladiatori si affrontano fino all'ultimo sangue nel Foro Boario per commemorare la morte di Giunio Bruto Pera. Lo spettacolo è offerto dai figli di Bruto per onorare la memoria del padre. Ai romani questa novitĂ piace molto. Ăˆ la prima testimonianza storica di un combattimento tra gladiatori a Roma.

Ribalta di Puglia


LIBRI

LE noviTà sugLi scAffALi

Al di là del muro al di là del mare

di Lorenza PESSIA

“…Quando lavoravo, ed ero in fabbrica mi chiedevo sempre cosa ci fosse al di là del muro... Poi quando uscivo dalla fabbrica tornavo a chiedermi cosa ci fosse al di là del muro e cosa accadesse in mia assenza. Quel muro di cinta rappresentava per me una linea di demarcazione netta, come tra il sogno e la realtà, o meglio come tra l’incubo e il sogno…”.

C

hissà quanti lavoratori avranno pensato, almeno una volta, la stessa cosa e avranno riflettuto sulla loro condizione dentro e fuori lo stabilimento. Chissà quanti pazienti avranno visto nel muro di un ospedale la soglia fra la salute e la malattia, fra la gioia e il dolore. O ancora…quanti avranno visto nell’edificare o demolire un muro, l’erezione o il crollo di ideologie, incomunicabilità, identità. E questo perché il muro è, per sua natura e per sua vocazione simbolica, sempre un limite, una barriera divisoria fra due estremi, due sfere, due mondi, due rappresentazioni della vita, due distinte realtà. In Al di là del muro Al di là del mare, esordio narrativo del giovane sociologo Massimo Di Cesare, nato a Crispiano e residente a Martina Franca, si fa riferimento al muro dell’ILVA, al grande muro che circonda e ingloba la fabbrica siderurgica con le sue raffinerie, cantieri, strade ferrate, fumi maleodoranti e cancerogeni, e che la divide dal resto della città con i suoi reperti archeologici, l’odore del mare, le piazze rinate che si vestono di nuovi negozi e nuovo splendore. Un muro che fa anche da spartiacque fra coloro che lottano per la difesa dei diritti dei lavoratori, fra cui lo stesso autore che dal 1987 milita nel Sindacato dei lavoratori, e coloro che vivono e sopportano quotidianamente la routine dentro lo stabilimento, l’inadeguatezza delle norme di sicurezza, l’usura dei macchinari. Ma il libro non si limita a parlare della condizione degli operai metalmeccanici e si presenta al lettore

come un lungo racconto sull’amore, l’amicizia e la malattia. L’amore per il coniuge e i figli, incondizionato, sincero e illimitato, fatto di piccole attenzioni quotidiane e di abitudini che si rincorrono all’interno delle mura domestiche; in una casa, come scrive nel libro l’autore, “….disordinata, vissuta, testimone del vivere di una famiglia in evoluzione, con i ragazzi che crescono e noi genitori affascinati dai loro visi, dalle loro esperienze, dai loro modi di fare”. L’amicizia per alcuni conoscenti che neanche la lontananza e gli incontri rarefatti possono turbare. E infine la malattia, quella che non conosce ancora un antidoto certo e che logora lentamente il corpo; quella che nella città di Taranto e nelle zone limitrofe colpisce e uccide più che altrove. Il nostro Paese, definito un tempo popolo di navigatori, di santi e di eroi, può oggi veramente definirsi come un popolo di aspiranti scrittori. Sarà per il fatto le tecnologie moderne tendono a isolare sempre più l’uomo e i tempi difficili lo spingono a guardarsi dentro e voler lanciare un proprio grido, ma è indubbio che oggi si tende ad esprimersi attraverso la scrittura. In tante persone, infatti, è forte il desiderio di raccontare le proprie esperienze nella forma di un testo narrativo per dar vita ai propri sentimenti, idee e aspirazioni. Non solo per il sogno di diventare degli scrittori riconosciuti, ma soprattutto per il desiderio di vivere l’esperienza della scrittura, per assaporare il gusto profondo e personale che nasce dal confronto tra la parola scritta e la

propria vita. D’altro canto c’è il lettore moderno, che ha fretta e che, quindi, ha bisogno di una storia che inizi, si sviluppi e finisca in fretta, proprio come Al di là del muro Al di là del mare, che appare scritta tutta di un fiato e in cui tutto rientra in gioco: le conoscenze personali dell’autore, le aspettative, la concretezza e il suono delle parole, la loro capacità evocativa, la razionalità e l’utilizzazione della scrittura per trasmettere un messaggio. E così in poco meno di cento pagine, si srotola un piccolo mondo autobiografico, il cui significato sembra riassumersi in queste poche righe finali con cui l’autore si congeda dal lettore “…Ogni esperienza della vita, ti lascia un segno, sul corpo, nel cuore, nella testa, un segno che non tutti riescono a leggere. Ogni incontro utile inutile, che tu possa considerare, in realtà ti insegna molto di più di quello che immagini…Anch’io mi sono chiesto sempre cosa ci fosse al di là del muro, ed ora che credo di aver chiaro il senso della mia vita, il muro non lo vedo più, perché è il muro che fa crescere le nostre paure, che frena le nostre ambizioni, cancella i nostri sogni. È quel muro che ci fa sentire piccoli e soli, che ci divide, che ci sconfigge”.

AL DI LÀ DEL MURO AL DI LÀ DEL MARE di Massimo Di Cesare pp. 96 • La Litografica Edizioni Euro 10,00 Ribalta di Puglia

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ARCHEOLOGIA

Gli scavi archeologici clandestini in Italia Una tesi è sempre un punto di partenza per poter raccontare tante storie. Questo lavoro, davvero ben scritto, cerca di approfondire l’argomento delle attività clandestine e come contrastare questo triste fenomeno. Di Lorenza PessiA

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uciano Bonaparte, fratello dell’imperatore Napoleone, è passato alla storia come il principe tombarolo, poiché appassionato di reperti archeologici, con cui amava circondarsi. Ma non è un caso isolato: accanto al suo, troviamo altri nomi famosi come quello dei principi Torlonia o dei Borbone che hanno arredato le loro fastose dimore con affreschi e suppellettili frutto dei saccheggiamenti clandestini a Pompei, Ercolano e in altri siti di interesse storico. Le testimonianze rinvenute finora attestano che lo scavo archeologico fuorilegge, lungi dall’essere una pratica rara, è stata da sempre una costante storica; da quando l’uomo ha cominciato a seppellire i suoi cari in fastose tombe hanno fatto la loro comparsa i tombaroli. Già ne abbiamo traccia durante il regno degli Egizi, dove per proteggere la mummia del faraone dai predoni del deserto non solo si inserivano trappole ed ostacoli all’interno delle piramidi, ma venivano costituite vere e proprie truppe di monaci a difesa del sacro recinto. Con il trascorrere dei secoli, saccheggiare le tombe dei faraoni è diventata un’arte, tanto che si è giunti a scrivere testi per aiutare i ricercatori di reperti ad orientarsi nei sepolcri ed a scegliere gli oggetti più raf-

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finati. Pian piano il desiderio di possedere unguentari, gioielli, vasi preziosi e altre suppellettili funerarie si è esteso fra le fasce più ricche della popolazione, tanto che nell’antica Roma i tombaroli riuscirono a creare un mercato di reperti archeologici, aprendo botteghe e negozi in cui si vendevano, a caro prezzo, soprattutto oggetti provenienti dalle tombe di Corinto, i cosiddetti “necrocorinzi”. Nei primi

decenni dell’Ottocento è esplosa una vera e propria febbre da scavo, che ha interessato per lo più gli aristocratici e i facoltosi proprietari terrieri, fin quando, con l’avvento del Novecento, non sono stati fissati i nuovi principi legislativi che hanno attribuito allo Stato la proprietà dei reperti archeologici presenti nel sottosuolo, nei fondali marini e lagunari. Ma nonostante la creazione di una legislazione speciale, l’attività dei tombaroli è diventata sempre più frenetica e distruttiva, invogliata da un mercato straniero in costante espansione che ha incentivato la fuga all’estero del nostro patrimonio archeologico. I tombaroli cedono il bottino agli incaricati di zona e questi a loro volta ai raccoglitori territoriali da cui attinge la grande organizzazione criminale per il successivo trasferimento all’estero. Fortunatamente le numerose azioni messe a punto dalle forze dell’ordine negli ultimi anni hanno portato nel 2005 alla diminuzione dei furti di opere d’arte e all’aumento dei recuperi di oggetti rubati o provenienti da scavi clandestini. In una nota il sottosegretario agli Interni, Michele Saponaro, ha reso noto che nei primi 9 mesi del corrente anno sono stati registrati 847 furti contro i 1.049 dello stesso periodo del 2004, mentre sono passati da 4.404 a 13.152 i recuperi di reperti provenienti da

Nelle foto: Fabio Fabrizio, autore della tesi, all’opera in uno scavo.

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ARCHEOLOGIA

Vasi e anfore magnogreche ritrovate durante gli scavi.

saccheggiamenti illegali. E finora l’attività clandestina è stata la causa dell’arresto di 92 persone e della denuncia di altre 943. Nonostante questi dati positivi, che da soli dovrebbero servire a scoraggiare qualsiasi tombarolo, il mercato degli scavi clandestini è ancora vivo, sostenuto da una clientela nazionale e internazionale, agiata e colta, la cui sete di reperti alimenta un mercato non legale che rappresenta una delle fonti più redditizie per la criminalità e la ragione per cui il mestiere del tombarolo, nonostante la sua pericolosità, continua ad esistere. Nel suo studio sugli scavi archeologici clandestini in Italia Fabio Fabrizio è riuscito nel difficile intento di intervistare un tombarolo e farsi raccontare la sua esperienza. Il lavoro del tombarolo si articola solitamente in più fasi. C’è la fase della ricognizione durante la quale il tombarolo si dedica al rinvenimento di una necropoli possibilmente intatta. Il primo passo consiste nel localizzare un appezzamento di terreno idoneo a contenere una necropoli. Si tratta in genere di trovare un terreno costellato di tumuli di terra grandi e piccoli, o pietre posizionate sulla terra verticalmente. Se il tombarolo è abile per localizzare una sepoltura si baserà sul colore della terra e sulla tipologia dell’erba che vi nasce su spontanea, in quanto sono proprio le diverse macchie di colore o la crescita smisurata di alcune specie erbacee a denotare che si è in prossimità di una sepoltura. Durante le sue ricerche, il tombarolo si

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ARCHEOLOGIA

Un primo piano dell’autore della brillante e appassionata tesi archeologica.

serve di un particolare attrezzo chiamato in gergo “spillone”: una barra di ferro appuntita lunga circa 1 metro e mezzo che serve a sondare il terreno. Come lo spillone trova il coperchio di una tomba, con una leggera percussione, il tombarolo fora il coperchio e con delicatezza saggia gli oggetti che contiene. Se al ritorno alla luce la punta dello spillone è rossa, il tombarolo sa di trovarsi di fronte a vasi comuni color ocra; se la punta riporta del colore nero vuol dire che la tomba contiene dei vasi pregiati e di valore; se l’estremità è bianca invece il vaso è di semplice calcare. La punta dello spillone dice al tombarolo anche se il sepolcro è stato già visitato in passato, se è di un nobile e se gli frutterà, in termini economici, molto o poco. Identificata la tomba, il tombarolo lascia sul posto piccoli cumuli dì pietra che ne segnano il perimetro. A sera, quando il sole non disturba più, tornerà in compagnia per lo scavo vero e proprio, con una squadra ben organizzata. Scavare una tomba richiede solitamente 2 notti: durante la prima si procede allo scavo di una trincea e si apre un’apertura sulla tomba per far uscire l’aria nociva ed i gas, per evitare che i vasi e gli oggetti in essa contenuti con l’umidità diventino fragilissimi. La seconda notte i tombaroli ritornano sul sito da scavare, per recuperare, con il favore dell’oscurità, la maggior parte di reperti; molte volte sono costretti a spezzare i vasi per poterli trasportare più facilmente. La squadra è formata da un minimo di 2 ad un massimo di 5 uomini di cui la maggior parte spala la terra ed uno rimane fuori a fare da sentinella per la probabile presenza di pattuglie di carabinieri in perlustrazione; il cosiddetto “palo” viene dotato di un binocolo con visione notturna e caffè per tenersi sveglio. Le fosse e le trincee scavate

(tranne rare eccezioni) non vengono mai ricoperte per ragioni pratiche. Il tombarolo avvolge solitamante i reperti in giornali e buste di plastica e li nasconde dentro alberi cavi o sotto i cespugli: è essenziale infatti che agisca in fretta e che non occulti, per sicurezza, la refurtiva in macchina o in casa. Talvolta il tombarolo per guadagnare di più arriva a falsificare i vasi, le monete, gli oggetti in vetro e le statue, producendo copie molto simili all’originale, attraverso apposite tecniche di riproduzione e invecchiamento dei materiali. Una volta riprodotto il reperto deve solo convincere l’acquirente a comprarlo. Per farlo ricorre a diversi metodi di persuasione come ad esempio al sotterramento dell’oggetto falso per poi disseppellirlo in presenza del cliente, così da far ritenere fortuito e “casuale” il ritrovamento. Ma non mancano i casi in cui l’equipe di scavo riproduce dentro una tomba, già ripulita precedentemente, tutto il corredo antico, ricreando persino la muffa e le ragnatele: il risultato è che il ricco cliente in visita alla necropoli, estasiato dal ritrovamento, compra gran parte, se non tutto, ciò che trova. Oggi il commercio dei nostri reperti viene conteso dai paesi dell’Europa del nord e dagli Stati Uniti. Per passare i valichi di confine gli oggetti archeologici trafugati vengono stipati in containers e, coperti da pannelli di plastica rivestiti di stucco, trasportati in tir e carghi transoceanici nelle località più disparate dove aspettano per acquistarli collezionisti privati, gestori di musei e speculatori. Nel Testo Unico delle disposizioni legislative in tema di Beni Culturali e Ambientali e nel Codice dei Beni naturali e paesaggistici i legislatori hanno dedicato molta attenzione alla tutela del patrimonio archeologico e hanno stabilito dei premi per i ritrovamenti di reperti. Non da meno è stata la legislazione comunitaria e internazionale che ha stabilito la necessità di un’apposita licenza di esportazione per spostare da un Paese all’altro un bene archeologico. Queste norme sono fondamentali per la conservazione del patrimonio archeologico ed è essenziale, oggi più che mai, che la problematica relativa alla sua sicurezza non passi inosservata. I beni culturali costituiscono, infatti, l’identità e la memoria storica di un popolo ed è allora compito prioritario della società salvaguardarli attraverso leggi adeguate e un’assidua vigilanza, cura e restauro. Ma rappresentano anche il mezzo più facile e affascinante per entrare in rapporto con il nostro passato e per conoscerlo. ■ Ribalta di Puglia

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ARCHEOLOGIA

L’insediamento messapico di Masseria Vicentino Tre anni si scavo e migliaia di reperti rinvenuti databili fra l’ottavo e il sesto secolo a.C. Testimonianze di un insediamento abitativo ora allestite nelle teche del Museo della Ceramica nel Castello Episcopio. Di Cosimo F. Riondino

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uesta storia si potrebbe raccontare cominciando da due epoche storiche diverse. Partendo dal 1965, anno della prima individuazione topografica del sito di cui parleremo. Allora però, non fu avviata nessuna indagine sistematica dell’area, sottoposta sino ad allora solo a sporadici e limitati saggi di scavo. Oppure, cominciando 1995 da quando cominciarono gli scavi archeologici a Grottaglie, in zona Masseria Vicentino, grazie alla collaborazione tra il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Bari, la Soprintendenza Archeologica della Puglia e l’amministrazione Comunale di Grottaglie. Quello che conta è il presente, e ciò che oggi possiamo guardare e ammirare. Le testimonianze di uno degli insediamenti messapici che contornavano e controllavano dall’alto la chora della colonia greca di Taranto. L’appartenenza – come scrive Ettore De Julius, direttore del Dipartimento di Scienza dell’Antichità dell’Università di Bari – all’ethnos iapigio e non a quello greco è evidenziato dalla presenza della ceramica geometrica iapigia, dalla tipologia dell’abitato, contrassegnato da tre cerchie murarie, dalle iscrizioni in lingua messapica ivi rinvenute e databili nella seconda

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Antiche strade nei pressi di Masseria Vicentino.

metà del IV secolo a.C. e, infine, dalla necropoli, le cui tombe, generalmente già trafugate, presentano tuttavia le caratteristiche conosciute dalle altre necropoli meglio note dei vicini centri messapici. Gli scavi durarono tre anni e furono rinvenuti migliaia di reperti, databili tra l’VIII e il VI sec. a.C. testimonianze di un insediamento abitativo prima greco e poi messapico. Da allora ci sono state in


ARCHEOLOGIA

Zona ed estensione della necropoli messapica.

totale ben undici campagne di ricerca sull’insediamento messapico in questione. L’ultima terminata proprio alla fine dello scorso mese. Questa volta sono stati gli allievi della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università di Bari e di una trentina di studenti dei due corsi di Laurea in Scienza dei Beni Culturali attivati a Bari e Taranto. Nelle loro sapienti mani sono stati esaminati i reperti fittili rinvenuti nelle campagne di scavo degli anni 2002, 2003 e 2004, al fine di assemblarli, restaurarli e documentarli. L’Amministrazione Comunale di Grottaglie ha messo a disposizione degli studenti un’ala della Scuola Media annessa all’Istituto Statale d’Arte ed il Palazzo De Felice, nel cuore del Centro Storico di Grottaglie. Davvero interessanti le nuove acquisizioni: un dolio ovoide alto più di un metro, gran-

di frammenti di un altro dolio, un’olla biconica terdo-geometrica, varie olle globulari ed un askòs con quattro appendici, tutti decorati nello stesso stile; infine una ciotola, diverse sicule ed una coppa carenata in ceramica di impasto. Tante, sono le richieste di un testo sui contenuti della Mostra, ma gli scavi ripetuti avrebbero richiesto continui aggiornamenti. Ma, come si legge nel dettagliato Catalogo della mostra documentaria, curato da Arcangelo Fornaio e Arcangelo Alessio, ben presto sarà avviata l’edizione completa degli scavi. È invece già allo studio un progetto per rendere permanente un Laboratorio di restauro Ceramico dove i giovani appassionati di archeologia potranno apprendere le tecniche del recupero dei manufatti destinati ai Musei. Ma non solo, la messa in opera di tale proponimento sarebbe utile per svuotare – finalmente – i magazzini del Museo, pieni di frammenti in attesa di restauro. Un problema questo, comune a molti musei soprattutto locali, meno comune l’intenzione di tirarli fuori a beneficio di cittadini, turisti e appassionati, ma questa è un’altra polemica da rinviare ad un prossimo articolo. Come ricordano i promotori dell’iniziativa, l’augurio è che l’esperimento possa continuare nei prossimi anni e che la ricerca contribuisca non solo alla salvaguardia di un patrimonio archeologico di inestimabile valore ma anche della sua valorizzazione. Parole sagge, da trasmettere a chi preferisce tenere magazzini pieni e musei chiusi. ■

Ceramica proveniente dall’insediamento messapico di Masseria Vicentino.

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I VIAGGI CULTURALI DI RIBALTA

il filo sottile che legò l'Oriente all'Occidente Per migliaia di anni la Via della Seta, il fascio di strade che univa la Cina al Mar Mediterraneo, è stata il più importante canale di transito, oltre che della seta e di altri merci, anche delle idee e delle culture tra l’Asia e il mondo occidentale. La ripercorriamo in un viaggio ideale che ci porta dai cortili della Città Proibita, oggi aperti alla curiosità dei turisti, fino alle città dell’inquieta area tra Siria e Iraq, e infine a Damasco in Siria. Un viaggio attraverso meraviglie naturali e archeologiche e tutte le difficoltà di un mondo millenario che sta entrando prepotente sulla scena del mercato globale di Angelo R. TodARo

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Prima puntata

oche altre denominazioni, oltre quella di «via della seta», hanno in sé la capacità di possedere un forte potere evocativo, di suscitare emozioni e far viaggiare la nostra immaginazione su sconfinati scenari naturali che hanno segnato il destino di popoli e culture. Infatti, per un periodo di oltre duemila anni, dal 500 avanti Cristo al 1500 dopo Cristo, una rete fatta di strade e tratte carovaniere, che divenne lunga oltre 7000 chilometri, costituì il percorso lungo il quale furono trasportate merci e conoscenze tra la Cina, l’India, il Medio Oriente e l’Europa, ma anche viceversa. Erano quelli allora i quattro territori principali del mondo civilizzato. Un secolo fa, lo studioso e geografo tedesco Ferdinand von Richtofen (foto qui sopra) coniò la frase «via della seta» per sintetizzare efficacemente gli intensi traffici commerciali e gli scambi culturali intercorsi tra Oriente e Occidente. Con quella denominazione egli voleva indicare più precisamente quell’insieme di percorsi carovanieri e rotte commerciali che congiungevano la Cina al bacino del Mediterraneo, lungo il quale nei secoli

sono transitate carovane di cavalli e cammelli carichi della preziosa seta, della quale la Cina ha conservato a lungo il segreto della lavorazione, garantendosi il monopolio del prodotto tanto ricercato nell’impero di Roma. Ancor oggi il termine «via della seta» è sinonimo di esotismo, avventura, viaggio in terre lontane, ma anche d’intensi e prolungati rapporti tra Oriente e Occidente, un nomesimbolo vivo e attuale, sovente utilizzato come denominazione per progetti culturali e interdisciplinari di ampio respiro che vedono coinvolti studiosi, archeologi e scienziati sia orientali che occidentali. La cosiddetta «via della seta» dovremmo in realtà chiamarla al plurale perché tante erano le rotte carovaniere che, attraverso le vaste regioni dell’Asia Centrale, mettevano in contatto popoli tanto diversi. Attraverso i secoli, su queste molte rotte si sono spostati mercanti delle piú diverse provenienze e nazionalità coi loro prodotti (seta, profumi, spezie, oro, pelli, metalli, porcellane, medicinali, schiavi, ecc.), si sono mossi condottieri con i loro eserciti, uomini di fede, esploratori, ambasciatori ed emissari, pellegrini, artisti e così via. La «via della seta» ebbe quindi la funzione


Due vecchie carte con il tracciato della Via della seta.

di diffondere anche esperienze culturali e religiose dalle piú diverse matrici: classica, iranica, indiana, cinese. Ecco perché noi ci siamo chiesti: cosa vedremmo, oggi, se percorressimo la stessa rotta degli antichi mercanti? se rifacessimo quello stesso viaggio partendo dal cuore della Cina, attraverso gli stessi territori e le stesse città? Sicuramente nei secoli ci sono cose che

si sono modificate, le città e le genti, chi più chi meno, ma altre sono rimaste quasi immutate, come ad esempio le vaste pianure, il deserto del Gobi e i monti del Tibet, e i fiumi e i laghi che farebbero da cornice al nostro favoloso viaggio. Così abbiamo scoperto che, viaggiando sulla «via della seta», potremmo non solo vedere come sono diventate oggi quelle città e quelle

genti, ma anche visitare i luoghi che il passare del tempo ha trasformato in interessanti siti archeologici. Ad esempio la Grande Muraglia che si estendeva in lunghezza per oltre 7000 km per difendere il nord della Cina dai Mongoli; gli ottomila soldati di terracotta che Qin Shihuang, il primo imperatore cinese, fece disporre a protezione del suo mausoleo alle porte di Xi’an; le Grotte di Mogao, meta importante perché ospitava i Buddha e i Bodhisattva (cioè gli “Illuminati” che pronunciavano i loro voti); le suggestive rovine di Jiaohe, un avamposto militare creato in epoca Han per la protezione della frontiera; l’antica e fascinosa Persepolis, con le tombe dei re persiani Serse e Dario; Palmyra, la più ricca e famosa delle città carovaniere; la vicina e folgorante Damasco, edificata 3500 anni fa e celebre per le sue stoffe, e tanto altro… Però, quale via intraprendere? Oggi gli itinerari che prendono il nome «via della seta» si moltiplicano, anche inventati, nei depliant dei tour operator e, inoltre, i percorsi seguiti dai viaggiatori lungo le antiche rotte sono spesso Ribalta di Puglia

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La via della seta

mutati nel tempo, seguendo le alterne fortune delle vicende politiche dei vari Stati attraversati dalle carovaniere. Però qualcuna di quelle vie è rimasta invariata nei secoli e noi una di quelle abbiamo scelto; abbiamo preferito una via «classica», una via che, partendo dall’antica capitale cinese Chang’an, che Tolomeo chiamava Sera Metropòlis e che oggi ha nome Xi’an, raggiungeva l’oasi di Dunhuang (cioè Raggio luminoso); poi correva in doppio tracciato lungo i bordi del deserto di Taklamakan (l’immenso deserto del Sinkiang cinese che confina con quello sassoso del Gobi), si ricongiungeva a Kashgar (la più occidentale di tutte le città cinesi), proseguiva verso la “Torre di Pietra” (il misterioso Lithinos Pyrgos descritto da Tolomeo); da questo tronco principale si diramavano tortuose carovaniere che solcavano l’immensa Kashgaria degli antichi cartografi, attraversavano montagne vertiginose in direzione di Samarcanda, Persepolis o dei grandi mercati della Persia, fino a raggiungere le rive del Mediterraneo a Damasco o ad Antiochia, oppure ad Alessandria, da dove proseguivano per Roma. Ecco il nostro viaggio… un viaggio affascinate, non credete? Un viaggio che si snoda tra ben sette Stati, tra grandi e piccoli: Cina, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Iran, Turchia (al posto dell’Iraq) e Siria. Che intanto potrete intraprendere in “anteprima” attraverso le pagine di Ribalta, suddiviso in puntaIl percorso del nostro viaggio che inizia da Xi’an e si snoda su ben sette nazioni fino a Damasco. La via originaria (tracciata in rosso) passava per l’attuale Iraq.

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te. Conosceremo le città e le genti che oggi s’incontrano su questa via e, nel frattempo, menzioneremo i numerosi protagonisti di questo affascinante e straordinario viaggio lungo le vie carovaniere che hanno segnato i percorsi della storia; spiegheremo cosa oggi è possibile visitare nei dintorni della via scelta, quali le culture e i luoghi archeologici più interessanti, in modo che tutto ciò possa far da guida ai più avventurosi, a coloro che


La via della seta

vorranno percorrere personalmente la «Via della seta». E ciò non è impossibile. Certamente oggi il Medio Oriente non è luogo da consigliarsi ad un turista e ci sono zone dove è proprio impossibile recarsi. In questa situazione una carovana d’oggi, giunta a Samarcanda, devierebbe il suo percorso, magari inoltrandosi nella Russia per raggiungere l’Italia attraverso l’Ucraina, la Romania e l’Illiria; oppure, giunta in Siria, devie-

rebbe verso la Turchia, e così potremmo fare noi… Ad ogni modo il percorso da Xi’an fino a Samarcanda è abbastanza tranquillo e sicuro. Nella prossima puntata inizieremo il nostro viaggio, partendo da Xi’an, anche se il turista che raggiunge la Cina con un volo internazionale deve necessariamente arrivare prima a Beijing, cioè Pechino, e da là portarsi a Xi’an. ■

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La via della seta

Le fibre tessili in Occidente e la seta d’Oriente

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on sappiamo in quale periodo e per quale ragione gli uomini, per vestirsi, abbandonarono le pelli e cominciarono ad intrecciare fibre vegetali ed animali. I ritrovamenti dei tessuti più antichi sono avvenuti in Egitto ed in Sud America proprio perché il clima particolarmente asciutto di quei territori ha consentito la loro conservazione; quei tessuti risalgono all’Era Mesolitica, vale a dire da 4600 a 3200 anni prima di Cristo.

Su questo kilyx attico del 470 a.C. alcune donne filano la lana. In basso: vicino alle rovine Inca di Chinchero, in Perù, nel piccolo mercato domenicale le donne, con lo stesso gesto delle greche, filano le lane in attesa dei clienti.

La lana ha sempre avuto grande importanza e diffusione nella storia dell’uomo, che in tempi antichissimi cominciò a dedicarsi all’allevamento degli animali che potevano essere tosati: pecore, capre, cammelli, vigogna, lama, ecc. Da ritrovamenti archeologici risulta che la lavorazione della lana era diffusa in molti luoghi, dall’Egitto alle Ande, dall’Europa Settentrionale all’Asia. Roma importava lana grezza dalla Grecia, dalle Gallie e dall’Africa per lavorarla nelle proprie manifatture. La Spagna fu un grande centro di produzione e tessitura della lana e, in seguito, l’allevamento della pecora merino segnò una grossa svolta nell’industria laniera. La morbidezza e la struttura sottilissima della fibra merino permetteva

Un dipinto egizio su lino del 1 millennio a.C. col simbolo del sole e, a lato, la pianta chiamata Linum Usitatissimum dalla quale si ricava la fibra tessile.

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di realizzare stoffe damascate bellissime e resistenti. Nei paesi caldi, però, i tessuti di lana erano indubbiamente meno confortevoli da indossare, anche se realizzati con fili sottili. In Egitto, nelle tombe dei Faraoni morti migliaia di anni fa, sono stati rinvenuti pezzi di stoffa di lana, ma già dal quinto millennio avanti Cristo gli Egizi preferivano produrre stoffe adoperando una fibra vegetale: il lino. Essi avevano imparato a macerare le fibre della pianta chiamata Linum Usitatissimum per poi, attraverso diversi passaggi, ricavarne sottili fili intrecciati adatti alla tessitura. La pianta di lino coltivata dagli Egizi fu anche adoperata dai Fenici, dai Babilonesi e da altri popoli del Medio Oriente che ne diffusero l’uso tra i Greci e i Romani.


La via della seta

La Pinna nobilis si attacca alle rocce del fondo marino tramite dei filamenti chiamati bisso. Dalla cardatura dei filamenti di bisso si ottiene una specie di bambagia setosa, scura al buio ma dorata alla luce del sole; nella foto a destra, la tessitura sul telaio a tavola.

Tra gli antichissimi popoli del Mediterraneo, la cui vita era invece legata al mare, si produceva il bisso. Gli industriosi Cretesi, i Fenici, provetti commercianti, i Caldei, più lontani ma raffinatissimi tessitori e tintori, e gli Egizi furono i maggiori protagonisti della millenaria storia del bisso. Anche Taranto fu grande produttrice di questo filamento particolarmente fine e pregiato che, grazie alla sua duttilità, permetteva di ottenere una stoffa morbida, dall’aspetto lucido e brillante molto simile alla seta, che possedeva, inoltre, una naturale colorazione dorata, quel riflesso aureo che assumeva a seconda dell’incidenza della luce e che le conferiva un aspetto unico. Il bisso, il cui termine deriva dal latino byssus e dal greco bussos, a sua volta di origine fenicia, è un prodotto della Pinna nobilis, la più grande bivalve presente nel mar Mediterraneo che può raggiungere la lunghezza di un metro. Il mollusco si àncora alle rocce del fondo marino tramite dei filamenti che esso genera, che venivano usati dai tessitori come materiale grezzo da cui trarre la seta di bisso. La produzione della seta era laboriosa e richiedeva molte tappe di lavoro, dalla raccolta all’estrazione, la pulitura, la pettinatura del filamento a mano, la tessitura e la lavorazione a maglia. Alla fine si otteneva una stoffa particolarmente bella, preziosa e costosa, che per la sua rarità era destinata alle famiglie nobili e comunque danarose. La Pinna nobilis un tempo era molto diffusa nel Mediterraneo ma

oggi è una specie protetta perché rischia di scomparire. Eppure le conoscenze di questa tradizione artigianale non sono del tutto scomparse e l’interesse rinato per il bisso marino, patrimonio culturale dell’Italia del Sud, è andato perfino aumentando negli ultimi anni. Si ha notizia che uno staff di ricercatori dell’Università di Atene sta bioingegnerizzando un comune mollusco bivalve, la Pseudochama gryphina, per incrementarne le sue caratteristiche naturali: l’innata capacità di filtratura delle acque marine e la già considerevole produzione di bisso, filato ormai introvabile. Secondo Dimitris Mpoyrantas, coordinatore della ricerca, rivalutare l’antichissima tradizione ellenica della filatura del bisso rappresenterebbe un recupero culturale estremamente importante per la Grecia moderna. Dal mare si ricavava anche la tinta di porpora, usata per tingere le stoffe di lana. Era ricavata dalle ghiandole dei murici, molluschi con conchiglia a spirale. I murici avevano spiccate qualità tintorie nei mesi da marzo a giugno, periodo di fecondazione in cui si radunavano in grandi quantità. Questa tinta preziosissima, ottenuta diluendo e trattando con acqua e orina il succo di migliaia di murici, era fin dall’epoca della Magna Grecia tenuta in grande considerazione. Per il suo pregio, a Roma divenne il simbolo del massimo potere: un largo bordo di porpora ornava la toga dei senatori e una più sottile quella dei cavalieri, mentre una toga ricamata e interamente purpurea era privilegio

degli imperatori. Il cotone, il cui nome deriva dall’arabo katun ovvero “terra di conquista”, veniva già coltivato in Asia ottomila anni avanti Cristo. Anche gli Egizi conoscevano la pianta del cotone, portato nelle loro terre dalle carovane, ma essi utilizzavano la pianta soltanto per ornare le proprie case. Invece gli Indiani sfruttavano il cotone come fibra tessile e lo diffusero in Malesia, nell’arcipelago della Sonda ed in Persia. Le prime notizie intorno al cotone, o “lana che cresce sulle piante”, come si diceva allora, giunsero in Occidente dall’India. Lo storico greco Erodoto scrisse che in India Operai cinesi scaricano balle di cotone.

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cresceva su alcune piante una lana migliore di quella delle pecore. Infatti i Greci conobbero il cotone quando Alessandro Magno si recò a conquistare l’Asia e le prime coltivazioni di questa pianta furono fatte nell’isola di Tilo, nel Golfo Persico. Perciò i Greci e i Romani già conoscevano e acquistavano tessuti di cotone, ma essi non tentarono mai coltivare la pianta del cotone nei loro territori più caldi. Bisognò aspettare l’arrivo degli arabi, nel nono secolo, perché in Italia s’iniziasse la coltivazione del cotone, ma poiché questa fibra era più difficile della lana da filare e da tessere, il tessuto di cotone rimase per lungo tempo un prodotto di lusso al pari della seta. Il cotone si diffuse maggiormente quando i conquistadores spagnoli giunsero in America e trovarono, nel Messico, nel Perù e nel Brasile, il cotone già coltivato e manifatturato dai nativi. Erano colture di specie locali, diverse da quelle del vecchio mondo. Le nuove tecniche messe a punto dagli anglossasoni e dai francesi permisero poi la coltivazione di grandi piantagioni, che portarono ad un’immensa produzione di cotone già nel diciassettesimo secolo. La seta, invece, ha una storia particolare e misteriosa, perché i furbi Cinesi conservarono il segreto della sua fabbricazione per centinaia di anni. La seta, ricavata dal filamento

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Bachi da seta e bozzoli su foglie di gelso. A destra, tessuto cinese in seta con ricami in oro.

del bozzolo del baco chiamato Bombyx Mori, ebbe la sua origine come fibra tessile circa 2600 anni prima di Cristo in Cina o, secondo alcuni, in India. Tuttavia la seta cinese, ottenuta da un filo continuo lungo dai 600 ai 900 metri, era la più pregiata per struttura e colore, mentre la seta indiana veniva prodotta utilizzando fibre corte, questo perché gli Indiani non conoscevano il sistema di bollitura e dipanatura dei bozzoli necessario per ottenere il filo continuo (un altro segreto gelosamente conservato dai Cinesi). Alla fine del terzo secolo a.C. i mercanti asiatici iniziarono a percorrere vie carovaniere, dall’Oriente attraverso l’Asia Centrale fino ai porti del Mediterraneo, per portare a noi le preziose sete. Ciò nonostante la sua fabbricazione restò avvolta nel più fitto mistero, ed infatti i poeti scrissero che i Cinesi estraevano la seta dai

più splendidi fiori del Celeste Impero, oppure si disse che la seta si otteneva dalle fibre della parte interna della corteccia di un raro albero. L’albero c’entrava davvero, poiché si trattava del gelso, ma soltanto in quanto esso ospita i bachi che si cibano delle sue foglie; infatti i bachi per produrre trenta grammi di seta devono divorare sette chili di foglie di gelso. La seta, in definitiva, è il bozzolo che essi tessono per il loro letargo, durante il quale il baco si trasforma in crisalide e poi in farfalla. I Cinesi, che consideravano la seta come un dono divino, custodirono gelosamente il segreto delle varie fasi della sericoltura: leggi imperiali punivano con la morte coloro che lo rivelavano o che tentavano di portare fuori dal paese bachi da seta o foglie e semi di gelso. Ma poi, pian piano, in Occidente giunsero notizie sempre più precise, finché si capì che la seta veni-


La via della seta

Come Roma conobbe la seta va filata da particolari bachi. Perciò nel 551 d.C. l’imperatore Giustiniano, per assicurarsi la fornitura di bachi da seta, inviò due monaci persiani in Cina e costoro fecero ritorno a Costantinopoli con bastoni di bambù riempiti di bachi da seta e semi di gelso. Ma esiste anche un’altra leggenda, secondo cui la seta sarebbe giunta in Occidente, intorno agli inizi del V secolo d.C., a seguito del matrimonio tra un re di Khotan e una principessa cinese. Quando si trattò di andare a prelevare la sposa in Cina, il re di Khotan suggerí all’emissario di ricordare alla principessa che, qualora lei avesse voluto indossare abiti di seta, doveva portare con sé il prezioso materiale perché l’oasi di Kotan era sprovvista di piantagioni di gelso. La principessa cinese nascose, dunque, alcuni semi della pianta e i bachi da seta all’interno della propria elaborata acconciatura per eludere i severi controlli alla frontiera cinese. Fu cosí che la seta giunse a Khotan da dove, attraverso graduali passaggi, il segreto si sarebbe poi finalmente trasmesso all’Occidente, determinando la fine del monopolio cinese della sericoltura. Infatti, secondo questa leggenda, Khotan sarebbe stata la misteriosa Serindia da cui il baco fu introdotto di contrabbando a Bisanzio, dando inizio alla produzione della seta in Occidente. Quindi, come accadde veramente? Può anche darsi che i monaci persiani abbiano preso i loro bachi nell’oasi di Khotan. Comunque sia, intorno a quel periodo cominciò la tradizione del baco da seta in Occidente che si diffuse in tutta Europa. Nel 1140 il prezioso insetto entrò in Sicilia e nei secoli a seguire la produzione della seta in Italia raggiunse un notevole sviluppo grazie alla grande richiesta delle famiglie nobili che amavano indossare le splendide sete. Ma intorno al 1850 un’epidemia uccise i bachi da seta e il mercato occidentale subì un forte colpo; così l’Europa dovette ancora una volta dipendere sempre più dall’Estremo Oriente per ottenere il prezioso tessuto. ■

A

All’inizio dell’estate del 53 avanti Cristo, sospinto dall’invidia per i trionfi militari di Cesare e Pompeo, Marco Licinio Crasso partì alla volta della Persia con ben sette legioni: voleva sfidare l’esercito dei Parti, che allora dominavano non solo la pianura della Persia ma anche la Mesopotamia, e tornare a Roma carico di bottino e di onori.

Marco Licinio Crasso

Ma le cose non andarono come egli prevedeva, tant’è che il povero Crasso, uomo esperto più di commerci che di battaglie, pagò quell’imprudenza non solo con una sonora sconfitta, ricordata nella storia romana sotto il nome di battaglia di Carre, ma anche con la vita. Per quanto funesto, quell’episodio segnò l’occasione in cui per la prima volta i Romani vennero in contatto con la seta. Infatti i guerrieri Parti innalzavano vessilli colorati fatti di un insolito tessuto che proveniva dalla Cina, chiamato dai cinesi see e dai mongoli sirgk, termine che dette origine alla parola inglese silk. Nel secondo secolo dopo Cristo lo storico romano Lucio Anneo Floro ricorda l’episodio della battaglia di Carre; la sua è la prima menzione della seta nelle fonti letterarie occidentali. Ma vediamo di capire quando i

Cinesi cominciarono a lavorare la seta e come essa giunse in Occidente. Secondo la tradizione sarebbe stata la sposa di Huangdi, mitico Imperatore Giallo e leggendario padre della civiltà cinese vissuto intorno al 3000 a.C., ad aver per prima scoperto le proprietà del filamento prodotto dai bachi da seta. Effettivamente le scoperte archeologiche confermano che le origini della sericoltura sono antiche quanto dice la leggenda. Infatti, nonostante la seta sia un materiale organico, e perciò molto fragile e soggetto a rapido deterioramento, sono stati riportati alla luce antichi reperti in seta che provengono da siti della cultura tardo-neolitica di Liangzhu, fiorita tra il 3300 e il 2200 avanti Cristo nella Cina orientale, là ove si trovano oggi le moderne città di Hangzhou e Shanghai. Si tratta di pochi frammenti di tessuto e resti di una cintura in seta che, tuttavia, attestano come quella fibra fosse già nota agli antichi Cinesi dell’epoca dell’Imperatore Giallo e la sua consorte. Inoltre quei reperti dicono che la lavorazione della

Un’immagine che raffigura Qin Shi Huangdi, il primo imperatore della Cina. Ribalta di Puglia

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La via della seta

Una strada della parte vecchia di Hangzhou. A lato, un recente defilè a Singapore con tessuti in seta provenienti da Hangzhou.

seta si è inizialmente sviluppata nelle regioni meridionali della Cina, che infatti poi ospitarono i principali centri di produzione dei preziosi tessuti: Hangzhou, con la regione del lago Tai, e a ovest, risalendo il corso del Fiume Azzurro, Chengdu, la capitale della provincia sudoccidentale del Sichuan. Il «segreto» dell’estrazione del prezioso filamento ha davvero una storia molto antica ed è lecito supporre che già allora l’uso della seta rappresentasse uno status symbol. La seta cominciò ad essere esportata dalla Cina solo verso la fine del III secolo a.C., al tempo della dinastia Han. In quel periodo la Cina si trovò a fronteggiare la pressione alle frontiere di una popolazione nomade denominata Xiongnu, che già effettuava incursioni nel territorio cinese. Gli Xiongnu riuscirono a occupare la regione dell’Ordos, compresa entro la grande ansa settentrionale del Fiume Giallo, e arrivarono a trattative con l’imperatore Gaozu. Fu cosí che una giovane donna della casa imperiale cinese fu data in moglie al sovrano Xiongnu, e da allora, ogni anno, come sappiamo da fonti cinesi, ai nomadi venivano offerti in dono seta filata e tessuti in seta, oltre a generi alimentari. I Cinesi consideravano la seta, giustamente, il piú prezioso e raro dei

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loro prodotti e quindi quanto di meglio essi potessero offrire al sovrano straniero che guidava le temibili orde nomadi, per accattivarselo. Infatti quei doni avevano lo scopo di evitare che i nomadi si rifornissero da soli di tali prodotti, saccheggiando periodicamente il territorio cinese. Ma tra gli Xiongnu, nomadi della steppa che vestivano di pelli, i delicati tessuti e i filati di seta non potevano certo trovare largo impiego, così essi li utilizzavano come preziosa merce da scambiare con altri popoli dell’Asia. In questo modo ebbe inizio la diffusione della seta fuori dei confini della Cina. La seta «contrabbandata» arrivava in India e da qui in Asia Occidentale, ma non oltrepassava mai i confini di questi due paesi, per cui il commercio della seta si sviluppò oltre questi territori soltanto quando i Cinesi iniziarono a controllare direttamente le vaste regioni dell’Asia Centrale. La cauta politica dei sovrani cinesi cambiò quando salí al trono l’imperatore Xiaowu il quale modificò l’atteggiamento della Cina verso gli Xiongnu. Egli inviò loro, anziché la preziosa seta, le sue potenti armate al comando di generali decisi a farsi valere. L’imperatore cinese cercò poi alleati che lo affiancassero nello scontro militare e inviò verso Occidente un suo rappresentante di nome

Zhang Qian. Costui, dopo una lunga serie di peripezie, riuscì a raggiungere un territorio situato a nord, corrispondente a parte delle attuali repubbliche di Uzbekistan e Tagikistan; poi si spinse a sud, giungendo nell’odierno Afghanistan settentrionale, dove egli fece una importante scoperta: nei mercati di Daxia venivano smerciati prodotti e tessuti provenienti dall’India ma originari dello Yunnan e del Sichuan, le due provincie sudoccidentali della Cina. Com’era possibile? Sicuramente doveva esserci una via collegante la Cina all’India: tale via infatti esisteva e raggiungeva il bacino del Gange attraverso i monti della Birmania. Lungo questo tragitto fioriva un commercio non controllato di prodotti che passavano di mano in mano, di popolo in popolo, e tra le merci che transitavano vi erano anche i tessuti di seta cinesi. Zhang Qian, che era stato il primo cinese a spingersi in territori cosí lontani e a raccogliere informazioni su terre e popoli stranieri di cui in Cina si ignorava persino l’esistenza, visitò anche la Partia, la regione del Golfo Persico. Zhang Qian si rese anche conto che in tutti i territori visitati, compresi quelli controllati dai Parti, la seta era del tutto assente. Per la Cina ciò significava l’apertura di nuovi mercati per un prodotto di cui era l’esclusivo produttore. Risolta la questione Xiongnu, relegando quel popolo a


La via della seta

Un antico arciere cinese in un parco di Hangzhou.

Pertanto quando alcune tratte divenivano troppo insicure, o costose, i mercanti si spostavano verso rotte piú tranquille; e quando il rischio si faceva troppo alto, il commercio veniva interrotto in attesa di tempi migliori. Allora, gli Stati che si venivano a trovare lungo la nuova via della seta cercavano di trarre il massimo beneficio possibile da quel commercio, poiché la rete carovaniera consentiva loro di poter indirizzare verso i mercati stranieri anche i prodotti locali.

nord del deserto del Gobi, l’imperatore cinese affidò a Zhang Qian una nuova missione di «politica internazionale» per trovare nuovi alleati. Cosicché Zhang Qian partì nuovamente con un seguito di trecento uomini, migliaia di capi di bestiame e doni preziosi in oro e seta dal valore altissimo, per meglio intrecciare relazioni diplomatiche con i nuovi Paesi di cui egli era venuto a conoscenza. Quindi, in quest’occasione, ai Parti fu donata un’adeguata quantità di seta in nome dell’imperatore cinese. E alcune di quelle stoffe divennero i vessilli delle armate persiane che videro i Romani. Intorno al 100 a.C. la Cina condusse due spedizioni militari in Afghanistan, per punirlo di aver rifiutato una fornitura di cavalli. Quella spedizione segnò l’inizio dell’egemonia cinese sull’Asia Centrale e il graduale declino di quella Xiongnu. Con la conquista e sottomissione di questo vasto territorio, la Cina assunse il controllo totale delle due importanti vie carovaniere costituenti l’itinerario «classico» della via della seta: quella che passava per le oasi settentrionali del Taklamakan e quella che passava per le oasi meridionali. Entrambi i percorsi si diramavano dalla città di Dunhuang e terminavano ai piedi del massiccio del Pamir: la via settentrionale a Kashgar (città nota ai cinesi come «Shulo») e quella meridionale a

Yarkand. Questo era il sistema viario che nel corso del tempo, arricchitosi di diramazioni e varianti, Ferdinand von Richtofen sinteticamente e romanticamente chiamò «via della seta». Dal I secolo a.C. le merci viaggiavano regolarmente tra la capitale cinese Chang’an ed il Mediterraneo, coprendo via terra una distanza di oltre 7000 chilometri. I prodotti venivano trasportati da carovane formate da cavalli e cammelli che si spostavano sulle piste della via della seta sostando nelle oasi e nelle città carovaniere, dove mercanti di ogni provenienza effettuavano le loro transazioni. Nessuna carovana ricopriva l’intero percorso: nei luoghi di scambio i prodotti passavano di mano proseguendo il loro cammino verso la tappa successiva. Terreni aspri e difficili e condizioni climatiche spesso avverse richiedevano pesanti contributi alle carovane e ai loro carichi, facendo così lievitare il costo delle merci trasportate. Anche le bande di predoni costituivano un pericolo per il commercio, nonostante fossero in qualche modo controllate dalle milizie dei vari Stati, ma la protezione militare, che si estendeva anche alla salvaguardia delle vite dei mercanti nei centri di scambio, aveva tuttavia il suo prezzo sotto forma di tasse e balzelli.

I Romani, quindi, conobbero la seta in occasione della battaglia di Carre; essa ebbe luogo a circa sei anni dall’istituzione, da parte della Cina, del protettorato generale dei Paesi d’Occidente dopo la conquista dell’Asia Centrale. Infatti la diffusione commerciale della seta su scala internazionale si avviò non appena i Cinesi ebbero cominciato a controllare essi stessi e in modo regolare il commercio del prezioso materiale. Nemmeno mezzo secolo dopo quella tragica battaglia, la «serica» (così chiamata perché fabbricata dal lontano popolo dei Seri, come i Romani chiamavano i Cinesi) divenne il tessuto più ambito, simbolo della nobiltà romana che ne faceva sfoggio in ogni occasione di mondanità. Ma sebbene Roma e Cina tentassero di inviarsi l’un l’altra ambasciatori, esse non giunsero mai a contatto diretto perché erano separate da due grandi imperi: i Parti in Persia e i Kushana nei territori degli attuali Afghanistan e Pakistan. Così i Romani non seppero nulla circa l’origine della seta e della lavorazione necessaria per tesserla. Infatti Plinio il Vecchio diceva che i Seri erano «famosi per la lana delle loro foreste» e che essi «…staccano una peluria bianca dalle foglie e la innaffiano; le donne quindi eseguono il doppio lavoro di dipanarla e di tesserla». Dei bachi da seta non dava alcuna notizia. In Cina, d’altronde, il segreto di quel prodotto così importante era custodito con la massima cura, tanto che l’esportazione dei bachi da seta era proibita da una legge severissima. ■ Ribalta di Puglia

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CINEMA

CORTOMETRAGGI A STATTE

“PICCOLE COSE” PER GRANDI IDEE

Tre serate dedicate a proiezioni di notevole interesse e spessore artistico. La dimostrazione che anche in un piccolo centro urbano non mancano idee (e risorse) per rilanciare manifestazioni culturali. Di Cosimo Scaligina a seconda edizione della Rassegna Festival di cortometraggi d’autore, dal titolo Piccoli Grandi Corti è stata pubblicizzata dall’esperta mano del critico Massimo Causo sul Corriere del Giorno, da una trentina di manifesti affissi qualche giorno prima sui tabelloni pubblicitari del paese, dai contatti personali e via mail da parte dei bravissimi Mario Pennuzzi e Agnese Giandomenico della biblioteca civica di Statte. La rassegna è stata magistralmente ideata, curata e diretta dal valente Roberto Giacoia, dell’associazione artistica culturale Magico Agire, e si è avvalsa del patrocinio del Comune di Statte e della Amministrazione Provinciale di Taranto. Sono state tre serate fitte di proiezioni introdotte dalla visione di un piccolo gioiello che Paolo Ameli aveva presentato in concorso alla 59ª Mostra del Cinema di Venezia. In meno di un quarto d’ora, Rossofango ha raccontato una vicenda che forse avrebbe potuto cambiare completamente il corso della storia del mondo nella prima metà del secolo scorso. Durante la prima guerra mondiale in Francia, il soldato inglese Henry offre speranza di vita al caporale Adolf Hitler con un grande atto immeritato d’umana generosità. Cosa che non avrebbe fatto il tedesco se il suo fucile non si fosse inceppato.

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Il manifesto della della Rassegna Festival di cortometraggi d’autore.

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Qui sopra: alcuni momenti della serata finale della rassegna.

Ripartito in sei sezioni, il programma ha previsto due sezioni per sera. La rassegna è stata introdotta dalle sezioni Cinema Italiano (Rossofango di Paolo Ameli, Autodistruzione per principianti di Ivan Silvestri, Capolinea di Mario Casentino, Ofelia di Graziano Staino) e Documentari (Detail di Avi Mograbi, Air Linate di Massimiliano Mazzotta, Murgia di Cosimo Terlizzi, Linea d’Ombra del Fluid Video Crew, Sguardi di Frontiera di Simone Salvemini, Uè paisà di Gianni Torres, Acqua, Aria Fuoco, Terra… delle gravine di V. Antonio Greco). La sera del 7 maggio è stata la volta delle sezioni Cinema Straniero (At dawning di Martin Jones, Alice et moi di Micha Wald, Cry for Bobo di David Cairns, Schutze holt di J. W. Hart, 7:35 de la manana di Nacho Vigalondo, Sobre la tierra di Maria Forencia Alvarez, The day Winson came ti Kiel di Jasper Ahrens), Cinema d’Animazione (Enstation: Paradies di Jan Thurig, Oby di Ania Perl e Max Stolzenberg, Il re è nudo di Alessia Lucchetta) e la proiezione di dodici opere, della durata da un minuto a circa quattro minuti, degli allievi dell’Istituto Statale d’Arte “ISA” di Urbino (Soggettiva oggettiva di Helen Cerina, Dinamiche dell’abitare di Tommaso Lombardi, Da una foto di Meris Zanchi, La rivolta di Filippo Volpi, Apparenze di Francesco Lorenzetti, Pagina 16 di Tiziana Cerri, Maestrale di Martina Benedetti, Ecco, è ora di Magda Guidi, Maman di Anna Ferrandes, Identità di M. Ambrosiani, D. Furlani, A. Petrucci, Grillipenduli di Alessandra Stefanni, C’è qualcosa da capire o solo da ricordare di Eugenia Monti). Per la serata conclusiva sono stati proiettati cortometraggi della sezione Cinema Pugliese (Zinanà di Pippo Mezzapesa, Il ritorno dei giullari di Gialuca Camerino, Vlora 1991 di Roberto De Feo) e Speciale Cinema Pugliese – autoproduzioni – (A’nchinate di Angelo Lo Sasso, Il provino di Armando De Vincentis, Lampiecka di F. Schifosi e Giovanni Alagni, Oggi così,

domani chissà di Francesco Petrosino, Peccato di Daniela Recchia, Ritorno ad Antares di Aldo Saracino, Striges di Pietro Annicchiarico, Tutto scorre di Luigi Giardino, Un po’ di luce di Riccardo Quacquarelli, Uottadèl dell’Associazione Libertà). Le autoproduzioni sono state sottoposte alla valutazione dei presenti che hanno espresso il proprio gradimento con l’attribuzione di una segnalazione di incoraggiamento aggiudicata ad Armando De Vincentis. Sono intervenuti all’iniziativa V. Antonio Greco, esperto di storia del territorio; Pippo Mezzapesa, premio David di Donatello 2004; Giuliano Capano, docente di Storia e Critica del Cinema e Laboratorio Audiovisivi, DAMS dell’Università di Lecce. Lodevole iniziativa in un Comune, sia pure carente di strutture, che aiuta con le briciole l’iniziativa culturale locale e, in tempo di commissariamento, dispone un migliaio di euro per una proposta che ha le potenzialità per un discorso di ampio respiro. D’altronde la Biblioteca Civica ha ormai spazi insufficienti per accogliere determinate iniziative. L’eventuale utilizzazione dell’ex delegazione di quartiere potrebbe soddisfare solo alcune esigenze: non può offrire spazi di ampia aggregazione. La rassegna dei Piccoli Grandi Corti aveva bisogno di altro spazio, di altro sostegno, di una promozione e incoraggiamento palpabili. Per puntare sui giovani e sulle risorse culturali non bastano le targhe, serve qualcosa di più concreto; se il futuro ha l’esigenza di attrezzarsi con strutture adeguate, per la transizione è necessario utilizzare al meglio quello che offre la comunità per la comunità: pubblico o privato che sia. In questa giovane collettività autonoma non mancano le risorse umane per produrre cultura e costruire il futuro. Forse manca quel quid che senza abusi e strumentalizzazioni aiuti il gruppo dirigente nella gestione delle proprie scelte? ■ Ribalta di Puglia

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SPETTACOLI

Il

fEnOMEnO

“nEGRAMARO ”

LORO CE L’HANNO FATTA

L'ascesa del gruppo rock salentino, vincitore del Festivalbar 2005 come rivelazione italiana, e il loro ritorno a Copertino (Lecce) per chiudere i festeggiamenti in onore di San Giuseppe. Di Paola Abbracciavento hi sono i Negramaro? Sono sei giovani musicisti, nati e cresciuti in provincia di Lecce: Giuliano Sangiorgi (voce e chitarre), Emanuele Spedicato (chitarre); Ermanno Carlà (basso), Danilo Tasco (batteria), Andrea Mariano (pianoforte e sintetizzatori), Andrea De Rocco (campionatore). Grazie a numerose esibizioni dal vivo sono diventati ben presto un fenomeno emergente del circuito alternativo e in più di un’occasione hanno condiviso le scena live con band come i Negrita e Afterhours. Nel 2001 sono stati tra i dieci finalisti del concorso Brand Talent di MTV e nello stesso anno vincono il Tim tour. A fine febbraio 2003 esce l’album di debutto “Negramaro” su etichetta Sugar, dal quale vengono tratti due videoclip (“Solo” e “Mono”) firmati dal regista californiano Kal Karman. I Negramaro tornano in sala d’incisione nel febbraio 2004 per l’album “000577”, realizzato con la collaborazione di Corrado Rustici (Andrea Bocelli, Zucchero, Elisa, Eric Clapton, Sinead O’Connor), per i brani “Evidentemente”, “Essenza”, “Scusa se non piango” e “Come sempre”. Quest’ultimo è stato scelto da Alessandro D’Alatri per lo spot celebrativo del cinquantesimo anniversario della RAI. Nell’estate 2004 il gruppo inizia un nuovo tour con momenti importanti come il concerto del Primo Maggio a

C

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I Negramaro intervistati il 19 settembre nella Sala angioina del Castello di Copertino.

Roma e Arezzo Wave Love Festival. La loro presenza si ripete al “Concertone” in piazza San Giovanni e ad Arezzo nel 2005. Giuliano Sangiorgi, vocal leader del gruppo, oltre a compone tutti i brani dei Negramaro, è autore e compositore del brano “Le parole che non ti ho detto”, scelto e interpretato da Andrea Bocelli nel suo ultimo album “Andrea”. Il nuovo album dei Negramaro “Mentre tutto scorre”, prodotto e arrangiato da Corrado Rustici e dalla stessa band, contiene undici nuovi brani, una cover de “L’immensità”, storico successo di Don Backy, e ospita la straordinaria tromba di Paolo Fresu in “Solo per te”. “Mentre tutto scorre” è anche il titolo della canzone con cui hanno vinto il Premio della Critica Radio & Tv alla 55esima edizione del Festival di Sanremo ed è la title track del film “La febbre” di Alessandro D’Alatri, che ha scelto otto brani tratti dal loro nuovo album per la colonna sonora del film, prodotto da Rodeo Drive e Rai Cinema. Nel marzo 2005 la band ha rappresentato l’Italia a Londra, con Elio e Le Storie Tese, per la Fondazione Arezzo Wave, per l’evento musicale ITALIA WAVE. A giugno 2005 partecipano all’Heineken Jammin’ Festival, anticipando l’esibizione degli Oasis. Continuano il loro rapporto privilegiato con il cinema, chiamando a dirigere il videoclip di “Estate”, secondo singolo tratto dall’album “Mentre tutto scorre”, Silvio Muccino. Il video è ambientato a Porto Cesareo, nel Salento e segna un ritorno alle origini pugliesi. Il loro ritorno a casa Dopo la vittoria come rivelazione italiana al Festivalbar lunedì 19 settembre il gruppo è tornato a Copertino (Lecce) per chiudere i festeggiamenti in onore di San Giuseppe. Si sono esibiti Ribalta di Puglia

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SPETTACOLI

in un live gratuito nel Parco della Grottella di Copertino davanti a migliaia di fans. In concerto hanno avuto in scaletta tutti i successi presenti nel nuovo disco, un progetto di Caterina Caselli Sugar. E non è mancata la riproposizione di momenti legati all’album precedente e l’omaggio alla memoria con le riletture di “Indian Summer” dei Doors e de “L’immensità” di Don Backy, gli estremi di un percorso che mette in riga la ricerca della melodia, propria del dna del gruppo, con l’apertura ad una mappa di riferimenti importanti. Abbiamo partecipato alla conferenza stampa tenuta dai Negramaro la mattina del 19 settembre nella Sala angioina del Castello di Copertino, durante la quale la band ha ricevuto il disco di platino per aver raggiunto le oltre centomila copie vendute. Il premio è stato consegnato dal sindaco della cittadina Gianni Marcucci. Copertino è il paese d’origine di due componenti del gruppo, Giuliano e Andrea, che sono stati accolti con un caloroso applauso dalla gente del posto. L’intervista Da dove è nata l’idea di chiamarvi Negramaro? (Risponde Giuliano Sangiorgi) «Abbiamo scelto il nome di un vino delle nostre parti per portare la salentinità, di cui andiamo fieri, in giro per tutt’Italia e non solo. Siamo molto legati alla nostra terra. Ne è testimonianza il nostro ritorno qui oggi e il concerto che terremo stasera, eccezione delle eccezioni dal momento che non suoniamo mai alle feste patronali nei paesi. Ma questo è il nostro paese, è casa nostra. Ogni anno ci siamo sempre domandati: “Chi sarà il cantante per la festa?”. Quest’anno siamo noi. Ci conoscono tutti qui a Copertino. Ci esibivamo negli anni passati in un pub del paese e i nostri amici erano sempre lì ad applaudire. È anche un omaggio, questo nostro ritorno, per chi ci ha sostenuto moralmente e ha creduto in 80

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noi. Ci sentiamo i Negramaro del Salento. Siamo nati e cresciuti qui. Rappresentiamo le nostre radici in ogni dove». Avete spopolato con la canzone “Estate”, in cui vorreste che l’estate non finisse mai. Ma, ahimè, è ormai giunta al termine. Quali i momenti che porterete nella vostra memoria? (Risponde Emanuele Spedicato) «La canzone non si riferisce a una stagione dal punto di vista climatico ma a una stagione dell’anima. A differenza di quanto si possa percepire, date le sonorità accese, ha un approccio abbastanza malinconico con la realtà. È il periodo dell’anno in cui nascono infatuazioni, a volte molto intense, e si spera che non siano solo un’illusione, ma che appunto non finiscano mai. Di quest’estate ricorderemo la grande emozione provata quando abbiamo ricevuto qualche giorno fa all’Arena di Verona il premio come rivelazione italiana al Festivalbar. E tutto l’affetto dimostratoci in ogni tappa del nostro tour estivo in giro per l’Italia». Nel testo di “Estate” dite anche di essere alla ricerca di «un’insensata voglia di equilibrio». A cosa vi riferite, al successo? (Risponde Giuliano Sangiorgi) «No, assolutamente. Per noi l’equilibrio è la costante voglia di crescere interiormente e musicalmente attraverso autoanalisi e autocritiche continue su ciò che facciamo. Non equilibrio come forma fissa, cioè come il raggiungimento dell’apice del successo, ma come costante viaggio musicale di noi stessi. Insomma continueremo ad essere scomodi, come diciamo nel brano “Scomodamente”, perché raccontare la realtà, denunciando tutto quello che non va, ci permette di sentirci vivi, di poterci a modo nostro ribellare». C’è un collegamento tra questa ricerca di equilibrio e la vostra spiritualità, dato che cantate “... in bilico tra santi e falsi dei”? (Risponde Giuliano Sangiorgi) «In un certo qual modo sì. Spiritualità è per noi essere sei buoni amici, sorreg-


Qui sopra, i Negramaro in concerto. A sinistra, la consegna del disco di platino per aver raggiunto le oltre centomila copie vendute. Nelle altre foto, i Negramaro in vari atteggiamenti.

gerci nei momenti bui, crescere insieme. Spiritualità senza per forza parlare di cattolicesimo. È fare del bene agli altri. È fare ascoltare la nostra voce a chi attraversa un periodo difficile per dare stimoli concreti nel superare gli ostacoli. Oggi siamo tornati a Copertino anche per San Giuseppe, patrono del nostro paese, che per noi è un punto di riferimento così come lo è per la comunità. E ci sentiamo emozionati di cantare per lui». I testi di “Solo per te”, “Ogni mio istante”, “Sui tuoi nei” sembrano vere e proprie poesie d’amore. Dietro c’è una donna musa ispiratrice? (Risponde Giuliano Sangiorgi) «No, nessuna donna in particolare, solo un unico filo conduttore che lega queste canzoni: la nostra voglia di sentirci sempre liberi di poter dire ciò che pensiamo, di poter essere noi stessi sempre». Ma non è che per caso vi siete lasciati trasportare della moda così diffusa tra i giovani degli amori fluidi e leggeri? (Risponde Andrea

Mariano) «Noi crediamo nell’amore. Siamo dei romantici. Per conquistare una donna, o per amore di una donna, siamo disposti anche a modificare aspetti della nostra personalità. Conquistare intonando una melodia o con un gesto semplice che racchiuda tutta la spontaneità e la sensualità di cui siamo capaci». Abbiamo velocemente parlato di equilibrio, spiritualità, amore. Prima di lasciarci, un consiglio a chi vuole intraprendere una carriera nell’ambito dello spettacolo. (Risponde Giuliano Sangiorgi) «Noi abbiamo cominciato a suonare con la voglia di ribaltare il mondo, di esprimere la nostra rabbia. Avevamo e abbiamo una carica incontrollabile. Abbiamo iniziato a cantare in un garage ed ora continuiamo a cantare davanti a migliaia di persone. Siamo sempre gli stessi. Tante porte in faccia, tanti sacrifici... le nostre famiglie lo sanno benissimo. Insomma il percorso è stato meno lineare di quanto si possa pensare, ma è stata la caparbia a farci continuare. I problemi che abbiamo incontrato per avere contatti con il mondo discografico e quelli che incontreremo ancora lungo il nostro cammino musicale sono stati e saranno solo fasi di passaggio per andare poi avanti. Se avete passione, ragazzi, non fermatevi mai. E un giorno voi potrete dire: ”Noi ce l’abbiamo fatta”». ■

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SPETTACOLI

TOuR 2005

IL “VOLO” DELLA CRISALIDE

Un tour di successo proposto in giro per l’Italia e in molte piazze europee. Il segreto? Una comunione perfetta di competenze artistiche e una grande passione in comune: la musica. Di Mar ilina Mastrangelo uando la costa jonica fa da cornice al palcoscenico del varietà, la scena si veste di colore in colori, di suoni in musica, di gente in festa. Se poi calca le scene un tour ben conosciuto quale Crisalide, il connubio di classe artistica, eclettismo delle forme e professionalità, è dal risultato decisamente appagante. Lo stabilimento balneare “Trocadero”, egregiamente gestito dalla famiglia Sisto, in Castellaneta Marina, ha ospitato nel mese di agosto, il “Crisalide Tour 2005”. Il Tour propone sul territorio nazionale e su più piazze europee, uno spettacolo dalle mille forme artistiche, che beneficia dell’allestimento scenografico di Raffaele Di Gioia; quello tecnico e audio del Sound Service di Angelo La pesa; nonché della regia del maestro Giuseppe Di Gioia, detto Nino. Maestro Di Gioia, lei proviene da studi classici. Si è diplomato brillantemente al Conservatorio “N.Piccinni”, di Bari, sotto la preziosa guida del maestro Antonio Minella – Sì, molti anni fa; e nel 1988 ho iniziato la mia carriera artistica con l’orchestra “Sonora Corda” di Bari e, l’anno successivo, con l’Orchestra Giovanile del Conservatorio Piccinni, di Bari. – sottolinea il Di Gioia col suo sorriso semplice e disponibile. Del resto il suo curriculum vitae lo vede autore, arrangiatore e direttore musicale della “Valentino Ensamble

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Giuseppe Di Gioia, detto Nino.

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Il gruppo Arcadia composto da cinque ragazze.

Un momento dello spettacolo che evidenzia la bella scenografia.

Orchestra” e viene premiato al Concorso Cinema-tografico “Nuovo Cinema Italiano – Valentino Festival”, per aver ideato e portato nella sua tournée il “Valentino Concert”, una performance musicale sulla vita e sul carattere del grande divo del cinema.

Dal 1997 è direttore artistico e consulente musicale del Premio Internazionale “Città di Valentino” di Castellaneta (Taranto); è docente di flauto, titolare di cattedra presso l’Istituto Musicale di Alta Cultura “G.Paisiello” di Taranto. Incontrato il maestro Di Gioia nella sofisticata sala d’incisione discografica e produzione musicale “Valentino Recording Studio”, ove è direttore artistico e produttore, gli domando quando nasce “Crisalide” – Nel 1996 ricevo l’incarico di direttore artistico al Concorso Internazionale Musicale “Crisalide”, il cui intento principale è quello di promuovere artisti in erba che, attraverso concerti, performances musicali e compilations fanno i primi approcci col palcoscenico e col pubblico. Con la “Crisalide Promotion”, rinnoviamo l’interesse nei confronti del panorama musicale classico e leggero, nonché storico-territoriale. Del resto, – spiega il maestro Di Gioia – la Puglia lega indissolubilmente il suo fascino e la sua notorietà alla civiltà

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SPETTACOLI

Magnogreca, con le sue testimonianze storico-naturalistiche di gente che l’ha resa fucina di miti e di dei. La Crisalide Promotion pone i suoi sforzi in questa direzione: rendere questo lembo d’Italia, proteso nel Mediterraneo, al centro di itinerari culturali di rilievo, evidenziando e valorizzando la capacità creativa dei suoi artisti anche attraverso concerti scambio artistico-culturali con realtà di altri paesi. Nello spettacolo tenutosi al Trocadero di Castellaneta Marina, magistralmente condotto da Ivan Bonetti, voce ufficiale di Radio Reporter, con esperienza radio-televisiva sulle reti Mediaset e Rai, coronava e accompagnava la scena musicale il gruppo dell’Arcadia: cinque ragazze accomunate dalla grande passione per la musica che trasmettono con il loro entusiasmo attraverso un profondo mondo interiore. Si esibiscono poi Alessandra Zuccaretti; Anderson, cantautore e musicista, finalista all’Accademia della Canzone di Sanremo e finalista al Giro Festival Rai; Dario Talesco, rumorologo; Simone Fanelli; e da bambino prodigio a ragazzo con eccellenti doti musicali, vocali e interpretative, Stefano Colazzo; Sammy, show girl, animatrice, fantasista e ballerina che regala la presenza in scena di un prototipo femminile estremo, esilarante nelle vesti della “Sarda”. Il continuo di risate lo conduce Giovanni Montatori, ovvero il clown Gionni. Montatori, erede di un’antica famiglia circense, quella dei Mietitore – Beninati. La famiglia del clown Gionni – racconta Nino Di Gioia – affonda le sue radici sin dal 1895, sulle scene teatrali; quali girovaghi sui loro ottocenteschi “carrozzoni dei comici”; quei mitici carri coperti da un telo e trainati da un ronzino che viaggiavano su strade polverose di campagna: avevano a bordo attori, bambini, masserizie ed effetti di scena, tutto per regalare sorrisi ed emozioni. Oggi Montatori, attore e regista, direttore della scuola di teatro “La Teca dell’Immaginario”, fonde l’arte del clown con la passione 84

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per il teatro: il suo spettacolo vanta un attivo di oltre 800 repliche. Attualmente è impegnato all’Arena di Verona, in qualità di mimo, nell’opera “Boheme” di Puccini. Decisamente, quello di Montatori, è sul palcoscenico di Crisalide, un’espressione innovativa che unisce le abilità circensi ai ritmi teatrali, non trascurando il coinvolgimento del pubblico che, durante lo spettacolo diventa, oltre che spettatore, complice coprota-

In alto, una foto scattata durante le prove mattutine. Qui sopra un’altro momento della spettacolo serale.


In alto la show-girl Sammy; qui sopra il clown Gionni.

gonista. E Dario Tedesco? – chiedo a Di Gioia – se ben ricordo nel programma televisivo “I Raccomandati”, condotto da Carlo Conti, è stato “raccomandato” dal grande Giorgio Albertazzi – Certo, Dario Tedesco vanta un vasto curriculum come imitatore, rumorista e fantasista; con esperienze nei laboratori artistici di Zelig Milano; Koreja a Lecce; nel musical Notre Dame de Paris è Gringoire.Ha rappresentato Mosè nei Dieci Comandamenti e Geppetto nel Pinocchio, in immagine mimica. Al cinema lo si è visto in “Liberate i pesci” di Cristina Comencini; “Sangue vivo” di Edoardo Winsper. Giuseppe Di Gioia dal maggio 2002 collabora stabilmente con la Banda Centrale Musicale del Corpo della Guardia di Finanza alla realizzazione delle loro incisioni discografiche e ne segue i concerti che vengono rappresentati alla presenza delle alte Autorità dello Stato, a cominciare dal Presidente della Repubblica. Infatti è in partenza

per Milano dove si terrà il prossimo concerto e precisamente al Teatro La Scala. Gli domando se è in programma un concerto della Guardia di Finanza anche nel nostro sud; mi risponde che è la sua grande speranza. Del resto il nostro territorio possiede ambiti logistici per grandi esibizioni teatrali-musicali: occorrerebbe investire un modesto budget per accogliere gli oltre cento bandisti della Finanza, che gratuitamente offrono la loro musica. Ha davvero degli ottimi ingredienti la sua Crisalide, maestro!!!....e lui sorride compiaciuto. È bello attestare dalla parte del pubblico, quanto uno spettacolo possa donare; ma è doveroso riconoscerne il merito ai virtuosi dello spettacolo che, propongono, in perfetta comunione ed armonia con valenza artistica ed elegante maestria, accompagnati dal flauto folletto del Di Gioia, nella coreografia scenica del Crisalide Tour dove tante note s’incontrano e regalano musica. ■

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A R T E

l’ARTE pITTORICA dI f RAnCO C lARy

TRENTACINQUE ANNI DI IMPEGNO ARTISTICO

Colori fusi in una luce che emana una polifonia di linguaggi dove si confonde la semantica della luce con quella del godimento rosegue con successo lo straordinario percorso artistico di Franco Clary. Trentacinque anni trascorsi alla ricerca continua di uno stile personale che si esprime nei numerosi campi esperenziali trattati. Nel suo cammino si può seguire l’evoluzione del dibattito artistico italiano del Novecento, percorso passato attraverso il confuso panorama artistico degli anni Settanta e Ottanta, inflazionato di critici d’arte e povero di artisti degni di tale nome. Minimo comune denominatore del suo personale racconto d’arte, la straordinaria capacità di voler dipingere la vita con poche pennellate, una scelta difficile perché induce a ricondurre sbrigativamente la sua pittura in un tentativo di riduzione, ma non è mai così. Tanti critici nel corso degli anni hanno recensito il pittore tarantino, proponiamo nelle colonne che seguono due scritti che delineano insieme un profilo fedele e autorevole di questo straordinario artista.

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«Oltre la finestra», olio 80 x 100.

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Due grafiche realizzate su Cromalux.

Il mondo pittorico di Franco Clary di Dante Maffia

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l mondo pittorico di Franco Clary mi ha sempre attratto; quella sua nota quasi fiabesca che sfuma immediatamente nel surreale, quella dolcezza di colori che fasciano e sembrano cantare a voce piena mi hanno portato spesso a pensare che per fortuna esistono ancora i poeti del colore, che ancora è possibile agli artisti esprimersi senza ricorrere a trovate gratuite o a ripetitivi rituali che scimmiottano il teatro d’avanguardia. Guardando con molta attenzione le sue opere ho potuto comprendere il motivo per cui si viene attratti e coinvolti: alla base di ogni quadro c’è una perfetta composizione organizzata da una visione architettonica d’insieme che probabilmente arriva a Clary dalla sua dimestichezza con la grafica. Certo è che egli sa contemperare, in un unico tempo metafisico, disegno e colore, soggetto e pensiero e ricavarne suggestioni che vanno ben oltre la pura visibilità e sfociano nel sogno. Il sogno è uno degli assi portanti del discorso pittorico di Clary: egli sembra ritagliare la realtà in una serie di visioni fuori dai canoni usuali, in modo che le

immagini assumano riflessi di una condizione vissuta e a un tempo, da vivere, in modo che nulla venga disperso in nostalgie e in possibilità sfuggite sull’onda delle percezioni. Dunque il sogno come realtà da consumare, da districare dalla nebbia dell’incertezza, da proporre come viatico per meglio leggere la quotidianità e farne un bagaglio utile a decifrare il futuro. Mi pare evidente quindi che l’aspetto onirico sia elemento da considerare. tuttavia non si tratta di un onirismo preso a prestito dal surrealismo di Breton che attuava il rifiuto delle leggi della logica per una totale libertà di esistere e di esprimersi. In Clary l’impostazione surreale agisce fuori dall’automatismo e va a collocarsi in quella radura del dormiveglia in cui le cose subiscono una sorta di vigilata deformazione e continue metamorfosi. Eppure i colori non si mischiano tra loro, non s’intersecano e non danno luogo a “suggestioni” occasionali, perché a dominare la scena è la fantasia del pittore, demiurgo onnipresente, al punto che il visitatore è quasi costretto a soffermarsi facendosi invadere dalle campiture dolcissime, dagli abbracci di Ribalta di Puglia

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ARTE

quella tenerezza che si apre a ventaglio e stringe a sé. Ma tutto ciò sarebbe soltanto un effetto di tipo squisitamente pittorico, e quindi soltanto tecnico, se poi Clary non sapesse immettere nelle sue composizioni una briciola d’anima e non sapesse organizzare i suoi “racconti” con quella fluidità espressiva che sa rendere così bene contenuto e materia, simboli e poesia. Si pensi alla presenza della donna, volti che sembrano maschere, atteggiamenti fissi che danno l’idea di una drammaticità che invece è soltanto l’occasione per assegnare al femminino il suo ruolo di imprendibile creatura. Così l’essenza dell’essere viene concepita come forma sliricizzata, sospesa nel vuoto, in uno spazio altrettanto imprendibile e imponderabile che si disfa nel momento stesso in cui appare. Mi sono chiesto perché quasi sempre i soggetti dipinti da Clary sono incorporei e sembrano transitare attraverso un merletto filigranato di pulviscolo etereo. Le risposte possono essere molte, ma io ho colto quella che mi sembra esprima al meglio la sua poetica che chiamerei della pura percezione

elementare. Non semplicistica, ma elementare, cioè primordiale, capace di far nascere emozioni intatte, non contaminate dai sovradosaggi interpretativi a cui ormai è sottoposta la realtà. Insomma, Franco Clary vorrebbe riorganizzare il mondo secondo un suo schema artistico che privilegia la leggerezza, e ci prova lievitando le forme fino a farle diventare riflessi di una luce interiore ricca di sfumature e di accensioni. E certamente, com’è stato notato da molti critici, Clary è anche uno che contempla abbandonandosi e aderendo ai richiami dei soggetti dipinti. Lo fa con trasporto, quasi con tenerezza, ed è per questo che il colore ne guadagna in trasparenza, in densità cromatica che riesce a trasmettere sensazioni oserei

«Un tempo ritrovato», olio 70 x 100.

«Notte con luna», olio 100 x 70.

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dire di carattere esoterico. E come se il nostro artista ascoltasse sirene che vivono nel suo animo e ci informasse dei canti e delle danze che eseguono per lui solo. Ecco perché non sempre riusciamo a cogliere le vibrazioni sottili che lo guidano alla realizzazione, ed ecco perché ci sfuggono, a volte, le connessioni e le allusioni, gli improvvisi scoppi d’incanto, la meraviglia delle scoperte. E si tratta quasi sempre di scoperte che nascono sul filo di intuizioni e di presagi, di cadute improvvise nella circolarità di quel sogno rincorso e mai rag-

giunto ma che esiste e fa sfiorare l’assoluto. I suoi nuovi lavori intanto vanno acquisendo una maggiore compattezza stilistica e si arricchiscono di nuove sfumature, di indicazioni che per taluni sembrano prospettare mutamenti e rinnovamenti clamorosi. Che non saranno certamente negazione dei suoi approdi, ma approfondimento e dilatazione di quella dannazione interiore che continua a dettargli lo sfolgorio delle immagini che io continuo ad amare sempre di più.

Suggestioni e metafore di Raffaele Nigro

«Il geranio rosso», olio 70 x 100.

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e si dà una scorsa alla sostanziosa bibliografia critica che accompagna la pittura di Franco Clary si trova un denominatore comune nella suggestione metafisica. Io concordo in parte. Clary è un chiarista volante o, come piacerebbe dire a Calvino, un pittore della leggerezza. Lo dico chiarista nel senso che spesso la scelta dei colori va verso quel movimento milanese degli anni trenta-quaranta che scelse la luce, il pastello, la chiaria del giorno. Ma soprattutto lo dico un pittore della sospensione, alla maniera di Millet quando all’angelus fa fermare tutto e tutti e dice: ora si contempla, ora si ascolta il colore del suono, quello del silenzio. Che ci sia una conoscenza profonda della storia della pittura mi pare fin troppo ovvio, in un pit-

tore che fa citazioni a ogni pie sospinto e che chiama nelle sue opere palesemente Leger e Fantuzzi e il realismo socialista e la figurazione naif e l’universo impressionista. Clary non fa dei daprés, Clary intende portare la pittura degli altri nel proprio mondo, nella propria cifra, che è appunto la sospensione del sentimento, del pensiero, del giudizio, e l’evanescenza dei colori. E questa sospensione è metaforizzata dagli aquiloni volanti, da foglietti di carta o da tendaggi che vengono appena sollevati da un refolo di vento. Questa sospensione è negli occhi pensierosi delle modelle che si affacciano a una finestra o si sono svegliate nel pieno della notte. Questa sospensione è nei contadini, nelle falciatrici, nel monitor di un televisore che, ironicamente diventano luogo della serenità, aspetta uno spettatore temporaneamente allontanatosi, nei sottoboschi muti, nelle nature morte e infine nei cieli. I cieli spaziosi e ariosi, cieli di silenzio, ma carichi di mistero, di interrogativi, di pensieri. Di fronte alla sospensione dell’infinito, piccoli oggetti quotidiani fanno da tramite con l’aldiqua e con lo scorrere concreto e frastomante del tempo. ■ Ribalta di Puglia

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RICORRENZE z I festeggiamenti a Copertino per San Giuseppe

Venerato da AVIATORI e PARACADUTISTI A Copertino, in provincia di Lecce, i festeggiamenti solenni in onore del Santo Patrono e concittadino San Giuseppe da Copertino. La ricorrenza è molto sentita in tutto il Salento e raccoglie un gran numero di fedeli. Di Paola Abbracciavento

l Santo è una delle personalità più interessanti e ricche della mistica cristiana. È noto come il “Santo dei voli” e per tal motivo l’aviazione cattolica anglosassone e i paracadutisti cattolici della NATO lo hanno eletto patrono. Ma San Giuseppe è anche molto conosciuto per essere il protettore degli esaminandi. Gli studenti di tutto il mondo lo invocano come intercessore per usufruire di una sua protezione nelle loro fatiche. Abbiamo incontrato a Copertino nel Convento dell’Ordine dei Francescani Conventuali Padre Massimiliano Marsico che si occupa dell’organizzazione della festa religiosa. Ci ha spiegato che tale ricorrenza quest’anno è stata un punto di incontro e di riflessione in particolare per i giovani salentini, una sorta di prosequio della Giornata Mondiale della Gioventù tenutasi a Colonia lo scorso agosto. «La festa patronale di questo paese – ha detto Padre Massimiliano – è precisamente il 18 settembre, ma è stata preceduta da un periodo di novena che si è protratto dall’8 al 15 settembre. Questo periodo di preparazione ha visto una media partecipanti di 1000 persone e si è svolto tramite pellegrinaggi parrocchiali congiunti. Il nostro intento spirituale è stato quello di riportare il Vangelo nella vita quotidiana. Nel mondo dovrebbe esserci una maggiore sete di umiltà e amore per il prossimo…e San Giuseppe ne è un ottimo esempio. C’è chi propone come modelli di vita cantanti o calciatori, noi ci siamo allontanati dal conformismo. Vogliamo cogliere dalla vita del Santo una concreta testimonianza e un valido incoraggiamento per individuare quella strada che ci permetta di liberare la nostra vita da quanto la costringe nella grettezza».

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A Copertino processione della statua di San Giuseppe.

La calma con cui parla Padre Massimiliano è rassicurante. Ci ha raccontato di un’altra iniziativa, il “Meeting da Colonia a Copertino” che si è svolto il 10 e l’11 settembre, nato dall’esigenza di riunire tanti giovani, per cercare di metterli nella condizione di vivere una spiritualità semplice e profonda. «L’incontro è servito a prendere – ha sottolineato Padre Massi-miliano – un po’ più sul serio le esigenze della loro vita interiore. Siamo troppo presi dalle preoccupazioni del quotidiano da dimenticare l’essenziale. San Giuseppe ci sfida, invitandoci a fare della nostra esperienza di vita una pista di decollo». Abbiamo ascoltato le considerazioni di alcuni giovani che hanno partecipato a questi incontri. Cristina Glionna, universitaria leccese: «Mi sono sentita molto a mio agio con gli altri giovani. È stato un bel momento di riflessione e preghiera. Ho vissuto una spiritualità intensa». Ha aggiunto Enrico Martina, universitario della provincia di Brindisi: «È stata una bella esperienza. Abbiamo parlato della condizione dei giovani oggi e del rapporto con quelli che sono per noi i valori di vita principali». Alessandro Chizzini, laureando a Lecce: «Io e i miei amici abbiamo trascorso una giornata di confronto con altri giovani della nostra età in una dimensione spirituale di profonda tranquillità». Concluso questo periodo di preparazione, il 16 settembre è iniziata ufficialmente con la processione serale anche la festa civile: sono state accese le luminarie nelle vie principali della cittadina. In questa fase la statua del Santo viene portata dal Santuario di San Giuseppe da Copertino, dove è conservata la reliquia del suo cuore, alla Chiesa Santa Maria ad Nives, sita nel centro storico. Qui la statua rimane per 40 giorni per poi far ritorno al Santuario. «La processione – ci hanno spiegato gli anziani del paese – è detta l’Intorciata perché un tempo veniva illuminata dalle sole fiaccole dei fedeli che accompagnavano la statua

lungo il percorso. Questa ha avuto una lunghezza di 5 km e ha visto la presenza di un 50.000 persone. Forte l’entusiasmo che si è avvertito tra la gente per le strade del paese». Dal 16 al 18 settembre nella Chiesa Santa Maria ad Nives è stata celebrata la Santa Messa a tutte le ore. Il Vescovo Domenico Caliandro della Diocesi NardòGallipoli la mattina del 18 alle ore 11.30 ha dato il via, al termine della Santa Messa, alla processione finale che ha così concluso i festeggiamenti religiosi. La novità di quest’anno è stata la presenza di maxi-schermi posti all’esterno del Santuario per permettere a tutti i fedeli di partecipare ai riti. Della festa civile, invece, si occupa il Comitato Festa patronale San Giuseppe da Copertino, formato dagli stessi cittadini che durante il corso dell’anno raccolgono fondi da utilizzare per l’allestimento delle luminarie, per il gruppo musicale che allieterà la festa e altri progetti. Tra questi domenica 18 settembre c’è stato in piazza Umberto I il secondo raduno Salento d’amare con Fiat 500 e derivate e auto d’epoca. Abbiamo incontrato il Presidente della Commissione del suddetto Comitato, Giuseppe Greco, che ha sostenuto: «La festa in onore di San Giuseppe Nuesciu è un momento di raccoglimento. L’organizzazione quest’anno è stata più complicata del solito. I fedeli aumentano di anno in anno e dovevamo essere capaci di accoglierli in modo adeguato. Abbiamo così modificato il tragitto della processione e spostato il concerto principale e altre manifestazioni in spazi del paese più ampi. Ci tenevamo alla buona riuscita della festa. San Giuseppe è un punto di riferimento per la comunità copertinese». Quest’anno il Comitato ha fatto ricadere la scelta della band musicale sui Negramaro, di cui due componenti sono proprio copertinesi. Nel 2005 il gruppo ha avuto grande successo, raggiungendo i vertici delle classifiche musicali. La band ha tenuto un concerto nello spazio antistante il Parco della Grottella la sera del 19 settembre. Migliaia i fans, arrivati da tutto il Salento, ad accoglierli. A fine concerto una gara pirotecnica con artistici fuochi d’artificio ha ufficialmente concluso i festeggiamenti civili in onore di San Giuseppe. ■ Ribalta di Puglia

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Sport calcio

Romeo Benetti con la maglia della Roma e a sinistra in una foto più recente.

Intervista a Romeo Benetti

Cinquantacinque maglie azzurre La sua carriera non necessita di presentazioni. Del resto era un privilegio allora, è lo è ancora di più oggi, vestire le gloriose casacche di Sampdoria, Juventus, Milan e Roma, oltre a quella azzurra della Nazionale e prendere parte a due Mondiali. Era un gran combattente del centrocampo e motore inesauribile. Di Guglielmo De Feis 92

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La formazione della Juventus nella partita del 18 maggio a Bilbao per la prima conquista della Coppa UEFA; pochi giorni dopo i bianconeri vinceranno anche il titolo di campioni d’Italia. Ecco la formazione del match di Bilbao: Zoff, Cuccureddu, Gentile; Furino, Morini, Scirea; Causio, Tardelli, Boninsegna, Benetti, Bettega. Allenatore era Giovanni Trapattoni.

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lla "giovin età" di 60 anni il calcio fa ancora parte della sua vita: è istruttore a Coverciano, osservatore e commentatore tv nella zona ligure, dove piantò le radici quasi quarant'anni addietro, pur avendo origini venete purosangue. A metà degli anni Sessanta, epoca di boom economico e della Fiat Seicento, Romeo Benetti visse anche due stagioni in rossoblu, in quella C unificata in cui il calcio era calcio serio, privo di telecamere e digitali terrestri, in cui solo la carta stampata dava informazione di tutto. Benetti, oggi il calcio è cambiato, ma i suoi tempi erano sicuramente belli. «Innanzi tutto non parlerei di calcio cambiato, ma rapportato ai tempi odierni. Se lei mi parla di serie A stravolta, io non la penso così. Si tratta di necessità

contingenti, ossia di dare spazio a tutti e rendere il tutto più avvincente. I miei tempi erano diversi, tutto era lento: marcatura ad uomo fissa, schemi poco congeniali, spettacolo zero o quasi. Oggi vivi meglio le cose, si segna di più, c'è più agonismo e più lotta. Oggi sono un commentatore in tv liguri, qui vicino Genova, poiché vivo a Chiavari, in campagna. Beh, devo dire che il calcio odierno mi piace di più di quello in cui militavo io». Due anni a Taranto indimenticabili con Nardino Costagliola che previde per lei un futuro in nazionale. «Conosco bene il mister, che vive dalle parti di Firenze, sulle colline di Fiesole. È sempre stato un grande maestro di calcio e di vita, proprio come il povero Valcareggi del quale ero molto amico, così

come lo era anche Nardino. Costagliola oggi è rimasto uomo di calcio e segue sempre tutto con impegno e passione. All’epoca mi volle a Taranto e feci bene con lui. Venni che ero ancora militare e furono due anni stupendi. C’era la C unificata e si puntava al ritorno in B, ma spesso eravamo sfortunati e non ci riuscimmo. Andai a Palermo che militava in B dove conobbi Ignazio Arcoleo, che qualche tempo dopo disputò un paio di partite qui da voi, poi andò a Genova e infine il resto lo sapete tutti». Poi in azzurro due mondiali… « Un privilegio non da poco, allora, trovare spazio in Nazionale; era ancora più difficile di adesso. Non c'erano stages continui, il campionato di A non aveva tante soste come avviene ora: si giocava anche alla vigilia di Natale e Capodanno, il giorno di Pasqua, per Ribalta di Puglia

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Sportcalcio cui le partite degli Azzurri erano sempre ridotte all'osso. Ma trovai il mio spazio e disputai il primo mondiale in Germania nel 1974, con l’allora commissario tecnico il povero Uccio Valcareggi, che è deceduto da poco tempo. Eravamo una grande squadra, ma purtroppo ci furono problemi di spogliatoio e avemmo sfortuna nella partita decisiva contro la Polonia. Giocai anche nel Mondiale argentino quattro anni dopo, con Bearzot Ct, altro grande signore con cui collaboro tutt'oggi a Coverciano, dove egli è da quattro anni presidente del settore tecnico. In Argentina fummo sfortunati di brutto! Quella partita contro l'Olanda vorrei rigiocarla ancora perché non la perderemmo mai più, né arriveremmo quarti, ma vinceremmo il titolo. Mah! Quando fummo in vista degli Europei del 1980 che si sarebbero svolti in Italia, dovetti lasciare la Nazionale. Avevo già 33 anni ed Enzo preferì puntare sui giovani. Ancora oggi Bearzot ed io ci vediamo spesso a Firenze; egli è rimasto un grande signore, schivo, riservato e di poche parole». Oggi lei è membro della commissione che prepara gli allenatori. «È un impegno che svolgo con passione ed amore. Ho al mio fianco colleghi validissimi, come Selvaggi, ad esempio, che fece bene anche da voi, e altri personaggi di spicco come Antognoni e via dicendo. Avevo anche con me, come validissimo competente, il povero Clagluna che ci ha lasciati all'improvviso due anni fa: era un grande lavoratore ed una persona eccezionale. A lui molti allenatori, che hanno conseguito il patentino al Supercorso, sono rimasti molto legati affettivamente. Ho preparato anche il vostro 94

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a Pisa e che da voi a Taranto ha lavorato poco, secondo me ha ottime idee tattiche: basta vedere quanto impegno ci mette ogni volta che viene per le giornate a Coverciano». Fuori da Coverciano cos'altro fa?

tecnico Raimondo Marino, ragazzo umile e serio, grande difensore sul campo e persona a modo nella vita. Come anche Mazzarri della Reggina, Pasquale Marino del Catania, Giuseppe Giannini che svezzai nelle giovanili della Roma, quando iniziai ad allenare una volta smesso di giocare. Tutta gente che, secondo me, farà molta strada in panchina, perché ha molta voglia di arrivare». Tra i suoi compagni di squadra anche un certo Tato Sabadini, che poi ha allenato proprio a Taranto. «Altro ragazzo eccezionale che saluto con affetto. Vivemmo anni bellissimi in rossonero al Milan con il compianto Nereo Rocco; era un ruvido difensore che sapeva però giocare correttamente. Aveva qualità ottime e le espresse bene. Peccato, però, che come allenatore abbia fatto poco, ma da voi, secondo me, poteva continuare fino a fine stagione. Purtroppo oggi i presidenti decidono tutto sulla base dei consigli di troppa gente sbagliata, che si intromette in questioni non di loro competenza. Oggi sto anche seguendo qui al Supercorso… ora che mi ricordo, anche Antonio Toma, che ora allena

«Allevo canarini qui a Chiavari! Non c’è da scherzare, è una passione ereditata da un amico del posto e che adoro fare tantissimo. Poi commento le partite in tv, come ho detto prima, e per il resto faccio il pensionato. Non amo la vita frenetica delle metropoli; non amavo farlo quando ero a Torino, a Milano e a Roma, figuriamoci adesso! Vivo in campagna, curo il giardino e nei ritagli di tempo mi rilasso lontano dallo stress cittadino». Taranto ora vuol tornare in alto. «È una città che merita ben altri campionati. Già ai miei tempi, presidenza Di Maggio, i tifosi volevano la B a tutti i costi. Il povero presidente era un grande competente in materia manageriale e dette alla Società uno stile che per l'epoca era una novizia, secondo me il calcio odierno avrebbe bisogno di gente come lui. Era un duro di carattere, ma odiava giustamente le intromissioni altrui… insomma, il classico personaggio faccio tutto io. Non so bene com’è Blasi, non lo conosco, però conosco bene Vittorio Galigani, che nel calcio naviga da una vita; la sua presenza è una garanzia per il futuro della Società». Decreti anti violenza, biglietti nominali, lite per i diritti tv, società nate a scopo di lucro… ai suoi tempi erano tutte cose impensabili.


«Ripeto, i tempi sono cambiati, occorre adeguarsi. Sono dell'idea che ogni periodo abbia le sue situazioni ed esigenze. Quando giocavo io c'erano due canali televisivi e basta, poi a fine carriera nacquero le prime tv e radio private, così come le auto a diesel…Sono tutti aspetti contingenti della vita che cambia. C'è voglia di cambiamento, di miglioramento, di realizzazione e, come sappiamo, coi computer oggi è tutto più facile; idem con internet, e i cellulari. Secondo me queste sono migliorie e non brutture, come qualcuno pensa. Sui biglietti nominali sono d'accordissimo, perché la violenza va sconfitta, e questo è un modo per meglio controllare da parte delle forze dell'ordine. Sui diritti tv idem: è vero che si svuotano gli stadi e i prezzi sono alti, ma è anche un modo per dare modo a tutti di assistere all'evento, visto che molti non possono andare a sedersi sugli spalti. Le Società oggi hanno utili economici; il calcio costa e gli specchi dei tempi fanno sì che occorra aggiornarsi volta per volta». Però la serie A a venti nessuno o quasi la accetta. «Nessuno ama le nozze coi fichi secchi intendiamoci. Ma è giustissimo che lo spazio lo abbiano tutti, no? Ai miei tempi il Sud aveva fisso in A il Napoli ed a volte il Foggia; oggi invece ha cinque compagini in massima divisione. Il nostro Paese è comunale, quindi è giusto che ogni realtà trovi i suoi spazi da cui attingere: vedi Empoli e Siena, dove ho giocato prima di venire da voi, Chievo

con Zamparini. Se hai le disponibilità economiche giuste vai avanti, altrimenti è inutile provarci».

Verona, Treviso ed Ascoli, che è tornato in A dopo anni di difficoltà. Si guadagnano cifre alte? Allora è giusto giocare 38 giornate di campionato! Ne guadagna lo spettacolo, le società ed i tifosi». Però guardiamo quante Società gloriose sono fallite! Ad esempio Napoli, Venezia, Brindisi, Cosenza, lo stesso Taranto per tre volte in vent'anni, la Fiorentina tre anni fa… «Beh, come si dice… chi troppo vuole nulla stringe! Siamo schietti, per favore. Sperperare troppo alla lunga ti fa pagare dazio, è inutile girarci intorno. Il caso del Napoli è lampante: troppi sperperi di Ferlaino in passato hanno creato quei disavanzi che hanno portato al fallimento, idem per il Venezia dopo Zamparini, la Fiorentina con Cecchi Gori e le altre Società di cui mi parla. A Taranto i fallimenti sono stati frutto di scelleratezze varie. Se non sbaglio, prima di Blasi avete avuto non so quanti proprietari in Società ogni anno. Questo vuol dire che quando si fanno le nozze coi fichi secchi ottieni alla lunga picche! Anche qui a Genova, se Garrone non rilevava la Sampdoria, sarebbero falliti anche i blucerchiati dopo l'epoca di Mantovani e la sua gestione familiare. Idem a Palermo

In estate però qualche società di A non era a posto coi bilanci. «Non direi. Se hanno ammesso Messina e Reggina in A vuol dire che invece erano in regola. Lei mi parla di Gazzoni che ha fatto fuoco e fiamme per far ripescare il Bologna, che sul campo era retrocesso. Ma poi ha ceduto la società a Cazzola, e ciò vuol dire che forse non era sincero quando diceva certe cose ed ha preferito mettersi da parte. La Federazione sa dove andare a parare; certo, ha commesso anche le sue leggerezze, come due anni fa col caso Catania ed i mille ricorsi di Gaucci, però da uomo che ci lavora da anni dico che non è poi tutto marcio il lavoro che essa svolge, anzi direi che invece lo sa fare benissimo. Se non sbaglio anche il Taranto era fallito a campionato in corso, ma hanno consentito che lo rilevassero dal Tribunale fallimentare e l’hanno ammesso anche se la Società era ormai alla frutta durante l'estate 2004. Quindi credo che non ci siano tante cose da aggiungere in merito, anzi sono dell'idea che anche qui si cerca sempre di dare spazio a tutti». Benetti, siamo ai saluti. “Vi auguro di cuore di tornare in alto, Taranto lo merita. Se avrò tempo verrò a fare un salto da voi, da dove manco da una vita. In rossoblu ho iniziato la mia effettiva carriera da calciatore, poi mi sono lanciato verso altri lidi importanti, ma devo tutto al povero Di Maggio presidente ed all'amico Nardino Costagliola che ancora oggi sento e stimo tantissimo». ■ Ribalta di Puglia

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Sport volley

Intervista a Tonio Bongiovanni

Voglio l’A-1 In A2 vuole solo transitare, non piantarci le tende. Del resto è uomo di parola. Egli vuole confermare, nell'elite del volley che conta, i colori della Prisma Taranto. A sessantaquattro anni appena compiuti Tonio Bongiovanni è sempre battagliero, come non mai. Di Guglielmo De Feis – foto di Massimo Todaro

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Un momento dell’incontro di volley Prisma Taranto-Isernia disputato quest’anno.

C

onfermato Di Pinto coach, ingaggiato Giulio Di Mario da Latina per l'area generale, confermato Primavera diesse, il presidentissimo dal motto lacrime e sangue, prima di defilarsi dietro le quinte, spara le sue solite battute degne comunque di grande considerazione. Bongiovanni, la A2 è solo di passaggio allora. «Certamente, visto che ho dato al mio amico Di Pinto una Ferrari che saprà come guidarla a dovere! Noi facciamo sempre la seconda serie nazionale, rispetto al calcio io sto molto più in alto amico mio!». Ci risiamo! «È la verità, il Taranto fa la C2, noi la A2! L'anno scorso abbiamo avuto l'esclusiva all'estero con Al Jazeera, Sky diverse volte al Palamazzola come campo principale, dirette

importanti; io agisco non chiacchiero caro mio! Anche in A2 avremo Sky spesso e volentieri qui da noi. Ppuntiamo a vincerla e tornare in A1». Il tuo motto è sempre il solito. «”Lacrime e sangue”, ovviamente! Si deve lottare e sputare sangue sul parquet, noi abbiamo questo motto, ambizioni serie e concrete. Abbiamo rinnovato la rosa, acquistato giocatori importanti, ora Di Pinto saprà come miscelarli a dovere. Siamo ai vertici, è il nostro traguardo, io poi sono di parola, voglio tornare in A1, visto che l'anno scorso Cantagalli e compagni ci hanno regalato la bella sorpresa di retrocedere! E io li ho mandati via tutti sin da aprile! Chi viene da me sa che deve conquistarsi tutto col sacrificio, non

con la chiacchiera». Il Palamazzola presenta però spesso posti vuoti. «Noi puntiamo a riconquistare il pubblico. L'anno scorso c'erano famiglie intere, ogni volta che giocavamo in casa. Rispetto al calcio questo notavo e lo noto ancora». Ancora il paragone col calcio! «I tarantini debbono smetterla di vivere solo per il pallone, questo benedetto pallone! Ci sono altri sport che vanno seguiti e considerati pari al calcio. L’anno scorso ho riportato Taranto nel gotha del volley nazionale e siamo sempre in seconda serie mentre il calcio è fallito l'anno scorso: Blasi l'ha salvato, ma vedo che sta stentando ancora a risalire. Dico sinceramente una cosa: perchè non cominciamo a dare Ribalta di Puglia

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Sportvolley spazio anche ad altre realtà? Il basket femminile, ad esempio; quello in carrozzina, che fa la A1 anch'esso come la società di D'Antona… La verità è che il calcio sembra l'unica ragione di vita della gente la domenica». In società hai assunto un nuovo direttore generale. «Di Mario ha compiti di controllo di tutto, è un esperto di cose tecniche ed amministrative. Viene da Latina ed ha lavorato per anni con i pontini che fanno la A1. Ha la mia cieca fiducia… noi lavoriamo sempre, caro mio». Tante pugliesi ed ancora il derby contro Gioia del Colle. «Vuol dire che dopo essere retrocessi assieme risaliremo a braccetto! Elementare Watson! Noi puntiamo alla vittoria finale del campionato e stiamo facendo bene. Di Pinto per me rimane uno dei migliori allenatori al mondo».

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Ribalta di Puglia

A lato coach Di Pinto. In basso, il momento d’esultanza e di abbraccio della squadra dopo un punto vincente. in basso a destra, un’altra immagine di Tonio Bongiovanni.

Cosa farai, infine, da grande? «Chi lo sa? A 64 anni, sai, si pensa anche alla pensione, alla vecchiaia, ma io amo vivere la vita, amico mio. A fine stagione potrei anche dimettermi e farmi da parte, lasciare la società in A1, pronta per il miglior offerente! Decido tutto all'istante, amo il senso compiuto delle cose, come feci l'anno scorso quando comprai il titolo da Parma. Intanto pensiamo a tornare in A1, poi magari mi ritirerò a vita privata!». ■




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