Spqr Sport n. 1 - 2013

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ADRIANO PANATTA | 1


L L’INIZIATIVA ’INIZIATIVA E EDITORIALE DITORIALE D DEL EL DIPARTIMENTO DIPARTIMENTO SPORT SPORT




GLI APPUNTAMENTI CHE FANNO GRANDE ROMA Gianni Alemanno, Sindaco di Roma

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i avvicina la nuova stagione e, con essa, si approssima uno degli appuntamenti sportivi di maggior rilievo della nostra città: la Maratona di Roma. Sono già diciotto anni che le strade della nostra città sono percorse, edizione dopo edizione, da un numero di atleti sempre maggiore, di volta in volta più colorato e allegro. Per l’edizione 2013, la diciannovesima, abbiamo lanciato un “gemellaggio” fra la “maggiorenne” Maratona e la “neonata”, Granfondo Roma la cui seconda edizione è in calendario ad ottobre. Filo conduttore tra i due appuntamenti sarà il più celebre simbolo di Roma, il Colosseo, punto di partenza sia della Maratona di Roma che della Granfondo Roma. Il “gemellaggio” fra queste due grandi feste di sport prevede promozioni congiunte, sconti, medaglie, premi speciali: insomma, Maratona e Granfondo sono quasi un rendez-vous di “duathlon a distanza”. Ad anticipare la kermesse della Maratona di Roma, ci sarà, il 3 marzo, la Mezza Maratona Roma Ostia, un altro di quegli appuntamenti classici per lo sport nazionale e internazionale che vede le strade della nostra città come splendida quinta e palcoscenico. Alcuni fra i migliori specialisti delle specialità del fondo e del mezzofondo percorreranno le nostre vie fino alla Rotonda di Ostia Antica dove sarà posto il traguardo di questa sempre più prestigiosa gara. La RomaOstia è stata insignita quest’anno della IAAF Gold Label, il “sigillo” d’oro della federazione mondiale di atletica leggera per le gare di corsa su strada. Lo stesso premio che possono vantare la maratona di New York, di Londra, di Parigi, di Berlino, di Boston e le mezze maratone di Lisbona, Praga e Bogota. La Roma Ostia, poi, conferma ancora la sua veste solidale: le somme raccolte con le iscrizioni saranno devolute a ben quattro progetti di impegno sociale promossi dalla Comunità di Sant’Egidio, da Komen Italia Onlus, da Telethon e da Special Olimpycs Italia che dall’edizione 2012 sono partner solidali della RomaOstia HalfMarathon. Questo mese, poi, segnerà un ulteriore momento di vita della città e dello sport cittadino con l’inaugurazione del nuovo Centro servizi per il PalaFijlkam di Ostia e dei nuovi uffici della Federazione Italiana di Judo, Lotta, Karate e Arti Marziali. Infine, un’ultima annotazione: mentre scrivo, è appena giunta la notizia dell’elezione di Giovanni Malagò alla guida del Coni. Da queste pagine, voglio cogliere l’occasione per rivolgere i migliori auguri a Giovanni per questo nuovo incarico di grande importanza al quale saprà far fronte, come sempre ha fatto, con la sua consueta energia e bravura.


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SPQR SPORT 7. Il saluto del Delegato alle PoliL

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SERGIO PARISSE L’ITALIA CHIAMÒ di Giuliano DE NICOLA

«Il grande affetto dei tifosi all’Olimpico mi riempie d’orgoglio. Siamo in dovere di ripagarli. Il rugby ce l’ho nel sangue. Il mio cuore batte forte per l’azzurro» er lui, Sergio Parisse, francese di nascita ma italiano a tutti gli effetti, la vittoria degli azzurri al debutto del Sei Nazioni allo Stadio Olimpico racchiude sicuramente un significato particolare. La gioia che prova non riesce proprio a contenerla. Lui, il capitano, che ha trascinato al successo il quindici azzurro contro la Francia grazie ad una meta cercata e voluta. È l’esempio di chi, con questa maglia addosso, raddoppia la voglia di vincere ad ogni costo «Meglio di così non poteva andare — dichiara con orgoglio Parisse - è stata la vittoria di tutti quelli che hanno vestito questa maglia. Abbiamo vinto dominando, mostrando un bel gioco. Sentivamo di potercela fare, e ce l’abbiamo fatta. La mia è stata una bella meta collettiva». Nonostante la vittoria, il capitano azzurro ha reso onore agli avversari transalpini. «La Francia è una grande squadra con una tradizione eccezionale. Fa parte dell’élite del rugby mondiale. Ma non ci sono dubbi sul fatto che prima della partita all’Olimpico ci temevano e ci rispettavano: nel 2011 al Flaminio li avevamo battuti e questo aveva fatto scattare in loro un campanello d’allarme. Conoscevamo le loro

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grandi qualità individuali e di squadra, ma li abbiamo affrontati come sempre senza nessun timore. Siamo consci delle nostre forze. Andiamo avanti». Parole chiare e sintetiche che si sposano in pieno con la personalità di Sergio Parisse che proviamo a scoprirlo partendo subito da un dato statistico che ha dell’eccezionale: questo appena iniziato è il suo quinto RBS 6 Nazioni con i gradi di capitano dell’Italia. Nessun giocatore ha tenuto tanto a lungo quella fascia come il ventinovenne aquilano nato a La Plata nel settembre del 1983. «Come capitano non mi piace parlare molto, preferisco guidare la squadra dando un buon esempio in campo e trascinarla verso una buona direzione. Fuori dal campo posso ritenermi fortunato perché è un gruppo bellissimo, i ragazzi sono educati, semplici, ci si diverte insieme, siamo un gruppo di amici non c’è solo il rugby tra noi. Per me è un onore essere capitano di questa nazionale e giocare al loro fianco». A rovinargli la festa della bella vittoria sui francesi sono purtroppo arrivati prima il clamoroso stop in casa della Scozia nella seconda uscita degli azzurri nel 6 Nazioni e subito dopo quel

di Paolo VALENTE foto: archivio Panatta

uante volte abbiamo letto o sentito una frase di questo tenore: quell’atleta è una leggenda dello sport. Un aggettivo impegnativo, a volte usato però inopportunamente e impropriamente forse perché condizionati dalla troppa enfasi di un determinato momento oppure trascinati dal tifo e dalla passione. E di casi di topiche del genere la storia dello sport ne annovera parecchi. Ma se c’è un campione che di tale riconoscimento ne ha pienamente diritto di esserne fregiato è di sicuro Adriano Panatta, mostro sacro del

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tennis mondiale, di quelli che quando vai a leggerne il palmares rimani a bocca aperta. La sua racchetta ha entusiasmato non solo i tifosi italiani. Colpi di genio che solo i grandissimi possono regalare. Ha vinto tutto quello che si poteva vincere. Ai suoi attacchi sotto rete si sono dovuti arrendere tutti i campionissimi della sua epoca. Ma Adriano ha avuto anche il merito di cambiare il modo di fare e intendere il tennis. Lo ha popolarizzato, strappandolo a quel concetto choosey che aveva fino ad allora caratterizzato l’ambiente. Insomma, Panatta aveva portato una

ventata nuova, fresca, un forte e chiaro messaggio nel quale si indicava che lo sport, qualsiasi nome avesse, non doveva avere barriere sociali. La passione andava coltivata comunque e chiunque ne aveva il diritto di farlo. Un personaggio scomodo per quei tempi, non c’è che dire. Ma ammirato da tutti per la sua determinazione. Adriano aveva avuto in dono il carisma nel dna. Non gli mancava nulla. Era bravo, era geniale e, cosa che non guasta mai, era anche alto e bello. Un fascino a cui il gentil sesso non sapeva resistere.

dell’Anno 10. Intervista a Sergio Parisse 14. Rugby, la storica vittoria con la Francia 16 La storia di Tor di Valle e lo stadio della Roma 26. Le opere di Dan Meis 28. Le Miss Italia... che hanno fatto carriera 42. Intervista ad Adriano Pa-

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Bravo, elegante, vincente e, soprattutto, in grado di cambiare le abitudini degli spettatori del tennis. Adriano Panatta, l’uomo che portò il tifo da stadio al Centrale del Foro Italico...

tiche Sportive 8. Premio Atleta

Intervista ad Annalisa Minetti 34.

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natta 52. L’addio di Elisa Santoni

Nonostante siano passati tanti anni dalle sue gesta, Panatta rimane ancora oggi nell’immaginario collettivo il Campione con la C maiuscola, un’ammirazione che accomuna diverse generazioni, anche quelle più giovani che pur non avendolo visto giocare dal vivo rimangono colpite dai racconti dei genitori. E per questo si documentano attraverso filmati storici, foto d’archivio e recensioni librarie. Insomma, Adriano Panatta incarna tuttora, per i più, il tennis. Se si parla di lui, ecco che con i ricordi si va subito a quel 1976 quando Adriano vinse tutto quello che si poteva vincere: Roma, Parigi e Davis. È lui stesso a raccontarcelo nell’aprire questa nostra lunga intervista. «È stato l’anno che ho giocato meglio. Eccezionale. Il migliore della mia carriera. E pensare che il ’76 non era cominciato bene per me, all’inizio ho sofferto in qualche torneo. A Roma, invece, ho cominciato ad entrare in forma, anche se al primo turno ho dovuto faticare. Subito dopo, al Roland Garros, le cose sono proseguite nel verso giusto anche se all’inizio ero un po’ stanco visto che all’epoca il torneo francese si svolgeva appena una settimana dopo gli Internazionali. E via via fino alla Davis dove insieme ai miei compagni abbiamo fatto qualcosa di bello che ci ha permesso di centrare la vittoria».

54. Roma in kart 56. La storia del karting 60. Dossier: gli oriundi nel calcio 66. Intervista a Cristian Ledesma 74. Intervista ad Angelo

ADRIANO PANATTA

SPQR SPORT inizia il suo quarto anno di vita. Speso, lontano da ottiche commerciali, per raccontare lo sport a Roma e di questo tutte le discipline, anche quelle considerate a torto minori. Senza figli e figliastri, senza privilegiare i soli “sport di cassetta”, calcio in testa, ma dando spazio, tanto, alla cultura dello sport e alla storia: delle associazioni che costituiscono il tessuto italiano e degli uomini che hanno trasformato lo sport in leggenda. Con lo scopo di avvicinare i giovani all’attività fisica e formare le nuove generazioni proprio nella cultura e nel rispetto. Anni, con questo obiettivo: il consenso della gente, degli sportivi e degli addetti ai lavori sembra averci dato ragione. Cominciamo questo nuovo anno con la stessa voglia e la stessa determinazione del primo giorno. Questo, ci sia permesso, è un altro nostro piccolo vanto: dal primo numero, era il 2009, abbiamo sempre cercato e trovato margini di crescita, a livello contenutistico e grafico. Siamo arrivati fino a quì e da quì vogliamo ripartire. Al prossimo numero...

SOMMARIO

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Nelle finali di Roma e Parigi affrontò due grandi dell’epoca: prima Vilas e poi Solomon. Quale dei due la fece soffrire di più? «Tutti e due, erano entrambi grandi giocatori. Insieme a Borg erano quelli più forti sulla terra rossa, anche se lo svedese era un gradino superiore. Furo-

Benedicto Sormani 78. Strutture:

ADRIANO PANATTA | 42

il Palafijlkam. 82. Lo sport a Ostia

Fabio ARGENTINI

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84. Il Campo Morandi cambia casa 86. Intervista a Rosalba For-

Baseball e football americano sono attualmente le uncihe discipline, delle tante espresse dal paese a stelle e strisce escludendo il basket, che hanno fatto maggiore presa in Italia. In questo numero parliamo di baseball, uno sport circondato da un alone di fantasia che ha ispirato anche personaggi cinematografici come il Nando Mericoni sordiano di «Un americano a Roma». Nel prossimo numero porremo l’obiettivo sul football, che, dopo un po’ di difficoltà, si sta ritagliando un ruolo nel panorama sportivo

ciniti 88. Sport americani: la storia

di Antonio MAGGIORA VERGANO foto Getty Images

del Baseball 98. Calcio: il merca-

LA COPERTINA di SPQR SPORT

to di riparazione spiegato dal

E nel 1944 oltre agli americani sbarca a Nettuno anche il baseball

Rivista ufficiale Roma Capitale, Dipartimento Sport

procuratore Pocetta 100. Sport a AMERICAN SPORTS | 88

Roma: origine militare 106. Quan-

AMERICAN SPORTS | 89

do Rocky si allenò a Roma 110.

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Scarpe da ginnastica. Su misura

Mensile di informazione a distribuzione gratuita Reg. Trib. di Roma n. 21 del 27-01-10

Il cinema. Ha girato 189 film in carriera, lavorando con gli attori più importanti del mondo

112. Intervista a Philippe Leroy 122. Da Sandokan all’epopea degli

L’avventura. In America a 17 anni a cercar fortuna. Due guerre, in Indocina e Algeria come paracaduitista dei Berretti rossi francesi

IN PRIMA, il rugby e l’Inno d’Italia. Nel Anno IV numero l’intervista a capitan Parisse

Numero 1

Lo sport. Campione di Francia nel rugby con il Racing di Parigi. Nella sua vita ha fatto di tutti: bob, offshore, arti marziali. Ed oggi, a più di ottant’anni si lancia ancora dal cielo

sceneggiati Tv 128. Raggi X: il tendi Fabio ARGENTINI

re vite in una. Forse di più. Una passata alla ventura. Parte giovanissimo Philippe e non per soldi. Il papà è un conte, diplomatico dello stato francese, ministro dell’economia. Parte con una nave per le Americhe, allora si diceva così. Ha con sé uno zaino, una tenda, un sacco a pelo, pochi franchi e il necessario per la sua prima avventura... Aveva 17 anni e i pantaloni alla zuava su quel transatlatico in rotta per New York, pagato facendo il mozzo… «Uscivo da un collegio di Gesuiti e non ce la facevo più, è stato il mio primo atto di

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PARACADUTISTA, ANCOR OGGI VENTI LANCI OGNI ANNO, DUEMILA COMPLESSIVI. UNA TEMPRA FORTE QUELLA DI PHILIPPE LEROY LA CUI VITA È STATA UN ROMANZO, COME QUELLI CHE HA PORTATO SUL PICCOLO E GRANDE SCHERMO. HA AMATO L’AVVENTURA E IL SUD EST ASIATICO: COME YANEZ DE GOMERA IL SUO PERSONAGGIO IN SANDOKAN. E HA STUDIATO IL VOLO COME LEONARDO DA VINCI CHE INTERPRETÒ VENT’ANNI FA. UNA VITA SENZA MAI RISPARMIARSI, LA SUA: PARTÌ PER L’AMERICA GIOVANISSIMO, A CERCAR FORTUNA, NONOSTANTE FOSSE DI FAMIGLIA NOBILE E AGIATA. POI, HA COMBATTUTO DUE GUERRE, IN ALGERIA E IN INDOCINA. E HA FATTO L’ATTORE, QUASI PER CASO. ECCO LA VITA DI PHILIPPE LEROY: UNA STORIA TUTTA DA RACCONTARE.

nistavolo 131. News 160. Rita Le-

libertà». Sulle navi ci salirà altre volte Leroy. Per tornare dall’America, un anno dopo. E, poi, per partire in guerra, come paracadutista nei Berretti rossi. Prima in Indocina contro i Viet Minh, i movimentisti per l’indipendenza del Vietnam. Nemico difficile e a scoprirlo saranno anche gli americani qualche anno più tardi. Poi ci sarà la Guerra d’Algeria con i suoi due fronti. Quello di Francia con gli attentati del Fronte di Liberazione Nazionale e quello in terra d’Africa. Sette anni e mezzo di uno scontro sen-

vi Montalcini, l’ultimo saluto 162. Photogallery Old

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foto: LBM Sport

La tecnologia aiuta a personalizzare la calzatura per ogni atleta attraverso uno screening completo del soggetto affinché si realizzi una scarpa indicata solo per lui

orrere, senza avere la benché minima idea di quale scarpa indossare, e delle conseguenze di una scelta errata. È il profilo dell’atleta amatoriale medio, quello che si alza dal divano e, per perdere peso, acquista un po’ a caso, prende e parte. In realtà, dietro questa disciplina, c’è una ricerca continua e ci sono punti vendita pronti a dare risposte e consigli. LBM Sport, sita in Via Tuscolana, è un’azienda leader nel settore, come confermato dal titolare, Gianfranco Balzano: «Noi siamo nati nel novembre del 1981. All’inizio eravamo specializzati nel tennis e nello sci. Parlo del periodo dei tempi d’oro della Compagnoni e di Tomba. Poi è arrivata la flessione ed

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Stampa Stab. Tipolitografico Ugo Quintily SPA - Roma DIFFUSIONE. La rivista è distribuita nel corso degli eventi sportivi a Roma, per via postale e free press in tutte le piazze più importanti dei 19 municipi romani (l’elenco su www.spqrsport.it ). Per ritirare una copia è anche possibile contattare il numero 06.6710.70315 (Dipartimento Sport).

assorbite dai sistemi delle scarpe, ricadono sul corpo». Entrare nella LBM Sport è come entrare in un nuovo mondo: «È appassionarsi allo Sport. Noi abbiamo iniziato tantissime persone alla corsa. Qui ci si fa contagiare. Il nostro obiettivo e far fare almeno una gara, perché so che facendo un’esperienza simile la persona si appassiona. Difficile che smetta subito. Forse il segreto sta la. Più si fa e più piace» . Nello specifico, ecco cosa accade la prima volta che mettete piede in que-

L’altro ieri... 1850: nasce la prima scarpa da ginnastica. Arriva dall'Inghilterra ed è composta da una suola di gomma e il resto della tomaia in tela. Questa prima scarpa si chiamò Plimsoll, poi rinominata Sneakers negli USA. Un nome che ancora oggi indica questo modello di calzatura sportiva

1978: La Nike lancia la rivoluzione con le 'Air'. Tra la tomaia e la suola fu inserita un’integrazione di cuscinetti che avevano al loro interno del gas pressurizzato molto denso

Due modelli si fanno largo. L'Adistar Ride dell'Adidas e la Gel-Excess 33 dell'Asics. Il loro livello tecnologico è all’avanguardia Una scarpa costruita a maglia. Adidas e Nike nell'anno olimpico hanno lanciato la loro sfida alle tradizionali calzature da running presentando adiZero Primeknit e FlyKnit+.

Domani

Art Director Alberto Brunella Grafica Andrea Crescenzi

allora mi sono ispirato alla mia passione da sempre, la corsa, ed ho aperto questo negozio. Chiaramente il lavoro ha pagato. Ora siamo conosciuti a livello nazionale grazie ad atleti di punta della nostra squadra, come la Janat Hanane, marocchina, seconda alla maratona di Firenze». Il motivo per cui non bisogna comprare senza un consiglio è elementare. Ci sono fattori medici, fisici e tecnici: «Un problema alla schiena o alle gambe può essere a volte causato proprio da una scarpa errata. Se un individuo pesa 90 kg e corre a 6 km\h portando una scarpa leggera, avrà mal di schiena. Questo perché non ha capacità ammortizzanti, quindi tutte le onde shox che non vengono

Dipartimento Sport Cristina Contini, Saverio Fagiani, Maria Iezzi, Rodolfo Roberti Oggi...

Redazione Via C. Bavastro, 94 - 00154 Roma Tel. 06 671070333 Fax. 06 671070332 redazione@spqrsport.it grafica@spqrsport.it commerciale@spqrsport.it

sto punto vendita specializzato: «Il nostro lavoro si divide in vari step. Il 1°: Analisi sull’appoggio del piede. Viene fatta su piastra termica l’impronta per vedere se l’arco plantare è alto, basso, medio o se c’è il piede piatto. Successivamente facciamo correre la persona sul tapis roulant dietro cui c’è una telecamera. Con un programma possiamo elaborare quanti gradi d’inclinazione ha il piede della persona e quanta reattività di conseguenza può avere una scarpa rispetto ad un’altra. Fatto questo si passa al 2° step: il modello. Se uno è uno pronatore se ne prende uno stabile, se è un supinatore neutro si va cercare la cosiddetta mvassima ammortizzazione a tre. Chi ha una performance e vuole correre una gara in modo più veloce, si dà l’ a1 o l’ a2 a seconda del peso, del passo e del ritmo. Tutti questi elementi vengono mixati e la risultante è la scarpa che serve. Allo step 3° si presentano i vari brand, oltre 30-40 modelli. A quel punto siamo in grado d’elargire consigli per elaborare delle piccole schede di lavoro. Questo perché c’è anche un approccio che deve essere concepito con una metodologia. Si deve alternare il passo alla corsa per crescere piano piano e non creare poi delle problematiche. Uno può anche correre 30 minuti, sentirsi bene e poi il giorno dopo non muoversi. Il 4° step, l’ultimo è quello della passione. Quando la persona esce stimolata, e vuole correre una gara, noi possiamo dare una mano anche in questo. Abbiamo l’LBM Sport Team, molto ben strutturato, e possiamo accompagnarlo nelle prime competizioni. Recandosi nella location, troverà qualcuno di noi sotto uno stand alla consegna del pettorale. Ci potrà anche lasciare la roba, ed essere assistito da un tutor che lo accompagnerà nel percorso. Avviamo tanta gente in un mondo che diventa un universo. Si comincia con la 10km, poi si cresce per finire magari alla maratona di New York. È un percorso che si sa quando comincia e non quando finisce». Chiusura sui romani: «Nella Capitale si contano almeno 2500 agonisti, più tutti gli amatoriali. Questo perché la corsa è anche benessere. Si producono endorfine che combattono tensioni ed ansia».

Hanno collaborato Luca Aleandri, Nicoletta Bettarelli, Mirko Borghesi, Paolo Bravaccini, Sara Camponigro, Francesca Cellamare, Enzo Cerrone, Diletta Ciabatti, Roberto Cipolletti, Laura Cirilli, Giuliano De Nicola, Daniele Ferrante, Giancarlo Governi, AntoSPQR SPORT | 110

LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’ATLETA

In collaborazione con Ufficio Stampa Campidoglio di Mirko BORGHESI

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Editore Alfacomunicazione Srl Via del Giuba, 9 - 00199 Roma Direttore Responsabile Fabio Argentini

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nio Iannotti, Anita Madaluni, Antonio Maggiora Vergano, Eleonora Massari, Patrizia Mirigliani, Luca Montebelli, Francesca Monzone, Fernando Morandi, Luigi Panella, Federico Pasquali, Pasquale Polo, Valentina Succi, Paolo Valente Alcune fasi nella elaborazione dati che consentano di dar vita ad una scarpa personalizzata ad ogni atleta. Sono 4 gli step importanti: 1) analisi sull’appoggio del piede; 2) il modello più adatto; 3) presentazione dei brand; 4) l’aiuto nella disciplina

Photo Partner Getty Images SPQR SPORT | 111

di Laura CIRILLI

AgenzieQUANDO e Fotografi BALBOA Getty Images: Paolo Bruno, Luis CaSCOPRÌ ROMA stillo, Franco Origlia, Pietro Rolandi Roma Capitale: Fabio Callini, Ste-

Alla vigilia delle riprese del primo film della serie di Rocky, Stallone si recò nella palestra di Borgo Prati per prendere spunti sugli allenamenti. Una storia da raccontare...

ylvester Stallone si stava preparando per il suo film più importante. Un pugile italiano di nome Rocky Balboa che spopolerà in America e in tutto il mondo. E Stallone, pochi lo sanno, scelse la palestra di Borgo Prati per prendere nota sugli allenamenti che vi si svolgevano prima di iniziare le riprese di Rocky… «Sì certo! Lui è voluto venire qui perché voleva vedere come ci si allenava veramente! Nell’incontro con Ivan Drago si nota proprio questa differenza: il russo usava molto la tecnologia durante gli allenamenti mentre lui, preferiva andare a correre sulla neve! Questa è un po’ la nostra filosofia che ci accompagna da più di 100 anni. Ogni tanto mi chiedo come tanta

fano Bertozzi, Marco Catani, Francesca Di Majo, Francesco Mazza, Claudio Papi, Claudio Valletti. Hanno collaborato per le immagini di questo numero: ANSA, Archivio Borgo Prati, Marcello Cambi, Archivio Dan Meis, Archivio Fijlkam, Museo Fijlkam, Archivio FIR, L’Evento, Archivio privato Minetti, Archivio Miss Italia, Archivio privato Panatta, RAI, Sport Mg Photo, Ufficio Stampa FIR, Archivio privato Santoni, Teche RAI, Archivio Tor di Valle, Woods Bagot

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Sy con lalvester tuta de Stallon l Borgo e Prati

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LA SCHEDA

TENNISTAVOLO

SPQR SPORT ANNO IV_N. 1, 164 PAGINE


SPORT A ROMA, TRAINO PER IL TURISMO Alessandro Cochi, Delegato alle Politiche Sportive di Roma Capitale

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l momento di andare in stampa arriva la notizia dell’elezione di Giovanni Malagò alla più alta carica del Comitato Olimpico Nazionale. Giungano al neo Presidente, al Segretario Roberto Fabbricini e a tutta la Giunta, gli auguri più sinceri: di un lavoro importante per la crescita dello sport italiano. Dal Coni ai grandi eventi di Roma Capitale e ad un progetto ambizioso: coniugare due delle discipline più apprezzate e praticate dagli amatori, la corsa e il ciclismo, attraverso il gemellaggio tra la Maratona e la Granfondo. Si partirà con la Maratona di Roma e chi finirà la 42 chilometri, portando a termine in seguito anche la Granfondo ciclistica, entrerà in una classifica “combinata”, praticamente un “duathlon” a distanza. La Granfondo Campagnolo è giovane ma, già nella sua prima edizione (2012), ha battuto ogni record per numero di presenze, copertura mediatica e Paesi rappresentati, ritagliandosi così un posto importante a livello nazionale ed internazionale con i suoi 5.500 iscritti all’esordio. I due eventi, insieme, provocano flussi turistici di grande rilevanza per Roma. Basta pensare che l’impatto economico generato dai due appuntamenti è di circa 35 milioni di euro. Sono oltre 20.000 solo i partecipanti alle due prove agonistiche, che arrivano da oltre 80 nazioni, oltre alle migliaia di presenze legate alla RomaFun, la stracittadina di 5 chilometri abbinata alla Maratona di Roma. L’amministrazione Alemanno ha rilanciato la manifestazione, come testimonia la crescita continua del numero di partecipati e del ritorno turistico per la città. La Granfondo, alla prima edizione lo scorso anno, è diventata la terza gara più partecipata d’Italia. Ai due eventi prendono parte oggi migliaia di amatori, evidente segnale che la mission del Campidoglio e del Dipartimento Sport di valorizzare lo sport di base sta dando i suoi frutti. Insieme alla Maratona, la nostra città presenta ai nastri di partenza anche la RomaOstia, in programma il prossimo 3 marzo. La RomaOstia, “mezza maratona” più partecipata d’Italia, ha avuto quest’anno un prezioso riconoscimento da parte della Federazione Mondiale di Atletica Leggera, lo “IAAF Gold Label”. Saranno 12.000 gli atleti al via di questa trentanovesima edizione. Anche il Sei Nazioni di rugby sta portando a Roma tifosi e turisti. La passione generata dalla palla ovale riesce a riempire, in ogni gara, gli spalti dell’Olimpico. Roma, sempre più Capitale dello Sport.


Di Giulia GATTONI CELLI o scorso scor orrso o s 4 febbraio feb bbr brai a o si s è svolta Sala della Protomotepresso la Sa ala d ellla P e rot ro Campidoglio, ca in Campidog og gli l o, lla a ce ccerimonia “Atleta dell'Anno 2012 2012” 2”, gi giunta g un alla sua IV edizione. sportiva A premiare l'eccellenza sp orti capitolina, il Sindaco di Roma Gianni Gian AleDelegato manno insieme con il De lega alle Roma Politiche Sportive di Rom ma Capitale C Alessandro Cochi ed al Pre Presidente del Coni Lazio Riccardo Viola. Viola V hanno Quindici gli atleti che han nno ricevuriconoscimento to il prestigioso ricon nosc accompagnati dalla presenza di pres p importanti diversi volti import tant dello Istituzioni. sport e delle Istituzio oni. E tante coinvolte: le discipline coinvo olte: nuoto, leggera, calcio, atletica legg gera parabeach volcadutismo, rugby, bea primo ley e ciclismo. Il pr rimo a ricevere il premio è stato sttato il paraCimmino. limpico Salvatore e Cim suoi due A seguire, con i su Luigi Datometri di altezza, Luig me (il cestista d della Virtus Roma), Giovanni Cipollone Cip pollo (nofa to penalista, che quarant'anni quara ant' amatoriale Jucreò il torneo di calcio ama ator (romano e stizia) e Gianluca Santilli (ro della Granromanista, organizzatore d dell uniche fondo di Roma). Davvero un nich le imparacadutisti magini della coppia di pa rac Leonardo Elia, che Patrick Bizzarri e Leonard do E record di nel 2012 hanno raggiunto il re formazioFree fly con il lancio di una a for ne di 21 elementi. Gli altri imp importanti pluricampionessa premi: la pluricampiones ssa italiana Ferraioli, il nello stile libero Erika F Ferr Daniele Lucampione di beach volley D Dan dell’atletica po e la 20enne promessa d dell’ leggera Flavia Battaglia. Ed inoltre: il Presidente del della PoliBuccioni, sportiva Lazio Antonio Buc cion Franpresenza cesco Rocca, storica prese enza con la Federaziomaglia giallorossa. Per la Fed ne italiana rugby Pierluig Pierluigi gi B Bernabò, che ha ricevuto il premio d dopo la bellissima vittoria dell'Italia sulla sull s Franricevuto cia. Per il calcio hanno rice evut il pre-

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PREMIO

ATLETA

DELL’ANNO

Il prestigioso riconoscimento del Campidoglio alle eccellenze sportive della Capitale mio l'allenatore dell'Inter Andrea Stramaccioni, Antonio Candreva ed Erik Lamela. A consegnare il premio tante personalità come Giovanni Malagò e Raffaele Pagnozzi, alla vigilia delle elezioni Coni. Poi, Claudio Toti Presidente della Virtus, Marco Pietrogiacomi Presidente del Comitato Regionale

Fidal, Gennaro Di Napoli, mezzofondista e atleta olimpico, Patrizia Nostini figlia di Renzo che fu Presidente Onorario del Coni, l’avvocato Nicolò Schillaci per il torneo Justitia, Antonio Pirone Presidente del Lazio della Federazione Ciclistica, il colonnello Fabio Martelli del Centro Olimpico dell’Esercito, Luciano Cecchi consigliere

Salvatore CIMMINO

Luigi DATOME

Atleta Paralimpico, record italiano nel “Giro d’Europa a nuoto”.

Ala della Virtus Acea Roma di basket. Stella azzurra.

Flavia BATTAGLIA

Erika FERRAIOLI

Pluridecorata nonostante l’età (20 anni), con l’Audacia. È una promessa dell’Atletica.

Pierluigi BERNABÒ

nazionale Fipav, il nostro Bruno Campanile Direttore del Dipartimento Sport di Roma Capitale, Marco Canigiani responsabile marketing della Lazio e Vincenzo Sasso il secondo di Stramaccioni all’Inter.

Primatista italiana nei 100 sl in vasca corta. Atleta olimpica.

Dirigente della Federazione Rugby che è riuscita a ottenere risultati straordinari.

Daniele LUPO

Patrick BIZZARRI Leonardo ELIA

Francesco ROCCA

Il miglior giocatore di Beach Volley romano.

Nuovo record italiano di paracadutismo Free Fly.

Una bandiera della Roma, oggi allenatore delle nazionali giovanili.

Antonio BUCCIONI

Erik LAMELA

Presidente Generale della S.S. Lazio, la polisportiva più numerosa d’Europa.

Giovanni CIPOLLONE

Attaccante dell’A.S. Roma.

Antonio CANDREVA

81 anni, creatore del torneo Justitia giunto al suo quarantesimo anno.

Centrocampista della S.S. Lazio, giunto agli onori della Nazionale.

Gianluca SANTILLI

Andrea STRAMACCIONI

Organizzatore della Granfondo di Roma.

Allenatore romano oggi all’Internazionale.

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SERGIO PARISSE L’ITALIA CHIAMÒ di Giuliano DE NICOLA

«Il grande affetto dei tifosi all’Olimpico mi riempie d’orgoglio. Siamo in dovere di ripagarli. Il rugby ce l’ho nel sangue. Il mio cuore batte forte per l’azzurro» er lui, Sergio Parisse, francese di nascita ma italiano a tutti gli effetti, la vittoria degli azzurri al debutto del Sei Nazioni allo Stadio Olimpico racchiude sicuramente un significato particolare. La gioia che prova non riesce proprio a contenerla. Lui, il capitano, che ha trascinato al successo il quindici azzurro contro la Francia grazie ad una meta cercata e voluta. È l’esempio di chi, con questa maglia addosso, raddoppia la voglia di vincere ad ogni costo «Meglio di così non poteva andare — dichiara con orgoglio Parisse - è stata la vittoria di tutti quelli che hanno vestito questa maglia. Abbiamo vinto dominando, mostrando un bel gioco. Sentivamo di potercela fare, e ce l’abbiamo fatta. La mia è stata una bella meta collettiva». Nonostante la vittoria, il capitano azzurro ha reso onore agli avversari transalpini. «La Francia è una grande squadra con una tradizione eccezionale. Fa parte dell’élite del rugby mondiale. Ma non ci sono dubbi sul fatto che prima della partita all’Olimpico ci temevano e ci rispettavano: nel 2011 al Flaminio li avevamo battuti e questo aveva fatto scattare in loro un campanello d’allarme. Conoscevamo le loro

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grandi qualità individuali e di squadra, ma li abbiamo affrontati come sempre senza nessun timore. Siamo consci delle nostre forze. Andiamo avanti». Parole chiare e sintetiche che si sposano in pieno con la personalità di Sergio Parisse che proviamo a scoprirlo partendo subito da un dato statistico che ha dell’eccezionale: questo appena iniziato è il suo quinto RBS 6 Nazioni con i gradi di capitano dell’Italia. Nessun giocatore ha tenuto tanto a lungo quella fascia come il ventinovenne aquilano nato a La Plata nel settembre del 1983. «Come capitano non mi piace parlare molto, preferisco guidare la squadra dando un buon esempio in campo e trascinarla verso una buona direzione. Fuori dal campo posso ritenermi fortunato perché è un gruppo bellissimo, i ragazzi sono educati, semplici, ci si diverte insieme, siamo un gruppo di amici non c’è solo il rugby tra noi. Per me è un onore essere capitano di questa nazionale e giocare al loro fianco». A rovinargli la festa della bella vittoria sui francesi sono purtroppo arrivati prima il clamoroso stop in casa della Scozia nella seconda uscita degli azzurri nel 6 Nazioni e subito dopo quel

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L ’ I N T E R V I S T A

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LA SCHEDA Nome Nato Paese Altezza Peso

Sergio Francesco Matteo Parisse 12 settembre 1983 Argentina 196 cm 110 kg

Nato Nat Na ato to a La La Plata PPllatta da da genitori gen enittori enit orri aquiaaqquiuiui llani la aani n ttrasferitisi ni rraasf sfer feerrititis issi in in AArgentina, rgeennttiina rgen rg ina na, Se Serr rgio iniziò ggi io Pa PParisse ari riss ssee iniz ss in nizziiòò a ggiocare ioca io c re ca r a rrugby ru uggbby a 5 anni, annnnii, muovendo muoovven mu muov enddoo i primissimi ppr rim imisssi simi mii passi m ppas asssi nella nella ella el la discidissciiplina presso ppl lin ina pr ina pres essso ilil club clubb uunivercl niveerr-ni Plata. ssitario si taririio dee LLaa PPl ta lat ata. PPer e dier diirriritto itt itt t o di di aascendenza scen sc ennddeenzza fa ffamiliamiililiam mili a acittadinanza re acquisì re acqui cqui cq uisìì llaa cci ittttad taddin inan nannza iitataaliliana, iannaa,, e già giàà a 17 17 an anni n ffece ni ecee ec ppa art rte del del giro de giroo delle deellle le sesee parte llezioni ezi z onni giovanili giov gi o an ov anilili i dell de ellla FFe edeeraadella Federazion zi ione one Italiana on Ittal aliaana na zione Rugby. Nel Rugb Ru ggbby. y. N el el 20 002 eesorsoorsor2002 d iinn Na dì Nazionale (contro (c con o tr troo la Nuova Zelanda) Ze Zela elaand nda) a) e fuu ininnggaggiaga gagg a gg ggia giaatoo dal dall Be enneetttonn Benetton Tr rev eviisso per ppeer ilil Treviso su uo ppr rim mo concoonnsuo primo ttratto tr atttoo da da profesprof pr offes ofes es-ssionista. si sion ion o isstaa. Con Con laa Co ssquadra squa sq qua uadr adrra ve vene neettaa veneta PParisse Pa rissse si ri s llaureò aureò aure au reeò ddue du uee volt vvolte vo oltte ca ccamammd’Italia ppione pion pi ione onne d’ d’It Ittal Ital alia iaa (nnel (nel e 2003 200 0 3 e 2004) 20 004 04) e vinse vins vi nsee ns Coppa unaa Co un C ppaa Itapp Itta-lilliaa (nel ( el (n e 2005). 20005) 5. E da ddal al 2005 2005 mili20 millii taa nel nel campiocam ampi ampi p oonnato na atoo francese franc raanc nces e e ininndossando ddo osssan ando doo llaa ma m ma-gglia gl iaa ddello e lo SStade el tade ta de de Fr ranca annccaais is. s. Francais.

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«A quel pallone, dalla forma un po’ particolare, sono legati moltissimi tra i miei primi ricordi» ccartellino ca arttelli lino no rrosso no o so che h os ha a ri rrimediato imediatto ne n nellll’ultima ’ultima maa g gara a a de ar d dell camp campionato mpio mp pio iona nato na to ffrancese to raanc n ese per av verr iinsultato, nssul u taato o, pa p re, l’ re ll’arbitro ’ar a bi bitr ttrro dii g aa-aver pare, gara ra e cche he em mette e te a fort et forte te risch rischio ch hio lla a sua pr su pres e enza contr es ro iill G aallsua presenza contro Galles les. questo Sergio Ma chi h è quest sto st to Se erg gio Parisse? Andiamo Pa arisse? Andia iaamo mo a sscoc co prirlo. Figl g io od dii em emi igranig Figlio emigranti,, maa b en d decisi a ma m nben manttenere ene ene nere intatte int ntatte nt e le le radice raadice proprie due pr rop opri pri r e e dei du d e ffigli igli — Se Sergio, erg gio, ap appunto, ppu punt nto, o, e la o, sorella minore mino mi no ore — nati nati sull’altra sull’a alt ltra ra ssponda p nda po dell’Atlantico. Parisse dell’A Atl t anti ticco. Pa ari r sse è orgoglioso della scelta dei suoi genitori. «Ho sempre frequentato scuole italiane, a casa la lingua è sempre stata quella di mio padre Sergio Sr. e di mia madre Carmela. Sono sempre stato e mi sono sempre sentito italiano». Parisse il rugby lo ha nel sangue, sia per le radici aquilane (il capoluogo abruzzese è roccaforte storica dell’ovale nel nostro Paese) sia per il dna visto che papà Sergio, prima di aprire un’azienda di telecomunicazioni in Argentina con la moglie Carmela, è stato a sua volta un eccellente giocatore con il club della propria città natale, conquistando il titolo di Campione d’Italia con L’Aquila nel 1967. La palla ovale, in casa Parisse, quindi ha cominciato a rimbalzare presto: «A quel pallone dalla forma un po’ particolare sono leg legati e ati mol-

tiss tissimi tra i miei primi ricordi. C’è sempre stata una palla ovale in casa, era ine inevitabile che, in un modo o nell’altro, finissi per legarmi a questo sport». fini Scuola e rugby, sempre in Argentina Scu anche se, come tiene a precisare il noanc stro, «con le selezioni giovanili dei Pustr ma mas non ho mai giocato». Il primo azzurro zur arriva, un po’ per caso, ai Mondiali dia U19 del 2000 in Cile: all’Italia serve un numero otto e per Sergio è sufficie superare le Ande per aggregarciente si aalla squadra di Andrea Cavinato. Da lì, il passaparola è rapido ed il giovan Parisse si ritrova in pochi mesi a vane com compiere a ritroso il viaggio dei propri genitori: per lui c’è un contratto a Tregen viso, vis una delle società di punta del rugby italiano, l’approdo immediato in prima squadra, gli scudetti in biancoverde insieme ad altri giovani che si stanno affacciando sulla scena nazionale come com Gonzalo Canale, anche lui italoargentino, che con Sergio a Treviso ed arg in N Nazionale giovanile stringe un’amicizia ciz quasi fraterna, o Martin Castrogiovanni, gio promettente pilone destro sba sbarcato a Calvisano da Paranà. Ne frattempo, sulla panchina azzurra, Nel Bra Johnstone lascia il posto a John Brad Kir Kirwan, stella degli All Blacks negli Anni An ’80 a cui tocca in sorte, per il proprio pri esordio da CT, proprio la sfida contro la Nuova Zelanda. È il giugno del 200 e ad Hamilton, contro i tuttineri, 2002 Kir Kirwan non ha esitazioni: Castrogiovan ha ventuno anni — per un pilone, vanni poc più che un infante — e parte dalla poco pan panchina, Parisse di anni ne ha appena diciotto ma il nuovo CT gli consegna la m maglia numero otto, quella di timonie del pacchetto di mischia. niere «Chiamai mio padre per annunciargli «C

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che avrei giocato titolare contro gli All Blacks, mi chiese se Kirwan non fosse diventato matto». Finisce 64-10 per i neozelandesi, ma Kirwan — che lascerà la guida della Nazionale nel 2005 per lasciare posto a Berbizier — ha visto giusto: Parisse non lascia più la Nazionale, ai Mondiali del 2003 in Australia una sua meta tiene a galla gli azzurri contro il Canada, ma nel 6 Nazioni 2004, contro la Scozia, arriva un grave infortunio al bicipite femorale che fa temere, seppur brevemente, per la carriera: «La prima cosa che ho pensato, è stato se sarei ancora riuscito ad essere lo stesso giocatore». L’Italia e Treviso lo seguono passo passo, Sergio rientra in azzurro undici mesi più tardi, in quello che sarà l’ultimo Sei Nazioni di Kirwan. Intanto, si fa conoscere ed apprezzare anche oltre confine e nell’estate del 2005 lascia Treviso per lo Stade Francais, il club di Parigi guidato dall’eccentrico impre-

con lui, ha dato molto a questo gruppo come già aveva fatto Kirwan prima di lui, ha contribuito a creare l’ossatura attuale ed ha avuto con noi un rappor-

«Il pubblico ci è stato sempre vicino in questo splendido stadio, per noi l’affetto dei nostri tifosi è fondamentale» to umano molto importante». Dall’anno scorso, a Mallett è subentrato il francese Brunel, già vice-allenatore della Francia, che ha confermato i gradi di capitano a Parisse ed ha dato una sterzata al modo di giocare degli azzurri. Meno difesa, più voglia di giocare, di imporre, di attaccare. Ha un cruccio. E lo dice senza mezzi termini: la sconfitta dello scorso anno contro l’Inghilterra all’Olimpico nel Sei

«Il terzo tempo? Una cosa tipicamente rugbistica, ma dovrebbe essere naturale in tutti gli sport» sario Max Guazzini. A Parigi, Parisse trova una nuova vita, una nuova dimensione. Conosce Alexandra Rosenfeld, Miss Europa 2006, che sposerà nel 2008, ed è un punto fermo anche nella nuova Italia di Berbizier, che centra il miglior 6 Nazioni di sempre nel 2007 chiudendo al quarto posto grazie alla storica vittoria in Scozia — la prima nel Torneo lontano dal Flaminio — ed all’affermazione interna sul Galles: «La famiglia viene prima di tutto, Alexandra ed Ava, la mia bambina di due anni, sono la cosa più importante della mia vita». Sempre nel 2008, con l’approdo di Nick Mallett sulla panchina dell’Italia, arrivano i gradi di capitano conservati sino ad ora: «Un privilegio ed una grande responsabilità, sarò sempre riconoscente a Nick per avermi dato la possibilità di essere capitano dell’Italia. Abbiamo vissuto quattro anni importanti

siamo rimasti sorpresi invece di vedere tutte quelle persone». L’ipocrisia non fa parte del personaggio e lo dimostra parlando del terzo

Nazioni, quella della famosa nevicata tanto per intenderci. «La nostra vittoria ci stava tutta, ce la meritavamo e purtroppo ci è sfuggita. Ci è dispiaciuto molto anche per il pubblico, che è stato fantastico, eravamo convinti che avremmo giocato in uno stadio vuoto e

tempo del quale molti si riempiono a volte a sproposito la bocca. «Credo che sia un qualcosa di tipicamente rugbistico, imporlo altrove è sbagliato, rispettare l’avversario dovrebbe essere sempre una cosa naturale». Intanto per l’Italia è iniziata alla grande la seconda stagione all’Olimpico di Roma. Pubblico delle grandi occasioni e vittoria contro i temibili francesi. Sergio ha parole di elogio per la tifoseria: «Nella scorsa edizione e contro gli All Blacks in novembre il pubblico ci è stato sempre vicino in questo splendido stadio, per noi l’affetto dei nostri tifosi è fondamentale, vogliamo fare bene per loro e per noi. Anche contro la Francia i tifosi ci hanno fatto sentire il loro calore, ci hanno incitato sino alla fine. E voglio tributare loro un sincero grazie. Se abbiamo vinto, lo dobbiamo anche a loro. Adesso sta a noi continuare su questa strada, dopo l’inciampo con la Scozia. Non vogliamo deluderli».

ESORDIO IN NAZIONALE: NUOVA ZELANDA – ITALIA 64-10, HAMILTON 08.06.02

LA TOP TEN DEI CAPITANI AZZURRI Giocatore Sergio Parisse Marco Bortolami Massimo Giovanelli Marco Bollesan Massimo Cuttitta Alessandro Troncon Marzio Innocenti Alessandro Moscardi Ambrogio Bona

Capitano 43 38 37 37 22 21 20 19 18

Caps 91 94 60 47 69 101 42 44 50

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M’ILLUMINO D’AZZURRO RBS 6 NATIONS, ROMA, 3 FEBBRAIO 2013

È

stata una gara da infarto quella fra Italia e Francia. Il nuovo capitolo di una storia rugbistica, quella italiana, che raramente ha offerto occasioni o emozioni da tramandare per generazioni. Una vittoria arrivata dopo le ottime prestazioni contro Nuova Zelanda ed Australia, che però non lasciavano presagire ad una partenza così lanciata all’interno del Sei Nazioni. Il 23-18 è stato l’epilogo di una battaglia incredibile, con gli azzurri che hanno costruito un’impresa non sbagliando nulla, lavorando su tutti i particolari, tranne le touche, anello debole di una Nazionale forte, ma naturalmente non ai livelli delle grandi mondiali. C’è ancora da lavorare. Bene anche il collegamento tra mischia e trequarti, apparso finalmente fluido. Non è un caso che il “Man of the Match” sia risultato Luciano Orquera, mediano di apertura dell’Italia, che ha dispensato palloni in quantità industriale, ed ha ispirato le due mete italiane. Sulla seconda meta di Castrogiovanni, il riciclo di palla mostrato è da far vedere nelle scuole di rugby. Quando i 65.000 spettatori dello Stadio Olimpico cantavano all’unisono l’Inno di Mameli, tremava l’intero Foro Italico, adibito a “casa comune” per italiani e francesi, in un Terzo Tempo sinonimo di sportività e gioia. Adottato dal calcio e da altri sport, questo momento di comunione ha ormai assunto le forme di uno spettacolo nello spettacolo. Questo movimento di aggregazione è sem-

ITALIA-FRANCIA 23 - 18 ITALIA: Masi; Venditti, Benvenuti (32' st Canale), Sgarbi, McLean; Orquera (24' st Burton, 40' st Ghiraldini), Botes (16' st Gori); Parisse, Favaro (24' st Derbyshire), Zanni; Minto, Geldenhuys (32' st Pavanello); Castrogiovanni (23' st Cittadini), Ghiraldini (16' st Giazzon), Lo Cicero (16' st De Marchi). All.: Brunel. FRANCIA: Huget (32' st Trinh-Duc); Fofana, Fritz (23' st Bastareaud), Mermoz, Fall; Michalak, Machenaud (23' st Parra); Picamoles (29' st Chouly), Ouedraogo, Dusatoir; Maestri, Papé (19' st Taofifenua); Mas (27' st Ducalcon), Szarzewski (13' st Kayser), Forestier (13' st Debaty). All.: Saint-André. Arbitro: Owens (Galles) Marcatori: 5' m Parisse tr Orquera (7-0), 12' m Picamoles (7-5), 16' d Orquera (10-5), 19' cp Orquera (13-5), 27' cp Michalak (13-8), 34' m Fall tr Michalak (13-15); st: 10' cp Michalak (1318), 17' m Castrogiovanni tr Orquera (20-18), 29' d Burton (23-18). Cartellini: 40' st giallo a Giazzon. Calci: Orquera 3/3; Michalak 3/5

pre stato visto come un lasso di tempo dedicato alla socializzazione unicamente fra giocatori. Un post-gara cui spesso partecipano anche le loro famiglie. Ma oramai, quella che era una Club House puramente per gli agonisti, si è trasformata in una terra che sprigiona sensazioni positive. Fra fiumi di birra, stand, spettacoli, musica, costumi e foto, chiunque, dal bambino delle elementari, all’arzillo ed esperto anziano, inspira un’aria diventata rara: l’aria di sport. In barba a corruzioni, tangenti, scommesse, doping e tanti altri demoni, il Rugby è lo scontro dei duri, con l’animo da buoni. Ed allora applausi per quegli ottanta interminabili minuti di una storia meravigliosa. Più che al Grenoble nel 1997, meglio che al Flaminio nel 2011. La vittoria su questa

Francia, costruita con tanta maturità, è la raccolta di un seminato che ha radici profonde, ventennali. Come il bruco che diventa farfalla, come una libellula che spicca il volo, l’Italia ha mostrato intelligenza, preparazione, capacità di soffrire. La vittoria finale del 6 Nazioni è un sogno ancora proibito, ma anno dopo anno, è da tali miglioramenti che bisogna ripartire. Piccoli o grandi che siano. In nome di tutto quel pubblico, sempre più ampio, che affolla queste giornate di Rugby dalle 11 della mattina alle 20 della sera. In nome di tutta quella gente che ad ogni singola meta, voltandosi verso i francesi, cacciava un urlo roboante, in grado di far tremare l’Appennino, scuotere le Alpi, e travalicare il Monte Bianco: «Fermi francesi, ora la lezione ve la dà l’Italia».

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La vittoria sulla Francia è anche frutto di un movimento che è in continua crescita. L’Olimpico ha risposto appieno alle aspettative Peccato però per il brutto scivolone con la Scozia...

T U T T E L E PA R T I T E D E L L’ I TA L I A

LE AVVERSARIE

DATA 03/02/2013 09/02/2013 23/02/2013 10/03/2013 16/03/2013

INGHILTERRA - Contro Galles, Irlanda, Scozia, Francia e l'Italia ha centrato la vittoria 36 volte, 10 delle quali ex-æquo con altre contendenti; in 12 edizioni, inoltre, ha riportato la vittoria finale vincendo tutte le gare (Grande Slam).

ORA 16:00 15:30 15:30 16:00 15:30

INCONTRO ITALIA - FRANCIA SCOZIA - ITALIA ITALIA- GALLES INGHILTERRA-ITALIA ITALIA-IRLANDA

STADIO OLIMPICO MURRAYFIELD OLIMPICO TWICKENHAM OLIMPICO

RISULTATO 23-18 34-10

TRIBUTO ALLE VECCHIE GLORIE La partita ha avuto anche un prologo interessante. Presso il Salone d’Onore del CONI, c’è stato il riconoscimento alla storia rugbistica italiana. In questo sport, il “cap”, denota la presenza di un giocatore in una selezione nazionale. Per chiunque entri in campo, almeno una volta, con la maglia della propria Nazione, tradizione vuole la consegna di un berretto, il “cap” per l’appunto. Nel Bel Paese tale prassi non ha mai preso vita, ma c’è sempre una prima volta. Vedere l’assegnazione di oltre 400 cappelletti ad altrettanti ex giocatori, alcuni dei quali oramai spariti da oltre 50 anni, è stato emozionante. Le lacrime, di merito, di tanti vecchi sportivi emozionati per il riconoscimento di una vita di sacrificio, per aver vestito quella maglia azzurra quando il Rugby aveva una copertura sociale pari al 2% di quello che è oggi.

IRLANDA - Ha vinto l’Home Nations Championship 19 volte, che ne fanno la meno vittoriosa delle 4 nazionali isolane impegnate nel torneo: in due occasioni ha riportato il Grande Slam e in 10 edizioni la Triple Crown. SCOZIA - Partecipa al Sei Nazioni dal 1883. In totale ha vinto 22 volte questa competizione, nelle varie denominazioni, 8 delle quali ex-æquo. E intanto ci ha sconfitto. FRANCIA - Si fregia della vittoria in 25 tornei del Cinque / Sei Nazioni, 9 dei quali vinti con il Grande Slam. La critica la mette tra le favorite della vitoria finale insieme all’Inghilterra. Ma il ko con l’Italia... GALLES - Sono i campioni in carica, ma stavolta non hanno dalla loro i favori del pronostico. Hanno vinto questa competizione 36 volte (di cui 11 a pari merito). Oggi tocca a noi affrontarli.

SUL PROSSIMO NUMERO q rt sp pq rt sp pq rt sp pq rt sp pq rt sp pq rt LA STORIA DEL RUGBY SPQR SPORT | 15


LO STADIO a

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DELLA ROMA L’area, dove oggi c’è un impianto di smaltimento, sarà ricoperta e destinata a verde

Lo stadio di proprietà della Roma è vicino. Si farà a Tor di Valle, storico ippodromo del trotto

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l nuovo stadio della Roma è stato presentato in una conferenza stampa. Sono intervenuti James Pallotta, l’imprenditore statunitense che ha acquistato la società, Italo Zanzi, Ceo giallorosso, Luca Parnasi, titolare dell’impresa di costruzione responsabile del progetto. A loro si è aggiunto Francesco Totti, in rappresentanza della squadra ma, più in generale, dell’aspetto tecnico della società. Proprio dal Capitano sono arrivate le parole dedicate ai tifosi: «Meritavano uno stadio più accogliente, la casa della Roma». E Pallotta si è augurato che fosse proprio lui a segnare, quando sarà, il primo gol sul nuovo campo. Ma il patron giallorosso ha anche aggiunto: «Era importante dotare la società di una struttura come lo stadio, anche se prima c’erano da sistemare altri aspetti, cosa che è stata puntualmente fatta. Bisognava infatti rinforzare la squadra, e dotare la società di un management importante. Senza questi passaggi non avrebbe avuto senso parlare dello stadio». Per il Ceo Zanzi «l’impianto non sarà secondo a nessun altro», mentre il costruttore Parnasi ne ha sottolineato anche l’impatto sociale: «Intendo ringraziare le Istituzioni che hanno accolto favorevolmente il progetto, lo hanno aiutato ed appoggiato. Dal canto nostro possiamo garantire che un lavoro del genere creerà occupazione, il che è particolarmente importante in un momento economicamente difficile per il nostro paese». Il Sindaco Alemanno, sollecitato dai giornalisti, si è invece soffermato sugli aspetti burocratici ma in particolare ha sottolineato che

«non ci saranno intoppi da parte delle forze politiche di nessun colore. Obiettivamente mi sembra difficile immaginare una qualsiasi forma di opposizione. L’area scelta dalla Roma, tra l’altro, non presenta problemi dal punto di vista del piano regolatore, in quanto possiede già la destinazione d’uso, requisito che invece non possedeva il progetto del 2009, che era stato destinato su un’area agricola. È chiaro invece che potrebbero verificarsi problemi di interessi contrastanti, ma questi evidentemente sono ineliminabili, così come è chiaro che ogni valutazione più approfondita si dovrà rimandare alla presentazione del progetto». Sull’argomento si è inoltre espresso il Delegato alle Politiche Sportive Cochi: «L’obiettivo è fare due stadi di proprietà per i due club della Capitale. Con la Roma il progetto è lì, mentre la Lazio è attualmente sfavorita dalla legge sugli stadi che giace in Senato. L’importante è però, dal canto nostro, snellire la parte burocratica e vigilare per evitare speculazioni edilizie. La parte commerciale e quella edilizia devono essere congrue. Ma è innegabile che il futuro appartenga ad impianti fruibili anche al di fuori dei giorni delle partite». L’inizio lavori è previsto per il 2014, mentre per l’anno in corso era inizialmente prevista la regolare continuazione dell’attività ippica. In verità, i gravissimi problemi finanziari che assillano la società che gestisce l’ippodromo di Tor di Valle ha costretto i vertici ad alzare bandiera bianca prima del previsto.

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spq ort Il fiume sarà utilizzato come mezzo di trasporto e sarà altresì edificato un ponte per collegare la Roma-Fiumicino all’area. Anche i preesistenti ponti pedonali saranno potenziati

Ci sarà un incremento delle infrastrutture di viabilità con uno svincolo ad hoc sulla Roma-Fiumicino, il miglioramento della Roma-Ostia e infine l’adeguamento della stazione di Tor di Valle

Il catino dello stadio non si discosterà molto dall’attuale posizione dell’impianto ippico

Intorno allo stadio, visibile dalla strada, sorgerà il Business Park e la zona residenziale


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spq ort ufficiale: la Roma avrà il suo stadio. La notizia, attesa da tempo, è adesso definita e definitiva. Basta con l’era degli stadi comunali. Gli impianti di proprietà del club sono il futuro, come predica “il modello inglese”, che da anni viene citato, qualche volta anche un po’ a sproposito. Scopo dello sforzo edilizio; aumentare il business, le potenzialità creditizie attraverso un’opera ingente di immobilizzazione. D’altronde, la proprietà americana sbarcata due estati fa era stata chiarissima: la costruzione dello stadio era parte integrante del progetto. Poteva fallire magari Luis Enrique, ma su questo non si poteva scherzare. Più o meno le stesse cose che, sull’altra sponda, continua a ripetere Lotito che, però, sembra incontrare una serie di problemi. Le banche faticano a concedere mutui per l’acquisto di case, però, sembra, siano sensibili a uno stadio. L’area prescelta è quella dello storico impianto del trotto romano, l’ippodromo di Tor di Valle. L’uomo dei sogni, invece, è americano come i suoi committenti: Dan Meis, l’architetto a cui hanno affidato la realizza-

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di Luca ALEANDRI Foto per gentile concessione impianto di Tor di Valle (Ufficio Comunicazione, dott.ssa Tamara Papiccio)

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TUTTO È PRONTO PER IL PROGETTO MADE IN USA zione, è già al lavoro, alla guida del suo team, per quello che definisce “il progetto della vita”. Forse con un po’ di enfasi, per uno che comunque ha nel suo curriculum costruzioni sportive d’eccellenza, soprattutto nei nativi States. In particolare, lo Staples Center di Los Angeles, dove giocano i Lakers e i Clippers. La fantascienza, insomma, dell’NBA. Ma anche una collaborazione con il progetto dell’Emirates, lo stadio calcistico più importante costruito in Europa negli ultimi anni. Per ora, in attesa di sviluppare modellini, progettare, cancellare e riprogettare, qualche scatto in posa da turista, così, tanto per calarsi nel personaggio e nell’atmosfera della città. Insomma i sogni dei tifosi romanisti, almeno per quello che riguarda la “nuova casa”, come tutti continuano a definire l’area di

Tor di Valle, volano alti. L’impianto nascituro viene già definito come un nuovo Colosseo, che possa rafforzare ulteriormente un brand già fortissimo, e che rappresenta per la squadra giallorossa uno dei punti di forza che avrebbero portato gli americani ad investire sulle rive del Tevere. Ed è proprio il caso di parlare di “rive del Tevere”, visto che le acque purtroppo non più bionde del fiume immortale, scorrono a poche decine di metri da dove, a partire si ipotizza dal 2016, si batteranno rigori e punizioni. Non a caso, uno dei problemi principali da superare per assegnare il progetto a questa area, che a detta di alcuni sarebbe a rischio esondazione. Ma, gettate dietro le spalle le perplessità e le incertezze, si sono innalzati cori giubilanti di peana all’operazione. Intanto, i pareri più diversi convergono sul fatto che gli obsoleti stadi italiani siano l’origine della crisi di pubblico di cui soffre il nostro calcio. Anche qui, chissà, forse. Comunque, per la Roma, il problema sarebbe ormai dietro le spal-

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le, grazie appunto al nuovo Colosseo. Ovviamente tutte le altre variabili, prima fra tutte il prezzo esorbitante dei biglietti rispetto a uno spettacolo, magari modesto, per il quale basta ormai un telecomando, vengono trascurate. Perfino la violenza, che qualsiasi vecchio lupo delle gradinate sa essere pressoché scomparsa dalla scena domenicale, è ancora utilizzata furbescamente come spauracchio e insieme motivo di cotanta disaffezione. Ma tant’è. Resta il fatto che l’impianto di Tor di Valle potrà ridare fiato e vita a un’area che poco più di cinquant’anni fa venne scelta, allora come oggi, per un’altra grande opera, figlia dei nuovi tempi. Strano, a dirsi oggi: un ippodromo. Per il trotto, ad essere precisi. Erano gli Anni Cinquanta, e il nuovo decennio si avvicinava portando in dote l’Olimpiade assegnata a Roma per l’anno 1960. Evidentemente all’epoca gli Italiani erano migliori di oggi, forse più onesti, forse più coraggiosi, chissà. Resta il fatto che l’allora Governo


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FEBBRE DA CAVALLO

SOLDATINO CORREVA LAGGIÙ hi non ricorda Mandrake, er Pomata, Manzotin, Belli Capelli, er Ventresca, personaggi tanto improponibili quanto realistici di un’Italia da metà Anni Settanta ma che oggi sembra lontana un secolo? Macchiette ma non troppo di un film, “Febbre da cavallo”. Il regista Steno, nel 1976 capì quella voglia di riscatto e di vittoria di quel numeroso popolo dei frequentatori delle sale corse e degli ippodromi. E per fare ciò si avvalse della professionalità artistica di attori di larga fama come Gigi Proietti, Enrico Montesano, Mario Carotenuto e Adolfo Celi. E anche Tor di Valle ha un ruolo importante nel film. Perché ospita le scene dove naufragarono i sogni di vittoria dei nostri eroi.

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colse quest’opportunità, che poteva segnare il rientro dell’Italia nel grande consesso internazionale, dopo la disfatta bellica e la tristissima povertà che ne era seguita. Adesso, alla vigilia di quello che sarebbe stato il boom economico, era il momento di risollevare la testa davanti al mondo. L’Olimpiade che molti ricordano ancora come la più riuscita nella storia dei Giochi Moderni, vide la luce tra opere che, se non sconvolsero, certo ridisegnarono il profilo dell’Urbe. Ai piedi dei Colli Parioli sorgeva lo storico impianto del trotto di Villa Glori, ma il viadotto di Corso Francia, la costruzione del Villaggio Olimpico e del nuovo Palazzetto di Viale Tiziano esigevano una vittima sacrificale. Pagò il trotto, ma senza quell’abito dimesso con cui veste purtroppo oggi. Era un trasferimento annunciato in pompa magna, verso un’area che avrebbe potuto servire meglio la causa dell’ippica. Che, per inciso, non solo all’epoca non era in crisi ma anzi viveva un momento di splendore assoluto. La nuova Italia che cominciava ad acquistare utilitarie avrebbe potuto recarsi all’ippodromo e parcheggiare comodamente, avrebbe avuto a disposizione spazi aperti anche ad attività parallele. Un’area, insomma, destinata alle famiglie e non solo agli appassionati di cavalli: il sogno di una piacevole domenica all’ippodromo. L’organizzazione di un tempo libero di cui si cominciava a sen-

tire l’esigenza di organizzare. L’impianto di Tor di Valle oggi potrebbe ricordare gli scavi di Pompei, o se preferite, il relitto del Titanic: li guardi e capisci com’era il mondo allora. Nel nostro caso il mondo dei cavalli. Tutto, o quasi, è rimasto come allora, come all’inaugurazione, perfino le insegne all’ingresso dell’area caratterizzate da una grafica decisamente retrò. Ma l’ippica per decenni ha galoppato (anzi, in questo caso trottato) sulle ali dell’entusiasmo e come spesso capita alle aziende in salute non ci si è preoccupati troppo del domani. Sembrava che la giostra non finisse mai di girare. Nessun investimento, a Tor di Valle come in altri ippodromi, hanno seguito lo scorrere del tempo, prevenendo le rughe della vecchiaia. Il varo di questo nuovo paradiso in un angolo sperduto tra le anse del Tevere fu fissato per il

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PAROLA AL RAPPRESENTANTE DEI PROFESSIONISTI DI TOR DI VALLE, ROBERTO FATICONI

LE RAGIONI DI CHI LAVORA A TOR DI VALLE hiude, dopo 53 anni, l’ippodromo di Tor di Valle. Si arriva all’epilogo nel modo peggiore: i libri portati in tribunale, la lettera di comunicazione di cessata attività. Facile sparare sulle responsabilità dello stadio della Roma che sorgerà qui: niente di più scontato. «Il calcio miliardario ha cacciato i cavalli», sembra quasi di sentire il tormentone. Ma, ad essere sinceri, le cose non stanno così: i lavori per il “nuovo Colosseo” inizieranno nel 2014, nella migliore delle ipotesi. Quindi era previsto che le corse al trotto andassero avanti per tutto l’anno in corso. Il che avrebbe permesso di pensare per tempo a una via di fuga, visto che, peraltro colpevolmente, nel settore la crisi sembrava quasi essere ignorata. Invece, se l’attività si ferma con undici mesi di anticipo, è perché la crepa finanziaria si è allargata a dismisura, fino a diventare insostenibile. Il personale occupato all’ippodromo non percepisce il becco di un quattrino dal giugno scorso, ma nonostante questo ha continuato a lavorare per mesi proprio per non aggravare la già fragile situazione economica dell’ippodromo. Fino a quando, comprensibilmente sfiniti, si sono arresi e hanno proclamato lo sciopero ad oltranza, provocando la chiusura dell’impianto con qualche giorno di anticipo rispetto alla scadenza del 31 gennaio, fissata dal liquidatore. Adesso la palla passerà al curatore che dovrà cercare di reperire i fondi per la soddisfazione dei creditori vari, lavoratori, ovviamente,

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in primis. Ma intanto per le maestranze si apre il baratro della disoccupazione sebbene si speri di trovare una nuova collocazione in quella che sarà la nuova struttura per il trotto romano. Si era parlato di un nuovo ippodromo in zona Pescaccio, oppure di un trasferimento nell’altro ippodromo capitolino, quello delle Capannelle, finora destinato al galoppo. In proposito, il Delegato alle Politiche Sportive di Roma Capitale. On. Cochi: «È importante tutelare il lavoro e il settore, e per farlo bisogna trovare un’altra casa per il trotto. Ritengo quasi impraticabile Pescaccio, anche per i costi, mentre sono più fiducioso sulla soluzione Capannelle». Anche il rappresentante dei professionisti di Tor Di Valle (cioè allenatori e drivers), Roberto Faticoni, ha espresso parere: «Vogliamo solo continuare a correre, a Roma, ovviamente. Le altre soluzioni, quelle extraurbane, vanno bene solo temporaneamente. Capannelle sarebbe l’ideale, anche per sfruttare l’effetto positivo di una struttura che ha una storia e un’organizzazione di tutto rispetto». «Una gestione migliore avrebbe permesso una chiusura meno traumatica, soprattutto per le maestranze che hanno bloccato l'attività un anno prima del previsto perché non hanno ricevuto mesi e mesi di stipendio, nonostante l'ippodromo negli ultimi anni abbia ricevuto a titolo di contributo alcuni milioni di euro», dice Massimiliano Capuzi, storico esperto di Tor di Valle e proprietario di scuderia.

GIULIO ANDREOTTI ACCOLSE BOTTONI CON IL PICCHETTO DELLA MARINA!

26 dicembre 1959. Appunto, giusto un attimo prima delle Olimpiadi che ne avevano determinato lo sfratto. Le personalità, tante ed importanti: tra quelle riconoscibili negli scatti di circostanza c’era Andreotti, la cui passione per le corse era notissima, sebbene fosse Capannelle il suo palcoscenico preferito e dove era tutt’altro che raro incrociarlo. Si interessava però, anche al trotto, se è vero che la leggenda narri di un appuntamento con il celebre driver Ugo Bottoni, detto l’Ammiraglio, che appunto chiese udienza al Giulio nazionale. Al quale, naturalmente, sembrò ovvio appuntare sull’agenda l’incontro con il soprannome dell’ospite. Figurarsi la sorpresa del driver capitolino, nel trovarsi il picchetto della Marina che la solerte segretaria di Andreotti aveva predisposto dopo aver letto di un non meglio precisato appuntamento con un Ammiraglio. Aneddoti di un’ippica gloriosa, che aveva in Tor di Valle un nuovo teatro. Si debuttò, si diceva, a Santo Stefano. Pioveva

che Dio la mandava, e la pista era ai limiti della praticabilità. Allora Tornese, il sauro volante che faceva sognare gli Italiani, passò lì dove nessun altro aveva osato passare, con l’acqua fino ai garretti, per battere Crevalcore, suo avversario che, come spesso capita nello sport, avrebbe forse avuto altra carriera se non fosse stato coevo di un campione così grande. E dopo quel battesimo, mille e mille altre corse. Storie di Grandi Premi affollatissimi e di sciatte corsette “di minima”, storie di rimonte in retta d’arrivo e di corse perse sul palo. Storie di vincite e di perdite, consumate in un momento, in un respiro trattenuto molto più lungo di un cartoncino da grattare. Storie, anche di film fortunati e di luoghi comuni, di pregiudizi e di passione. Storie di un mondo che si è retto per decenni sulle scommesse, e pretende oggi di sopravvivere in un SPQR SPORT | 22

mondo in cui le scommesse si sono moltiplicate all’improvviso. Senza preavviso, come accade ai lavoratori di un ippodromo che non serve più. Perché i sogni degli Anni Cinquanta sono vecchi come il bambino della Kinder e oggi non ci crede più nessuno. Ci sarà un altro trasferimento, e il trotto avrà un’altra patria. Si parla di Capannelle o di un altro impianto, da costruire ex novo, forse in un’area in una località denominata “Pescaccio”, che nessuno conosce, e che sarebbe lungo il corso della via Aurelia. Certo è che probabilmente nessun nuovo stadio sarebbe sorto qui se l’ippica, purtroppo, non avesse versato in queste miserrime condizioni. Il corso della storia ha voltato pagina: quelle che erano voci hanno trovato tutte le conferme del caso. Dunque è ufficiale: Tor di Valle sarà ancora terra di sogni. I cavalli se ne vanno, arrivano i calciatori. Almeno, da queste parti, torneranno a farsi sentire i boati della folla. Ma non è tornato Varenne. È solo arrivato Totti.


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UN APPASSIONATO DI QUESTO SPORT. COME TANTI DEL RESTO...

L’APERTURA DELLE QUOTE a prima volta che entrai a Tor di Valle fu quasi trent'anni fa, era uno splendido sabato di primavera una stagione che oramai nella nostra città non esiste più. Arrivai con il trenino, quello che andava ad Ostia, dimenticato da tutto e da tutti ed allora usato solo per i mesi estivi dagli amanti del mare nostrum. La prima cosa che mi colpì era la gente che stava in fila per fare il biglietto di entrata, per lo più preoccupata di prendere un giornalino in bianco e nero, capii dopo che era il programma delle corse, in dettaglio dalla prima all'ottava. Poi però vedevo altre persone che invece andavano diritte senza fermarsi, con sottobraccio un giornale a quotidiano molto più grande dell’altro: il Trotto sportsman. Entrato nell'ippodromo notai che la gente invece di salire le scale per andare a sedersi sulle tribune si avventurava nel parterre sottostante vicino alla pista. In quello spiazzo c'erano dei botteghini messi in fila a distanza e dentro, oltre ad alcune persone c'erano delle lavagne, su cui venivano scritte le quote dei vincenti e piazzati dei cavalli in partenza. La cosa più bella che vidi era aspettare l'apertura delle quote: c'era un silenzio a dir poco religioso, tutti a guardare, era sempre un botteghino che iniziava per primo e lì c'era un signore che le scriveva, più tardi venni a sapere che veniva chiamato il "senatore" proprio per la sua padronanza nel quotare i cavalli in corsa. Lo speaker chiamava i cavalli in pista e uno alla volta loro entravano, attaccati al sulky e il driver sopra (molti si sbagliano li chiamano fantini ma quelli sono del galoppo è tutt'altra cosa...). Iniziavano allo-

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ra le cosiddette sgambature di rito effettuate dai cavalli, quindi la maggior parte della gente in una solenne riflessione guardava il proprio candidato alla vittoria o al piazzamento (se arrivava tra i primi tre), lo scruta, vede come trotta, se ha dei problemi di andatura o se va di galoppo e quindi può essere squalificato in corsa, tutte situazioni che un buon intenditore cerca di intuire soprattutto se deve scommetterci sopra del denaro. Suona la campanella che annuncia che mancano 5 minuti alla corsa, la situazione si fa più incandescente, la gente si affretta a "puntare" il proprio cavallo non solo alle lavagne, ma anche al totalizzatore dell'ippodromo (una volta era solo quello, ora ahimè nazionale...) facendo la fila davanti agli impiegati dei terminali che ti rilasciavano la ricevuta della scommessa. In mezzo alla pista c'era un'automobile, però diversa da quelle che si vedevano per strada nel traffico cittadino; chiesi a dei signori vicino a me come mai stesse lì e loro ridendo mi dissero: «a regazzì senza de quella nun se parte....» infatti poco dopo vidi aprire dalla macchina stessa delle ali con 8 numeri segnati sopra e che piano piano prendeva velocità con tutti i cavalli messi dietro in ordine... partiti! Lo speaker dagli altoparlanti descrive l'andamento della corsa, chiamando qualche cavallo che viene squalificato per l'andatura, passa il primo giro, se ne fanno due perché le corse sono per la maggior parte da 1600 metri ma la pista è da 1000, quindi all'ultima curva c'è un tifo quasi da stadio per il rush finale e poi il rigoroso traguardo a metà retta con l’urlo finale delle persone che hanno vinto. Questa fu la mia prima volta all'ippo-

dromo Tor di Valle e delle corse al trotto... Me ne innamorai subito, da quel giorno con parecchi amici ne abbiamo passate di riunioni, non le ho contate ma sono migliaia... Ricordo le sfide di corse anche a carattere calcistico tra due driver romani come Carletto Bottoni e Marcello Mazzarini, il primo tifoso biancoceleste e l'altro invece giallorosso. I grandi premi come il Turilli, il Triossi ed infine il prestigioso Derby dove si affrontavano i migliori cavalli di 3 anni. Ricordo la sfida tra Viking Kronos e Varenne, con il primo favorito, strano a dirsi oggi, con la scena a metà retta di Giampaolo Minnucci che col suo frustino chiamava l'altro driver Kolgjini rimasto indietro mentre il suo Varenne tagliava già il traguardo in un tripudio generale. Di ricordi ne avrei tantissimi da raccontare, ma forse non basterebbe un enciclopedia, certo è che molte persone hanno sentito parlare di Tor di Valle soprattutto grazie ai due film come “Febbre da cavallo” e la “Mandrakata” record d'incassi ai botteghini... ma amici miei, vi vorrei far capire che le scene e le gag che mi è capitato di vedere nel corso degli anni, fatte dai frequentatori di quell'ippodromo, avrebbero fatto sfigurare anche due personaggi del calibro di Proietti e Montesano... Purtroppo siamo arrivati all'epilogo, alla morte di questo ippodromo, le notizie si avvertivano da mesi: Tor di Valle chiude... il teatro del trotto romano non esiste più... Confidiamo, ora, nel lavoro di Roma Capitale e del Delegato Cochi che si sta impegnando per dare al trotto un’altra sede. Paolo BRAVACCINI


LE FOTO IN ESCLUSIVA

Gruppi di giovani amici si ritrovavano lì, nei verdi prati che costeggiavano l’esterno della pista di Tor di Valle, per dar vita a sfide entusiasmanti. I pali delle porte erano formati da due giacchetti. Si continuava a giocare finché non faceva buio. Sullo sfondo, i pali della pista. Le foto che, già oggi, hanno il sapore della storia...

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hi l’avrebbe detto che saremmo stati i pionieri del calcio a Tor di Valle. Mai e poi avremmo potuto pensare che ad oltre 40 anni di distanza, la Roma avrebbe seguito le nostre orme mettendo su un progetto che prevede l’edificazione della sua struttura impiantistica nella vasta area dove sorge l’ippodromo. Certo, tra noi e loro la differenza è abissale. Noi eravamo dei giovanissimi dilettanti amanti del pallone che nei pomeriggi di inizio primavera, si ritrovavano sui verdi prati antistanti l’ippodromo per dare vita ad interminabili partite che si concludevano con improponibili risultati. Loro una grande forza sportiva europea. Ma a pensarci adesso, ci fa un certo effetto. Pur permeati di nostalgia per un’età che ormai ci ha abbandonati da un bel pezzo e che ti porta alla mente tutte le spensierate azioni che tale stagione della vita ti fa fare, Tor di Valle rappresenta una tappa importante del nostro percorso terreno. Erano gli anni del post Sessantotto la cui eco ancora si sentiva ma che pian piano stava abbandonando la scena. La nazionale azzurra di Valcareggi intanto aveva dato vita in Messico a quella fantastica semifinale contro la Germania che purtroppo non fu sufficiente per aggiudicarsi la Coppa Rimet appannaggio del Brasile stellare di Pelè, Tostao, Jairzinho, Gerson, Rivelino, Carlos Alberto e così via. Era l’Italia che cercava di confermare il suo status di paese all’avanguardia industrialmente e pieno di salute grazie al boom economico degli anni sessanta. Impresa ardua che si scontrò però con una realtà molto diversa dove la parola “crisi” piano piano cominciava a serpeggiare.

Nascevano in fabbrica le prime grandi lotte sindacali dove la classe operaia cercava finalmente di ritagliarsi un posto in paradiso, forte dello Statuto dei lavoratori diventato legge nel 1970 grazie all’intuizione di due dei suoi padri fondatori Giacomo Brodolini e Gino Giugni ed alla benedizione dell’Avvocato Gianni Agnelli. Un’Italia che stava abbandonando definitivamente le campagne per immolarsi al mito dell’industria a tutti i costi. L’automobile era sempre più lo status symbol della società di allora. Più ce l’avevi potente e grande e più pensavi di esserti guadagnato un posto che conta nell’immaginario collettivo. Nemmeno le domeniche a piedi all’insegna dell’austerity causato dall’embargo del petrolio da parte dei paesi arabi scalfì questa voglia matta di quattro ruote. Nasceva il mito di Baglioni e Celentano vinceva a Sanremo con “Chi non lavora non fa l’amore”. Il boom del mattone, prime prove di vacanze diverse al di là della casetta presa in affitto ad agosto a Fiumicino, Ostia o Ladispoli, la scoperta dell’insegnamento scolastico privato, la famiglia non più come punto di riferimento dopo la traumatica sentenza del referendum sul divorzio. Stava piano piano cambiando tutto. I mitici anni sessanta avevano lasciato il testimone al nuovo decennio che sarebbe stato determinante per l’evoluzione, o involuzione, del nostro paese. C’era un fermento e un malcontento striscianti, certi valori e certi punti di riferimento traballavano. La società si sentiva vecchia, stanca e superata. Era il preludio ai tragici anni di piombo. Un’Italia diversa, scossa al suo interno che

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cercava una nuova identità. La paura del futuro era forte. Le città vuote e buie la notte. Anche le ombre incutevano terrore. Ma per fortuna che c’era il calcio, il nostro calcio, quello fatto di un pallone, tanti amici di buona volontà, porte improvvisate con pali fatti dai nostri panni che creavano sempre polemiche sulla palla se era entrata o meno o se il tiro era troppo alto o meno. Un calcio semplice, genuino che faceva da preludio a quello vero e professionale che seguivamo la domenica allo stadio, alla radio o in tv grazie a “Novantesimo minuto”. Tor di Valle si appresta ora a cambiare pelle. Non più distese verdi, ma strutture all’avanguardia per ospitare il grande calcio e una futuristica area commerciale. Megastrade e infrastrutture da paura. Ma per noi che tanti e tanti anni fa l’abbiamo vissuta così, da semplici praticanti spinti dall’amore per il pallone, rimarrà sempre la Tor di Valle della nostra gioventù, con dentro i nostri ricordi e i nostri sogni. Un mondo che ci appartiene e che fa parte dell’album della nostra vita. Foto in bianco e nero che pur ingiallite rappresentano la memoria storica da raccontare ai nostri nipoti.

Paolo VALENTE

DAN MEIS

SARÀ LUI A IDEARE LO STADIO LE SUE CREAZIONI >>>>


Dan Meis sarà il progettista del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. Ha già realizzato impianti di questo tipo in tutto il mondo. Ecco alcuni dei suoi gioielli. Per sognare la nuova casa della squadra giallorossa

Dan Meis è riconosciuto come uno dei designer più importanti del mondo nello sport. La sua carriera abbraccia 25 anni di vita. È stato un co-fondatore della NBBJ Sport e Spettacolo e nei vertici della Populous, ora ricopre il ruolo di direttore globale dello sport per Woods Bagot. Alcuni dei lavori cui ha partecipato con il suo studio sono il Los Angeles NFL Stadium, il Miller Park di Milwaukee, il Safeco Field, il Manchester Evening News Arena, il Saitama Super Arena, il Lincoln Financial Field e il Paul Brown Stadium. Negli ultimi tempi sta portando avanti vari progetti per la United States Tennis Association e uno stadio per la Coppa del Mondo FIFA 2022 a Doha in Qatar. In Italia sta progettando il nuovo stadio dell'Associazione Sportiva Roma.

DAN MEIS Global Director of Sport - Woods Bagot SPQR SPORT | 26


spq ort ARENA@BAHRAIN SAKHIR CITY, BAHRAIN

PEARL STADIUM, DOHA, QATAR

DALIAN SOCCER CITY STADIUM, DALIAN, CHINA

MAZDA STADIUM HIROSHIMA, JAPAN USTA NATIONAL TENNIS CENTER, QUEENS, NEW YORK

SUL PROSSIMO NUMERO,

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DOSSIER STADI


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Vincere malgrado tutto. Malgrado gli occhi che non vedono più, malgrado tutti gli ostacoli sulla strada del destino. Una storia di vita da raccontare, quella di Annalisa Minetti, oggi sportiva sul podio alle Paralimpiadi di Londra, ieri vincitrice a Sanremo e tra le finaliste a Miss Italia

di Anita MADALUNI Minetti, archivio privato

ei è proprio una tosta. Pazzesca. Unica. Moderna e giovanissima Leonardo da Vinci dei nostri tempi. Di Annalisa Minetti ne nasce, davvero, una ogni secolo. Forse… Cosa vuol dire non avere ostacoli? Provate a chiederglielo: il suo motto di risposta sarà «Tutto è impossibile fino a che non diventa possibile». Finalista a Miss Italia nel 1997, vincitrice a Sanremo nel 1998, primatista europea, bronzo nelle ultime Paralimpiadi di Londra. Ma anche o forse soprattutto madre di Fabietto, 5 anni. In tutto, in ogni singolo battito della sua vita fibrillante: un cuore capiente come un ipermercato stellare e una simpatia spiazzante. Un inesauribile senso dell’umorismo e battute fulminanti sempre in agguato. Aggiungete a tutto ciò una energia chimica e spirituale a flusso continuo; contagiosa, molto contagiosa. Va da sé che il mix sia esplosivo. Insomma un elenco di straordinarietà umane in ordine alfabetico. Non stiamo qui a tirarla per le lun-

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ghe: con una così ci si sente perdenti in partenza.

attesa di un appuntamento con Bibi Ballandi».

Cosa ti manca, ancora? «A essere sincera una cosa ma non trovo ma mai il ccoraggio oraggiio di d i la ir l …» ». dirla…».

Bella scelta. Persona molto sensibile e corretta. In questo mondo, una rarità… «Si, e anche difficile da incontrare. E’ sempre molto impegnato. Ma… sono paziente e ho molta consapevolezza. Certo… bisognerebbe, poi, trovare un canale televisivo, un format dove farsi le ossa come conduttrice. Vorrei dare un seguito alla mia esperienza. Come donna di spettacolo, che ha provato a fare sport salendo sul podio, quindi a ottimi livelli, cogliendo della disciplina la parte costruttiva. Una terapia di vita. Da quando sono entrata in Fiamme Azzurre, sento il desi-

Dài… «Vorrei fare la conDài… D d du ttrice. Mi piacerebbe duttrice. d da re un contributo alla dare tv di valore, con una ttrasmissione tr asmissione che sia motivante per chi la guarda. Le idee cci sono. Manca, per ora, o or a, un produttore. Anche se re se, u ul timamenultimamentte,, siamo in te

Io Annalisa… Anna Minetti nasce il 27 dicembre 1976 a Rho, Annalisa in pprovincia in ro di Milano e vive a Roma. La musica è la sua la s grande passione e da giovanissima comi comincia ad esibirsi nei pianobar. Nel 1995, con i Perro PerroNegro, partecipa a Sanremo Giovani. Nel 11996. le diagnosticano la retinite pigmentosa e la degenerazione maculare. L’anno dopo, forte del ssuo carattere reattivo, Annalisa partecipa al conc c concorso di Miss Italia dove arriva settima. Due mesi m esi dopo è a Sanremo Giovani con la canzone "L'eroe che sei tu" con la quale strappa il primo "L'er trofe trofeo alla città dei fiori e guadagna un posto d'onore nelle nuove proposte del 48° Festival di d'ono Sanr Sanremo. Secondo round, seconda vittoria con "Senza te o con te". È il febbraio 1998. Da lì "Sen comincia la grande ascesa artistica di Annalisa. comi co mi N Ne el 2007 riceverà la laurea honoris causa in Nel sscienze scien c della comunicazione. Successivamente la be elllla notizia di aspettare un figlio la porta a bella ccomporre co mp una nuova canzone dedicata a lui dal tititolo "Scintilla d'anima". Il 3 ggennaio 2008 diventa mamma, nasce infatti add Ostia O Fabio, 3,430 kg, 52 cm. Par rte Partecipa a varie campagne benefiche, tra cui quell quella con CBM Italia con Missione in Bolivia, per ridar ridare la vista a più di 30.000 donne cieche. Nel 2010 Annalisa realizza uno dei suoi più grandi sogni, diventare un’atleta di valore assoluto. sogn Cent Centra la miglior prestazione mondiale dell’anno in Fra r Francia, con il tempo di 2.24.76 sugli 800 metri. Ob Obi bi Obiettivo? Paralimpiadi di Londra 2012. Lo centra alla grande conquistando la medaglia di ce bbronzo nei 1500 metri.


spq ort derio di raccontare storie forti: ragazzi del carcere minorile, donne che hanno subito uno strupro, padri che non riescono a vedere i figli. Situazioni che, attraverso una meta sportiva, una gara, con l’aiuto di psicologi e coach, riescano a far superare il limite che vieta la possibilità di vivere quella esperienza nel giusto modo. Pensavo quindi a un reality nel quale in quattro o sei mesi ci si prepara a un ambizioso obiettivo. Di solito in sei mesi si riesce a formare un individuo. Il tipo di gara potrebbe essere un marathon day o i primi dieci chilometri. Ma l’insegnamento dovrebbe aiutare a viverla, non a vincerla. Le discipline, inoltre, dovrebbero essere individuali, non di squadra: nuoto, corsa, lungo. Lo scopo… il cercare di capire la predisposizione di ciascuno». Non soltanto un reality, dunque. Ma una vera e propria - motivante - formazione di vita… «Esatto». Lo sport come terapia non solo fisica ma, soprattutto, psicologica… «Certo. Mentale. La parte più difficile della preparazione è nel momento in cui pensi di mollare, quando ti chiedi “Ma chi me lo fa fare?”. Io oggi ho fatto 8 volte i 300 mt in 58 secondi. Stavo morendo. Ma non ho mollato. Dovevo arrivare per forza fino alla fine. Ecco: vai sempre nella direzione di superare il tuo limite. E quell’allenamento ti fa tornare più forte anche a casa. Come persona. Ciò che ti dà lo sport è unico, incredibile». Quasi strozzata dall’ultimo respiro, quando senti di non farcela più, e pensi che il fisico ti abbandoni, non temi mai per la tua vita? Bada, intendo: non la paura di non vincere, ma proprio di crollare… «Come no! Quando senti che stai per collassare, la paura è reale. Negli ultimi 300 metri dei 1.500 o nei 150 degli 800, te la senti nelle orecchie, nei capelli. Dopo una gara non riesci a muovere neanche le labbra. È una sensazione di premorte. Di-

cono che sia la più bella. In quel momento… a cosa servirebbe vincere? Io penso a mio figlio…». E cosa ti dà la certezza che il pericolo non sia reale? Cosa ti dice che… non stai morendo e che è tutto nella norma? «Lo capisco perché il coach mi porta a superare quel limite, a sapere che è normale nti più devi che sia così. Più vai avanti do è semmigliorare. Ogni traguardo ai sui miei pre nuovo. Non corro mai cevo i 300 limiti. L’anno scorso facevo VO fare in mt in 61 o 62. Oggi li DEVO 58. Altrimenti non c’è crescita!». escita!». E qual è il limite? Dopo i 58 ci saCerto; dev devi vi ranno i 56 e poi i 54… «Certo; essere competiviva, a Rio!». o!». E poi ancora? «Fare sui ui 400 mt i 58 e poi i 51 secondi; di; e sugli 800 stare sotto i 2.19. 2 19 2.17. 2.16. Voglio fare il nuovo uovo record del mondo». Ti sei data altri quattro anni… «Eh sì». Con una media di abbassassamento in secondi? «Chi può dirlo… Io non conosco ancora cora n so bene il mio corpo. Non quanto possa superarmii ancora. Ma sono un’atleta a non usurata, quindi il mio margine argine è antemente molto ampio. Abbondantemente sotto i 2.20». Non senti di aver bruciato ato le tapivata a un pe? «Forse sì. Sono arrivata gran risultato in pochissimo mo tempo. Mi spaventa però che, così come sono emersa io, nel giro di due anni, esca qualcun altro che he mi batte». L’Olimpiade di Londra: l’emozione emozione e are lontaadi salire sul podio e… stare o il massisi no da tuo figlio. «Ho dato tamo in questa esperienza e mi è stato restituito rispetto onore re e merirroto. La cosa più difficile è stata proprio il distacco da Fabio, ma so ch che e lui è stato - ed è - orgoglioso oglioso d di me».


IO E LE PARALIMPIADI bastanza. A 20 iniziarono i problemi. Quando nasci con una difficoltà, pensi quella sia una situazione comune, condivisa. Credi che sia la condizione di chiunque, che tutti vedano come te. Quando avevo sei anni mi trattarono da astigmatica e mi misero gli occhiali. Mi facevano giocare a pallavolo ma… io la palla mica la vedevo! Fin quasi a un metro da me. Tutto il resto sì: la lampada, le luci, la rete, gli avversari. Ma in ricezione, all’ultimo momento, non prendevo la palla. Mi esoneravano pensando che fossi svogliata, distratta. E nessuno si chiedeva cosa avessi. Secondo gli insegnanti, tutti questi elementi giustificavano la mia non costanza. E invece… non era colpa mia…».

ltre all'impegno come cantante dal 2001 Annalisa Minetti si è dedicata all'atletica leggera. Si è dimostrata molto forte negli 800 metri ma tale specialità non fa parte del programma delle paralimpiadi, per cui la cantante ha partecipato ai Giochi paralimpici di Londra 2012 nei 1500 m T11T12, vincendo la medaglia di bronzo e realizzando il nuovo record mondiale della categoria T11 (4'48"88). «Spero che venga sfruttato al meglio l’aspetto mediatico lanciato dai Giochi 2012 per far capire alle persone che non lo conoscono che c’è un movimento paralimpico, e che è soprattutto straordinario. La partecipazione alle Paralimpiadi londinesi ha rappresentato per me un momento importante per cercare di contribuire a diffondere quei concetti di integrazione e inclusione sociale che sono alla base di questo movimento».

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Perché ho un ricordo di te, a Miss Italia, già legato a un passato sportivo? «In realtà a 16 anni ero una affezionata, un’appassionata di palestra. Facevo body building e avevo un muscolo molto pronunciato. Mi dicevano: molto carina ma hai due polpacci da Maradona. In palestra ero piccolina ma superscolpita. Trapezio, bicipide del braccio… Stavo diventando troppo mascolina. Come sollevavo un peso, boom: il muscolo era pronto sull’attenti! Questo sembrava ostacolare la mia femminilita. Anche se a me non interessava e mi piacevo atleticamente così com’ero. Successivamente, con la corsa, il mio fisico si è asciugato tantissimo. Forse, ora, sono un po’ troppo tirata… Ma, anche se non si direbbe, mangio tantissimo e di tutto». Alziamoci da tavola. E torniamo indietro nel tempo. Quando ti allenavi, all’età di 16 anni, la vista ancora non era un problema… «Beh… in realtà ero già ipo. Fino a 18 vedevo, anche se non bene. Ancora a 19 qualcosa distinguevo. Diciamo ab-

Quando hai capito che qualcosa stave cambiando? «Sempre intorno ai 16 anni. Uscivo con gli amici e… la notte andavo in crisi. Allora iniziai ad aguzzare l’ingegno, fingendo di vederci benissimo…». Non hai mai pensato che potesse essere un problema superabile, magari con un intervento o un occhiale speciale? «Ma io non ho mai denunciato di non vedere. Da piccola portavo degli occhialini giallo limone, che odiavo. Ma non cambiava nulla. Ai miei genitori i medici inculcavano la convinzione che gli occhiali fossero inutili. “Annalisa è solo astigmatica. Finge il problema alla vista per attrarre l’attenzione che voi date a suo fratello e dirottarla su di sé”. Fu quello stesso dottore che un giorno, con un gesto che… a pensarci mi ferisce ancora oggi, spense tutte le luci nel suo studio, buttando una mollichina a terra e invitandomi a raccoglierla. E io la presi, captando ovviamente il flebile rumore. E lui mi disse: “Perché non la guardi?”. Ovvio: non ero più abituata a guardare, non ne avevo bisogno. Vivevo già, inconsciamente, atteggiamenti da ipovedente. Fu diagnosticato un problema


Annalisae

SANREMO


psicologico. E da allora io iniziai a impegnarmi: non avrei più dichiarato alcuna difficoltà o peggioramento. Dunque fidanzati a gogo con i quali uscivo a braccetto, così che, anche camminando, mi potessero precedere, anticipandomi scalini e piccolo ostacoli». Machiavellico! Oltre ad un orecchio supersonico, ti aiuti con luci e ombre? «Ma… sai sono molto falsate: non ci bado più perché potrebbero ingannarmi. Potrei fraintendere un lampo o un’ombra e spaventarmi per una sagoma che mi si para davanti e che invece, magari, è solo uno scherzo dell’occhio. Ovvio: l’orecchio è al primo posto e si è adeguato alla mancanza». Ogni traguardo è più una sfida a superare il limite o una passione? «Ciò che ti proponi, ti imponi. Ovvio che la passione aiuta. Senza quella, non potrei. Ma il sapore della sfida me gusta. Fare quello che la gente ritiene impossibile». Quando e come nasce quella per lo sport? «Apparentemente per caso, anche se al caso non credo. Era di pomeriggio, al mare. Facevo spinning. Mi piaceva. Passai al tandem, e mi ci affezionai. Da lì alla pista il passo fu breve. Mi dicevano che ero portata. E... pian piano maturai l'idea di correre. Mi intrigava il pensiero di poter essere, un giorno, madrina paraolimpica. Così feci il test come mezzofondista. In quell’attimo la sensazione di smarrimento venne meno e… scoccò la scintilla nella consapevolezza di potercela fare. Non nego di conservare - in questo che è oramai un impegno agonistico - anche il forte desiderio di rimanere in forma…». Il passaggio ad uno “sguardo” verso l’esterno molto più interiore e profondo, con l’occhio del cuore, ti fa avere qualche rimpianto sulla vista come senso fisico? «No, in alcun modo. Il solo rimpianto riguarda, in parte, la ridotta autosufficienza o indipendenza: non prendere l’auto per guidare o il non po-

ter portare al parco, da sola, mio figlio. Ma… finisce lì». E come è cambiato il tuo sguardo sul mondo? «È uno sguardo… pietoso». Forse sei fortunata: ti vengono risparmiate certe brutture… «Anche senza gli occhi, le brutture si avvertono ugualmente». Perché tu hai un livello di percezione altissimo e gli occhi diventano, diciamo, un senso “relativo”… «Credo che molti, pur con entrambi gli occhi, non riescano - o rinunciano - a vedere ciò che dovrebbero. Per fortuna la mia vita spirituale è molto profonda. Anche nei confronti degli errori. Quando sbaglio so che sto sbagliando e accetto le conseguenze del libero arbitrio. Gesù è come un Padre, ti indica cosa è giusto. Quando sbagliamo, ne siamo perfettamente consapevoli, proviamo un malessere. Uccidere, offendere, aggredire… sono atti di insicurezza e squilibrio». Tu, in famiglia, sei stata un po’… la coach di casa… «Quando eravamo piccoli ho fatto da chioccia ai miei tre fratelli, soprattutto a Francesca. Avevo 16 anni e per lei ero Mamma Isa. E poi sono sempre stata molto “comica”, una specie di capobanda insieme a mio zio Michele, con il quale tiravamo su le sorti di tutte le feste. Eravamo personaggi chiave per il divertimento». Come ti ha cambiato la maternità? «Ce l’avevo gia dentro. Quando per la prima volta presi in braccio mia sorella, decisi: voglio una figlia. L’amore per un figlio è un amore dal quale dipendo. Se Fabietto sta male o si lamenta, e sento che potrei esserne la causa, non me lo perdono, lo considero un fallimento. Per me deve essere felice a tutti costi». La tua giornata tipo? «Inizia con “I Gormiti”. Dal che capisco che sono le 7. Nel giro di un quarto d’ora mi

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spq ort occupo di Fabio: lavaggio, vestizione, colazione». Tutto da sola, ovviamente… «Certo. Poi, dopo essermi fatta accompagnare per portarlo a scuola, torno a casa e inizia il mio ruolo domestico: spolvero, lavo, pulisco, dal piano alto alla taverna. Ho una casa minimalista: niente soprammobili o gingillini inutili che mi complicherebbero la vita. È chiaro che, non vedendo, lo faccio automaticamente tutti i giorni, quindi sul pulito. Adoro le faccende! Ma… odio i vetri: quelli… soltanto due volte a settimana!». E gli allenamenti? «Tutti i giorni, anche quelli dopo le faccende; mi viene a prendere il coach Stefano Ciallella». Tu una milanese che vive a Roma… «A Roma c’è la centralità della musica. Amo stare a Roma ma a Milano ho una splendida casa». Quindi Milano da vivere non sarà una scelta definitiva? «No, decisamente. Nessuna città viene scelta in modo definitivo». Un passo indietro e qualche ricordo di Sanremo e di Miss Italia… «Facevo piano bar. Una signora, agente del Concorso di bellezza, mi fece molti complimenti e mi invitò a iscrivermi. Non avevo alcuna intenzione, spiegandole che non avrei sopportato vantaggi solo per pietismo verso la mia situazione. Insistette, rassicurandomi sulla possibilità di risolvere il problema, senza svelare nulla. Avremmo sfilato prendendoci tutte per mano. Ma

Annalisa Minetti, dopo la partecipazione al concorso di Miss Italia, ha raggiunto il successo con Sanremo. Ma quali sono state le Miss che, nella storia del Concorso, hanno toccato vertici di popolarità?

rd dia, poi, durante le finali in Lombardia, o aua la commissione notò un piccolo an no. ricolare. Dovetti spiegare l’arcano. E rimasero tutti sconvolti. Quando an ndo issse Mirigliani mi sentì cantare, disse utta“Questa ragazza deve assolutaU mente andare a Sanremo!” Una volta tornata a casa, ricevetti a rafra fica chiamate delle maggiori ca case ase ». discografiche. Fra cui la Sony». Il resto è storia. Anche gli auguri rii di on n la Céline Dion… «Si... anche lei con Sony, dietro le quinte mi fece l’in l bocca al lupo, mentre sentivo su suouonare e canticchiare Michael BolBo ton…». Parliamo del tuo ritorno al canto, nto, orte con questo tour di Gospel… «Forte energia, approccio straordinario. arrio. Anche con la gente che viene a se senentirci. Un proponimento diverso errso dell‘atteggiamento vocale». Annalisa è più canto o sport? «E «EnEntrambi. Anche se nel canto riesco co oa giocare con le note senza paura. ura. Nello sport non si può improvvisavissare…». ella “Senza te o con te”, il brano della vittoria sanremese. Di chi potresti re esti nu unfare a meno e di chi no? «So rinunciare alle cose, non alle persone. on ne. Mai e poi mai a mio figlio». La tua fede è una roccia… «È È un uigrande sostegno.Gesù è la mia g guida. Lui è sempre presente. Mi ha aiutato a capire che aver perso so o la vista non è stata una punizione, ma m un regalo, un dono per il quale ese ser grata alla vita». Capito? Lo legga chi può.

Miss

Italia

saranno famose


Foto ANSA per gentile concessione Ufficio Stampa RAI

Miss

Italia

Una rassegna di Miss. Quelle che, dopo il Concorso, hanno raggiunto vette di popolarità. Dalla Pampanini a Miriam Leone, da Miss Italia alla notorietà

Silvana Pampanini Silvana PPam am mpanini panini 1946

Lucia Bosé 1947

Gina Lollobrigida 1947

SSilvana iilvana lvanaa Ma Mangano a 1947

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Sophia Loren 19500 Carmen Russ Russo 1973

Ombretta O mbbretta Co Colli 1960

SStefania tefania SSandrelli andr 1960

Anna Kanaki A Kanakis 1977

Alba Parietti 1978

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Miss

Italia

Fedderica Moro 1982 Federica

Sabrina Sab briina Sale Salerno 1984

Simona Ventura 1986

Saranno famose‌

Mirka Viola 1984

Roberta Rob berta Capu Capua 1986 SPQR SSPQ PQR PQ QR SSPORT POR PO POR ORT | 38 38

M. G. M G Cucinotta Cuci 1987


sp s pq ort rt

Nadia N addia Ben Bengala 1988

Anna A nna Falch Falchi 1989

Claudia Cl lauddia Pandolfi Pand 1991

Martina Colombari 1991

Anna Valle 1995

Arianna A riianna David Dav 1993 SPQR SSPQ PQQRR


Miss

Anna Safroncik 1998

Italia

Annalisa Minetti Minettti 1997 19997 19 97

Tania Zamparo 2000

Elisa Isoardi 2002

CCaterina atterina Mur Murino 1997

Eleonora Eleon nor Predon 2002 20 SSPQR SP PQRR SSPORT PORT | 40 4


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Cristina Chiabotto 2004

L bellezze Le d di ieri e di oggi Il giudizio di

Patrizia Mirigliani Patron di Miss Italia

e hanno definite le miss di nuova generazione, ma è una etichettatura superficiale ed ingiusta per tante altre ragazze del Concorso. Certo, Miriam Leone, Marianna Di Martino De Cecco, entrambe di quel 2008, come Giusy Buscemi, sono subito apparse con una marcia in più, forti della loro preparazione di studi o esperienze precedenti. Enzo Mirigliani, mio padre, diceva che la Miss Italia ideale è sempre la prossima, quella che deve ancora essere eletta. Poneva cioè tutte sullo stesso piano, non faceva classifiche, pur avendone accompagnate molte, nella sua carriera, sulla scena del concorso. C’è chi dice un milione! Di ognuna idealmente ci si ricorda il volto, la bellezza, la storia. E da quelle immagini ci si accorge quanto sia frettoloso il giudizio di chi vuole le miss tutte uguali. Alle finali il quadro di insieme offre 100 personalità diverse, 100 racconti: è la bellezza della gioventù che si riflette ogni anno a Miss Italia. Le “mie” miss partono nel 2003: indico quest’anno per segnare il punto preciso in cui ho preso in mano la guida del Concorso. Ed è proprio la Miss Italia di quell’anno, Francesca Chillemi, ad avermi sorpreso maggiormente: è lei che mi ha stupito per la metamorfosi, se pur graduale — e proprio per questo apprezzabile — che ha fatto registrare. Una semplice ragazza del sud si è assunta la responsabilità attribuitale dal titolo: è diventata donna con la corona in testa e ha capito che l’occasione andava impiegata nel modo giusto, con serietà e determinazione. Oggi è un’attrice della fiction televisiva: l’abbiamo vista in “Sposami”, la vedremo in “Che Dio ci aiuti 2” dopo una lunga serie di interpretazioni molto convincenti. Insomma, piano piano, in modo intelligente, dall’anno del trionfo a Salsomaggiore non si è più fermata. Verrebbe da dire che ha preso Anna Valle come esempio. Ma non per questo dimentico tante altre miss che si sono affermate, come Francesca, con l’impegno e il lavoro quotidiano: parlo di Cristina Chiabotto, di Silvia Battisti nel campo della moda e, prima ancora, Martina Colombari e Claudia Pandolfi, entrambe miss del 1991, Deny Mendez del 1996, Christiane Filangieri e Annalisa Minetti l’anno dopo, Anna Safroncik del ’98. Ma anche Linda Collini ed Elisa Isoardi.

Miriam Leone 2008

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Bravo, elegante, vincente e, soprattutto, in grado di cambiare le abitudini degli spettatori del tennis. Adriano Panatta, l’uomo che portò il tifo da stadio al Centrale del Foro Italico... di Paolo VALENTE foto: archivio Panatta

uante volte abbiamo letto o sentito una frase di questo tenore: quell’atleta è una leggenda dello sport. Un aggettivo impegnativo, a volte usato però inopportunamente e impropriamente forse perché condizionati dalla troppa enfasi di un determinato momento oppure trascinati dal tifo e dalla passione. E di casi di topiche del genere la storia dello sport ne annovera parecchi. Ma se c’è un campione che di tale riconoscimento ne ha pienamente diritto di esserne fregiato è di sicuro Adriano Panatta, mostro sacro del

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tennis mondiale, di quelli che quando vai a leggerne il palmares rimani a bocca aperta. La sua racchetta ha entusiasmato non solo i tifosi italiani. Colpi di genio che solo i grandissimi possono regalare. Ha vinto tutto quello che si poteva vincere. Ai suoi attacchi sotto rete si sono dovuti arrendere tutti i campionissimi della sua epoca. Ma Adriano ha avuto anche il merito di cambiare il modo di fare e intendere il tennis. Lo ha popolarizzato, strappandolo a quel concetto choosey che aveva fino ad allora caratterizzato l’ambiente. Insomma, Panatta aveva portato una

AADRIANO ANO PA PANATTA ANAAT A | 42 AN

ventata nuova, fresca, un forte e chiaro messaggio nel quale si indicava che lo sport, qualsiasi nome avesse, non doveva avere barriere sociali. La passione andava coltivata comunque e chiunque ne aveva il diritto di farlo. Un personaggio scomodo per quei tempi, non c’è che dire. Ma ammirato da tutti per la sua determinazione. Adriano aveva avuto in dono il carisma nel dna. Non gli mancava nulla. Era bravo, era geniale e, cosa che non guasta mai, era anche alto e bello. Un fascino a cui il gentil sesso non sapeva resistere.


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Nelle finali di Roma e Parigi affrontò due grandi dell’epoca: prima Vilas e poi Solomon. Quale dei due la fece soffrire di più? «Tutti e due, erano entrambi grandi giocatori. Insieme a Borg erano quelli più forti sulla terra rossa, anche se lo svedese era un gradino superiore. Furo-

Data di nascita: 9 luglio 1950 Luogo di nascita: Roma Nato a: Roma Vittorie/Sconfitte: 364-223 Titoli vinti: 10 Miglior ranking: 4° (24 agosto 1976) È nato a Roma il 9 luglio 1950. Al Tennis Club Parioli ha mosso i primi passi da tennista. La sua carriera è stata un crescendo di successi. Ben 364 sono state la sue vittorie nel singolo fra le quali annovera anche 10 titoli. Nel 1976 si è classificato 4° nel ranking mondiale. Nel 1983 ha deciso di ritirarsi. È sposato da tantissimi anni con Rosaria con la quale ha avuto tre figli, Niccolò, Alessandro e Rubina. Quest’ultima gli ha regalato la grande gioia di diventare nonno.

ADRIANO PANATTA

Nonostante siano passati tanti anni dalle sue gesta, Panatta rimane ancora oggi nell’immaginario collettivo il Campione con la C maiuscola, un’ammirazione che accomuna diverse generazioni, anche quelle più giovani che pur non avendolo visto giocare dal vivo rimangono colpite dai racconti dei genitori. E per questo si documentano attraverso filmati storici, foto d’archivio e recensioni librarie. Insomma, Adriano Panatta incarna tuttora, per i più, il tennis. Se si parla di lui, ecco che con i ricordi si va subito a quel 1976 quando Adriano vinse tutto quello che si poteva vincere: Roma, Parigi e Davis. È lui stesso a raccontarcelo nell’aprire questa nostra lunga intervista. «È stato l’anno che ho giocato meglio. Eccezionale. Il migliore della mia carriera. E pensare che il ’76 non era cominciato bene per me, all’inizio ho sofferto in qualche torneo. A Roma, invece, ho cominciato ad entrare in forma, anche se al primo turno ho dovuto faticare. Subito dopo, al Roland Garros, le cose sono proseguite nel verso giusto anche se all’inizio ero un po’ stanco visto che all’epoca il torneo francese si svolgeva appena una settimana dopo gli Internazionali. E via via fino alla Davis dove insieme ai miei compagni abbiamo fatto qualcosa di bello che ci ha permesso di centrare la vittoria».


4 UOMINI D’ORO UNA BANDIERA IN PANCHINA. Nicola Pietrangeli E FU TRIONFO IN DAVIS Bella e difficile. In tutti i sensi. Ecco come si può sintetizzare la esaltante vittoria in Coppa Davis nel 1976. Un trofeo di prestigio conquistato in un Cile oppresso dalla dittatura militare. Fu uno schiacciante 4-1 che lasciò poche recriminazioni alla suadra di casa. Gli eroi di quella squadra capitanata da Nicola Pietrangeli, erano Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Corrado Barazzutti e Tonino Toonino Zugarelli. L’Italia giocò in m maglia rossa in forma di di protesta pprootesta contro il re egime cileno di regime Pi h t Pinochet.

Adriano Panatta

no due match duri che ho vinto in quattro set. Forse con Solomon ero un po’ più stanco visto che venivo dalle fatiche di Roma e sappiamo quante energie ti toglie il Grande Slam». Se stilassimo un ideale podio, chi collocherebbe ai primi posti fra i tennisti di tutti i tempi? «Federer, Laver, Bjorn Borg e Sampras». E tra quelli del suo perido? «Mah, diciamo Borg, McEnroe e Connors, sicuramente i più forti secondo me. McEnroe l’ho incontrato quando ero a fine carriera e batterlo è stato quasi sempre difficile, così come Connors. Anche con Borg era dura, ma con lui mi trovavo meglio, riuscivo a fronteggiarlo. Ero contento quando lo sfidavo, penso che ero e l’unico a anche perché pensarla così. Forse an legava una forte verso lo svedese mi lega amic cizia. Ma sul campo non faceva amicizia. sconti. scon nti. Un personaggio unico, veramente dimenticherei ment te buffo. Poi non di di sicuro siccuro Agassi e Becker, Beck anche se loro fanno parte di una generazione subito dopo la mia» mia». E tra i tennisti a attuali? «Federer, Nadal, Diokovic e Murray. Penso che ssiano questi i M quatt tro tennisti più for quattro forti al mondo. Fede Federer, erer, comunque, pen penso che sia il gioca giocatore atore più forte di tut tutti i tempi».

Corrado Barazzutti

Dei ccomponenti della fo fortunata spedizio one in Cile di Davis, con quali è dizione «Con Bertolucrimasto rima sto in contatto? «Co ci siamo siaamo amici fraterni fraterni, anche con Zugarelli Zugaarelli il rapporto è tu tuttora intatto e spe spesso esso giochiamo a g golf insieme. Bara azzutti e Pietrangeli invece li ho Barazzutti persii di vista. Con Barazzutti, Baraz a dir la verità à, non ho mai avuto una grande verità, affini affinità ità di carattere, con Pietrangeli forsee ha influito la grand grande differenza di età à. Sono oltre dieci aanni che non età. incon ntro Nicola». incontro

Tonino Zugarelli

E a proposito di Cile, che ricordi conserva cons erva di quell’espe quell’esperienza, al di là de ell’aspetto sportivo dell’aspetto sportivo, in uno stato do dominato ominato dal regime di Pinochet?

Paolo Bertolucci ADRIANO ADRI R AANNO N PANATTA ANAATTA | 44 AN


spq ort «Ricordo che anche in Italia si respirava un’aria pesante. Politicamente la nostra trasferta di Davis in Cile non veniva vista di buon occhio. Mi ricordo le manifestazioni di piazza contro la dittatura di Pinochet. Beh, noi che l’abbiamo vissuta in prima persona, posso garantire che in Cile si respirava profondamente il clima di paura. Un’atmosfera cupa. Il popolo cileno è fiero e straordinario. E lo dimostrò anche in quel periodo. Ricordo che ci ha seguito in quella Davis facendo chiaramente il tifo per i suoi tennisti, ma sempre in maniera corretta. Comunque lo si leggeva nei loro volti il brutto momento che stavano vivendo. Lo sguardo spento e incupito dava l’esatta misura della situazione. Anche noi che stavamo al di fuori percepivamo questo disagio. Ci avevano messo sotto tutela, ci scortavano per proteggerci da chissà cosa poi. Avevamo le forze dell’ordine al fianco continuamente durante i nostri brevi spostamenti. Vivevamo isolati. Ma si sa, un regime militare è quello che è». Nella vittoria in Davis ci fu anche la mano di Mario Belardinelli. Che ricordi ha di lui? «Certo, Belardinelli è stato determinante per quel successo. Mario per me è stato tutto, un allenatore, un secondo padre, un maestro. Ci ha insegnato a vivere. I suoi consigli erano sia di natura tecnica che umana. Un vero faro. Una persona fuori dall’ordinario. Penso che il successo nella Davis sia stata la sua più grande soddisfazione visto che quella squadra l’aveva creata e cresciuta lui. Un personaggio eccezionale al quale noi tutti davamo sempre del lei. Era più forte di noi. Anche una volta diventati adulti la forma del tu proprio non c’è mai riuscita rivolgendoci a lui, c’era per lui un grande rispetto». Con lei i tifosi di tennis hanno tifato come in una arena di calcio. La gara contro Borg o il doppio contro l’Australia sono ancor oggi un chiaro ricordo. I bambini giocavano come lei tanto nei campi di tennis che nei

cortili. Ha avvicinato tanta gente al tennis. Ma qualcuno la critica per aver portato un tifo sguaiato nel sacro tennis, cori da stadio e qualche moneta di troppo in campo. Che ricordi ha e cosa ne pensa? «Ci fu negli Anni Settanta uno sdoganamento da certi preconcetti, venivano abbattuti i tabu che volevano il tennis come sport d’elite. Noi quattro portammo una ventata popolare, grazie al nostro successo il tennis si aprì alle masse e nacquero moltissimi circoli sportivi dove si poteva praticarlo. Diventando popolare il tennis ha smarrito la sua etichetta, si è fatto più caciarone. Ma non crediate che questo fenomeno sia soltanto italiano. Anche in Francia, in America e in Spagna la “caciara” aciara” si fa sentire, eccome. Per non parlare dei paesi dell’est che all’epoca erano no di battaglia. una sorta di terreno Sono pochi, adesso,, gli sport ad aver mantenuto la loro etichetta, come ad esempioo il cricket. ezzo da paLa “caciara” è il prezzo izzazione di gare per la popolarizzazione so che sia uno sport. E io penso giusto così». A 20 anni sconfisse e Pietrangeli, un mostro sacro dell tennis all’epoosa pensò dopo ca, negli assoluti. Cosa er me non quel successo? «Per è stato un punto d’arrivo i, era battere Pietrangeli, un test impegnativoo per la mia carriera. Diciamo amo che è stato un punto to di partenza. All’epoca gli Assoluti erano imporortantissimi e aver scononfitto Nicola mi fece ce capire che avevo im-boccato la stradaa giusta». Lei battè Borg per sette volte. Cosa le diceva lo svedese dopo ogni sconfitta? «No, alla fine dellee partite non mi diceva mai nulla. Lui eraa un tipo di poche pa-

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role. Io cercavo di stuzzicarlo con qualche battuta, ma lui faceva valere la sua proverbiale calma. Comunque so che come giocatore mi soffriva molto, ma non mi ha mai dato la soddisfazione di ammetterlo. La nostra comunque era una profonda amicizia». Lei ha detto: «Saper giocare bene a tennis è diverso da saper vincere»… «È chiaro. La differenza è sostanziale. Tanti ragazzi sanno giocare bene ma non sono capaci a vincere. Per vincere servono componenti importanti, una fra tutte il coraggio. Devi capire, poi, quando è il momento di difendere e quello di attaccare. Devi comprendere il tuo avversario. La prova ce l’hai nei grandi tornei quando devi capire in un attimo come sfruttare quelle due-tre palle determinanti che possono regalarti la vittoria». Come preparava le grandi sfide? Giocavano un ruolo im-


DAL TIFO SILENZIOSO AI CORI DA STADIO Il tifoso del tennis cambia pelle negli Anni ’70. Grazie a Panatta avviene una radicale trasformazione. Mentre un tempo dagli spalti si seguivano i match in religioso silenzio, applaudendo i colpi con formale passione in stile british, con i continui successi di Adriano il calore del tifo comincia sempre più a lievitare. Ogni volta che scende in campo lui, gli impianti tennistici italiani, ma soprattutto quelli della capitale, diventano una bolgia. Fischi, applausi, cori da stadio fanno da cornice alle performance di Adriano. Si avverte che qualcosa di profondo sta cambiando nel mondo del tennis. Da sport d’elite si va attestando su posizioni più popolari. Se un tempo una racchetta e una pallina erano privilegio per pochi, ora, grazie a Panatta, il tennis entra in tutte le famiglie. Nascono tanti circoli sportivi dove quella battuta diventa terra per qualsiasi estrazione sociale

portante la scaramanzia e la superstizione? «Lo ammetto, sono stato abbastanza superstizioso in un certo periodo della mia vita. Seguivo dei rituali prima di ogni partita. Ad esempio alla vigilia dei grandi tornei mangiavo sempre le stesse cose, oppure mi vestivo sempre alla stessa maniera. E poi tanti piccoli accorgimenti scaramantici come la scelta del campo o la posizione dell’asciugamano e della bottiglietta dell’acqua. Cose buffe e stupide ma che fanno parte dello sport professionistico. A pensarci a mente fredda è proprio roba da matti».

E delle accalorate telecronache di Galeazzi cosa ricorda? «Con Giampiero ho un ottimo rapporto, con lui ho lavorato per tanti anni. Un vero professionista. Certo qualche strafalcione gli usciva durante le telecronache di tennis che mi vedevano protagonista, ed io, appena me le raccontavano, lo sfottevo. Ma sempre nell’alveo dell’amicizia che ci contraddistingueva». Con lei sono nati termini come “Veronica”… «Non so come sia nato questo termine, chi diceva che lo avesse coniato Galeazzi e chi Tommasi. Sta di fatto che quel colpo ora ha un nome femminile, e resto in at-

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tesa di conoscerne finalmente la paternità». Dal tennis alla motonautica. Come nasce questa grande passione? «Un fatto naturale, io amo l’acqua. Quando sono vicino al mare rimango sempre di buon umore. Ma la stessa cosa provo anche quando sono davanti ad un lago o davanti a un ruscello. È proprio l’elemento acqua che mi affascina. Per quel che concerne la motonautica, è stata una logica conseguenza. Visto che la mia passione sono anche i motori, il connubio è diventato automatico. E poi mi piace anche armeggiare sui motori».


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DALL’ALBUM DEI RICORDI Ecco Adriano con in mano un pallone. Sotto, da... tennista in erba. Poi, insieme con sua moglie e i tre figli. In basso, i genitori e, nella pagina accanto, il “secondo” sport di Adriano, la motonautica.


LE E SCELTE DII ADRIANO ADRIA Panatta Pana atta ta fa un po’ o’ le carte ai campioni del pa passato assato e a q elli ddi adesso qu quelli adesso. Traccia una sorta di di classifica ppersonale pe pers rsonale ale indicandoci ind i suoi preferiti. efferiti. Per il passato Adriano passat A non haa dubbi indican in Rod Lever uno indicando noo dei mas massimi interpreti dii q esto sport. Ma anche qu questo che McEnro nssidera fra i McEnroe e Connors li considera ggrandissimi. gr grandi andi p il suo Per Borg poi ggi iudiz di è ancora più sentito nttito vista la giudizio ggrande gr and amicizia chee li lega. Parla o Parlando dei tennisti dii oggi, il suo voto in assoluto va a Fe ederer ederer, Federer, «il più forte di sempre».

Lei era un tennista d’attacco. Se il concetto venisse trasportato nel calcio di oggi, possiamo dire che lei potrebbe essere uno zemaniano? «Zeman mi piace molto, un personaggio straordinario. straordinario Mi fa divertire moltissimo. È uno che dice sempre la verità e per questo diventa scomodo. A me i personaggi scomodi piacciono moltissimo. È uno che in campo se la gioca sempre, non è un conservatore, con lui ti diverti sempre. Un po’ quello che facevo io. In campo attaccavo e rischiavo sempre».

E sul suo rendimento credo abbia influito la mano di Zeman. Con Luis Enrique non mi sembra che corresse come quest’anno». E dell’altra dell altra sponda del Tevere cosa ne pensa? «La Lazio è una squadra tosta, molto ben messa in campo.

Rod Laver Detiene il record di circa 200 titoli conquistati in carriera.

Batterla è difficile per chiunque. E poi lì davanti ha quel gran giocatore gio che è Klose che appena può m materializza le occasioni in gol. Mi piace pia Petkovic che è riuscito a dare un’impronta ben precisa a tutto il gruppo. g La Lazio può fare tanta str strada». rada C’è un giocatore della Roma Rom ma cche po«Verrebbe «Ve trebbe rassomigliarle? « così. Difacile dire Totti, ma non è co massima, ciamo che in linea di mas ssim pur distinguo, facendo qualche distinguo o, mi rivedo in Osvaldo». Com’è l’Adriano l’A Adri in «Sono non«Son famiglia? famiglia? « no, ho i figli grandi che vivo vvivono per conto loro. Li ho avuti qu uan ero quando unico rammamolto giovane e il mio unic co ra rico è che nella loro età più ù be bella me li sono goduti veramente poc poco visto che ero sempre in giro pe er il mondo per Adesso per la mia professione. Ad dess cernonno, co di rifarmi facendo il non nno appena posso mi dedico anima e ccorpo al mio nipotino. Il suo arrivo mi ha cambiat to co cambiato completamente la vita. Io dico se emp che sempre genitori se avessimo potuto fare i g con l’esperienza da nonni, sar saremmo genitori stati sicuramente dei ge enito migliori».

Da tifoso giallorosso, cosa pensa dell’annata della Roma? «La Roma con Zeman era una squadra imprevedibile, poteva vincere e perdere con chiunque. Un po’ come accadeva a me quando giocavo. Mi dispiace per come è an-

data finire il rapporto con Zeman. Il suo gioco è sempre lo stesso, non è vero che era cambiato. Forse anche questo è alla base del suo divorzio. E poi c’è Totti. La sua forma fisica ha qualcosa d’eccezionale, mai l’avevo visto così in palla. La classe è intatta e non potrebbe essere altrimenti.

Ha un hobby in pa particolare? rtic «Mi piace il golf, goolf, appena a posso p po sso mi concedo conccedo qualcche he partita».

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Bjorn Borg Il campione svedese fu sconfitto 7 volte da Adriano. Panatta è l'unico tennista ad aver battuto Borg nell'Open di Francia. Li legava una grande amicizia. Quando Borg decise di ritornare in campo dopo che aveva deciso di smettere, si affidò ai consigli di Adriano. Nell'estate del 1988, a Ibiza, sposò Loredana Berté, che aveva già conosciuto al Roland Garros nel 1973, quando le fu presentata dall'allora fidanzato della cantante, Adriano Panatta, dal quale in quell'occasione fu battuto.

Guillermo Vilas Adriano lo sconfisse nella finale degli Internazionali di Roma del 1976.

John Mc Enroe oe Un fenomeno secondo ondo Adriano, un vero genio della deella racchetta.

Jimmy Connors Per Panata è un grande, di quelli che diventano leggenda, un mancino da brividi.

penso: ma chi mai li andrà a vedere?». Le piace la musica? «Sì, molto, ma l’ascolto distrattamente. È soprattutto in auto che do sfogo a questa passione».

Da sinistra Borg, Connors, Orantes e Panatta

L’ultimo libro letto e i suoi autori preferiti. «Da tempo ho smesso coi libri pesanti e di riflessione. Le ultime letture sono quelle di Marco Buticchi, di cui sono grande amico, e di Massimo Gramellini. Ho un rapporto strano con i libri. A volte li divoro, altre mi rimangono tanto tempo sul comodino».

preferiti. Tante sono le attrici brave ma sul podio metterei Meryl Streep, Anna Magnani e Sophia Loren eccezionale per un paio di suoi film che sono rimasti nella storia del cinema mondiale. Ricordo sempre poi la bellezza di Claudia Cardinale che ho avuto la fortuna di conoscere. Ma anche Diane Keaton non è da meno».

L’attore e l’attrice che ama di più? «Per quanto concerne gli uomini, sono in assoluto un appassionato di Totò, ma mi piacciono anche i mostri sacri della nostra cinematografia come Sordi, Gassman, Manfredi, Villaggio di cui mi onoro di esserne fraterno amico. Paolo è un uomo di rara intelligenza e di una cultura profonda che lui non disdegnerebbe di definire bestiale. Ma anche Verdone e Moretti sono nella lista dei miei

Il film che l’ha rapita di più? «C’era una volta in America di Sergio Leone, un regista straordinario. Un film che non mi stanco mai di rivedere. Con un cast veramente eccezionale. E poi, pur sembrando banale, mi piacciono anche i film leggeri o quei bei filmoni americani. Il cinema per me è spensieratezza. Quando vedo che nei vari concorsi cinematografici s’impongono quei film impegnati diretti o da registi coreani o polacchi

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Quali autori ascolta? «Mi piace la musica degli Anni ’60-’70. Ho una predilezione per i Pink Floyd, per Jimy Hendrix, per Frank Zappa, per i Beatles. Ma non disdegno anche la musica dei Dire Straits, degli U2, di Paolo Conte, di Fabrizio De Andrè e di Francesco De Gregori. Comunque avete capito qual è il mio genere». E guarda caso, la musica la vede protagonista in un brano di Rino Gaetano… «Non so come io sia finito in una sua canzone. Gaetano mi piaceva moltissimo. Era un grande artista che all’epoca nessuno aveva capito. Aveva portato un genere nuovo, all’avanguardia. Solo dopo tanti anni c’è stata la sua rivalutazione. In Italia specialmente bisogna passare a miglior vita per veder riconoscere certi meriti. Guardate quello che è successo a Totò. Lo stesso Giorgio Gaber. All’inizio veniva considerato un artista di nicchia che solo un pubblico di intellettuali riusciva a carpirne il messaggio. Oggi invece sono stati riconosciuti grandissimi meriti al suo lavoro, anche se penso alcuni a sproposito».


LE SCELTE LE SCELTE DI DI ADRIANO ADRIAN NO O

Harold Solomon Panatta lo sconfisse fi nella ll finale di Parigi in 5 set nell’anno di grazia 1976.

Andre Agassi Ha vinto 60 titoli ATP e 8 tornei dello Slam. Di lui Panatta ha una vera ammirazione.

Difetti e pregi di Adriano Panatta… «Di difetti ne ho tanti. Forse quello più evidente è che sono abbastanza lunatico. Ma mi passa subito. Pregi? Non sta a me dirlo. Se insistete e pensandoci bene potrei diree che è la glliogenerosità la mia parte migliore».

Ha più dato ho più ricevuto?? «Dalla vita ho avuto tantissisiimo. Da ragazzino volevo giocare occare a c tennis, ci sono riuscito e la carriera azzioni. Se mi ha dato enormi soddisfazioni. mi lamentassi sarei un ingrato grrato e il Padreterno si arrabbierebbe, bee, a giusta ragione». Le piace fare tv? «Sì, molto. o. Davanti alla telecamera rimango sempre m mpre me on n Piroso stesso. Mi diverto molto. Con poi è stata un’esperienza ch che he mi è piaciuta molto». In passato è stato sfidato a te tennis ennis da personaggi dello spettacolo. co olo. C’è qualcuno che le ha tenuto o testa? «Uno che gioca bene è Luca ca Barbafffrontato rossa. Paolo Bonolis l’ho affrontato s dà da poco tempo fa, giochicchia,, si fare. on n me ne Qualcun altro? Mah, se non d che vengono in mente altri vuoll dire non hanno lasciato in me un n positivo ricordo in fatto di tennis».

AADRIANO DRIANO DRIANO IAANO PA PANATTA AT | 50

Boris Becker Il ttennista i t ttedesco d ha vinto tutto, sia nel singolo che di squadra. Meno che a Roma.

Cos’è Roma per lei? «Roma è come la mamma. Quando sono nella mia città mi sento come nel ventre materno. Di Roma mi piace tutto, anche le cose che mi fanno arrabbiare perché so che governare una metropoli così non è facile. Essere romani è qualcosa di speciale che solo noi che siamo nati in questa città possiamo sapere.

Quando sento dire da chi viene da fuori “voi romani”, li capisco e li giustifico perché non sanno che cosa vuol dire essere romano. Un privilegio enorme che mi onoro di condividere con milioni di concittadini». Afferra ancora la racchetta? «Sì, ogni tanto giochicchio, ma solo per diletto».

Pete Sampras Ha vinto 64 titoli, per il tennis è quasi una leggenda. Una vera forza della natura.

Come mai suo fratello Claudio non ha fatto la sua stessa carriera? «È difficile spiegarlo. Al di là delle doti tecniche e del carattere che ognuno possiede, Claudio penso che non abbia benefic beneficiato de della mia presenza per anni si è portato dietro visto che p l’handicap l’handiicap di ssentirsi bollare comee “Panat “Panattino”, una cosa fastidiosa s p per lui. Comunque la l sua ccarriera a certi livelli v l’ha fatta, visto che è arrivato a giocare anche la a Davis. Quindi non Coppa D C direi come giodirei di classificarlo class catore secondo piano, tutcatoore di se t’altro t’altro». ro». Se non avesse avvesse fat fatto il tennista, oggi in quali panni ll’avremmo vista? «Non lo so. soo. Non ci c ho mai pensato. Volevo faree il tennis tennista, ci sono riuscito e basta. Parlare del passato non mi si co onfà, pr confà, preferisco sempre guardaree avanti». avanti» Attualm Attualmente mente Il tennis maschile italiano o trova difficoltà d rispetto «Fare tena quell quello o femminile… femm nis al fe femminile emminil è più facile. Negli uom mini ser uomini servono componenti importa anti com importanti come ad esempio la fisicità og ggi indis oggi indispensabile. Per le donne è su sufficiente ufficient essere tecnicamente dot dotate tate per poter emergere. Ma questo è un fe fenomeno non solo italiano. Guardate Gu uardate q quanti anni ha dovuto aspet ttare l’In aspettare l’Inghilterra prima di


Roger Federer È stato il numero 1 per 237 settimane. Panatta lo giudica un fenomeno.

Rafael Nadal Attuale nº 5 della classifica ATP, per Adriano è uno dei più forti di sempre.

trovare adesso uno bravo come Murray che poi non è un grandissimo. Di predestinati non è che ce ne siano stati tanti. Di Agassi, ad esempio, non ne nascono tutti i giorni. Lo stesso Borg, che all’inizio giocava e pure bene, ad hockey su ghiaccio, si è scoperto poi anche un campione

Novak Diokovic 6 Grande Slam: 4 Australian O., 1 Wimbledon e 1 US Open. I numeri sono con lui.

nel tennis. Ma sono fenomeni isolati. Per capire se un giovane ha delle qualità, bisogna lavorarci sopra e vedere poi nel tempo come risponde. Ma non è facile, ripeto». Intanto la Errani e la Vinci hanno centrato nel doppio il successo agli Internazionali di Roma… «Il doppio per me è un altro sport rispetto al singolo. Se ad esempio due campioni come Federer e Diokovic si mettessero insieme, per gli altri non ci sarebbe partita. L’abbiamo visto alle Olimpiadi quando

hanno giocato in doppio le sorelle Williams. È come dire, ti piace vincere facile? Comunque, nonostante le mie riserve su questa specialità, son contento per il risultato che hanno centrato le nostre due ragazze a Roma». Nonostante fosse un tennista d’attacco, fuori dalla terra rossa ha trovato spesso delle difficoltà. «Per la verità il sintetico non l’ho mai sofferto. Mi ricordo che su questa superficie ho vinto un importante torneo a Stoccolma. Quando uno nasce tenni-

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Andy Murray Nel 2011 va in semifinale in tutti e quattro gli Slam. Per Adriano è un ottimo tennista.

sticamente su una determinata superficie ci si imposta anche mentalmente. Una volta si faceva fatica a cambiare il fondo, eravamo, diciamo, alquanto provinciali come concezione. Prediligevamo restare nella nostra terra, magari sforare solo in Europa mentre trovavamo ostico giocare in America. È stata una fase culturale che oggi è stata sconfessata. Comunque anche noi i nostri bei tornei sul sintetico li giocavamo. Mi ricordo ad esempio quelli sulla terra verde di Forrest Hills. Ma era una cosa diversa. E poi, detto fuori dai denti, il vero tennis è quello sulla terra battuta».

Cosa consiglia ad un giovane che volesse iniziare a giocare a tennis? «Qui non si tratta di dare un consiglio o meno. Se un ragazzo ha le qualità per giocare a tennis, faccia pure, altrimenti è meglio che studi. Il tennis è uno sport che richiede sacrificio, tanta grinta e soprattutto carattere. È selettivo al massimo. Se nella canzone di Morandi solo uno su mille ce la fa, nel tennis bisogna allargarsi con le cifre dal momento che solo uno su un milione ha la possibilità di emergere».


di Diletta CIABATTI

LA PALESTRA IN CUI È CRESCIUTA, OMAGGIA LA SANTONI

Michela Conti, responsabile della palestra, racconta l’escalation della giovane campionessa culminata con la recente commovente festa d’addio a lei dedicata

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a storia dell’Asd Polimnia Ritmica Romana nasce 28 anni fa a Primavalle, periferia di Roma, in una struttura scolastica comunale che prima di diventare una palestra era un dormitorio di quartiere… All’inizio non fu facile convincere i genitori di quest’area a portare le loro bambine a fare ginnastica in questa struttura fatiscente: c’è voluta tutta la caparbietà e la grande passione della giovane tecnica Michela Conti per far crescere negli anni questo piccolo miracolo romano… Dal primo periodo in cui gli iscritti erano poche decine di “coraggiosi” è passato molto tempo e oggi la Poliminia Ritmica Romana è una Scuola Federale di ginnastica ritmica con 6 sedi sul territorio (Aurelia, Primavalle, Selva Nera, Torrevecchia), conta oltre 400 iscritte ai propri corsi seguiti da uno staff tecnico di prim’ordine ed è l’unica società del Lazio a militare nel Campionato Italiano di Serie A. In un palmares di tutto rispetto, che vede la Polimnia ai vertici del panorama agonistico nazionale, brillano i successi della ginnasta che più di ogni altra la rappresenta: Elisa Santoni. «Elisa ha iniziato a gareggiare con i nostri colori a soli 8 anni ed è sempre stata, fin da piccina, un esempio per tutte le compagne ed un’allieva ideale per noi allenatrici – dice oggi Michela Conti - Seria, instancabile, umile e generosa… ed è bello poter dire che anche adesso, dopo 3 titoli mondiali, 2 medaglie olimpiche ed oltre 100 medaglie in Campionati Internazionali, queste sue caratteristiche siano rimaste inalterate, rendendola una persona eccezionale prima ancora che una eccezionale campionessa!

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spq ort La sua carriera di alto livello è iniziata da Junior, con la partecipazione a 2 Campionati Europei, e poi, a soli 14 anni è stata convocata nel Centro Tecnico Federale di Desio: ricordo ancora quando partì per la sua avventura, lontana dalla famiglia e dalla sua Società, per andare a vivere in un albergo in ritiro permanente, fatto di allenamenti quotidiani, 8 ore al giorno, e scuola, che non doveva essere tralasciata perché lei è sempre stata molto studiosa… Tutto questo per inseguire il suo sogno, che noi allenatrici e la sua famiglia volevano che perseguisse. Ed è per questo che facevamo di tutto per tranquillizzarla: non ti preoccupare, se vuoi andare via ti veniamo a prendere subito! Sono passati 11 anni da allora, Elisa non ci ha mai chiesto di andarla a prendere… e come capitano della Squadra Nazionale, ha portato il tricolore sul tetto del mondo: dal 2002 è stata un’escalation di successi, fino alla medaglia olimpica di Atene, seguita dalla delusione di Pechino con un ingiusto 4° posto, riscattato da ben 3 titoli mondiali, 2009, 2010, 2011 ed infine la medaglia di bronzo a Londra 2012. Adesso che questa fantastica avventura sta per terminare, abbiamo sentito forte il desiderio di dedicarle una festa speciale, un galà di ginnastica dal titolo “Per Elisa”. Un tributo alla carriera ed alla persona, al quale hanno aderito con entusiasmo altre campionesse che hanno condiviso insieme a lei momenti importanti in questi anni: Elisa Blanchi, Romina Laurito, Angelika Savrajuk, Julieta Cantaluppi, Fabrizia D’Ottavio, Daniela Masseroni».

L ’ I N T E R V I S TA

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a vita in palestra è una vita di dedizione e sacrificio ma che dà enormi soddisfazioni». Così inizia l’intervista a Elisa Santoni, campionessa italiana di ginnastica ritmica, bronzo alle Olimpiadi di Londra che aggiunge: «Questo è uno sport emozionante, che ti fa girare il mondo fin dalla tenera età». A soli 25 anni dai l’addio all’agonismo... «Perché questo è uno sport che finisce presto ma che ti fa crescere molto in fretta. Non ho rimpianti, in questo mondo tutto è più accelerato e ora ho tutta una vita davanti». Lo scorso dicembre la “Polimnia Romana”, la palestra dove sei cresciuta, ti ha organizzato una festa d’addio… «È stata una giornata ricca di emozioni. Chiudere la carriera proprio dove ho iniziato è stato esaltante. La presenza dei miei cari e delle compagne ha reso tutto molto più bello». Raccontaci dei tuoi esordi… «Ho iniziato all’età di cinque anni per seguire una mia amichetta. Il tempo libero che coincideva con lo sport e le molte ore di allenamento mi hanno portata, a undici anni, ad entrare a far parte della squadra Junior insieme ad Elisa Blanchi e a partecipare ad un Europeo. Sono andata via di casa nel 2002, a quattordici anni, per partecipare ai Mondiali. Nel 2004 sono andata alle Olimpiadi di Atene e nel 2008 a quelle di Pechino e questa estate ho partecipato a quelle di Londra, dove ho chiuso al meglio la carriera». Come ti è cambiata la vita? «Sono stata indipendente prima del previsto e a livello caratteriale sono molto più forte». Quali sono i tuoi programmi e i tuoi obiettivi? «Vorrei laurearmi in Scienze Motorie a L’Aquila. Farò anche il concorso da giudice sportivo per restare vicino alla ginnastica sotto un’altra veste».

ELISA E QUEL FILO CON LA SUA CITTÀ È stata premiata in Campidoglio con il riconoscimento "Atleta dell'Anno" (nella foto con il Sindaco Alemanno) ed è tornata in Via dei Fori Imperiali per SPQR SPORT Day, la manifestazione organizzata dal Campidoglio, che trae il nome proprio dal nostro magazine (nella foto a destra, con il Delegato Alessandro Cochi).

Vo Vorr rres esti ti rringraziare ingr in graz azia iare re qqualcuno? ualc ua lcun uno? o? «L «Laa fa fami migl glia ia cche he m stat ataa se semmVorresti famiglia mii è st stata pre vicino soprattutto quando sono andata via di casa; ma anche il mio ragazzo, la dimostrazione che, nonostante la distanza, nulla è impossibile imp impos o sibile se lo si vuole veramente».

Il mio mondo accelerato L’atleta più rappresentativa della Polimnia Ritmica Romana racconta la sua favola sportiva. Ma ora, a 25 anni, dice basta...

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di Gianluca MONTEBELLI foto: Roma Capitale

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ROMA in KArt La Capitale anche quest’anno dà spazio al mondo del Karting promuovendo questo sport all’attenzione dei più giovani

ncora una volta Roma in Kart ha colto nel segno. Il Quadrato della Concordia all’Eur, tradizionale sede della manifestazione, si è colorata dalla vivacità di oltre 270 bambini, dai 6 ai 14 anni provenienti da ogni parte della città, che nei due giorni, nonostante la pioggia del sabato, hanno potuto provare gratuitamente a guidare un kart su mezzi appositamente costruiti e preparati dalla Parolin Kart. I piccoli piloti, molti dei quali alla prima esperienza in assoluto al volante, hanno appreso i primi rudimenti di guida e di educazione gra-

L’iniziativa è stata organizzata da Promomedia in collaborazione con Parolin Kart, con il contributo del Dipartimento delle Politiche Sportive di Roma Capitale e il sostegno del Municipio 12. Nel corso delle giornate ai “box” della manifestazione sono arrivati il Delegato allo Sport di Roma Capitale Alessandro Cochi, che ha creduto in questo evento sin dalle prime edizioni, ed il presidente del Municipio 12 Pasquale Calzetta grazie al quale è stato possibile utilizzare la splendida location adiacente al Palazzo Civiltà del Lavoro.

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zie alla pazienza e all’attenta regia degli istruttori del team. Il tutto in completa sicurezza su una pista costruita appunto per i bambini con tanto di semafori, cartelli stradali e stop. Fra le novità dell’edizione 2012 i nuovissimi kart elettrici messi a disposizione dei partecipanti che gli organizzatori hanno voluto utilizzare, insieme a quelli a motore, per dare un chiaro segnale ecologico alla città e a tutti gli appassionati. Un successo dunque che si rinnova e che sicuramente si ripeterà nei prossimi anni.

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LA STORIA DEL KARTING di Enzo CERRONE e Fernando MORANDI

Il lungo cammino del Kart: dall’Inghilterra all’Italia per entrare nella leggenda l Karting è sorto in Italia alla fine degli Anni Cinquanta. È nato negli Stati Uniti, e dopo aver oltrepassato l’Atlantico, il “go-kart” si è diffuso in Inghilterra e poi si è affermato in Belgio e in Francia, quindi ha superato le Alpi approdando in Italia, prima come “fenomeno” di divertimento per diventare ben presto sport a tutti gli effetti, con i primi campionati nazionali e internazionali che ne hanno decretato il successo di oggi. Nel 1960 nascono Karting Club a Livorno, Torino, Milano, Firenze, Roma, Napoli, Ravenna. Il primo raduno nazionale di go-kart è indetto dalla CSAI (Commissione Sportiva Automobilistica Italiana) al-

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l’Autodromo di Monza il 16 giugno 1960, ed è di quell’anno il primo Regolamento Nazionale “Veicoli K” varato dalla CSAI. A livello di curiosità, in quei tempi il costo della Licenza (Juniores fra i 14 e i 18 anni, e Seniores oltre i 18 anni) era di 1.500 lire e i piloti, come oggi, dovevano essere soci dell’ACI. I motori usati sono soprattutto di derivazione motociclistica: Rumi, Vespa, Benelli, Mondial, Lambretta. Per questo motivo inizialmente nel fenomeno karting si inserì anche la Federazione Motociclistica Italiana, per poi lasciare la responsabilità della gestione in toto alla CSAI e all’ACI. La prima azienda italiana a costruire kart in serie fu

nel 1960 la Italkart, fondata dai fratelli Nicolò e Luigi Donà delle Rose. Le prime importanti gare cittadine di questi “lillipuziani dell’asfalto” avvengono a Marina di Cecina, Cesena, Padova, Brescia, Verona, Conegliano Veneto, Alessandria, Borgo San Lorenzo, Castellamare di Stabia, Salò e anche a Livorno, considerata patria di questa nuova branca dell’automobilismo sportivo per aver dato i natali al primo kart italiano.Il primo Campionato del Mondo è datato 1959, disputato a Nassau nelle Bahamas, e a vincerlo è il “fanciullo prodigio del karting”, il biondino americano di Miami Robert Allen su X-Terminator/McCulloch. Il Campio-

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Anni ni ‘60

Anni ‘80

Anni A nni ‘70 ‘7 70

Anni ‘90 ‘9 90 Oggi Og ggi TORI A I KKART ART NNELLA EL LA SSTORIA

L’evoluzione nato del Mondo si ripeterà poi nel 1960 e 1961, e sarà sempre vinto da Bob Allen, ma il primo Campionato del Mondo omologato dalla FIA è quello del 1964 vinto da Guido Sala (poi diventato imprenditore e fondatore dell’attuale Birel SpA) al volante di un Tecno/Parilla e disputato alla Pista d’Oro di Bagni di Tivoli a Roma. Fra i maggiori impianti ancora in attività ad alto livello e sorti proprio all’inizio degli anni Sessanta, oltre alla Pista d’Oro di Bagni di Tivoli, all’epoca teatro di molti avvenimenti internazionali, ricordiamo la Pista “Happy Valley” di Pinarella di Cervia, il “Circuito di Pomposa” di S. Giuseppe di Comacchio e la “Pista Azzurra” di Jesolo. Molto importante con la disputa di diversi Campionati del Mondo è stato anche il “Kartodromo Parma” di S. Pancrazio, ma proprio di recente è stato chiuso per far posto ad un centro commerciale. La prima prova di Campionato del

Mondo (classi 100 e 200) che si disputa in Italia è del 17 settembre 1961 alla Pista Rossa di Milano, quarto dei cinque appuntamenti della serie iridata che in Europa comprende anche una gara a Londra. Nel 1961 vengono organizzate anche le prime fiere di karting, a Milano in concomitanza con l’Esposizione Internazionale del Ciclo e Motociclo, dove espose la Birel, e a Bari, alla 25. Fiera del Levante. Nel 1964 si costituiscono le prime associazioni di categoria, quella dei costruttori, delle piste, dei piloti. A livello sportivo, il 1964 va ricordato per il primo Campionato del Mondo indetto dalla CIK-FIA per kart di 100 cc, con assegnazione del titolo individuale fra rappresentative nazionali composte ciascuna di 4 piloti, e con classifica finale al termine di 3 manche. La scelta per la sede di gara è la Pista d’Oro di Roma, tradendo le attese della Pista Rossa di Milano.

Il kart non ha subito grandi evoluzioni dal momento della sua nascita. Un kart utilizza un intreccio di tubolari saldati uno all’altro che consentono e trasmettono una grande rigidità, anche per la mancanza di ammortizzatori. Lo sterzo è da sempre estremamente sensibile proprio perché ha un sistema diretto di guida. La più importante evoluzione riguarda l’utilizzo dei materiali, ovvero di tubolari sempre più leggeri ma nel contempo resistenti con in più una notevole percentuale di torsione.

Fra Fr a gl glii ev even eventi enti en ti d dell’epoca, elll’ep el epoc ep oca oc a a iinizio n zio 1965 ni c’è da segnalare un particolare record di velocità per il kart, fatto registrare da Livio Bolis con un kart speciale costruito dalla Tony Kart su disegni del Royal K.C. di Milano (presidente Edoardo Perrone) e motore Parilla GP15 da 100 cc. Sul rettilineo di Monza, girando in senso inverso all’attuale, dopo aver ricevuto la spinta per la messa in moto da un altro kart da 125 cc, Bolis fece registrare il nuovo record di velocità toc-

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D AI KART ALLA FERRARI Giancarlo Fisichella

Michael Schumacher

TUTTO INIZIA COSÌ Molti fra i più grandi piloti hanno iniziato o finito con l’attività kartistica, non ultimo, il più grande di tutti i tempi, Senna. Ma anche in casa Ferrari la tradizione è spesso stata rispettata. Ultimo, Fisichella con le battaglie effettuate sulla Pista D’oro a Tivoli (ex punto di riferimento del kartismo nazionale). Vicini al kart, anche altri storici piloti quali Ivan Capelli e Michele Alboreto.

cando 214,286 km/h. Intanto, nel 1966 nel mondiale di Copenhagen arriva la vittoria della romana Susanna Raganelli (Tecno/Parilla), unica donna nella storia a conquistare il titolo iridato. In questi 50 anni di storia il karting si è sempre di più evoluto in tutto il mondo, formando giovani campioni che poi sono approdati con successo in Formula 1. Tra questi Michael Schumacher, Fernando Alonso, Ayrton Senna, Alain Prost, Kimi Raikkonen, Lewis Hamilton, Giancarlo Fisichella, Jarno Trulli e Jenson Button. Ultimo esempio di gran velocità nel

passaggio dal karting alla Formula 1 è quello di Sebastian Vettel. Dopo il karting ha dovuto aspettare solamente tre anni per fare il ssuo primo uo p pri rimo mo test in F1. Negli ultimi 10-15 anni Mc McLaren McLa Lare ren ne Red Bull hanno gettato l’occhio o ll’o ’occ cchi hio o al mondo del karting. Nel 1998 199 998 8 fu propro p ro-prio la McLaren-Mercedes, tramite des es,, tr tram amit ite e il team manager ancora oggi ao ogg ggii pi più ù in voga nel karting, Dino Chiesa, hies hi esa, a, a o oppzionare giovani emergenti ntii co nt come me N Niico Rosberg e Lewis Hamilton, pormil ilto ton, n, e p por or-tarli poi alla F1 dopo pochi anni ochi oc hi a ann nnii di apprendistato nelle formule minori. mul ule e mi mino nori ri.. Ultimamente anche la Ferrari erra er rari ri h ha a da da--

La carena e il telaio I kart sono costituiti essenzialmente da un telaio tubolare in acciaio, privo di sospensioni e da un motore di piccola cilindrata (2 tempi da 50cc a 125cc, 4 tempi da 100cc a 250cc) che trasferisce il moto ad un assale rigido posteriore privo di differenziale: l'assenza delle sospensioni impone ai progettisti di ovviare tramite una calcolata deformabilità del telaio stesso, che deve permettere agli pneumatici di "copiare" l'asfalto per mantenere la maggiore superficie di contatto. I primi kart furono concepiti seguendo la filosofia automobilistica della massima rigidità torsionale, ma furono ben presto surclassati nella prima metà degli anni sessanta da nuovi modelli più flessibili (di produzione francese) e dal "Tecnokart Piuma" italiano del 1964, che presentava un restringimento del telaio nella zona centrale che permetteva la desiderata flessibilità tra avantreno e retrotreno, la cui architettura fu di ispirazione per molti altri produttori.

to vita ad un vero e proprio programma giovanile, con la creazione della Driver Academy diretta da Luca Baldisserri. diss di sser erri ri.. Recentemente sorta anche l’iniziaRece Re cent ntem emen ente te è ssor orta ta a anc nche he ll’i ’ini nizi ziaapromossa dalla 2011 tiva ti va p pro romo moss ssa a da dall lla a CS CSAI AI cche he n nel el 2 201 0111 portato all’attenzione e ne nell 20 2012 12 h ha a po port rtat ato o al all’ l’at atte tenz nzio ione ne della Ferrari molti giovani kartisti dell de lla a Fe Ferr rrar arii mo molt ltii gi giov ovan anii ka kart rtis isti ti d dii anni, protagonisti età et à fr fra a i 13 e i 116 6 an anni ni,, pr prot otag agon onis isti ti n nel el Campionato Italiano Karting. Camp Ca mpio iona nato to IIta tali lian ano o CS CSAI AI K Kar arti ting ng.. giovani italiani mesFra Fr a i gi giov ovan anii it ital alia iani ni cche he ssii so sono no m mes es-maggiormente evidenza nelle si m mag aggi gior orme ment nte e in e evi vide denz nza a ne nell lle e internazionali karting gare ga re iint nter erna nazi zion onal alii di k kar arti ting ng d del el 2012, segnalare romano Flavio 2012 20 12,, da sseg egna gnala lare re iill ro roma mano no F Fla lavi vio o Camponeschi, napoletano Felice Camp Ca mpon ones esch chi, i, iill na napo pole leta tano no F Fel elic ice e Tiene bresciano Luca Corberi. Tien Ti ene e e il b bre resc scia iano no L Luc uca a Co Corb rber eri. i.

Postura e pedali: la posizione di guida è fondamentale per un giusto bilanciamento dei pesi. In pratica nel kart il peso complessivo va diviso fra il 60% dietro e il 40% avanti, poi la corretta posizione di guida facilita molto il lavoro del pilota. Per quanto riguarda la pedaliera, la posizione deve essere un po’ più distesa, tale da consentire un movimento fluido e non troppo raccolto.

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spq ort Volante e cambio: il volante è tradizionalmente molto ampio proprio perché un maggiore raggio affatica meno la guida. In particolare un volante grande, con diametro di 340 mm, si usa con bambini piccoli, fino a 12-13 anni. Per quanto riguarda i ragazzi un po’ più grandi, si sceglie un volante dal diametro esterno di 310-320 mm. il cambio ha ovviamente una fondamentale importanza. Escluse le categorie dove è previsto l’utilizzo di un cambio monomarca, per gli altri esiste un cambio sequenziale a sei marce. In pratica una leva alloggiata a ridosso del volante, per ovviamente non lasciare mai il volante stesso. In pratica la leva, mossa dal pilota, agisce direttamente sull’albero a cricco che si trova sul motore e a sua volta, attraverso i selettori, agisce sugli ingranaggi rendendo così un cambio diretto sequenziale.

Il motore La prima differenziazione fra vari tipi di kart può essere fatta in base al motore: 4 tempi, 2 tempi 100 cm³ racing, 2 tempi 125 cm³ racing, 2 tempi 125 cm³ TaG. Nel 1981, la Commissione Internazionale del Karting, diretta da Ernest Buser, modificò il regolamento, portando la capacità dei motori fino a 135 cm³ e creando la nuova "Formula K", categoria nella quale si sarebbe disputato il campionato mondiale. Tale categoria restò in vigore per pochissimi anni visto il poco successo: i kart della classe 135 cm³ erano a ppresa diretta senza cambio come quelli 100, però pe rò molto mol m olto too più più potenti ppot oten entiti e di di conseguenza cons co nseg egue uenz nzaa più più delicati delilica de catiti e di di difficile messa appunto.

Le ruote e l’assetto I kart utilizzano pneumatici slick (a battistrada liscio) di larghezza 7.1 (posteriori) e 4.5 pollici (anteriori) montati su cerchi da 5 o 6 pollici di diametro. I cerchi possono essere in alluminio o magnesio. L'ampia superficie dei pneumatici, il peso ridotto in ordine di marcia e le mescole speciali utilizzate conferiscono ai mezzi velocità di percorrenza delle curve ed accelerazioni laterali elevatissime. La seconda fondamentale differenziazione fra le categorie è proprio in base agli pneumatici: maggiore è il livello di tenuta offerto da questi maggiore è il livello di difficoltà e quindi prestigio delle categorie. Nelle categorie internazionali vengono utilizzati pneumatici talmente performanti da permettere accelerazioni laterali superiori ai 2 g (in condizioni di pista ottimale si sfiorano spesso i 3 g) e dalla durata appena sufficiente a coprire la distanza di una gara (circa 22–25 km). In caso di pista bagnata i kart vengono equipaggiati con pneumatici rain con dimensioni e caratteristiche simili.

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RAIMUNDO ORSI

ATTILA SALLUSTRO

RENATO CESARINI


MIGUEL MONTUORI

Storia di chi, pur non essendo nato in Italia, ha vestito la maglia azzurra. Aspettative, delusioni e polemiche si sono accavallate nei decenni. Ne parliamo con un oriundo di oggi, il laziale Ledesma e con uno di ieri, l’ex romanista Sormani

di Paolo VALENTE foto: getty images

PABLO DANIEL OSVALDO «Sono felicissimo e orgoglioso di vestire la maglia azzurra. Quando mister Prandelli mi ha chiamato non ho avuto il benché minimo dubbio. Gioco nell'Italia per via di un mio bisnonno di Filottrano, nelle Marche. Però la mia infanzia interrotta è in Argentina, i miei amici sono lì, non posso negare che quella è casa mia, ma all’Italia devo molto. Io mi sento italiano a prescindere dal calcio e non solo perché gioco in Nazionale. Sono contento della maglia azzurra e a quelli che contestano la nostra presenza nella formazione azzurra e che vorrebbero soltanto italiani doc chiedo: “ma che senso ha?”. Balotelli è nato a Palermo e parla bresciano e anche grazie all’oriundo Camoranesi gli azzurri hanno vinto il mondiale in Germania...».

n principio fu Eugenio Mosso, argentino di Mendoza, a battezzare la maglia azzurra nelle vesti di oriundo nel lontano 1914 nell’amichevole contro la Svizzera. Sei anni dopo toccò a Ermanno Aebi, come secondo oriundo, ad esordire con la maglia azzurra il 18 gennaio 1920. Di origine svizzera, ma nato a Milano, questi fu soprannominato suo malgrado “signorina” per la grande tecnica ed eleganza nello stare in campo. L’anno successivo, nel novembre 1921, fu la volta di Giovanni

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MAURO CAMORANESI

T H I A G O MOTTA

Moscar Moscardini. a dini ni.. Na N Nato to iin n Sc S Scozia oz da esordio genitori iitaliani tali ta lian anii faa iill suo suo es su con con gol gol in Svizzera-Italia Svi vizz zzer eraa-Itallia 1 a 1. Nel a1926 Julio Libonatti, 192 ecco Ju Juli lio o Li L bon tt bona t i,, aargenr tino naturalizzato italiano tino natur ral a izzzzaato o iitalian ano cche in nazionale collezionerà bellezza n na azi z onalle co oll llez ezio ione ne erà r laa be b l partite gol. di 1177 pa di p rtit rt itt e 1155 g ite gol ol.. ol dicembre per un Ill 1 d icem ic embre e 1929 29 è ll’occasione ’occ ’o c as cc a io one p doppio esordio oriundi; partita è do opp pio i e sord dio od dii or oriu iu un nd di; la pa par r Italia-Portogallo, terminerà It tallia ia-P -P Portogalllo, cche he e tte ermine nerà erà rà 6 a 1, ed d iin n ca ccampo mpo mp o iin n aazzurro zzur zz u ro sscendono ur ce cend endon o o l’ar“Mumo“ “Mu umo Ors umo“ Orsi e il gentino Raimundo gent ge nttin ino Raim ino R Ra aim mundo do “M paraguaiano paara r gu guaiano At Attila tti t laa S Sallustro. alllu usttro r . Il p primo, ala funambolica passioala si ssinistra n straa fun ni u am mbo boli l caa ccon li on n la pa ne del breccia nel ed el violino, fe el ffece c b ce re ecc ccia n e ccuore el della Juventus dell de llla Ju Juvent tuss che e rriuscì iu usccì ad a aassicurarssicc ss selo per enorme all’eposelo op er una n ccifra ifraa e no orm me ch cche he e al ll ca ffece molto discutere. secondo, e e mo ec molt to di d scut sc u er ut ere e. IIll se seco con n il paraguaiano Sallustro, era attacparaagu pa g ai a ano o Sa all llus ustr us tro, tr o e o, r un ra n aat tta tacccante soprannominato quecant ca n e rapido nt rapiido d sop o raann n om omin min i ato perr qu uee “el el ve vveltro“ ltro“ e ve venerato ene n raato to d dai a m media ed diaa aall-sto sto “e laa sstregua divo per t eg tr e ua di un d ivvo pe er la ssua ua iimpom omp nente bellezza. nent ne ent nte te be bellezza b lle ezza za. Negli Neglli Anni Anni An ni ’30 ’30 30 gli gli li oriundi ori riun u di in in nazionazzzio-na n nale nonostante naale e aaumentano um men enta taano n non o os osta taant n e in n un primo fascimo momento mo om mento to o ill ffa fas ssccii smo s o ne aavesse sm vessse vvietato ve iettaatto l’utilizzo. Si parte con Rel’utiliz izzo zo. . Si S p Si arte ar te cco on R on enato Cesarini, nato n na to C Ces esar arin in ni,i n natto in n IItalia tali ta liaa trasferitosi maa tra asffer erit iittos osi co con n lla ffaamiglia Argentina. Famomigl glia iin n Ar Arge g ntin ge na. F aam mogol neii mi minuti so per e i ssuoi uo oi g go o ne ol n m nuttii ffiinali gioco oggi parla nal di di gi g occo (a ((ancora an nccora ora og or ggi gi ssii pa p arl rla “zona zon ona Cesa Cesarini“ sari rini ri ni““). È iill tu turn turno rno o po poii di di d ““z Gu Guarisi uarrisi e Fedull Fedullo, lo, o, b brasiliano rasi rasi ra s li lian ano o il p primo rriimo o ch he giocò g ocò divers gi rsse st stag agio ag i ni ccon io on n llaa m ma ache diverse stagioni mag gl ia d dellaa L azzio oeu rugu ru guai a an ai ano o il ssecone on ec on-glia Lazio uruguaiano do: e do esordirono sordiro ono on nella ella el la sstessa te ess ssaa pa partita, art rtit itta, a, IItataalia-Svizzera febbraio liaa Svizzera r 3 a 0 d del el 114 4 febb fe ebb bbrrraio raaio 19 1932. Altri 932 3 . Al Altr trii su sudamericani uda dame me eri rica c ni e ca era erano raano g già iàà iin ra amp mpa di llan anci cio: o: ll’u ’u uru ugu guai aian ano o Ra Raff ffaaae ff ele rampa lancio: l’uruguaiano Raffaele S Sa nson ns one e se segu gu uitto da dall llaa co ll ccoppia pp piaa aargentirge rg enttiiSansone seguito dalla n L na Luis uiss Mo ui M Monti ont ntii e A nt At Attilio ttiili l o De D Demaria. ema mari r a. M ri Monti, ontti, on o f ll’u fu ’uni ’u nico c ccal co alci al ciat ci ator at ore or e ad d aaver verr di ve disp sput sp uttatto l’unico calciatore disputato 2 fi fina finali n li m na mondiali on ndi dial alli co con n 2 sq ssquadre uadr ua dre ed di diffeifffeffferent re renti ntii (n nt (nel el 11930 9300 co 93 con n l’ l’Ar l’Argentina Arrge A gent nttin inaa e nel nel febbraio del 1934 19 34 ccon on n ll’Italia). ’IItaali l a). a)). L’ L’11 1 ffeb 11 e brrai aio o de el 19 11934 934 esor es esordisce o di disc sce e co ccon n la m maglia agli ag liaa azzu azzurra zurr rrra En E Enrinri riqu q ue Gu Guaita:: at atta taacccan anque attaccante aargentino rgen rg enttti en tino na a tu tura raa lli lizz naturalizzato za o iitatata lian li liano, ano, o, g gioio ocò in entram entrambe am mbe e le naziona nazionali. ali l . La L Lasciò sciò sc iò u ott un ottimo t im mo ri ricordo ico cord rdo rd o in 2 ccampionati ampi am pion onat atii di at d di-sp putati co con n laa m a lia dellaa Ro ag Rom ma. N NelNe l sputati maglia Roma. lo sstesso t ssso an te anno no oe eso sordisce e aanc nche he lo sf for oesordisce anche sforSPQR SPORT | 62

tunato Ottavio Fantoni, che morì l’anno successivo a causa di un’infezione contratta in un incidente di gioco. Gli Anni ’30 segneranno gli esordi anche dell’argentino romanista Scopelli, e degli uruguaiani Porta, Andreolo, Faccio, Mascheroni, detto “el tio“, lo zio, una sorta di Bergomi ante litteram, e Puricelli soprannominato “testina d’oro“. La vera e propria razzia di cui fu oggetto il calcio sudamericano, se da una parte fece la fortuna del nostro calcio, che vide aumentare in maniera esponenziale la caratura tecnica del massimo torneo e della Nazionale di Pozzo, che ricorse in modo massiccio ai naturalizzati, dall’altro provocò una vera e prro pro propria crisi diplomatica che si riverb r sui Mondiali del 1934. In quell’anbe berò no, n , infatti, i club argentini non vollero no concedere i loro assi più rinomati alla co on sele se le le selezione biancoceleste, per paura di un ulteriore depauperamento che pou u teva tte evvaa derivare dal mostrare i loro gioielli ai a ccompratori italiani. Il Mondiale M italiano fu così privato della partecipazione di una delle protagol p niste nist ni st più attese, quell’Argentina che nell ne ll competizione di quattro anni prinella ma aveva dato filo da torcere all’Uruma guaa campione. gu guay In n ccampionato ad approfittare in manier ni err massiccia dell’opportunità offere niera d ta dalla normativa sugli oriundi, fu soprat pr a prattutto la Lazio che chiamò a far pared te della propria rosa ben nove brasiliani, tanto t ni, da essere ribattezzata “Brasilla azi zi . lazio” Ai ccugini Fantoni, arrivati nel corso delAi ll’ l’anno ’an precedente, si aggiunsero i vari Gua Gu a Guarisi, Castelli, Del Debbio, De Maria, Ri R izzzz Rizzetti, Serafini e Tedesco, tutti eleme m en assai validi, alcuni dei quali avementi vvano va an anche indossato la maglia della na n nazionale az verdeoro, ma abituati ad un tipo ti po di calcio assai differente da quello in vigore in v sui nostri campi, ove già aveva p preso piede la moda di randellare a tutt tu ttt spiano gli elementi più dotati tectutto nica ni ca nicamente. L’ambientamento in un tipo d di calcio così diverso divenne molto pr p problematico, ro se non impossibile. Ne rrisultò ri s su per la squadra biancoceleste un na mancanza di continuità e una seuna rrie ri ed di alti e bassi assai pericolosi in un torn to rn difficile come il massimo camtorneo p pi on italiano. pionato


spq ort Agli Anni ’40 è legato solo il nome di Rinaldo Martino, argentino di Rosario ma con chiare origini italiane. Gli Anni ’50, invece, sono decisamente più densi. Dopo Eduardo Ricagni, argentino naturalizzato italiano, che debuttò in Italia-Cecoslovacchia nel 1953, fu la volta, nel 1954, di Juan Alberto Schiaffino, detto “Pepe”, centrocampista uruguaiano dalla classe indiscutibile («Forse non è mai esistito regista di tanto valore» scrisse di lui Gianni Brera) e dall’immensa tecnica e visione di gioco. Giocò con Milan e Roma. Si narra che, legatissimo alla moglie, nel contratto firmato con il Milan fece inserire una clausola sulla possibilità che lei lo potesse seguire anche nei ritiri. Nel 1956 è poi il turno di Miguel Angel Montuori, numero 10 tra i più amati della storia della Fiorentina. Noto per essere arrivato in Italia su segnalazione di un sacerdote, ebbe però una carriera breve e sfortunata: a soli 28 anni dovette dire addio al calcio a causa di una pallonata violentissima in pieno volto che gli provocò il distacco della retina. Passerà alla storia anche per essere stato l’unico oriundo ad aver giocato una partita della nazionale azzurra con la fascia di capitano. L’11 novembre del 1956 è la volta di Edwing Ronald Firmani, giocatore di origine sudafricana e nazionalizzato italiano. Intanto sulla scena irrompono come al solito i sudamericani: l’argentino Bruno Pesaola detto il “Petisso”, l’uruguaiano campione del mondo Alcide Ghiggia, ala dal baffo caratteristico che gli conferiva un aspetto cinematografico e che divenne italiano per un atto di notorietà passato alla storia quantomeno come sospetto e che fece innamorare i tifosi della Roma; il brasiliano Dino Da Costa, uno dei giocatori più prolifici della storia della Roma. Attaccante dotato di un tiro potentissimo, per il quale venne soprannominato dai tifosi “Spaccareti”, Da Costa, a pari merito con Marco Delvecchio, detiene tuttora il record di marcature nei derby contro la Lazio; l’argentino Francisco Ramon Lojacono, famoso a Roma oltre che per le sue doti di calciatore anche per le galanti scappatelle notturne durante i ritiri della squadra.

I LORO NUMERI Giocatore Aebi Ermanno (Svizzera) Altafini Josè (Brasile) Amauri Carvalho de Olivei (Brasile) Andreolo Michele (Uruguay) Angelillo Antonio Valentin (Argentina) Camoranesi Mauro G. Serra (Argentina) Cesarini Renato (Argentina) Da Costa Dino (Brasile) Demaria Attilio (Argentina) Faccio Ricardo (Uruguay) Fantoni Ottavio (Brasile) Fedullo Francisco (Uruguay) Firmani Edwing Roland (Sud Africa) Ghiggia Alcide (Uruguay) Guaita Enrique L. G. (Argentina) Guarisi Amphilogino (Brasile) Ledesma Cristian Daniel (Argentina) Libonatti Julio (Argentina) Lojacono Francisco R. (Argentina) Martino Reinaldo Fioramont (Argentina) Mascheroni Ernesto (Uruguay) Maschio Humberto (Argentina) Monti Luis Felipe (Argentina) Montuori Miguel Angel (Argentina) Moscardini Giovanni (Scozia) Mosso Eugenio (Argentina) Orsi Raimundo Bibiani (Argentina) Osvaldo Pablo Daniel (Argentina) Pesaola Bruno (Argentina) Porta Roberto (Uruguay) Puricelli Ettore (Uruguay) Ricagni Eduardo (Argentina) Sallustro Attila (Paraguay) Sansone Rafael (Uruguay) Schelotto M. Ezequiel (Argentina) Schiaffino Juan Alberto (Uruguay) Scopelli Alejandro (Argentina) Sivori Omar Enrique (Argentina) Sormani Angelo B. (Brasile) Thiago Motta (Brasile)

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Periodo 1919 - 1920 1961 - 1962 2010 - 2011 1935 - 1942 1960 - 1962 2002 - 2010 1934 - 1936 1957 - 1958 1932 - 1940 1934 - 1936 1933 - 1934 1931 - 1933 1956 - 1958 1956 - 1959 1933 - 1935 1931 - 1934 2010 - 2011 1926 - 1932 1958 - 1962 1949 -1950 1934-1935 1961-1962 1932 - 1936 1955 - 1960 1921 - 1925 1913 -1914 1929 - 1935 2011 - 2013 1956 - 1957 1935 - 1936 1939 - 1940 1953 - 1955 1929 - 1932 2012 - 2013 1954 - 1958 1954 - 1958 1934 - 1935 1960 - 1962 1961 - 1964 2010 - 2012

Pres 2 6 1 26 2 55 11 1 13 5 1 2 3 5 10 6 1 17 8 1 2 2 18 12 9 1 35 6 1 1 1 3 2 3 1 4 1 9 7 13

GF 3 5 0 1 1 5 3 1 3 0 0 3 2 1 5 1 0 15 5 0 0 0 1 2 7 0 13 3 0 0 1 2 1 0 0 0 0 8 2 1

GS 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0

Tit 0 0 0 1 0 1 0 0 2 1 0 0 0 0 1 1 0 0 0 0 0 0 2 0 0 0 2 0 0 1 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0


OMAR SIVORI

EZEQUIEL E Q U IEE L S SCHELOTTO SCHELOTT CHELOT O

Una curiosità storica: Ghiggia-SchiafUna U fino-Da Costa-Montuori, scesero in fino fi no o campo cam ca m nell’incontro di qualificazione Mondiali 1958 che si disputò a Belai M fast contro l’Irlanda del Nord: l’Italia fa vinse vvi ins ns per 2 a 1 e questo scatenò enorpolemiche da parte irlandese sulmi p l’inflazionata nostra abitudine a portall’ ’in inf nf re e iin nazionale giocatori stranieri di nascita. nas na s Negli N Ne g Anni Sessanta incontriamo gli oriundi forse più famosi nella storia o or i iu passata della nazionale azzurra e che pa as faranno parlare molto di loro. Gli arfa ara r gentini Omar Enrique Sivori, Humbergen Maschio e Antonio Valentin Angelilto M lo e il brasiliano Josè Altafini. Sivori, Sivo Si vo Angelillo e Maschio formarono un ttrio destinato a rimanere nella memoria m mo r del calcio con il nome di “Angeli d da dalla a faccia sporca” (appellativo mutuato tu uatt dal titolo del famoso film del 1938 interpretato da Humphrey Bogart e Jainte in te e mes mes Cagney) per l’aria da impertinen“scugnizzi” s che avevano in campo e tii “s fuori. fu uor or Di Sivori se ne innamorò, calcisticamente parlando, l’avvocato Gianstic st nii A Agnelli che lo strappò alla feroce con co concorrenza n dell’Inter portandolo alla Juventus con la quale avrebbe vinto il Juv Ju v Pallone d’Oro nel 1961, in un’epoca in Pal Pa l cui cu ui lo si poteva assegnare soltanto ai giocatori europei. gi g iocc Detto D De ett “El Cabezón” per la folta capiglia gl gliatura, ia Sivori fu un mito per i ragazzi ini di allora che camminavano con i zini calz ca lz calzettoni abbassati alle caviglie, a cacaio ca caiola, io come avrebbe detto Brera, proprio pr rio o come faceva lui in campo. M Ma Maschio s e Angelillo si trovarono, invece,, a giocare ce gioc gi g ocar arre co con l’Inter e proprio Ancon ge eliill llo o (c (che he g iocò iio cò 4 stagioni anche con cò gelillo giocò l R la Roma) oma) om a) ccontinua ont ont ad essere il mig gl lio or at atta taaccca glior attaccante con 33 gol in altrettante tret tr etta et t ntte pa ta partite di campionato, nel ne el ‘5 ‘58-’59. 588-’’59. 9. Nel 1961 però il rapporto con port po r o co rt on il club di Angelo Moratti ssii de deteriora: ete terrriio orra l’allenatore Helenio He err rrer eraa aaccusa ccu Angelillo di dolce Herrera vita. v ta vi ta.. In n effetti, eff e fffetttii, la l resa sul campo è al di ssotto o to d ot de elle le attese e delle sue ogdi delle gettive gett ge t iv i e po possibilità oss ssib ib e Angelillo passa qualche qu qual ualch he no nott nottata tt di troppo insieme ad du una na piacente signora, nota t b ballerina al di night. Laa m maglia azzurra di Josè Alltafi f Altafini, invece, scatenò grraan nd polemiche al punto grandi

da creare una sorta di incidente diplomatico col paese carioca. A distanza di tanti anni, Altafini prova ancora del rammarico per aver scelto la nazionale italiana. «Giocare con la maglia azzurra è stato il più colossale errore della mia carriera. Avevo già vinto un mondiale col Brasile nel ‘58, ero bravo, avevo solo due anni meno di Pelè. Da giovane non c’è nessuno a darti i consigli giusti, la proposta azzurra mi sembrava bella, ero contento, il doppio passaporto mi spettava, anche il Milan era soddisfatto perché poteva tesserare uno straniero in più. Morale della favola: gioco solo sei partite con l’Italia, segnando comunque cinque gol, e la Fifa proibisce la doppia nazionalità. Se fossi rimasto solo brasiliano, avrei probabilmente vinto tre mondiali. Invece, a ventiquattro anni la mia carriera in nazionale era già finita…». Gli Anni ’60 videro l’esordio in azzurro anche di Angelo Benedicto Sormani, “Mister mezzo miliardo” perché tanto lo pagò la Roma, una cifra record a quei tempi. In campo, forse in maniera eccessiva e forse anche irriverente nei confronti del grande O Rey si guadagnò anche l’appellativo di “Pelè bianco”. Per trovare un nuovo esordio di un oriundo in maglia azzurra bisogna fare un salto di 40 anni, precisamente al 12 febbraio 2003: allo Stadio Ferraris di Genova si disputa la partita amichevole tra l’Italia di Trapattoni e il Portogallo. In campo c’è lo juventino Mauro German Camoranesi, argentino di nascita ma con passaporto italiano. Camoranesi sarà negli anni un punto fermo della nazionale azzurra diventando il primo oriundo dal dopoguerra (e il settimo in assoluto) a vincere la coppa del mondo con la maglia azzurra. Il resto è storia contemporanea: nel 2010 esordiscono nella nazionale di Prandelli gli ‘stranieri’ Amauri e Cristian Ledesma. Per loro un’unica presenza. Amauri giocò il 10 agosto 2010 nell’amichevole con la Costa d’Avorio e una lunga scia di polemiche ne accompagnò l’esordio visto che c’era chi sosteneva che la maglia dell’Italia fosse, per l’attaccante dal doppio passaporto, SPQR PQR SP SPORTT | 644


spq ort una soluzione di ripiego arrivata dopo essersi reso conto dell’impossibilità di far parte della nazionale brasiliana. Il 17 novembre, a Klagenfurt, è la volta dell’argentino dal passaporto italiano Cristian Ledesma che disputa l’amichevole Italia-Romania. Anche per lui la convocazione fu accompagnata da un vespaio di polemiche. Gli ultimi oriundi che hanno fatto l’esordio in azzurro sono il brasiliano Thiago Motta e gli argentini Ezequiel Schelotto e Pablo Daniel Osvaldo. Il primo gioca con l’Italia per la prima volta il 9 febbraio 2011 in occasione dell’amichevole contro la Germania. Per lui arriverà anche la soddisfazione della prima rete in maglia azzurra il 25 marzo 2011, durante la partita con la Slovenia valida per le qualificazioni al campionato europeo. Diversa, invece, è la storia di Osvaldo e Schelotto. Natii entrambi di Buenos Aires ma naturalizzati italiani. Daniel Pablo grazie ad avi originari di Filottrano nelle Marche, Ezequiel per via di un bisnonno originario di Cogoleto. Osvaldo arriva in Italia nel 2006 e sposa subito i colori azzurri. Indossa infatti la maglia dell’Under 21 (8 gare e 1 gol) e quella della nazionale olimpica (4 gare e 1 gol). Per lui l’esordio con la nazionale maggiore arriva l’11 ottobre 2011 in occasione della partita di qualificazione al campionato europeo Italia-Irlanda del Nord (3 a 0). Simile il percorso di Schelotto che approda in Italia nel 2008 appena diciannovenne. Anche lui parte dall’Under 21 azzurra per conoscere, seppur per soli 4 minuti, la gioia della nazionale maggiore. Altri oriundi in azzurro nel futuro? È difficile prevederlo anche se ad onor del vero Prandelli ha tenuto a “sdoganare” nuovamente la pratica di ricorrere ai nazionalizzati. La sensazione è che, come sempre, a prevalere sarà la ragione utilitaristica, e nonostante le polemiche la porta ai calciatori oriundi (quelli bravi, naturalmente) sarà lasciata aperta.

ORIUNDI In tema di oriundi che possono accedere ad una nazionale diversa rispetto a quella di origine, le disposizioni Fifa sono chiarissime. Ecco cosa recita l’articolo 1:

ARTICOLO 1 – CONDIZIONI 1. UN CALCIATORE LEGITTIMATO, ai sensi dell’art. 15 del Regolamento di Applicazione dello Statuto della FIFA, A RAPPRESENTARE PIÙ DI UNA FEDERAZIONE in base alla propria nazionalità PUÒ GIOCARE UNA PARTITA INTERNAZIONALE per una di tali Federazioni SOLO SE, OLTRE AD AVERE LA NAZIONALITÀ IN QUESTIONE, SODDISFA ALMENO UNA DELLE SEGUENTI CONDIZIONI:

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la madre naturale la nonna o il il calciatore ha il calciatore è nonno del vissuto nel nato nel territorio o il padre naturale sono nati nel calciatore è nato territorio della della Federazione territorio della nel territorio della Federazione in in questione Federazione in Federazione in questione per questione questione almeno due anni senza interruzione 2. A PRESCINDERE da quanto è previsto dal PARAGRAFO 1 del presente articolo, LE FEDERAZIONI CHE CONDIVIDONO LA NAZIONALITÀ di un calciatore POSSONO STIPULARE UN ACCORDO PER ANNULLARE COMPLETAMENTE LA PREVISIONE D) del paragrafo 1 o per modificarla specificando un periodo di tempo più lungo. Suddetti accordi devono essere depositati presso la FIFA ed approvati dalla stessa. A completare il discorso, notiamo che nel giugno 2009 il congresso della FIFA ha approvato una mozione che ha rimosso il limite di età per un calciatore che ha giocato per una Nazionale giovanile che ha deciso poi di giocare per la selezione maggiore di un altro paese. Questa regola è riportata nell’articolo 18: Regolamento d’Applicazione dello Statuto FIFA. Salvo cambiamenti geopolitici, se un giocatore ha totalizzato delle presenze con la Nazionale maggiore di un paese generalmente non è autorizzato a cambiare nazionale. Un’eccezione è Thiago Motta: nel 2011 infatti ha ricevuto un permesso speciale dalla FIFA per militare nella Nazionale italiana. Le amichevoli non vincolano un giocatore a una Nazionale. La FIFA può irrogare punizioni contro le Nazionali che utilizzano giocatori non convocabili. Nel mese di agosto 2011 la FIFA espulse dalle qualificazioni al campionato mondiale 2014 la Siria per aver convocato George Mourad in una partita contro il Tagikistan. Mourad aveva giocato alcune amichevoli con la Svezia ma non aveva richiesto alcun permesso alla FIFA per poter giocare nella Nazionale siriana. Non ci sono restrizioni invece riguardo giocatori che desiderano passare da una nazionale giovanile a un’altra.

LEDESMA, DALLA LAZIO ALLA NAZIONALE SPQR SPORT | 65


ra l’estate del 2001. Cristian Ledesma aveva appena 19 anni quando mise piede per la prima volta in Italia. A portarlo qui dalla lontana Patagonia fu l’allora direttore sportivo del Lecce Pantaleo Corvino. E scelta migliore Cristian non poteva farla. Proprio da lì cominciarono le sue fortune calcistiche. E destino volle che nella società salentina incontrasse il tecnico Delio Rossi che ha contribuito in maniera non indifferente alla sua maturazione e valorizzazione e che la sorte, guarda caso, glielo rifece trovare accanto qualche anno più tardi

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quando Ledesma si trasferì alla Lazio. Le sue qualità calcistiche ormai le conoscono tutte. Un centrocampista di rottura e di costruzione, uno di quei pilastri centrali che ogni tecnico ha piacere di avere in squadra. I fronzoli non fanno parte del suo vocabolario. A lui piace più giocare che parlare. A volte, però, il suo carattere chiuso dà l’impressione di snobbare il prossimo ed invece è una forma di rispetto verso gli altri, lui così riservato. Vuol pesare bene i suoi interlocutori. E una volta conosciutoli non disdeSPQR SPORT | 66

gna di regalargli la sua disinteressata amicizia. La sua vita si snoda tra il campo di calcio e la famiglia alla quale è molto legato. Sua moglie Marta, conosciuta quando era a Lecce, gli ha regalato due splendidi figli che adora. La sua professionalità è indiscussa e da prendere come esempio. E di questo se ne è accorto anche Cesare Prandelli che, approfittando del passaporto italiano di Ledesma, lo convocò in maglia azzurra il 14 ottobre 2010 per un partita amichevole contro la Romania. Quella però è stata finora la sua prima ed unica esperienza in azzurro.


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ÂŤUn onore per me vestire la maglia azzurra. Sono riconoscente verso questa nazione che mi ha dato veramente tanto. Mia moglie e i mei figli sono italiani, come potrei non esserlo anche io? I ricordi della mia infanzia in Patagonia sono piacevoli. In Argentina vivono tutti i miei parenti. Ma il mio presente e il mio futuro sono qui. Sogno di vincere lo scudetto con la mia LazioÂť

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COPPA ITALIA, LAZIO IN FINALE! Grazie all’1-1 dell’andata a Torino e al successo all’Olimpico per 2-1, la Lazio si è guadagnato l’accesso alla finale di Coppa Italia ai danni della Juventus. Un bel colpo da parte della squadra di Petkovic che ora aspetta il nome dell’altra finalista che uscirà fuori dalla sfida tra Inter e Roma in programma il 17 aprile. E se fosse il derby a decidere l’assegnazione della Coppa Italia 2012-2013?

Ma cosa vuol dire per un oriundo vestire la maglia azzurra? È lui stesso a raccontarcelo. «Prima di tutto la parola oriundo non è assolutamente attinente al mio concetto di calcio avendo io deciso di indossare quella maglia con lo scopo precipuo di voler far parte integrante di quei colori. Riconosco che è stata una scelta difficile ma facile allo stesso tempo. Ho pensato a tante cose prima di dire sì. Ad esempio ai miei figli, su come avrebbero reagito se non avessi accettato di vestire la maglia della nazionale italiana. Comunque è stato un onore essere stato chiamato da una rappresentativa che non fosse quella del mio paese. Ho accettato e ho vestito con orgoglio quei colori perché significava per me una sorta di ringraziamento ad una nazione che mi aveva dato tanto, che mi aveva fatto diventare uomo, che mi aveva regalato la gioia di sposare una donna italiana e che aveva dato i natali ai miei figli».

Nato a Buenos Aires, cresciuto in Patagonia. Com’è stata la tua infanzia e come è nata l’idea di diventare calciatore? «L’infanzia è stata felice. Eravamo una famiglia numerosa, nove fratelli, ma unita. I nostri genitori non ci hanno mai fatto mancare il loro amore ed anche se non navigavamo nell’oro, il cibo a casa nostra non ha mai fatto difetto. Eravamo felici e spensierati, con tanti amici e parenti. A Buenos Aires vi ho vissuto per i primi quattro anni, poi la famiglia si è trasferita in Patagonia. Ho tuttora bei ricordi di quel periodo e di quei luoghi. Diciamo che la mia infanzia la sintetizzerei con questa parola: felicità. Il pallone, invece, è arrivato quasi per caso. A dire il vero, quando ero piccolo, non è che il calcio mi entusiasmasse troppo. L’ho scoperto verso gli 8-9 anni. E l’ho cominciato a prendere sul serio verso i 13-14 anni». SPQR PQR SPO SPORT ORT R | 68

Cosa hai provato quando Prandelli ti ha convocato nella nazionale italiana? «È stata una vera sorpresa anche se alla vigilia della chiamata c’era sentore di una probabile convocazione. Se ne parlava. Mister Prandelli prima di diramare la lista ricordo che era in tribuna, ma non pensavo che fosse lì per me, ma semplicemente per assistere alla partita della Lazio. Ed invece subito dopo arrivò la convocazione. Non stavo più nella pelle, non vedevo l’ora di dirlo a mia moglie, ai miei figli. Ho chiamato subito i miei genitori in Argentina e li ho resi partecipi della mia grande gioia. Ripeto, mi sono sentito veramente orgoglioso». Come è stato il tuo primo giorno in nazionale? «Ricordo che mi accompagnò Maurizio Manzini. L’impatto è stato subito positivo nonostante io sia uno che sta molto sulle sue soprattutto quando entro in un ambiente nuovo.


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Il derby di ritorno del 13 marzo 2011: un momento di tensione della stracittadina

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miglia, ai miei figli. E tutto mi ha fatto propendere per il sì». Dicci la verità nutri ancora qualche speranza di rivestire la maglia azzurra? «La speranza c’è sempre, inutile negarlo, anche se la realtà dice il contrario. Mi rendo conto che sono fuori da quel progetto e da quel gruppo su cui sta lavorando adesso il mister. Sarei ipocrita se dicessi che mi sento ancora osservato e seguito dai tecnici federali. Però io continuo a lavorare come sempre con la speranza, magari, che un giorno possa rientrare nel giro. Ci penserò caso mai il giorno che arriverà un’eventuale convocazione». Sei arrivato in Italia giovanissimo. Come è stato l’impatto? «Positivissimo ma difficile al tempo stesso per via della lingua che ha rappresentato all’inizio un ostacolo per il mio inserimento. Per il resto non posso che ritenermi entusiasta di aver scelto questa nazione». I tifosi della Lazio ti considerano un leader. Nei sei orgoglioso? «Certo, l’orgoglio è tanto e l’affetto che la gente mi dimostra cerco sempre di ripagarlo sul campo. Con mia moglie ne parlo spesso, le confesso che questi colori mi hanno veramente stregato, ne sono innamorato. La maglia e il simbolo della Lazio è come se li avessi stampati sulla mia pelle».

Amichevole Italia-Romania del 17 novembre 2010. Ledesma sovrasta di testa Ciprian Andrei Marica

Sono schivo, fa parte del mio carattere. Però devo riconoscere che ognuno del club azzurro mi ha accolto con calore, mi ha messo subito a mio agio. E poi una volta in campo, la timidezza mi ha abbandonato. Veramente una bella esperienza».

Dietro il tuo sì nell’aver accettato l’azzurro c’è stato anche il consiglio di tua moglie? «La decisione è stata solo mia, mia moglie mi ha dato ampia facoltà di scelta. Qualsiasi scelta avessi fatto per lei sarebbe andata bene. E ripeto, prima di accettare ho pensato alla mia faSPQR QR SPO SPORT ORT R | 70

L’allenatore cui ti senti più legato? «Sicuramente Delio Rossi, col quale ho passato tanti anni assieme. Sin da Lecce il mister mi ha aiutato, mi ha consigliato, mi ha fatto diventare calciatore, mi ha insegnato tanto. Una crescita lenta ma continua. Non mi ha buttato di getto nella mischia col rischio di bruciarmi. Ha voluto forgiarmi piano piano. E per questo gliene sarò sempre grato. Anche il rapporto con Reja e Pektovic è ottimo, ma diverso per via della temporalità». Cosa sacrificheresti per portare la Lazio allo Scudetto? «Tutto quello


spq s ort che conta come coppe o trofei. Non l’ho mai vinto into e ciò sarebbe una cosa di grande nde gioia. Il coronamento di una carriera. rriera. E poi so quanto sia importante te centrare quell’obiettivo qui a Roma. ma. Anzi, lo sai che ti dico? Per arrivare are al titolo tricolore sacrificherei anche la mia presenza in campo». Dopo tantii anni vissuti a Roma, che concetto ti sei fatto di questa città? «Roma è splendida, una realtà unica al mondo, piena di storia e di tradizioni. oni. Non finisci mai di scoprirla. I suoi monumenti ti rapiscono, o, più li guardi e più ti piacciono. ciono. Mi ritennato vivere go fortunato qui». La tua famiglia miglia è italiana, ma quanto è forte il tuo legame me con l’Argentina? na? Potresti un giorno ritornare lì? ì? «Le radici e la mia storia ria non si cancellano, sono legato alla mia terra, ai miei genitori, nitori, ai miei parenti. Ma questo non on m’impedisce di affermare che il mio futuro e quello della mia famiglia miglia è qui. L’Italia è una nazione che he mi ha dato tanto e che ti permette te di vivere bene a differenza dell’Argentina l’Argentina dove la situazione non è così tranquilla. Restando qui cerco rco di fare il bene alla mia famiglia, di guardare con maggiore serenità al suo futuro. Voglio che i miei figli crescano in questa meravigliosa terra erra che mi ha ospitato con grande generosità». enerosità». Hai aperto o un Adidas Store. Puoi parlarci di questa nuova attività? «È stata un’idea che abbiamo coltivato insieme me io e mia moglie Marta. Ci sta dando ndo grosse soddisfazioni anche se debbo riconoscere che il merito maggiore aggiore è soprattutto di lei che cura l’attività a tempo pieno. Io mi limito ad accompagnarla e a gestire dall’esterno, esterno, ma la vera protagonista è mia moglie. Ma è una soddisfazione e anche per me. Al di là del calcio». SPQR SPORT | 71


Nato a Buenos Aires

Cresciuto in

Patagonia

Italiano per amore edesma è nato a Buenos Aires ed è cresciuto in Patagonia. Trascorre l'infanzia a Puerto Madryn, nella provincia del Chubut, in Argentina. Puerto Madryn (in lingua gallese, Porth Madryn) è una della città della provincia del Provincia di Chubut, nella Patagonia argentina. È il capoluogo del dipartimento di Biedma, ed ha una popolazione di circa 58.000 abitanti. Puerto Madryn è protetta dal Golfo Nuevo, formato dalla penisola di Valdés e da Punta Ninfas. La città è il punto di partenza ideale per visitare le attrazioni naturali offerte dalla costa e

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dalla penisola di Valdés. La città fu fondata il 28 luglio 1865,, quando 150 immigrati gallesi, giuntii o con la nave The Mimosa, chiamarono n il porto naturale Puerto Madryn in onore di Sir Love Jones-Parry, la cuii tenuta in Galles era chiamata "Ma-dryn". L'insediamento si sviluppòò grazie al tratto di ferrovia costruito o fra Madryn e Trelew da immigratii gallesi, italiani e spagnoli. La famiglia di Ledesma ha origine in n Spagna. Cristian ha incontrato la sua futura moglie a Lecce e per questo oggi può vestire la maglia della Nazionale.

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Buenos Aires

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Una terra difficile, ma il mare ancor di più La Terra del Fuoco è un arcipelago dell'America del sud, situato all'estremità meridionale del continente. Il territorio insulare, di area pari a 73.753 km², è diviso tra l'Argentina e il Cile ed è composto, oltre che dall'isola principale (denominata anche Isla Grande), da alcune isole minori, per lo più in territorio cileno, come l'isola Dawson. Il nome Terra del Fuoco fu dato per primo nel XVI secolo dai marinai europei che transitavano davanti alle sue coste notando dei fuochi accesi dagli indigeni per proteggersi dal freddo. Situato nell'arcipelago della Terra del Fuoco, nell'isola detta di capo Horn, non è in realtà il punto più meridionale del Sud America continentale che è rappresentato invece da Capo Froward. A circa 100 km a sud-ovest di Capo Horn si trovano poi le piccole Isole Diego Ramirez, anch'esse considerate uno dei punti più a meridione del'America del sud. Venne doppiato per la prima volta dagli europei il 26 gennaio 1616. L'impresa riuscì alla spedizione olandese di Willem Schouten e Jacob Le Maire che lo battezzarono Kaap Hoorn in onore della città di Hoorn, luogo di nascita di Schouten. Capo Horn è noto per le spesso avverse condizioni climatiche che rendono difficile il doppiarlo con imbarcazioni a vela.

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Fu l’ultimo oriundo a vestire l’azzurro prima del blocco avvenuto negli Anni Sessanta. Venne acquistato nel 1963 dalla Roma per una clamorosa cifra che gli valse il titolo di “mister mezzo miliardo”. Giocò in seguito col Milan di Rocco vincendo tutto sia in Italia che nel mondo. È tornato di nuovo in giallorosso collaborando con Eriksson e Liedholm foto: archivio Sormani ngelo Benedicto Sormani, ultimo oriundo d’antan, prima della nouvelle vague. Era il 1962 e lui, brasiliano dalle chiare origini italiane, chiuse la porta, non c’era più spazio per gli azzurri d’importazione. Ma prima di spiegare il motivo di tale decisione da parte degli organi federali, Sormani ci fa il punto di come era la situazione stranieri all’epoca. «Facciamo subito una precisazione. Ai miei tempi venivano giudicati stranieri, cioè provenienti da federazione estera, tutti coloro che militavano in club non italiani. Ad esempio anche se un italiano era andato a giocare per una squadra estera veniva a tutti gli effetti considerato qui straniero ai fini del tesseramento. Ed anche il concetto di oriundo era diverso. Per la federazione italiana questo status era riservato a chiunque avesse legami parentali fino alla quinta generazione a patto però che questi ascendenti non avessero mai abbandonato la cittadinanza italiana. Ma questo privilegio era riservato soltanto agli uomini. Solo in seguito, con l’equiparazione delle donne ai diritti maschili, le cose sono cambiate. Adesso credo che la temporalità sia scesa a tre anni. Per uno straniero ora è diverso, basta un matrimonio con una donna europea ed ecco scattare di diritto la cittadi-

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nanza di quel paese. Ma badate bene questo non è più status di oriundo, ma acquisizione di diritti attraverso altre forme». Cosa ha significato per lei vestire la maglia azzurra? «Una grande soddisfazione. D’altronde dentro di me l’italiano c’è sempre stato. I nonni non mi hanno mai fatto mancare lo spirito delle loro origini. La mia educazione è stata tutta italiana. Quindi essere arrivato qui dal Brasile, nonostante fossi giovane, non ha rappresentato di certo un trauma. Mi sono sentito subito a casa mia». Ma qualcosa è cambiato per gli oriundi in quegli anni… «Sì, è vero. Nel 1962 cambiarono i regolamenti Fifa in merito agli oriundi. Si decise che un calciatore non poteva giocare più per due nazionali, doveva operare una scelta definitiva. Per me andò bene che avevo giocato solo con la maglia azzurra a differenza, per esempio, di Altafini che proveniva anche dalla nazionale brasiliana. Ma non finì lì. In Italia, dopo la sfortunata e criticata spedizione mondiale in Cile, cambiarono i regolamenti e non fu più ammessa la convocazione di un oriundo in nazionale. Josè ne fu penalizzato a SPQR SPORT | 75

differenza del sottoscritto che grazie al commissario tecnico Edmondo Fabbri, che mi stimava moltissimo, rimasi nel giro azzurro. Ma un brutto infortunio di gioco capitatomi in Russia con l’Italia fu preso a pretesto per essere depennato anch’io». Ma ritorniamo un attimo ai mondiali in Cile. Che è successo lì, eppure la nazionale azzurra contava grossi campioni… «Iniziò male e finì peggio. Prima di tutto lo staff dirigenziale dimostrò di non avere polso e la situazione sfuggì loro presto di mano. Non seppero fronteggiare, ad esempio, il vento critico che condannava la presenza di quattro oriundi (io, Sivori, Altafini e Maschio) tra i convocati. Alcuni di noi, poi, senza fare nomi, peccò di scarsa professionalità. E se poi ci mettiamo la campagna di odio contro di noi alimentata dalla stampa cilena piccata dal fatto che in Italia erano forti le critiche per quel mondiale in un paese in mano alla dittatura e quindi non idoneo per ospitarlo, beh, la storia era bella che segnata. E questo clima ostile si ripercosse nella drammatica sfida coi padroni di casa. L’arbitro ne venne talmente condizionato che per paura ne combinò di tutti i colori».


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A Veniamo agli oriundi di oggi. Le malelingue dicono che adesso quest’ultimi accettano di giocare per l’azzurro perché non vengono convocati dalle loro nazionali… «Molto probabile. Ad esempio ai miei tempi chi decideva di lasciare il Brasile per andare a giocare all’estero non veniva più chiamato in nazionale. Una scelta giustificata dal fatto che tanto di calciatori forti nel paese ne restavano talmente tanti che i fuoriusciti non sarebbero serviti. Adesso le cose son cambiate e l’Europa ha contribuito all’allargamento».

Mosca 13 ottobre 1963: Russia-Italia 2-0. Sormani esce dal campo infortunato. Sarà la sua ultima gara con la Nazionale

Veniamo a lei. Due soprannomi hanno caratterizzato la sua carriera: Mister mezzo miliardo e il Pelè Bianco. Quale le ha pesato di più? «Ma, nessuno dei due. Il primo fu coniato dopo la cessione alla Roma per quella cifra anche se più della metà era coperta da giocatori in cambio. Il secondo fu quasi per gioco, visto che provenivo dal Santos dove militava anche Pelè. Mi auguro che O Rei non lo abbia mai saputo…». Perché scelse Mantova? «Perché mi si offriva la possibilità di misurarmi col calcio europeo. Accettai con entusiasmo anche perché nel Santos ero chiuso da grandi attaccanti». E poi la Roma. Ma non fu un’annata positiva… «La squadra c’era, ma le cose non andarono per il verso giusto. I motivi? Tanti. Anche lì mancò il polso della società e diversi compagni non brillarono per professionalità. Cambiammo tre allenatori e la stagione finì malinconicamente. Un brutto infortunio, poi, condizionò il mio rendimento». Ed ecco la Samp… «Anche lì ci fu confusione. Un’annata travagliata, soldi che arrivavano col contagocce. E tutto ciò condizionò negativamente il cammino della squadra». Nel 1965 la chiamata del Milan… «In rossonero ho conosciuto il grande successo. Lì ho vinto tutto, SPQR PQR SPO SPORT ORT R | 76


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Stagione 1963-64. Ecco Sormani con la maglia della Roma. Un’annata sfortunata fatta di 25 presenze e soltanto sei reti

San Siro 12 maggio 1963: Sormani e Pelè prima dell’amichevole Italia-Brasile 3-0. Il primo gol lo segnò l’italobrasiliano

sia in Italia che nel mondo. Eppure si diceva che la squadra fosse vecchia. Fu un colpo di genio di Nereo Rocco. Il paron riuscì ad amalgamare la rosa. C’era una fase difensiva ed una offensiva. E poi in quella squadra oltre ai Rivera, ai Prati, ai Lodetti, agli Hamrin c’erano anche quattro ex romanisti, io, Cudicini, Schnellinger e Malatrasi. In seguito Rocco provò a ringiovanire il gruppo, ma con scarsi risultati». Arriva nel 1970 la partenza per Napoli. «Due anni splendidi, sono stato benissimo. In panchina c’era Chiappella che per certi versi assomigliava a Rocco. Arrivammo terzi, una bella soddisfazione. Napoli mi ammaliò così tanto che quando smisi di giocare vissi lì per 14 anni anche perché mi affidarono le giovanili azzurre». Dopo Napoli Firenze e infine Vicenza. «Con la Fiorentina non andò, ma mi rifeci nei tre anni in Veneto. Un ambiente tranquillo dove ho vissuto bene». Negli anni ’80 ecco di nuovo la Ro-

ma ma nelle vesti di mister. «Sì, prima come collaboratore di Eriksson e dopo di Liedholm. Due grandi tecnici ai quali sono profondamente legato». Che ricordi ha di Dino Viola? «Un grandissimo personaggio e un illuminato dirigente. Lui viveva per la Roma. Era sempre presente, un punto di riferimento per noi». È forse la figura che manca adesso alla Roma americana? «No, ora è tutto diverso. Alla conduzione bastano i manager e credo che Baldini e Sabatini siano due ottimi dirigenti». Crede nel progetto americano? «Un progetto si definisce tale quando va perseguito nel tempo. Non si può cambiare sempre in corso d’opera. I risultati non arrivano tutti e subito, ci vuole pazienza. Guardate quanto ci ha messo il Barcellona a diventare la squadra eccezionale che è. O si fa come il Psg che spende i fantamilioni per vincere subito o bisogna lavorare anno dopo anno. Ma con una differenza: SPQR PQQR SSPORT PO T | 77

il Psg sono i campioni a farlo grande, nel Barcellona è il club a fare grandi i calciatori». Zeman però è saltato... «Zdenek è un tecnico eccezionale, uno che insegna calcio. Le sue squadre sono votate all’attacco. Ma in Italia, purtroppo, questo concetto non si sposa col risultato sicuro». Poteva restare Montella? «Vincenzo è un giovane che ha stoffa, ma che a Firenze sta lavorando senza l’assillo di vincere ad ogni costo». Come finirà questo campionato? «La Juve è di un livello superiore e credo che rimarrà campione d’Italia. Per la Champions vedo il Napoli, il Milan, la Lazio e forse l’Inter. Per l’Europa League lotta fra Fiorentina e Roma». Niente Champions per la Roma allora… «È difficile, troppo altalenante il suo cammino. E poi lì davanti dovrebbero rallentare tutti. Ma nello sport tutto può succedere. Staremo a vedere».


di Francesca MONZONE Federazione Italiana Judo, Lotta, Karate ed Arti Marziali

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Lo Yoyogi National Gymnasium è un importante palazzetto dello sport situato nel quartiere Shibuya di Tokyo. È un impianto polivalente, costruito negli anni sessanta per ospitare le gare di nuoto per le olimpiadi di Tokyo del 1964. In seguito è stato destinato ad ospitare le partite di pallavolo, pallacanestro, e alcuni incontri di arti marziali. Nel corso degli anni è stato anche sede di molti concerti di artisti famosi. Ha ospitato i Campionati mondiali di judo 2010.

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Un viaggio all’interno della cittadella dello sport di Ostia


Si ringraziano il Presidente della Fijlkam, Matteo Pellicone e l’architetto Livio Toschi, Direttore del museo Fijlkam

l centro olimpico Fijlkam senza ombra di dubbio è un fiore all’occhiello per lo sport italiano. Testimonia la qualità e l’altissimo livello di un progetto ideato per dare spazio agli sport gestiti dalla federazione in un contesto nazionale dove le strutture sportive erano rimaste ferme agli Anni Sessanta. Infatti, a Roma gli impianti dove poter effettuare manifestazioni di altissimo livello si erano fermati con la costruzione dei due palazzetti all’Eur e a viale Tiziano,dove però da sempre si è vista la partecipazione di sport di squadra quali il basket e la pallavolo e alcuni incontri di pugilato. I primi passi per la realizzazione del Centro federale sono cominciati il 18 marzo 1986 con la cessione da parte del Comune di Roma di un’area di 16.000 mq per la realizzazione di un palazzetto. Il primo lotto della struttura federale è stata inaugurato il 25 aprile del 1990 con l’allora Presidente della Filpj Matteo Pellicone e il presidente del Coni Arrigo Gattai mentre il 18 dicembre 1992 è stato aperto il Centro Olimpico. Il centro, progettato dagli ingegneri Renato Papagni e Paolo Morelli, ha una struttura particolare formata da sei edifici. L’occhio viene immediatamente catturato dal Palazzetto dalla struttura a vela che ricorda vagamente il National Gymnasium di Kenzo Tange, costruito nel parco Yoyogi in occasione delle Olimpiadi di Tokyo nel 1964. Il Presidente Matteo Pellicone pensava ad un palazzetto che insieme ricordasse sia la forza fisica degli atleti che la matrice orientale delle arti marziali. Un primo disegno del progetto presentava la copertura del palazzetto con la classica cupola, che però risultava poco adatta per integrarsi nel contesto natura-

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le caratterizzato dalla pineta tipica del litorale di Ostia. Così è stata sostituita con una copertura più leggera simile all’elmo di un samurai, ovvero una vela che seguiva in modo naturale l’andamento delle chiome dei pini. Internamente è possibile ammirare una struttura circolare dal diametro di 60 metri e altezza di 16 metri con un piano di gioco da 44x33 metri che può ospitare 6 campi di gara e 1300 spettatori. Il secondo edificio, composto da 4 piani di cui uno seminterrato direttamente collegato con il PalaFijlkam, ospita palestre, spogliatoi, il centro servizi con ampia zona ristoro, la sala stampa e gli uffici per le federazioni internazionali e quelli federali. Il terzo edificio, invece, ospita altre palestre in cui non c’è accesso per il pubblico mentre nel quarto è ubicata una foresteria recentemente ristrutturata, con 34 camere doppie. Il quinto edificio ospita, oltre ad una foresteria per gli atleti, il Museo dello Sport con la Hall of Fame, la videoteca e la biblioteca ma anche il centro medico. Il sesto edificio, che non è comunicante con le altre strutture, ospita la Sala Azzurri destinata all’attività ricreativa, l’aula magna, la sala mensa e la sala espositiva del Museo dello Sport. L’intero centro è anche diventato un punto di riferimento per tutta la popolazione del litorale, richiamando pubblico sia per le mostre di pregio che vengono allestite che seguono una programmazione varia e dettagliata, sia per quelle manifestazioni sportive locali e non, che chiedono di essere ospitate nella struttura. Nel giorno dell’inaugurazione presenti tra gli altri il Presidente della Fijlkam Matteo Pellicone che ha ringraziato Roma Capitale così vicina allo sport e per l’opera meritoria di aver donato i terreni dove è sorta la SPQR SPORT | 80

grande struttura del Pala Fijlkam. Ai lavori era presente anche il Delegato alle Politiche Sportive Alessandro Cochi che ha ricordato l’impegno mantenuto dall’amministrazione capitolina verso lo sport e in particolare quello di Ostia una realtà importante nel panorama dell’attività agonistica e amatoriale.


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3 4 1- Il Progetto originario del Palafjlkam 2- Il Progetto originario del centro olimpico 3- L’esterno della struttura con la caratteristica “cresta” 4- L’avveniristico interno della struttura 5- Il plastico del Centro Olimpico

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Sul litorale romano sono tanti i luoghi deputati allo sport dal PALAFIJLKAM a tutti gli altri

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ià a partire dai primi anni del Novecento si parla di sport nel litorale di Ostia con la costruzione di veri e propri centri di riferimento per tutte le discipline. Nel 1912 l’architetto Dario Carbone, che ha eretto la Galleria Colonna nel 1922, è stato autore di un progetto di espansione della città verso il mare di Fregene, progetto che è stato ripreso poi nel 1923 inserendo un’intera area destinata allo sport. L’idea di Carbone nasceva da un attento studio in cui notava come tutte le strutture sportive esistenti fossero poste all’interno della città in modo del tutto disarmonico, ovvero senza un vero e proprio polo. Carbone ha così pensato che nel nuovo centro urbano sul litorale avrebbe costruito campi di lawn-tennis e cricket, canali per il nuoto e il canottaggio, un velodromo, sale adibite per la ginnastica, un palazzo del ghiaccio per il pattinaggio e un ippodromo. Questo progetto non è stato mai realizzato e solo a metà degli Anni Trenta si sono ipotizzate nuove strutture sportive sul litorale laziale. Ma questa volta nei progetti per la prima volta è

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GLI IMPIANTI SPORTIVI DI

ROMA CAPITALE Campo Sportivo "A. Lodovichetti" Tel. 06 56304054 - Fax 06 56304054 E-mail: acicasalpalocco@libero.it Centro Federale Polo Natatorio Ostia Tel. 065600287 - Fax 065600287 E-mail: cfostia@federnuoto.it Piscina "G. Passeroni" Tel. 065667660 - Fax 065645955 E-mail: cefes@tiscali.it Stadio Anco Marzio Tel. 065681919 - Fax 065681919 E-mail: segreteria@ostiamare.it Stadio P. Giannattasio (ex Stella Polare) Tel. 06 5682769 Piscina Amendola Tel. 0656339382 - Fax 0656341168 E-mail: piscinamendola@libero.it A LATO:

La Caserma Italia della Guardia di Finanza dal 1964 ha ospitato il gruppo sportivo delle Fiamme Gialle. AL CENTRO: Lo Stadio Anco Marzio A DESTRA: Il Centro Federale di Nuoto. SPQR SPORT | 82


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apparso il nome di Ostia. Nel 1936, quando si pensava che Roma avrebbe ospitato i Giochi olimpici del 1944 e l’Esposizione Universale del 1942, Marcello Piacentini, uno dei più celebri architetti italiani, ha proposto Ostia come sede delle nuove strutture. L’anno successivo, e poi nuovamente nel 1937, l’ingegnere Vincenzo Civico ha proposto la costruzione di una Città dello Sport ma con l’arrivo della guerra ogni progetto è stato accantonato. Successivamente nel 1950 sarà l’ingegnere Dagoberto Ortensi, in vista dei Giochi Olimpici del 1960, a riprendere l’idea di Civico identificando nella zona di Ostia il Centro Italiano dello Sport con annessa la sede del CONI, un museo e il palazzo delle Federazioni sportive oltre ad un Villaggio olimpico per 6000 persone. Anche questo progetto è rimasto sulla carta e la zona di Ostia nel corso della sua storia è sempre stata identificata come località balneare della Capitale. Prima di arrivare agli Anni Ottanta durante i quali è nato il progetto della Fijlkam e la sua realizzazione (nel 2009 non va dimenticato che Ostia ha ospitato alcune gare dei Mondiali di nuoto) con la costruzione del relativo centro federale, sono poche le strutture sportive presenti nella zona. Nel 1959 è stato realizzato il campo della Stella Polare nella cui pineta attigua nel 1965 è stata ospitata la prova di corsa campestre dei Mondiali militari di pentathlon. Sempre negli Anni Cinquanta vi erano due campi di calcio, il primo denominato IV Novembre vicino alla caserma Italia della Guardia di Finanza il cui nome probabilmente trova origine dal Collegio IV Novembre che poi è stato assorbito dalla caserma Italia stessa, e il secondo il Campo Bazzini che si trovava nella zona verso l’idroscalo. Di fondamentale importanza per la diffusione della cultura e la pratica sportiva ad Ostia, oltre alle scuole Parini e Garrone in cui vi erano delle palestre, è stata la Caserma Italia inaugurata nel 1938 e che dal 1964 è stata sede del centro sportivo delle Fiamme gialle. Negli Anni Cinquanta la struttura militare in collaborazione con la Società Ostia Mare ha ospitato due o tre volte alla settimana atleti civili. Lo sport, a Ostia, vive anche dei tanti stabilimenti balneari che ospitano strutture spesso di prima importanza.

A SINISTRA: Il campo della Stella Polare negli Anni ‘60 Nel 1965 ospitò la prima corsa campestre dei mondiali militari di Pentathlon AL CENTRO: La sede della Lega Navale A LATO: Il trampolino del Kursaal SPQR SPORT | 83


PALAFIJLKAM di Ostia tra sport e cultura: inaugurata anche una sezione museale stia ha finalmente il museo dello sport nel suo Palazzetto dello sport, quello ideato e costruito a Ostia dalla Fijlkam, la Federazione italiana italiana judo, lotta, karate e arti marziali. Un sogno che finalmente si è realizzato e con esso anche una nuova struttura per la Federazione. Quello di Ostia è il terzo palazzo dedicato allo sport nella Capitale, in ordine cronologico, dopo l’impianto di viale Tiziano e il Palaeur. Questo palazzo a Ostia è un centro di preparazione olimpica con palestre, uffici e una grande area museale per un totale di 40 mila metri quadri. Il tutto, proprio di fronte al mare della Capitale. L’inaugurazione fatta nel centro di via Sandolini, che ha avuto come ospite d’onore la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Londra, Rosalba Forciniti, è stata il lieto fine di un’opera che ha mosso i primi passi nel 1990. Tanti anni e grandi investimenti sono serviti per portare a termine un progetto unico nel suo genere. Il presidente della Federazione, Matteo Pellicone, ha minuziosamente spiegato l’importanza del centro olimpico non solo per le discipline che rappresenta ma anche come introito per il municipio di Ostia. La Fijlkam, infatti, è l’unica federazione, non solo a livello nazionale, che ha saputo creare un’opera del genere. In questa struttura, che ospita anche gli uffici della federazione, è possibile effettuare attività didattica e di for-

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mazione per giudici e istruttori, assistere alle gare e ospitare atleti e società in ritiro mettendo a disposizione una foresteria. Ma la particolarità non è solo l’aspetto sportivo: c’è quello culturale. Ideatore di questo progetto è l’architetto Livio Toschi, oggi direttore artistico del Museo e della Hall of Fame della struttura romana. Toschi, attento ricercatore e studioso di storia dello sport e vicino al mondo della lotta e delle arti marziali, ha illustrato le opere attualmente presenti nel museo che in parte sono state donate alla federazione da artisti di fama internazionale. La struttura dedicata alla cultura sarà interessata non solo per le mostre d’arte ma per tutto ciò che riguarda gli aspetti culturali del municipio di Ostia. L’inaugurazione del museo è stata caratterizzata dalla mostra “Lo sport e il mito” e la relativa conferenza “Lo sport nel mito”. Il centro Fijlkam non è soltanto una grande opportunità per lo sport italiano ma è la realizzazione di un’opera molto più importante che tra i vari obiettivi ha quello di portare sport di altissimo livello e cultura nella Capitale e nel municipio XIII. Fondamentale per la realizzazione del centro federale è stato l’intervento del Comune di Roma con l’inserimento dell’iniziativa nel “Progetto Litorale”, ovvero la cessione di un’area limitrofa al parco di Castel Fusano senza la quale i lavori non sarebbero mai iniziati.

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LA RAGAZZA DI CALABRIA

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Rosalba Forciniti è nata a Longobucco in provincia di Cosenza il 13 febbraio 1986. Si avvicina al judo sin da piccola. Nel 2005 si trasferisce a Roma. E’ tesserata per i Carabinieri. Nel 2010 si aggiudica l'argento individuale e l'oro a squadre agli Europei assoluti di Vienna. Nel 2012 prende parte ai Giochi della XXX Olimpiade, partecipando nella categoria fino a 52 chilogrammi, battendo all'esordio la tedesca Romy Tarangul con un Ippon e successivamente la sudcoreana Kyung-Ok Kim, qualificandosi così per la semifinale del torneo, in cui viene però battuta dalla nordcoreana Kum Ae An. Nell'incontro per la medaglia di bronzo sconfigge la lussemburghese Marie Muller.

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Quali sono i suoi programmi per il futuro? «Godermi la mia famiglia e gli Europei del 2013 allenandomi a Roma, dove vivo».

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ROSARIA FORCINITI

Era a Londra quando ha saputo che Alex Schwazer era stato fermato per doping. Cosa ha provato? «Sono rimasta molto sorpresa e delusa. Alex lo avevo conosciuto e mi è simpatico. Non avrei mai pensato che ricorresse a questo tipo di pratiche, credevo non fosse lui. E poi io non credo che per stare al passo con i tempi un atleta, un campione, debba doparsi».

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A chi ha dedicato la medaglia e che cosa ha provato in quel momento? «È stato un sogno che si realizzava, impossibile descrivere una gioia così grande. Questa medaglia l’ho dedicata alla mia famiglia, in particolare

In quale modo l’ha salvata? «Io sono cresciuta con mia nonna. Non venivo controllata molto perché i miei genitori lavoravano tutto il giorno. In un piccolo centro della Calabria come il mio, è facilissimo commettere errori e trovarsi in realtà sbagliate, in particolare per una persona con un carattere come il mio. L’impegno in palestra è stato fondamentale».

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Che obiettivo si era prefissata a Londra? «Sono partita per vincere, è il desiderio di tutti gli atleti che partecipano ad un evento come le Olimpiadi. Non lo nascondo ma non ero sicura di farcela perché avevo dei problemi fisici che avevo tenuto nascosti. Ho combattuto con una microfrattura alla mano e una lesione al tendine. Ma non potevo dirlo: mi avrebbero lasciata fuori».

Perché da bambina ha scelto di fare judo? «All’inizio ho praticato la danza come voleva mia mamma. Diceva sempre che ero un maschiaccio e mi serviva un’attività che mi addolcisse. Poi nel mio paese, Longobucco, in provincia di Cosenza, c’era questa palestra. Il resto è venuto da solo. Il judo mi ha salvato dalla strada».

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Rosalba, quanta strada ha percorso da quando ha lasciato il suo paese in Calabria? «Tantissima e tutta in salita. Non è stato facile convincere i miei genitori da bambina a praticare judo e poi arrivare addirittura sul podio olimpico. Ho dovuto lavorare tantissimo e stringere i denti ma alla fine ho realizzato il mio sogno».

ai miei genitori. Ricordo di averli subito guardati negli occhi e quella medaglia che luccicava con i loro sguardi è stata la cosa più bella della mia vita».

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osalba Forciniti è la ragazza di Calabria. Ha vinto una medaglia di bronzo nel judo alle Olimpiadi di Londra nella categoria 52 chilogrammi. Bella ma cattiva quando gareggia, ha lasciato la sua Calabria per inseguire un sogno, diventare grande in uno sport che troppo spesso viene considerato per soli uomini. La sua è una bella favola.

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A colloquio con la judoka Rosalba Forciniti, madrina dell’evento


UN CAMPO DI CALCIO, DUE DI CALCETTO E DUE DI CALCIO A 8 LA NUOVA STRUTTURA SARÀ ANCHE PUNTO DI AGGREGAZIONE

Il campo Morandi cambia casa PRESENTATO IL PROGETTO DEL NUOVO IMPIANTO DEL MORANDI CHE SORGERÀ NEI PRESSI DELL’IDROSCALO. LE PAROLE DEL DELEGATO COCHI stato presentato, presso l’aula consiliare del XIII Municipio, il progetto di riqualificazione urbanistica di Ostia Ponente, con particolare riferimento alla realizzazione del nuovo campo Rodolfo Morandi di via Domenico Baffigo. Il progetto si farà grazie all’approvazione e l’attuazione dell’articolo 2 del 1997, con il relativo finanziamento di fondi, circa 6 milioni, di cui 4.5 milioni provenienti dagli oneri concessori di privati e 1.5 milioni di Euro provenienti da un fondo speciale di Roma Capitale Soddisfatto Sergio Pannacci, Presidente Commissione Urbanistica XIII Municipio: «L’intervento prevede, come opera prioritaria, la realizzazione e la messa in sicurezza dell’argine del Tevere per prevenire il rischio esondazione, e la realizzazione dell’impianto sportivo Rodolfo Morandi, in un nuovo campo che

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sarà posizionato tra via dell’Idroscalo e via della Martinica. Il nuovo impianto sportivo avrà un campo omologato Coni per la serie D da undici, due campi di calcetto e due di calciotto, con le pertinenze annesse (spogliatoi e magazzini). I lavori inizieranno prima dell’estate. Ringrazio il Presidente Vizzani e l’Assessore Amerigo Olive per l’impegno in quest’opera, il Delegato alle Politiche Sportive di Roma Capitale, Alessandro Cochi, l’Assessore all’Urbanistica Marco Corsini e quello alle Attività Produttive, Davide Bordoni». Presente all’incontro anche Alessandro Cochi, Delegato alle Politiche Sportive di Roma Capitale: «La riqualificazione di un quartiere passa anche e soprattutto attraverso lo sport, inteso come modello di vita. Non parliamo di Ostia Ponente sempre in un’ottica di degrado e af-

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flizione sociale, ma abbiamo il diritto-dovere di raccontare la sua rinascita e riqualificazione. Il nuovo campo Rodolfo Morandi rappresenterà un punto di incontro per tanti giovani del quartiere». «Da Ostia - ha proseguito Cochi sono partiti tanti giocatori che hanno avuto la fortuna di far parte di squadre di vertice: da De Rossi a Cappioli, passando per Silenzi e Scarchilli. Sono solito parlare di fatti concreti e non di retorica e l’impegno profuso in ambito sportivo su questo territorio è notevole, basti pensare anche al supporto dato alla polisportiva Palocco». Giacomo Vizzani, Presidente XIII Municipio ha sottolineato come, dopo una fase di stallo burocratico durata 16 anni, «siamo riusciti a portare a termine quest’operazione che porterà ad un nuovo volto dell’intero quadrante».


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Baseball e football sono attualmente le discipline Made in Usa, che hanno fatto maggiore presa in Italia. In questo numero parliamo di baseball, uno sport circondato da un alone di fantasia che ha ispirato anche personaggi cinematografici come il Nando Mericoni sordiano di «Un americano a Roma». Nel prossimo numero porremo l’obiettivo sul football

di Antonio MAGGIORA VERGANO foto Getty Images

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u vuo fa l’americano», la celebre canzone di Renato Carosone, cita solamente il baseball, come sport a stelle e strisce, e lo stesso Nando Mericoni, oltre ad assaggiare pane, latte e mostarda, a fare Tarzan nella Marana o a provare un drink del Kansas, sogna di essere un campione del «batti e corri» o di football americano. In realtà i cosiddetti sport made in Usa con campionati professionistici che producono fatturati miliardari sono quattro e attualmente per ordine di importanza il football (la Nfl non ha pari come interesse, basti pensare al costo al secondo per la pubblicità nel Super Bowl, la finale del campionato: oltre 100.000 euro!), il basket (la Nba è la più internazionale grazie a giocatori di tutti i continenti, ma nettamente staccata come interesse negli Usa), il baseball (la Mlb che sta cercando lo stesso percorso della

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Nba, dopo qualche stagione di crisi) e l’hockey ghiaccio (la Nhl è nettamente un gradino sotto tutte le altre organizzazioni pro’). In Italia e in Europa l’ordine è diverso, perché il basket è sport internazionale da decenni, mentre l’hockey ghiaccio ha tradizione nei paesi scandinavi e nel Bel Paese quasi esclusivamente nel nordest. Baseball e football americano (ma chiamatelo solo football quando ne parlate con un vero appassionato!) restano invece nell’immaginario collettivo di molti i veri sport di oltre Oceano. Questo probabilmente perché molto più difficili da seguire e imparare come regole rispetto a basket (la palla deve entrare nel canestro) e hockey (il disco deve arrivare nella porta), ma anche perché segnati da pause di attacchi e difese che subentrano di volta in volta. Se dici baseball nella Capitale, di fatto devi tornare indietro agli Anni ’50, AMERICAN SPORTS | 89

con gli scudetti vinti nel 1950 (Libertas Roma), 1955 (Lazio) e 1959 (Roma), più una serie di spareggi per il titolo persi nel 1952 (Libertas Roma), 1953 (Lazio) e 1960 (Roma), con derby capaci di raccogliere al Flaminio anche 8.000 spettatori.

E nel 1944 oltre agli americani sbarca a Nettuno anche il baseball Molto più facile però andare a pochi chilometri e dire Nettuno, dove il baseball, dagli anni dello sbarco americano del 1944 a oggi, è quasi una religione. Il primo approccio con il softball, variante se si vuole meno impegnativa, lo si deve ad Alberto Fasano e alla Scuola di Polizia nel 1945, ma il riconosciuto protagonista della nascita del baseball nella cittadina tirrenica è il tenente Charles Butte, responsabile della costruzione del Cimitero di Nettuno, che oltre a prendersi cura della squadra utilizzò, a suo rischio, mez-


LA STORIA DEL BASEBALL Pare che lo sport abbia preso origine in Nord America verso la prima metà del Settecento. I primi incontri dimostrativi di baseball, al di fuori degli Stati Uniti e del Canada, ebbero luogo a partire dal 1874. Attualmente le nazioni europee con campionati regolari di baseball sono 22. Cuba, Repubblica Dominicana, le Antille olandesi, Porto Rico, Colombia, Costarica e Venezuela i paesi sudamericani dove lo sport ha grande presa. In Giappone fu introdotto nella prima metà del 1870, mentre in Cina esiste dal 1945.

zi militari per costruire il primo storico campo a Villa Borghese nel 1948. Nel 1950 la nascita della Fipab (Federazione italiana palla base) e del primo campionato, coincise con l’avvicendamento di Butte con Horace McGarity sia per la costruzione del mausoleo, che per la conduzione della squadra. Con lui alla guida Nettuno vinse titoli e segnò record storici lottando contro Roma e Lazio.

La rissa del ’52. Gregory Peck a Roma Proprio contro i biancocelesti nel 1952, una contestata sconfitta finita in rissa costò ai migliori giocatori tirrenici la convocazione per lo

storico esordio della nazionale italiana al Flaminio contro la Spagna, con Gregory Peck a lanciare la prima pallina del match. Probabilmente l’unica macchia in una storia non solo di sport, ma anche d’amore tra McGarity e Nettuno. Del 1953,

forse più che lo scudetto vinto nello spareggio con la Lazio, si ricorda la visita del mitico Joe Di Maggio, conosciuto in Italia sia all’epoca che probabilmente ora, più per aver sposato Marilyn Monroe che per i suoi trascorsi sportivi.

RICORDANDO ALBERTO SORDI Pensando alla figura di Nando Mericoni, ricordiamo Alberto Sordi. A dieci anni dalla morte, se ne andò a 83 anni nella notte tra il 24 e il 25 febbraio, Roma si mobilita per ricordare l’Albertone nazionale attraverso una serie di iniziative che rappresentano non solo un tuffo nel passato ma anche un’occasione per conoscere meglio, per i pochi che non ne hanno avuto la possibilità, l’attore capitolino. Sul rapporto che univa Sordi a Roma saranno incentrati quasi tutti gli eventi in programma. Un palinsesto presentato questa mattina in Campidoglio, nella sala delle Bandiere (la stessa che ospitò Alberto Sordi per il suo ottantesimo compleanno che lo vide sindaco per un giorno) dal primo cittadino Gianni Alemanno. Patrocinano l'iniziativa Roma Capitale, l’assessorato alla cultura, la Fondazione Alberto Sordi, Zètema, RadioRai, Sorgente Group, il Conservatorio di Santa Cecilia e l’Agenzia per la Mobilità.Si comincia con la mostra al Vittoriano “Alberto Sordi e la sua Roma” dal 14 febbraio al 31 marzo: un percorso che si snoda tra documenti inediti, costumi di scena e alcuni pezzi della vita privata. Sabato 16 Febbraio uno dei momenti più importanti: l’inaugurazione di “Viale Alberto Sordi: Attore (1920 – 2003)” - così reciterà la targa – posizionata nel cuore di Villa BorAMERICAN SPORTS | 90

ghese a due passi dalla Casa del cinema. E poi i suoi film e i personaggi che rivivranno alla Pelanda di Testaccio; all’Auditorium Parco della Musica con la Grand’Orchestra che eseguirà le partiture originali dei film; al Teatro Tor Bella Monaca (con replica il giorno seguente al Teatro del Quarticciolo) sarà proiettato “Amore mio aiutami”. Alla Casa del Cinema, il 24, sarà la volta di Ubaldo Impallato, il professore squattrinato di “Bravissimo”. Il 25 invece Nando Mericoni in arte “Un americano a Roma” animerà la Galleria Alberto Sordi. Il 21 aprile poi, Natale di Roma, andrà in scena nella piazza del Campidoglio Il marchese del Grillo di Mario Monicelli mentre molti degli eventi dell’estate romana avranno come sfondo il ricordo di Alebrto Sordi. Il 24 sera quando Colosseo verranno proiettate interviste ed immagini di un Sordi che si racconta e che spiega a tutti i suoi film: uno spezzone di vita d’artista di 50 minuti tratto da diverse interviste radiofoniche. «Sarà una festa di tutti i romani – ha assicurato il sindaco Alemanno – il suo enorme giacimento nascosto e filosofia dei suoi personaggi, dal rifiuto della retorica al riscatto dovrebbero essere valorizzati: il mio sogno sarebbe portare il suo insegnamento nelle scuole della capitale».


L’Operazione Shingle fu organizzata dagli eserciti alleati contro le forze dell’asse tedesco nella zona di Anzio e di Nettuno, durante la campagna d’Italia, nella seconda guerra mondiale. L’attacco, comandato dal Maggiore Generale John P. Lucas, aveva lo scopo di aggirare le forze tedesche attestate sulla linea Gustav e di conquistare Roma. La lunga battaglia che ne derivò (iniziata il 22 gennaio del 1944 e conclusasi il 5 giugno dello stesso anno) è comunemente conosciuta come «Battaglia di Anzio» e l’operazione stessa come «Sbarco di Anzio». Nella campagna di Anzio gli americani della 5ª armata persero circa 30.000 uomini tra morti feriti e dispersi, 12.000 le perdite inglesi (i reparti dell’ 8ª armata) contro le 25.000 perdite tedesche. Il risultato ci fu, Roma venne conquistata, ma con un ritardo inspiegabile, ci vollero oltre 4 mesi per compiere i 50 km che separano Anzio dalla Capitale, al costo di ingenti perdite probabilmente evitabili.

DUILIO COLETTI NEL 1968 GIRÒ IL FAMOSO FILM CON IL NOME DELL’OPERAZIONE MILITARE.TRA GLI INTERPRETI ROBERT MITCHUM, GIANCARLO GIANNINI E PETER FALK.

Il baseball, ecco come si propagò nel nostro Paese

DALLO SBARCO DI ANZIO AL CAMPIONATO ITALIANO

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Il baseball toccò Roma nel 1889 Siamo al primo marzo del 1889. Alcuni componenti del Chicago White Stockings selezionati come i più forti di allora posano davanti al Colosseo; a sinistra lo stesso gruppo in una illustrazione mentre si trova a Piazza di Siena

Di Maggio, Roma e il fuoricampo A Villa Borghese Di Maggio fu sfidato dal lanciatore più forte del momento, Carlo Tagliaboschi. La storia, o forse leggenda, racconta che lo Yankee Clipper incassò un paio di strike e decise di togliersi la cravatta e arrotolarsi la camicia per poi colpire una serie di fuoricampo impressionanti. L’ultima pallina addirittura fu trovata in seguito sulla spiaggia. Quando Di Maggio venne per l’ultima volta a Roma a inizio Anni ’90, disse che secondo lui quella pallina stava ancora viaggiando sul Mar Mediterraneo. A spostare l’equilibrio del torneo tra 1959 e 1966 è un giocatore che pur non essendo romano di nascita (nato a Udine nel 1931), lo è di adozione, con cuore biancoceleste: Giulio Glorioso. Per sette anni la squadra in cui milita o vince lo scudetto (1959, 1961, 1962, 1963, 1964,

1965) o arriva seconda (1960 e 1966). La sua carriera è iniziata con il primo torneo ufficiale, per terminare 24 anni dopo. In uno sport che specializza i ruoli da sempre, è stata una vera e propria eccezione. Ben 11 volte Re degli strike out (eliminazioni al piatto), miglior lanciatore in 7 campionati, ma anche miglior battitore in 2, più volte in maglia azzurra, compreso il debutto al Flaminio davanti a Gregory Peck. Quando si dibatte sul «più forte di sempre» nel batti e corri italiano, il suo nome è d’obbligo. Una storia che è poi proseguita come dirigente delle sezioni della Lazio baseball, softball e cricket. Dopo anni di vittorie, anche per Nettuno è arrivato un lungo periodo senza il tricolore sul petto. Dal 1973 passano infatti ben 17 anni prima che la cittadina tirrenica AMERICAN SPORTS | 92

possa festeggiare il titolo di campione d’Italia. Nel 1990 la squadra di Faraone vince una drammatica settima partita a Rimini per tornare a essere la numero 1 d’Italia e dal 1993 (altra vittoria per 3-2 sul Rimini) centra la finale scudetto consecutivamente per dieci anni, vincendo il tricolore nel 1996, 1998 e 2001, ma anche la Coppa Campioni nel 1991 e nel 1997. Chiusa l’era dei Bagialemani, Trinci, D’Auria, De Franceschi, Ubani, Ciaramella, Ricci e Barboni, il ricambio non è della stessa qualità (con qualche eccezione come Giuseppe Mazzanti che disputa due stagioni nelle leghe mi-


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LO SPO SPOT OT PER PER I MONDIALI ITALIANI: LO SBARCO DEL... BASEBALL

Ecco alcune immagini dello spot che fu lanciato in occasione della finale dei Mondiali di Baseball che si svolse a Nettuno nel 2009. Lo sbarco ad Anzio avviene con giocatori proprio di baseball. Le squadre ammesse al Mondiale furono 22, la vittoria andò agli Stati Uniti davanti a Cuba e al Canada. Per l’occasione venne realizzato un video trailer prodotto dalla Why Worry production.

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COME SI GIOCA Il baseball viene giocato su un campo a forma di quarto di cerchio, suddiviso in territorio buono e in territorio foul. Nel territorio buono sono poste, su un quadrato di mt. 27,43 di lato, le "basi": i cuscini di 1ª 2ª e 3ª base ed un pentagono di gomma detto "casa base" o "piatto". A mt. 18,44 dalla casa base, sulla diagonale della 2ª base, è posta la pedana del lanciatore. Una partita si compone, normalmente, di 9 riprese o "innings". Ogni ripresa è suddivisa in due fasi, "battuta" o attacco e "difesa". Una ripresa termina quando una squadra si è alternata sia alla battuta sia alla difesa. Una fase ha termine quando tre giocatori dell'attacco vengono eliminati. Ogni squadra è formata da 9 giocatori più le riserve che assumono, quando la squadra è in difesa, le posizioni di: lanciatore, ricevitore, prima base, seconda base, terza base, interbase, esterno sinistro, esterno centro ed esterno destro. Generalmente è presente anche un battitore designato (DH), che prende il posto del lanciatore nel turno di battuta. Solo la squadra che è alla battuta può segnare punti ed i suoi giocatori si presentano alla battuta uno per volta, secondo un ordine prestabilito, assumendo il nome di "battitori". Il battitore deve tentare di battere le palline lanciategli (dal lanciatore) che attraversano "l'area dello strike" o "area di battuta", cioè

nori americane prima di tornare a Nettuno) e dal 2003 al 2006 Nettuno non arriva in finale. Lo scudetto resta a un passo anche negli anni successivi, non la Coppa Campioni, rinominata European Cup dal 2008. Le due Final Four giocate a Barcellona (2008 e 2009) fanno tornare Nettuno sul tetto d’Europa per la quinta e sesta volta. La nuova nidiata di giovani cresciuta nelle ultime due stagioni dal manager Bagialemani promette un futuro importan-

quello spazio sopra la casa base compreso tra la linea delle ginocchia e la linea delle ascelle. Se le lascia passare o tenta di batterle senza riuscirci, l'arbitro gli chiamerà uno strike. Dopo tre strike il battitore è eliminato. Sarà pure eliminato se la pallina da lui battuta verrà presa al volo o se verrà tirata da un difensore in 1ª base prima che lo stesso battitore raggiunga tale traguardo. Se la pallina lanciatagli non attraversa l'area dello strike, l'arbitro chiamerà un ball a suo favore; dopo 4 ball il battitore acquisisce di diritto la prima base. Riassumendo, compito del lanciatore è di ottenere o con tre strike o concedendo delle battute pessime, l'eliminazione dell'avversario. Compito del battitore è raggiungere salvo la prima base, o con una buona battuta o con una base per ball. Il battitore, non appena batte la pallina, o non appena guadagna la 1ª base per ball, diventa "corridore" e da questo momento costituisce, per la squadra in difesa, il principale pericolo, poiché egli può segnare un punto. Infatti, approfittando o di una battuta di qualche suo compagno di squadra, o degli errori dei difensori, o "rubando" le basi successive, tenterà di raggiungere (dopo aver toccato tutte le basi nell'ordine), il piatto di casa base dove segnerà un punto. La difesa può eliminare un corridore se riesce a toccarlo, mentre egli non è a contatto con

te, senza dover ricorrere ad italiani di importazione. Il football possiede una storia molto più recente in Italia, ma che si lega a doppio filo proprio con il baseball. Nel 1972 a Genova nasce infatti la Federazione Italiana Football, con presidente Bruno Beneck, che ricopriva lo stesso ruolo nella Fibs (Federazione italiana baseball e softball) e vicepresidente Giuseppe Prisco, ma solo cinque anni più tardi si svolge il primo torneo Lif a Ma-

Il baseball al femminile Il softball nasce negli Stati Uniti nel 1887. In Italia fa la sua prima comparsa nel 1945 con l'avvento dei militari americani. Il softball viene praticato a livello amatoriale e agonistico da entrambi i sessi, ma è uno sport olimpico per le sole donne. Si differisce dal baseball per pochi particolari

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una base, con la mano che tiene saldamente la pallina, oppure eliminandolo facendo arrivare la pallina al difensore a contatto con la base verso cui sta dirigendosi detto corridore, quando quest'ultimo è costretto ad andarci per liberare la base su cui si trova (gioco forzato). Se un battitore colpisce la pallina in maniera da mandarla al di là della recinzione esterna del campo corrispondente al territorio buono, ottiene un "fuori campo"; nel qual caso a diritto a compiere l'intero giro delle basi conquistando egli un punto più gli eventuali punti dei compagni che si trovavano sulle basi (non potendo la difesa recuperare la pallina per tentare di eliminarli). Vince la squadra che segna più punti in nove riprese. Nel Baseball, a parte rare eccezioni come il campionato pro giapponese, non esiste il pareggio. Se dopo nove riprese il punteggio è in parità si continua ad oltranza, fino a quando non si termina un inning completo con una delle due squadre in vantaggio. A parte le partite delle squadre giovanili, nel Baseball non esiste limite di tempo. Mediamente una partita dura intorno alle tre ore, arrivando anche oltre in caso di riprese supplementari.

Squadre di baseball romane Ibl (A1) Danesi Nettuno; A Federale (A2); Urbe Roma e Anzio.

rina di Massa con le squadre partecipanti legate ai quotidiani sportivi (Gazzetta dello Sport Diavoli Milano, Corriere dello Sport Lupi Roma, Tuttosport Tori Torino e Stadio Veltri Bologna). Le tre gare (finale vinta dai Tori sui Diavoli e raccontata in Rai da Giampiero Galeazzi) raccolgono 12.000 spettatori e 25 milioni di incasso. Nel prossimo numero si parlerà di football: seconda puntata degli sport americani!


spq ort BRUNO CONTI

BASEBALL CHE PASSIONE ettuno è una delle realtà più attrezzate e organizzate in tema di baseball, un movimento che ha pochi riscontri su scala nazionale. E di questo fenomeno ne parliamo con uno dei suoi figli più illustri, Bruno Conti. «La città vive il baseball in maniera viscerale, lo segue in tutte le sue sfaccettature. Qui sono passati grandi campioni che hanno lasciato un profondo segno. I ragazzi di Nettuno sono attratti dal baseball che ha anche una funzione aggregante, riunisce le famiglie, si va tutti insieme allo stadio. E il punto di riferimento storico è il Bar Nettuno dove ci si raduna e si parte in comitiva al seguito della squadra, sia in casa che in trasferta». La storia ci dice che anche Bruno Conti ha “rischiato” di diventare un grande lanciatore… «Un grande, non esageriamo. Diciamo che me la cavavo. Ho iniziato a giocare a baseball da bambino. Ricordo i primi passi coi Black Angels a Santa Maria Goretti sotto la guida di padre Federico. Poi il passaggio al Nettuno. E lì ci fu la svolta della mia vita sportiva e non solo. Ricordo che fui notato dai dirigenti del Santa Monica, un forte club americano in tournée a Nettuno. Vennero a casa per convincere mio padre a lasciarmi partire per gli Usa. Ma non ci fu niente da fare, lui si impuntò e disse che mai e poi mai mi avrebbe dato il permesso di lasciare l’Italia. Ci rimasi male, ma forse fu la scelta migliore. Qualche tempo dopo, infatti, arrivò la chiamata della Roma. E fu tutta un’altra storia». Nettuno vive solo di baseball? «No, anche il calcio recita un ruolo importante. Diciamo che la stagione sportiva dei nettunesi si divide in due parti: in inverno si segue il calcio mentre l’estate tutti si mobilitano dietro al baseball che può permettersi un impianto nuovissimo le cui gradinate sono sempre piene». Qualche amarcord legato al baseball? «Sin da bambino lo sport ha fatto parte della mia vita. Andavo al campo dove vi lavorava mio zio come custode. Ero affascinato da quel mondo. Non vedevo l’ora di uscire da scuola per correre lì a sfogarmi. Ero la dannazione dei miei genitori che si preoccupavano per la mia poca applicazione agli studi. Un altro episodio è relativamente recente. Ero in tournée con la Roma in America per affrontare i Cosmos. Quell’ambiente riaccese in me la fiamma della passione per il baseball. Mi dilettai in qualche lancio e in qualche battuta. Tutti ne rimasero sorpresi, anche i miei compagni di squadra. Come lanciatore, pur essendo mancino, ero abbastanza bravo. Ho sempre cercato di ascoltare i consigli di chi ne sapeva più di me». Sfiorato il baseball, hai però sfondato, eccome, nel calcio. Eri a giusta ragione una sorta di predestinato. «Diciamo pure così. A volte però penso: se non avessi fatto questa carriera nel calcio e fossi invece partito per inseguire il sogno americano nel baseball, come sarebbe stata ora la mia vita?»

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Intervista al campione del mondo che ci parla della sua esperienza da ragazzo a Nettuno con questo sport. Era un buon lanciatore e rischiò di volare in America, fermato però dal no secco di suo padre

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Ruolo: esterno. Piùù conosciuto in Italia, paese d’origine de dei ei genitori, per il matrimonio monio con Marylin M Monroe nel 1954,, che perr il suo pas passato ssato sportivo, in maglia New York ork Yankeess ha segnato un record tutt’oraa imbattuto: imbattuto: 56 partite consecutive con almeno meno una battuta b valida.

Il grande campione italiano diventato famoso in America Nel 1954 Di Maggio sposa Marilyn. La loro sarà una breve seppur intensa storia d’amore. I matrimoni furono la specialità di Joe: ne collezionò altri con alcune star d’allora ltre che per il baseball, Joe Di Maggio fu popolarissimo per via dei suoi molteplici matrimoni con le dive di Hollywood, da Antonellina Squaquaroni a Marilyn Monroe, da Liz Taylor a Maria Sung. In realtà non furono tutti matrimoni d'amore, ma piuttosto delle trovate pubblicitarie, Ne 1954 Joe Di Maggio, dopo l’addio al baseball, sposò Marilyn Monroe. Agli esordi di una promettente carriera, era lei la star più desiderata di Hollywood. La loro unione fu celebrata davanti al giudice di pace a San Francisco mentre consumarono la luna di miele in un modesto motel da sei dollari a notte. Joe lo scelse perché «aveva la televisione». Mentre per

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gli americani Joe era già la leggenda del baseball, il resto del mondo si preparava ad accettarlo come l’ex marito della Monroe. La sua tormentata storia d’amore si concluse nove mesi dopo. Marilyn aveva scoperto che essere sposata a Joe era come vivere con un mobile: lui era nella stessa stanza ma non riusciva a comunicare. Divorziarono durante le riprese del film Quando la moglie è in vacanza. Questa separazione gli spezzò il cuore. Joe non la dimenticò mai e quando Marilyn morì, fu lui ad organizzare il funerale e, fedele al suo codice di privacy, limitò a 30 il numero di partecipanti.

SUL PROSSIMO NUMERO OBIETTIVO PUNTATO SUL FOOTBALL AMERICANO


Ogni anno a gennaio si apre una finestra suppletiva di compravendite. Per saperne di più abbiamo intervistato Giampiero Pocetta, agente FIFA e procuratore di grande esperienza ercato di riparazione, lo dice la parola stessa: porre rimedio a ciò che non è stato fatto e casomai aggiustare ciò che si è fatto. E gennaio è il mese della finestra di questo mercato per quel che concerne il calcio.

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Un mercato più in sordina rispetto a quello estivo che fa vivere di sogni ogni tifoso. Comunque anche questa sezione tiene vivo l’ambiente che spera sempre in qualche colpo a sensazione. Del mercato invernale ne parliamo con Giampiero Pocetta,, romano,, 4 48 anni da p compiere, uno degli agenti Fifa più preparati e abile procuratore. N Nella sua nutrita scuderia di assistiti figu figurano calciatori di alto livello tra i q quali Amauri. Prima di mettersi dietro ad una scrivania, Pocetta ha giocat giocato al calcio da centrocampista, inanella inanellando 263 presenze tra i professionisti. Ha smesso nel 1999, diventando agente age Fifa nel 2002. Abile mediatore inter internazionale, riscuote la fiducia di socie società e calciatori con mandati specifici. Ha un grande rapporto professionale e di amicizia con Ernesto Bronzetti. PocetPo ta adora il calcio, è uno che prefer preferisce

di Paolo VALENTE

i campi di calcio alla ribalta, studia con scrupolo le videocassette e spesso è in viaggio all’estero a cercare talenti. Sentiamolo. Quando è nato il mercato di riparazione? «La sua nascita si colloca storicamente negli Anni Cinquanta. Conseguenza della guerra, nelle squadre mancavano i giovani, i rincalzi e le alternative agli anziani ed alle ex-promesse. Anche nelle squadre più blasonate giocavano molti stranieri ai quali l’Italia aveva aperto le frontiere con eccessivo entusiasmo e con superficialità di valutazione tecnica, per quella naturale contrapposizione alla lunga autarchia. Il mercato nasce quasi spontaneo. Lo tiene a battesimo lo stravagante principe Raimondo Lanza di Trabia del quale si raccontano fin troppi aneddoti: ama le corse automobilistiche e le

GIAMPIERO POCETTA Nato a Roma (1965), prima di vestire i panni di procuratore ha giocato al calcio nel ruolo di centrocampista. Ha collezionato 102 presenze e 3 reti nella Serie D, 86 presenze e 1 rete in Serie C2, 159 presenze e 4 reti in Serie C1 e 18 presenze in Serie B con la maglia del Palermo. È Agente Fifa. Cura gli interessi di importanti calciatori tra cui Amauri (nella foto).

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spq ort Torosidis, Pereirinha e Saha: ecco i volti nuovi di Roma e Lazio

donne di Cinecittà, vuol fare del Palermo la rivale della Juventus e non bada a spese, non gli mancano i quattrini per appagare le ambizioni. E si racconta che acquistasse il centrocampista laziale Fuin solo per il gusto di vederlo palleggiare nel suo giardino...». Ma che cos’è il mercato di riparazione, come si svolge? «Il mercato di riparazione è in buona sostanza una finestra temporale (28 giorni circa) dove le società cercano di risolvere i problemi evidenziati nella prima parte di campionato». Acquisti e cessioni in questa sezione hanno prodotto miglioramenti? «L’intenzione (spesso rimane tale) è quella di migliorare i rispettivi organici». Se non si fanno veri affari a che cosa serve allora? «La storia insegna però che in qualche caso dei buoni affari sono stati conclusi, tra questi mi vengono in mente Stankovic, Cordoba, Adriano, Cassano, Beckham e Desailly. Mentre tra gli acquisti meno “fortunati“ spazio a Fabio junior, Edmondo o José Mari». Gennaio potrebbe essere casomai propedeutico per allacciare rapporti fra club per eventuali trasferimenti a giugno? «I rapporti tra i club sono ormai costanti durante tutta la stagione e spesso un affare sfumato a gennaio si ripropone a luglio». Hai mai consigliato a un tuo assistito di aspettare giugno per un trasferimento? «Ritengo spesso difficile il mercato di gennaio e soltanto in casi estremi consiglierei un trasferimento ad un mio assistito». Credi che una volta trasferito a gennaio, il calciatore fatichi a inserirsi nel nuovo club? «Spesso l’inserimento è direttamente proporzionato al vero interesse nell’acquisizione di un calciatore da parte di un club, spesso avvengono scambi di giocatori tra club solo per “cambiare visi” nello spogliatoi».

GLI AFFARI DELLE ROMANE

Mercato di gennaio in sordina per Roma e Lazio. In entrata per i giallorossi è arrivato il greco Vasilis Torosidis, classe 1985, prelevato dall’Olympiakos per 400.000 euro. Si lega alla Roma fino al 30 giugno 2015. Una sola cessione: Tallo al Bari. Più movimentato il mercato biancoceleste, ma più per le uscite che per le entrate. Due volti nuovi: il portoghese Pereirinha, prelevato dallo Sporting Lisbona a costo zero. Il suo contratto con il club arriverà al 2016. E il francese Saha, svincolatosi dal Sunderland. Sfiorato al fotofinish l’ingaggio di Felipe Anderson dal Santos. Nutrita invece la lista dei partenti: Rocchi e Carrizo all’Inter, Scaloni all’Atalanta, Zauri e Sculli al Pescara, Cinelli al Vicenza, Matuzalem al Genoa, Mendicino al Como.

IL MERCATO INVERNALE Fino al 1995 oltre alla normale sessione estiva, si teneva solo una sessione autunnale, dal 1 al 31 ottobre e c’era la regola che un giocatore che aveva già disputato almeno un minuto nel suo club non poteva più essere trasferito. Nel 1996 la finestra del mercato di riparazione cambiava data e regole: il periodo delle compravendite slittava al mese di gennaio e decadeva il vincolo che impediva ad un calciatore che avesse già giocato di essere ceduto.

TOP&FLOP

I trasferimenti più importanti del mercato di gennaio negli ultimi 15 anni

Gennaio 1998: la Fiorentina ingaggia Edmundo per 13 miliardi. Incide poco, un anno dopo molla. Gennaio 2000: la Roma acquista Nakata. Alti e bassi ma il merito di aver contribuito alla conquista dello terzo scudetto giallorosso grazie al suo gol alla Juventus. Gennaio 2004: Dejan Stankovic lascia la Lazio e approda all’Inter dove comincia con un’insperata qualificazione Champions. Gennaio 2006: la Roma cede Cassano al Real Madrid per 5 milioni ma in Spagna non brillerà. Gennaio 2007: Ronaldo passa dal Real al Milan per 7,5 milioni di euro: 7 gol in 14 gare. Gennaio 2007: il giovane e sconosciuto Cavani passa dal Danubio al Palermo per 5 milioni. Gennaio 2008: arriva Pato al Milan per 22 milioni. Gennaio 2010: Goran Pandev lascia la Lazio e approda all’Inter. Gennaio 2010: Luca Toni passa dal Bayern Monaco alla Roma. Gennaio 2011: Cassano lascia la Samp per il Milan: con 4 gol in 17 partite contribuisce allo scudetto. Gennaio 2011: Amauri al Parma, Matri e Barzagli alla Juve, Nagatomo, Ranocchia e Pazzini all’Inter. Gennaio 2012: Guarin all’Inter, Candreva alla Lazio, Gilardino al Genoa, Borriello alla Juve. Gennaio 2013: Balotelli al Milan, G. Rossi alla Fiorentina, Schelotto e Kovacic all’Inter, Anelka alla Juve

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Lo sport a Roma, prima della Breccia di Porta Pia? Poco e non organizzato. La pratica sportiva la portarono i bersaglieri al loro ingresso nell’Urbe. Introdussero discipline come il tiro con la pistola e fucile, la scherma, il ciclismo. Il mondo militare, insieme ai giovani che frequentavano il Tevere, fecero lo sport a Roma a tanti anni si fa un gran parlare del contributo che gli atleti militari danno allo sport italiano. Un dibattito che negli ultimi anni si è acceso fino a infiammarsi. Soprattutto in occasione dei Giochi olimpici, estivi e invernali, l’argomento torna in voga e sempre più spesso con toni polemici. «Se non ci fossero i militari non avremmo vinto le medaglie». Quante volte si sente o si legge questa frase durante e soprattutto al termine di un’Olimpiade? Spesso. In realtà gli stessi atleti vincono anche la maggior parte delle medaglie nelle altre competizioni internazio-

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nali, campionati europei, coppe del mondo, mondiali, e ovviamente titoli italiani. Ma la risonanza è inferiore e quasi non ce ne accorgiamo. In realtà il binomio sport-militari ha radici profonde. Il riferimento non è agli atleti militari, ma alla “nascita”, o più correttamente alla diffusione della pratica sportiva in Italia, e a Roma, di alcune delle discipline sportive che storicamente hanno contribuito ad arricchire il medagliere italiano nelle grandi competizioni. Ovviamente parliamo di sport moderni, come li conosciamo oggi, non di quelli antichi.

di Federico PASQUALI Getty Images

spq ort


LE MEDAGLIE OLIMPICHE ITALIANE NEGLI SPORT “MILITARI” Ecco nel dettaglio quante medaglie sono state conquistate dagli italiani ai Giochi olimpici negli sport di origine militare. ANA OLO ISTICA OM AV T R / R M. A O O E NDO LON NO A EGN STICA AZION O REC H S ON M A M G T I I FO I ALPI R S A A A T A C I E T I D A T N L THL R O I H U T N L BIA SC SC PE MA VE LO EQ GIN TIR CIC SC

35

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7 3

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28 34 GIOCHI ESTIVI

TOT. 316

121

TUTTE LE MEDAGLIE ITALIANE NEGLI SPORT ESTIVI Sport Oro Arg.to BronzoTotale Scherma 48 40 33 121 Ciclismo 33 16 9 58 Atletica 19 15 26 60 Pugilato 15 15 17 47 Ginnastica 14 6 10 30 Tiro 12 12 11 35 Canottaggio 10 14 12 36 Equitazione 7 9 7 23 Lotta 7 4 9 20 Canoa/kayak 6 6 4 16 Sollevamento pesi 5 4 5 14 Nuoto 4 4 10 18 Pallanuoto 4 2 2 8 Tuffi 3 4 2 9 Vela 3 3 8 14 Judo 3 3 7 13 Pentathlon moderno 2 2 3 7 Tiro con l’arco 2 2 3 7 Taekwondo 1 1 1 3 Calcio 1 0 2 3 Pallavolo 0 2 3 5 Pallacanestro 0 2 0 2 Tennis 0 0 1 1 Totale 199 166 185 550

NEGLI SPORT INVERNALI Sport Sci alpino Sci di fondo Slittino Bob Pattinaggio di velocità Short track Skeleton Biathlon Snowboard Pattinaggio di figura Combinata nordica Totale

Oro ArgentoBronzoTotale 13 8 7 28 9 12 13 34 7 4 5 16 4 4 4 12 2 0 1 3 1 2 2 5 1 0 0 1 0 1 2 3 0 1 1 2 0 0 1 1 0 0 1 1 37 32 37 106

Uno schermidore dell’Ottocento

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GIOCHI INVERNALI

TOT. 65

BINOMIO ANTICO Vincenzo Cuoco, scrittore, giurista, politico, saggista ed economista italiano, nato nel piccolo paese di Civitacampomarano, trasferitosi a Napoli, divenuto seguace di Gaetano Filangeri, scrive la seguente nota: «Non vi può essere una buona educazione letteraria disgiunta da una educazione fisica e militare». Educazione fisica e militare, dunque il Cuoco conosceva la pratica ginnica e l’addestramento militare e una disciplina di origine cavalleresca, e militare, la scherma, la inserì nei primi anni dell’800 nei collegi napoleonici del sud. Naturalmente i collegi erano frequentati solo da persone appartenenti ai ceti sociali più alti, dunque la pratica non si diffuse ampiamente. Sempre negli stessi anni il ginnasta svizzero Rodolfo Obermann, viene chiamato a Torino sotto il regno di re Carlo Alberto per insegnare l’educazione fisica agli allievi dell’Accademia Militare. E dopo la lunga esperienza con i militari, nel 1844 Obermann fondò la Reale Società Ginnastica di Torino, una delle più antiche società sportive del mondo. Una realtà civile, dunque fuori dall’ambiente militare. E sono ancora i militari, pochi anni dopo, a introdurre lo sport “moderno” a Roma. Sono stati i bersaglieri, con la breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870, a portarsi dietro come una scia le prime discipline sportive: ginnastica, tiro a segno e scherma. Tre delle di-


GLI SPORT RISERVATI AI SOLI MILITARI

Pentathlon Militare Tiro: a una distanza di 200 metri, i concorrenti sono stati sottoposti separatamente per la precisione (10 colpi in 10 minuti) e a fuoco rapido (10 colpi in un minuto) di tiro. Salto ostacoli: i concorrenti sono impegnati percorso a ostacoli di 500 metri con 20 ostacoli. Nuoto con ostacoli: i concorrenti devono nuotare una distanza di 50 metri, di cui quattro ostacoli. Lancio: i concorrenti sono stati sottoposti separatamente per la precisione e distanza di lancio. Nella prova di precisione, i concorrenti tirano 16 proiettili (granate morti) contro obiettivi al suolo a distanze variabili. Corsa campestre: i concorrenti sono impegnati in una corsa 8 chilometri.

scipline sportive di origine militare, tre delle discipline che hanno regalato più medaglie olimpiche allo sport italiano: soprattutto la scherma. Prima dei bersaglieri nello Stato Pontificio lo sport era praticamente inesistente. Dopo di loro, invece, iniziò a diffondersi, anche se solo tra gli aristocratici, perché il popolo doveva pensare a ben altro per sopravvivere. La diffusione popolare iniziò grazie al Tevere. Fu tra Ponte Margherita e porto fluviale di Ripetta che lo sport si diffuse alla fine dell’800 tra il popolo, con la pratica del nuoto e del canottaggio.

Pentathlon Aeronautico

Pentathlon Navale

Tiro: a una distanza di 200 metri, i concorrenti sono stati sottoposti separatamente per la precisione (10 colpi in 10 minuti) e a fuoco rapido (10 colpi in un minuto) di tiro. Nuoto con ostacoli: i concorrenti devono nuotare una distanza di 50 metri, di cui quattro ostacoli. Scherma Pallacanestro (tiro a canestro ad ostacoli e tiri liberi) Evasione (prova mista comprendende un percorso ad ostacoli ed una prova di Orientamento).

Percorso ostacoli: il concorrente corre su una distanza di 305 metri (richiama il percorso, con difficoltà, che il marinaio compiva all’interno delle navi). Percorso di salvataggio: prova che si disputa in piscina (richiama le gesta del componente dell’equipaggio quando si adopera per il salvataggio di un uomo caduto in mare). Percorso di nuoto utilitario: il concorrente esegue una prova di nuoto con le pinne e il trasporto del fucile subacqueo, la prova si disputa in piscina. Percorso di tecnica navale: consiste nell’arrampicarsi su un pennone (a simboleggiare l’albero maestro della nave) e poi continuando la prova su un battello tra delle boe. Percorso anfibio: 2500 metri di corsa con il fucile e quindi, similmente al biathlon ma all’asciutto, il tiro a cinque bersagli.

GLI SPORT DI DERIVAZIONE MILITARE Se si prendono in considerazione non solo le discipline di chiare origini militari, come gli sport legati alle armi, tiro a volo, tiro a segno e scherma, e quelli legati all’aviazione, il volo e il paracadutismo, ma anche quelle con una certa assonanza o diffuse prima come pratiche militari poi come sport, la lista si allunga. La stessa ginnastica ha origine dall’esercizio fisico praticato come addestramento dai militari, gli sport da combattimento come la lotta, lo sci alpino e lo sci di fondo, il biathlon olimpi-

GLI ATLETI (MILITARI E CIVILI) AI GIOCHI OLIMPICI DI LONDRA

co, il ciclismo e la vela. Radici più chiare li hanno sicuramente la marcia, l’equitazione e il pentathlon moderno. Non a caso tutte queste discipline sportive in Italia hanno i loro più importanti rappresentanti, o quasi, arruolati nei corpi sportivi militari. Poi ci sono i veri e propri sport militari, ossia quelli praticabili esclusivamente da chi indossa una divisa, che però non sono ammessi ai Giochi olimpici. Parliamo del pentathlon militare, multisport composto da prove di tiro con la pistola, salto ostacoli, nuoto con ostacoli, lancio delle granate e corsa campestre. Del pen-

ATLETICA LEGGERA BADMINTON CANOA/KAJAK CANOTTAGGIO CICLISMO GINNASTICA JUDO LOTTA NUOTO NUOTO SINCRONIZZATO PALLANUOTO BEACH VOLLEY PENTATHLON PESI PUGILATO SCHERMA SPORT EQUESTRI TAEKWONDO TENNIS TENNISTAVOLO TIRO A SEGNO TIRO A VOLO TIRO CON L’ARCO VELA Totale

Militari 34 1 2 16 4 15 9 1 23 2 0 2 4 1 7 19 3 2 0 1 6 8 5 7 182

Civili 5 0 6 7 10 3 0 0 12 0 24 2 0 0 0 0 0 0 7 1 0 0 1 4 106

% Militari 87,1 100,0 33.3 69,5 28,5 83,3 100,0 100,0 65,7 100.0 0,0 50,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 0,0 50,0 100,0 100,0 83,3 63,6 63,1


LE DATE DI NASCITA DEI GRUPPI SPORTIVI MILITARI ITALIANI

tathlon aeronautica, multisport composto da prove di tiro con la pistola, nuoto a ostacoli, scherma, pallacanestro e evasione (prova mista comprendente un percorso ad ostacoli e una prova di orientamento). E del pentathlon navale, multisport che comprende percorso a ostacoli, percorso di salvataggio, percorso di nuoto utilitario, percorso di tecnica navale e percorso anfibio. SPORT MILITARE? IL 60% DELLE MEDAGLIE ITALIANE Complessivamente le discipline sportive di origine militare, derivate o con radici nelle pratiche militari, pesano quasi al 60% nel medagliere azzurro olimpico, considerando sia le edizioni estive sia quelle invernali. Conti alla mano, nelle edizioni olimpiche alle quali hanno partecipato atleti italiani, dai Giochi estivi di Parigi del 1900 a quelli di Londra 2012, da quelli invernali di Chamo-

1911 Fiamme Gialle

1954 Fiamme Oro

1935 Gruppo Sportivo Marina Militare

1955 Gruppo Sportivo Forestale

1938 Gruppo Sportivo Vigili del Fuoco

1960 Centro Sportivo Esercito

nix del 1924 a quelli di Vancouver del 2010, il bottino totale delle medaglie conquistate in tutte le discipline e specialità, incluse quelle non più ammesse, è di 656. Bene, 381 di queste medaglie sono state vinte negli sport che abbiamo inserito tra quelli di origine militare. La sola scherma, campionessa di medaglie, ne ha conquistate 121. Il bottino ai campionati del mondo, europei, alle prove di coppa del mondo e ai campionati italiani, nemmeno a dirlo, è sterminato. Noi abbiamo preso in considerazione solo quello olimpico perché universalmente riconosciuto come “metro” per misurare la forza sportiva agonistica di una nazione. GLI ATLETI PIÙ FORTI Altro discorso riguarda gli atleti dei gruppi sportivi militari. Fino a qualche decennio fa, complice anche la mancanza di gruppi sportivi (quello delle Fiamme Azzurre, ad esempio, è nato

L’ORGANISMO MONDIALE DEGLI SPORT MILITARI Il CISM - Conseil International du Sport Militare - ossia il Comitato Internazionale Sport Militari, è l’associazione internazionale che governa lo sport militare e che organizza, ogni quattro anni a partire dal 1995 i Giochi mondiali militari, e periodicamente le edizioni dei campionati mondiali militari delle varie discipline sportive a partire dal dopoguerra. Il CISM venne fondato il 18 febbraio 1948 con l’ambizioso obiettivo di stringere relazioni permanenti tra le Forze Armate di tutto il mondo nel campo dello sport e dell’educazione fisica. Il motto che venne scelto “Friendship through Sport” ne spiega le finalità: quella di conferire alle Forze Armate, mediante lo sport, una rivalità esclusivamente agonistica. Il CISM è attualmente l’unica organizzazione multisportiva militare internazionale, cui aderiscono 127 Paesi e nella quale si riconoscono circa 40 milioni di persone. Come cita il suo Statuto, è un organismo apolitico e non profit, dove lo sport militare è visto come un pilastro fondamentale dello sport internazionale e della pace universale e basato su principi di elevato valore etico e morale. Attualmente sono 24 gli sport in seno al CISM.

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1962 C.S. Aeronautica Militare

1964 Centro Sportivo Carabinieri

1983 Fiamme Azzurre

soltanto nel 1983), la maggior parte delle medaglie olimpiche venivano conquistate da atleti civili. Da qualche tempo, e oggi sempre di più, il “monopolio” degli atleti militari è quasi totale. Basta pensare che ai Giochi olimpici di Londra 2012, delle 28 medaglie conquistate dalla spedizione italiana, 26 sono state ottenute da atleti con la divisa (in pratica tutte quelle conquistate negli sport individuali). E in una delle due medaglie di squadra, quella della pallanuoto (l’altra è stata centrata dalla Nazionale di pallavolo), c’erano in squadra due rappresentanti delle forze armate. Tanto per capirci, facendo qualche nome noto ai più, i fratelli Piero e Raimondo D’Inzeo, Stefania Belmondo, Valentina Vezzali, Antonio Rossi, Giovanna Trillini, Alberto Tomba, Deborah Compagnoni, Armin Zöggeler, Aldo Montano e Carolina Kostner sono, o sono stati, tutti atleti militari.


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Enrico Toti

UN EROE IN BICICLETTA

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a storia di Enrico Toti è nota a tutti gli italiani, almeno così è abituato a pensare chi ha già i capelli bianchi. Non tutti i giovani, però, sanno bene chi è stato questo eroe italiano. E in pochi hanno ben presente che razza di sportivo, diciamo per caso, fosse questo romano verace nato nel 1882 e morto da eroe di guerra il 6 agosto 1916 a Monfalcone. Ve la riassumiamo noi, mettendo l’accento sulle sue imprese ciclistiche. Roba di altri tempi, e altro che Giro d’Italia e Tour de France. Partendo dalla sua “tragedia”, che lo rese ancor di più eroico. Giovanissimo (era il 1897) si imbarcò come mozzo sulla nave Ettore Fieramosca, poi sulla corazzata Emanuele Filiberto e in seguito sull’incrociatore Coatti. All’epoca i mari erano solcati anche dai pirati e nel 1904 Toti venne coinvolto in uno scontro sul Mar Rosso. Nel 1905 venne assunto come fuochista nelle ferrovie e nel 1908 mentre stava lubrificando una locomotiva a Colleferro perse l’equilibrio e la sua gamba sinistra venne incastrata e stritolata dagli ingranaggi in movimento. L’arto dovette essere amputato fino al bacino. Sorretto da una grande forza di volontà, nel 1911, pedalando in bicicletta con una gamba sola, partendo da Roma raggiunse la Francia, il Belgio, l’Olanda, la Danimarca, fino a raggiungere la Finlandia e la Lapponia e proseguì ancora verso la Russia e la Polonia:

il suo rientro in Italia avvenne nel giugno del 1912. Ma la sua impresa non era terminata e l’anno successivo partì nuovamente in bicicletta: da Alessandria d’Egitto raggiunse il confine con il Sudan, ma le autorità inglesi, giudicando pericoloso il percorso, lo obbligarono a porre termine al viaggio e lo rimandarono a Il Cairo da dove fece ritorno in Italia. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Enrico Toti voleva arruolarsi, ma tutte le sue domande furono respinte. Decise di raggiungere ugualmente il fronte in bicicletta arrivando nella località di Cervignano del Friuli, dove venne accettato come volontario civile e destinato ai servizi non attivi: fermato dai carabinieri di Monfalcone fu costretto da questi a tornare alla vita usuale. Solo nel 1916, in seguito all’interessamento del Duca d’Aosta, venne destinato al Comando Tappa di Cervignano del Friuli come volontario civile nella brigata “Acqui”, riuscì ad ottenere il trasferimento nei bersaglieri ciclisti dove ottenne l’elmetto da bersagliere e le stellette. Nella battaglia dell’Isonzo del 1916 che decise la presa di Gorizia, Enrico Toti mentre stava svolgendo un attacco ad est di Monfalcone con il suo reparto, venne colpito dal nemico ed eroicamente scagliò la propria gruccia verso l’avversario: poi venne colpito a morte.

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Sy con lalvester tuta d Stallo el Bo rgo Pne rati

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di Laura CIRILLI

Alla vigilia delle riprese del primo film della serie di Rocky, Stallone si recò nella palestra di Borgo Prati per prendere spunti sugli allenamenti. Una storia da raccontare...

QUANDO

BALBOA

SCOPRÌ

ROMA

ylvester Stallone si stava preparando per il suo film più importante. Un pugile italiano di nome Rocky Balboa che spopolerà in America e in tutto il mondo. E Stallone, pochi lo sanno, scelse la palestra di Borgo Prati per prendere nota sugli allenamenti che vi si svolgevano prima di iniziare le riprese di Rocky… «Sì certo! Lui è voluto venire qui perché voleva vedere come ci si allenava veramente! Nell’incontro con Ivan Drago si nota proprio questa differenza: il russo usava molto la tecnologia durante gli allenamenti mentre lui, preferiva andare a correre sulla neve! Questa è un po’ la nostra filosofia che ci accompagna da più di 100 anni. Ogni tanto mi chiedo come tanta

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S Y L V E S T E R

gente possa venire ancora qui dopo che sono state aperte palestre più moderne poi capisco che noi abbiamo un fascino che le altre non hanno, un aloe indistinguibile che ci caratterizza…». Sudore, onore e lealtà: è questo quello che si respira varcando la soglia della palestra Borgo Prati, in via Tommaso Campanella, una delle più antiche della Capitale situata nel caratteristico quartiere Prati da cui prende il nome. Alla quale ci si affianca quella di via Orazio dove si pratica la ginnastica. «Girando qui intorno si trovano centinaia di palestre ma solo noi facciamo attività agonistica», tiene a precisare Silvano Ruggeri, vicepresidente dell’Associazione che aggiunge: «Ho iniziato ad allenare nel ’74, dopo aver smesso l’attività agonistica ed ora sono diventato maestro benemerito della federazione. Da allora tutti i giorni sono qui, il mio lavoro era un altro ma questa

S T A L L O N E

A

R O M A

passione l’ho coltivata da sempe». Passione che negli anni ha guidato i vari soci di questa struttura che mise le proprie radici nel lontano 1899… «La nostra è una delle Associazioni più antiche di Roma — aggiunge Ruggeri — Nacque come ricreatorio per i giovani di varia estrazione sociale che volevano curare lo sviluppo fisico ma anche morale, era un punto di ritrovo per chi si voleva migliorare. Negli anni successivi è cresciuta, prima si praticava solo la ginnastica, poi si sono aggiunti gli altri sport fino ad oggi che ne contiamo ben dieci; inoltre è l’unica palestra in Italia a presentare quattro discipline olimpiche: lotta, pesistica, judo e ginnastica. In questi 114 anni abbiamo ricevuto molte stelle d’oro al merito del Coni, la nostra storia è gloriosa ma ci vogliamo distinguere dalle palestre moderne: qui non si fa fitness, qui si fatica!».

SSylvester Stallone St in visita al Campidoglio FFolla in delirio per Sylvester Stallone arrivato lo scorso novembre al Festival internazionale del film di Roma per p presentare il suo ultimo film “Bullet to the Head”. La star di Hollywood è stato accolto sul Red Carpet da decine e decine di fan che lo hanno acclamato al grido di “Rocky”. È proprio vero, il fascino di quel pugile forte ma fragile ancora am ammalia nonostante siano passati oltre trent’anni.

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LA SUA STORIA

Sylvester Gardenzio Stallone, soprannominato Sly (New York, 6 luglio 1946), è un attore, sceneggiatore, rregista cinematoegista eg t , pproduttore r du ro d ttor o e cine or nema matto-ed imprenditore im mprrendi d to tore statunitensta taatu tuni n te ni t nn grafico, scrittoree ed se di origine italiana, alliaana alia n , principalmente prinnci cipa palm lmen ente en te conoosciuto per l’interpretazione erpr er p ettaz azio ioone dei dei due due celebri cel e ebbri cky ky Bal a boa e Jo JJohn hn R Ram ambbo, personaggi Rocky Balboa Rambo, ggoonist s i di due due lunghe llun u gh ghee saghe sagh sa ghe gh entrambi protagonisti hee iniziate ini n zi z atte con co le pellicole pel e lilico cole lee cinematografiche mbo b (1982). (19 1 822)).. SSylvester y ve yl vest s er st e Rocky (1976) e Ram Rambo ato laa su sua fa fama ma all'interpretaallll'i'int inter erpr p et pr etaaStallone ha legato zione di personaggi agg ggi che chhe ri rriescono esco es c no «a pprenderco render re erna ssocietà o ieetà sspesso oc pess pe ssoo ss si la rivincita suu uuna chiusa e corrotta, superando ta, a, ssup uper eran ando do avversità e ingiustizie inngius ingi ustititizi ziee pri r a forza forz fo rzaa grazie alla propria di volontà e fisica». ca» a».. a» Il suo nome è pr pree ebrirità tà sente tra le celebrità della Hollywood woo o d dall Walk of Fame dal 14 giugno 1984. 4. rtee rt Stallone fa parte dell'associazione ne Mensa, che racacccoglie tutte le pererr sone con un quouooziente di intellillligenza superioree al 98° percentile. le. le un Stallone ottiene un 600. punteggio di 160.

ASS.NE SPORTIVA BORGO PRATI QUANTA STORIA

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a storia della Associazione Sportiva Ginnastica Borgoprati ha inizio nel 1899, in 100 anni: 50.000 soci, 2000 titoli, 11 specialità... ma dietro lo schermo dei numeri c'è una storia di umanità. La storia della Borgo Prati è parte della storia di Roma ed è presenza significativa nello sport italiano. Attraverso quattro generazioni la Borgoprati si proietta nel terzo millennio. Nei primi mesi del 1899 l'attuale Associazione Sportiva Borgo Prati inizia il suo cammino. Dai giornali del tempo si apprendono le prime notizie, in modo praticolare "Il Messaggero" di Roma cita due date: il 1° aprile e il 14 agosto. A Roma erano numerosi i ricreatori: il Ricreatorio Luigi Pianciani in via degli Ausoni con fanfara, il ricreatorio popolare di Trastevere diretto da Caramitti, il Ricreatorio Popolare Umberto I in via della Mercede, il ricreatorio Tiburtinodiretto da Tiraboschi, il ricreatorio Prospero Colonna diretto da Graziani, il ricreatorio Natale Del Grande con Andreoli, il ricreatorio Principessa di Napoli, la Società "Pro Infantia" che teneva corsi per lo sviluppo fisico, La Società Ginnastica Roma, etc. Scopo del ricreatorio era quello di accogliere i ragazzi dai 10 ai 18 anni per curarne lo sviluppo fisico e morale, inspirare nei loro cuori l'affetto per la famiglia, l'amore alla patria; inoltre il ricreatorio si proponeva d'impartire l'educazione morale, fisica ed intellettuale degli alunni mediante conferenze, esercizi ginnastici e sportivi, musica, etc. questo istituto mancava nel vecchio rione Borgo e nel nuovo rione Prati se ne sentiva l'esigenza e la necessità. Era il tempo che il maestro elementare sentiva la sua attività anche come missione, di questo Aristide De Rossi ne era un sicuro esempio. Da lui si origina l'idea della costituzione di un ricreatorio popolare nei due rioni, a lui si affiancò un gruppo di insegnanti delle scuole elementari che promossero una giunta esecutiva.

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di Mirko BORGHESI foto: LBM Sport

La tecnologia aiuta a personalizzare la calzatura per ogni atleta attraverso uno screening completo del soggetto affinché si realizzi una scarpa indicata solo per lui orrere, senza avere la benché minima idea di quale scarpa indossare, e delle conseguenze di una scelta errata. È il profilo dell’atleta amatoriale medio, quello che si alza dal divano e, per perdere peso, acquista un po’ a caso, prende e parte. In realtà, dietro questa disciplina, c’è una ricerca continua e ci sono punti vendita pronti a dare risposte e consigli. LBM Sport, sita in Via Tuscolana, è un’azienda leader nel settore, come confermato dal titolare, Gianfranco Balzano: «Noi siamo nati nel novembre del 1981. All’inizio eravamo specializzati nel tennis e nello sci. Parlo del periodo dei tempi d’oro della Compagnoni e di Tomba. Poi è arrivata la flessione ed

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allora mi sono ispirato alla mia passione da sempre, la corsa, ed ho aperto questo negozio. Chiaramente il lavoro ha pagato. Ora siamo conosciuti a livello nazionale grazie ad atleti di punta della nostra squadra, come la Janat Hanane, marocchina, seconda alla maratona di Firenze». Il motivo per cui non bisogna comprare senza un consiglio è elementare. Ci sono fattori medici, fisici e tecnici: «Un problema alla schiena o alle gambe io da può essere a volte causato proprio una scarpa errata. Se un individuoo pesa 90 kg e corre a 6 km\h por-tando una scarpa leggera, avrà mall di schiena. Questo perché non haa capacità ammortizzanti, quindi tut-te le onde shox che non vengonoo

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I Ieri...

Due modelli si fanno largo. L'Adistar Ride dell'Adidas e la Gel-Excess 33 dell'Asics. Il loro livello tecnologico è all’avanguardia Una scarpa cos costruita a maglia. maglia. Adidas e Nike nell'anno nell'annno olimp olimpico hanno lanciato la loro sfida alle trad tradizionali calza ature da running calzature presentando pres sentando adiZero Primeknit Prim meknit e FlyKnit+. FlyyKnit+.

Domani

1850: nasce nassce lla prima scarpa da ginnastica. ginnastica a. Ar Arriva dall'Inghilterra ed è composta compostta da d una suola di gomma e il resto della d tomaia in tela. Questa prima sca rpa si chiamò Plimsoll, poi scarpa rinominataa Sneakers Snneakers negli USA. Un nome che ancora anccora oggi indica questo modello ddii cal calzatura lzatura sportiva

Oggi... Og ggi .

L’altro ieri...

1978: La Nike lancia la rivoluzione con le 'Air'. Tra la tomaia e la suola fu inserita un’integrazione di cuscinetti che avevano al loro interno del gas pressurizzato moltoo denso

assorbite dai sistemi delle scarpe, ricadono sul corpo». Entrare nella LBM Sport è come entrare in un nuovo mondo: «È appassionarsi allo Sport. Noi abbiamo iniziato tantissime persone alla corsa. Qui ci si fa contagiare. Il nostro obiettivo e far fare almeno una gara, perché so che facendo un’esperienza simile la persona si appassiona. Difficile che smetta subito. Forse il segreto sta la. Più si fa e più piace» . Nello specifico, ecco cosa accade la prima volta che mettete piede in que-


sto punto vendita specializzato: «Il nostro lavoro si divide in vari step. Il 1°: Analisi sull’appoggio del piede. Viene fatta su piastra termica l’impronta per vedere se l’arco plantare è alto, basso, medio o se c’è il piede piatto. Successivamente facciamo correre la persona sul tapis roulant dietro cui c’è una telecamera. Con un programma possiamo elaborare quanti gradi d’inclinazione ha il piede della persona e quanta reattività di conseguenza può avere una scarpa rispetto ad un’altra. Fatto questo si passa al 2° step: il modello. Se uno è uno pronatore se ne prende uno stabile, se è un supinatore neutro si va cercare la cosiddetta mvassima ammortizzazione a tre. Chi ha una performance e vuole correre una gara in modo più veloce, si dà l’ a1 o l’ a2 a seconda del peso, del passo e del ritmo. Tutti questi elementi vengono mixati e la risultante è la scarpa che serve. Allo step 3° si presentano i vari brand, oltre 30-40 modelli. A quel punto siamo in grado d’elargire consigli per elaborare delle piccole schede di lavoro. Questo perché c’è anche un approccio che deve essere concepito con una metodologia. Si deve alternare il passo alla corsa per crescere piano piano e non creare poi delle problematiche. Uno può anche correre 30 minuti, sentirsi bene e poi il giorno dopo non muoversi. Il 4° step, l’ultimo è quello della passione. Quando la persona esce stimolata, e vuole correre una gara, noi possiamo dare una mano anche in questo. Abbiamo l’LBM Sport Team, molto ben strutturato, e possiamo accompagnarlo nelle prime competizioni. Recandosi nella location, troverà qualcuno di noi sotto uno stand alla consegna del pettorale. Ci potrà anche lasciare la roba, ed essere assistito da un tutor che lo accompagnerà nel percorso. Avviamo tanta gente in un mondo che diventa un universo. Si comincia con la 10km, poi si cresce per finire magari alla maratona di New York. È un percorso che si sa quando comincia e non quando finisce». Chiusura sui romani: «Nella Capitale si contano almeno 2500 agonisti, più tutti gli amatoriali. Questo perché la corsa è anche benessere. Si producono endorfine che combattono tensioni ed ansia».

LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELL’ATLETA

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Alcune fasi nella elaborazione dati che consentano di dar vita ad una scarpa personalizzata ad ogni atleta. Sono 4 gli step importanti: 1) analisi sull’appoggio del piede; 2) il modello più adatto; 3) presentazione dei brand; 4) l’aiuto nella disciplina

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L’avventura. In America a 17 anni a cercar fortuna. Due guerre, in Indocina e Algeria come paracaduitista dei Berretti rossi francesi

PARACADUTISTA, ANCOR OGGI VENTI LANCI OGNI ANNO, DUEMILA COMPLESSIVI. UNA TEMPRA FORTE QUELLA DI PHILIPPE LEROY LA CUI VITA È STATA UN ROMANZO, COME QUELLI CHE HA PORTATO SUL PICCOLO E GRANDE SCHERMO. HA AMATO L’AVVENTURA E IL SUD EST ASIATICO: COME YANEZ DE GOMERA IL SUO PERSONAGGIO IN SANDOKAN. E HA STUDIATO IL VOLO COME LEONARDO DA VINCI CHE INTERPRETÒ VENT’ANNI FA. UNA VITA SENZA MAI RISPARMIARSI, LA SUA: PARTÌ PER L’AMERICA GIOVANISSIMO, A CERCAR FORTUNA, NONOSTANTE FOSSE DI FAMIGLIA NOBILE E AGIATA. POI, HA COMBATTUTO DUE GUERRE, IN ALGERIA E IN INDOCINA. E HA FATTO L’ATTORE, QUASI PER CASO. ECCO LA VITA DI PHILIPPE LEROY: UNA STORIA TUTTA DA RACCONTARE.

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Il cinema. Ha girato 189 film in carriera, lavorando con gli attori più importanti del mondo

Lo sport. Campione di Francia nel rugby con il Racing di Parigi. Nella sua vita ha fatto di tutti: bob, offshore, arti marziali. Ed oggi, a più di ottant’anni si lancia ancora dal cielo

di Fabio ARGENTINI

re vite in una. Forse di più. Una passata alla ventura. Parte giovanissimo Philippe e non per soldi. Il papà è un conte, diplomatico dello stato francese, ministro dell’economia. Parte con una nave per le Americhe, allora si diceva così. Ha con sé uno zaino, una tenda, un sacco a pelo, pochi franchi e il necessario per la sua prima avventura... Aveva 17 anni e i pantaloni alla zuava su quel transatlatico in rotta per New York, pagato facendo il mozzo… «Uscivo da un collegio di Gesuiti e non ce la facevo più, è stato il mio primo atto di

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libertà». Sulle navi ci salirà altre volte Leroy. Per tornare dall’America, un anno dopo. E, poi, per partire in guerra, come paracadutista nei Berretti rossi. Prima in Indocina contro i Viet Minh, i movimentisti per l’indipendenza del Vietnam. Nemico difficile e a scoprirlo saranno anche gli americani qualche anno più tardi. Poi ci sarà la Guerra d’Algeria con i suoi due fronti. Quello di Francia con gli attentati del Fronte di Liberazione Nazionale e quello in terra d’Africa. Sette anni e mezzo di uno scontro sen-

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za esclusione di colpi, da una parte come dall'altra. In quella guerra ci fu di tutto: la generalizzazione della tortura, attentati, terrorismo, rappresaglie, napalm. Alla fine gli algerini conquistarono l'indipendenza che fu proclamata il 5 luglio del 1962. Di quella guerra molto è rimasto attaccato alla sua pelle: «Dopo tanti anni - dice - mi ronza ancora nelle orecchie il grido disumano di quello che ho colpito in pancia». La seconda vita è quella dell’attore, fatto per caso e per caso anche in Italia, “esiliato” dopo essere comparso sulle liste che lo accusavano di insurrezione contro il Governo de Gaulle. Attore, già; quello che all'inizio considerava «un lavoro da femminucce», segna una svolta nella sua vita. Sono gli Anni Sessanta, quelli della Roma notturna, delle cene da Otello, del cinema d'autore. Conosce per caso un regista, Vittorio Caprioli. E dopo un film girato in Francia inizierà la sua avventura nel nostro Paese.

E poi lo sport: Leroy è stato rugbista e cavaliere, circense e sciatore. Ma soprattutto paracadutista. Ed oggi, con oltre 80 primavere sulle spalle si lancia ancora. Tre vite. Tutte vissute intensamente... Cominciamo l’intervista. Siamo ospiti a casa, in un borghetto a Isola Farnese, sulla Cassia. Il salotto ha il camino che arde e Philippe, prima di accendere una sigaretta, si domanda se a qualcuno dia fastidio il fumo... Già Leroy. La memoria va per un attimo alla seconda faccia di una stessa medaglia, a Yanez, Yanez de Gomera con quella cicca sempre sul lato della bocca... La sua prima sigaretta? «Risale all'arrivo degli americani a Montpellier nel 1945. Tra le cose che dettero a noi ragazzi, c'era anche una sigaretta, ricordo pure la marca era una "Chesterfield". L'ho fumata in collegio, insieme

agli amici, per goliardia, per gioco, ma non solo: quella cartina arrotolata aveva assunto tutto un suo valore speciale, era la ‘sigaretta della libertà’. Non avevo mai fumato prima, io, uno sportivo, che amava il moto e l'aria aperta. Sono diventato un fumatore poi in Indocina, nel 1954. Laggiù, le sigarette rappresentavano un sur plus, qualcosa che ci faceva passare il tempo e rilassare, visto la grande tensione che c'era». Cosa ricorda della Parigi occupata? «Era cupa. Giravamo con le suole di legno perché non c’era più il cuoio. Ma eravamo giovani e con l’incoscienza di quegli anni: andavamo a sfottere i tedeschi con il fazzoletto bianco, blu e rosso: ho avuto fortuna. Ricordo la paura che si respirava in famiglia: rischiammo molto anche quando ospitammo la resistenza nella nostra casa a sud di Parigi. Mio fratello è dovuto scappare, hanno arrestato mia

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IL SUO ARCHIVIO

FOTO DI UNA VITA

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ato in Francia nel 1930, Philippe Leroy-Beaulieu, nel 1947 a 17 anni, si arruolò come mozzo su un trasatlantico in rotta per New York, e una volta sbarcato rimase in USA circa 1 anno. Rientrato in Europa, esordì come attore nel 1960 nel capolavoro drammatico-minimalista “Il buco” (Le trou) di Jacques Becker, al fianco di Jean Keraudy e Michel Constantin. Si trasferì in Italia nel 1962 ed ebbe un grande successo come co-protagonista dei film “Sette uomini d'oro” e “Il grande colpo dei sette uomini d'oro” (1965). Ha interpretato numerosi film, lungometraggi, fotoromanzi e fiction e divide la sua carriera tra la Francia e l'Italia. La sua più celebre interpretazione in una fiction televisiva è quella legata al grande sceneggiato “La vita di Leonardo da Vinci” del 1971 di Renato Castellani. Tra le sue altre interpretazioni, sono da citare “State buoni se potete” di Luigi Magni (1983), dove Leroy ha interpretato Sant'Ignazio di Loyola, al fianco di Johnny Dorelli (San Filippo Neri) e Renzo Montagnani (Mastro Iacomo/Satana), e il noir-poliziottesco “Milano calibro 9”, al fianco di Gastone Moschin e Mario Adorf. È apparso anche nel film “Nikita” (La femme Nikita) di Luc Besson. Grande successo ebbe lo sceneggiato “Sandokan”. Ha lavorato con i più grandi attori: da Gassman (“I briganti italiani”) a Walter Chiari,, da Peter Sellers a ton Eston ad Ava Gardner, Delon, da Charlton otòò. E poi Thomas Millian, da Manfredi a Totò. C Ingrassia, rivaluFranco Franchi e Ciccio dopo. E poi Eduardo e tati solo anni dopo. poo, Sylva Koscina, Virna Peppino De Filippo, m mma, Lisi, Giuliano Gemma, Gian Maria Volongida, Nino Manfredi, Barté, Gina Lollobrigida, M Placido, Lea bara Bouchet, Michele gnazzi, MarianMassari, Ugo Tognazzi, riaano Celentagela Melato, Adriano essano, Gianno, Enrico Montesano, Buud Spencarlo Giannini, Bud ll. E tanti cer, Terence Hill. eroy, una altri. quella di Le Leroy, naaria. carriera straordinaria.

Su una nave militare verso l’Indocina. È lo stesso Leroy a scrivere sulla foto le sue iniziali

La casa natale del giovane Philippe

Conn Jacq C Co JJacques acque cqques uees Be Beker, eke k r, iill regi re regista egiistta ch che lo lanciò nel grande cinema

In Amazzonia per il film “L’albero dei diamanti”

Leroy in costume mee nel cuore di Milv lvio io Roma, a Ponte Milvio

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nonna e mio zio. Tutto questo mi ha portato, dopo la vittoria, a cercare altre cose. Mentre stavo su quella nave di emigranti, arrivammo in vista di New York e vidi la Statua della Libertà. Erano le 5 del mattino: eravamo tutti sulla poppa e quella statua era bellissima». Leroy, lei partì per l’Indocina, soldato. Cosa ricorda, invece, di quella esperienza? «Eravamo lì per un ideale, perché credevamo di fare bene. Poi, purtroppo, ci rendemmo conto che in quel luogo ci stavamo per difendere il carbone e le risaie. È stata una guerra difficile, molto triste. Ma ho vissuto anche un’esperienza di amicizia, di fraternità fra soldati. Io ho sempre amato vivere fra gli uomini, anche se sono contento di avere un po’ di tenerezza ogni tanto...». Sarà per questo che ha recentemente deciso di fare visita ai militari italiani in Afghanistan? «Nell’aprile del 2011 sono stato in Afghanistan per portare solidarietà ai paracadutisti italiani, ma i francesi non hanno apprezzato questa visita perché pensavano andassi da loro. È stata una visita meravigliosa. Il mio motto è ‘Onore e patria’ ma non sono fascista perché l’esercito obbedisce alle leggi repubblicane...». Come l’hanno accolta i soldati italiani? «Benissimo. Ho trovato dei fratelli. E ho visto il fantastico lavoro che fate, i rapporti di rispetto con la popolazione. Per questo i talebani, che non vivono bene questo legame che solo gli italiani sanno stabilire, tentano sempre attentati

d voi. Gli italiani sono bravi solcontro di dati. Inv Invece gli americani, non capisconien no niente». Torniam all’Indocina e poi all’AlgeTorniamo ria. Cos Cosa significa fare una guerra? «Un gio gioco drammatico. Guardie e ladri, non c’è odio, non ho mai avuto odio, vince chi ch spara prima. Ho 5 medaglie, ho avut avuto fortuna. Anche in quelle guerre. Il ri rischio di lasciarci la pelle era tanto e tanti di noi non ce l’hanno fatta: si potev poteva morire per una scheggia di mortaio che non si capiva bene da doprovenisse o per un’imboscata, che ve prov poteva coglierti all’improvviso mentre si stava marciando su un canaletto di risaie o nella foresta. O anche per una granata mezza innescata pronta a esplode esplodere se il piede incontrava un filo dei Viet steso per terra. La guerra guer laggiù era dura: e anche le zanzare ci divoravano il viso». dalla guerra d’Indocina e... diTornò d ventò a attore. «Tornai accolto come un eroe (a (avevo due onori al merito), cominciai a vendere prodotti chimici e ad allenarmi allenar nel rugby con il Racing Club, squadra di Parigi. Jean Becker, figlio di Jacques Jacque regista francese, era anch’egli socio del Racing: era un pallavolista e schiacciatore straordinario. giorno Becker, presentatomi dal fiUn gior glio, mi disse: “Philippe, vorrei che interpretassi un ruolo nel film ‘Il Buco”. terpreta diventai attore. Impensabile. All’epoE divent ca avevo avev visto solo due film in vita mia: ‘Michele Strogoff’ e ‘La tour de nesle’ ‘Michel torre del piacere) che ci aveva por(La torr la governante pensando tato a vedere v un film storico... ma non lo era. fosse u Mi copr copriva gli occhi durante le scene di orge». spinte d Poi la g guerra d’Algeria. Dall’Indocina tornò ccon le medaglie. Dall’Africa da reietto. reietto «Tornai in Francia all’alba di sabato 22 aprile 1961. La radio annunciò il colpo co di Stato ad Algeri. Alcuni genera generali francesi organizzarono un complo complotto per una Algeria francese e contro d de Gaulle. Io aderii alle idee dei golpisti. Ero a capo di una compagnia golpisti nei sott sotterranei di Vincennes, con obiettivi stab stabiliti: attendevamo ordini per ro-

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vesciare il governo che, nel frattempo, fece arrestare i nostri compagni. Ovviamente, oggi riconosco il senso inesorabile della storia e il diritto dell’Algeria ad essere indipendente. Piuttosto che essere arrestato, tra Belgio e Italia scelsi di attraversare il Colle San Bernardo. E, valicato il passo, cominciò una nuova vita». Dopo la guerra ha deciso di vivere in Italia... «Il vostro Paese mi ha accolto. Mi ha dato molto come uomo, come artista. Incontrai Vittorio Caprioli a Piazza del Popolo che stava girando ‘Leoni al sole’. Mi disse: “Philippe che fai qui? Vieni con noi”. Mi conosceva perché avevo già fatto l’altro film, ‘Il buco’». Cosa pensa di Roma? «Roma è la più bella città del mondo, gli italiani mi hanno insegnato la generosità. I parigini non sono così solari, i romani hanno cuore, non sapranno far politica, ma hanno cuore. Mi hanno accolto bene, mi chiamavano Philippe, non signor Leroy, è stato da subito bellissimo». Come era Roma in quegli anni? «Vespe a destra, Vespe a sinistra, sopra in due o tre. Gregory Peck e Audrey Hepburn avevano lanciato la moda. La Vespa e la Fiat 500 erano in ogni casa e gli italiani potevano spostarsi e portare i figli al mare. Il Lungotevere era a doppio senso, il cannone del Gianicolo tuonava a mezzogiorno. Rosati a Piazza del Popolo, era il luogo di ritrovo dei pittori d’avanguardia. A Roma c’erano i divi di Hollywood: Burt Lancaster e tutti gli altri. Nelle discoteche alla moda tutti cantavano in fila facendo tre passi avanti e tre sul fianco, poi tre dietro sgolandosi a cantare ‘Hulli gully’: bisognava proprio avere una rotella in meno per ballare una cosa del genere... Il caffè costava 40 centesimi, c’erano i grandi maestri del cinema, scrittori americani, Truman Capote, la filarmonica di Berlino, c’era una cultura fantastica che si è completamente persa». E le donne italiane? «Meravigliose. A

Roma, quando il tempo era bello e le ragazze mostravano le proprie risorse, grazie anche ai primi bikini, andavo a fare il bagno a Fregene. L’acqua era limpida, non come oggi, e la spiaggia era la più ‘in’ del litorale. Ci si trovava il cinema italiano al completo e gli incorreggibili palestrati. Era l’epoca del boom dei centurioni e dei giochi circensi, dei ‘Maciste’ e degli ‘Ercole’ vari. Zucche vuote e le donne dicevano, rispetto al pistolino, che quegli omoni erano anche piuttosto scarsi». Dove abitava? «A Trastevere, un quartiere in cui mi sentivo a mio agio. Pranzavo ogni giorno alla ‘Trattoria dei ladri’. Le carrozzelle la sera tornavano dopo aver portato i turisti. Mi ero comprato una Harley Davidson». Abitudini italiane? Il caffé, ad esempio? «Ci sono mille modi per ordinare il caffé in Italia: in tazza grande o piccola, in vetro, ristretto o normale, con panna o una lacrima di latte, corretto, zuccherato (normale, di canna o dolcificato) o amaro, decaffeinato, d’orzo o al ginseng... ma è sempre meglio dell’acqua sporca che ti servono in Francia, che noi chiamavamo “succo di calze”». Cosa pensa degli italiani. Sia sincero. «Nei ristoranti è impossibile sentirsi, tutti gridano. Gli automobilisti ignorano i semafori e i pedoni non attraversano quasi mai sulle strisce. Il calcio suscita fervori e i muri sono tappezzati di scritte ingiuriose. Ho imparato in Francia ad aprire le porte alle signore e a lasciarle passare. Ma a Roma sfileranno inesorabilmente dietro di loro una decina di persone facendomi sentire portiere d’albergo. Certo, noi francesi ci siamo a volte presi gioco dei cugini transalpini, eppure nella mia compagnia, durante la permanenza in Indocina, ho conosciuto un sergente ‘italiano’ naturalizzato francese che era uomo di un coraggio superiore, pluridecorato. Vivo in Italia da oltre 45 anni: e anche se penso che tanti siano maleducati, caciaroni, che siano traffichini, pensino solo a scopa-

re e a tirare in causa la mamma per ogni cosa (“Mamma mia!”), gli italiani sono un popolo generoso. Mi hanno adottato e coccolato. Sono oggi la mia famiglia» i i . E dei romani, che pensa? «Quelli veri, che voi chiamate “di sette generazioni” sono generosi, ironici, onesti. Ma Roma, negli anni, si è tanto imbastardita. Oggi i nuovi “romani” non sono più gli stessi di ieri». Quale pellicola le è rimasta attaccato addosso? «Sandokan perché quel personaggio mi rappresentava in pieno. In Yanez c’era lo spirito d’avventura, la presa di posizione contro il capitalismo, il senso di comunità e la difesa dei più deboli. Ho amato girare quella pellicola perché respiravo gli odori della mia vita reale, quelli della foresta, del mare, gli odori dell’Estremo Oriente, d’incenso, di muschio, di cannella. E conoscere i ‘tigrotti’ è stato bellissimo. Gente semplice, amica». Yanez de Gomera, l’amico fraterno di Sandokan. Ironico, flemmatico, con l’immancabile sigaretta ai lati della bocca, sapeva anche fare a fucilate. Riprendeva Sambigliong, uno dei tigrotti, se gli versava troppo latte nel tè ed inventava tranelli in cui cadevano i soldati di Brooke. Si vestiva con estrema eleganza: ad esempio una giacca con bottoni d’oro stretta in vita da una fascia di seta azzurra, pantaloni in broccato, stivali di pelle e cappello di paglia di Manila. A tracolla una carabina indiana e due pistole infilate nella cintura. Ma soprattutto, naturalmente, in tasca il suo portasigarette. Quando il film era ancora in lavorazione immaginavate di raggiungere il successo che Sandokan avrebbe poi avuto? «Io no, devo essere sincero. Kabir sì, invece. E si montò presto la testa. Non siamo mai stati amici intimi. Un giorno, durante la lavorazione della seconda serie, Kabir disse: “io sono Dio, voi non siete niente”, a questo punto…».

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di Marco COCHI Direttore ufficio Cooperazione e Solidarietà di Roma Capitale

IN GUERRA

INDOCINA E ALGERIA “L

’Algerie c’est la France”. Con questa peren perentoria nto espressione che non ammetteva replica, il 1° novembre novvem 1954, l’allora a o a primo p o ministro st o dd’oltralpe, o t a pe, Pierre e e Mendès Meend e d France, m metteva etteva il sigillo ad una questione già emersa nel m mag maggio di noavevee anni a prima, quando una rivolta esplosa a Setif, inn Algeria, Al del vaa posto pos o to all’ordine del giorno il problema dell’indipendenza dell’indippen paese colopa aes e e nordafricano, da quasi cento anni sotto dominazione dominaz nial alle fr francese. niale Quel giorno, Qu uel el ggio iioor o, l’Algeria era stata duramente segnata dda uuna serie di iorn attentati, atte at tent te ntat nt a i, chiara dimostrazione che quei nove anni annni non erano passati pass pa s at ss a i invano e che gli algerini avevano creato uuna loro strutttura tu ra di di re rresistenza sistenza per porre fine alla dominazione dominazioone francese. Qu uessta ta sstruttura, truttura, guidata da Ahmed Ben Bella, H Hoc Questa Hocine Ait Ahmed con l’acronime ed e Mohamed M hamed Boudiaf, passerà alla storiaa co Mo mo Fln Fln (Fronte di liberazione nazionale). L’Fln L’FFln darà avvio a una ad una delle maggiori guerre di decoloniz zzaz decolonizzazione della stor st oria or iaa recente, recente, otto anni di sanguinoso con nflit che terstoria conflitto dell’Algeria. mineranno nel 1962 con l’indipendenza ddell Perr combattere Pe c mbattere contro gli indipendentisti, co indipendentisti, un milione e 2200mila 20 0mila soldati francesi sbarcarono al di d là del Mediterraneo. Ventiseimila di essi furono uccisi nel corso corsso degli d sconche tri e 300mila rimasero feriti. Il numero di d algerini a maggiore. persero la vita fu dieci volte maggiore e e. La guerra d’Algeria ebbe fine il 18 ma arzoo 1962 con marzo la firma degli accordi di Evian. Il 3 luglio luuglio gli algerini votarono a maggioranza perr l’indipendenza. Secondo il giudizio dello storicoo An ndrea BrazAndrea zoduro, è stata una «guerra ssen nza nome», senza denominazioni dissimulata con le denominazio oni ppiù varie ed enigmatiche quali “pacificazione” “pacificazionne” o “mantenimento nime ni mento dell’ordine”. ” Per capire meglio m megglio l’impatnegattivvo che che ha h avuto sull’opinione sull’opinionne pubblica to negativo francese, fr ran ance cese se, basti pensare che Parigi Paririgi Pa gi solo nel 1999 19999 ha riconosciuto di aver avveer ccombattuto omba om mbattuto il conflitto in Alge Al Algeria, geria geri ria, a, m men mentre ntre i reduredu

ci furono rifiutati dal proprio paese che voleva lasciarsi rapidamente alle spalle quell’ingombrante pagina di storia coloniale. Anche la guerra francese in Indocina durò otto anni. Tutto ebbe inizio nel novembre del 1946, con il bombardamento francese della città di Haiphong. In conseguenza dell’azione militare, il 19 dicembre 1946, il rivoluzionario vietnamita Ho Chi Minh attaccò i francesi ad Hanoi, dove questi ultimi avevano stabilito la sede del governo guidato dall’imperatore Bao Dai, ultimo regnante della dinastia Nguyen. L’azione voluta da Ho Chi Minh sancì di fatto l’inizio del conflitto, che vide la guerriglia vietminh, guidata dal generale Giap, impegnata in un’intensa attività di contrasto contro le truppe dei colonizzatori che costò la vita a più di 300mila vietnamiti, mentre i caduti di parte francese furono oltre 75mila e quasi 65mila i feriti. La battaglia decisiva ebbe inizio il 13 marzo 1954 nella piana di Dien Bien Phu, passata alla storia per la resistenza eroica e disperata dei francesi, che dopo 56 giorni furono costretti ad arrendersi ai guerriglieri vietnamiti. Così il 7 maggio la bandiera rossa del Viet Minh veniva issata sul campo trincerato francese. La sconfitta costrinse il governo di Parigi ad indire immediatamente una conferenza di pace a Ginevra. Nella capitale svizzera si decise che il Vietnam sarebbe stato riconosciuto indipendente, mentre le due parti accettarono un compromesso provvisorio che stabiliva di dividere il territorio vietnamita lungo la linea del 17° parallelo: il Vietminh avrebbe governato la parte settentrionale, mentre nella parte meridionale sarebbe rimasto al potere il regime di Bao Dai e del suo nuovo primo ministro, Ngo Dinh Diem. Il nuovo assetto della regione uscito dagli accordi di Ginevra, deludeva sia il Vietminh, che nel negoziato guadagnava meno di quanto avesse conquistato in combattimento, sia il regime di Bao Dai, che guardava con preoccupazione al disimpegno francese, ma la logica delle grandi potenze aveva la forza dei condizionamenti politici e militari. Ad ogni modo modo, la conferenza ginevrina sancì la fine ufficiale del dominio coloniale francese in Indocina.


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Kabir Bedi, Sandokan, antipatico. E Carol Andrè, invece? «Deliziosa. Anche Adolfo Celi era un grande attore e un grande uomo. Un gentiluomo. Con lui si poteva parlare anche di altre cose, filosofia, storia, tutto». È più tornato a trovare i suoi tigrotti? «Non sono mai tornato nei posti in cui sono stato felice. Per non rimanere deluso. Quello era un posto fantastico, di pescatori, dove tutto il villaggio veniva al tramonto a guardare il mare. Soggiornavo in un albergo con i ventilatori che giravano lenti sul soffitto: oggi ci sono alberghi tipo Hilton, robe qui. E io dovrei tornare lì? Ma neanche per sogno! Come in America Centrale, come in Thailandia, come in Messico. Grazie alla mia data di nascita ho conosciuto un mondo diverso, bellissimo. Un mondo che voglio ancora ricordare così». Lei non volle fare il seguito di Sandokan, il terzo seguito di Sandokan… «Ma quello di qualche anno fa? Quello di Canale 5? Ho letto il copione, non era più Yanez e dissi di no».

Leroy è sposato con Silvia, la figlia di Enzo Tortora. Un cognome ricordato per la ‘Domenica Sportiva’ e per i ‘Giochi senza frontiere’, per ‘Sabato sera’ condotta con Mike Bongiorno, Corrado e Pippo Baudo, per ‘Il Gambero’ e per ‘Portobello’ con il nome del programma che si ispirava a quello di una strada di Londra, ‘Portobello Road’, famosa per il suo mercatino dell'antiquariato. Ma quel cognome così pesante è ricordato anche per l'incredibile caso di persecuzione giudiziaria di cui fu ingiustamente vittima. Il ‘Caso Tortora’, vedeva il conduttore accusato di essere membro della Camorra e trafficante di droga; in seguito si scoprì che le accuse sul suo conto erano tutte infondate. Ma era troppo tardi. Tortora era ormai consumato nel corpo e nello spirito. Torna in televisione il 20 febbraio del 1987, quando ricomincia con il suo Portobello. La comparsa in video è toccante, il pubblico in studio lo accoglie con una lunga standing ovation. Tortora, invecchiato e fisicamente provato, pronuncia la famosa frase: «Dunque, dove eravamo rimasti?». Entrerà a modo suo nelle case degli italiani. Ma ancora per poco. Morirà a Milano nel 1988.

Philippe, nel cinema lei ha interpretato tanti ruoli legati alla storia italiana, a quale personaggio è più legato? «Sicuramente Leonardo da Vinci. Era un personaggio solo, Leonardo, il genio. All’inizio avevo avuto dubbi e difficoltà sul come interpretarlo. C’era il rischio di farne una statua di bronzo o un cliché tipo cartone animato. Io ho pensato che questo personaggio fosse anche un uomo. Che poteva piangere, che aveva un’anima. Questa chiave di lettura è piaciuta al regista. Per questa pellicola sono stato nominato all’Oscar per l’interpretazione. Andai alla serata e vidi vincere ‘l’ultimo dei Mohicani’. Una giornalista del Los Angeles Times mi disse: “Ci scusi, a nome degli Stati Uniti”, fu un grande complimento».

Lei ha lavorato con tanti attori. Ad esempio nel film ‘Il Terrorista’, con Gian Maria Volonté. «Viveva a Trastevere come me. Era un grandissimo attore, mi piaceva».

La figlia porta il caffè. «È bravissima a scuola, ha 16 anni, è intelligentissima», dice il papà con orgoglio. Arriva in salotto anche la moglie di Philippe. Un cognome pesante il suo.

E di Charlton Heston, cosa ricorda? «Ad esempio che era tirchio: un giorno ci ha invitati a cena, ci ha contati e ha ordinato il numero di bistecche pari a quanti eravamo».

Leroy, nella vita ha fatto molti film, 189 per la precisione. Film in cui ha raccontato tanti fatti italiani. Ha mai pensato di narrare la storia di Enzo Tortora? «Ho conosciuto mia moglie nel 1985. Era nel mezzo a questo tormento spaventoso. Le ero molto vicino e vedemmo con attenzione il copione del film ‘Un uomo perbene’ con Michele Placido. È stato giusto così».

Ava Gardner? «Bellissima donna, mi voleva sedurre ma ho rifiutato. Un giorno doveva girare in mezzo alla folla di Pechino, con migliaia di comparse. Uno di questi cinesi le aveva fatto una fotografia. Il flash l’aveva talmente fatta arrabbiare che volle girare soltanto il giorno successivo». Che rapporti ha avuto con il suo compatriota Alain Delon? «Ho fatto un film con Delon. È un grande professionista, molto bravo e affabile con i tecnici, ma rapporti difficili con gli altri attori». E Depardieu? Giravamo un film che si chiamava ‘Deux’. Vi racconto un aneddoto: durante una scena stavo dietro una staccionata vietandogli di entrare perché aveva fatto soffrire mia figlia. Lui, invece di dire la battuta del copione, mi disse ‘Vecchio stronzo!’». Come mai? «Perché è uno stronzo! Ci vuole umanità per fare l’attore». Vittorio Gassman? «Vittorio per me è un grandissimo attore di cinema, meno a teatro». Walter Chiari. «Bravissimo, ero molto amico con lui». Lea Massari? «La più grande attrice che abbia mai incontrato. Fantastica, le si vedeva tutto negli occhi». Montesano? «Sì, abbiamo legato, simpatico. Sul set era un grande professionista, eravamo amici». Tra le nuove generazioni? «Elio Germano, il più grande tra i nuovi attori, ma nessuno ne parla...». Che differenza c’è tra gli attori francesi e quelli italiani? «La differenza è gia nella denominazione. In Francia è un mestiere e siamo rispettati per questo, in Italia siamo liberi professionisti. L’Italia ha prodotto grandissimi attori. Non parlo dei big perché sono stati grandi e basta. Ma a livello medio noi francesi lavoriamo di più sui personaggi, siamo più professionali. Questo

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deriva dal fatto che il nostro è un mestiere». Parliamo di sport: ha giocato a rugby. «Sono stato campione di Francia nel ’59, era un rugby diverso. La mia squadra era il Racing club de France, famosissimo, c’è la foto». Ma lo sa che, quando ancora il calcio a Roma era praticato da seminaristi inglesi, fu proprio un socio del Racing Club, Bruto Seghettini, a portare agli sportivi della sua Lazio un pallone di nodi di corda? E da quel giorno i romani praticarono il calcio... «L’ho saputo. E, caso del destino, il Racing aveva come colori il bianco e il blu». Paracadutista, prima militare ed ora civile. Un giorno, il 9 gennaio del 2000, si è lanciato allo Stadio dei Marmi

con migliaia di tifosi laziali in festa per il centenario del club. Emozionato? «Tanta gente, colori, fumogeni. Ed era la prima volta che mi lanciavo sopra Roma. Un mix di grandi emozioni. Sono stato atleta della Lazio, nella sezione paracadutismo». Si dice che lei abbia sempre rinunciato agli stuntman. «Io non ho mai avuto una controfigura. In una scena mi sono calato anche da un elicottero. Questa è la parte un po’ folle di me». A cavallo, per esempio, ci andava? «Certo. Ho anche fatto l’unico film western di Tinto Brass...». E poi? Quali altre dicipline? Ci dica tutto insieme. «Ho fatto karate. E la mia guardia del corpo all’epoca di Sandokan, il fedele Samshi, la sera in spiaggia mi

dava lezioni di Seni Silat, arte marziale malese. E poi palestra tutte le settimane, paracadutismo, bob, gare di motoscafi. Sono stato al circo e fatto anche il mangiafuoco. E ad Hanoi ho persino noleggiato tutti i risciò a pedali e organizzato una gara di corsa.... Il calcio non mi piace. Seguo iinvece la squadra italiana di rugby che fa molti progressi adesso». Philippe, rimpiange qualcosa? qualcosa «Ho 80 anni suonati. Potrei raccontar raccontare ancora molto: i viaggi, le pazzie, gli aamori, le sogni mai disillusioni degli incontri, i so realizzati. Quello che conservo nel mio armadio è ciò che la vita mi h ha offerto talvolta un po’ ed io ho afferrato al volo, talvol non rimtroppo in fretta, forse. Ma n piango niente». Quanto all’amore? «È un fi fiordaliso appassisce raccolto tra le erbacce che app molto presto, o perché non lo si è saputo trapiantare con le radici in un vaso ben concimato o perché lo si è momento di stretto troppo forte in un mom egoisticamente - si rabbia o perché - egoisticam ‘vivere’». era troppo impegnati a ‘vivere Il suo sogno? «Vi svelerò che cosa sogno oggi (ma non ditelo a nessuno): esness sere languidamente disteso su una sdraio davanti a un mare smeraldino sme e all’ombra di palme cullate dalla da brezza, circondato da dieci vahiné danzanti il tamuré, con una bottiglia g di Havana Club ghiacciato. Tuttavia, lo ammetto, so che sse lo realizzassi, sarebbe una fuga... p poco gloriosa. Per il momento, quindi, resto». Aurevoir Philippe, alla pross prossima sima avventura.

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IL SUO ARCHIVIO

LEROY, LO SPORTIVO

Leroy fu campione di Francia di Rugby con il Racing di Parigi. Nel 1959

Due campionati del Mondo di bob per Leroy

All’epoca di Sandokan, con la guardia del corpo, il fedele Samshi, che gli diede lezioni di Seni Silat, arte marziale malese

In offshore con il campione del Mondo Bill Wishnick e Bobby Moore, Campione del Mondo di calcio con l’Inghilterra nel ‘66

Al circo fece anche il mangiafuoco A cavallo nell’unico film western di Tinto Brass

P R O F E S S I O N E PA R A C A D U T I S TA «Il paracadutismo è una droga. È la vera libertà che nessuna legge o potere può sottrarre. A 4000 metri gli si porge un bel dito medio. Noi paracadutisti siamo gli unici a sapere perché gli uccelli cantano. ho collezionato 2000 lanci, parecchi per uno che non fa solo questo. E, anche se lo amo, maledico il teatro che ci fa recitare di sabato e domenica, quando tutte le associazioni di paracadutismo sono aperte, mentre sono chiuse di lunedì», Philippe Leroy è paracadutista con la Lazio del Presidente Carmine Della Corte.

Paracadutista, nel giorno del Centenario della S.S. Lazio Nel film su Leonardo da Vinci, nel sogno del volo SPQR SPORT | 121

Il lancio sull’Urbe per gli ottant’anni


«TRA I TANTI PERSONAGGI INTERPRETATI, LA FIGURA DI YANEZ DE GOMERA È QUELLA A CUI SONO PIÙ LEGATO. SARÀ CHE QUEL PERSONAGGIO RAPPRESENTA ANCHE QUEL CHE SONO NELLA VITA REALE». P. LEROY andokan, il pirata della Malesia, la tigre di Mompracem gli italiani li conquistò tutti: venne visto da 30 milioni di italiani, praticamente tutti o quasi quelli che avevano una tv alla quale rimasero incollati per sei puntate. Kabir Bedi, attore a quel tempo sconosciuto, si presentò ai provini nel ruolo di Tremal-Naik: ma il regista Solima se ne innamorò. Vicino a lui, per il ruolo di Yanez de Gomera, avventuriero francese, ironico, intelligente fu scelto Leroy. Con Sandokan lottò contro il colonialismo britannico e per la salvezza dell’isola dei tigrotti, Mompracem.

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Pirateria e nobiltà Sandokan è una sorta di pirata gentiluomo. È alto, bello, affascinante, muscoloso, slanciato ed attraente, sguardo freddo, aria truce e severa in grado di affascinare e di incutere terrore a qualsiasi nemico. Sandokan combatte eroicamente contro il colonialismo britannico, un eroe puro, un personaggio monolitico e privo di dubbi. Lotta con ogni mezzo per la libertà del suo minuscolo regno, l’isola di Mompracem, minacciata, invasa, e infine riconquistata da lui stesso.

Europei, con l’oriente nel cuore Yanez è un combattente eccezionale, audace e fedele fino alla morte come ogni “tigrotto” che si rispetti, ma è soprattutto intelligente ed elegante, astuto e ingegnoso, ironico e sempre ottimista. È dotato di nervi saldi, in grado di sopprimere le proprie emozioni ed agire freddamente senza lasciarsi condizionare dalla situazione. Yanez spesso consiglia al suo amico di essere prudente prima di andare incontro al pericolo.


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I PROTAGONISTI LA LEGGENDA DI MOMPRACEM L’isola di Mompracem è un’isoletta a largo del Borneo, oggi chiamata Keraman. È il covo dell’imprendibile Tigre della Malesia, Sandokan, e dei suoi fedeli uomini, i Tigrotti. Prima dell’arrivo di Sandokan Mompracem era un covo di pirati, ma grazie alla Tigre della Malesia diventa un piccolo regno. Nel primo libro delle avventure di Sandokan, Le tigri di Mompracem, l’isola è conquistata dagli inglesi e ceduta ad un sultano. Solo dopo alcuni anni Mompra-

L’arroganza del potere Detto “lo sterminatore dei pirati”, a modo suo anche lui ama la Malesia, soprattutto perché è in questa terra selvaggia che ha realizzato i suoi sogni di grandezza e si è autoproclamato Rajah bianco di Sarawak. Sandokan è la sua spina nel fianco e Brooke è disposto a ricorrere anche all’inganno, pur di sconfiggerlo. Spietato e assetato di potere, Brooke è malvisto sia dai Malesi che dai suoi compatrioti che considerano i suoi metodi troppo diretti e volgari per un suddito di Sua Maestà. Una terra che rapisce il cuore Marianna è ospite di suo zio, Lord Guillonk, e considera la Malesia un paese saggio, misterioso e affascinante. Non approva i metodi crudeli che gli inglesi hanno adottato nei confronti della popolazione. Grazie a Sandokan, Marianna conoscerà il vero amore, ma soprattutto lascerà dietro

cem tornerà sotto il controllo di Sandokan. I Tigrotti sono «uomini coraggiosi fino alla pazzia eche a un qualunque segno di Sandokan non esiterebbero a saccheggiare il sepolcro di Maometto…», così li definisce la prosa suggestiva di Emilio Salgari. Sandokan è il loro capo, un principe privato del suo regno, mentre Yanez, il suo braccio destro, è un avventuriero portoghese, ribaldo ma fedele e coraggioso, chiamato la “tigre bianca”.

di sé la ragazza spaurita di un tempo per scoprire di essere in realtà una donna coraggiosa e volitiva. La bella storia sarà però destinata a durare poco poiché Marianna morirà di colera poco tempo dopo e verrà sepolta nella città di Batavia.

Gli imperialisti inglesi È il tipico militare inglese idealista e un poco ottuso, coraggioso, abile combattente e perdutamente innamorato di Marianna. Il suo giuramento di fedeltà alla Corona è assoluto. Per lui la Malesia non è altro che una terra primitiva da controllare e sottomettere e non riesce a scorgerne il fascino che invece turba la sua amata. La leggenda dei tigrotti della Malesia Lottano contro il colonialismo e lo fanno da pirati. Fanno di Mompracem la loro tana: saranno quasi tutti sterminati e morranno per il loro ideale.

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SCENEGGIATI ITALIANI


Specchio di un’epoca di Giancarlo GOVERNI* Foto Teche RAI

assimo D’Azeglio, un illustre politico del Risorgimento che fu anche un fine intellettuale, all’indomani dell’unità nazionale disse: «Abbiamo fatto l’Italia, ora facciamo gli italiani». D’Azeglio sapeva che l’unità era stata fatta fra popoli che poco avevano in comune e che la loro unità risaliva addirittura all’epoca romana, decaduta la quale la Penisola era stata oggetto di un frazionamento che aveva portato coloro che ne ostacolavano la riunificazione (Metternich su tutti) a considerarla una semplice “espressione geografica”. Tutto questo per dire che gli italiani, più che la politica o la scuola che poi fu riservata a pochissimi, li ha fatti la televisione la quale, quando arrivò in Italia alla metà dei Cinquanta, si inserì in un contesto estremamente frastagliato. Un contesto fortemente ricettivo perché soggetto alle suggestioni del nuovo mezzo ma difficile da governare proprio per le profonde diversità. A meno di dieci anni dalla fine della guerra mondiale e della caduta del

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spq ort fascismo, gli italiani non parlavano l’italiano. Le stesse persone colte in famiglia e in privato si esprimevano nel loro dialetto, quasi a sottolineare il fatto che la lingua italiana che avevano appreso a scuola dovesse essere riservata alla letteratura e alla ufficialità burocratica e non alla quotidianità. Gli analfabeti totali rasentavano il 30 per cento, mentre con i cosiddetti “analfabeti di ritorno”, quelli che sapevano soltanto fare la propria firma e leggere stentatamente, si arrivava al 60, qualcuno diceva il 70 per cento. In molti paesi del sud e delle isole le donne vestivano ancora il costume locale e la maggior parte della popolazione ignorava l’esistenza del cinema e aveva percepito l’esistenza della radio negli anni del fascismo quando Mussolini la usava per i grandi annunci del regime.

NASCE LA TV In questo contesto si inserì la televisione che fu costruita in mezzo a tantissime difficoltà per la conformazione orografica dell’Italia che obbligava la installazione di numerosi ripetitori che si “guardassero” fra di loro per passarsi il segnale televisivo, per cui si scalarono montagne si installarono ripetitori per far vedere la televisione a tutti gli italiani anche a quelli che vivevano nei posti più impervi e sperduti, in una impresa a volte epica, paragonabile soltanto alla costruzione dell’autostrada del Sole. Gli italiani scoprono la televisione, ma scoprono soprattutto se stessi. Infatti in questi primi programmi i protagonisti non sono gli attori, i divi del cinema, bensì la gente comune, i cosiddetti concorrenti che diventano immediatamente personaggi dell’immaginario collettivo nazionale, che grazie alla televisione, questo grande mezzo unificante, comincia a formarsi. Come comincia a formarsi una lingua unica, quell’italiano medio (o ‘ita-

liese’ come lo chiamò Pasolini) con cui tutti, soprattutto le generazioni intermedie e nuove, prenderanno ad esprimersi, abbandonando i dialetti. Qualcuno ha detto, con un po’ di retorica, che l’unità d’Italia non è stata fatta da Garibaldi e da Cavour bensì, cento anni dopo, dalla televisione.

GLI SCENEGGIATI RACCONTANO STORIA E LETTERATURA La televisione agisce anche sul piano culturale. Gli italiani scoprono il teatro di prosa ed anche la grande letteratura italiana e mondiale attraverso la “lettura” degli sceneggiati. Sul piccolo schermo approdano capolavori come il Mulino del Po, I promessi Sposi, Anna Karenina, I Fratelli Karamazov e tanti altri, portati per mano da registi che si chiamano Sandro Bolchi, Daniele D’Anza, Anton Giulio Majano… Gli spettatori fanno conoscenza anche con i grandi personaggi italiani attraverso le biografie (Verdi, Puccini, Michelangelo, Leonardo, Caravaggio… ) e familiarizzano con il genere poliziesco (che in Italia si chiama “giallo” per via del colore della copertina della storica collana di Mondadori) che propone Maigret, Nero Wolfe, Sherlock Holmes e il poliziotto nostrano, il Tenente Sheridan, creato da Casacci e Ciambricco. Ma bisogna anche recuperare il ritardo scolastico. Ci pensa Telescuola e soprattutto il maestro Alberto Manzi che con il suo programma “Non è mai troppo tardi”, insegna a leggere e scrivere, accompagnandoli fino alla quinta elementare, a un milione e mezzo di analfabeti. Un’opera titanica resa possibile anche dalla straordinaria penetrazione del mezzo televisivo.

Il Dottor Antonio fu il primo sceneggiato della storia della Tv. In onda nel 1954 fu di ispirazione risorgimentale

L’Isola del Tesoro, dal romanzo di Stevenson. Per la prima volta c’è una canzone, come commento musicale, realizzata proprio per lo sceneggiato

DAI ROMANZI SCENEGGIATI ALLE FICTION DI OGGI Ma sono gli sceneggiati a entrare nelle case degli italiani ed anche nella loro cultura.

LA GRANDE SCUOLA ITALIANA

Il Tenente Sheridan con il suo inconfondibile impermeabile bianco


Giuseppe Verdi, 1964, il primo degli sceneggiati a sfondo biografico

Il giornalino di Gianburrasca, sceneggiato musicale con Rita Pavone e musiche di Nino Rota

Il Conte di Montecristo. Andrea Giordana nei panni di Edmond Dantés

I promessi sposi, la prima edizione del romanzo nazionale nel 1967

Si ringraziano, per la gentile concessione delle foto relative agli sceneggiati Tv, le Teche RAI dirette dalla Dottoressa Barbara Scaramucci

Odissea. Traduzione dal greco dell’opera di Omero, è uno dei più riusciti sceneggiati per la spettacolarità delle scene

Per “sceneggiato” si intende il prodotto televisivo basato su un racconto che si serve di attori e della ricostruzione scenografica. Il termine “sceneggiato” è stato spazzato via all’inizio degli Anni Ottanta dal vocabolo internazionale “fiction”. All’inizio e per decenni gli sceneggiati sono stati tratti da racconti letterari, per questo vengono chiamati “romanzi sceneggiati”. Il primo sceneggiato del 1954. l’anno della fondazione della televisione in Italia, fu Il dottor Antonio di ambientazione risorgimentale. Ne seguirono molti altri, tanto che se n’è perso il conto preciso, perché lo sceneggiato entrò subito nel palinsesto come appuntamento fisso. Tra i tanti citiamo: L’isola del tesoro, dal romanzo di Stevenson, perché per la prima volta si si inserisce una canzone originale, come commento musicale. La svolta pericolosa di Gianni Bongioanni. Il primo tratto da un soggetto originale e girato tutto dal vero. Giallo Club di Casacci e Ciambricco, i creatori del Tenente Sheridan, che dà inizio a una lunga serie di racconti gialli, che comprende anche Maigret e Nero Wolfe. Il mulino del Po, tratto da Bacchelli per la regia di Sandro Bolchi, con il quale si inaugura la registrazione videomagnetica. Peppino Girella, un originale televisivo scritto e diretto da Eduardo De Filippo. Giuseppe Verdi, perché dà inizio alla lunga serie di biografie di grandi italiani. Seguiranno Michelangelo, Leonardo, Caravaggio, Puccini e tanti altri. SPQR SPORT | 126

Il Commissario Maigret: creato dalla fantasia di Simenon è protagonista di 75 romanzi. L’uomo con la pipa sbarcò in Rai

Il giornalino di Gian Burrasca, uno sceneggiato musicale tratto dall’omonimo libro di Vamba, con Rita Pavone, la regia di Lina Wertmuller e le musiche di Nino Rota. I promessi sposi, per la regia di Sandro Bolchi, la prima edizione del grande romanzo nazionale.

SANDOKAN E I TIGROTTI. IN TV SBARCA SALGARI Tra i grandi sceneggiati c’è anche Sandokan. Emilio Salgari il grande scrittore popolare, ha dato spunto a tanti film negli Anni Trenta e fu ripreso soltanto nel 1976 dalla televisione italiana, con quello che è considerato il filone più importante dello scrittore veronese: il ciclo di Sandokan e dei pirati della Malesia. Furono sei puntate girate con tecnica cinematografica e nei luoghi in cui sono ambientati i romanzi, da Sergio Sollima con l’attore indiano Kabir Bedi, nella parte di Sandokan; Carole Andrè nella parte di Marianna, la “Perla di Labuan”; Adolfo Celi nella parte di James Brooke e Philippe Leroy nella parte di Yanez. L’attore di origine francese ha sempre lasciato il segno con interpretazioni indimenticabili, come quella di Leonardo nel grande sceneggiato di Renato Castellani, diffuso in tutto il mondo.

SCENEGGIATI. DIETRO LE QUINTE La televisione nasce non come un mezzo con un suo specifico ma come un mezzo di diffusione di altri generi. Infatti il programma di intrattenimento è ispirato alla rivista teatrale, la


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D E L L E

F I C T I O N

SI CHIAMAVA SCENEGGIATO Lo sceneggiato televisivo nasce negli Anni ‘50 e termina, per convenzione, negli Anni Settanta. Con l’inizio della neotelevisione il termine cominciò man mano ad essere estromesso nel linguaggio televisivo, fino a essere soppiantato nella terminologia televisiva dal solo termine anglofono fiction. Ecco un elenco degli sceneggiati considerati più importanti nel panorama tv italiano. La freccia nera. Sette episodi andati in onda nel 1968

prosa è ripresa dal vastissimo repertorio italiano e straniero. Uno dei primi programmi che rispondono a uno specifico televisivo, che sfrutta cioè il mezzo nuovo, è proprio il teleromanzo, o romanzo sceneggiato. Un genere che avrà un notevole sviluppo e avrà il merito di far conoscere agli italiani la grande letteratura mondiale. Attraverso una ricostruzione a metà fra il racconto cinematografico e la rappresentazione teatrale. All’inizio la trasmissione è in diretta, praticamente dal vivo, con lunghi intervalli per permettere alle maestranze il cambio scena. Poi all’inizio dei Sessanta la grande svolta che è data dalla introduzione della registrazione video magnetica, che permette di girare le scene separatamente nel tempo, senza però usufruire di un montaggio snello e particolareggiato, fotogramma per fotogramma, come avviene per la pellicola. Ma è già un passo avanti verso la fiction moderna che è un prodotto molto vicino a quello cinematografico. Insomma anche attraverso il romanzo sceneggiato la Rai monopolista ha espresso la sua vocazione pedagogica ed ha contribuito fortemente alla formazione culturale del popolo italiano.

* Giancarlo Governi Giornalista RAI, ha fatto scuola, creando un genere: quello dell’antologia dedicata ai grandi del Cinema e dello Spettacolo realizzando ritratti e profili. Ha dato anche vita a Supergulp!. Autore, oggi, di libri di successo.

TITOLO

PRIMA TV CANALE

Il dottor Antonio Cime tempestose L’Alfiere Il romanzo di un giovane povero Orgoglio e pregiudizio Piccolo mondo antico Capitan Fracassa Canne al vento L’isola del tesoro La svolta pericolosa - Una storia d’oggi Giallo club. Invito al poliziesco I Giacobini Il mulino del Po La sciarpa Peppino Girella Delitto e castigo Giuseppe Verdi Mastro Don Gesualdo I miserabili La Cittadella Vita di Michelangelo Il giornalino di Gian Burrasca Le inchieste del commissario Maigret Scaramouche Vita di Dante David Copperfield La coscienza di Zeno Belfagor il fantasma del Louvre Madame Curie Il conte di Montecristo I promessi sposi Vita di Cavour Sheridan - squadra omicidi Le mie prigioni Odissea La famiglia Benvenuti La freccia nera I fratelli Karamàzov Il cappello del prete I racconti di Padre Brown Il segno del comando Eneide A come Andcromeda Sorelle Materassi Joe Petrosino Le avventure di Pinocchio Mosé Sandokan Michele Strogoff Orzowei Gesù di Nazaret

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Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Secondo Programma Secondo Programma Secondo Programma Programma Nazionale Secondo Programma Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Secondo Programma Secondo Programma Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Secondo Programma Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Primo Programma Primo Programma Programma Nazionale Programma Nazionale Primo Programma Primo Programma Primo Programma Primo Programma Primo Programma Primo Programma



LA SCHEDA

TENNISTAVOLO


LA ST ORIA

Le origini del tennis tavolo sono vaghe. Alcuni sostengono sia nato in Cina, altri in Russia, altri in Giappone, altri ancora in Inghilterra. In ogni caso risalgono al XIX secolo e lo sviluppo commerciale si deve agli inglesi. Vista l’impossibilità di giocare a tennis all’aperto nei periodi invernali, alla fine dell’800 in Inghilterra si diffuse la moda di un tennis “casalingo”, che veniva giocato sui tavoli. I fabbricanti di giochi capirono ne intuirono l’importanza commerciale e nel 1884, in un catalogo del venditore di articoli sportivi F.H. Ayres, appare per la prima volta il termine “tennis tavolo”. Il primo set da tennis indoor venne brevettato in Inghilterra da David Foster, e conteneva un panno da stendere su un tavolo con le righe di un campo da tennis, due mini racchette con accordatura, una pallina di gomma ricoperta di stoffa, un recinto di legno da adagiare sul tavolo, una retina in mezzo al tavolo. Solo a partire dai primi anni del ‘900, però, il tennis tavolo iniziò a diffondersi come disciplina sportiva.

LE RE GO L E In genere un incontro si disputa in 5 partite: vince chi si aggiudica per primo 3 partite. Nei tornei internazionali invece, gli incontri si disputano in 7 partite e vince chi se ne aggiudica 4. Il giocatore, o la coppia di giocatori, vince una partita quando raggiunge gli 11 punti e l’avversario ne ha realizzati meno di 10. Se i giocatori raggiungono entrambi 10 punti vince chi riesce per primo a conquistare 2 punti sull’avversario. Chi inizia a battere effettua due servizi consecutivi poi toccherà all’avversario: in caso di parità sul punteggio di 10 punti la sequenza delle battute è limitata a un solo servizio a testa. All’inizio del servizio, la pallina deve essere posta sul palmo aperto della mano libera ed immobile in modo da essere visibile dall’avversario. Il battitore deve quindi lanciare la pallina solo verso l’alto senza imprimere effetto così che si sollevi dal palmo della mano libera di un minimo di 16,5 centimetri e ricadere senza che abbia toccato nulla prima di essere colpita in fase discendente dal battitore. Il servizio consiste nel colpire la pallina con la racchetta per farla rimbalzare una volta nel proprio campo e, superando la rete, farla ricadere nel campo avversario. Se la palla tocca la rete prima del campo avversario si commette un fallo, senza penalità, e il servizio va ripetuto. Una volta servita la palla, l’altro giocatore deve effettuare una risposta. Al rinvio il giocatore deve colpire la pallina dopo che essa batta una volta il proprio campo e prima che colpisca il tavolo una seconda volta. Dopo che il giocatore ha colpito la pallina, questa deve arrivare sul campo avversario senza prima toccare altro se non la rete. I giocatori devono effettuare una risposta a testa finché uno dei giocatori non manca una risposta o non commette fallo, assegnando il punto all’avversario.

I PU NTI NEL TENNIS TAVOLO I punti si ottengono quando: L’avversario effettua un servizio sbagliato o manca di effettuarlo dopo che ha messo in gioco la palina. L’avversario manca o sbaglia un rinvio. L’avversario commette un fallo per cui non è prevista la ripetizione dello scambio.

I FALLI NEL TENNIS TAVOLO Un fallo, che assegna il punto all’avversario, è commesso nei seguenti casi: La pallina rimbalza due o più volte nel proprio campo. La pallina è colpita senza che essa abbia rimbalzato una volta nel proprio campo (colpo al volo). La pallina viene colpita o toccata con qualcosa di diverso della racchetta di

IL TENNIS TAVOLO A ROMA

In Italia il tennis tavolo si costituì come disciplina sportiva e apparato organizzativo nel 1960, quando si svolse la prima Assemblea Generale. In seguito, nel 1979, il Coni riconobbe formalmente la Federazione Italiana tennis tavolo. Nella Capitale la disciplina attecchì indicativamente negli anni ’60, anche se a “ping pong” si giocava già dagli anni precedenti. In realtà Roma non ha mai avuto una grande tradizione in questo sport, anche se esistono società sportive che lo promuovono con più di quaranta anni di vita.

gioco o dalla mano che la tiene La pallina è colpita due volte consecutivamente (doppio tocco, racchetta-racchetta, mano-racchetta). Il giocatore (racchetta compresa) tocca la rete. Il giocatore tocca il tavolo con la mano libera. Il giocatore sposta il tavolo di gioco. Il giocatore parla durante lo scambio.

L’AREA DI GIOCO Il tennis tavolo si può giocare in due giocatori schema di battuta che gareggiano tra loro (singolo), oppure in due squadre di due giocatori ciascuna (doppio). Per giocare è necessaria una racchetta per ogni giocatore, una pallina e un tavolo idoneo, nonché una zona di gioco adeguatamente larga: per un incontro regolamentare si deve disporre di un’area di gioco di 12 metri di lunghezza, 6 metri di larghezza e 4 metri di altezza, nel caso si tratti di competizioni internazionali, mentre occorrono metri 10x5x4 nelle gare nazionali, interregionali e regionali. Al centro dell’area di gioco è posto il tavolo in legno le cui dimensioni sono: lunghezza 274 cm, larghezza 152,5 cm e altezza 76 cm. Il piano del tavolo deve avere uno spessore compreso tra 16 e 24 mm e permettere un rimbalzo standard della pallina di circa 23 cm quando lasciata cadere da un’altezza di 30 cm. Il tavolo è suddiviso in due metà (dette campo) da una rete in nylon alta 15,25 cm e lunga 184 cm, la rete e i supporti sporgono su due lati lunghi per 15 cm ognuno.

SPORT AI RAGGI X | 130


LA TENUTA

PILLOLE DI STORIA

SPORT NAZIONALE Il tennis tavolo è lo sport nazionale cinese. Si stenta a crederlo ma in Cina i tesserati alla federazione sportiva di riferimento hanno superato quota 10 milioni: un numero impressionante. Non a caso la Cina ha vinto 24 delle 28 medaglie d’oro assegnate finora nella storia delle Olimpiadi. PING PONG Il tennis tavolo è conosciuto in tutto il mondo anche come “ping pong”. Questo nome onomatopeico è stato coniato nel 1900 dal britannico John Jaques, proprietario della fabbrica di giochi “Jaques of London” che produceva, tra l’altro, l’attrezzatura per il gioco del tennis tavolo. LO SVEDESE D’ORO Il pontista svedese Jan-Ove Waldner, ritenuto all’unanimità uno dei più grandi talenti di tutti i tempi di questo sport, è stato il primo e finora l’unico giocatore non asiatico capace di vincere una medaglia d’oro olimpica nel tennis tavolo. L’impresa gli riuscì ai Giochi olimpici di Barcellona nel 1992.

RACCHETTA I giocatori possono utilizzare racchette di qualsiasi dimensione, forma e peso. Il telaio, o legno, fatta eccezione dell'impugnatura, deve essere piatto e rigido.

PALLINA Vuota e sferica, pesa precisamente 2,7 grammi e ha un diametro di 40 mm.

MAGLIETTA Deve essere confortevole, consentire la massima libertà agli arti superiori, e traspirante in quanto il pongista suda molto.

ABECEDARIO

BACKSPIN: E’ il colpo che si ottiene colpendo la pallina strusciandola dal basso in modo da darle una rotazione contraria al moto. Quando la pallina tocca il tavolo rallenta bruscamente e rimbalza verso l’alto, di conseguenza quando tocca la racchetta del giocatore ricevente si muove verso il basso. TOPSPIN: E’ il giro inverso al backspin, quindi si ottiene colpendo la pallina dall’alto, così che ottenga una rotazione oraria se vista dalla destra rispetto alla direzione del movimento. La pallina “toppata” si abbassa velocemente, quindi accelera al contatto con il tavolo con un rimbalzo schiacciato. SIDESPIN: E’ un giro utilizzato soprattutto in battuta. La pallina ha una rotazione sullo stesso piano del tavolo, duqnue è perfettamente visibile guardandola dall’alto. Viene chiamato “giro laterale destro” se così visto è antiorario, o “giro laterale sinistro” se guardato dall’alto è orario. CORKSPIN: Anche detto “cavatappi” o “giro a vite”. E’è il tipo di spin in utilizzato solo in alcune battute. La pallina assume una rotazione intorno all’asse del moto. La pallina con giro a vite non ha evidenti variazioni di movimento mentre è in aria, invece si sposta velocemente verso sinistra o verso destra nel momento in cui tocca il tavolo.

PANTALONCINI Meglio se larghi, perché gli arti inferiori si muovono in continuazione.

L’ABBIGLIAMENTO: COMODO ED ESSENZIALE Nel tennis tavolo l’atleta deve indossare un abbigliamento essenziale quanto comodo. E’ consigliabile l’utilizzo di scarpe da ginnastica comode, con suola liscia, una maglietta con le maniche corte abbastanza larghe, che consentano la massima libertà di movimento alle braccia e un paio di pantaloncini non aderenti o i pantaloni di una tuta. SPORT AI RAGGI X | 131


LA TUA RIVISTA DI SPORT SFOGLIALA ONLINE

t i . t r o p s r q p s . w


COM’È BELLO PASSEGGIAR… LA CARROZZA ECOLOGICA Creatività e rispetto dell’ambiente sono il mix alla base di un progetto innovativo realizzato dal centro Pomos (Polo per la mobilità sostenibile) del Dipartimento DIET della Sapienza Università di Roma. Parliamo della bio-carrozza elettrica con la quale i visitatori del Bioparco di Roma possono attraversare il giardino zoologico in maniera eco-sostenibile. La bio-carrozza, presentata lo scorso 3 dicembre, può raggiungere la velocità massima di 25 km/h e ha una autonomia di 50 km. Un mezzo comodo e innovativo nel pieno rispetto dell’ambiente. Il Bioparco con questa iniziativa nata grazie al contributo dell’amministrazione comunale di Roma si caratterizza sempre più come agenzia di sostenibilità ambientale.

Notizie d’attualità

R Rubriche dal mondo dello sport

PROFILI PROFILI R

ANDREA CESARINI Disciplina: Ruolo: Squadra: Altezza: Data di nascita: Luogo: Albo d’oro:

Pallavolo Libero Altotevere San Giustino 180 cm 22/07/1987 Roma Medaglia di Bronzo agli Europei Juniores 2006. 2012: Campionato A2 (Sir Safety Perugia); 2010: Coppa Italia A2 (M. Roma Volley); 2010: Campionato A2 (M. Roma Volley); 2009: Campionato A2 (Esse-ti Carilo Loreto).

R Profili

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R Sports e animali

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R Lo sai che…

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R Statistiche

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R Vocabolario dello Sport R SportStar R Chi l’ha detto

«Voglio dimostrare a tutti di valere la serie A1»

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PAGINA 131

R Storie da raccontare

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R Cinema e Sport

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R Sport in Rete

146 -147

R Filatelia e dintorni

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R Abbilgiamento sportivo

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R L'Evento

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I 50 ANNI DELL’AICS Cinquant’anni di impegno per la promozione dello sport in Italia: li ha festeggiati nelle scorse settimane, nel Salone d’Onore del Coni, l’Associazione italiana cultura sport. L’incontro è stata anche l’occasione per raccontare il lungo cammino dell’Aics, che negli anni è passata dalla semplice promozione sportiva alla sfera del tempo libero, inteso come momento a disposizione dell’individuo per la crescita personale, ma anche alla solidarietà, alla cultura, alla sensibilizzazione verso l’ambiente e all’attenzione verso gli emarginati.

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NEWS GRANDE FESTA PER L’ETICAMPIONATO Domenica 16 marzo dalle 10:30, al PalaLuiss di Roma si svolgerà la seconda Festa dell’Eticampionato di Basket ASI-MECS. Un grande evento che coinvolgerà le 18 società iscritte al campionato, con centinaia di atleti, genitori e dirigenti, tutti accomunati dalla passione per il basket. L’obiettivo principale dell’EtiCampionato è quello di dare la possibilità agli atleti non solo di giocare e divertirsi, ma soprattutto di sviluppare lo sport come valore educativo, formativo e sociale.

DI CORSA I VIGILI DI ROMA Quando la passione non conosce ostacoli. Nemmeno la pioggia battente ha frenato la trentina di concorrenti appartenenti alla polizia locale di Roma Capitale che si sono sfidati nel parco della Caffarella per l’Urbis Vigiles, corsa campestre di 5 km giunta alla quinta edizione. Assente il plurivittorioso Massimiliano Maccari, il successo è andato a Stefano Miccolis che precedeva Emiliano Portone. Nell’ordine arrivavano Fabio Marchetti, Andrea Genovese, Benedetto Maccarone, Fabio Romani, Massimo Guidobaldi, Marco Campus, Roberto Fallocco e Lorenzo Capraro. In decima posizione si classificavano le due prime donne Maria Grazia Lavalle e Annalisa Fusco. Alla fine è stata stilata la classifica, non condizionata, però, dalla ristretta cerchia di atleti d’elite o esperti, visto che la volontà degli organizzatori è quella di rendere la gara aperta a tutti i componenti del corpo dei vigili affinché possano misurarsi su una distanza facile e senza agonismi eccessivi.

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sport’s history


da Raccontare

Ecco la storia di questa gloriosa società di calcio, dove aveva mosso i primi passi Francesco Totti, per la quale si erano spente le luci nel 1987. Ma grazie alla passione è tornata di nuovo in campo

BENTORNATO TRASTEVERE è voluto un quarto di secolo per rivedere in campo il Trastevere, club calC’ cistico capitolino tra i più gloriosi, onore e vanto di un intero rione. Una storia, quella del Trastevere calcio, alquanto movimentata. Partiamo un po’ indietro nel tempo per capire meglio quello che è successo. Nel 1906 venne fondata l’Alba Roma che verso la metà degli anni quaranta portò dentro di sé il Trastevere. Il sodalizio andò così bene che nel 1945 approdò in serie B. Sembrava l’inizio di una nuova era per il calcio romano, addirittura c’era chi vedeva questa società affiancare in un futuro non troppo lontano, i due club maggiori, Roma e Lazio, in serie A. Ma strada facendo sopraggiunsero problemi economici che furono alla base della separazione fra i due club. Era il 1962. Dalla divisione nacque la Smit Trastevere, società che, come detto, battezzò i primi passi di calciatore di Francesco Totti nella categoria Esordienti. Ma la storia della Smit si interruppe nel 1987 lasciando un vuoto enorme nel panorama calcistico non solo trasteverino ma anche romano, vista la tradizione del club. Per fortuna la provvidenza non conosce confini. E così, grazie al coraggio e alla passione di Pierluigi Betturri, l’attuale presidente, la società, nella sua denominazione classica, Trastevere Football Club, è tornata in campo lo scorso autunno, ricominciando dalla terza categoria. «Se oggi siamo di nuovo qui - afferma con orgoglio Betturri - debbo innanzitutto ringraziare mio figlio Flavio e il tecnico Gori che in quest’operazione ci hanno messo tutto il loro entusiasmo che io ho recepito in pieno. D’altronde siamo tutti e tre trasteverini doc. Il primo grande passo lo abbiamo compiuto, adesso arrivano gli obiettivi. Mi auguro di arrivare il più presto possibile in seconda divisione. Io sono ottimista».

In un freddo giorno di gennaio del 1939 tutta Vienna si strinse commossa attorno alla bara di Matthias Sindelar. Un funerale maestoso. Degno di un re o di un eroe. NEWS | 135

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Acea e Roma Capitale in aiuto dei due importanti club di pallanuoto

LA LAZIO E L’ORGOGLIO IN VASCA oma Capitale e Acea sono scese in campo per aiutare dueR realtà importanti dello sport romano in grande crisi. Dopo aver supportato la Virtus di Basket ecco il momento della pallanuoto, su entrambe le… vasche. «La pallanuoto a Roma ha molto seguito, solo nella Capitale si contano più di trecento squadre». Queste le parole di Massimo Moroli, presidente della S.S. Lazio Nuoto che aggiunge: «Questo è lo sport di squadra più titolato in Italia, nessun’altra disciplina vanta il palmares internazionale della pallanuoto». Ci racconti un po’ la storia della sua società: «La S.S. Lazio Nuoto è nata nel 1900 ed è stata, insieme a quella dell’atletica leggera, la prima sezione della S.S. Lazio, che ora annovera ben 57 sezioni sportive ed è la più grande polisportiva d’Europa. Abbiamo alle spalle ben 113 anni di storia gloriosa, con 5 Ori Olimpici, 2 Mondiali, 6 Europei e un numero sterminato di Titoli e Record Nazionali Assoluti. Due campioni del Mondo in carica come Gitto e Presciutti vengono proprio dalla nostra scuola che oggi sfoggia solo atleti romani e di fede laziale». Che momento sta vivendo uno sport come la pallanuoto? «Purtroppo questo periodo è critico per tutti, c’è carenza di risorse anche in Serie A. La nostra squadra ha un grande staff e anche gli impianti costano molto. Lo sponsor per fortuna ci è vicino ma ovviamente non riesce a coprire tutte le spese». E se il presidente è ottimista, nonostante tutte le difficoltà, non di meno lo sono due alfieri della squadra, il portiere Gianluca Sattolo e il centroboa Matteo Leporale, due laziali doc.

«Giocare nella Lazio Pallanuoto per un aquilotto come me, significa molto. Quando entri in acqua e senti l’inno, sai che devi dare tutto per questi colori», dice con orgoglio Gianluca Sattolo. «La nostra squadra in questo momento pensa anzitutto alla salvezza. L’inizio della stagione è stato semplice poi purtroppo ci siamo arenati. Anche l’ambiente ne ha risentito e la crisi economica non aiuta». Un sogno nel cassetto? «A livello personale battere in finale di Coppa Italia la Roma! A livello professionale invece mi auguro che la pallanuoto possa tornare ai livelli di cinque o sei anni fa, prima dell’attuale spirale recessiva». Sulla stessa lunghezza d’onda di Sattolo è Leporale. «Giocare con la Lazio è il sogno di tutti i laziali, per me è stato un guaio far parte della Roma!». Quali sono le ambizioni della squadra? «Fino a poco tempo fa occupavamo una buona posizione in classifica. Poi un po’ di sfortuna e qualche decisione arbitrale discutibile han portato risultati scarsi. Non ci sono alibi, vogliamo raggiungere la salvezza il più presto possibile». Obiettivi? «Vincere lo scudetto, mi impegnerò per fare il meglio possibile a Roma. Sogno anche la Nazionale, far parte del settebello sarebbe il massimo». Cosa significa retrocedere per poi riconquistare la promozione? «Retrocedere è stata dura ma l’anno seguente ci siamo riscattati. Molti giocatori sono rimasti per orgoglio ma non nego che è stato difficile».

Solo nel 2005 l’IWF ha riclassificato il mondiale di lotta del 4 aprile 1899, attribuendogli la qualifica ufficiale. Grazie a ciò fu riconosciuto, anche se postumo, il bronzo di Enrico Scuri.

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LE AMBIZIONI DELLE GIALLOROSSE e sulla sponda biancoceleste si trovano difficoltà per far Sgionefronte alle quotidiane problematiche che una lunga staagonistica impegnativa comporta, non da meno lo è nella vasca… accanto, quella giallorossa. E infatti dello stesso parere del suo collega biancoceleste è Baldo Maragioglio, Presidente della Roma Pallanuoto femminile: «Gli sport minori purtroppo soffrono più di altri, per non parlare poi della pallanuoto femminile… Roma Capitale e Acea ci sono vicine, ma il momento è critico. I costi elevati, propri del nostro sport, rendono la stagione ancora più difficile». Ci racconti un po’ la sua esperienza da Presidente… «Ho l’onore di presiedere una squadra con un glorioso passato e con due Coppe Len in bacheca. Dopo una retrocessione in A2, la squadra lo scorso anno è risalita in A1 ottenendo grandi vittorie».

Grandi vittorie per una grande squadra… «Sì, nelle nostre file giocano atlete promettenti e di sicuro avvenire come Loredana Sparano e Sara Dario, il portiere e difensore della Nazionale giovanile. Al loro fianco le più esperte Lara Dalorto (capitano) ed Eleonora Settonce a guidare un gruppo giovane e ricco di entusiasmo». Insomma, se Atene piange, Sparta non ride. Comunque la volontà è la virtù dei forti e questo pregio a chi scende in acqua non fa proprio difetto.


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GRANFONDO

CON UN LOOK DIVERSO

on posso che ritenermi soddisfatto», lo afferma Gianluca «N Santilli, presidente del comitato organizzatore della Granfondo Campagnolo Roma. «Anche quest’anno avremo la giornata ecologica che si spera di estendere a tutta la Provincia di Roma ed almeno ai Comuni interessati. Il percorso sarà analogo a quello dello scorso anno ma inverso anche per evitare di attraversare zone congestionate alle ore di maggiore intensità di traffico, quali l’Appia Nuova, Castelgandolfo e la via dei Laghi che percorreremo la mattina presto». Un’altra novità nel programma della corsa. «Quest’anno avremo anche il Villaggio della Granfondo e sarà posto al Circo Massimo, aperto da giovedì 10 sino al 13 ottobre, giorno della corsa e si articolerà su 4 temi principali: Promozione del Territorio, Salute & Prevenzione, Bike Expo ed area Bambini e ragazzi». Poi una nota d’orgoglio. E di questo Santilli ne va fiero. «Siamo gemellati con la Granfondo di New York e, da qualche giorno, anche con la Maratona di Roma. La Granfondo Campagnolo Roma si pone, nonostante sia alla seconda edizione, tra i più grandi eventi al mondo di ciclismo amatoriale». «Il tracciato – dice Ivan Piol, d.g. della Granfondo – così modificato sarà più duro: sarà analogo a quello dello scorso anno ma il senso sarà invertito. In questo modo le zone più calde da un punto di vista della viabilità le attraverseremo in prima mattinata e quindi senza creare problemi, facilitando la chiusura del traffico». Infine la voce di Roma Capitale attraverso Rodolfo Roberti. «Dopo lo straordinario successo della prima edizione della GF di Roma l'organizzazione ha intenzione di diversificare l'offerta agli atleti che intendono cimentarsi in questa seconda edizione, accanto al percorso lungo di 170 KM che ricalcherà gran parte del percorso dello scorso anno, con la differenza che stavolta da Roma si arriverà al lago di Castelgandolfo per poi salire e raggiungere Rocca di Papa attraverso la panoramica e il percorso classico di

IL NUOVO PERCORSO

110 km, l'organizzazione su sollecito dell'amministrazione comunale ha intenzione di effettuare una grande pedalata al di fuori della competizione "agonistica", quindi senza classifica e cip di rilevamento tempo all’interno di Roma per tutti coloro che si vorranno godere la città senza traffico in bicicletta. Si pensa ad un percorso di circa 10 KM che si snoderebbe all'interno della città, con l'intento di far capire a tutti che la Capitale d'Italia non è una città percorribile esclusivamente con auto o moto, ma anche con una bicicletta. L'organizzazione ha recepito più che positivamente le richieste dell'Amministrazione».

Dopo l’attraversamento della Roma Imperiale, e l’Appia Antica raggiungerà il lago di Albano. Prima cronoscalata fino a Rocca di Papa e da lì si proseguirà verso Velletri per il percorso lungo mentre il classico devierà ai Pratoni del Vivaro. Da Giulianello si salirà a Roccamassima con la seconda cronoscalata e, via Segni, si scenderà a Colleferro per arrivare a Palestrina e Carchitti dove si ricongiungeranno i percorsi alla base della terza cronoscalata verso Rocca Priora. Da lì si scenderà a Montecompatri, Monteporzio Catone, Frascati, Grottaferrata e, dopo una breve percorrenza dell’Appia Nuova, si arriverà all’Ardeatina, un ulteriore passaggio sull’Appia Antica e dopo pochi km è posto l’arrivo in cima a via Baccelli. Sopra le Terme di Caracalla. 170 km e 2.700 mt di dislivello la Granfondo e 110 con 1,500 di dislivello il percorso classico.

Lake Placid, 1980. Mike Eruzione scaglia il disco che s'infila nella porta sovietica, fissando il risultato sul 4-3 per gli Usa definitivo. È la storia di un miracolo sul ghiaccio.

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CICLISMO: LA PRIMA SPEAKER DONNA

BARBARA PEDROTTI ssere la prima donna speaker del ciclismo «E vuol dire avere l’opportunità di portare qualcosa di nuovo all’interno di un contesto ad appan-

Voce del grande ciclismo. Dal suo Trentino, sempre in aereo, per raccontare lo sport. A Roma è venuta per commentare la Granfondo. La sua intervista...

naggio esclusivo dei colleghi uomini, è un motivo di grande gioia ed orgoglio», queste le parole di Barbara Pedrotti, la bella e popolare voce del grande ciclismo che a Spqr Sport aggiunge: «Tanti anni sono ormai passati dalla prima corsa che ho presentato ma nonostante le numerose esperienze e le emozioni vissute, non mi sento per nulla giunta ad un punto d’arrivo ma ad un nuovo punto dal quale partire». Dalla Milano-Sanremo al Giro d’Italia, che effetto fa commentare la tappa del Giro a Roma? «Ogni tappa ha una storia a sé, però Roma è Roma... non capita spesso di avere un museo a cielo aperto com’è la Capitale… mi sono sentita a casa perché Roma, in fondo, è la casa di tutti gli italiani. Un’emozione bellissima che ho potuto rivivere in maniera simile anche l’anno scorso in occasione della Granfondo Campagnolo Roma che ha preso il via nel cuore della Capitale, una città sempre più vicina allo sport, qualunque esso sia». Quali differenze si provano nel commentare il calcio e il ciclismo? «Le emozioni sono sempre molte e difficili da descrivere, la passione legata alla fede, al credo sportivo, bellissima in entrambi i casi. Nel ciclismo vi è un contatto molto diretto con lo spettatore, cosa che nel calcio è meno presente; poi vi è la questione temporale di due tempi da 45’e di tempi che variano». Sappiamo che ami l’arrampicata, che emozioni provi quando pratichi questa disciplina? «Amo l’arrampicata come amo tanti altri sport, soprattutto quelli all’aria aperta che mi permettono di stare a stretto contatto con la natura. Lo sport è come una scuola di vita che aiuta a conoscersi meglio, a superare i propri limiti e ad imparare ad affrontare i problemi e le sfide di ogni giorno nel migliore dei modi. Quando poi, come nel mio caso, lo sport oltre che una passione diventa anche la propria professione, beh, è veramente il massimo!». Anche grazie a te, sempre di più l’informazione sportiva è affidata alle donne… «C’è stata una graduale apertura mentale di coloro che stanno ai vertici, si è data l’opportunità a donne intelligenti di dimostrare il proprio valore. Non si può piacere a tutti ma molte sono le persone incontrate sul campo con le quali sono nate delle vere amicizie che spesso continuano sui social network . Anche le critiche arrivano ma in questo caso cerco di cogliere il lato positivo di chi espone il proprio punto di vista diverso dal mio». Laura CIRILLI

L’acuto di Enzo Maiorca arriva il 30 luglio del 1988, nelle acque di Fontanebianche di Siracusa. Il campione siciliano di immersione raggiunge quota -101 in 2’ e 35”, ristrappandolo al suo amico rivale Jacques Mayol. NEWS | 139

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A cura di Eleonora MASSARI

SPORT&ANIMALI CAMEL RACE

scheda

Da sempre molto seguita nei Paesi del Golfo, dove è una vera e propria passione, la corsa dei cammelli nasce molti secoli fa, tra i beduini. Solitamente il professionismo si trova nell’Africa del Nord e dell’Est, nella penisola araba (Emirati Arabi, Qatar) e in Australia. Negli Emirati Arabi Uniti, in particolare, sono stati costruiti numerosi circuiti, ma l’interesse maggiore si registra a Dubai, dove sono un business altamente redditizio e dove appunto si svolge la gara più famosa per gli esperti del settore, la King’s Cup Camel Race con 2000 concorrenti (nelle altre si arriva a 25-30). Il cammello da corsa deve essere magro con gambe molto lunghe, il troppo allenamento al quale è sottoposto fa sì che la gobba sia più piccola del normale. L’allenamento del dromedario inizia all’età di 13 mesi, per poi farlo arrivare a gareggiare compiuti i tre anni.

Le regole variano da paese a paese. Negli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, le corse si svolgono nel periodo più fresco dell’anno, da ottobre ad aprile, con generalmente 25, 30 partecipanti. Prima della gara, allenatori e proprietari si riuniscono con i loro animali per decidere come svolgere la gare. Le distanze che variano a seconda dell’età dei cammelli, che iniziano la loro carriera agonistica a due o tre anni, fino agli otto, nove, anche se un animale eccezionale, può avere una vita da corsa doppia rispetto alla norma. Le distanze vanno da 2,5 miglia (4 km) per gli animali più giovani a 6 miglia (10 km) per gli anziani. A causa della differenza di peso tra i cammelli maschi e

ED ORA, I ROBOT SUI FANTINI... Il governo del Qatar aveva iniziato lo sviluppo dei robot già dal 2001, ma risultati soddisfacenti non furono ottenuti fino al 20032004 quando lo sviluppo venne preso in mano dalla società svizzera di robotica K-Team. Ma a causa del peso (16-18 kg) e degli elevati costi, il prodotto svizzero Ë stato, negli anni, sostituito da modelli più piccoli e più leggeri (2-3 kg) e a basso costo, comandati via GSM dai SUV dei proprietari che seguono la corsa. femmine, in genere corrono separatamente. Le femmine sono più utilizzate. Una volta che i preliminari sono stabiliti, i cammelli, montati da fantini leggeri, sono allineati, e la competizione ha inizio. Un cammello da corsa maturo può raggiungere una velocità di 20-25 miglia (32-40 km) l’ora. Dopo una corsa, per escludere qualsiasi disonestà, campioni di urine vengono raccolti e controllati per la presenza di sostanze vietate. I cammelli sono identificati da microchip codificati, che vengono impiantati nel collo.

Ferrara, 1937. Settimio Terracina sale sul ring con un paio di pantaloncini con cucita la stella di David. A causa delle leggi razziali, fuggì, visse e combattè negli USA.

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CURIOSITÀ

Le norme

La storia

• La gara più famosa per gli esperti del settore si svolge a Dubai ed è la King’s Cup Camel Race con 2000 concorrenti (nelle altre si arriva a 25-30) • Sport popolare in Pakistan, Arabia Saudita, Egitto, Bahrein, Giordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Oman, Australia, e la Mongolia • Sport popolare praticato dalla popolazione locale nelle aggregazioni sociali e festival. Questa tradizione è proseguita in Arabia e altrove fino agli ultimi tre decenni del 20°secolo, quando le corse di cammelli si sono trasformate in un vero e proprio sport formale.


RICCARDO LECCA UN SUCCESSO CON IL CUORE Pala Tiziano stracolmo ed entusiasta. Nel nutrito programma spicca il titolo Intercontinentale WAKO PRO sulla lunghezza delle 5 riprese, tra il detentore, il potentissimo italo marocchino Mustapha Haida ed il coraggioso sfidante romano Riccardo Lecca, campione Europeo di kick boxing. Si respira emozione, tensione, adrenalina. Prima ripresa. I due atleti partono fortissimo. Lecca sembra teso, l'avversario ha leve lunghe ed è preciso, scomodo, mancino. Non concede nulla al fortissimo Lecca e non gli permette di avvicinarsi senza colpirlo. Nonostante ciò, Lecca irrompe e cerca di accorciare; la strategia paga e gli permette scambi potenti, che pero vengono interrotti da un colpo di incontro ai danni del romano, che subisce un conteggio, poco prima della fine del primo round. Seconda ripresa. Lecca quasi non sembra aver risentito del conteggio, ma Haida incalza ancora e lo incrocia piú volte, con scambi durissimi. Lecca cerca di far valere la sua ottima boxe, ma il marocchino non gli concede nulla, ed in uno scambio riatterra il romano: altro conteggio. Lecca si rialza. Haida é in vantaggio, l'incontro sembra ormai a senso unico. Terza ripresa. Lecca, seppur ferito all'occhio, sa che questo round deve essere suo, parte come una furia, ma Haida pare non si lasci impressionare e rientra colpo su colpo. Ora Lecca porta a segno un forte colpo che ferisce Haida al sopracciglio sinistro; il medico controlla e decide che si può riprendere, ancora scambi duri, è la fine della ripresa. Quarta ripresa. Lecca è carico, ma Haida, pur impaurito che la ferita possa comportare l'arresto del match, sembra determinato. Lecca incassa colpi durissimi cercando di entrare nella guardia di Haida; in pochi attimi sul ring si assiste ad uno spettacolo che ha del-

l'incredibile. Haida accetta lo scambio di braccia a corta distanza, ma Lecca lo aggredisce, un colpo all'addome, Haida è al tappeto, il palazzetto esplode. Ora Lecca sembra un gigante, i colpi subiti sono solo un ricordo, i tifosi lo hanno ricaricato. Il titolo è difronte a lui... Haida si rialza ma quel colpo l’ha sentito, non ha fiato, si chiude; Lecca lo vuole, lo cerca, un breve scambio, Haida è ricolpito al corpo da un preciso destro di Lecca, il marocchino è di nuovo giù, l'arbitro conta, Lecca nell'angolo neutro lo guarda mentre rimane in ginocchio, non ce la fa... Ed è la fine dell'incontro. Un trionfo! Antonio IANNOTTI e Sara CAMPONIGRO

Nel 1943 il milanista Ferdinando Valletti fu arrestato e deportato a Mauthausen. 18 mesi d'inferno con una sola ragione di vita: conoscere la figlia nata durante la prigionia. NEWS | 141

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APNEA... DA PESCATORE

LO SAI CHE…

La rubrica che racconta in pillole storie e curiosità dello sport

251,40 KM\H E' IL RECORD DI VELOCITA' SUGLI SCI. Il record del mondo di velocità sugli sci è detenuto da Simone Origone, maestro di sci e guida alpina aostana, che il 20 aprile 2006, sulla pista olimpica di Les Arcs (FRA), lo ha stabilito raggiungendo i 251,40 km/h

L'UOMO… COSÌ LENTO I 44,17 km\h di Bolt sono nulla paragonati all'animale più veloce del mondo. L'animale terrestre più veloce è il ghepardo (Acynonix jubatus), che per brevi tratti (alcune centinaia di metri) può raggiungere una velocità di 120 km/h.

1227,98 KM\H, È IL RECORD DI VELOCITA' TERRESTRE. Il record attuale è stato realizzato il 15 ottobre 1997 nel Black Rock Desert (Nevada, USA) dal pilota britannico Andy Green che ha raggiunto la velocità di 1227,98 km/h (Mach 1,02) a bordo del Thrust SSC.

STATISTICHE

Il primo record di immersione in apnea registrato non aveva una valenza sportiva, ma militare: nel 1913 la corazzata Regina Margherita si trovava davanti all'isola di Scarpanto, nei mari della Grecia. A causa di un'errata rilevazione della profondità venne gettata l'ancora in un tratto con fondale tra i 70 e gli 80 metri e questa si perse. Per recuperarla si cercò anche tra la popolazione locale e molti indicarono Georgios Haggi Statti (probabilmente Hagystatis), un pescatore di spugne locale, l'unico in grado di riuscire nell'impresa.

IN BICI FINO A 100 ANNI La donna più vecchia di tutti i tempi (documentato in modo certo) è stata Jeanne Calment (Francia), nata il 21 febbraio 1875 e morta il 4 agosto 1997, quando aveva 122 anni e 164 giorni. Continuò ad andare in bicicletta fino a 100 anni, le piacevano il vino Porto, l'olio d'oliva, il cioccolato e le sigarette.

1342,8 KM\H È IL RECORD DI VELOCITA' DELL'ESSERE UMANO IN ATMOSFERA. La massima velocità raggiunta da un uomo in atmosfera lanciandosi da una quota di 39 045 m (128.100 piedi) è di 1,342.8 km/h (833.9 mph - Mach 1.24), stabilita il 14 ottobre 2012 da Felix Baumgartner durante la missione Red Bull Stratos.

VERSO L'INFINITO Dave Cornthwaite (Regno Unito) lasciò Perth, a fine agosto 2006, per arrivare a Brisbane il 22 gennaio 2007 dopo un viaggio di 5.823 km con il suo skateboard chiamato Elsa.

La 1. edizione dei Giochi Olimpici invernali si svolse a Chamonix nel 1924. 16 eventi per 7 discipline. Alla ribalta atleti come Charles Jewtraw, Herma Szabo-Plank e Thorleif Haug.

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VITINIA E IL GRANDE AMORE PER GLI SCACCHI

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itinia, una delle borgate romane tra la Capitale ed il mare, settembre 1975. Cinque appassionati di scacchi decidono di aprire un Circolo. Non c’è molto nel quartiere: la chiesa, l’oratorio, il club dei cacciatori, le allora sedi di partito. Per aumentare il numero dei soci, il presidente dell’epoca decide di proporre l’insegnamento del gioco alla locale scuola elementare. Comincia così la storia del circolo scacchi Vitinia. Realtà unica nel panorama scacchistico romano e nazionale, il circolo comincia ad ottenere i primi veri successi agli inizi degli anni 80, per poi affermarsi tra i migliori d’Italia a livello giovanile negli anni 90 ed arrivare nel 2000 a produrre alcuni tra i migliori scacchisti italiani di sempre. Negli Anni 70 a Roma gli scacchi erano un gioco per grandi, poca era l’attenzione per i ragazzi ed i bambini. I Circoli erano luoghi per adulti dove non c’era molto spazio per piccoli appassionati, spesso troppo vivaci e rumorosi. L’esperimento di Vitinia permise di realizzare un punto d’aggregazione sociale e culturale unico, citato anche in diverse tesi universitarie dell’epoca, che negli anni non ha solo prodotto campioni di scacchi, ma ha garantito il futuro dell’attività. Il modello è semplice. Insegnamento gratuito a scuola, Circolo Scacchi gestito da adulti appassionati del gioco e sede aperta due o tre volte a settimana che diventa in breve tempo punto di riferimento di bambini e ragazzi del quartiere. E poi ricambio generazionale, con gli exallievi che subentrano ai loro istruttori e garantiscono il futuro dell’associazione. Non tutti diventano campioni, certo, ma tutti possono giocare, cercare di capire i segreti degli scacchi, vivere una socialità diversa, in cui si impara a vincere, a perdere ed a confrontarsi con regole e principi matematici in un mondo a 64 caselle dove si fondono logica e fantasia. Ma quali sono le difficoltà che devono essere affrontate e superate per garantire quasi quarant’anni di storia? Lo chiediamo a Cristiano Sternini, attuale presidente ed ex-allievo del Circolo. «Gestire un circolo scacchi ed in particolare uno dedicato a bambini e ragazzi non è semplice» ci dice Sternini «ci vuole tanta passione, e tanto spirito di sacrificio. La sede è uno degli aspetti principali, ma anche le relazioni con i genitori dei ragazzi, quelle con il territorio e le istituzioni sono importanti e non vanno mai trascurate». Tra i tanti giocatori prodotti

dal vivaio del Circolo ne citiamo due. Fiammetta Panella, giovanissima attuale vice-presidente, ha solamente 24 anni, è stata campionessa Italiana assoluta nel 2007 ed è una delle migliori giocatrici italiane in attività e Daniele Vocaturo, classe 1989, che ha imparato il gioco a scuola ad otto anni e che grazie al suo incredibile talento è ora Grande Maestro di scacchi, il titolo più alto che uno scacchista possa ottenere. Sabato mattina, una borgata romana qualsiasi, diciamo tra la Capitale ed il mare. Anni 80 un bambino di 10 anni esce di casa. Sta andando a piedi al circolo scacchi dove grazie al lavoro di alcuni appassionati ritroverà i suoi amichetti di scuola, magari la bambina di cui è innamorato oppure quel ragazzino della quarta B che lo ha battuto 4-1 il sabato prima. Passerà la mattinata tra cavalli ed alfieri, tra vittorie e sconfitte. Forse sognando la convocazione nella squadra della scuola, o la vittoria della Coppa al prossimo torneo Gli scacchi di primavera. di Gemma Azuni Stessa borgata, oggi. «Il Circolo degli Scacchi Vitinia Un ragazzino scende è una realtà molto importante dalla macchina del paper il nostro quartiere, ed è pà, ha il cellulare - eh stato realizzato e sostenuto sì a 8 anni è proprio grazie all’opera volontaria dei necessario- sta andangenitori. I nostri figli da oltre do al Circolo Scacchi. trentacinque anni usufruiscono di questo servizio». Queste le parole del consiSpera di trovare quel gliere di Roma Capitale Gemma Azuni che a SPQR bambino che gli ha daSPORT aggiunge: «Vitinia è un quartiere piccolo e to lo scacco matto del senza impianti sportivi. C’è solo una piscina nelle barbiere la scorsa setscuole medie che è stata realizzata sotto il mio mantimana e magari dato ma che oggi è quasi inutilizzata. Da circa trenl’istruttrice che gli ha ta anni aspettiamo un campo sportivo che non è mai spiegato il matto dei stato realizzato. Gli scacchi invece hanno prodotto muri. È così simpatica! ottimi risultati, dal nostro Circolo sono usciti camEd è stata pure campioni italiani ed europei. Fondamentale oggi è una pionessa Italiana. Sasede visti i tanti locali comunali sfitti, utilizzabili per luta il papà, entra al gli scacchi ma anche per una biblioteca». Circolo e…

«Io non sono il vincitore della maratona. Invece, come dicono gli inglesi, io sono colui che ha vinto ed ha perso la vittoria». Così scriveva Dorando Pietri sul Corriere della Sera. NEWS | 143

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SPORTSTAR Il personaggio del mese, il divo, l’uomo copertina: ogni numero alla ricerca delle star che anche grazie allo sport sono diventati le icone del momento...

STAR USCITA CINEMA: 4 aprile 2013 REGIA: Derek Cianfrance SCENEGGIATURA: Derek Cianfrance, Ben Coccio, Darius Marder ATTORI: Ryan Gosling, Bradley Cooper, Rose Byrne, Eva Mendes, Ray Liotta, Dane DeHaan, Bruce Greenwood, Ben Mendelsohn

DENSITÀ Questo termine indica uno dei principali parametri applicati nell'allenamento di resistenza con i pesi (bodybuilding, fitness). Rappresenta il legame tra sforzo e recupero all'interno di una stessa sessione di allenamento.

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METODO DI DUCKWORTH-LEWIS Metodo usato nella disciplina del cricket per conteggiare il punteggio necessario per raggiungere il target (la vittoria). Viene usato dalla squadra che batte per seconda in condizioni particolari derivanti dalla cancellazione di parte della partita per via delle condizioni atmosferiche.

KAMAE Parola che deriva dal giapponese e significa ‘posizione’. E’ la posizione usata in diverse arti marziali, tra cui il nunjutsu. Nel combattimento libero si ottiene posizionando la mano avanzata a protezione del volto e quella arretrata sul plesso solare mentre nel kata la guardia si assume posizionando le mani chiuse su un fianco una sopra l'altra.

FARTLEK In lingua svedese significa “gioco di velocità”. E’ un termine utilizzato nell’aerobica e si riferisce ad un allenamento tra il tradizionale continuato e quello intervallato. E’ flessibile alle necessità individuali e si estende anche ad altri sport quali il calcio, l’hockey su prato ed il rugby.

Uruguay-Brasile 2-1: incubo al Maracanã. Il 16 luglio 1950 accadde l'impensabile: a trionfare fu la Celeste uruguagia contro il grande Brasile. Dramma carioca.

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SPORTSMAN

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he Place Beyond the Pines è un dramma criminale sul potere di trasformazione della paternità e sulle cose che vengono tramandate di padre in figlio. La sceneggiatura è scritta da Derek Cianfrance che dopo aver diretto Ryan Gosling e Michelle Williams in uno dei film più strazianti di questa passata stagione, Blue Valentine, è tornato dietro la macchina da presa. E lo fa in collaborazione con Ben Coccio. La pellicola risente molto dell’opera di Jack London.La storia ruota intorno a Luke (Ryan Gosling), motociclista che fa lo stunt di mestiere e che scopre di avere un figlio. Prova in tutti i modi di

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fare il padre, arrivando a rapinare banche per mantenerlo. Sulle sue tracce si mette il poliziotto buono di Bradley Cooper. Secondo il regista, The Place Beyond the Pines, è una specie di film epico: si svolge nell'arco di un paio di generazioni ed è a metà tra il crime drama e il mystery. C'è chi dice che sulla carta potrebbe essere Il cacciatore che incontra Il Padrino. Quanto alla scelta del tema trattato, Cianfrance ha detto di seguire tutto ciò che lo ispira al momento, qualunque cosa entri nei suoi sogni, le cose alle quali non può smettere di pensare, quello che lo cattura come una malattia, e dopo aver esplo-

rato il lato oscuro del matrimonio, come padre era interessato ad approfondire il rapporto genitore-figlio. Per il gentil sesso l’occasione per ammirare l’aspetto sexy e affascinante di Ryan Gosling, uno dei maggiori talenti di Hollywood. La palestra è la sua passione e lo si vede dagli addominali scolpiti. «Ma non c’è solo la palestra. È lo sport in generale che mi appassiona. Ad esempio gioco spesso a tennis e non disdegno alcune esibizioni, a livello amatoriale, di pugilato. Invece, nonostante nel mio ultimo film interpreti uno stunt man con la moto, non sono un vero appasssionato delle due ruote».

NUOVA CASA DEL CEIS Nella sede del CeIS ha preso vita quella che nei prossimi mesi diventerà una vera e propria Polispostiva volta a dare agli ospiti della comunità un’importante opportunità di reinserimento nella società civile attraverso lo sport. Ora, utilizzando le nuove strutture inaugurate in questi giorni, si farà sul serio. Si occuperà del settore, in qualità di responsabile Ferdinando Colloca.

TUTTI PER MIGUEL

Chi era Miguel Benancio Sanchez? Un poeta e maratoneta desaparecido vittima della dittatura militare argentina. Uno dei tanti martiri della malvagità umana. E lo sport da 14 anni ricorda la sua figura dedicandogli una giornata dedicata alla corsa ed alla solidarietà attraverso una competizione che porta il suo nome. La pista del Paolo Rosi all’Acquacetosa, battuta da una pioggia scrosciante ha accolto i numerosi partecipanti.

Nehli Uomini a tagliare per primo il traguardo è stato Riccardo Passeri. Fra le donne successo per l’azzurra di origine marocchina Fatna Maraoui. La non competitiva di km 4 (dedicata alla memoria della giovane atleta somala Samia Yusuf Omar scomparsa prematuramente) con partenza per la prima volta dal Ponte della Musica ha visto la partecipazione dei ragazzi del Progetto Filipide. Protagonista anche il ciclismo.

Martina Caironi che 5 anni fa per un incidente stradale ha subito l’amputazione della gamba sinistra, ha battuto il record del mondo nei 100 m alle Paralimpiadi di Londra. NEWS | 145

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Correre in bicicletta accompagnati dalla fede. Potrebbe riassumersi così lo spirito che anima da sempre il Ciclopellegrinaggio al Santuario della Madonna del Divino Amore giunto alla sua 52esima edizione. La manifestazione, patrocinata dal XII Municipio, è sotto l’egida della Fci Comitato Regionale Lazio. Il gruppo è stato scortato dal Bici Club Divino Amore coadiuvato dal Comando Vigili Roma Capitale, dalla direzione di corsa a cura di Agildo Mascitti, dai volontari dell’Ass.ne Europea Operatori di Polizia e dalla scorta tecnica Gruppo Vessella. Presente anche una rappresentanza di atleti con la divisa del Changing Diabetes Team-Novonordisk Roma. Monsignor Don Pasquale Silla ha fatto gli onori di casa all’arrivo dei ciclisti nel piazzale del Santuario. Presenti molte personalità federali e del ciclismo laziale tra cui Raimondo Mau-

rizi ha ricordato la figura di suo padre Domenico, storico presidente del Comitato Regionale della Fci, la giornalista Monica Matano, il segretario del delegato allo sport di Roma Capitale Rodolfo Roberti, il presidente del XII Municipio Pasquale Calzetta, Giovanni Maialetti, Spartaco Rosati, Gigi Sgarbozza, Umberto Proni, Tullio Rossi e Antonio Zanon. Per la Fci Lazio sono intervenuti il presidente Angelo Caliciotti, Bruno Vallorani, Gildo Pagliaroli, Luigi Patrizi, Gianfranco Di Pretoro e Nicolangiolo Zoppo; per la FCI Roma il presidente Mauro Pirone, Giancarmine Iannotti e Vittorio D’Ingillo; Roberto Polidori e Gualtiero Massi in rappresentanza del Csi. Premi speciali alle tre società più numerose e sempre fedeli al cicloraduno come l’A.S. Roma Ciclismo del presidente Lorenzo Baldesi, il Tor Sapienza-Cerbiatto di Enzo Annucci e la Cicli Caldaro di Mario Caldaro.

Valeria Pessina si è avvicinata al canottaggio giovanissima. Prima, l'agonismo poi l'approdo all'arbitraggio. «Ma anche dirigere una gara è una forma di competizione».

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IN BICICLETTA VERSO IL DIVINO AMORE

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CHINAGLIA-PIOLA, BOMBER DA RECORD Forse non tutti gli appassionati di pallone sono a conoscenza di una chicca statistica che farà sicuramente piacere ai tifosi della Lazio: Giorgio Chinaglia e Silvio Piola sono gli attaccanti italiani più prolifici al mondo da quando esiste il gioco del calcio. Lo rende noto una classifica elaborata dall’Iffhs, che ha analizzato tutte le reti segnate dai giocatori in carriera nei vari campionati disputati. Primo italiano ad occupare questa prestigiosa classifica, al 40esimo posto, risulta essere Giorgio Chinaglia che tra serie A e campionato Usa (1969-1983) ha segnato la bellezza di 319 reti. Il secondo italiano in questa graduatoria è sempre un altro grande biancoceleste, Silvio Piola, che si piazza al 66° posto (290 gol tra il 1929 e il 1954). Al terzo posto, in ottantesima posizione, troviamo Giuseppe Meazza (268 reti, 1927-47). Per la cronaca, a comandare la classifica Iffhs, troviamo Pelè (541 reti in 560 partite) mentre Diego Armando Maradona occupa “soltanto” la 97esima posizione (259 gol in 490 gare), davanti ad altri grandi come Michel Platini, 275° (207 reti in 400 gare), Roberto Baggio, 282° (206 gol in 452 partite) e Andriy Shevchenko, 311° (200 gol in 200 partite).


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TENNIS, L’ITALIANO CHE ALLENA IN CINA

ragazzi cinesi seguono più le diretti«I ve rispetto ad altri, sarà anche per un discorso politico, caratteriale o di abitudini…», così esordisce Marco Panichi, preparatore atletico dei tennisti cinesi che si racconta sulle pagine di Spqr Sport. Ci sono differenze tra i tennisti italiani e quelli cinesi? «Non ci sono molte differenze tra italiani, cinesi o tedeschi, l’ho constatato dopo aver lavorato in tutte queste nazioni. Devo dire però che vengo molto seguito dagli asiatici, sono abituati ad eseguire senza replicare; ma sono anche ragazzi molto aperti perché sono abituati a viaggiare». Come si trova a lavorare in Oriente e perché ha scelto proprio la Cina? «Noi siamo un po’ come gli allenatori di calcio, andiamo dove c’è la migliore offerta ed un progetto stimolante. La Cina mi aveva già chiamato nel 2006 ma ero impegnato con la Federazione italiana. Due anni fa

invece, quando stavo in Germania, mi sono trasferito e devo dire che mi trovo molto bene». Ci parli un po’ dei suoi atleti e del suo lavoro… «Qui le ragazze sono più forti rispetto agli uomini, durante i training camp mi capita di allenarli tutti. Poi successivamente ognuno ha il suo team personale che li segue in tutto il mondo. Tutti sono molto giovani e molto motivati, è questo il bello del mio lavoro». Un giorno le piacerebbe tornare in Italia? «Ovviamente sì ma credo che ora la Federazione italiana stia lavorando bene. Ho ancora rapporti con molti di loro e un giorno mi piacerebbe ritornare. Ma per ora sto qui».

Marco Panichi è il coach degli atleti cinesi che con lui stanno crescendo tecnicamente tanto da sfidare nel prossimo futuro le “big” occidentali

Sonja Henie ha vinto tutto quello che c’era da vincere nel pattinaggio su ghiaccio. E di questa splendida ragazza se ne accorse anche Hollywood, che dal 1936 la trasforma in diva del grande schermo. Ma con i pattini sempre in primo piano NEWS | 147

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Federico PASQUALI

La rubrica che racconta sport e celluloide

Focus sul

& SPORT

PALLA DA GOLF Harold Ramis, 1980

Il golf è uno sport di precisione che si pratica in un campo aperto. E forse sono proprio gli scenari su immensi prati verdi che da sempre hanno ispirato i registi hollywoodiani e non solo, per raccontare questa disciplina. Storie divertenti, drammatiche o surreali, tutto si aggira intorno a questa disciplina…

Cast: Michael o’ Keef, Chevy Chase, Bill Murray, Rodney Dangerfield, Sarah Holcomb Trama: Le vicende del giovane Danny, caddie in un country club che si dividono tra la fidanzata Maggie e l’amico Ty Webb. A contorno della storia, il giardiniere Carl Sackler che conduce una guerra personale contro una marmotta.

a cura di Roberto CIPOLLETTI

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Sportinrete

La nuova rubrica della rivista con le recensioni sui siti del mondo sportivo prosegue con le pagine su Valentina Vezzali

La prima sensazione che si ha, visitando il blog della campionessa di scherma italiana, Valentina Vezzali, www.valentinavezzali.com, è quella di un blog di notevole impatto fotografico. Sia in home page che in tutte le altre sezioni del sito, una carrellata di bellissime fotografie che la ritraggono. Il tema principale è naturalmente la scherma, ma le immagini mettono in evidenza, anche la sua femminilità, ritraendola in eleganti abiti femminili, e il suo lato tenero, quando abbraccia suo figlio Pietro. Quello della Vezzali, è un blog sempre aggiornato, con i suoi comunicati stampa e le iniziative alla quale partecipa, molte delle quali di carattere sociale, ma anche pensieri e considerazioni personali. Ovviamente non mancano notizie ed informazioni riguardanti la scherma, con i suoi risultati, e i suoi impegni. Scorrendo le pagine del blog a ritroso ripercorrendo tutti gli eventi che l’hanno visto protagonista, si ha la sensazione di fare un meraviglioso viaggio nel mondo di questa disciplina. Sono presenti anche la classica pagina dei contatti con un form per inviare richieste e quella degli sponsor. Molto interessante la bio-

grafia. Nonostante è noto a tutti il calibro della campionessa, non si può non rimanere affascinati da un cosi ricco curriculum, 78 vittorie in coppa del mondo è un record che nessun altro atleta ha mai raggiunto! Tra le curiosità, si scopre che è disordinata, che la vittoria che definisce “più bella” (tra ori olimpici e campionati mondiali)… è quella del 1984 a 10 anni nella categoria Prime Lame. E infine che Braveheart è il suo film preferito … ma questo non ci sorprende più di tanto. Un sito così fortemente orientato alla comunicazione fotografica, è però carente nelle sezioni “video” e “media” non aggiornate da qualche anno … eppure di materiale ce ne sarebbe!

il blog di Valentina Vezzali

“Ghe voeren i garun!”. “Ci vogliono le uova fresche!”. 28 ne ingoiò Alfredo Binda per vincere il Giro di Lombardia del 1926. Al termine di una corsa epica svelò lui stesso la sua arma segreta.

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TIN CUP

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LA LEGGENDA DI BAGGER VANCE

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20 12 Cast: Will Smith, Matt Da-

Ron Shelton, 1996

Robert Redford 2000

Cast: Kevin Costner, Don Johnson, Rene Russo, Mickey Jones, Cheech Marin Trama: Ray, soprannominato ‘Tin cup’, è un ex golfista che per guadagnarsi da vivere fa l’istruttore in un club. Si innamora di Molly, fidanzata con il suo acerrimo nemico David ma per conquistarla, decide di partecipare all’Us Open…

mon, Charlize Theron Trama: L’ex giocatore di golf Rannulph Junuh torna dalla Guerra tramautizzato e così si dà all’alcool per più di dieci anni. Ma un giorno, lo stravagante caddie Bagger Vance si ricorda di lui e lo allena per un torneo contro i più grandi giocatori d’America. IL PIÙ BEL GIOCO DELLA MIA VITA

BOBBY JONES. GENIO DEL GOLF Rodwy Herrington, 2004

Bill Paxton , 2005

Cast: James Caviezel, Claire Forlani, Jeremy Northam, Malcolm McDowell Trama: Robert "Bobby" Tyre Jones Jr., la sua storia dall'infanzia al primo torneo di golf fino all'apice della carriera quando si aggiudicò il Grande Slam vincendo i quattro principali tornei del mondo. Il suo ritiro sbalordì il mondo dello sport.

Cast: Shia LaBeouf, Elias Koteas, Stephen Dillane, Josh Flitter, Peyton List Trama: Francis Ouimet, ex caddie del golf, ha l’opportunità di partecipare all'U.S. Open Tournament di Brookline del 1913. Durante il torneo il giovane, con grande stupore di tutti, a sconfiggere il campione britannico del momento Harry Vardon.

Il sito di Valentina Vezzali è ricco di argomenti che consigliamo di andare a visitare. Troverete la sua biografia, tante foto e video e una sezione dedicata ai contatti

w ww valenti navezzali co m www.valentinavezzali.com

Nel sito una ricca sezione di foto inedite della campionessa che si presenta ai suoi tifosi oltre che nella veste di schermidrice anche in quella di mamma

«Caro Giovanni, ti mando due corridori. Uno, il Coppi, vincerà». La segnalazione, lazione, spedita via lettera nel 1939 da Biagio Cavanna a Giovanni Rossignoli della Bianchi prima di una corsa a Pavia. NEWS | 149

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A CURA DELL’UNIONE ITALIANA COLLEZIONISTI OLIMPICI E SPORTIVI

F I L AT E L I A E D I N T O R N I di Pasquale Polo

V U O I V E D E R E P U B B L I C A T O I L T U O M A T E R I A L E D ’ E P O C A ? S C R I V I C I A R E D A Z I O N E @ S P Q R S P O R T. I T

La rubrica che racconta i grandi eventi sportivi e i luoghi che hanno fatto la storia dello sport attraverso il materiale dei collezionisti

In riva al laghetto dell’EUR nel 1960 venne completata la Piscina delle Rose che durante i Giochi Olimpici di Roma fu destinata agli allenamenti dei nuotatori e vennero disputate alcune partite dei gironi eliminatori ed anche due partite del girone finale 5°-8° posto del Torneo di Pallanuoto. La Piscina, progettata dall’architetto Sergio Buonamico e dagli ingegneri Guido Gigli e Giorgio Biuso, misurava 50 m. di lunghezza, 25 m. di larghezza mentre la sua profondità variava da 1,80 m. ai 2,00 m. nella parte destinata al rettangolo di gioco per la Pallanuoto. Per il pubblico vennero predisposte delle tribune che potevano contenere 2.000 posti, alle quali durante il periodo dei Giochi Olimpici furono aggiunti con delle installazioni provvisorie altri 1.850 posti. Per gli incontri notturni, la piscina venne dotata di quattro torri d’illuminazione, l’impianto fu dotato anche di un moderno sistema di depurazione dell’acqua. Questo impianto non venne costruito solo per le esigenze olimpiche, ma soprattutto per le future necessità sportive della capitale, diventando negli anni successivi la meta estiva dei romani. La struttura, di proprietà dell’ex Ente EUR, nel 2007 è stata rimodernata e la gestione è stata affidata a un consorzio privato e ospita anche un club di canottaggio e di canoa.

LA PISCINA DELLE ROSE ALL’EUR Due cartoline Maximum della Piscina delle Rose con annullo speciale dei Giochi Olimpici del 27 agosto 1960

15 ottobre 1967. In Corso Re Umberto, a Torino, una Fiat 124 coupé blu si trovò davanti un’ombra che non riuscì ad evitare. L’ombra che l’auto aveva appena investito era quella di Gigi Meroni.

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I 50 ANNI DEL CLUB SCHERMA ROMA «Il Club Scherma Roma ha compiuto 50 anni e lo scorso 5 dicembre, al Circolo della Finanza con sede a Villa Spada, si è organizzata una festa per l’occasione, nella quale erano presenti tutti gli ex presidenti (tra cui il primo Sidney Romeo) e gli ex atleti». Queste le parole del presidente Sergio Brusca che ha rilasciato alcune dichiarazioni a Spqr Sport per celebrare la storia gloriosa della società. Alla serata hanno partecipato non solo personaggi che hanno fatto grande la storia del Club ma anche chi, in un modo o nell’altro, si sente vicino a questo sport, come ad esempio Patrizia Nostini, figlia del grande schermidore Renzo. «La festa è avvenuta in concomitanza con il trentesimo scudetto del Club Scherma Roma e dopo l’Olimpiade di Londra – aggiunge Brusca - Noi siamo l’unica società ad avere più di trenta scudetti, la nostra tradizione è ricca di vittorie e trofei». «Il Club nasce nel 1961 dalla fusione di due società capitoline, la Sala Pessina e la S.S. Lazio. Da allora è iniziato un periodo di imprese leggendarie, grazie anche alle gesta di Renzo Nostini», conclude il presidente. Sui 50 anni del Club

Scherma Roma è intervenuto ai nostri microfoni anche l’ex presidente, l’avvocato Mario Tonucci, che ha ricordato con piacere quella esperienza. «Ho avuto l’onore di presiedere il Club Scherma Roma dal 2000 all’ottobre 2011. In questi anni oltre a dare continuità alle nobili tradizioni del Club si è cercato di dare anche un contributo innovativo. Vale la pena ricordare in primis la creazione della sezione “Scherma in Carrozzina” per i diversamente abili, oggi fiore all’occhiello del Club. L’avvio di una programmazione di tipo imprenditoriale che ha visto collaborare tecnici italiani e stranieri di grande livello. L’aver favorito l’ingresso nel Club di campioni nati altrove (vedi Montano, Tarantino, Sanzo, Quondancarlo, Tagliariol, Pizzo, etc. ) che ha aiutato la crescita di un grande vivaio (450 atleti) e che ha poi consentito al Club di primeggiare, senza interruzioni, in tutte le categorie: giovanissimi, giovani, assoluti e masterı».

Città del Messico, 26 ottobre 1968. Franco Menichelli sta per concludere l’esercizio individuale maschile del corpo libero. Un urlo: rottura del tendine d’Achille e addio alla ginnastica. NEWS | 151

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9 GENNAIO. LA FESTA DELLA S.S. LAZIO 1900

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di Daniele FERRANTE

113 ANNI INSIEME

TANTI MODI PER RICORDARLA

American Circus Centinaia di bambini hanno partecipato alla serata dedicata alla famiglia laziale dall’American Circus. Nella foto, Il Sindaco Alemanno con il Presidente del calcio Claudio Lotito

Hockey su ghiaccio All’Auditorium, dimostrazione della sezione Hockey

Paracadutisti

Una mostra per i 104

Sul cielo di Roma, come nel Centenario del 2000

Presso l’Ice Park si è tenuta una mostra per ricordare il compleanno biancoceleste.

Piazza della Libertà Spontaneamente, nella notte tra l’8 e il 9 gennaio, lì dove nacque la lazio

Polisportive a Bruxelles Le polisportive d’Europa, capofila la Lazio, si sono riunite per la prima volta in Belgio.

Scacchi, la nuova sede La Lazio in casa Uno striscione per festeggiare. Ogni 9 gennaio

Anche la sezione scacchi festeggia: apre la nuova sede alla Magliana.

Per una sera bucò il pezzo Edoardo Mangiarotti, collaboratore della Gazzetta. Infatti, il 28 luglio 1952 era impegnato ad Helsinki, quando salì sul gradino più alto del podio ai Giochi finlandesi.

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N. 02- ANNO 32 - N. 02 - YEAR 32TH

FEBBRAIO - FEBRUARY 2013

un OSPITE a

ROMA A GUEST IN ROME

GLI EVENTI DELLA TUA CITTÀ L’Evento, rivista specializzata di Roma Capitale, sceglie per voi i principali avvenimenti che si svolgono a Roma

Alberto Sordi e la sua Roma

SPORT

CINEMA

EVENTI

MOSTRE

MUSICA

TEATRO

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“ALBERTO SORDI E LA SUA ROMA” Sguardo sornione e sorriso beffardo. Tratti tipici di uno dei simboli del cinema italiano, perché chiamarlo solo attore o regista sarebbe riduttivo. Alberto Sordi ce lo ricordiamo così, con la sua ironia e la sua irriverenza, con l’allegria delle sue battute e con le frasi celebri dei personaggi che ha portato sul grande schermo come il giovane Nando Mericoni che sognava l’America o il cinico e gaudente Marchese Onofrio del Grillo nella Roma papalina, a dieci anni dalla scomparsa avvenuta il 25 febbraio del 2003 nella sua residenza di piazza Numa Pompilio. Una mostra al Vittoriano ne vuole celebrare la grandezza, mettendo sotto la lente d’ingrandimento tutta la romanità di Albertone. Sordi aveva un rapporto unico con Roma, quasi viscerale. Un legame profondo nato a Trastevere, quando venne alla luce il 15 giugno del via San Cosimato, e che lo ha accompagnato per tutta la vita tanto da diventare Sindaco per un giorno in occasione dell’ottantesimo compleanno. Saranno le immagini di Enrico Appetito, fotografo di scena della maggior parte dei suoi film, le sceneggiature, i video, le canzoni e molti materiali per lo più inediti, provenienti da casa Sordi e dagli archivi privati di Sordi stesso, a raccontare l’amore dell’artista per la sua città natale. Amore che non ha risparmiato critiche, come quelle che si leggono in alcuni degli articoli esposti che lui stesso scrisse sul Mes-

saggero tra il 1988 e il 2002, riguardanti alcuni aspetti della vita quotidiana in città. Roma è stata il set di gran parte dei suoi duecento film davanti e dietro la macchina da presa - tra quelli più amati dal pubblico, “Lo sceicco bianco” (1952) e “I vitelloni” (1953) di Federico Fellini, “Un giorno in pretura” (1953) e “Un americano a Roma” (1954) di Steno, “Il vigile” (1960) di Luigi Zampa, “Il Marchese del Grillo” (1981) di Mario Monicelli, “Il tassinaro” (1983) e “Nestore, l’ultima corsa” (1994) diretti da lui - e delle sue vicende personali, intense ed emozionanti come un romanzo. L’esposizione è un omaggio doveroso della città a colui che meglio di altri ha saputo interpretare la commedia, incarnando vizi e virtù degli italiani, in una lunga vita professionale costellata dall’apprezzamento del pubblico e da prestigiosi riconoscimenti internazionali (tre Nastri d’Argento, sette David di Donatello, due Grolle d’Oro, un Golden Globe, un Orso d’Oro a Berlino e un Leone d’Oro a Venezia alla carriera). Dal 15 febbraio al 31 marzo Complesso Monumentale del Vittoriano Sala Zanardelli Via di San Pietro in Carcere Informazioni: 06 6780664 “ANIME DI MATERIA. LA LIBIA DI ALI WAKWAK” Una quarantina di sculture di grandi dimensioni del più importante scultore libico contemporaneo, Ali WakWak, sono in mostra al Complesso del Vittoriano fino al 28

Francesca CELLAMARE (Ufficio Stampa Roma Capitale)

febbraio. Le opere, realizzate dall’artista a partire dall’aprile 2011, poco dopo la rivolta libica, sono giganti figure antropomorfe e zoomorfe costruite con residui di munizioni, armi da fuoco ed elmetti. I residui di pezzi di ferro, nati per distruggere, vengono trasformati e plasmati per riprendere nuova vita, diventando sculture dotate di un’unicità totalmente diversa rispetto a quella per la quale sono stati fabbricati. Fino al 28 febbraio Complesso del Vittoriano Piazza D’Aracoeli Ingresso gratuito - Info: 06 69202049 TUTTI A BORDO CON BIG BLU Aprirà i battenti il 20 febbraio la settima edizione di Big Blu, il Salone nautico della Capitale. Come ogni anno sarà offerta ai visitatori la possibilità di fare un viaggio a 360° nella cultura del mare e della navigazione, rivolgendosi non solo a un’utenza specializzata, ma soprattutto al grande pubblico. Per rendere più concreto questo obiettivo, il giorno di apertura l’ingresso sarà completamente gratuito per permettere a tutti di “salire a bordo” e festeggiare insieme il varo del Salone. L’edizione 2013 presenta alcune delle più interessanti novità tra le imbarcazioni di tutte le classi, dai battelli pneumatici ai yacht di lusso, dal motore alla vela e un fitto programma di eventi culturali per approfondire le tematiche legate al mondo marino. Come ogni anno, il Festival Internazionale del Mare, la cui partecipazione è aperta a tutti, ospita prestigiose produzioni audiovisive, nazionali e internazionali, documentari subacquei e reportage fotografici sul tema del mare e, novità di questa edizione, la categoria amatoriale nella sezione fotografica. Dal 20 al 24 febbraio Salone Big Blu Fiera di Roma Via Portuense, 1645/64 www.big-blu.it

Omobono Tenni sbucò da una curva a velocità folle. La disperata frenata evitò un incidente. Nonostante una gamba fratturata, il centauro vinse nel 1937 il Tourist Trophy. NEWS | 153

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N. 02- ANNO 32 - N. 02 - YEAR 32TH

FEBBRAIO - FEBRUARY 2013

un OSPITE a

ROMA

“TUTTO SUO PADRE E UN PO’ SUA MADRE”

A GUEST IN ROME

TUTTI GLI EVENTI DELLA TUA CITTÀ

Lo spettacolo affonda le sue radici nei ricordi di una vita familiare modesta e di borgata. Il comico apre l’album di famiglia e narra le storie dei suoi parenti e amici, il tutto condito da umorismo, risate e una vena di malinconia che spesso contraddistingue i monologhi dell’artista romano. 8-9-10 marzo Gran Teatro (Saxa Rubra) Prevendite: www.ticketone.it

Alberto Sordi e la sua Roma

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COMICITÀ A NON FINIRE CON

ENRICO BRIGNANO Tutto pronto per l’ennesimo successo teatrale di una delle icone della comicità romana e non solo. Enrico Brignano, dopo aver girato l’Italia, si appresta a tornare a Roma con il suo spettacolo che già a dicembre ha registrato il tutto esaurito. Il “one man show” a cui siamo abituati diventa un’esibizione corale di più di tre ore no stop dove ballerini, con le coreografie di Bill Goodson, e un’orchestra dal vivo accompagneranno l’istrionico artista capace di recitare, cantare e ballare, e chi più ne ha più ne metta. Quanto c’è di autobiografico nello show? «“Tutto suo padre e un po’ sua madre” è soprattutto un omaggio alla mia famiglia e alla memoria di mio padre, scomparso la scorsa estate. È uno show nel quale cerco di rispondere alle domande senza risposta… sulla vita, sulle amicizie, sui rapporti umani. Per esempio racconto la nascita di mio padre in Tunisia da genitori siciliani e il suo ritorno in Sicilia dopo pochi anni, di come sia stato trattato da extracomunitario. Allora come ora… sembra scontato ma sono i corsi e ricorsi storici che quando ti toccano da vicino sembrano più veri e ti fanno riflettere. Poi racconto i rapporti con le persone più vicine a me, gli amici veri e i miei familiari, metto in piazza le difficoltà, gli scontri, la paura di rovinarli e soprattutto di perderli, in un “viaggio” sempre in bilico tra comicità ed emozioni. Metto alla berlina vizi, difetti e pregi delle persone a me care senza risparmiare nessuno, ma soprattutto di me stesso». Il segreto del successo di “Tutto suo padre e un po’ sua madre”? «Forse il segreto è fare uno spettacolo senza risparmiare su nulla: orchestra dal vivo, ballerini, canzoni originali. Quello che metto in scena è uno show vero e proprio come non si vedeva da molto. Non so fare in altro modo, sono abituato così, e il pubblico ritorna a ve-

dermi perché conosce la qualità e la preparazione dei miei spettacoli. La crisi, almeno durante i miei show, la devono dimenticare…». Il suo rapporto con il pubblico è profondo e consolidato da anni. La televisione è servita a darle maggiore notorietà? «La televisione decuplica sempre la popolarità di un personaggio. Io ho sempre cercato di alternare tv, teatro e cinema e ringrazio sempre il pubblico per l’affetto che mi dimostra. La popolarità mi fa molto piacere e sarebbe sbagliato dire che mi pesa… dopo tutta la fatica che ho fatto. Certo, qualche volta mi piacerebbe uscire a prendere un caffè senza essere fermato, magari mentre sono al telefono con qualcuno, oppure non vorrei sentirmi strattonare per una foto mentre sto accompagnando mia madre a fare una commissione con il rischio che caschiamo tutti e due. Ma non si può avere tutto… so che anche i gesti più maldestri sono gesti di simpatia e affetto nei miei confronti… sarebbe molto peggio non avere questi inconvenienti». Come si è trovato nei panni di una iena? «L’anno scorso con “Le Iene” ho fatto un bellissimo percorso in tv e ringrazio ancora Davide Parenti per avermi concesso questo onore e soprattutto Ilary Blasy per la pazienza che ha avuto a sopportarmi. Ma quest’anno preferisco dedicarmi ad altro». Parlando della sua città natale, come ci vive? E cosa cambierebbe se ne avesse la possibilità? «Io a Roma vivo benissimo. Anche se avessi la possibilità, non cambierei nulla… avrei paura di non riconoscerla più». Dal punto di vista culturale quali iniziative metterebbe in campo? «Mi piacerebbe far rivivere il Colosseo, ma non

4 luglio 1914, rive del Tamigi. Finalissima della Diamond’s Sculls di skiff. Presenti re Giorgio V e Vittoria Maria. A sorpresa vince Giuseppe Sinigaglia sul suo Selvaggio.

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con i leoni e gli schiavi. Il mio desiderio sarebbe quello di farlo diventare un luogo di spettacolo, farlo rivivere veramente e non solo per i turisti e i centurioni con il cellulare. Ma si sa, non è così semplice come potrebbe sembrare: ci sono dei vincoli archeologici che devono essere osservati... per far sì che tutti possano godere della bellezza di Roma e dei suoi monumenti. Quello del Colosseo è un sogno… se non si sogna in grande che si sogna a fare?».

E con questo sogno nel cassetto, Brignano fra qualche giorno terminerà la tournée teatrale e il 14 marzo sarà al cinema con un nuovo film. «“Ci vediamo domani” è una commedia divertente diretta da Andrea Zaccariello. Interpreto un personaggio che apre un’agenzia di pompe funebri in un paese di ottuagenari certo di aver fatto la sua fortuna. Le intenzioni saranno presto smentite dai fatti, ma nello stesso tempo il protagonista imparerà grandi lezioni sulla vita». Francesca Cellamare

"Me brüsa tanto el cü!" Ecco la risposta che Luigi Ganna fornì a un giornalista che lo sollecitava a caldo dopo aver vinto la prima edizione del Giro d’Italia nel 1909. Galeotta fu quel soprassella… NEWS | 155

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ABBIGLIAMENTO SPORTIVO L’abbigliamento sportivo nel rugby, così come in tanti altri sport, ha subito variazioni epocali. Agli albori della pratica sportiva, gli atleti si vestivano in modo molto elegante e risentivano dell’aspetto inglesizzante della disciplina. C’era

Maglia ieri: il rugby dei tempi che fu aveva molta cura dell’abbigliamento, forse perché risentiva dell’ondata inglesizzante. La maglia era un qualcosa che distingueva i rugbisti dai colleghi di altre discipline. Era fatta esclusivamente di lana e curata nei dettagli. Il colletto e i polsini erano in tinta e il taglio era inconfondibile. Immancabile sul petto lo scudetto d’appartenenza

molta cura dei dettagli pur se era uno sport di forte contatto fisico. Un equipaggiamento in linea coi tempi allora, come lo è oggi. Insomma tutto cambia ma tutto si adegua. E il rugby Valentina SUCCI non ne è rimasto immune.

Maglia oggi: abbandonato il concetto di eleganza, il rugby si è uniformato alle altre discipline di squadra. Oggigiorno, ad esempio, si fa fatica a distinguere la maglia di un calciatore da quella di un rugbista. Fatta in materiale sintetico ma che si plasma perfettamente al corpo, la maglia del rugbista moderno è concepita anche in modo da non essere strappata. E difficile riesce lo stop per trattenuta maglia visto che essendo elastica si allunga a non finire

Pantaloncini: certo, non hanno nulla a che vedere coi loro “nonni”. La lana non esiste più, il bordo è sostenuto da un elastico e il materiale è prettamente di cotone. Certo, adesso non c’è il problema di appesantirli in caso di pioggia o fango vista la malleabilità della moderna stoffa, però quanto è nostalgico vedere quelle bermuda d’antan sostituite ora da anonimi calzoncini

Pantaloni: più che un capo sportivo, il pantalone era espressione di eleganza una sorta di bermuda d’antan, un classico per quei tempi. Imbottiti al punto giusto, con la lana predominante

Calzettoni: anche quelli moderni fanno pendant con l’abbigliamento, ma con uno stile diverso. Alla lana è stato preferito un prodotto sintetico, una sorta di mordi e fuggi. E’ lo scotto che si paga alla modernità

Calzettoni: non erano banali, facevano da pendant col resto dell’abbigliamento. Insomma eleganza prima di tutto

Arthur Ashe da Richmond, in Virginia, è il primo giocatore nero a vincere a Wimbledon. In finale batte Jimmy Connors. E’ il 5 luglio del 1975. E’ anche la vittoria del riscatto nero.

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LORENZO TRA NOI

Lorenzo aveva confidato ai suoi amici: vorrei aggregare persone che, in modo del tutto disinteressato e senza alcun tornaconto personale, mettano a disposizione di altri le loro capacità e i propri mezzi per migliorare le condizioni di vita di persone bisognose. E questo spirito, che alimenta la Stella di Lorenzo, associazione di promozione sociale, è lo stesso che ha caratterizzato la breve vita del piccolo Lorenzo Fabbri, mancato improvvisamente la notte del 29 settembre del 2012 a seguito di un malore. Per ricordarlo, l’Asd Spianceto 70 in collaborazione con l’associazione e patrocinata dal Municipio XII di Roma Capitale, ha organizzato una due giorni intensa di triangolari fra 13 Società di Calcio a 5, che hanno visto la partecipazione di decine di giovani atleti, dai più piccoli della categoria Topolino fino alle squadre dell’Under 21. Ma non è stata solo una manifestazione sportiva. La solidarietà è stata messa al primo posto come dimostra anche lo stand allestito per raccogliere i fondi necessari per l’acquisto di holter cardiaci da donare al reparto di Aritmologia dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Per contattare l’associazione: info@lastelladilorenzo.org www.lastelladilorenzo.org

IMPORTANTE L’AZIONE DEL CAMPIDOGLIO

CRESCE IL CICLISMO NEL LAZIO

Il ciclismo laziale sta vivendo un vero momento magico. Una crescita continua da parte di tutto il movimento che fa ben sperare per il futuro. E pensare che fino a qualche anno fa le due ruote stentavano a decollare nella nostra regione. Ma grazie all’impegno della federazione e delle società e alla stretta collaborazione dell’amministrazione capitolina, il ciclismo torna a respirare il profumo della vittoria. Non tanto sotto l’aspetto dei risultati quanto per la crescita di iniziative e del numero dei partecipanti ad ogni manifestazione. Ne sono come esempio alcune gare svoltesi di recente che testimoniano la bontà del lavoro che si sta portando avanti. Guardate la Gran Fondo Campagnolo Roma che ha richiamato nella capitale lo scorso ottobre oltre 5.000 appassionati delle due ruote. Ad amatori e dilettanti, si sono affiancati nell’occasione grossi nomi del ciclismo come lo straordinario campione spagnolo Indurain e il ct della nazionale, nonché ex grande interprete del nostro ciclismo Paolo Bettini. Ma la griglia di partenza presentava anche chi col ciclismo non si era mai confrontato direttamente, come il Sindaco Gianni Alemanno, l’imprenditore Matteo Marzotto e grandi campioni di altre discipline come Jury Chechi, Antonio Rossi, Fabrizio Macchi, Alessandro Fabian e il campio-

Monza, 26 maggio 1955: Alberto Ascari in giacca e cravatta si lancia in pista. Alla curva del Vialone, oggi variante Ascari, la vettura sbanda e per Alberto è l’ora della fine. NEWS | 157

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ne paralimpico Alex Zanardi. Una risultato ogni rosea aspettativa per l’organizzatore Gianluca Santilli che guarda alla prossima edizione con grande fiducia alimentata dai numeri dal momento che in vista dell’appuntamento del 13 ottobre prossimo già sono arrivate oltre tremila richieste di iscrizione. Altra soddisfazione per il ciclismo laziale è arrivata lo scorso 28 aprile: Roma è diventata ufficialmente capitale del movimento #salvaciclisti. In quell’occasione sono giunti ai Fori Imperiali migliaia di ciclisti che hanno chiesto maggiore sicurezza, itinerari protetti e dignità per il popolo della bici che spesso paga con il contributo del sangue a causa di scarsa protezione lungo le strade. E che dire poi della terza edizione del Memorial Scotti, 7a prova di Coppa del Mondo Ciclocross, che si è svolta presso l’Ippodromo delle Capannelle lo scorso 6 gennaio? Negli uomini terzo Marco Aurelio Fontana. Onorevole decimo posto, invece, per la nostra Eva Lechner fra le donne. Per la categoria Under 23 uomini, migliore degli italiani è stato Luca Braidot arrivato 15° con 34” di distacco. Bel colpo di Gioele Bertolini che si è classificato secondo alle spalle dell’olandese Mathieu Van der Poel nella categoria juniores. Terza piazza per il belga Quinten Hermans.


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SPORT E SPETTACOLO PER UN GIORNO DI SOLIDARIETÀ SULLA TERRA ROSSA DEL FORO ITALICO

TENNIS&FRIENDS, TUTTI INSIEME CONTRO IL TUMORE ALLA TIROIDE

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ono circa sei milioni le persone affette in Italia da malattie della tiroide e solo a Roma se ne contano oltre 300.000. Ad essere più colpite, con il 70 per cento dei casi, sono le donne, la maggior parte delle quali in età fertile. Negli ultimi 20 anni il tumore alla tiroide è salito dal dodicesimo al sesto posto fra le neoplasie più frequenti nell’uomo, diviene pertanto fondamentale la prevenzione. Un quadro clinico preoccupante e da sensibilizzare. E allora perché non provarci anche attraverso lo sport? Detto e fatto. Ecco allora nascere il torneo fra vip “Tennis & Friends”, iniziativa organizzata da Real Sport Events, ideata dal professor Giorgio Meneschincheri e patrocinata da Roma Capitale, Zetema e Coni, giunta quest’anno alla seconda edizione e che ha coinvolto volti noti dello spettacolo e grande pubblico. All’evento hanno aderito Valeria Marini, Manuela Arcuri, Giulano Amato, Maria Grazia Cucinotta, Veronica Maya, Gianni Rivera, Samantha De Grenet, Kledi Kadiue, Maria Monsè, Lea Pericoli e Nicola Pietrangeli in veste di Presidente. Per la cronaca, sui campi del Foro Italico, ha vinto la coppia Robertoo Ciufoli-Paolo Bonolis, seguita daa Anna Pettinelli e Luigi Pocaterra. Al terzo posto Veronica Voto-Sebaastiano Somma. Quarta classificata ta la coppia Aurelio Regina-Angeloo Mangiante. Fra i partecipanti anche Rosarioo Fiorello. Tra gli ospiti Carlo Verdoone.«Queste sono le iniziative di cui ui abbiamo sempre più bisogno. La gente cerca di tenere sotto conntrollo la salute ma cerca anche lo stare insieme», ha dichiarato sodddisfatto al termine dell’evento il sindaco Gianni Alemanno.

Pontecorvi, Meneschincheri, Isabella Rauti, Verdone, Rosella Sensi e Pocaterra

Maria Grazia Cucinotta e Valeria Marini

Fiorello

Carlo Verdone

Louis contro Schmeling Schmeling, 22 giugno 1938 1938. È anche la sfida tra Usa e regime nazista. Allo Yankee Stadium è battaglia di boxe e di nervi. Trionfa il nero americano. Hitler non la prenderà bene…

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CAPUT MUNDI, LA ROMANIA SI CONFERMA La Romania di rigore. Eh sì, proprio così. Infatti, dal dischetto la formazione di Augustin si conferma campione del “Roma Caput Mundi” svoltosi all’Anco Marzio di Ostia e giunto alla settima edizione. Grazie ai calci di rigore, quindi, nelle ultime due gare, prima contro la Rappresentativa Juniores del C.R. Lazio, in finale poi contro l’Italia Dilettanti, la rappresentativa balcanica ha fatto suo il trofeo. Soddisfatto il presidente del Comitato Regionale Lazio, Melchiorre Zarelli: «Abbiamo assistito ad una finale pregevole sul piano tecnico, che ha messo in risalto due nazionali che hanno delle buone individualità. La Romania si conferma la regina del torneo, sostenendo così la tesi di una scuola calcistica davvero apprezzabile. Dispiace per la nostra Na-

zionale, che avrebbe meritato qualcosa in più di questa finale, ma sono convinto che quanto è stato fatto in questo torneo sarà comunque produttivo nell’ambito del processo di crescita di tutto il movimento dilettantistico italiano». La finale era stata preceduta dalla cerimonia ufficiale che l’on. Alessandro Cochi, Delegato alle Politiche Sportive di Roma Capitale, ha ospitato in Campidoglio. Nella splendida Sala Giulio Cesare, tutti i ragazzi partecipanti al torneo e i dirigenti che li hanno accompagnati durante la settimana di gare, sono stati salutati dal presidente del C. R. Lazio, Zarelli e dallo stesso Cochi. Presenti anche i rappresentanti diplomatici delle ambasciate dei Paesi che hanno preso parte al torneo. Il presidente Melchiorre Zarelli e il Delegato alle Politiche Sportive di Roma Capitale Alessandro Cochi

Da sinistra Maria Grazia Cucinotta, il Sindaco di Roma Gianni Alemanno, Valeria Marini e Veronica Maya

Rosella Sensi e Luigi Pocaterra

Maria De Filippi e Paolo Bonolis

Sebastiano Somma e Giorgio Meneschincheri

8 aprile 1990, 1990 Stadio di Bergamo. Bergamo Una monetina colpisce il calciatore del Napoli Alemao che s’accascia tra finti svenimenti e dolori veri. 2-0 a tavolino per i partenopei viatico per lo scudetto. NEWS | 159

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L’ A G O N I S M O D E L P E N S I E R O Rita Levi Montalcini, Premio Nobel italiano per la medicina mava nuotare, la giovanissima Rita, personalità già china sui libri con l’attrazione - rivelatasi ben presto fatale - per la Scienza. Non è mai stata una sportiva, in senso stretto. Ma in fondo quella da sempre geneticamente amata fu la ginnastica mentale, “ardite flessioni” su una sorta di palestra cartacea. In fondo sempre di “Sport” si trattava: quello della scrittura. Movimento anch’esso, nonostante l’apparente, ingannevole staticità. Di più: nel suo caso vero e proprio “agonismo” cerebrale.

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«E non solo! Aggiungerei: una quasi innata passione, un vero e proprio sogno nel cassetto. Un amore coltivato, interiormente, da sempre». A parlare è Giuseppina Tripodi, fedele collaboratrice, al suo fianco sino alla fine. «Un sentimento per la scrittura tout court, e non soltanto quella scientifica. Per lei è sempre stato prioritario impegnarsi nel tradurre, in linguaggi comprensibili a tutti, molti passaggi contorti e complicati legati alla ricerca. La scienza comprensibile a chiunque». SPQR SPORT | 160

Un bell’esercizio mentale, non c’è che dire. Di più: un’attività dialettica che si è poi rivelata fonte di una Simbiotica affinità elettiva. Una esperienza che fece scoccare “la scintilla” che vi ha legato per oltre quarant’anni… «La ginnastica mentale non si può improvvisare. Lei cominciò da giovane. Mentre io, collaborando con lei, ho affinato un talent in embrione: la capacità di trasformare aride informazioni in appassionate emozioni». Iniziò a scrivere “L’elogio dell’imperfezione” (tra i suoi libri di maggior


spq ort successo insieme a “La galassia mente” e “L’asso nella manica a brandelli”. Si rivolgeva soprattutto ai giovani: «Non biasimatevi per gli errori commessi. Non fatevi paralizzare dalla preoccupazione di sbagliare. Con l’esperienza acquisita fate sempre in tempo a maturare cambiamenti e miglioramenti, nella direzione di ciò che amate fare. Sì, va bene usare il cervello, ma non bisogna spingersi troppo oltre e non praticare campi troppo distanti da noi nei quali non abbiamo esperienza». Prosegue la Tripodi. «Ha sempre guardato al futuro con la stessa vivacità intellettuale che si coltiva da ragazzi, pur conscia che l’avvenire, oramai, non le sarebbe appartenuto ancora per molto (“L’asso nella manica a brandelli”). Ha sempre esortato a migliorare la qualità della Vita. Anche da anziani, anche quella degli altri. Sostenendo, però, che alla vecchiaia occorre prepararsi da giovani!». E lei, non più giovanissima, intraprende un altro affascinante percorso, attraverso il prestigioso incarico di Ambasciatrice di Buona Volontà della FAO. Ce lo racconta Rosarita Pagano, responsabile di questo impegnativo programma mondiale dell’ONU. «Mi commuovo a parlare della nostra amata Senatrice. È (come si può parlarne al passato?) una personalità straordinaria. Accolse per prima, insieme a Miriam Makeba e a Gina Lollobrigida, l’invito a ricoprire il delicato ruolo di Ambasciatrice di Buona Volontà, mettendo al servizio del mondo, oltre alla sua sapienza, la sua infinita disponibilità umana. Fu un’apripista di questo importante programma, che oggi annovera, tra i tanti carismatici personaggi: Dionne Worwik, Carla Fracci, Roberto Baggio, Dee Dee Bridgwater, Pierre Cardin, Susan Sarandon, Carl Lewis, Jeremy Irons, capi di Stato, Presidenti… La senatrice era un esempio - quasi irraggiungibile - di correttezza e onestà intellettuale. Sosteneva che lo scienziato non deve, non può abbassare lo sguardo soltanto sul suo tavolo di lavoro; ma volgerlo intorno a sé, al contesto, a chi è in difficoltà, guardando fuori e oltre. Per poi guardarsi

LA SUA VITA Rita Levi-Montalcini (Torino, 22 aprile 1909 – Roma, 30 dicembre 2012) è stata una grande scienziata. Premio Nobel per la medicina nel 1986. Negli anni cinquanta le sue ricerche la portarono alla scoperta e all'identificazione del fattore di accrescimento della fibra nervosa o NGF, scoperta per la quale è stata insignita nel 1986 del premio Nobel per la medicina. Insignita anche di altri premi, è stata la prima donna a essere ammessa alla Pontificia Accademia delle Scienze. Il 1º agosto 2001 è stata nominata senatrice a vita "per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo scientifico e sociale". È stata socia nazionale dell'Accademia dei Lincei per la classe delle scienze fisiche ed è stata socia fondatrice della Fondazione Idis-Città della Scienza.

dentro, e cercare il modo per rendersi utile. E lei lo fece, sempre, sino all’ultimo. Non soltanto istituendo, nel ’92, insieme alla gemella Paola, la Fondazione Rita Levi-Montalcini Onlus (che aiutò concretamente più di 12.000 persone); ma anche diffondendo nel mondo una combattiva coscienza della giustizia. Promuovendo, ovunque le fosse possibile, il suo incarico all’interno della FAO, vissuto con orgoglio e infinita partecipazione. Cercava di scuotere le coscienze non soltanto sui problemi legati alla fame; ma esortava, con la sua proverbiale, pacata determinazione, a impegnarsi concretamente SPQR SPORT | 161

Nel 1986 Rita Levi Montalcini riceve il Nobel per la Medicina. Eccola insieme agli altri premiati. Negli scatti in alto, la professoressa con il Presidente della Repubblica Napolitano e nel suo laboratorio. La senatrice R.LMontalcini mentre scende le scale nel foyer d’ingresso della sede centrale della FAO, Roma, con alla sua sinistra Giuseppina Tripodi (l’ultradecennale collaboratrice) e alla sua destra Rosarita Pagano, responsabile programma mondiale – Fao- Ambasciatori di Buona Volontà, durante la Giornata Mondiale dell’Alimentazione. RLM sottobraccio a Giuseppina Tripodi, in occasione dell’ultimo suo intervento in FAO durante la Giornata Mondiale dell’Alimentazione.

per risolverli». Si entusiasmava, ancora, per una passeggiata; per un’alba o per un tramonto… Alzava spesso lo sguardo al cielo e amava stare con il naso all’insù. Per meditare sulla vulnerabilità umana e per emozionarsi ancora. Dando così il senso più profondo ad uno dei suoi amati aforismi «Aggiungere vita ai giorni. E non giorni alla vita». Lei che, di sé, diceva «Io sono la mia mente. Il corpo faccia ciò che vuole», ha lasciato che quel corpo, quella candelina esile ma luminosissima, si spegnesse, serenamente, salutando una vita così tanto intensamente amata.

Anita MADALUNI


Uno scatto che ferma una storia. Un’immagine che ha il potere di regalare un momento alla leggenda e suscitare emozioni. Istanti che rimangono impressi nella pellicola e nell’anima.

foto Getty Images

Se un judoka diventa personaggio biblico 11 marzo 1965, Roma. Nella foto ecco la leggenda del judo, l’olandese Anton Geensik, durante le riprese del film “I giudici della Bibbia” dove interpreta Sansone

Moore con Eusebio e i loro trofei Il salto in lungo di Ken Wilmshurst Londra, 1955. Ecco in azione il grande atleta britannico Ken Wilmshurst, durante le prove di salto in lungo nell’impianto di Battersea Park

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16 dicembre 1966. Il capitano della nazionale inglese Bobby Moore (1941-1993) insieme con il campione portoghese Eusebio alla BBC Television Theatre mentre presentano i loro trofei in occasione del The Year Awards riservato ai grandi protagonisti dello sport


SPQR SPORT, il mensile voluto dal Dipartimento Sport di Roma Capitale, è sfogliabile anche online sul sito www.spqrsport.it SPQR SPORT sarà presente anche nei principali social network ed inviato tramite newsletter. Un modo per raggiungere una fetta quanto più ampia della popolazione capitolina. Internet garantisce un’importante diffusione parallela rispetto al prodotto cartaceo che rispetta i canali classici della diffusione freepress: la rivista è distribuita in occasione dei grandi eventi sportivi della Capitale e anche sul territorio grazie alla scelta di esercizi commerciali (edicole, bar, etc) nelle piazze più importanti dei 19 municipi romani. L’elenco è consultabile sul web.

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