SpqrSport01-2013, Leroy

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L’avventura. In America a 17 anni a cercar fortuna. Due guerre, in Indocina e Algeria come paracaduitista dei Berretti rossi francesi

PARACADUTISTA, ANCOR OGGI VENTI LANCI OGNI ANNO, DUEMILA COMPLESSIVI. UNA TEMPRA FORTE QUELLA DI PHILIPPE LEROY LA CUI VITA È STATA UN ROMANZO, COME QUELLI CHE HA PORTATO SUL PICCOLO E GRANDE SCHERMO. HA AMATO L’AVVENTURA E IL SUD EST ASIATICO: COME YANEZ DE GOMERA IL SUO PERSONAGGIO IN SANDOKAN. E HA STUDIATO IL VOLO COME LEONARDO DA VINCI CHE INTERPRETÒ VENT’ANNI FA. UNA VITA SENZA MAI RISPARMIARSI, LA SUA: PARTÌ PER L’AMERICA GIOVANISSIMO, A CERCAR FORTUNA, NONOSTANTE FOSSE DI FAMIGLIA NOBILE E AGIATA. POI, HA COMBATTUTO DUE GUERRE, IN ALGERIA E IN INDOCINA. E HA FATTO L’ATTORE, QUASI PER CASO. ECCO LA VITA DI PHILIPPE LEROY: UNA STORIA TUTTA DA RACCONTARE.

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Il cinema. Ha girato 189 film in carriera, lavorando con gli attori più importanti del mondo

Lo sport. Campione di Francia nel rugby con il Racing di Parigi. Nella sua vita ha fatto di tutti: bob, offshore, arti marziali. Ed oggi, a più di ottant’anni si lancia ancora dal cielo

di Fabio ARGENTINI

re vite in una. Forse di più. Una passata alla ventura. Parte giovanissimo Philippe e non per soldi. Il papà è un conte, diplomatico dello stato francese, ministro dell’economia. Parte con una nave per le Americhe, allora si diceva così. Ha con sé uno zaino, una tenda, un sacco a pelo, pochi franchi e il necessario per la sua prima avventura... Aveva 17 anni e i pantaloni alla zuava su quel transatlatico in rotta per New York, pagato facendo il mozzo… «Uscivo da un collegio di Gesuiti e non ce la facevo più, è stato il mio primo atto di

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libertà». Sulle navi ci salirà altre volte Leroy. Per tornare dall’America, un anno dopo. E, poi, per partire in guerra, come paracadutista nei Berretti rossi. Prima in Indocina contro i Viet Minh, i movimentisti per l’indipendenza del Vietnam. Nemico difficile e a scoprirlo saranno anche gli americani qualche anno più tardi. Poi ci sarà la Guerra d’Algeria con i suoi due fronti. Quello di Francia con gli attentati del Fronte di Liberazione Nazionale e quello in terra d’Africa. Sette anni e mezzo di uno scontro sen-

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za esclusione di colpi, da una parte come dall'altra. In quella guerra ci fu di tutto: la generalizzazione della tortura, attentati, terrorismo, rappresaglie, napalm. Alla fine gli algerini conquistarono l'indipendenza che fu proclamata il 5 luglio del 1962. Di quella guerra molto è rimasto attaccato alla sua pelle: «Dopo tanti anni - dice - mi ronza ancora nelle orecchie il grido disumano di quello che ho colpito in pancia». La seconda vita è quella dell’attore, fatto per caso e per caso anche in Italia, “esiliato” dopo essere comparso sulle liste che lo accusavano di insurrezione contro il Governo de Gaulle. Attore, già; quello che all'inizio considerava «un lavoro da femminucce», segna una svolta nella sua vita. Sono gli Anni Sessanta, quelli della Roma notturna, delle cene da Otello, del cinema d'autore. Conosce per caso un regista, Vittorio Caprioli. E dopo un film girato in Francia inizierà la sua avventura nel nostro Paese.

E poi lo sport: Leroy è stato rugbista e cavaliere, circense e sciatore. Ma soprattutto paracadutista. Ed oggi, con oltre 80 primavere sulle spalle si lancia ancora. Tre vite. Tutte vissute intensamente... Cominciamo l’intervista. Siamo ospiti a casa, in un borghetto a Isola Farnese, sulla Cassia. Il salotto ha il camino che arde e Philippe, prima di accendere una sigaretta, si domanda se a qualcuno dia fastidio il fumo... Già Leroy. La memoria va per un attimo alla seconda faccia di una stessa medaglia, a Yanez, Yanez de Gomera con quella cicca sempre sul lato della bocca... La sua prima sigaretta? «Risale all'arrivo degli americani a Montpellier nel 1945. Tra le cose che dettero a noi ragazzi, c'era anche una sigaretta, ricordo pure la marca era una "Chesterfield". L'ho fumata in collegio, insieme

agli amici, per goliardia, per gioco, ma non solo: quella cartina arrotolata aveva assunto tutto un suo valore speciale, era la ‘sigaretta della libertà’. Non avevo mai fumato prima, io, uno sportivo, che amava il moto e l'aria aperta. Sono diventato un fumatore poi in Indocina, nel 1954. Laggiù, le sigarette rappresentavano un sur plus, qualcosa che ci faceva passare il tempo e rilassare, visto la grande tensione che c'era». Cosa ricorda della Parigi occupata? «Era cupa. Giravamo con le suole di legno perché non c’era più il cuoio. Ma eravamo giovani e con l’incoscienza di quegli anni: andavamo a sfottere i tedeschi con il fazzoletto bianco, blu e rosso: ho avuto fortuna. Ricordo la paura che si respirava in famiglia: rischiammo molto anche quando ospitammo la resistenza nella nostra casa a sud di Parigi. Mio fratello è dovuto scappare, hanno arrestato mia

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IL SUO ARCHIVIO

FOTO DI UNA VITA

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ato in Francia nel 1930, Philippe Leroy-Beaulieu, nel 1947 a 17 anni, si arruolò come mozzo su un trasatlantico in rotta per New York, e una volta sbarcato rimase in USA circa 1 anno. Rientrato in Europa, esordì come attore nel 1960 nel capolavoro drammatico-minimalista “Il buco” (Le trou) di Jacques Becker, al fianco di Jean Keraudy e Michel Constantin. Si trasferì in Italia nel 1962 ed ebbe un grande successo come co-protagonista dei film “Sette uomini d'oro” e “Il grande colpo dei sette uomini d'oro” (1965). Ha interpretato numerosi film, lungometraggi, fotoromanzi e fiction e divide la sua carriera tra la Francia e l'Italia. La sua più celebre interpretazione in una fiction televisiva è quella legata al grande sceneggiato “La vita di Leonardo da Vinci” del 1971 di Renato Castellani. Tra le sue altre interpretazioni, sono da citare “State buoni se potete” di Luigi Magni (1983), dove Leroy ha interpretato Sant'Ignazio di Loyola, al fianco di Johnny Dorelli (San Filippo Neri) e Renzo Montagnani (Mastro Iacomo/Satana), e il noir-poliziottesco “Milano calibro 9”, al fianco di Gastone Moschin e Mario Adorf. È apparso anche nel film “Nikita” (La femme Nikita) di Luc Besson. Grande successo ebbe lo sceneggiato “Sandokan”. Ha lavorato con i più grandi attori: da Gassman (“I briganti italiani”) a Walter Chiari,, da Peter Sellers a ton Eston ad Ava Gardner, Delon, da Charlton otòò. E poi Thomas Millian, da Manfredi a Totò. C Ingrassia, rivaluFranco Franchi e Ciccio dopo. E poi Eduardo e tati solo anni dopo. poo, Sylva Koscina, Virna Peppino De Filippo, m mma, Lisi, Giuliano Gemma, Gian Maria Volongida, Nino Manfredi, Barté, Gina Lollobrigida, M Placido, Lea bara Bouchet, Michele gnazzi, MarianMassari, Ugo Tognazzi, riaano Celentagela Melato, Adriano essano, Gianno, Enrico Montesano, Buud Spencarlo Giannini, Bud ll. E tanti cer, Terence Hill. eroy, una altri. quella di Le Leroy, naaria. carriera straordinaria.

Su una nave militare verso l’Indocina. È lo stesso Leroy a scrivere sulla foto le sue iniziali

La casa natale del giovane Philippe

Conn Jacq C Co JJacques acque cqques uees Be Beker, eke k r, iill regi re regista egiistta ch che lo lanciò nel grande cinema

In Amazzonia per il film “L’albero dei diamanti”

Leroy in costume mee nel cuore di Milv lvio io Roma, a Ponte Milvio

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nonna e mio zio. Tutto questo mi ha portato, dopo la vittoria, a cercare altre cose. Mentre stavo su quella nave di emigranti, arrivammo in vista di New York e vidi la Statua della Libertà. Erano le 5 del mattino: eravamo tutti sulla poppa e quella statua era bellissima». Leroy, lei partì per l’Indocina, soldato. Cosa ricorda, invece, di quella esperienza? «Eravamo lì per un ideale, perché credevamo di fare bene. Poi, purtroppo, ci rendemmo conto che in quel luogo ci stavamo per difendere il carbone e le risaie. È stata una guerra difficile, molto triste. Ma ho vissuto anche un’esperienza di amicizia, di fraternità fra soldati. Io ho sempre amato vivere fra gli uomini, anche se sono contento di avere un po’ di tenerezza ogni tanto...». Sarà per questo che ha recentemente deciso di fare visita ai militari italiani in Afghanistan? «Nell’aprile del 2011 sono stato in Afghanistan per portare solidarietà ai paracadutisti italiani, ma i francesi non hanno apprezzato questa visita perché pensavano andassi da loro. È stata una visita meravigliosa. Il mio motto è ‘Onore e patria’ ma non sono fascista perché l’esercito obbedisce alle leggi repubblicane...». Come l’hanno accolta i soldati italiani? «Benissimo. Ho trovato dei fratelli. E ho visto il fantastico lavoro che fate, i rapporti di rispetto con la popolazione. Per questo i talebani, che non vivono bene questo legame che solo gli italiani sanno stabilire, tentano sempre attentati

d voi. Gli italiani sono bravi solcontro di dati. Inv Invece gli americani, non capisconien no niente». Torniam all’Indocina e poi all’AlgeTorniamo ria. Cos Cosa significa fare una guerra? «Un gio gioco drammatico. Guardie e ladri, non c’è odio, non ho mai avuto odio, vince chi ch spara prima. Ho 5 medaglie, ho avut avuto fortuna. Anche in quelle guerre. Il ri rischio di lasciarci la pelle era tanto e tanti di noi non ce l’hanno fatta: si potev poteva morire per una scheggia di mortaio che non si capiva bene da doprovenisse o per un’imboscata, che ve prov poteva coglierti all’improvviso mentre si stava marciando su un canaletto di risaie o nella foresta. O anche per una granata mezza innescata pronta a esplode esplodere se il piede incontrava un filo dei Viet steso per terra. La guerra guer laggiù era dura: e anche le zanzare ci divoravano il viso». dalla guerra d’Indocina e... diTornò d ventò a attore. «Tornai accolto come un eroe (a (avevo due onori al merito), cominciai a vendere prodotti chimici e ad allenarmi allenar nel rugby con il Racing Club, squadra di Parigi. Jean Becker, figlio di Jacques Jacque regista francese, era anch’egli socio del Racing: era un pallavolista e schiacciatore straordinario. giorno Becker, presentatomi dal fiUn gior glio, mi disse: “Philippe, vorrei che interpretassi un ruolo nel film ‘Il Buco”. terpreta diventai attore. Impensabile. All’epoE divent ca avevo avev visto solo due film in vita mia: ‘Michele Strogoff’ e ‘La tour de nesle’ ‘Michel torre del piacere) che ci aveva por(La torr la governante pensando tato a vedere v un film storico... ma non lo era. fosse u Mi copr copriva gli occhi durante le scene di orge». spinte d Poi la g guerra d’Algeria. Dall’Indocina tornò ccon le medaglie. Dall’Africa da reietto. reietto «Tornai in Francia all’alba di sabato 22 aprile 1961. La radio annunciò il colpo co di Stato ad Algeri. Alcuni genera generali francesi organizzarono un complo complotto per una Algeria francese e contro d de Gaulle. Io aderii alle idee dei golpisti. Ero a capo di una compagnia golpisti nei sott sotterranei di Vincennes, con obiettivi stab stabiliti: attendevamo ordini per ro-

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vesciare il governo che, nel frattempo, fece arrestare i nostri compagni. Ovviamente, oggi riconosco il senso inesorabile della storia e il diritto dell’Algeria ad essere indipendente. Piuttosto che essere arrestato, tra Belgio e Italia scelsi di attraversare il Colle San Bernardo. E, valicato il passo, cominciò una nuova vita». Dopo la guerra ha deciso di vivere in Italia... «Il vostro Paese mi ha accolto. Mi ha dato molto come uomo, come artista. Incontrai Vittorio Caprioli a Piazza del Popolo che stava girando ‘Leoni al sole’. Mi disse: “Philippe che fai qui? Vieni con noi”. Mi conosceva perché avevo già fatto l’altro film, ‘Il buco’». Cosa pensa di Roma? «Roma è la più bella città del mondo, gli italiani mi hanno insegnato la generosità. I parigini non sono così solari, i romani hanno cuore, non sapranno far politica, ma hanno cuore. Mi hanno accolto bene, mi chiamavano Philippe, non signor Leroy, è stato da subito bellissimo». Come era Roma in quegli anni? «Vespe a destra, Vespe a sinistra, sopra in due o tre. Gregory Peck e Audrey Hepburn avevano lanciato la moda. La Vespa e la Fiat 500 erano in ogni casa e gli italiani potevano spostarsi e portare i figli al mare. Il Lungotevere era a doppio senso, il cannone del Gianicolo tuonava a mezzogiorno. Rosati a Piazza del Popolo, era il luogo di ritrovo dei pittori d’avanguardia. A Roma c’erano i divi di Hollywood: Burt Lancaster e tutti gli altri. Nelle discoteche alla moda tutti cantavano in fila facendo tre passi avanti e tre sul fianco, poi tre dietro sgolandosi a cantare ‘Hulli gully’: bisognava proprio avere una rotella in meno per ballare una cosa del genere... Il caffè costava 40 centesimi, c’erano i grandi maestri del cinema, scrittori americani, Truman Capote, la filarmonica di Berlino, c’era una cultura fantastica che si è completamente persa». E le donne italiane? «Meravigliose. A

Roma, quando il tempo era bello e le ragazze mostravano le proprie risorse, grazie anche ai primi bikini, andavo a fare il bagno a Fregene. L’acqua era limpida, non come oggi, e la spiaggia era la più ‘in’ del litorale. Ci si trovava il cinema italiano al completo e gli incorreggibili palestrati. Era l’epoca del boom dei centurioni e dei giochi circensi, dei ‘Maciste’ e degli ‘Ercole’ vari. Zucche vuote e le donne dicevano, rispetto al pistolino, che quegli omoni erano anche piuttosto scarsi». Dove abitava? «A Trastevere, un quartiere in cui mi sentivo a mio agio. Pranzavo ogni giorno alla ‘Trattoria dei ladri’. Le carrozzelle la sera tornavano dopo aver portato i turisti. Mi ero comprato una Harley Davidson». Abitudini italiane? Il caffé, ad esempio? «Ci sono mille modi per ordinare il caffé in Italia: in tazza grande o piccola, in vetro, ristretto o normale, con panna o una lacrima di latte, corretto, zuccherato (normale, di canna o dolcificato) o amaro, decaffeinato, d’orzo o al ginseng... ma è sempre meglio dell’acqua sporca che ti servono in Francia, che noi chiamavamo “succo di calze”». Cosa pensa degli italiani. Sia sincero. «Nei ristoranti è impossibile sentirsi, tutti gridano. Gli automobilisti ignorano i semafori e i pedoni non attraversano quasi mai sulle strisce. Il calcio suscita fervori e i muri sono tappezzati di scritte ingiuriose. Ho imparato in Francia ad aprire le porte alle signore e a lasciarle passare. Ma a Roma sfileranno inesorabilmente dietro di loro una decina di persone facendomi sentire portiere d’albergo. Certo, noi francesi ci siamo a volte presi gioco dei cugini transalpini, eppure nella mia compagnia, durante la permanenza in Indocina, ho conosciuto un sergente ‘italiano’ naturalizzato francese che era uomo di un coraggio superiore, pluridecorato. Vivo in Italia da oltre 45 anni: e anche se penso che tanti siano maleducati, caciaroni, che siano traffichini, pensino solo a scopa-

re e a tirare in causa la mamma per ogni cosa (“Mamma mia!”), gli italiani sono un popolo generoso. Mi hanno adottato e coccolato. Sono oggi la mia famiglia» i i . E dei romani, che pensa? «Quelli veri, che voi chiamate “di sette generazioni” sono generosi, ironici, onesti. Ma Roma, negli anni, si è tanto imbastardita. Oggi i nuovi “romani” non sono più gli stessi di ieri». Quale pellicola le è rimasta attaccato addosso? «Sandokan perché quel personaggio mi rappresentava in pieno. In Yanez c’era lo spirito d’avventura, la presa di posizione contro il capitalismo, il senso di comunità e la difesa dei più deboli. Ho amato girare quella pellicola perché respiravo gli odori della mia vita reale, quelli della foresta, del mare, gli odori dell’Estremo Oriente, d’incenso, di muschio, di cannella. E conoscere i ‘tigrotti’ è stato bellissimo. Gente semplice, amica». Yanez de Gomera, l’amico fraterno di Sandokan. Ironico, flemmatico, con l’immancabile sigaretta ai lati della bocca, sapeva anche fare a fucilate. Riprendeva Sambigliong, uno dei tigrotti, se gli versava troppo latte nel tè ed inventava tranelli in cui cadevano i soldati di Brooke. Si vestiva con estrema eleganza: ad esempio una giacca con bottoni d’oro stretta in vita da una fascia di seta azzurra, pantaloni in broccato, stivali di pelle e cappello di paglia di Manila. A tracolla una carabina indiana e due pistole infilate nella cintura. Ma soprattutto, naturalmente, in tasca il suo portasigarette. Quando il film era ancora in lavorazione immaginavate di raggiungere il successo che Sandokan avrebbe poi avuto? «Io no, devo essere sincero. Kabir sì, invece. E si montò presto la testa. Non siamo mai stati amici intimi. Un giorno, durante la lavorazione della seconda serie, Kabir disse: “io sono Dio, voi non siete niente”, a questo punto…».

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di Marco COCHI Direttore ufficio Cooperazione e Solidarietà di Roma Capitale

IN GUERRA

INDOCINA E ALGERIA “L

’Algerie c’est la France”. Con questa peren perentoria nto espressione che non ammetteva replica, il 1° novembre novvem 1954, l’allora a o a primo p o ministro st o dd’oltralpe, o t a pe, Pierre e e Mendès Meend e d France, m metteva etteva il sigillo ad una questione già emersa nel m mag maggio di noavevee anni a prima, quando una rivolta esplosa a Setif, inn Algeria, Al del vaa posto pos o to all’ordine del giorno il problema dell’indipendenza dell’indippen paese colopa aes e e nordafricano, da quasi cento anni sotto dominazione dominaz nial alle fr francese. niale Quel giorno, Qu uel el ggio iioor o, l’Algeria era stata duramente segnata dda uuna serie di iorn attentati, atte at tent te ntat nt a i, chiara dimostrazione che quei nove anni annni non erano passati pass pa s at ss a i invano e che gli algerini avevano creato uuna loro strutttura tu ra di di re rresistenza sistenza per porre fine alla dominazione dominazioone francese. Qu uessta ta sstruttura, truttura, guidata da Ahmed Ben Bella, H Hoc Questa Hocine Ait Ahmed con l’acronime ed e Mohamed M hamed Boudiaf, passerà alla storiaa co Mo mo Fln Fln (Fronte di liberazione nazionale). L’Fln L’FFln darà avvio a una ad una delle maggiori guerre di decoloniz zzaz decolonizzazione della stor st oria or iaa recente, recente, otto anni di sanguinoso con nflit che terstoria conflitto dell’Algeria. mineranno nel 1962 con l’indipendenza ddell Perr combattere Pe c mbattere contro gli indipendentisti, co indipendentisti, un milione e 2200mila 20 0mila soldati francesi sbarcarono al di d là del Mediterraneo. Ventiseimila di essi furono uccisi nel corso corsso degli d sconche tri e 300mila rimasero feriti. Il numero di d algerini a maggiore. persero la vita fu dieci volte maggiore e e. La guerra d’Algeria ebbe fine il 18 ma arzoo 1962 con marzo la firma degli accordi di Evian. Il 3 luglio luuglio gli algerini votarono a maggioranza perr l’indipendenza. Secondo il giudizio dello storicoo An ndrea BrazAndrea zoduro, è stata una «guerra ssen nza nome», senza denominazioni dissimulata con le denominazio oni ppiù varie ed enigmatiche quali “pacificazione” “pacificazionne” o “mantenimento nime ni mento dell’ordine”. ” Per capire meglio m megglio l’impatnegattivvo che che ha h avuto sull’opinione sull’opinionne pubblica to negativo francese, fr ran ance cese se, basti pensare che Parigi Paririgi Pa gi solo nel 1999 19999 ha riconosciuto di aver avveer ccombattuto omba om mbattuto il conflitto in Alge Al Algeria, geria geri ria, a, m men mentre ntre i reduredu

ci furono rifiutati dal proprio paese che voleva lasciarsi rapidamente alle spalle quell’ingombrante pagina di storia coloniale. Anche la guerra francese in Indocina durò otto anni. Tutto ebbe inizio nel novembre del 1946, con il bombardamento francese della città di Haiphong. In conseguenza dell’azione militare, il 19 dicembre 1946, il rivoluzionario vietnamita Ho Chi Minh attaccò i francesi ad Hanoi, dove questi ultimi avevano stabilito la sede del governo guidato dall’imperatore Bao Dai, ultimo regnante della dinastia Nguyen. L’azione voluta da Ho Chi Minh sancì di fatto l’inizio del conflitto, che vide la guerriglia vietminh, guidata dal generale Giap, impegnata in un’intensa attività di contrasto contro le truppe dei colonizzatori che costò la vita a più di 300mila vietnamiti, mentre i caduti di parte francese furono oltre 75mila e quasi 65mila i feriti. La battaglia decisiva ebbe inizio il 13 marzo 1954 nella piana di Dien Bien Phu, passata alla storia per la resistenza eroica e disperata dei francesi, che dopo 56 giorni furono costretti ad arrendersi ai guerriglieri vietnamiti. Così il 7 maggio la bandiera rossa del Viet Minh veniva issata sul campo trincerato francese. La sconfitta costrinse il governo di Parigi ad indire immediatamente una conferenza di pace a Ginevra. Nella capitale svizzera si decise che il Vietnam sarebbe stato riconosciuto indipendente, mentre le due parti accettarono un compromesso provvisorio che stabiliva di dividere il territorio vietnamita lungo la linea del 17° parallelo: il Vietminh avrebbe governato la parte settentrionale, mentre nella parte meridionale sarebbe rimasto al potere il regime di Bao Dai e del suo nuovo primo ministro, Ngo Dinh Diem. Il nuovo assetto della regione uscito dagli accordi di Ginevra, deludeva sia il Vietminh, che nel negoziato guadagnava meno di quanto avesse conquistato in combattimento, sia il regime di Bao Dai, che guardava con preoccupazione al disimpegno francese, ma la logica delle grandi potenze aveva la forza dei condizionamenti politici e militari. Ad ogni modo modo, la conferenza ginevrina sancì la fine ufficiale del dominio coloniale francese in Indocina.


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Kabir Bedi, Sandokan, antipatico. E Carol Andrè, invece? «Deliziosa. Anche Adolfo Celi era un grande attore e un grande uomo. Un gentiluomo. Con lui si poteva parlare anche di altre cose, filosofia, storia, tutto». È più tornato a trovare i suoi tigrotti? «Non sono mai tornato nei posti in cui sono stato felice. Per non rimanere deluso. Quello era un posto fantastico, di pescatori, dove tutto il villaggio veniva al tramonto a guardare il mare. Soggiornavo in un albergo con i ventilatori che giravano lenti sul soffitto: oggi ci sono alberghi tipo Hilton, robe qui. E io dovrei tornare lì? Ma neanche per sogno! Come in America Centrale, come in Thailandia, come in Messico. Grazie alla mia data di nascita ho conosciuto un mondo diverso, bellissimo. Un mondo che voglio ancora ricordare così». Lei non volle fare il seguito di Sandokan, il terzo seguito di Sandokan… «Ma quello di qualche anno fa? Quello di Canale 5? Ho letto il copione, non era più Yanez e dissi di no».

Leroy è sposato con Silvia, la figlia di Enzo Tortora. Un cognome ricordato per la ‘Domenica Sportiva’ e per i ‘Giochi senza frontiere’, per ‘Sabato sera’ condotta con Mike Bongiorno, Corrado e Pippo Baudo, per ‘Il Gambero’ e per ‘Portobello’ con il nome del programma che si ispirava a quello di una strada di Londra, ‘Portobello Road’, famosa per il suo mercatino dell'antiquariato. Ma quel cognome così pesante è ricordato anche per l'incredibile caso di persecuzione giudiziaria di cui fu ingiustamente vittima. Il ‘Caso Tortora’, vedeva il conduttore accusato di essere membro della Camorra e trafficante di droga; in seguito si scoprì che le accuse sul suo conto erano tutte infondate. Ma era troppo tardi. Tortora era ormai consumato nel corpo e nello spirito. Torna in televisione il 20 febbraio del 1987, quando ricomincia con il suo Portobello. La comparsa in video è toccante, il pubblico in studio lo accoglie con una lunga standing ovation. Tortora, invecchiato e fisicamente provato, pronuncia la famosa frase: «Dunque, dove eravamo rimasti?». Entrerà a modo suo nelle case degli italiani. Ma ancora per poco. Morirà a Milano nel 1988.

Philippe, nel cinema lei ha interpretato tanti ruoli legati alla storia italiana, a quale personaggio è più legato? «Sicuramente Leonardo da Vinci. Era un personaggio solo, Leonardo, il genio. All’inizio avevo avuto dubbi e difficoltà sul come interpretarlo. C’era il rischio di farne una statua di bronzo o un cliché tipo cartone animato. Io ho pensato che questo personaggio fosse anche un uomo. Che poteva piangere, che aveva un’anima. Questa chiave di lettura è piaciuta al regista. Per questa pellicola sono stato nominato all’Oscar per l’interpretazione. Andai alla serata e vidi vincere ‘l’ultimo dei Mohicani’. Una giornalista del Los Angeles Times mi disse: “Ci scusi, a nome degli Stati Uniti”, fu un grande complimento».

Lei ha lavorato con tanti attori. Ad esempio nel film ‘Il Terrorista’, con Gian Maria Volonté. «Viveva a Trastevere come me. Era un grandissimo attore, mi piaceva».

La figlia porta il caffè. «È bravissima a scuola, ha 16 anni, è intelligentissima», dice il papà con orgoglio. Arriva in salotto anche la moglie di Philippe. Un cognome pesante il suo.

E di Charlton Heston, cosa ricorda? «Ad esempio che era tirchio: un giorno ci ha invitati a cena, ci ha contati e ha ordinato il numero di bistecche pari a quanti eravamo».

Leroy, nella vita ha fatto molti film, 189 per la precisione. Film in cui ha raccontato tanti fatti italiani. Ha mai pensato di narrare la storia di Enzo Tortora? «Ho conosciuto mia moglie nel 1985. Era nel mezzo a questo tormento spaventoso. Le ero molto vicino e vedemmo con attenzione il copione del film ‘Un uomo perbene’ con Michele Placido. È stato giusto così».

Ava Gardner? «Bellissima donna, mi voleva sedurre ma ho rifiutato. Un giorno doveva girare in mezzo alla folla di Pechino, con migliaia di comparse. Uno di questi cinesi le aveva fatto una fotografia. Il flash l’aveva talmente fatta arrabbiare che volle girare soltanto il giorno successivo». Che rapporti ha avuto con il suo compatriota Alain Delon? «Ho fatto un film con Delon. È un grande professionista, molto bravo e affabile con i tecnici, ma rapporti difficili con gli altri attori». E Depardieu? Giravamo un film che si chiamava ‘Deux’. Vi racconto un aneddoto: durante una scena stavo dietro una staccionata vietandogli di entrare perché aveva fatto soffrire mia figlia. Lui, invece di dire la battuta del copione, mi disse ‘Vecchio stronzo!’». Come mai? «Perché è uno stronzo! Ci vuole umanità per fare l’attore». Vittorio Gassman? «Vittorio per me è un grandissimo attore di cinema, meno a teatro». Walter Chiari. «Bravissimo, ero molto amico con lui». Lea Massari? «La più grande attrice che abbia mai incontrato. Fantastica, le si vedeva tutto negli occhi». Montesano? «Sì, abbiamo legato, simpatico. Sul set era un grande professionista, eravamo amici». Tra le nuove generazioni? «Elio Germano, il più grande tra i nuovi attori, ma nessuno ne parla...». Che differenza c’è tra gli attori francesi e quelli italiani? «La differenza è gia nella denominazione. In Francia è un mestiere e siamo rispettati per questo, in Italia siamo liberi professionisti. L’Italia ha prodotto grandissimi attori. Non parlo dei big perché sono stati grandi e basta. Ma a livello medio noi francesi lavoriamo di più sui personaggi, siamo più professionali. Questo

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deriva dal fatto che il nostro è un mestiere». Parliamo di sport: ha giocato a rugby. «Sono stato campione di Francia nel ’59, era un rugby diverso. La mia squadra era il Racing club de France, famosissimo, c’è la foto». Ma lo sa che, quando ancora il calcio a Roma era praticato da seminaristi inglesi, fu proprio un socio del Racing Club, Bruto Seghettini, a portare agli sportivi della sua Lazio un pallone di nodi di corda? E da quel giorno i romani praticarono il calcio... «L’ho saputo. E, caso del destino, il Racing aveva come colori il bianco e il blu». Paracadutista, prima militare ed ora civile. Un giorno, il 9 gennaio del 2000, si è lanciato allo Stadio dei Marmi

con migliaia di tifosi laziali in festa per il centenario del club. Emozionato? «Tanta gente, colori, fumogeni. Ed era la prima volta che mi lanciavo sopra Roma. Un mix di grandi emozioni. Sono stato atleta della Lazio, nella sezione paracadutismo». Si dice che lei abbia sempre rinunciato agli stuntman. «Io non ho mai avuto una controfigura. In una scena mi sono calato anche da un elicottero. Questa è la parte un po’ folle di me». A cavallo, per esempio, ci andava? «Certo. Ho anche fatto l’unico film western di Tinto Brass...». E poi? Quali altre dicipline? Ci dica tutto insieme. «Ho fatto karate. E la mia guardia del corpo all’epoca di Sandokan, il fedele Samshi, la sera in spiaggia mi

dava lezioni di Seni Silat, arte marziale malese. E poi palestra tutte le settimane, paracadutismo, bob, gare di motoscafi. Sono stato al circo e fatto anche il mangiafuoco. E ad Hanoi ho persino noleggiato tutti i risciò a pedali e organizzato una gara di corsa.... Il calcio non mi piace. Seguo iinvece la squadra italiana di rugby che fa molti progressi adesso». Philippe, rimpiange qualcosa? qualcosa «Ho 80 anni suonati. Potrei raccontar raccontare ancora molto: i viaggi, le pazzie, gli aamori, le sogni mai disillusioni degli incontri, i so realizzati. Quello che conservo nel mio armadio è ciò che la vita mi h ha offerto talvolta un po’ ed io ho afferrato al volo, talvol non rimtroppo in fretta, forse. Ma n piango niente». Quanto all’amore? «È un fi fiordaliso appassisce raccolto tra le erbacce che app molto presto, o perché non lo si è saputo trapiantare con le radici in un vaso ben concimato o perché lo si è momento di stretto troppo forte in un mom egoisticamente - si rabbia o perché - egoisticam ‘vivere’». era troppo impegnati a ‘vivere Il suo sogno? «Vi svelerò che cosa sogno oggi (ma non ditelo a nessuno): esness sere languidamente disteso su una sdraio davanti a un mare smeraldino sme e all’ombra di palme cullate dalla da brezza, circondato da dieci vahiné danzanti il tamuré, con una bottiglia g di Havana Club ghiacciato. Tuttavia, lo ammetto, so che sse lo realizzassi, sarebbe una fuga... p poco gloriosa. Per il momento, quindi, resto». Aurevoir Philippe, alla pross prossima sima avventura.

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IL SUO ARCHIVIO

LEROY, LO SPORTIVO

Leroy fu campione di Francia di Rugby con il Racing di Parigi. Nel 1959

Due campionati del Mondo di bob per Leroy

All’epoca di Sandokan, con la guardia del corpo, il fedele Samshi, che gli diede lezioni di Seni Silat, arte marziale malese

In offshore con il campione del Mondo Bill Wishnick e Bobby Moore, Campione del Mondo di calcio con l’Inghilterra nel ‘66

Al circo fece anche il mangiafuoco A cavallo nell’unico film western di Tinto Brass

P R O F E S S I O N E PA R A C A D U T I S TA «Il paracadutismo è una droga. È la vera libertà che nessuna legge o potere può sottrarre. A 4000 metri gli si porge un bel dito medio. Noi paracadutisti siamo gli unici a sapere perché gli uccelli cantano. ho collezionato 2000 lanci, parecchi per uno che non fa solo questo. E, anche se lo amo, maledico il teatro che ci fa recitare di sabato e domenica, quando tutte le associazioni di paracadutismo sono aperte, mentre sono chiuse di lunedì», Philippe Leroy è paracadutista con la Lazio del Presidente Carmine Della Corte.

Paracadutista, nel giorno del Centenario della S.S. Lazio Nel film su Leonardo da Vinci, nel sogno del volo SPQR SPORT | 121

Il lancio sull’Urbe per gli ottant’anni


«TRA I TANTI PERSONAGGI INTERPRETATI, LA FIGURA DI YANEZ DE GOMERA È QUELLA A CUI SONO PIÙ LEGATO. SARÀ CHE QUEL PERSONAGGIO RAPPRESENTA ANCHE QUEL CHE SONO NELLA VITA REALE». P. LEROY andokan, il pirata della Malesia, la tigre di Mompracem gli italiani li conquistò tutti: venne visto da 30 milioni di italiani, praticamente tutti o quasi quelli che avevano una tv alla quale rimasero incollati per sei puntate. Kabir Bedi, attore a quel tempo sconosciuto, si presentò ai provini nel ruolo di Tremal-Naik: ma il regista Solima se ne innamorò. Vicino a lui, per il ruolo di Yanez de Gomera, avventuriero francese, ironico, intelligente fu scelto Leroy. Con Sandokan lottò contro il colonialismo britannico e per la salvezza dell’isola dei tigrotti, Mompracem.

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Pirateria e nobiltà Sandokan è una sorta di pirata gentiluomo. È alto, bello, affascinante, muscoloso, slanciato ed attraente, sguardo freddo, aria truce e severa in grado di affascinare e di incutere terrore a qualsiasi nemico. Sandokan combatte eroicamente contro il colonialismo britannico, un eroe puro, un personaggio monolitico e privo di dubbi. Lotta con ogni mezzo per la libertà del suo minuscolo regno, l’isola di Mompracem, minacciata, invasa, e infine riconquistata da lui stesso.

Europei, con l’oriente nel cuore Yanez è un combattente eccezionale, audace e fedele fino alla morte come ogni “tigrotto” che si rispetti, ma è soprattutto intelligente ed elegante, astuto e ingegnoso, ironico e sempre ottimista. È dotato di nervi saldi, in grado di sopprimere le proprie emozioni ed agire freddamente senza lasciarsi condizionare dalla situazione. Yanez spesso consiglia al suo amico di essere prudente prima di andare incontro al pericolo.


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I PROTAGONISTI LA LEGGENDA DI MOMPRACEM L’isola di Mompracem è un’isoletta a largo del Borneo, oggi chiamata Keraman. È il covo dell’imprendibile Tigre della Malesia, Sandokan, e dei suoi fedeli uomini, i Tigrotti. Prima dell’arrivo di Sandokan Mompracem era un covo di pirati, ma grazie alla Tigre della Malesia diventa un piccolo regno. Nel primo libro delle avventure di Sandokan, Le tigri di Mompracem, l’isola è conquistata dagli inglesi e ceduta ad un sultano. Solo dopo alcuni anni Mompra-

L’arroganza del potere Detto “lo sterminatore dei pirati”, a modo suo anche lui ama la Malesia, soprattutto perché è in questa terra selvaggia che ha realizzato i suoi sogni di grandezza e si è autoproclamato Rajah bianco di Sarawak. Sandokan è la sua spina nel fianco e Brooke è disposto a ricorrere anche all’inganno, pur di sconfiggerlo. Spietato e assetato di potere, Brooke è malvisto sia dai Malesi che dai suoi compatrioti che considerano i suoi metodi troppo diretti e volgari per un suddito di Sua Maestà. Una terra che rapisce il cuore Marianna è ospite di suo zio, Lord Guillonk, e considera la Malesia un paese saggio, misterioso e affascinante. Non approva i metodi crudeli che gli inglesi hanno adottato nei confronti della popolazione. Grazie a Sandokan, Marianna conoscerà il vero amore, ma soprattutto lascerà dietro

cem tornerà sotto il controllo di Sandokan. I Tigrotti sono «uomini coraggiosi fino alla pazzia eche a un qualunque segno di Sandokan non esiterebbero a saccheggiare il sepolcro di Maometto…», così li definisce la prosa suggestiva di Emilio Salgari. Sandokan è il loro capo, un principe privato del suo regno, mentre Yanez, il suo braccio destro, è un avventuriero portoghese, ribaldo ma fedele e coraggioso, chiamato la “tigre bianca”.

di sé la ragazza spaurita di un tempo per scoprire di essere in realtà una donna coraggiosa e volitiva. La bella storia sarà però destinata a durare poco poiché Marianna morirà di colera poco tempo dopo e verrà sepolta nella città di Batavia.

Gli imperialisti inglesi È il tipico militare inglese idealista e un poco ottuso, coraggioso, abile combattente e perdutamente innamorato di Marianna. Il suo giuramento di fedeltà alla Corona è assoluto. Per lui la Malesia non è altro che una terra primitiva da controllare e sottomettere e non riesce a scorgerne il fascino che invece turba la sua amata. La leggenda dei tigrotti della Malesia Lottano contro il colonialismo e lo fanno da pirati. Fanno di Mompracem la loro tana: saranno quasi tutti sterminati e morranno per il loro ideale.

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SCENEGGIATI ITALIANI


Specchio di un’epoca di Giancarlo GOVERNI* Foto Teche RAI

assimo D’Azeglio, un illustre politico del Risorgimento che fu anche un fine intellettuale, all’indomani dell’unità nazionale disse: «Abbiamo fatto l’Italia, ora facciamo gli italiani». D’Azeglio sapeva che l’unità era stata fatta fra popoli che poco avevano in comune e che la loro unità risaliva addirittura all’epoca romana, decaduta la quale la Penisola era stata oggetto di un frazionamento che aveva portato coloro che ne ostacolavano la riunificazione (Metternich su tutti) a considerarla una semplice “espressione geografica”. Tutto questo per dire che gli italiani, più che la politica o la scuola che poi fu riservata a pochissimi, li ha fatti la televisione la quale, quando arrivò in Italia alla metà dei Cinquanta, si inserì in un contesto estremamente frastagliato. Un contesto fortemente ricettivo perché soggetto alle suggestioni del nuovo mezzo ma difficile da governare proprio per le profonde diversità. A meno di dieci anni dalla fine della guerra mondiale e della caduta del

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spq ort fascismo, gli italiani non parlavano l’italiano. Le stesse persone colte in famiglia e in privato si esprimevano nel loro dialetto, quasi a sottolineare il fatto che la lingua italiana che avevano appreso a scuola dovesse essere riservata alla letteratura e alla ufficialità burocratica e non alla quotidianità. Gli analfabeti totali rasentavano il 30 per cento, mentre con i cosiddetti “analfabeti di ritorno”, quelli che sapevano soltanto fare la propria firma e leggere stentatamente, si arrivava al 60, qualcuno diceva il 70 per cento. In molti paesi del sud e delle isole le donne vestivano ancora il costume locale e la maggior parte della popolazione ignorava l’esistenza del cinema e aveva percepito l’esistenza della radio negli anni del fascismo quando Mussolini la usava per i grandi annunci del regime.

NASCE LA TV In questo contesto si inserì la televisione che fu costruita in mezzo a tantissime difficoltà per la conformazione orografica dell’Italia che obbligava la installazione di numerosi ripetitori che si “guardassero” fra di loro per passarsi il segnale televisivo, per cui si scalarono montagne si installarono ripetitori per far vedere la televisione a tutti gli italiani anche a quelli che vivevano nei posti più impervi e sperduti, in una impresa a volte epica, paragonabile soltanto alla costruzione dell’autostrada del Sole. Gli italiani scoprono la televisione, ma scoprono soprattutto se stessi. Infatti in questi primi programmi i protagonisti non sono gli attori, i divi del cinema, bensì la gente comune, i cosiddetti concorrenti che diventano immediatamente personaggi dell’immaginario collettivo nazionale, che grazie alla televisione, questo grande mezzo unificante, comincia a formarsi. Come comincia a formarsi una lingua unica, quell’italiano medio (o ‘ita-

liese’ come lo chiamò Pasolini) con cui tutti, soprattutto le generazioni intermedie e nuove, prenderanno ad esprimersi, abbandonando i dialetti. Qualcuno ha detto, con un po’ di retorica, che l’unità d’Italia non è stata fatta da Garibaldi e da Cavour bensì, cento anni dopo, dalla televisione.

GLI SCENEGGIATI RACCONTANO STORIA E LETTERATURA La televisione agisce anche sul piano culturale. Gli italiani scoprono il teatro di prosa ed anche la grande letteratura italiana e mondiale attraverso la “lettura” degli sceneggiati. Sul piccolo schermo approdano capolavori come il Mulino del Po, I promessi Sposi, Anna Karenina, I Fratelli Karamazov e tanti altri, portati per mano da registi che si chiamano Sandro Bolchi, Daniele D’Anza, Anton Giulio Majano… Gli spettatori fanno conoscenza anche con i grandi personaggi italiani attraverso le biografie (Verdi, Puccini, Michelangelo, Leonardo, Caravaggio… ) e familiarizzano con il genere poliziesco (che in Italia si chiama “giallo” per via del colore della copertina della storica collana di Mondadori) che propone Maigret, Nero Wolfe, Sherlock Holmes e il poliziotto nostrano, il Tenente Sheridan, creato da Casacci e Ciambricco. Ma bisogna anche recuperare il ritardo scolastico. Ci pensa Telescuola e soprattutto il maestro Alberto Manzi che con il suo programma “Non è mai troppo tardi”, insegna a leggere e scrivere, accompagnandoli fino alla quinta elementare, a un milione e mezzo di analfabeti. Un’opera titanica resa possibile anche dalla straordinaria penetrazione del mezzo televisivo.

Il Dottor Antonio fu il primo sceneggiato della storia della Tv. In onda nel 1954 fu di ispirazione risorgimentale

L’Isola del Tesoro, dal romanzo di Stevenson. Per la prima volta c’è una canzone, come commento musicale, realizzata proprio per lo sceneggiato

DAI ROMANZI SCENEGGIATI ALLE FICTION DI OGGI Ma sono gli sceneggiati a entrare nelle case degli italiani ed anche nella loro cultura.

LA GRANDE SCUOLA ITALIANA

Il Tenente Sheridan con il suo inconfondibile impermeabile bianco


Giuseppe Verdi, 1964, il primo degli sceneggiati a sfondo biografico

Il giornalino di Gianburrasca, sceneggiato musicale con Rita Pavone e musiche di Nino Rota

Il Conte di Montecristo. Andrea Giordana nei panni di Edmond Dantés

I promessi sposi, la prima edizione del romanzo nazionale nel 1967

Si ringraziano, per la gentile concessione delle foto relative agli sceneggiati Tv, le Teche RAI dirette dalla Dottoressa Barbara Scaramucci

Odissea. Traduzione dal greco dell’opera di Omero, è uno dei più riusciti sceneggiati per la spettacolarità delle scene

Per “sceneggiato” si intende il prodotto televisivo basato su un racconto che si serve di attori e della ricostruzione scenografica. Il termine “sceneggiato” è stato spazzato via all’inizio degli Anni Ottanta dal vocabolo internazionale “fiction”. All’inizio e per decenni gli sceneggiati sono stati tratti da racconti letterari, per questo vengono chiamati “romanzi sceneggiati”. Il primo sceneggiato del 1954. l’anno della fondazione della televisione in Italia, fu Il dottor Antonio di ambientazione risorgimentale. Ne seguirono molti altri, tanto che se n’è perso il conto preciso, perché lo sceneggiato entrò subito nel palinsesto come appuntamento fisso. Tra i tanti citiamo: L’isola del tesoro, dal romanzo di Stevenson, perché per la prima volta si si inserisce una canzone originale, come commento musicale. La svolta pericolosa di Gianni Bongioanni. Il primo tratto da un soggetto originale e girato tutto dal vero. Giallo Club di Casacci e Ciambricco, i creatori del Tenente Sheridan, che dà inizio a una lunga serie di racconti gialli, che comprende anche Maigret e Nero Wolfe. Il mulino del Po, tratto da Bacchelli per la regia di Sandro Bolchi, con il quale si inaugura la registrazione videomagnetica. Peppino Girella, un originale televisivo scritto e diretto da Eduardo De Filippo. Giuseppe Verdi, perché dà inizio alla lunga serie di biografie di grandi italiani. Seguiranno Michelangelo, Leonardo, Caravaggio, Puccini e tanti altri. SPQR SPORT | 126

Il Commissario Maigret: creato dalla fantasia di Simenon è protagonista di 75 romanzi. L’uomo con la pipa sbarcò in Rai

Il giornalino di Gian Burrasca, uno sceneggiato musicale tratto dall’omonimo libro di Vamba, con Rita Pavone, la regia di Lina Wertmuller e le musiche di Nino Rota. I promessi sposi, per la regia di Sandro Bolchi, la prima edizione del grande romanzo nazionale.

SANDOKAN E I TIGROTTI. IN TV SBARCA SALGARI Tra i grandi sceneggiati c’è anche Sandokan. Emilio Salgari il grande scrittore popolare, ha dato spunto a tanti film negli Anni Trenta e fu ripreso soltanto nel 1976 dalla televisione italiana, con quello che è considerato il filone più importante dello scrittore veronese: il ciclo di Sandokan e dei pirati della Malesia. Furono sei puntate girate con tecnica cinematografica e nei luoghi in cui sono ambientati i romanzi, da Sergio Sollima con l’attore indiano Kabir Bedi, nella parte di Sandokan; Carole Andrè nella parte di Marianna, la “Perla di Labuan”; Adolfo Celi nella parte di James Brooke e Philippe Leroy nella parte di Yanez. L’attore di origine francese ha sempre lasciato il segno con interpretazioni indimenticabili, come quella di Leonardo nel grande sceneggiato di Renato Castellani, diffuso in tutto il mondo.

SCENEGGIATI. DIETRO LE QUINTE La televisione nasce non come un mezzo con un suo specifico ma come un mezzo di diffusione di altri generi. Infatti il programma di intrattenimento è ispirato alla rivista teatrale, la


spq ort P R I M A

D E L L E

F I C T I O N

SI CHIAMAVA SCENEGGIATO Lo sceneggiato televisivo nasce negli Anni ‘50 e termina, per convenzione, negli Anni Settanta. Con l’inizio della neotelevisione il termine cominciò man mano ad essere estromesso nel linguaggio televisivo, fino a essere soppiantato nella terminologia televisiva dal solo termine anglofono fiction. Ecco un elenco degli sceneggiati considerati più importanti nel panorama tv italiano. La freccia nera. Sette episodi andati in onda nel 1968

prosa è ripresa dal vastissimo repertorio italiano e straniero. Uno dei primi programmi che rispondono a uno specifico televisivo, che sfrutta cioè il mezzo nuovo, è proprio il teleromanzo, o romanzo sceneggiato. Un genere che avrà un notevole sviluppo e avrà il merito di far conoscere agli italiani la grande letteratura mondiale. Attraverso una ricostruzione a metà fra il racconto cinematografico e la rappresentazione teatrale. All’inizio la trasmissione è in diretta, praticamente dal vivo, con lunghi intervalli per permettere alle maestranze il cambio scena. Poi all’inizio dei Sessanta la grande svolta che è data dalla introduzione della registrazione video magnetica, che permette di girare le scene separatamente nel tempo, senza però usufruire di un montaggio snello e particolareggiato, fotogramma per fotogramma, come avviene per la pellicola. Ma è già un passo avanti verso la fiction moderna che è un prodotto molto vicino a quello cinematografico. Insomma anche attraverso il romanzo sceneggiato la Rai monopolista ha espresso la sua vocazione pedagogica ed ha contribuito fortemente alla formazione culturale del popolo italiano.

* Giancarlo Governi Giornalista RAI, ha fatto scuola, creando un genere: quello dell’antologia dedicata ai grandi del Cinema e dello Spettacolo realizzando ritratti e profili. Ha dato anche vita a Supergulp!. Autore, oggi, di libri di successo.

TITOLO

PRIMA TV CANALE

Il dottor Antonio Cime tempestose L’Alfiere Il romanzo di un giovane povero Orgoglio e pregiudizio Piccolo mondo antico Capitan Fracassa Canne al vento L’isola del tesoro La svolta pericolosa - Una storia d’oggi Giallo club. Invito al poliziesco I Giacobini Il mulino del Po La sciarpa Peppino Girella Delitto e castigo Giuseppe Verdi Mastro Don Gesualdo I miserabili La Cittadella Vita di Michelangelo Il giornalino di Gian Burrasca Le inchieste del commissario Maigret Scaramouche Vita di Dante David Copperfield La coscienza di Zeno Belfagor il fantasma del Louvre Madame Curie Il conte di Montecristo I promessi sposi Vita di Cavour Sheridan - squadra omicidi Le mie prigioni Odissea La famiglia Benvenuti La freccia nera I fratelli Karamàzov Il cappello del prete I racconti di Padre Brown Il segno del comando Eneide A come Andcromeda Sorelle Materassi Joe Petrosino Le avventure di Pinocchio Mosé Sandokan Michele Strogoff Orzowei Gesù di Nazaret

1954 1956 1956 1957 1957 1957 1958 1958 1959 1959 1959 1962 1963 1963 1963 1963 1964 1964 1964 1964 1964 1965 1965 1965 1965 1966 1966 1966 1966 1966 1967 1967 1967 1968 1968 1968 1968 1969 1970 1970 1971 1977 1972 1972 1972 1972 1974 1976 1976 1977 1977

Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Secondo Programma Secondo Programma Secondo Programma Programma Nazionale Secondo Programma Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Secondo Programma Secondo Programma Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Secondo Programma Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Programma Nazionale Primo Programma Primo Programma Programma Nazionale Programma Nazionale Primo Programma Primo Programma Primo Programma Primo Programma Primo Programma Primo Programma


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