SPQRSPORT, n. 3-2013

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L L INIZIATIVA INIZIATIVA E EDITORIALE DITORIALE D DEL EL D DIPARTIMENTO IPARTIMENTO S SPORT PORT


NON SOLO GRANDI EVENTI Gianni Alemanno, Sindaco di Roma

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venti come il Sei Nazioni di Rugby, la finale di Champions League, la maratona di Roma e gli internazionali di Tennis hanno permesso alla nostra città di aggiudicarsi i riconoscimenti della stampa nazionale ed estera e di fregiarsi del titolo di “Capitale dello Sport”. Nel corso di questi cinque anni, l’Amministrazione ha voluto investire numerose risorse per il finanziamento, l’incremento, la manutenzione e la ristrutturazione delle aree e degli spazi sportivi. Nel nostro progetto non ci siamo avvalsi solo di risorse pubbliche, ma grazie al project financing, siamo stati in grado di coinvolgere anche soggetti di privati. Eppure, non ci siamo limitati solo a questo: abbiamo ritenuto parimenti importante occuparci di tutte quelle pratiche sportive meno blasonate e conosciute dal grande pubblico, ma che costituiscono ugualmente un forte elemento di aggregazione sociale, soprattutto nelle periferie. Per lo sviluppo dello sport di base ci siamo impegnati, infatti, nella realizzazione di campi polivalenti all’aperto e strutture polifunzionali per la promozione dell’attività motoria, per un investimento complessivo di 400mila euro. Il quartiere Torrino oggi può vantare il bocciodromo più grande al mondo, con i suoi 24 campi da gioco, interni ed esterni, per ospitare le varie specialità di questo sport. Anche la Federazione Italiana Hockey, da questo mese, ha un nuovo polo federale d’eccellenza. Il Nuovo centro sportivo di via Avignone permetterà alla Federazione e agli amanti dell’Hockey sul prato di coltivare l’ambizione di portare questa splendida e antica disciplina alle prossime edizioni dei Giochi Olimpici.


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La rivista SPQR SPORT, giunta al quarto anno di vita, ha avuto il piacere di ricevere il primo “Premio Giornalistico Campidoglio”, che ha fatto seguito al Premio USSI che la testata ricevette qualche tempo or sono. A consegnare il riconoscimento nella Sala Pietro da Cortona, Musei Capitolini, è stato un decano del giornalismo italiano, Italo Cucci, insieme all’organizzatore della manifestazione, Francesco Vergovich. Targa a parte, è stata particolarmente importante la motivazione del riconoscimento che assume un valore simbolico intenso e che ci ripaga di tanti sforzi protesi proprio a che, quanto detto al momento della premiazione, fosse realtà. Dietro a questo premio - è stato spiegato - c’è l’impegno di una redazione verso la promozione e la cultura dello sport, nel cercare di dare spazio a tutti gli sport, anche quelli considerati a torto minori. E di non lasciarsi ammaliare, aggiungiamo noi, esclusivamente da articoli di natura “commerciale” legati al calcio con il suo ovvio indotto. Da noi, sarà sempre dato spazio a tutte le discipline.

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NUMEROTRENUMEROTRENUMER NUMEROTRE

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di Francesco CAROTTI foto Giulio Ciamillo

ontebellunese di nascita, ma metà sangue è sardo. Gigi Datome, ala della Virtus, 26 anni da compiere il prossimo 27 novembre, è una delle più belle sorprese del basket e non solo romano. I suoi palleggi, il suo incunearsi nelle difese avversarie stanno facendo sognare il grande popolo della Virtus Roma. Lui percepisce questo grande affetto dei tifosi, e cerca di ripagarlo sul parquet. Ama questi colori con i quali vuole vincere qualcosa di importante. E il suo magic moment lo racconta davanti ai taccuini di SPQR sport.

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Rappresenta una delle stelle della Virtus che quest’anno sta facendo sognare i tifosi romani. «Vivo qui da cinque anni e considero questa una tappa fondamentale della mia vita». Lo sport? «Una delle cose più sane del mondo d’oggi»

Allora Gigi, facci capire prima di tutto cosa rappresenta per te il basket? «Il basket è la mia vita, quel che ho sempre fatto fin da quando sono bambino. Quel che mi piace, che ho amato

dall’inizio e che ora è diventato per mia fortuna il mio lavoro».

reso il giocatore che sono. La porterò sempre nel cuore».

Dalla piccola Olbia al grande basket di Siena: come hai vissuto quel salto? «Inizialmente c’era una fase di normale ambientamento, ma credo fosse naturale. Poi tutto è andato per il meglio, del resto il basket è quello in ogni città si giochi».

Sei è stato premiato come Atleta dell’Anno in Campidoglio: ci racconti quel giorno? «È stata una grande soddisfazione per me quando il sindaco Alemanno mi ha dato questo riconoscimento. E non nego che in quel momento ho provato una forte emozione».

Ecco poi Roma: con quale spirito hai raggiunto la capitale? «Prima di Roma ho fatto un anno e mezzo importante a Scafati e devo dire che mi è servito molto per crescere.Ho scelto Roma perché l’attenzione che la società mi ha riservato mi lusingava. Avevo scelto la Virtus per provare a vincere e ad avere successo. Non ci siamo riusciti ma questa esperienza è davvero importante per me. Roma mi ha fatto crescere e mi ha

Sei stato anche testimonial di SPQR SPORT Day, dal nome della nostra testata, evento che ha portato in Via dei Fori Imperiali 300.000 persone. «Lo sport è una delle parti sane del mondo di oggi e iniziative del genere aiutano i ragazzi a crescere “sani”. Sta a noi giocatori professionisti indirizzarli sulla strada giusta. E basta poco, molto poco: una presenza, un sorriso, un autografo o una semplice

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DOSSIER IL SEI NAZIONI, IERI E OGGI

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Tutto iniziò ad Edimburgo nel lontano 1871, quando ai maestri inglesi arrivò la sfida lanciata dalla Scozia. Partì così la rassegna continentale che rappresenta, da più di 100 anni, l’unica competizione internazionale riconosciuta

di Ferruccio VENTUROLI foto: Getty Images er i britannici è stato sempre e soltanto “the Championship”, solo i francesi lo chiamavano 5Nazioni, fino a che è diventato, ufficialmente, il “6Nazioni”, ma questa è storia di oggi. Comunque, fino alla prima Coppa del Mondo, nel 1987, il Championship è stato l’unico vero torneo internazionale di rugby. Eppure fu una competizione che nessun comitato si è mai incaricato di organizzare, che non aveva una coppa, ma che è nata così, spontaneamente. E furono, per la verità, i giornali, che iniziarono a stilare classifiche, punteggi e statistiche di quegli incontri amichevoli che cominciavano a giocarsi regolarmente. Tutto ebbe origine da una sfida imprudente: la Rugby Union (la Federazione

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Inglese) era costituita solo da qualche settimana, allorché arrivò la sfida degli scozzesi: avevano dichiarato di poter battere gli inglesi nel loro gioco nazionale, il football-rugby. Gli inglesi non ci pensarono due volte e partirono per la Scozia. L’incontro, il primo incontro internazionale di rugby in assoluto, ebbe luogo a Edimburgo il 27 marzo 1871, due mesi dopo la fondazione della Rugby Union. Le squadre si componevano di venti giocatori ciascuna, con 13 avanti, 3 mediani, un trequarti e 3 estremi. Gli inglesi vestivano una maglia bianca, fregiata di una rosa, gli scozzesi una maglia blue scura con l’insegna del cardo. A John Henry Clayton, giocatore di Liverpool, si racconta che fu affidato l’incarico di allenare la squadra inglese. Stilò il pro-

HISTORY LINE 1883 Nasce come Home Championship e viene disputato da Galles, Inghilterra, Irlanda e Scozia. Vince l’Inghilterra.

1920

gramma quotidiano di allenamento per i suoi, partendo da un mese prima della partita: correre quattro miglia (sei chilometri e mezzo) ogni mattina, proseguire con altre quattro o cinque a cavallo, sospendere durante il lavoro, quindi correre ancora quattro miglia la sera e chiudere la giornata con una bistecca al sangue e un paio di bottiglie di birra. Contro ogni previsione, la Scozia vinse: furono giocati due tempi di cinquanta minuti e l’Inghilterra contestò vivacemente la regolarità della meta scozzese, ma dovette rassegnarsi. Si rifece, però, l’anno dopo, vincendo in patria. C’era stato, dunque, un doppio incontro, la cerimonia di iniziazione era stata officiata. Nel 1874 l’Irlanda volle entrare nel giro, ma prima doveva risol-

1959

È la data della ripresa della manifestazione rimasta ferma a causa del primo conflitto mondiale

1910

1973

La Francia vince il suo primo Cinque Nazioni, spezzando il predominio dei club britannici

1947

Al torneo entra a far parte anche la Francia, per restarne fuori dal 1931 al 1939

vere il problema del dualismo Nord e Sud. I selezionatori aggirarono l’ostacolo convocando dieci elementi del Nord e dieci del Sud. Si racconta che le due “fazioni” non si amassero troppo e, forse senza volerlo, riuscirono a differenziarsi tra loro: quelli del Nord si presentarono tutti con la barba lunga, quelli del Sud tutti rasati. Ma l’unione, non fece la forza: affrontarono gli inglesi, a Londra, l’8 febbraio 1875 e naturalmente furono battuti. A proposito di irlandesi, a Dublino si raccontano ancora le gesta di Dolway Walkigton, estremo dell’Irlanda, miope all’occhio destro, che giocava con il monocolo: una volta contro il Galles, prese la palla al volo, diede una pulita al monocolo, se lo sistemò e sparò un bel drop in mezzo ai pali.

Il Cinque Nazioni non viene completato a causa della situazione politica irlandese di quel periodo

1996

Tutte le cinque squadre ottengono 2 vittorie e 2 sconfitte: il torneo viene aggiudicato ex aequo a tutti i partecipanti

1972

Il torneo torna ad essere rigiocato nel 1947, fermatosi dal 1940 a causa della seconda guerra mondiale

Sin dall’inizio, gli arbitri erano considerati poco più che intrusi in campo, senza nessuna autorità; nel 1877 riuscirono a “conquistare” l’uso di un fazzoletto bianco che sventolavano quando c’èra un fallo; era già qualcosa, ma era ancora difficile farsi rispettare finchè un arbitro (non se ne tramanda il nome) forse stanco di sventolare inutilmente il fazzoletto, estrasse un fischietto, una vera rivoluzione che, con qualche fatica, fu accettata da tutti. Ma intanto, nel 1875, si era verificato un fatto importante, Oxford e Cambridge avevano ridotto la squadra a 15 uomini e l’ iniziativa fu sancita sul piano internazionale, allorché l’Inghilterra fu visitata dall’Irlanda nel 1877. Nello stesso anno l’Irlanda ospitava la Scozia; nel 1881 il Galles era ricevuto dall’Inghil-

1993 Istituito, insieme ad una classifica ufficiale, il “Championship Trophy”, la coppa che premia il vincitore del torneo

terra e nell’anno successivo visitava l’Irlanda; infine, nel 1883, la Scozia era visitata dal Galles. Tutte le quattro rappresentative britanniche si erano ormai misurate tra di loro e il Championship era nato. L’iniziale predominio dell’Inghilterra ebbe una netta flessione, dal 1893 sino al 1910, anno dell’inaugurazione dello storico stadio londinese di Twickenham. Ne approfittarono Galles e Scozia per onorare i loro blasoni. Nel 1910, avendo ormai incontrato tutte le rappresentative britanniche, anche la Francia fu accolta come partecipante, e la competizione divenne veramente “5Nazioni”. Accolti si, ma senza troppe gentilezze, e la gavetta dei galletti fu piuttosto dura a lunga: solo una vitto-

DAL CHAMPIONSHIP AL 6 NAZIONI

Edi to ria le

2007

La British Sky Broadcasting ottiene l’esclusiva delle partite dell’Inghilterra del torneo, ma successivamente il contratto viene sciolto

2000 L’Italia entra nella manifestazione che prenderà il nome di 6 Nazioni. Gli azzurri debuttano battendo la Scozia per 34-20

Storica vittoria in trasferta dell’Italia in Scozia, con il punteggio di 37-17, segnando la prima meta dopo 17 secondi

2012 L’Italia, dopo l’esperienza al Flaminio, gioca per la prima volta il Sei Nazioni allo Stadio Olimpico

Fabio ARGENTINI

La storia dell’alpinismo. La storia di uomini che hanno sfidato le montagne. Storie di conquiste, di drammi e di eroi... universalmente e storicamente riconosciuto che l’alpinismo moderno nasce sostanzialmente nel 1786 con la conquista del Monte Bianco da parte dei francesi Balmat e Paccard. Non che prima gli esseri umani non si fossero spinti fino a quelle altitudini... anzi. Le ricerche e le scoperte di questi ultimi anni (l’uomo di Similaun e l’uomo del Mondeval) ci dicono che già nella preistoria i nostri antenati si spostavano ad altezze considerevoli per cacciare o addirittura per propiziare riti religiosi. È cronaca che, nel 1492 sui monti della regione francese del Vercos, Carlo VIII fece posizionare tre croci e costruire una piccola cappella. Parliamo degli antipodi dell’alpinismo che non aveva nessuna finalità scientifica o sportiva, ma solo pratica e di sopravvivenza. L’illuminista de Saussure, invece, organizzò quella spedizione del 1786 per effettuare misurazio-

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LA COPERTINA di SPQR SPORT Rivista ufficiale Roma Capitale, Dipartimento Sport

ni e studi ma anche per una sete di scoperta che ben presto divenne la motivazione prevalente di coloro che si cimentavano con tali imprese. Nei successivi cento anni, vennero conquistate molte delle vette alpine tra le quali il Monte Rosa, il Monviso, la Marmolada e infine il Cervino che si arrese all’inglese Edward Whymper dopo un’aspra contesa con altre cordate di scalatori in competizione fra di loro, alcuni delle quali trovarono la morte in un tragico incidente.

Francesi e italiani su tutti Ma è in quel periodo che nasceranno i primi clubs che saranno la base per la storia dell’alpinismo moderno e sportivo del quale francesi e italiani saranno gli alfieri. Tuttavia, dopo la Prima Guerra Mondiale, furono i tedeschi e gli austriaci i più strenui cultori di questo ”sport” creando scuole di arrampicata e inserendo la pratica

dell’allenamento sistematico. L’Italia rispose con personalità di grande spessore del calibro di Emilio Comici e Luigi Micheluzzi solo per citarne alcuni che, insieme ai fratelli austriaci Franz e Toni Schmid e ai francesi Jacques Lagarde e Lucine Devies completarono grandi ascensioni e portarono a termine molte imprese. Mentre nel 1938 la cordata italiana composta da Riccardo Cassin, Ugo Tizzoni e Gino Esposito, lungo lo sperone Walker conquistò la Nord delle Grandes Jorasses, i tedeschi Heckmair e Vorg e gli austriaci Harrer e Kasparek conquistarono l’Eiger (Oberland Bernese) che aveva mietuto numerose vittime. In quegli anni l’alpinismo aveva conquistato consensi, attenzione e adepti, fino ad essere inserito, nel 1932, nei Giochi come disciplina olimpica. Il dopoguerra fu caratterizzato da una serie di importanti novità tecniche co-

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Mensile di informazione a distribuzione gratuita Reg. Trib. di Roma n. 21 del 27-01-10 Alberto Sordi, nel decennale della sua morte. Raccontiamo la sua storia e i suoi film, il suo modo di raccontare l’Italia ed anche lo sport...

Anno IV Numero 3

urante la mia visita in Campidoglio dove fu allestita la camera ardente (ero un privilegiato, perché ero stato esentato dalla fila e avevo la possibilità di trattenermi quanto volevo) ho potuto osservare questa moltitudine di romani e di italiani che si sobbarcava ad una attesa di ore, anche nella fredda notte romana, per passargli davanti per pochi secondi, per lasciargli un fiore, un disegno, una lettera, la foto dei figli (un bambino gli ha lasciato un Puffo…), una cosa cara come la sciarpa della propria squadra. Davanti alla bara erano prevalenti le sciarpe giallorosse, in quanto Alberto era romanista, ma non mancavano quelle biancocelesti della Lazio, e quelle della Juventus e dell’Inter. A un certo punto è arrivato un uomo con la sciarpa del Cagliari al collo. Si è fatto il segno della croce, ha chinato la testa poi si è tolto la sciarpa e l’ha deposta ai piedi della bara, nel mucchio degli omaggi. L’ho avvicinato, curioso di conoscerlo. Mi ha parlato con il tipico accento della sua isola e mi ha detto che era partito dalla Sardegna apposta per portare il suo omaggio ad Alberto. Essere (sentirsi) romani significa da-

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IN PRIMA, il Colosseo simbologicamente al centro della prossima sfida di Coppa Italia tra Roma e Lazio

Editore Alfacomunicazione Srl Via del Giuba, 9 - 00199 Roma Direttore Responsabile Fabio Argentini Redazione Via C. Bavastro, 94 - 00154 Roma Tel. 06 671070333 Fax. 06 671070332 redazione@spqrsport.it grafica@spqrsport.it commerciale@spqrsport.it Art Director Alberto Brunella Grafica Andrea Crescenzi

II PUNTATA:

foto Getty Images

dopo il baseball è la volta del football americano spq ort

Dal business USA all’Italian Style

In Dcollaborazione con Ufficio Stampa Campidoglio avanti a circa 71mila spettatori allo stadio, e oltre 110 milioni davanti alla tv, la tradizionale finale del campionato professionistico di football ha mantenuto tutte le promesse della vigilia: Beyoncé ha esaltato il pubblico con un incredibile show tra il primo e il secondo tempo, i “fratelli coltelli”, Jim e John Harbaugh, seduti sulle due panchine, al fischio finale si abbracciano e si scambiano le congratulazioni di rito. Per non parlare degli spot miliardari, che come capita ogni anno, si sono dati battaglia in uno show, dentro lo show. Il titolo Nfl se lo sono aggiudicato i Ravens di Baltimora, il secondo della loro storia, battendo con una finale al cardiopalma i San Francisco 49ers per 34-31. Il 47esimo Super Bowl, giocato a New Orleans, il primo dopo la tragedia di Katrina, si è tinto però di giallo. Un improvviso black out di luce ha messo quasi al buio il Mercedes Benz Superdome nel bel mezzo del match con i Ravens in grande vantaggio. L’incidente ha provocato immediatamente la sospensione della gara per lunghissimi 35 minuti, durante i quali le due squadre sono rimaste in campo per non perdere la concentrazione. Alla ripresa del gioco, i giocatori di San Francisco sembrano rinati: corrono, spingono e cominciano a crederci. Di contro, i Ravens paiono svogliati e imprecisi. I valori in campo sono ribaltati rispetto alla prima meta: i “Niners” mostrano di avere una marcia in più fisica e tecnica. E touchdown dopo touchdown quasi raggiungono gli avversari. Una rimonta entusiasmante, che però non basta a ribaltare il risultato. A dieci secondi dalla fine, mancano l’ultimo tentativo di realizzare quella meta che avrebbe segnato il sorpasso. Così, alla fine, seppur di un soffio, e con grande affanno, la coppa di cristallo dedicata a Vince Lombardi prende la strada della East Coast.

Una sorta di mito che rasenta spesso la leggenda. È dal lontano 1869 che in America l’amore per questo sport non conosce black out. Una escalation continua sfociata addirittura negli Anni Settanta quando il football americano ha operato il sorpasso sul baseball in fatto di maggior numero di tifosi...

Dipartimento Sport Cristina Contini, Saverio Fagiani, Maria Iezzi, Andrea Roberti, Rodolfo Roberti E NEL SUPERBOWL, I RAVENS CONQUISTANO L’AMERICA

Hanno collaborato Luca Aleandri, Maurizio Bocconcelli, Mirko Borghesi, Francesco Carotti, Francesca Cellamare, Paolo Ciabatti, Roberto Cipolletti, LauLingerie intimo di sport SPQR SPORT | 106

Caschi e protezioni su corpi coperti solo da reggiseno e slip. Ecco le donne che stanno facendo impazzire l’America. Ed ora, stanno sbarcando anche in Europa

FOOTBALL

Stampa Stab. Tipolitografico Ugo Quintily SPA - Roma

di Giancarlo GOVERNI*

ti si misero a ridere ma Alberto, se avesse potuto lo avrebbe fatto sul serio. Forse per questo sentirsi romano si era dichiarato romanista, nel senso di tifoso della Roma, per la squadra che porta il nome della Città. Non importa se la Lazio è stata fondata 27 anni prima da nove giovani romani ed è stata chiamata così perché all’epoca non si usava, o forse non si osava, dare il nome della Capitale, della Città Eterna, a società sportive. Per Alberto, dal punto di vista calcistico, la squadra di calcio era la Roma e lui era romanista. E accenni a questa sua preferenza sono disseminati in tanti film. Ma il suo era un tifo di altri tempi, fatto di sfottò, di scherzi, di scommesse afflittive, ma di rispetto per l’avversario a partire dalla squadra “cugina”, tanto è vero che negli ultimi anni quel tipo di calcio non solo non lo amava ma non lo seguiva neppure più. Quando lavoravo con Sordi a “Storia di un Italiano”, il presidente della Roma Dino Viola mi chiese un grande favore: portargli Alberto allo stadio. Io ci provai in tutti i modi ma lui non ne volle sapere. «La partita la guardo in televisione, quando mi va…», mi disse.

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SPORT AMERICANI

re del tu alla storia, avere familiarità con i grandi monumenti e le opere d’arte uniche al mondo. Significa convivere con Michelangelo, con Bernini, con Raffaello, con Caravaggio... Significa avere familiarità con il Colosseo e con San Pietro. Significa pensare che il Papa, anche il Papa polacco o il Papa tedesco o il Papa argentino, è anche lui romano, come noi. Ed è fedele allo spirito di Roma, che, come suggerisce il nome stesso letto al contrario, vuol dire Amor. Alberto in quella occasione volle ricordare a tutti i romani che il rovesciamento della parola Roma vuol dire Amore e quindi rispetto. Rispetto per una città da amare ma anche da trattare con delicatezza e in punta di piedi. Anzi, a un certo punto, quando si sedette al tavolo del Sindaco con tutta la giunta comunale schierata davanti, Alberto disse a Rutelli: «Come si fa a fare una delibera?». «Dici al direttore generale qui presente che cosa vuoi deliberare e lui te la scrive secondo le leggi e il regolamento comunale». Allora Alberto, rivolto al direttore, disse: «Scriva direttore: da oggi chiusura al traffico di tutto il centro storico». Tut-

7. Il saluto del Delegato alle Politiche Sportive 8. Il derby in finale di Coppa Italia 14. Intervista a Gigi Datome 20. Rugby, la storia 24. L’evoluzione del rugby in Italia 30. Intervista a Martin Castrogiovanni 34. Intervista a Giuseppe Biava 40. Intervista ad Alessandro Florenzi 46. Totti e la Roma, vent’anni d’amore 48. Alpinismo: storia e attualità 58. Intervista al Sindaco di Roma Gianni Alemanno 70. Pippo Franco e il derby in un film: “Il tifoso, l’arbitro e il Calciatore” 77. Coreografie 82. Intervista ad Orial Kolay 88. Alberto Sordi e i suoi film sullo sport 92. La storia di Alberto Sordi. 102. Sport e solidarietà 106. Sport americani: il football 116. Irrompe dall’America il football lingerie 119. News 145. MBK, le due ruote al Circo Massimo 146 Photogallery Old

di Antonio MAGGIORA VERGANO foto: Getty Images

ra Cirilli, Cristina Clementi, Andrea L’ Crescenzi, Andrea Dacasto, Giancarlo Governi, Anita Madaluni, Umberto Silvestri, Antonio Maggiora Vergano, Massimo Marconi, Paolo Valente, Ferruccio Venturoli ultimo Super Bowl disputato a New Orleans tra Baltimore Ravens e San Francisco 49ers ha dimostrato ancora una volta come il football professionistico targato NFL non abbia rivali tra gli sport “made in Usa”. I contratti televisivi e di pubblicità (oltre 100.000 euro al secondo) sono il massimo che si possa chiedere ed avere negli Stati Uniti e l’internazionalità del football continua a crescere, tanto che per la stagione prossima saranno due le partite, valide per la classifica, che verranno disputate a Wembley. Un po’ come il baseball è figlio del cricket, così il football lo è del rugby. Il primo incontro ufficiale, ma con regole diverse da quelle attuali, è del 1869, tra le università di Princeton e Rutgers, mentre il primo manuale di gioco è del 1889, scritto dall’allenatore di Yale, Amos Alonzo Stagg. La nascita del football a livello professionistico è datata 1920, ma la vera esplosione arriva quando le due leghe principali NFL e AFL si unificano, diventando rispettivamente NFC e AFC, dando vita al primo Super Bowl della storia nel 1967. Negli Anni ’70 avviene il sorpasso sul baseball e il football pro diventa lo sport che raccoglie il maggior numero di tifosi, quindi gli sponsor più interessanti e soprattutto i contratti televisivi più onerosi. Il football americano possiede una storia molto recente in Italia, che si lega a doppio filo con il batti e corri. Nel 1972 a Genova nasce infatti la Federazione Italiana Football, con presidente Bruno Beneck, che ricopriva lo stesso ruolo nella Fibs (federazione italiana baseball e soft-

Photo Partner Getty Images SPQR SPORT | 107

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Agenzie e Fotografi Getty Images: Paolo Bruno, Luis Castillo, Franco Origlia, Pietro Rolandi

Roma Capitale: Fabio Callini, Stefano Bertozzi, Marco Catani, Francesca Di Majo, Francesco Mazza, Claudio Papi, Claudio Valletti. Hanno collaborato per le immagini di questo numero: Giulio Ciamillo, Archivio Disney, Drop&Roll, Archivio Edison, Archivio FIR, RipariYoungGroup, Marco Rosi, Archivio Tor di Valle, Ciamillo&Castoria

di Paolo VALENTE foto: Getty Images

DIFFUSIONE. La rivista è distribuita nel corso degli eventi sportivi a Roma, per via postale e free press in tutte le piazze più importanti dei 19 municipi romani (l’elenco su www.spqrsport.it ). Per ritirare una copia è anche possibile contattare il numero 06.6710.70315 (Dipartimento Sport).

uando pensi di aver scoperto tutto (nel vero senso della parola visto l’argomento) del mondo dello sport, ecco che d’improvviso si viene a conoscenza di una folcloristica disciplina che in America sta riscuotendo un buon successo. Si tratta del football lingerie, un campionato di football americano al femminile caratterizzato dal fatto che le giocatrici, oltre a calzare un casco e protezioni per spalle, gomiti e ginocchi, indossano solo intimo. La finale del campionato è chiamata Lingerie Bowl. Specialità nata nel 2004, dal 2009 si gioca un campionato a 10 squadre. Le partite si disputano su un campo lungo 50 yards, più 8 yards per le aree di touchdown. La larghezza è di 30 yards. A prima vista potrebbe sembrare uno sport per voyeur o per semplici curiosi, ma non è così. Il seguito è in continua crescita e sugli spalti il numero degli esponenti del gentil sesso aumenta di partita in partita. A fare la parte del leone, pardon, delle leonesse, è il Los Angeles Temptation che ha centrato sei titoli su sette. Le squadre presenti attualmente sono divise in due conference, quella dell’est e quella dell’ovest. Nel Western Confe-

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rence troviamo Chicago Bliss, Green Bay Chill, Las Vegas Sin, Los Angeles Temptation, Minnesota Valkyrie, Seattle Mist. L’Eastern Conference comprende Baltimore Charm, Cleveland Crush, Orlando Fantasy, Philadelphia Passion, Tampa Breeze, Toronto Triumph. Ma non è finita qui. Questa giovane disciplina è molto ambiziosa e vuole allargare i suoi orizzonti. Ora punta forte sul mercato dell’estremo oriente. Infatti la Lingerie Football League è pronta a sbarcare in Cina. Ci sono in programma tre partite dimostrative nel Paese asiatico nella prima metà del 2013, dopo la chiusura di un contratto TV in Asia, secondo quanto annunciato dal fondatore della Lega. Parlando nel corso della partita inaugurale della Lingerie Football League in Canada con le B.C. Angels che hanno battuto le Saskatoon Sirens 25-12, il commissioner Mitchell Mortaza ha detto che le tre partite sono programmate a Pechino, Shanghai e Zhengzhou probabilmente a marzo o a giugno per introdurre lo sport per i tifosi cinesi. Dal 2009, la LFL ha operato negli Stati Uniti ed inizierà la sua quarta stagione con 12 squadre il prossimo marzo. La Lega prevede inoltre di avviare un campionato in Australia il prossimo anno e di creare la LFL Europa nel 2014. Italia compresa.

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Intervista a Kolaj, pugile italiano di origini albanesi. Orial racconta del suo arrivo nel nostro Paese, difficile, della passione per la boxe, della sua crescita umana e professionale, del suo tifo per la Lazio. E lo fa in modo schietto e semplice, le caratteristiche del suo carattere

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SPORT A ROMA, TRAINO PER IL TURISMO Alessandro Cochi, Delegato alle Politiche Sportive di Roma Capitale

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tiamo andando in stampa con la Roma che, battendo l’Inter a Milano, è approdata nella finale di Coppa Italia che, ormai da qualche anno, si gioca in sede fissa nella Capitale alla presenza del Presidente della Repubblica. E, nella gara conclusiva, troverà la Lazio che, a sua volta, ha eliminato la Juventus. Sarà dunque un maggio caldo quello che i tifosi romani stanno per vivere in una partita dalle forti implicazioni ed emozioni. Da parte nostra, la città si sta preparando all’evento sia a livello organizzativo che di servizi. Al di là di quanto potremo fare, confidiamo nella maturità delle tifoseria. Ma questo appuntamento sarà solo uno dei tanti di un maggio caldo in cui la Roma dei Grandi Eventi sarà ancora una volta protagonista. Con gli Internazionali di Tennis, il Golden Gala di Atletica Leggera, il Concorso Internazionale Ippico di Piazza di Siena e tutti gli altri happening grazie ai quali Roma è ormai definita come Capitale dello Sport. Tra gli appuntamenti che ci siamo lasciati alle spalle, voglio ricordare la corsa delle mountain bike al Circo Massimo. Un altro dei momenti legati al ciclismo che mai come in questi anni è cresciuto nella Capitale. Faccio riferimento al Giro d’Italia del Centenario (tappa finale), alla partenza e Cronometro del Giro d’Italia Femminile, alla Coppa del Mondo di Ciclismo Paralimpico, al XXIV Meeting Nazionale di Società per Giovanissimi, alla prima Gran Fondo di Roma, ai campionati Italiani e Coppa del Mondo di Ciclocross, alla 24 ore di Roma in Mountain Bike, al Giro del Lazio. Dal ciclismo sportivo a quello “per tutti”: tanto l’impegno come nel caso della creazione del circuito cittadino domenicale a Tor Vergata (con chiusura traffico) e la pulizia della pista ciclabile sul Tevere. In questi cinque anni abbiamo seguito con costanza tutti gli sport compresi quelli che, negli anni passati avevano minore enfasi: è il caso della boxe che sta tornando ai fasti di una volta, agli sport da contatto allo stesso rugby a proposito del quale voglio ricordare la figura di Andrea Lo Cicero che ha lasciato la Nazionale e che ho salutato nello spogliatoio dopo l’ultima gara del Sei Nazioni. Lo Cicero ha giocato nella Rugby Roma con la quale ha vinto uno Scudetto e nella Lazio nella quale ha fatto anche l’allenatore. È stato una bandiera della Nazionale e della nostra città.


Sul prossimo numero il dossier sulla storia della Coppa Italia


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Anche quest’anno il Foro Italico diventa teatro di grandi eventi sportivi con il primo derby di finale in Coppa Italia a fare da principale attore. Poi, tennis e atletica oma Capitale dello sport. È logico pensare che gran parte dei romani siano ora proiettati verso la finale di Coppa Italia, ma c’è altra carne al fuoco pronta a far sentire il proprio profumo in una primavera già di per se calda e fiorente. Con la Lazio che ha eliminato la Juventus e la Roma che ha fatto fuori la rabberciata Inter di Stramaccioni, la coppa nazionale vedrà sulla scena del suo ultimo atto una sfida pronta ad inorgoglire la città eterna. Centinaia i paesi collegati da tutto il mondo per una delle sfide più importanti della storia calcistica locale. Le due squadre, infatti, si affrontano per la prima volta per la conte-

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sa di un trofeo che la Roma, nello specifico, ha vinto nove volte, la Lazio cinque. I precedenti fra compagini della stessa città sono due. Nel 1937/1938 si affrontarono Torino e Juventus, con i bianconeri vincitori di entrambe le gare, all’andata per 3-1 e al ritorno per 2-1. Nel 1976/1977 ecco Milan e Inter. Ad avere la meglio i rossoneri con un 20 firmato Maldera-Braglia. Cos’hanno in comune questi due derby con quello che prossimamente vedrà giallorossi e biancocelesti gli uni contro gli altri? Semplice, tutti e tre si sono svolti nella località da cui provenivano le sfidanti: Torino priSPQR SPORT | 9

ma, Milano poi, Roma ora. La formazione di Petkovic, partita a razzo e poi eclissatasi fra febbraio e marzo, e quella di Andreazzoli, capace di risollevarsi gradualmente dopo il caos Zeman, non sono le prime a fronteggiarsi in Coppa Italia. Escludendo la finale, infatti, non pochi sono i precedenti fra Roma e Lazio, e si ricordano sfide spesso ricche di aneddoti o affascinanti. Il primo confronto è datato 1935/1936 con la vittoria dei giallorossi per 2-1. Nel 1957/1958 la rivincita biancoceleste col risultato di 3-2. Nell’estate del 1969, invece, la stracittadina fu sospesa a tre minuti dal 90° per un black-out nell’impianto d’illumina-


Il derby in finale di Coppa Italia vedrà fronteggiarsi le due squadre capitoline. RomaLazio andrà in scena il 26 Maggio alle ore 18.00 all’Olimpico. 22 giocatori a sfidarsi, in cui brillano le stelle di Totti, De Rossi e Osvaldo da una parte; Klose, Hernanes e Marchetti dall’altra. La Roma, 9 trofei in bacheca, è arrivata in finale battendo l’Atalanta (3-0), la Fiorentina (1-0) e l’Inter (2-1 e 3-2). La Lazio, 5 coppe in cascina, ha eliminato invece il Siena (1-1;4-2 dcr), il Catania (3-0) e la Juventus (1-1 e 2-1).

Istituito su iniziativa di Primo Nebiolo nel 1980, il Golden Gala è un meeting internazionale di atletica leggera che fa parte del circuito IAAF della Diamond League. Fra i recordman maschili Usain Bolt (100m), Walter Dix (200m), Jeremy Wariner (400m) e Wilson Kipketer (800m). Per le donne doppia menzione per Marion Jones (100m, 200m), Kerron Stewart (100m, ex aequo con la Jones), Marita Koch (400m) e Pamela Jelimo (800m). Appuntamento il 6 Giugno 2013 allo Stadio Olimpico.

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Piazza di Siena esordisce nel 1922. Concorso Ippico Internazionale dal 1926 fa parte della Samsung Super League. Durante hanno luogo la Coppa delle Nazioni, il Gran Premio di Potenza, il Gran Premio Roma e la chiusura spettacolare del Carosello dei Carabinieri. Il cavaliere più vincente è Piero D’Inzeo con 7 titoli. Appuntamento dal 23 al 26 Maggio nel Parco di Villa Borghese.

zione dello Stadio Olimpico. La Lazio, società ospitante, fu punita con uno 0-2 a tavolino. Nel 1971 e nel 1974 il derby fu risolto rispettivamente da Giorgio Chinaglia e da Pierino Prati, prima di una lunga pausa sino alla stagione 1997/1998. Batosta giallorossa nei quarti di finale, con un doppio successo delle aquile per 4-1 e 2-1. Negli ultimi tre confronti, però, la Lazio si è di fatto tirata fuori: 1-2 e 1-0 nel 2003 e 2-1 nel 2011, sempre a favore della Roma. Tirando le somme, i ragazzi guidati ora da Andreazzoli sono in vantaggio per 9 vittorie a 5. Tre i pareggi a completare il bilancio. La Capitale si prepara a mostrarsi tirata a lucido dinanzi agli occhi del mondo, ed offre altre pietanze prelibate. Gli Internazionali di Tennis, infatti, sono oramai un evento atteso da milioni di appassionati, vista l’importanza del torneo all’interno del circuito ATP e del fascino che suscita negli atleti il giocare all’interno della cornice del Foro Italico. Undici campi da gioco disponibili, di cui tre assegnati agli allenamenti.

L’escalation nella vendita di biglietti ed abbonamenti che ha fatto registrare un aumento pari al 24% rispetto allo scorso anno in un periodo di crisi, fa pensare ad uno sport che non smette di affascinare addetti del settore, appassionati e non. Dall’11 al 19 Maggio, al Foro Italico, i più grandi professionisti della racchetta si contenderanno la 70esima edizione di un “combined event”, cioè di una manifestazione in cui uomini e donne si sfideranno nell’arco di soli nove giorni. L’Italia punta sugli uomini Seppi e Fognini e soprattutto sulle donne Erranni e Vinci. Wild card per gli azzurri Lorenzi, Bolelli, Schiavone e Knapp. Attori di “contorno” dinanzi ai grandi: da Nadal a Federer, dalla Sharapova a Djokovic. L’81° edizione del Concorso Ippico Internazionale Ufficiale di Roma, Piazza di Siena, spenge un’altra candelina. In un clima di grande sport e nella splendida cornice di Villa Borghese, si attendono ancora emozioni da uno straordinario evento che affaSPQR SPORT | 11

scina romani, turisti, appassionati e il mondo intero. Dai giovani all’esordio, ai campioni affermati, la competitività di questa manifestazione è affidata alla perseveranza della FISE, pronta a sperimentare sempre nuove formule organizzative come visto nella precedente edizione. Chiusura con il Golden Gala del 6 Giugno, tappa oramai fondamentale della Diamond League. Una giornata speciale, poiché intitolata alla memoria della “Freccia del Sud”, Pietro Mennea. Grande attesa per il ritorno di Usain Bolt, oramai fra i “re di Roma” del nuovo millennio. L’ovazione al suo “scatto” da centometrista promette ancora una volta di far tremare le fondamenta dell’Olimpico.

AL VIA IL PRIMO EVENTO

11 MAGGIO, INTERNAZIONALI DI TENNIS


Ingresso Pubblico

Punto Primo Soccorso

Welcome Area, Corporate Hospitality e FIT

Ingresso Giocatori

Taxi

Welcome Area, Accrediti

Ingresso Sponsor

Welcome area Sponsor

Biglietteria

Il villaggio parallelo ai campi gara

Il rendering del maxischermo che proietterà le immagini delle partite. Sarà montato all’esterno della Supertennis Arena

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spq ort APPROFONDIMENTO. INTERNAZIONALI DI TENNIS

IL FORO CAMBIA LOOK

UNO SGUARDO

AL FUTURO

L’area che ospiterà il grande evento tennistico presenta novità importanti per rendere sempre più agevole e piacevole lo spettacolo che anche quest’anno s’annuncia ricco di grandi stimoli sportivi e non solo

l Foro Italico si prepara ad accogliere il grande Tennis tirato a lucido. Dalla biglietteria posta antistante allo Stadio del Nuoto dove si possono acquistare i tagliandi, o dalle tre Welcome Area dedicate a Sponsor, Corporate Hospitality e Fit e Accrediti, si accede ad un percorso mozzafiato. Quattro aree food, 7 punti per i servizi igienici, negozi e tende fra il Pietrangeli e la Supertennis Arena e un’area ospitalità, il Villaggio, fra l’Aula Bunker e il Centrale, alla Casa delle Armi I grandi campioni giocheranno nei due stadi principali, la Supertennis Arena, dotata di maxischermo esterno, e il Centrale, per i quali sarà necessario un biglietto speciale che garantisce l’accesso a tutti i terreni di gioco. Il tagliando “ground”, invece, consentirà di vedere le partite al Pietrangeli e ai campi minori. Per i bambini è stata predisposta una “Fun Area”. Il campetto a loro dedicato si trova dietro alle Piscine del Coni, all’Ingresso Nord del complesso. Qui potranno incontrare i loro beniamini, giocare, e farsi firmare gli autografi. Per le emergenze sono stati allestiti due punti di primo soccorso. Sport e spettacolo, Roma è pronta ad accogliervi.

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Servizi Igienici Punti Ristoro Area Ospitalità Fun Area

Fra le novità, anche la restituzione dell’area vicina alla “Casa delle Armi” alla gente. Quella che per tanto tempo è stata aula bunker, sarà privata di recinzioni

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Rappresenta una delle stelle della Virtus che quest’anno sta facendo sognare i tifosi romani. «Vivo qui da cinque anni e considero questa una tappa fondamentale della mia vita». Lo sport? «Una delle cose più sane del mondo d’oggi» SPQR SPORT | 14


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di Francesco CAROTTI foto Giulio Ciamillo

ontebellunese di nascita, ma metà sangue è sardo. Gigi Datome, ala della Virtus, 26 anni da compiere il prossimo 27 novembre, è una delle più belle sorprese del basket e non solo romano. I suoi palleggi, il suo incunearsi nelle difese avversarie stanno facendo sognare il grande popolo della Virtus Roma. Lui percepisce questo grande affetto dei tifosi, e cerca di ripagarlo sul parquet. Ama questi colori con i quali vuole vincere qualcosa di importante. E il suo magic moment lo racconta davanti ai taccuini di SPQR SPORT.

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Allora Gigi, facci capire prima di tutto cosa rappresenta per te il basket? «Il basket è la mia vita, quel che ho sempre fatto fin da quando sono bambino. Quel che mi piace, che ho amato

dall’inizio e che ora è diventato per mia fortuna il mio lavoro».

reso il giocatore che sono. La porterò sempre nel cuore».

Dalla piccola Olbia al grande basket di Siena: come hai vissuto quel salto? «Inizialmente c’era una fase di normale ambientamento, ma credo fosse naturale. Poi tutto è andato per il meglio, del resto il basket è quello in ogni città si giochi».

Sei è stato premiato come Atleta dell’Anno in Campidoglio: ci racconti quel giorno? «È stata una grande soddisfazione per me quando il sindaco Alemanno mi ha dato questo riconoscimento. E non nego che in quel momento ho provato una forte emozione».

Ecco poi Roma: con quale spirito hai raggiunto la capitale? «Prima di Roma ho fatto un anno e mezzo importante a Scafati e devo dire che mi è servito molto per crescere.Ho scelto Roma perché l’attenzione che la società mi ha riservato mi lusingava. Avevo scelto la Virtus per provare a vincere e ad avere successo. Non ci siamo riusciti ma questa esperienza è davvero importante per me. Roma mi ha fatto crescere e mi ha SPQR SPORT | 15

Sei stato anche testimonial di SPQR SPORT Day, dal nome della nostra testata, evento che ha portato in Via dei Fori Imperiali 300.000 persone. «Lo sport è una delle parti sane del mondo di oggi e iniziative del genere aiutano i ragazzi a crescere “sani”. Sta a noi giocatori professionisti indirizzarli sulla strada giusta. E basta poco, molto poco: una presenza, un sorriso, un autografo o una semplice


Gigi Datome

IL PROFILO uigi “Gigi” Datome è nato a Montebelluna il 27 novembre 1987. Cresciuto nelle giovanili della Santa Croce di Olbia, approda al Montepaschi Siena nel 2003-04 e vince 3 scudetti (squadra cadetta, juniores e prima squadra). L’anno seguente conquista la Supercoppa italiana. A metà della stagione 2006-07 passa in prestito alla Legea Scafati. Nel 2008 Siena lo cede in comproprietà alla Virtus Roma per due stagioni. Nella stagione 2008-09 viene eletto “Miglior Under-22 italiano” del campionato italiano. Nella stagione 2011/2012 è il miglior italiano della regular season per valutazione e per punti. Ha fatto parte fin da giovanissimo delle nazionali minori. Nel 2007 arriva anche la prima esperienza con la Nazionale Maggiore. Nel 2011 viene convocato per la fase finale degli Europei di Lituania. La vera svolta nell’esperienza di Datome in nazionale arriva nelle qualificazioni agli europei 2013 quando riesce subito a mettersi in luce durante le gare amichevoli del torneo di Trento dove viene schierato titolare a causa dell’infortunio di Danilo Gallinari. Nell’estate in cui l’Italia si qualifica per l’europeo vincendo otto partite su otto Datome diventa uno dei leader del gruppo.

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foto oltre ovviamente a comportamenti impeccabili in campo».

Non solo quando ho iniziato a giocare a livello agonistico. La cosa basilare è avere coraggio e fare ciò che si sente». Ci descrivi il tuo carattere? «Sono un tipo normale. Espansivo ma allo stesso tempo riservato, nel senso che ho una cerchia di amici intimi con cui condivido tutto. Per il resto adoro la vita, che credo sia il dono più bello e che va vissuto appieno». Credi nella superstizione? «Assolutamente no». Hai mantenuto rapporti con la sua terra d’origine? «La mia terra è tutto per me. Lì ho le mie radici, la mia famiglia e i miei amici di vecchia data. Olbia per me è una sorta di paradiso terrestre, un rifugio dopo le fatiche di un anno». Cosa rappresenta adesso Roma per te? «Vivendo qui da ormai 5 anni la Capitale per me è una tappa fondamentale della mia vita oltre che della mia carriera. Qui sto da re, mi sento coccolato e sento il calore della gente».

uno per tutti: Carlo Recalcati, quello che mi ha lanciato in Serie A appena arrivato a Siena».

Che cosa si prova a vestire la maglia della nazionale? «Credo che per tutti sia un sogno nel cassetto. Quando poi quel cassetto si apre allora ti rendi conto che sei alfiere del tuo paese e che stai difendendo i colori della tua Nazione. È qualcosa di indescrivibile, che ti riempie d’orgoglio e ti dà una carica in più».

Se non avessi fatto il cestista in quali panni ti ritroveresti adesso? «Chi può dirlo? Magari lavoravo nell’albergo della mia famiglia e facevo accoglienza ai turisti. O magari ero diventato insegnante di scuola primaria, che era da sempre una mia aspirazione».

A quale coach ti senti più legato? «Ce ne sono molti. Fare dei nomi sarebbe sconveniente, ma devo dire che sono stato fortunato. La maggior parte dei tecnici che ho avuto mi hanno dato molto. Ne cito

Quando hai cominciato a giocare a pallacanestro a livello agonistico, cosa ti hanno detto i tuoi genitori? «Mio padre è presidente di una squadra di Olbia, la Santa Croce, quindi di consigli ne ho avuti tanti. SPQR SPORT | 16

Qui hanno giocato grandi interpreti come Wright o Gilardi, a volte questi raffronti vi pesano? Cosa ricordi di questi e altri grandi della Virtus? «Non ci pesano, perché tutti noi, tifosi compresi, siamo consapevoli che quella Virtus al momento è inarrivabile. Stiamo facendo benissimo, stiamo ottenendo dei risultati insperati e il pubblico si è riaffezionato al basket. Ma il confronto col passato oggi è impari». I tuoi miti nel basket e perché. «Ammiravo molto Bodiroga e Michael Jordan. Immaginate cosa è successo quando a chiamarmi per venire a Roma fu proprio l’ex gm Bodiroga... fu una soddisfazione doppia».


spq ort Averli al nostro fianco in questa stagione ci ha dato la forza per fare nostre gare che altrimenti avremmo potuto perdere. Spero che nei playoff il calore sia ancora maggiore». Che effetto ti fa ad essere considerato un beniamino? «È per me motivo di grande orgoglio. Sento la gente vicina a me e percepisco il loro affetto e la loro stima. Per un giocatore questo è fondamentale». Ti gratifica il fatto di essere considerato un grande del basket italiano? «Certamente, mi fa piacere, perché dietro a un giocatore di alto livello ci sono sacrifici e lavoro. Non ci si improvvisa, in nessun aspetto della vita. Chi improvvisa o bluffa dura poco».

Sei appassionato di altri sport? «Seguivo il calcio da bambino, ora lo guardo quando sono a casa sul divano. Senza tifare e senza lasciarmi trasportare più di tanto».

Cosa vi aspettate da questa stagione? «L’obiettivo iniziale era una salvezza tranquilla. Poi è diventato arrivare in coppa italia e ci siamo riusciti, ora puntiamo ai playoff. E speriamo di raggiungere la post season in una posizione di livello. Non vogliamo accontentarci, puntiamo in alto». Da uno a dieci, che voto ti daresti per la stagione giocata finora? «I voti li danno i giornalisti. Non è il mestiere per me. Io posso giudicare un film o una canzone…».

Nella tua bacheca per ora c’è solo una supercoppa italiana vinta con Siena. Cosa baratteresti per vincere uno scudetto? «Mi taglierei i capelli. E credetemi non è poco. Ci hanno provato in tanti a farmeli tagliare...».

Apri il cassetto dei sogni: quale spunterebbe subito fuori? «Non li dico sennò magari non si realizzano, ma ce ne sono alcuni legati al basket e alcuni legati al mondo di oggi. Che avrebbe bisogno di un po’ di serenità in più».

Cosa manca a Roma per fare il classico salto di qualità? «In questo momento di crisi economica sono i soldi a fare la differenza. Le idee ora Roma ce le ha, la società è solida e lavora bene. È chiaro che competere con chi ha budget 2-3 o 4 volte il tuo è complesso però».

Che sport è il basket: puoi descrivercelo? «Il basket è una disciplina che ti fa innamorare. Che ti prende e ti porta con se. E che insegna i valori dello sport e della vita».

Quanto conta la spinta dei tifosi della Virtus? «Nel catino del Palazzetto il calore della gente è veramente il sesto uomo in campo.

Raccontaci i tuoi esordi: Datome giovanissimo che si avvicina al basket…. «Con mio padre che era sempre in palestra era facile avvicinarmi al basket. Da piccolo praticamente avevo sempre il pallone in mano». SPQR SPORT | 17

Gigi Datome TOTI DOCET uesta è una squadra che combatte, mostra voglia di battersi. C’è un leader, che è Datome, ma ad ogni partita emergono protagonisti diversi e questo ci rende imprevedibili. Con Gigi c’è un rapporto importante a livello personale, nato quando lo prendemmo da Siena per offrirgli un ruolo vero a Roma. Abbiamo avuto fiducia, ci sta ripagando, è un leader ed un vero capitano nonostante l’età. Datome può essere parte del futuro di questa società dopo quanto successo in estate, legandosi a Roma ha compiuto un vero e proprio gesto d’amore verso la città». Queste le parole d’affetto e di stima del patron della Virtus Claudio Toti verso Gigi Datome. Per capire quanto il club punti su di lui, ecco cosa disse il patron della Virtus Roma il giorno del passaggio di consegne per la fascia di capitano tra Tonolli e Datome lo scorso ottobre. «Ringrazio Alessandro per ciò che ha fatto in questi anni alla Virtus, ma non voglio che si parli di lui al passato bensì al presente: è un giocatore della squadra e darà il suo contributo durante l’anno. Allo stesso tempo voglio fare un grosso in bocca al lupo a Gigi per l’inizio di questa sua esperienza, che mi auguro possa essere ricca di soddisfazioni».

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Il campione della Virtus, dopo essere stato premiato con il riconoscimento dell’Atleta dell’Anno (in alto la scultura simbolo del premio), è stato testimonial legato anche al nostro giornale in occasione di SPQR SPORT Day: trecentomila persone in piazza lo scorso ottobre. Datome era uno dei testimonial.

Gigi Datome S P Q R S P O RT D AY Datome e il suo privato: ci racconti la tua vita? «Sono un ragazzo tranquillo e metodico. Ho le mie abitudini, le mie amicizie e i miei ritmi. Ho trovato un mio equilibrio, insomma». Toti Presidente attento, presente e anche focoso: un tuo parere. «Se Roma ha ancora la pallacanestro deve ringraziare quest’uomo che da ormai 12 anni mette calore, passione e denaro nel basket. È un presidente che per la squadra funge un po’ da “padre”, perché è presente e scrupoloso. I momenti negativi capitano, ma spesso si è preso responsabilità che esulavano dalle sue competenze. Se sono qua gran parte del merito è suo e se sono rimasto a Roma quest’anno lo devo a lui, che mi ha trattato davvero coi guanti bianchi. Ho con lui un rapporto molto bello di stima e fiducia. E lo ringrazierò sempre per aver creduto in me».

foto Ciamillo&Castori

Da sinistra Claudio Toti, Santi Puglisi, Francesco Martini, Paolo Di Fonzo, Tullio Sacripanti, Alessandro Cochi, Enrico Gilardi, Stefano Sbarra, Davide Timò, Massimo Prosperi

A TRENT’ANNI DAL TRICOLORE Nel giorno in cui l’Acea Roma batte nel derby dell’energia la Enel Brindisi per 88 a 82 al termine di una spettacolare rimonta, grandi festeggiamenti durante l’intervallo. C’è stata infatti l’occasione per celebrare il trentennale dello scudetto del Banco Roma. Il capitano Gigi Datome, la bandiera della Virtus Alessandro Tonolli, il presidente del Comitato Regionale Fip Lazio Francesco Martini e il delegato allo sport di Roma Capitale Alessandro Cochi, hanno premiato i protagonisti di quella storica vittoria. Un’annata spettacolare contraddistinta dai volti di Enrico Gilardi, Stefano Sbarra, Valerio Bianchini, Paolo Di Fonzo, Giuliano Mecozzi, Eliseo Timò e l’attuale presidente della Virtus Roma, Claudio Toti.

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I TOP TEN della storia della Virtus ENRICO GILARDI

Testaccino doc. È stato l’uomo simbolo, romano che vince nella sua città, del Banco Roma degli Anni ’80. 1 Scudetto, 1 Coppa Campioni, 1 Coppa Korac, 1 Coppa Intercontinentale con il club. Oro agli Europei di Nantes e argento alle Olimpiadi di Mosca con la Nazionale.

LARRY WRIGHT

Il grande playmaker americano arrivato dopo una straordinaria carriera Nba che portò leadership, carisma e qualità al Banco che vinse lo scudetto. E l’anno dopo portò il club capitolino alla storica conquista della Coppa dei Campioni battendo in finale il fortissimo Barcellona.

GEORGE GERVIN

Alla Virtus lasciò una traccia minima ma aveva alle spalle anni da stella assoluta della Nba di cui fu anche capocannoniere con San Antonio. Attualmente è membro della Basketball Hall Fame e della selezione dei 50 migliori giocatori della Nba.

BRIAN SHAW

Talento assoluto, arrivò giovanissimo ne Il Messaggero, Virtus dell’era Ferruzzi prima di ritagliarsi una grande carriera Nba. Attualmente siede sulla panchina degli Indiana Pacers nella Nba in qualità di vice allenatore.

MICHAEL COOPER

Anche lui approdò in Italia nella fine della carriera dopo essere stato colonna del Lakers accanto a Magic Johnson e Jabbar. Dopo la parentesi italiana, Cooper tornò ai Los Angeles Lakers, dietro ad una scrivania come assistente del general manager Jerry West.

DAVID ANCILLOTTO

Una stella cometa nel cielo virtussino. Una stagione di talento e grande umanità prima della tragica scomparsa. Roma, Venezia, Caserta ed Arese hanno dedicato al suo nome l’impianto dove giocano le squadre locali o addirittura una curva come fatto dai tifosi capitolini.

ANTHONY PARKER

Chiamato da Brunamonti a metà stagione ha illuminato con la sua classe il primo anno dell’era Toti portando la Virtus alla semfinale scudetto. Con la formazione capitolina disputa 26 partite e offre interessanti spunti per le statistiche: 14,5 punti, 5,6 rimbalzi, 17,1 di valutazione di media a partita.

CARLTON MYERS

Non è riuscito ad alzare un trofeo a Roma ma, come sempre nella sua carriera, ha bucato con grande continuità le retine avversarie. Negli Anni ’90 fu un pilastro anche della nazionale azzurra di cui divenne capitano. Con l’Italia ha disputato 131 incontri ufficiali segnando complessivamente 1825 punti.

DEJAN BODIROGA

Uno dei più grandi giocatori europei al servizio della Virtus. Un PalaLottomatica commosso gli tributò una standing ovation di 5’ il giorno del suo addio. Nel 1998 è stato nominato atleta serbo dell’anno. Attualmente ricopre la carica di vicepresidente della Federazione serba con delega alle nazionali.

ALESSANDRO TONOLLI

Un capitano e una vera bandiera della Virtus. Come Francesco Totti, in serie A sempre e solo una maglia: quella di Roma con cui ha sollevato la Supercoppa del 2001, ultimo trofeo conquistato. Veste la maglia della Virtus dal 1994. Conta anche 65 presenze con la Nazionale italiana.

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DOSSIER IL SEI NAZIONI, IERI E OGGI

di Ferruccio VENTUROLI foto: Getty Images er i britannici è stato sempre e soltanto “the Championship”, solo i francesi lo chiamavano 5Nazioni, fino a che è diventato, ufficialmente, il “6Nazioni”, ma questa è storia di oggi. Comunque, fino alla prima Coppa del Mondo, nel 1987, il Championship è stato l’unico vero torneo internazionale di rugby. Eppure fu una competizione che nessun comitato si è mai incaricato di organizzare, che non aveva una coppa, ma che è nata così, spontaneamente. E furono, per la verità, i giornali, che iniziarono a stilare classifiche, punteggi e statistiche di quegli incontri amichevoli che cominciavano a giocarsi regolarmente. Tutto ebbe origine da una sfida imprudente: la Rugby Union (la Federazione

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Inglese) era costituita solo da qualche settimana, allorché arrivò la sfida degli scozzesi: avevano dichiarato di poter battere gli inglesi nel loro gioco nazionale, il football-rugby. Gli inglesi non ci pensarono due volte e partirono per la Scozia. L’incontro, il primo incontro internazionale di rugby in assoluto, ebbe luogo a Edimburgo il 27 marzo 1871, due mesi dopo la fondazione della Rugby Union. Le squadre si componevano di venti giocatori ciascuna, con 13 avanti, 3 mediani, un trequarti e 3 estremi. Gli inglesi vestivano una maglia bianca, fregiata di una rosa, gli scozzesi una maglia blue scura con l’insegna del cardo. A John Henry Clayton, giocatore di Liverpool, si racconta che fu affidato l’incarico di allenare la squadra inglese. Stilò il pro-

gramma quotidiano di allenamento per i suoi, partendo da un mese prima della partita: correre quattro miglia (sei chilometri e mezzo) ogni mattina, proseguire con altre quattro o cinque a cavallo, sospendere durante il lavoro, quindi correre ancora quattro miglia la sera e chiudere la giornata con una bistecca al sangue e un paio di bottiglie di birra. Contro ogni previsione, la Scozia vinse: furono giocati due tempi di cinquanta minuti e l’Inghilterra contestò vivacemente la regolarità della meta scozzese, ma dovette rassegnarsi. Si rifece, però, l’anno dopo, vincendo in patria. C’era stato, dunque, un doppio incontro, la cerimonia di iniziazione era stata officiata. Nel 1874 l’Irlanda volle entrare nel giro, ma prima doveva risol-

HISTORY LINE

1883

1920

Nasce come Home Championship e viene disputato da Galles, Inghilterra, Irlanda e Scozia. Vince l’Inghilterra.

1910 Al torneo entra a far parte anche la Francia, per restarne fuori dal 1931 al 1939

1959

È la data della ripresa della manifestazione rimasta ferma a causa del primo conflitto mondiale

1947 Il torneo torna ad essere rigiocato nel 1947, fermatosi dal 1940 a causa della seconda guerra mondiale

La Francia vince il suo primo Cinque Nazioni, spezzando il predominio dei club britannici

1972 Il Cinque Nazioni non viene completato a causa della situazione politica irlandese di quel periodo


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vere il problema del dualismo Nord e Sud. I selezionatori aggirarono l’ostacolo convocando dieci elementi del Nord e dieci del Sud. Si racconta che le due “fazioni” non si amassero troppo e, forse senza volerlo, riuscirono a differenziarsi tra loro: quelli del Nord si presentarono tutti con la barba lunga, quelli del Sud tutti rasati. Ma l’unione, non fece la forza: affrontarono gli inglesi, a Londra, l’8 febbraio 1875 e naturalmente furono battuti. A proposito di irlandesi, a Dublino si raccontano ancora le gesta di Dolway Walkigton, estremo dell’Irlanda, miope all’occhio destro, che giocava con il monocolo: una volta contro il Galles, prese la palla al volo, diede una pulita al monocolo, se lo sistemò e sparò un bel drop in mezzo ai pali.

1973

Sin dall’inizio, gli arbitri erano considerati poco più che intrusi in campo, senza nessuna autorità; nel 1877 riuscirono a “conquistare” l’uso di un fazzoletto bianco che sventolavano quando c’èra un fallo; era già qualcosa, ma era ancora difficile farsi rispettare finchè un arbitro (non se ne tramanda il nome) forse stanco di sventolare inutilmente il fazzoletto, estrasse un fischietto, una vera rivoluzione che, con qualche fatica, fu accettata da tutti. Ma intanto, nel 1875, si era verificato un fatto importante, Oxford e Cambridge avevano ridotto la squadra a 15 uomini e l’ iniziativa fu sancita sul piano internazionale, allorché l’Inghilterra fu visitata dall’Irlanda nel 1877. Nello stesso anno l’Irlanda ospitava la Scozia; nel 1881 il Galles era ricevuto dall’Inghil-

1996

Tutte le cinque squadre ottengono 2 vittorie e 2 sconfitte: il torneo viene aggiudicato ex aequo a tutti i partecipanti

1993 Istituito, insieme ad una classifica ufficiale, il “Championship Trophy”, la coppa che premia il vincitore del torneo

terra e nell’anno successivo visitava l’Irlanda; infine, nel 1883, la Scozia era visitata dal Galles. Tutte le quattro rappresentative britanniche si erano ormai misurate tra di loro e il Championship era nato. L’iniziale predominio dell’Inghilterra ebbe una netta flessione, dal 1893 sino al 1910, anno dell’inaugurazione dello storico stadio londinese di Twickenham. Ne approfittarono Galles e Scozia per onorare i loro blasoni. Nel 1910, avendo ormai incontrato tutte le rappresentative britanniche, anche la Francia fu accolta come partecipante, e la competizione divenne veramente “5Nazioni”. Accolti si, ma senza troppe gentilezze, e la gavetta dei galletti fu piuttosto dura a lunga: solo una vittoria nei primi

2007

La British Sky Broadcasting ottiene l’esclusiva delle partite dell’Inghilterra del torneo, ma successivamente il contratto viene sciolto

2000 L’Italia entra nella manifestazione che prenderà il nome di 6 Nazioni. Gli azzurri debuttano battendo la Scozia per 34-20

Storica vittoria in trasferta dell’Italia in Scozia, con il punteggio di 37-17, segnando la prima meta dopo 17 secondi

2012 L’Italia, dopo l’esperienza al Flaminio, gioca per la prima volta il Sei Nazioni allo Stadio Olimpico

DAL CHAMPIONSHIP AL 6 NAZIONI

Tutto iniziò ad Edimburgo nel lontano 1871, quando ai maestri inglesi arrivò la sfida lanciata dalla Scozia. Partì così la rassegna continentale che rappresenta, da più di 100 anni, l’unica competizione internazionale riconosciuta


La prima partita nel 5 Nazioni della Francia, siamo a Colombes, nel 1910, i Galletti perdono contro l’Irlanda 8-3

Nel 1931 contro l’Inghilterra l’ultima partita della Francia nel torneo, prima di essere messa in “punizione” dalle Home Unions. Accusati di gioco violento e soprattutto di professionismo i francesi furono esclusi dal torneo fino al 1947

cinque anni. Con un’interruzione dal 1915 al ’19, per la Grande Guerra, il Torneo andò avanti con questa struttura sino al 1931, dominato nel complesso dall’Inghilterra che, per 10 volte, giunse prima al traguardo. Nel 1931 la Francia fu brutalmente esclusa dal Torneo dalle quattro “Unions” a causa della gravissima accusa di professionismo quando fu chiaro che i club francesi pagavano — e lautamente- i propri giocatori. Una cosa davvero inammissibile. Così, dal ‘32, alla Guerra, la competizione riprese il suo cammino a quattro, con alterno dominio delle quattro Nazioni d’Oltremanica. Nel 1936 la prima partita a essere definita “del secolo”: il 14 marzo del 1936 a Cardiff si giocava Galles-Irlanda. Mai vista una folla così, 70mila spettatori assiepati ovunque, sulle scale, sui terrapieni, arrampicati sui tabelloni. In realtà quel giorno si giocarono due partite una dentro, che finì in pareggio e

una, davvero furibonda, fuori. Fuori dal campo successe di tutto, risse, scazzottate, cariche della polizia a cavallo: un morto, una ventina di feriti gravi e un via vai di ambulanze che non si era mai visto. Sempre nel ’36, in Inghilterra tutti si innamorano del “Principe Russo”, Alexander Obolensky che, dopo aver affossato gli All Blacks ed essere entrato nella leggenda, morì nel 1940, ufficiale della RAF, a bordo del suo Hurricane, nei primi mesi di guerra; uno dei 111 nazionali britannici morti nella Seconda Guerra Mondiale.Dal ’40 al ’46 niente partite ufficiali, solo molte amichevoli e la “Victory Internationals”, che comunque riproposero lo schema del Championship. Finita la Guerra, fatta la pace con i transalpini, Irlanda e Scozia si ritrovarono più forti di prima, mai però come la Francia dei fenomeni Jean Prat, “Monsieur Rugby”, Lucien Mias, “Docteur Pack” e Pierre Albaladejo “Monsieur Drop”. SPQR SPORT | 22

Nei primi anni cinquanta furono i francesi a vincere tutto e non solo in Europa, visto che bastonarono anche gli All Blacks. Nel 1954 la prima grana politica: le partite dell’Irlanda si giocavano alternativamente a Dublino e a Belfast ma il 27 febbraio del 1954, a Belfast, sei giocatori nordirlandesi si rifiutarono di scendere in campo in terra d’Irlanda e ascoltare “God Save the Queen”. Fu uno scandalo, il Championship rischiò di scomparire ma, dopo molte difficili trattative, si decise che l’Irlanda avrebbe sempre e solo giocato a Dublino. Ma non finì lì, perché nel 1972, mentre a Londonderry si scontravano truppe britanniche e dimostranti cattolici, in seguito ad alcuni attentati dell’IRA, gallesi e scozzesi si rifiutarono di giocare a Dublino, adducendo motivi di sicurezza, ma fu un vero e proprio boicottaggio. Il 5Nazioni di quell’anno è stato l’unico, nella storia, a non essere assegnato. Nel 1962 un incontro del 5Nazioni, Irlanda—Galles fu rinviato per la prima volta. E non per una sola occasione ma addirittura per due, a causa di un’epidemia di vaiolo che aveva colpito i padroni di casa. L’Inghilterra, anche se con qualche pausa, fu sempre e comunque la Nazione “guida“ del 5Nazioni. I giocatori in maglia bianca con la Rosa dei Lancaster sono stati e saranno sem-


ECCO L’ITALIA. La prima partita vede protagonista la Lazio nel 1927. La Nazionale esordirà due anni dopo a prima Società Sportiva di Rugby che si costituì a Roma ed in Italia fu nel 1927 la S.S. Lazio Rugby. La Nazionale italiana è invece attiva dal 1929 ed opera sotto la giurisdizione della Federazione Italiana Rugby. La Nazionale italiana è impegnata annualmente nel torneo del Sei Nazioni, che la vede di fronte alle migliori compagini nazionali europee: Francia, Galles, Inghilterra, Irlanda e Scozia. In precedenza, fino al 1997, fu impegnata nel Campionato Europeo sotto le sue varie denominazioni (Torneo FIRA, Coppa delle Nazioni, Coppa FIRA), torneo del quale vinse proprio l’ultima edizione alla quale partecipò, nel biennio 1995-97. Inoltre, fin dalla sua prima edizione (1987), l’Italia è sempre stata presente alla Coppa del Mondo di rugby. Ammessa fin dal 2000 nel novero delle Nazioni di prima fascia (gruppo che comprende le squadre del Sei Nazioni e quelle del Rugby Championship).

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Primi Anni Sessanta si gioca a Twickenham Inghilterra-Francia

pre i “padri fondatori” di questo sport, quindi ai vertici della gloria. Giocatori come Eric Evans, Bill Beaumont, Rory Underwood, Rob Andrew, Peter Wheeler e, in anni più recenti, Jonny Wilkinson, Lawrence Dallaglio o Jason Robinson hanno fatto della storia del rugby una vera leggenda. Ma, con buona pace dell’Inghilterra ci furono periodi profondamente segnati da alcune squadre e, naturalmente, da una serie di giocatori che hanno fatto la storia del 5Nazioni. Alla fine degli Anni Cinquanta e poi una quindicina d’anni dopo, furono i gallesi a dominare la scena, trasformando l’Arms Park di Cardiff in una roccaforte imprendibile. Cliff Morgan e Bleddyn Williams nei ’50, JPR Williams, Gerald Davies, Phil Bennett e, su tutti Barry “King” John e Gareth Edwards, ancora oggi considerato il più grande di tutti I tempi. Fu proprio il Galles, alla fine degli Anni Sessanta a inventare lo “Squad System”: non più l’appuntamento il venerdì per giocare il sabato, ma una serie di raduni sistematici organizzati sin dall’autunno. Fu un’innovazione che scavò un solco nei confronti degli altri Paesi che, ben presto, dovettero uniformarsi. A contrastare il Galles in

quegli anni, per poi “esplodere” nel decennio successivo, c’era solo la Francia di Jean Pierre Rives, la bionda terza linea che “metteva la testa dove gli altri non osavano mettere neanche un piede”, di Jaques Fouroux, Le “Petit Capitain”, quasi un nano, ma un gigante in campo, di Jean Claude Skrela, di Rolanne Bertranne, di Serge Blanco, di Pierre Berbizier. Intanto, nel ’78, veniva decretata la prima espulsione in quasi cento anni di partite ma nessuno sapeva cosa si doveva fare o quali provvedimenti si dovevano adottare: non c’era ancora un comitato organizzatore, né disciplinare. Cento anni dopo si era di fronte ancora ad una serie di partite amichevoli. Ci sarebbero voluti ancora un po’ di anni per far sì che il Championship diventasse una vera e propria competizione, con regole dettate da un comitato e, soprattutto, fatte rispettare. Gli anni passavano e il rugby cambiava. Nel 1996 arrivava ufficialmente il professionismo, un cambiamento epocale, destinato a mutare radicalmente la faccia e, in parte, la filosofia del rugby. Con il professionismo si cominciava a parlare di soldi, quindi di organizzazione, quindi di allargamento di questo magnifico sport.

Per tanti anni l’Italia è stata fuori dal grande giro e, come testimoniato da un vecchio numero di Topolino, pubblicato nelle pagine a seguire, era anche etichettato come “troppo violento”. Poi la crescita. la riscoperta dei valori sani della disciplina e, finalmente, il 6 Nazioni...

Dopo 71 anni, l’Italia è tra le grandi

FINALMENTE IL 6 NAZIONI


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Tra esordi fulminanti e cucchiai di legno, l’Italia è ormai in prima linea nello scenario europeo

’era l’esigenza di dare più respiro al 5Nazioni, di farlo diventare un vero torneo continentale. Si pensò all’Italia e il torneo diventò il “6Nations”. In Italia il 5Nazioni era stato sempre il lontanissimo sogno degli appassionati. Il tutto si traduceva in saltuarie partite trovate sulla televisione francese o, più raramente, trasmesse dalla Rai e legate indissolubilmente al sanguigno e appassionato commento di Paolo Rosi. Gli azzurri, piano piano, si erano intanto guadagnati la ribalta internazionale dopo una lunga gavetta e a

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seguito delle ottime prestazioni ottenute sotto la guida dell’allenatore francese George Coste. Quel periodo d’oro, sul finire degli anni ’90, quando l’Italia sconfisse Francia, Irlanda, Scozia e Argentina non poteva proprio passare inosservato al tavolo dei grandi, che si convinsero, nonostante qualche scettico tradizionalista, a dare il via libera all’allargamento. Si arrivò, finalmente, allo storico esordio contro la Scozia campione in carica, in un Flaminio stracolmo di gente. Per la prima volta ci si rese conto di SPQR SPORT | 24

come sarebbe cambiato il nostro rugby. Per la prima volta si videro migliaia di tifosi scozzesi, in kilt, con il bicchiere di birra in mano. Quel giorno, quel sabato 5 febbraio 2000, l’Italia, con il neozelandese Johnstone in panchina, si impose sulla Scozia. Quel giorno un giocatore romano, Ciccio De Carli, segnò la prima meta italiana nel salotto buono del grande rugby. Dopo Johnstone fu la volta dell’ex All Black Kirwan, poi toccò al francese Berbizier e al Sudafricano Mallet, fino all’attuale coach, il francese Brunel.


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L’addio di Lo Cicero Proprio alla guida di Pierre Berbizier è legato il miglior risultato dell’Italia: due vittorie, di cui una, storica, in Scozia e l’altra a Roma, contro il Galles, nell’edizione 2007. Fu l’unica volta in cui l’Italia fece davvero paura alle grandi tant’è che fino all’ultima giornata, anche se in base a complicati giochi di punteggi, gli azzurri avrebbero potuto vincere. In totale, l’Italia, su 70 partite disputate, ne ha vinte undici (di cui ben dieci in casa) e ne ha pareggiata una. Quattro volte è stata “punita” con il Cucchiaio di Legno, simbolico trofeo destinato a chi perde

Tra le lacrime, gli applausi dei tifosi e la standing ovation finisce la sua carriera. Un omaggio ad Andrea Lo Cicero che ha giocato la sua ultima partita con la Nazionale italiana. Un addio meno doloroso grazie alla vittoria contro l'Irlanda. Nella foto di destra il Sindaco di Roma e il Delegato Cochi nello spogliatoio a fine gara.

tutte le partite del torneo. Ogni anno, alternativamente, ogni nazionale gioca due o tre partite in casa. Per il rugby azzurro quella casa è stata, fino al 2011, lo Stadio Flaminio. Dall’edizione scorsa, a causa dell’impossibilità strutturale di aumentarne la capienza, l’impianto progettato da Nervi, ha lasciato il posto all’Olimpico. Nonostante lo scetticismo e i timori della vigilia per la capienza giudicata eccessiva, nelle due partite del 2012, contro Inghilterra e Scozia, lo stadio ha registrato il “tutto esaurito”. Ma questa è storia di oggi. SPQR SPORT | 25


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Mai così seguito, mai così accessibile. Negli ultimi anni, nonostante i risultati altalenanti della nazionale, il movimento del Rugby ha mostrato una crescita continua e costante anche grazie agli sforzi dell’amministrazione capitolina artiamo da una data che forse è l’aspetto che maggiormente soddisfa chi sta lavorando alla crescita del rugby italiano. Febbraio 2012: Roma viene investita da una inconsueta ma copiosa nevicata. All’Olimpico è tutto pronto per la sfida all’Inghilterra valevole per il Sei Nazioni. Il rischio di un rinvio è forte. Ma proprio nei momenti di difficoltà, la macchina organizzatrice si rimbocca le maniche (con quel freddo sembrerebbe una battuta…) e fa di tutto perché lo spettacolo vada avanti. E pur tra mille comprensibili problemi la partita dell’Olimpico va puntuale in scena accogliendo sugli spalti la bellezza di 53.000 spettatori. Lo sforzo congiunto di Roma Capi-

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tale, Coni Servizi e Fir era stato premiato. E questo non sfuggì alla Six Nations Ltd, la società che gestisce il prestigioso torneo, che inviò una lettera di congratulazioni alla Fir e al sindaco Gianni Alemanno per l’efficienza dimostrata dalla città, dalle istituzioni e dall’Italia rugbistica in generale. Un attestato di stima che ha assunto proporzioni più grandi visto che , nello stesso giorno, a Parigi, si sarebbe dovuta disputare Francia-Irlanda, con 75.000 biglietti già venduti. La gara però non andò in scena sempre a causa di neve e gelo. Che soddisfazione! Ma al di là dei riconoscimenti, il rugby italiano si lascia alle spalle un 2012 esaltante. Un bilancio più che positivo: 4 vittorie (Canada, Usa,

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blog DEL RUGBY

w w w .a l e ssand r o f u s c o . c o m - w w w . ru g by arom a. com nche su internet spopola la moda del rugby tanto che, negli ultimi dieci anni, sono stati aperti più di 1500 blog sull’argomento. Abbiamo contattato i pionieri di questo fenomeno ovvero, Alessandro Fusco (giornalista sportivo de ‘Il Tempo’) e Maurizio Bocconcelli (ex giocatore e attuale dirigente del Rugby Roma) che ci hanno raccontato come è nata questa idea. «L’idea mi è venuta tanto tempo fa», spiega Fusco. «Ho un passato agonistico da rugbista ma ho deciso di aprire un blog sul rugby da quando l’Italia è entrata nel 6 Nazioni, su consiglio di amici». Quello di Maurizio Bocconcelli invece, è un blog dedicato esclusivamente al rugby di Roma: «Sui giornali questo sport non ha trovato mai molto spazio quindi decisi di dedicare un sito al rugby di Roma. Io sono stato uno dei primi a lanciare questa idea».

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Scozia e Tonga) e prestazioni brillanti (Australia e All Blacks). Se poi ci mettiamo anche il grande coinvolgimento dei tifosi che hanno sempre riempito puntualmente l’Olimpico (contro la Nuova Zelanda lo scorso 17 novembre si sono presentati in 74.000 con un incasso al botteghino di oltre due milioni), il discorso si fa completo. Da queste premesse il futuro non può che far sperare in ulteriori miglioramenti, a cominciare dalla nuova edizione del Sei Nazioni che richiamerà tantissimi appassionati. La macchina è lanciata. Ci sono voluti tanti anni, ma ora l’azzurro della palla ovale tira, eccome. E la città è sempre pronta ad ospitare queste manifestazioni. L’Olimpico già freme.


L’EVOLUZIONE DEL RUGBY RACCONTATO DALLE

VECCHIE GLORIE

AZZURRE I grandi del passato ci raccontano il loro rugby e come questo è cambiato nel corso degli anni. Dagli atleti anche sottotono di ieri, a oggi con forme fisiche perfette

Massimo Giovanelli Rugbista a 15 e 37 volte capitano della Nazionale in cui ha giocato 61 partite, è uno dei simboli storici di questo sport. Era presente infatti in quel mitico anno 2000, il primo del Sei Nazioni, in cui l’Italia esordì battendo 34-22 la Scozia: «Ovviamente è un ricordo vivissimo. Giocare quella partita voleva dire mettersi alle spalle il passato. Un evento eccezionale. Possiamo dire che si stava aprendo l’alba di un nuovo futuro». Un mondo, quello del rugby, che sta cambiando: «Vero, sono cambiate tante cose. C’è stata una scissione forte, fra il mondo del professionismo e quello del ‘rugby di sotto’. Come disse qualcuno ‘Abbiamo fatto l’Italia, dobbiamo fare gli Italiani’. È giusto, ora che siamo nel Sei Nazioni, creare la cultura di questo sport». Anche a livello mediatico il rugby è esploso: «Questa nazione è da tempo un paese da rugby e quello che serviva era che la massa e in particolare i mass media, percepissero tale principio. A quel punto, il Rugby, si è rivelato quel che è: uno sport contagioso per i valori che trasmette, le relazioni che nascono. Uno sport pulito dove la fisicità è in campo e tutto resta confinato li».

Marco Bollesan

Salvatore Bonetti

«Il rugby è cambiato. Ai miei tempi, non lontanissimi, potevano giocare anche persone robuste, un po’ sottotono. Oggi invece si vedono ottimi giocatori, in perfetta forma fisica e dai piedi buoni. Prima usavamo un solo piede per calciare, oggi invece si è affinata la tecnica; inoltre, i rugbisti sono dei veri e propri atleti, prima giocavano anche i più cicciottelli». Queste le parole di Marco Bollesan, ex terza linea centro della Nazionale italiana e di Cus Genova, Partenope, Brescia, Cus Milano e Amatori Milano.

Indimenticato capitano della Nazionale Italia di Rugby a 15, fa un passo indietro ai suoi anni migliori: «È stupendo aver condiviso con dei ragazzi dei bellissimi momenti. Avvenimenti particolari, e partite, ce ne sono, ma quello che mi è rimasto sono le persone. La positività che mi è stata trasmessa veniva da loro».

Non solo differenze di giocatori ma è cambiata anche la sponsorizzazione: «Purtroppo quando giocavo io, in Italia non avevamo la cultura del rugby che è uno sport anglosassone. Le società dovevano trovare una soluzione e pagavano tutto di tasca loro». L’ex giocatore conclude parlando di cosa manca ancora al rugby italiano: «Manca la cultura nelle scuole, ad esempio in Inghilterra questo sport viene praticato sin da bambini. Da noi non ci sono le strutture adatte, gli istituti non sono dotati di campi in erba e l’ora di ginnastica si fa o nelle palestre o in campetti inadeguati». SPQR SPORT | 27

Un confronto col presente: «Sono due sport diversi. Prima c’era una disciplina personale, ora è più di squadra. Ora sono più palestrati e veloci, ma noi non abbiamo niente da spartire per quanto concerne la tecnica». Tanta gente ora guarda questo sport: «Perché non c’è tensione in alcune delle sue sfaccettature. Prima, durante, e dopo l’incontro è una festa continua. Sono qualità che non voglio dire che altri sport non hanno, ma il Rugby le possiede più marcatamente». Il futuro passa per il cambio delle regole: «Credo che per invogliare la gente a guardarlo ancora di più, debbano cambiare alcune cose. Ora è un autoscontro, ci sono troppi impatti frontali. La cosa più bella sarebbe rivedere certe giocate singole, come quella di Parisse in Scozia, una vera finezza.».


QUANDO IL RUGBY ERA UNO SPORT PER POCHI... Topolino, 6 giugno 1976. Un documento prezioso racconta un altro rugby, giocato tra tribune semideserte e considerato violento. Da parte del settimanale Disney un tentativo di difesa... «Se c’è preparazione fisica non è vera l’equivalenza “palla ovale uguale ospedale...”»

BOTTE SÌ MA NON DA ORBI

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el mondo si praticano tre tipi di rugby: il rugby a quindici (il più diffuso e soprattutto in Europa, Italia compresa), quello a tredici e il football americano. Esistono anche, ma con successo esclusivamente locale, il rugby a sei e quello a sette. In Australia e in Canada si giocano con la palla ovale due tipi particolari di rugby. (...) Dei tre tipi fondamentali di rugby, la palma della pericolosità spetta a quello americano, il football (...) . (...) Cosa c’entra il football giocato oltreoceano con le sfortune del rugby combattuto sui nostrani pantani, di fronte a tribune (quando ci sono) per lo più semideserte? C’entra, eccome. Spieghiamo: uno sport ha un successo direttamente proporzionato all’interesse che desta; e l’interesse, a sua volta, è determinato da una somma di fattori, il più importante dei quali è da individuare nel numero dei partecipanti. Semplificando molto: più gente (giovani soprattutto) si dedica a uno sport, più questo sport ne guadagna in spettacolarità e in diffusione. In Italia, a monte dei molti mali immeritati del rugby, c’è proprio il basso numero di nuove leve indirizzate alla conquista di future mete. Perché? Perché il rugby, poco conosciuto (anzi: misconosciuto), è stato ammantato di un’aurea di pericolosità del tutto infondata. (...) Parliamo, dunque, di rugby: rugby vero. Quel rugby giovane che si sta facendo strada anche da noi e che rifiuta decisamente l’equivalenza “palla ovale uguale ospedale”. Se c’è la preparazione e non si improvvisa, il rugby non è affatto pericoloso. Lo dicono le statistiche. Lo sci è più pericoloso. E il calcio stesso. E persino l’atletica leggera. Che dire alle mamme? Alle nostre belle mamme sempre pronte con il cucchiaino della carnina o dello sciroppo e che inorridiranno quando il figlio annuncerà la timida intenzione di provare il rugby e si precipiteranno a comprargli

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una racchetta da tennis o a prenotargli una “settimana bianca”? Che dire? Be’… mamme, informatevi e scoprirete che per curare le ferite di un rugbista bastano quasi sempre qualche cerotto e un po’ d’unguento per i lividi. Per farsi male davvero ci vuole un certo cattivo impegno… oppure una mamma troppo apprensiva che costringe il “suo” giocatore a scendere in partita senza allenamento.

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di Massimo MARCONI Tratto da Topolino n. 1071 6 giugno 1976


Argentino di nascita, ma italiano dentro. «Il rugby è uno sport per tutti, consiglio tutte le mamme di spingere i loro bambini verso questa disciplina»

l problema di intervistare Martin Castrogiovanni è trovare nuovi spunti. Impossibile, perché dell’irsuto pilone nazionale hanno scritto ormai tutti, l’ultima in ordine di tempo la sua fidanzata Giulia Candiago che, prima del 6 Nazioni, lo ha intervistato, in modo assolutamente inedito, per SportWeek. Di lui si sa che nasce giocatore di pallacanestro perché mamma Stella, in Argentina, non lo voleva rugbista; si sa che per aggirare l’ostacolo, da buon pilone, ha preferito andare drit-

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to per dritto: spintone ad un arbitro, squalifica a vita della federbasket argentina — sì, se siete tra i cinque o sei che non lo sanno, Martin è nato a Paranà — ed ecco la chance per inseguire la palla ovale. Meno noto è che, sempre prima di fare a ritrovo la strada dei propri nonni originari della Calabria — e che ci crediate o no esiste un paese, da quelle parti, che si chiama come il numero tre della Nazionale — il nostro abbia anche fatto per un breve periodo il bodybuilder, arrivando a sfilare anche in


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IL CORAGGIO DEI LEONI di Paolo CIABATTI foto: Getty Images

pedana, unto di mallo ed in costume adamitico (non è dato sapere se abbia arrischiato il perizoma, ma glielo chiederemo la prossima volta). Poi, per fortuna sua e del rugby italiano, Castro si è dato al rugby sbarcando, giovanissimo e con discutibili dreadlocks che lo hanno reso subito riconoscibile, in quel di Calvisano, provincia di Brescia, una delle culle del rugby italiano. E da lì è iniziato il percorso che lo ha portato, oggi, ad essere non solo l’oggetto del desiderio dei Club di tutta Europa — dopo sette stagioni in Inghilterra con i Leicester Tigers sembra destinato al Tolone del miliardario Boudjellah, che colleziona campioni manco le figurine Panini — ma anche dei pubblicitari italiani, complici anche i buoni uffici della Drop&Roll, agenzia di comunicazione al 100% rugbistica che collabora con “Castro” ed i suoi amici di sempre, Parisse e Canale. Ma lui, nonostante lo spirito libero che lo anima, si sente italiano a tutti gli effetti. «Ho un nonno siciliano di Enna, il mio cognome è il vecchio nome della città. Da parte di madre ho sangue tedesco, aborigeno argentino e spagnolo. Ho viaggiato, sono cresciuto. Sono un bel miscuglio. L’Argentina è nel mio cuore, forse ci tornerò un giorno. Ma io mi sento italiano e con l’Italia sono in debito: ci sono arrivato che avevo venti anni e grazie a questo paese sono dove sono, lo sento e dico». Timido e schivo verso i media e soprattutto timido in generale nei suoi primi anni italiani, il “Gordo” — uno dei tanti nomignoli che volente o nolente si è visto affibbiare negli anni — ha mantenuto, a scapito della notorietà in costante aumento, una grande di-

sponibilità verso i suoi tanti fans. Compito non facile se si considera che, complici le tante pubblicità che lo hanno visto protagonista e, più in generale, un look ed una stazza che mescolati assieme non lo fanno certo passare inosservato, andare a spasso per lui e con lui, in Italia come in Inghilterra, finisce per rivelarsi un continuo stop-and-go di foto, autografi, strette di mano. «A volte è dura, pensa te che per andare ad un derby a San Siro — raccontava qualche tempo fa, prima del test contro la Nuova Zelanda — per riuscire ad entrare allo stadio ad un certo punto mi sono dovuto coprire la faccia». Se a Chabal, con cui intrattenne qualche anno fa un inatteso quarto tempo in un locale di Roma, il ruolo del divo sembra calzare a pennello, Martin mantiene una certa ritrosia di fondo nel calarsi appieno nel ruolo di uomo immagine. Un po’ come se la cosa lo affascinasse e disturbasse al tempo SPQR SPORT | 31


Martin CASTROGIOVANNI stesso. Ma a girare gli spot olimpici di Edison, sponsor del Coni e di Italrugby al tempo stesso, si è divertito non poco: «Dicono che siamo dei duri noi, ma quelli della pallanuoto sono veramente dei pazzi: dopo due minuti che ero in acqua con loro ho dovuto chiedere di spostarci a girare dove si toccava, non riuscivo più a stare a galla. Veramente uno sport per gente con le palle». Se con la calottina è stata impegnativa, vederlo nel ruolo di “farfalla” della ginnastica ritmica mentre cercava di destreggiarsi tra nastri e tutù ha strappato più di un sorriso a tutti, in primis ai suoi compagni di squadra: «Mi prenderanno in giro tutta la vita ma, ripeto, è stata una bella espe-

Rugby. Da prima pagina Anche Martin Castrogiovanni è travolto dall’ondata di attenzione nei confronti del rugby. Ed ecco improvvisarsi attore per girare una serie di spot

PROFESSIONE

ATTORE

Come si saranno sentite Elisa Santoni, Elisa Blanchi, Anzhelika Savrayuk, Romina Laurito, Andreea Stefanescu e Marta Pagnini, le Farfalle della Nazionale di Ginnastica Ritmica, quando al loro fianco è spuntato un intruso? Parliamo naturalmente del rugbista Castrogiovanni. Grande, grosso, e per certi versi buffo nel far volteggiare in aria il nastro rosa delle ragazze o nel carpire al volo il cerchio dorato, scosso dai suoi movimenti bruschi. Amato dagli italiani, è stato alla fine apprezzato anche dalle atlete nel corso dei loro allenamenti al PalaDesio, dove è stato girato il famoso spot per l’Edison: «Pensavamo si fosse preparato perché è bravissimo. È il benvenuto in questa squadra». La trasformazione in un grosso coleottero più o meno leggiadro è stata un’idea figlia dell’esclusione, ancora una volta, del Rugby dai Giochi Olimpici. Con la sua adorabile aria sorniona, Castrogiovanni dichiarò: «Le Olimpiadi sono il sogno di ogni sportivo e anche di un rugbista. Pur di partire per questa edizione del 2012 ho cercato d’imparare anche la ginnastica ritmica». Forse anche per questo si è cimentato anche in altre discipline sportive come la pallanuoto maschile e la pallavolo femminile, in occasione di quella campagna pubblicitaria. Senza perdere l’amore per il “suo” Rugby, difeso in maniera ironica. Foto Edison


rienza. Capisci i sacrifici e le difficoltà che ci sono dietro ad ogni sport, è stato un po’ come vivere anch’io il sogno olimpico». Nel 2016 a Rio, quando il rugby tornerà ai Giochi, Castro avrà trentacinque anni: «A parte che sarò vecchio e chissà se giocherò ancora, comunque nel rugby a sette giocatori corrono come i matti, non è roba per me» taglia corto Martin mentre voliamo verso Londra per la quarta giornata del Torneo.

Martin, oltre al rugby, segue anche altri sport. «Tutti a parte il golf. Seguo il campionato italiano di calcio, l’inglese è troppo inglese, fisico, però tengo al City. Tifo Inter dai tempi di Crespo e la squadra migliore era quella di Mourinho».

Ma per Castrogiovanni, qual è il segreto per essere un buon rugbista? «A parte il coraggio, nessuna dote particolare: a differenza di altri sport dove devi avere certe caratteristiche

Con la lettura e l’informazione come sta messo Martin? «Allergico ai libri, ammalato di tecnologia, compro qualsiasi cosa esca, dai videogiochi ai telefonini. E twitto come un matto».

Foto Getty Images

da noi trovi gente grossa, magra, alta, bassa. Ognuno trova un ruolo, è una casa aperta a tutti. Consiglio lo sport e lo dico sempre alle mamme: portate i vostri figli a rugby».

COME NASCE UNO

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L’Italia del Rugby oramai attrae così tanto da diventare protagonista anche di uno spot pubblicitario. Gli azzurri, su di un vero e proprio set cinematografico, sono scesi in campo, questa volta, in giacca e cravatta. Tutto è nato nello show room di Parigi dove il gruppo ha scelto le stoffe e lo stile di Eden Park. Così è nata la simbiosi fra questa nota griffe francese e i nostri beniamini, apparsi a loro agio, nel girare poi lo spot, fra flash e poltrone. Certo senza mischie o mete da realizzare.

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di Mirko BORGHESI foto: Getty Images

È arrivato in biancoceleste alla soglia dei trent’anni. Ha messo subito a disposizione la sua esperienza e la sua bravura. Qualità che hanno reso solida la difesa laziale di cui è un punto fermo. «Vestire questa maglia dà sensazioni particolari. I nostri tifosi sono unici. Sono orgoglioso di far parte di questo grande club, il primo della Capitale»

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al suo arrivo alla Lazio nella stagione 2010 si è rivelato uno dei baluardi della difesa biancoceleste, sia per Reja, sia per il nuovo tecnico Petkovic. Giuseppe Biava si sente ancora un ragazzotto. La carta d’identità riporta 8 maggio 1977 alla dicitura ‘data di nascita’, ma lui, con eleganza ed esperienza, sembra più competitivo ogni anno che passa. Ed è con questa domanda che parte la sua intervista esclusiva ai microfoni di SPQR SPORT.

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Più invecchi e più diventi forte. Qual è il tuo segreto? «Più s’invecchia, più si acquista una certa esperienza. Quando sei giovane certe cose non arrivi a farle con la testa, adesso che sono anziano si. Ho trovato poi una società forte, con un preparatore atletico importante. La condizione fisica è sempre stata ottima e anche questo fa la sua parte». La Lazio è arrivata in finale di Coppa Italia, dove affronterà la Roma. Qual’è la tua promessa personale ai tifosi in vista della stracittadina e di

questo scorcio finale di stagione? «La promessa è quella di dare sempre tutto con la speranza che i nostri sogni insieme a quelli dei nostri tifosi si possano realizzare...». Sei da tre anni alla Lazio ed ormai per i tifosi sei uno di loro. Ti sei chiesto da cosa scaturisce questo affetto? «Non lo so, probabilmente perché in campo sono uno che cerca di dare il massimo sempre. Le partite poi possono anche andar male ma ho sempre dimostrato di prodigare tutto me stesso». Il tuo ingresso nel grande calcio è arrivato a 27 anni. Cosa ti ha frenato dal consacrarti prima? «Penso che probabilmente sono venuto fuori al momento giusto. Venivo da una società piccola come l’Albinoleffe, e questo magari non mi ha aiutato, però non ero neanche pronto. Ho vissuto bene la mia escalation e passo dopo passo sono arrivato. L’importante è questo». C’è rammarico per non aver mai inSPQR SPORT | 35

dossato la maglia azzurra? «No. La Nazionale è il sogno di ogni ragazzo che inizia a giocare a calcio. Forse sono arrivato troppo tardi in Serie A ed adesso sono troppo vecchio per la Nazionale. Per me quello che conta è far bene alla Lazio». Sei un difensore che non disdegna anche di segnare. Ci racconti a proposito com’è nato quello splendido colpo di tacco contro la Reggina nel 2006/2007? «Lo ricordo benissimo. Era la prima giornata di campionato e su un cross laterale mi sono inventato forse casualmente questo colpo di tacco che poi è stato votato come uno dei gol più belli di quella stagione. Anche per noi difensori è bello ogni tanto andare in rete, e se poi la realizzazione è anche bella tanto meglio». Palermo e Genoa, i club che ti hanno visto da protagonista prima di arrivare alla Lazio. Come giudichi queste esperienze? «Sono state due esperienze positive. A Palermo arri-


Giuseppe Biava IL PROFILO iuseppe Biava nasce a Seriate l’8 Maggio del 1977. Difensore cresciuto nelle giovani del Leffe, ha esordito nel calcio professionistico con la maglia dell’Albinese, contribuendo poi alla storica cavalcata dell’Albinoleffe sino alla Serie B con 135 presenze e 6 gol. Fisicamente snello, 180 centimetri per 72 chilogrammi, arriva nel grande calcio passando per Palermo. E’ durante il calciomercato invernale della stagione 2003-2004 che approda ai rosanero, sempre nel

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vavo da una squadra piccola come l’Albinoleffe. Trovarmi in una società così grande e in una città così importante è stato un bel salto. Grazie all’aiuto di tutta la squadra e del mister, ho fatto benissimo. Al Genoa uguale. Venivo da un periodo di difficoltà ed ho vissuto una seconda giovinezza, con un anno e mezzo alla grande al fianco di ottimi calciatori. Un’esperienza per me fondamentale». Hai citato l’Albinoleffe. Sei stato fra gli artefici della storica promozione in B. Che ricordi hai di quell’impresa? «È stata una cavalcata bellissima perché io sono partito quando eravamo in C2, anzi forse in Interregionale. All’epoca ci chiamavamo Albinese poi abbiamo fatto la fusione. Arrivare per noi bergamaschi, la maggioranza di quel gruppo, dalla D alla B è stata una grande impresa che penso rimarrà nella storia di quella società». Sin da bambino ti sei ispirato a qualche giocatore in particolare? Chi era il tuo idolo? «Mi piacevano molto i difensori rocciosi, tipo il tedesco Kolher. A livello umano invece penso a Del Piero. Mi piaceva il suo modo di fare, an-

campionato cadetto, contribuendo con 13 partite e 3 reti alla promozione in A della squadra siciliana. Rimarrà nella società di Zamparini fino all’estate del 2008, quando passa al Genoa. Convince a tal punto che una Lazio in difficoltà per la gestione Ballardini, lo chiama nella Capitale per ergersi a nuovo punto di riferimento di una retroguardia insicura. Non delude le aspettative, conquistando spazio e segnando gol pesanti.

che fuori dal campo. Penso che a livello di qualità umane era al mio livello… poi come giocatore era un’altra cosa». Focalizzandoci sulle sfide personali...l’attaccante che ti ha dato maggiormente del filo da torcere? «Ce ne sono stati parecchi. Quando arrivi a giocare in Serie A è sempre difficile. L’Adriano dell’Inter che io ho incontrato al primo anno nella massima serie, stava alla grande. Era veramente forte. Aveva tutto: velocità , forza, tiro, era devastante». Con quale compagno di reparto hai avuto maggior feeling? «Sono stato bene con parecchi compagni di reparto. Barzagli e Dias sono i due giocatori con cui però mi sono trovato meglio». Petkovic, l’ultimo allenatore biancoceleSPQR SPORT | 36


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ste, è arrivato in sordina, poi ha sorpreso tutti. Anche te? «Si, mi ha sorpreso, anche perché non lo conoscevamo qua in Italia. Quando è arrivato eravamo tutti dubbiosi sul suo modo d’intendere il calcio. Dal ritiro abbiamo capito però che era un grande allenatore, infatti poi l’ha dimostrato e i risultati si sono visti».

La magnifica aquila biancoceleste è Olympia. Hai mai avuto l’occasione di vederla volare? Sei sempre nel sottopassaggio, ma ti è mai capitato? «Prima della partita purtroppo non l’ho quasi mai osservata. Sai abbiamo però fatto alcune amichevoli in cui l’abbiamo vista volare ed è stata una bella emozione». Fuori dal campo verde di gioco, puoi dirci come vivi Roma? «Quest’anno e anche l’anno scorso, giocando ogni 3 giorni, stando sempre in ritiro , non sono riuscito a viverla appieno. Quando però ho il tempo per girarla nei pochi giorni di libertà è una città che mi piace. Mi trovo bene e quando scende la mia famiglia, riusciamo ad ammirarla».

Marchetti è un portiere che infonde sicurezza. Quanta ne conferisce ad un difensore? «Marchetti ha dimostrato di essere un ottimo portiere non solo con la Lazio, ma anche prima al Cagliari. Già all’Albinoleffe ne avevo sentito parlar bene da amici che ho la in società e da altri con cui avevo giocato. Sta dimostrando di essere uno dei portieri più forti. Dopo Buffon c’è lui e sono convinto che è un bravo ragazzo e quando Buffon smetterà sarà lui il primo».

Il giorno che dovessi lasciare Roma, faresti un salto a Fontana di Trevi e tirare di spalle nella fontana la monetina? «Si, si, lo farei».

Quali emozioni si provano nel vestire la maglia della Lazio? «È una bella sensazione. Essere in questa società, la prima società della capitale, è importante. La tifoseria mi è sempre piaciuta. Sono contento e orgoglioso di farne parte».

Abbiamo aperto con una promessa fatta ai tifosi. Ora chiudiamo con una promessa a te stesso. «Dar sempre tutto, tutto me stesso fino all’ultimo giorno che sono qui alla Lazio. Questo è il mio carattere e cercherò di essere sempre così». SPQR SPORT | 37

Giuseppe Biava DICONO DI LUI incenzo D’Amico ai microfoni di TMW: «Biava è fra i giocatori che hanno dato di più. Lui, i quattro centrocampisti e Klose sono le grandi conferme. Il difensore, in particolare, sta andando alla grande, rigenerato da Petkovic». Massimo Piscedda, a RadioSei, propone una nuova coppia centrale: «Vedrei bene insieme all’imprescindibile Biava anche Radu. In un calcio senza i classici attaccanti forti fisicamente e difficilmente marcabili bisogna avere difensori centrali molto reattivi». Bernardo Corradi a Lazio Style Radio: «Mi ha sorpreso molto il modo in cui l’allenatore è riuscito ad ambientarsi. Secondo me la squadra è ben fatta e ben formata, ha giocatori che sanno giocare bene la palla, che si inseriscono e che sono molto bravi sotto porta. In difesa ha Biava che nella marcatura a uomo è uno dei più bravi in Italia».

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NELLA SQUADRA DEL 1974 L I B E R O . C A P I TA N O . M A G L I A

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Pino Wilson

Il parere del leggendario capitano biancoceleste su Biava e sull’evoluzione del ruolo di difensore centrale er parlare di Giuseppe Biava ma anche del ruolo del difensore centrale moderno, la redazione di SPQR SPORT ha contattato Pino Wilson, leggendario capitano del primo scudetto della Lazio, guidata allora da Maestrelli.

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Wilson, lei è un simbolo di una Lazio scudettata. La retroguardia biancoceleste, oggi, si regge soprattutto sulle prestazioni di Giuseppe Biava. Come giudica questo calciatore? «Credo che fino allo scorso mese, Biava ha avuto un rendimento a dir poco eclatante. Fin quando la squadra ha girato, nel ruolo di difensore centrale puro, non ho paura nel dirlo, è stato il migliore di tutto il campionato italiano». Biava è in scadenza di contratto. Si parla tanto del suo rinnovo. Wilson prolungherebbe di un anno il rap-

porto con questo calciatore? «Nel passato sono stati rinnovati dei contratti a calciatori che hanno giocato male, quindi non vedo perchè non rinnovarlo ad uno che ha giocato bene. Credo che soprattutto fino al mese scorso quando tutta la squadra girava Biava è stato eclatante. Come difensore puro è stato il miglior difensore puro». Cosa vuol dire fare il difensore centrale? Quali sono i compiti da svolgere a livello tecnico e tattico e nel rapportarsi con i compagni di reparto e con il portiere? «Partiamo col dire che uno dei due centrali è quello dominante, colui che recita la parte di primo attore nella difesa. Ha tante responsabilità, soprattutto in funzione del modulo con cui gioca la squadra. Dalle sue decisioni dipendono molte cose. È un ruolo d’importanza. È fondamentale poi perchè ha un feeling speciale con il

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portiere. Deve sentire quando l’estremo difensore chiama o parla e deve assecondare le sue direttive visto che vede molto meglio rispetto ai compagni. Non ha l’impatto con l’attaccante e vede partire l’azione». Come è cambiato il ruolo di difensore centrale da quando giocava lei, e c’era il libero, ai tempi odierni. «È un po’ diverso come modulo e come tattica. Noi giocavamo 4-5 metri dietro allo stopper in un assetto totalmente diverso e con esterni fluidificanti in cui i difensori eravamo io e Oddi. Siamo stati in questo gli antesignani involontari di un calcio più modenro. Oggi invece si gioca a zona. È difficile se vuoi farlo applicando il fuorigioco. Si gioca a quattro e i due centrali devono essere molto affiatati perchè uno deve dettare i tempi. Le responsabilità sono sempre le stesse, quello è il fattore comune».


L’improvvisa notorietà non l’ha cambiato, è rimasto il ragazzo semplice che calcava i campetti di calcio di Acilia. Di poche parole, ma tanta sostanza. è un altruista per natura. Ringrazia la sua famiglia che ha contribuito alla sua crescita umana e sportiva. Ama questa maglia e sogna la vittoria

di Paolo VALENTE foto: archivio A.S. Roma

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entidue anni, tutta una carriera davanti che s’annuncia luminosissima. Alessandro Florenzi è uno degli ultimi grandi prodotti del vivaio giallorosso. In pochi mesi, da quando è ritornato quest’anno a vestire la maglia romanista dopo l’esperienza al Crotone, ha bruciato le tappe. Prima si è inserito nel gruppo dei titolari diventandone un punto di riferimento e subito dopo ha spiccato il salto verso la Nazionale di Prandelli. Niente male, ma lui rimane ben piantato coi piedi in terra, il successo, pur così immediato, non ha cambiato il suo stile di vita. Lui guarda avanti, impegnandosi come sempre in campo facendo dell’altruismo e della corsa le sue armi migliori. Ed eccolo qui, davanti al nostro taccuino, per raccontarsi. Lo fa a modo suo, schivo da ogni forma di protago-

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nismo. L’umiltà e una sorta di timidezza danno l’esatta misura di un ragazzo che è sconfinato presto nella maturità nonostante la giovane età. Allora Alessandro, te lo saresti mai aspettato di esordire con la maglia della Roma, due anni fa contro la Samp, sostituendo, seppur a pochi minuti dalla fine, nientedimeno che il capitano, Francesco Totti? Che cosa hai sentito dentro? «Sicuramente se avessi dovuto immaginare un esordio in serie A, non avrei mai potuto credere di dover subentrare ad una leggenda non solo della Roma ma di tutto il panorama calcistico italiano. Ero emozionatissimo, anche se a dirla tutta, non solo perché in quel momento andavo a sostituire Totti». Il settore giovanile della Roma è uno dei più importanti d’Italia. Sei SPQR SPORT | 41

conscio di questo e quanto sei orgoglioso di esserci cresciuto? «Il settore giovanile della Roma è ovviamente uno dei migliori in Italia e dunque sono orgogliosissimo di essermi formato qui. Poi ho avuto anche la fortuna che fosse anche quello della mia città». Cosa è rimasto dell’Alessandro che dava i primi calci al pallone nella sua Acilia? «Sono esattamente lo stesso». Un grande generoso in campo. Così anche nella vita? «Si, l’altruismo è uno di quei valori con cui i miei genitori hanno voluto educarmi e colgo l’occasione per ringraziarli». Tu, Totti e De Rossi: romani nella Roma. Ne sei orgoglioso? «Cavolo! Come potrei non esserlo? È un pia-


lessandro Florenzi è nato a Roma l’11 marzo del 1991. Esordisce in Serie A il 22 maggio 2011 subentrando al 41’ della ripresa a Francesco Totti nel corso di Roma-Sampdoria (3-1). A luglio dello stesso anno viene ceduto in prestito al Crotone in Serie B col quale esordisce il 27 agosto in Crotone-Livorno (1-2), segnando il goal del momentaneo vantaggio rossoblù. A fine stagione collezionerà coi calabresi 35 presenze impreziosite da 11 gol. Il 21 maggio viene premiato come miglior giovane della Serie B. A luglio la Roma lo riscatta. Il 2 settembre segna il suo primo gol in Serie A in Inter-Roma 1-3. Il 23 gennaio 2013 torna a segnare nella gara d’andata di Coppa Italia contro l’Inter, aiutando i giallorossi ad imporsi per 2-1. Si ripete quattro giorni dopo in campionato in Bologna-Roma 3-3. Esordisce con l’Under 21 azzurra il 6 settembre, Ungheria-Italia 0-3, e segna la sua prima rete con gli azzurrini il 6 ottobre seguente, Liechtenstein-Italia (2-7). Debutta nella Nazionale di Cesare Prandelli contro la Francia il 14 novembre 2012.

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Alessandro Florenzi

IL PROFILO

cere oltre che un onore». Una Roma fatta di giovani di grandi prospettiva. Di questi tuoi compagni, quali ti ha impressionato di più? «Marquinhos, mai vista una roba del genere!». L’allenatore che devi ringraziare più degli altri e perché? «In tanti mi hanno aiutato, ognuno ha contribuito alla mia crescita». Qual è per te il valore della maglia? «Lo stesso valore che provano e dimostrano di provare costantemente i nostri tifosi. Per un ragazzo che è nato a 10 minuti di distanza dal Colosseo poter indossare la maglia della Roma equivale ad un giuramento eterno e costante nei confronti delle sue origini, per le quali mi batto ogni domenica con tutte le mie forze». Cos’è per te il Derby? «Mamma mia… che emozione! E il prossimo...». SPQR SPORT | 42


spq ort Cosa baratteresti pur di vincere con la Roma? «Non baratterei nulla, ma posso garantire che mi batto ogni domenica per poter raggiungere quello che sarebbe il mio sogno più grande da realizzare». La tua prima volta allo stadio? «Andai a vedere una partita della Roma che avevo 4 o 5 anni». Quale Roma ti è rimasta maggiormente impressa? «Quella di Spalletti, senza dubbio». Dall’Under di Ferrara alla nazionale maggiore di Prandelli. Un salto niente male. Cosa si prova ad indossare l’azzurro? «In Nazionale si sentono forti responsabilità e senso di appartenenza. Io sono abituato ad indossare la maglia della mia città ma, ovviamente, quella azzurra rappresenta qualcosa di più. Un’intera nazione, il che amplifica le sensazioni».

Alessandro Florenzi DICONO DI LUI

Barcellona o Real Madrid? «Barcellona».

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E tra Messi e Ronaldo? «Non ho dubbi, Messi». C’è un giocatore al quale ti sei ispirato sin da giovanissimo? «Fabregas, un centrocampista completo, tecnicamente e atleticamente». Quali sono per te il ruolo e il valore della famiglia? «Semplicemente fondamentale». Che importanza dai al denaro? «Dire che il denaro non ha importanza equivarrebbe a nascondere la testa sotto la sabbia ma sicuramente posso dirvi che non è fondamentale nella mia vita di tutti i giorni». Hai hobby particolari? «Nulla di particolare. Ogni tanto amo giocare a biliardo, mi aiuta ad allenare la concentrazione. Mentre per svagare un po’ sfido i miei amici alla Play Station». Giornali, radio e tv: che presa hanno su di te? «Non ascolto minima-

li amici di Alessandro ci tengono a precisarlo: «Ale, per noi del quartiere “Sandrino”, è di Vitinia, altro che Acilia…, è nato qui, questo è il suo quartiere. E’ un ragazzo tranquillo, a modo, molto educato», ci tengono a precisare. “zio” Pietro e la “zia” Cristina, che lo hanno visto nascere e crescere nel palazzo in cui vivono: «Mi ricorderò sempre quando all’età di 4 anni, vestito con il completino della Roma e con il pallone sottobraccio, lo vidi scendere le scale di casa. Lo fermai è gli chiesi: “Dove stai andando? Vai a giocare?”. Lui mi rispose: “No zio, vado a lavora’…”». Così invece si esprimono gli amici del Bar Chiosco in via Sarsina: «È un ragazzo a modo. Molto educato e di questo va dato merito alla famiglia. Questa è la sua forza. Non si è montato la testa, tutt’altro: gira ancora con una Lancia Y “abbozzata”…».

mente la radio e i giornali li leggo poco». Con l’era della comunicazione in rete, tu come stai messo? «Mah, diciamo che una mezzoretta al giorno la dedico a Twitter e a Facebook, ma senza farmi prendere più di tanto». Tre film da portare sempre in viaggio? «Grande, grosso e Verdone, Ogni maledetta domenica, Giustizia privata». Quali angoli della città ami di più? «Non sarò fuori dal coro e quindi dico che il Colosseo e Piazza Venezia li adoro». SPQR SPORT | 43


venerdì 9 novembre 2012

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SERIE A

CORRIERE dello SPORT STADIO

CORRIERE dello SPORT STADIO

quella volta però ancora se la ricorda: «Giocava con gli esordienti della Lodigiani, una società a cui lui deve molto, la sua squadra stava vincendo lo tanto a poco, il mister sostituì nel minale e lui ebbe una brutta reazione. vi L’allenatore lo punì, ma posso assicurare che passò un brutto quarto d’ora anche a casa».

«Per domenica gli auguro di riuscire a giocare come sa Oggi è orgoglioso di aver conquistato i tifosi biancocelesti»

E - I genitori non o mai avuto bisogno nnarsi per farlo credentro le regole, Ansgarrava raramente,

una famiglia nel Dall’Atletico Acilia alla Roma:Papà Florenzi:

ROMA - Lorenzo Urbano è stato uno dei primi tecnici a vedere all’opera Antonio Candreva, al Tor de’ Cenci. Oggi allena ancora sui campi che sorgono lungo la Pontina. Mentre il ragazzo, domenica, si va a giocare il derby. Era schivo, «Lo vedevi e non lo vedevi. spogliatoio, nello riusciva a nascondersi notare eccome». ma sul campo si faceva

«Era taciturno ma quando giocava lo notavi facilmente» E

«A Trigoria con la Primavera della Ternana segnò una rete simile a quella realizzata contro il Milan»

Che bambino era Antonio?La famiglia a «Educato, prima di tutto. non gli ha mai quell’età è tutto. La sua che veniva messo pressioni. Si capivaera una spuLui qui solo per divertirsi. insegnamenti di gna, assorbiva tutti gli il suo primo alleGiuseppe Luccisano, in mezzo al camnatore. E li traduceva po». E con il pallone tra i piedi? pochi i sesono «Quando si è così piccoli il tocco di palla e gni destintivi. Su tutti possedeva già la coordinazione. Antonio era possennon queste doti. Fisicamente lo lasciavamo noi te, ma era fantasioso e a quel punlibero di fare. Era fisiologicoavanzata. Ci to che giocasse in posizione soddisfazioha sempre dato delle grandi faceva le cose all’epoca già perché ni, per bene». RISERVATA © RIPRODUZIONE

Francesco Rocca e ad Aldi proprio quello dell’Atle- berto De Rossi e non diROMA - Si alza un po’ tico Acilia: «Si può dire procupolvere e il vento ti tira che Ale sia nato su un mentica mai i suoi Lucci dentro i versi di De Gre- campo di calcio. Scuola ratori, Alessandro gori. Tanti piccoli Nino e pallone, pallone e scuo- e Alessandro Lelli». corrono appresso ad un la. Se la cavava anche di LA CRESCITA - In principio pallone, ma la gente i bene sui libri, ma toglier- amava muoversi più da Acilia che frequenta gli il suo gioco era molto trequartista. Era un rafcampi di Via di Saponara più complicato». finato, tutta fantasia. «A li chiama “piccoli Florencapito zi”. Qui è nato Alessan- A CASA IN CURVA - Il derby un certo punto ha dro, un forsennato anche lo vedranno a casa, a Vi- quanto fosse gratificante la squaquando non raggiungeva tinia, con nonna Aurora. sacrificarsi per fare la il metro d’altezza, «che Negli ultimi tempi lì sono dra. Gli piaceva al per farlo uscire dal cam- proliferati amici scono- veronica in mezzo ma po serviva un’impresa». sciuti: mille cugini, tanti campo come Pizarro, si è mai Il furetto oggi ha 21 anni maestri, troppe persone - con il boemo non sì, il ri- azzardato». Cocciuto oce domenica giocherà non solo a Vitinia - che Ad suo primo derby da ro- vendicano di aver sco- ma anche sveglio. di vemano e romanista: «Ma perto Alessandro o di es- chi aperti sognava Rodella ho l’impressione che non sere cresciuti con lui. Ma stire la maglia per l’abbia ancora capito. Lo i legami, quelli veri, sono ma. Quanti sacrifici assecondarlo? La signora vedo troppo tranquillo». più discreti. Vivono nei Luciana ha un sorriso racconti di questa famiIL CALCIO DI CASA - Papà glia nel pallone, nel senso che è tutto un programfa la voGigi è stato una promes- buono del termine: «Ale è ma, il signor Gigi nè mesa, si è espresso a buoni sempre stato un ragazzo ce grossa: «Nè più il no di quelli che i genitori livelli con la Fortitudo; generoso, si portava diei propri figlio più grande, Emilia- tro gli amichetti al cam- devono fare per ore trano, anche. E poi c’è Ales- po, li invitava a casa, or- figli. Ricordo le Trigoria, sandro: «Tre borse, una ganizzava le sue partite scorse fuori da fine degli in fila all’altra. Le disfa- e quando era l’imbrunire ad attendere la per me cevo e le ripreparavo», dovevamo sgolarci per ri- allenamenti, ma divertirracconta mamma Lucia- portarlo via. Nostro figlio era bello vederlo L’anno a na. La famiglia Florenzi ha sempre saputo ricono- si e realizzarsi». di divenha gestito per anni il bar scere le persone impor- Crotone, prima alla Rodell’Axa, dove il marito tanti, sa cos’è la ricono- tare protagonista non ha anche giocato, prima scenza. E’ molto legato a ma, per la mamma di prendere in consegna

«Da piccolo era tutto fantasia, ora è devoto al boemo. E’ troppo sereno, tra poco capirà che lo aspetta»

Mamma Luciana: «E’ nato su un campo di calcio, quando sbagliava gli toglievo la Play, ma non sapevo levargli il primo gioco»

La storia del giovane Florenzi, a confronto con il laziale Candreva, in un approfondimento del Corriere delle Sport-Stadio a firma di Simone Disegni.

questo modo Alessandro ha dimostrato di essere un ragazzo umile e determinato. L’allenatore poi si sta rivelando un grande maestro».

pallone

ROMA - Quinto Martini è stato il primo presidente di Alessandro Florenzi. «Papà Gigi non si dispiacerà se considero Ale come un figlio. D’altronde l’ho conosciuto che aveva due anni e mezzo». Martini ancora oggi è il Acilia, primo responsabile dell’Atletico che da diciotto anuna vita con i Florenzi, il centro di Via ni gestiscono il bar dentro Saponara.

«Ti conquistava con un sorriso e mandava la palla dove voleva» E IL PRIMO PRESIDENT

QUEL GOL - Genitori e figli si riconoscono reciprocamente negli occhi. Un broncio, un sorriso. Ci sono espressioni che restano immutate, sono quelle che ti scaraventano indietro nel tempo. E’ naturale. il Come quel gesto in cui padre ha rivisto il ragazfizino, proprio quando il gliolo ha toccato uno dei punti più alti: «Mi è sucfa, cesso venti giorni quando Antonio ha incrociato il destro contro il Milan. A Trigoria fece un gol simile contro la Roma Prigiocava quando mavera, con i pari categoria della Ternana. Eccolo, mi sono IL SUCCESSO - Era un te- detto». alstardo, non saltava un lenamento, non ha mai DOMENICA IL DERBY - Ma non pensato di mollare. Per c’è un solo istante in cui essere felice gli bastava Marcello gonfia il petto e poco, «un paio di scarpini dice «mio figlio». Perfino nuovi»: quanti ne avrà l’emozione più grande, comprati il signor Marcel- l’esordio di Antonio in NaduraGli un lo? «Un’infinità. zionale, non ha tradito vano sempre poco, inven- pizzico di vanità: «E’ stata tava scuse per cambiarli. una gioia immensa, anche Che poi era anche il se- per noi famigliari. Mia gnale di una passione per moglie è riuscita anche a il vestire. Se l’è portata seguirlo. Di solito lei arridietro, credo che abbia va all’ingresso delle squasviluppato un certo gusto. dre in campo, poi distoglie i Di sicuro lo aveva per lo sguardo dal televisore. giocatori di classe, in pas- Ha paura che si faccia sato ha fatto riferimento male, non riesce proprio a ma di ad alcuni romanisti, il vederlo giocare». Cuore non ha avuto neanche mamma, il piccoletto dotempo per maturare una il derby. servizi di Simone Di Segni fede calcistica. Oggi è or- menica gioca © RIPRODUZIONE RISERVATA goglioso di essere entrato

y, papà Candreva racconta la favola

ercorso, il camcchina, tutto di a storia di tanti, nnata è destinassimi. Ogni tano gli scappava di apà, voglio fare ore». Il padre fiper assecondaredeva poche cose «Non sono mai rompiscatole, voandasse bene a che riuscisse a i con lo sport. Lui preciso, tra i banaveva grosse diffia si limitava a fa. Non ho mai pene potesse fare il stiere, neanche ho a indirizzarlo». omandamenti, ma «Gli dicevo di rie gli amici e gli avi. E di rimanere Devo dire che è e stato un bambino brato, anche per non riusciva a sope le ingiustizie e le ».

Da sinistra, Alessandro Florenzi (7), con la maglia dell’Atletico Acilia Accanto, L’EQUILIBRIO - Era un tei genitori stardo e anche nei moLuigi e ha menti più difficili non Luciana, mai pensato di smettere. il suo primo Da piccolo ha imparato campo e la anche a sopportare primo il panchina, svelando un presidente insospettabile equilibrio: Quinto cambiano, allenatori gli Martini la squadra resta. Dentro (Bartoletti) era già una potenza della di natura. «La sua forza volontà è rimasta intatta. Assieme al sorriso. Ce l’aveva stampato, non faceva mai un capriccio». Così è più complicato per a un genitore riuscire metterlo in punizione: finiva mai. Gigi, che è uo- «Difficilmente ce ne demo di calcio, l’ha vissuta va modo. Quando sbacome una tappa fonda- gliava gli toglievamo la il mentale. Play Station. Ma con calcio non ce l’abbiamo LA SVOLTA - Dall’Atletico mai fatta». Acilia alla Lodigiani. Poi il salto nella Roma Pri- CON IL CUORE - A Natale la mavera. Ale cresceva, richiesta era sempre la ma in casa nessuno face- stessa: «Pallone e scarpiva affidamento sul fatto ni». Gigi li colleziona tutche diventasse professio- ti: «Dalla taglia ventotto, nista: «Noi non abbiamo all’ultimo che gli ho sotmai pensato di campare tratto pochi giorni fa». sulle sue spalle. Il nostro Quando si è presentato a mondo è qui, in questo Trigoria con un nuovo bar che gestiamo da di- modello, Zeman lo ha ciotto anni». Ci sarà pur preso in giro: «Tanto che stato un momento in cui ci fai, segni sempre con fisehanno realizzato che il il la testa». Alessandro il gliolo stava per fare gna e gioca alla vita con grande salto: «Sì, a Mila- cuore: «Non sopporta no, quando ha segnato l’invidia e le cattiverie all’Inter». Aveva promes- gratuite». E’ sempre staso che avrebbe dedicato to un ragazzo di parola: un gol ai genitori, non «Da bambino scommetscherzava mica: «Ha teva con i compagni le lilabil messo il dito sopra quirizie. Poi finita la parbro per simulare i baffoni titella venivano tutti al del padre», confessa Lu- bar, che in ogni caso ciana. Così i signori Flo- provvedevamo noi». Dorenzi hanno visto nel pic- menica si gioca un altro coletto un calciatore, sport, domenica c’è il quando il sogno era bello derby. Si fa sul serio. Ma che realizzato. Dell’uomo per Alessandro il pallone che ha conquistato Ze- è sempre stato lo stesso. va man la sua famiglia © RIPRODUZIONE RISERVATA in orgogliosa, «perché

«Per Zeman ha messo da parte la veronica»

A sinistra, Antonio Candreva a 8 anni, sui campi del Tor de’ Cenci Accanto, il papà Marcello, l’ingresso del centro sportivo e Lorenzo Urbano, uno dei suoi primi tecnici (Bartoletti)

IL PRIMO ALLENATOR

ro la Roma ià fatto gol»

nel cuore dei tifosi biancocelesti». Le soddisfazioni e la notorietà non lo hanno cambiato. I soldi neanche. Non ama gli eccessi, Antonio Candreva. Gli stipenla di con tanti zeri sono sì, misura del successo, ma non il fine ultimo. Ha capito di essersi realizzato, anche economicamenla te, quando ha comprato sua prima casa ad Anzio, sul litorale laziale, per trala scorrere più tempo con sorella: «Lì abbiamo compreso che era diventato autonomo».

FLORENZI

ER BY N DO IL DER BY DIVENTA ER D

Era vispo, Alessandro? Allegro, vivace, «Era un bambino a posto. dalle righe. Era ma non andava mai fuori in simpatia. impossibile non prenderlo naturale, lo vedePer me è stato un fatto che a mala pevo zompettare per i campi Non si sa na aveva imparato a camminare. piedi o il suo sorse erano più buoni i suoi riso». un camNel suo club stava crescendo pioncino. Alessandro «Ed è cresciuto un campione. da piccolo. Con il era impressionante, sin Ceccarelsuo primo allenatore, Maurizio mondell’altro cose fare li, gli vedevamo mandare a finido. Ti diceva dove voleva un incrocio dei pare il pallone, sceglieva centro. Fuori dal li e faceva puntualmente comune». RISERVATA © RIPRODUZIONE

Alessandro nasce così Dall’Atletico Acilia alla Roma

i alza un po’ di polvere e il vento ti tira dentro i versi di De Gregori. Tanti piccoli Nino corrono appresso ad un pallone, ma la gente di Acilia che frequenta

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i campi di Via di Saponara li chiama “piccoli Florenzi”. Qui è nato Alessandro, un forsennato anche quando non raggiungeva il metro d’altezza, «che per farlo uscire dal campo serviva un’impresa». [...]

IL CALCIO DI CASA Papà Gigi è stato una promessa, si è espresso a buoni livelli con la Fortitudo; il figlio più grande, Emiliano, anche. E poi c’è Alessandro: «Tre borse, una in fila all’altra. Le disfacevo e le ripreparavo», racconta mamma Luciana. La famiglia Florenzi ha gestito per anni il bar dell’Axa, dove il marito ha anche giocato, prima di prendere in consegna proprio quello dell’Atletico Acilia: «Si può dire che Ale sia nato su un campo di calcio. Scuola e pallone, pallone e scuola. Se la cavava anche bene sui libri, ma togliergli il suo gioco era molto più complicato».

A CASA IN CURVA Il derby lo hanno visto a casa, a Vitinia, con nonna Aurora. Negli ultimi tempi lì sono proliferati amici sconosciuti: mille cugini, tanti maestri, troppe persone - non solo a Vitinia - che rivendicano di aver scoperto Alessandro o di essere cresciuti con lui. Ma i legami, quelli veri, sono più discreti. Vivono nei racconti di questa famiglia nel pallone, nel senso buono del termine: «Ale è sempre stato un ragazzo generoso, si portava dietro gli amichetti al campo, li invitava a casa, organizzava le sue partite e quando era l’imbrunire dovevamo sgolarci per riportarlo via. SPQR SPORT | 44


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Nostro figlio ha sempre saputo riconoscere le persone importanti, sa cos’è la riconoscenza. È molto legato a Francesco Rocca e ad Alberto De Rossi e non dimentica mai i suoi procuratori, Alessandro Lucci e Alessandro Lelli».

LA CRESCITA In principio amava muoversi più da trequartista. Era un raffinato, tutta fantasia. «A un certo punto ha capito quanto fosse gratificante sacrificarsi per la squadra. Gli piaceva fare la veronica in mezzo al campo come Pizarro, ma con il boemo non si è mai azzardato». Cocciuto sì, ma anche sveglio. Ad occhi aperti sognava di vestire la maglia della Roma. Quanti sacrifici per assecondarlo? La signora Luciana ha un sorriso che è tutto un programma, il signor Gigi fa la voce grossa: «Nè più nè meno di quelli che i genitori devono fare per i propri figli. Ricordo le ore trascorse fuori da Trigoria, ad attendere la fine degli allenamenti, ma per me era bello vederlo divertirsi e realizzarsi». L’anno a Crotone, prima di diventare protagonista alla Roma, per la mamma non finiva mai. Gigi, che è uomo di calcio, l’ha vissuta come una tappa fondamentale.

LA SVOLTA Dall’Atletico Acilia alla Lodigiani. Poi il salto nella Roma Primavera. Ale cresceva, ma in casa nessuno faceva affidamento sul fatto che diventasse professionista: «Noi non abbiamo mai pensato di campare sulle sue spalle. Il nostro mondo è qui, in questo bar che gestiamo da diciotto anni». Ci sarà pur stato un momento in cui hanno realizzato che il figliolo stava per fare il grande salto: «Sì, a Milano, quando ha segnato all’Inter». Aveva promesso che avrebbe dedicato un gol ai genitori, non scherzava mica: «Ha messo il dito sopra il labbro per simulare i baffoni del padre», confesSPQR SPORT | 45

sa Luciana. Così i signori Florenzi hanno visto nel piccoletto un calciatore, quando il sogno era bello che realizzato. Dell’uomo che ha conquistato Zeman la sua famiglia va orgogliosa, «perché in questo modo Alessandro ha dimostrato di essere un ragazzo umile e determinato. [...]».

l’invidia e le cattiverie gratuite». È sempre stato un ragazzo di parola: «Da bambino scommetteva con i compagni le liquirizie. Poi finita la partitella venivano tutti al bar, che in ogni caso provvedevamo noi». E anche adesso per Alessandro il pallone è sempre lo stesso.

L’EQUILIBRIO Era un testardo e anche nei momenti più difficili non ha mai pensato di smettere. Da piccolo ha imparato anche a sopportare la panchina, svelando un insospettabile equilibrio: gli allenatori cambiano, la squadra resta. Dentro era già una potenza della natura. «La sua forza di volontà è rimasta intatta. Assieme al sorriso. Ce l’aveva stampato, non faceva mai un capriccio». Così è più complicato per un genitore riuscire a metterlo in punizione: «Difficilmente ce ne deva modo. Quando sbagliava gli toglievamo la Play Station. Ma con il calcio non ce l’abbiamo mai fatta».

CON IL CUORE A Natale la richiesta era sempre la stessa: «Pallone e scarpini». Gigi li colleziona tutti: «Dalla taglia ventotto, all’ultimo che gli ho sottratto pochi giorni fa». Quando si presentò a Trigoria con un nuovo modello, Zeman lo prese in giro: «Tanto che ci fai, segni sempre con la testa». Alessandro segna e gioca alla vita con il cuore: «Non sopporta

Il suo Capitano

F. Totti


Il capitano giallorosso entra di diritto nel Gotha del calcio italiano superando Nordahl al secondo posto della classifica dei marcatori All time. Ora guarda a Silvio Piola

di Andrea CRESCENZI foto: Getty Images

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spq ort In sequenza: una matrioska di Totti nel mercato di Budapest. Thara Ghandi con la maglia del capitano. A Disneyland e con il principe Alberto al Goldenfoot

ICONA NEL

MONDO

n amore lungo vent'anni quello che lega la tifoseria giallorossa al suo capitano. Francesco Totti ha suggellato questo amore con altri due record, che lo confermano a pieno titolo come il più grande campione della storia dell'A.S. Roma. Il più importante, a livello nazionale, è quello che lo proietta in seconda posizione nella classifica dei marcatori di tutti tempi in Serie A. Un record, questo, che pone fine alle polemiche sulla caratura del giocatore più volte attaccato per le sue scelte durante tutta la carriera. Prima su tutte la volontà di rimanere in una squadra come la Roma, dove vincere è complicato per numerosi motivi. Un’imposizione considerata scellerata da un calcio poco avvezzo ai sentimenti e più a suo agio con giocatori pronti a cambiare casacca all'occorrenza. Questo suo attaccamento gli avrebbe

U

precluso, a detta di molti esperti, vittorie importanti e una maggiore visibilità all'estero e invece è stato il pilastro su cui si fondano i suoi numeri da capogiro. Senza l'amore ampiamente ricambiato di una città come Roma non avrebbe mai raggiunto tutti i traguardi, a livello personale, che hanno contribuito a evidenziarlo fra i numerosi campioni della storia del calcio nostrano. Senza la sua fedeltà ai colori giallorossi non avrebbe certamente conseguito l'ultimo record, in ordine cronologico, della sua carriera: il primato dei gol nella stracittadina. Insomma non possiamo sapere cosa sarebbe potuto succedere se Totti fosse stato ceduto alla Sampdoria all'epoca di Carlos Bianchi, ma siamo certi che, rimanendo, ha fatto le fortune sue e di una città che troppo spesso è stata lontana dalle gioie calcistiche.

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La storia dell’alpinismo. La storia di uomini che hanno sfidato le montagne. Storie di conquiste, di drammi e di eroi... universalmente e storicamente riconosciuto che l’alpinismo moderno nasce sostanzialmente nel 1786 con la conquista del Monte Bianco da parte dei francesi Balmat e Paccard. Non che prima gli esseri umani non si fossero spinti fino a quelle altitudini... anzi. Le ricerche e le scoperte di questi ultimi anni (l’uomo di Similaun e l’uomo del Mondeval) ci dicono che già nella preistoria i nostri antenati si spostavano ad altezze considerevoli per cacciare o addirittura per propiziare riti religiosi. È cronaca che, nel 1492 sui monti della regione francese del Vercos, Carlo VIII fece posizionare tre croci e costruire una piccola cappella. Parliamo degli antipodi dell’alpinismo che non aveva nessuna finalità scientifica o sportiva, ma solo pratica e di sopravvivenza. L’illuminista de Saussure, invece, organizzò quella spedizione del 1786 per effettuare misurazio-

È

ni e studi ma anche per una sete di scoperta che ben presto divenne la motivazione prevalente di coloro che si cimentavano con tali imprese. Nei successivi cento anni, vennero conquistate molte delle vette alpine tra le quali il Monte Rosa, il Monviso, la Marmolada e infine il Cervino che si arrese all’inglese Edward Whymper dopo un’aspra contesa con altre cordate di scalatori in competizione fra di loro, alcuni delle quali trovarono la morte in un tragico incidente.

Francesi e italiani su tutti Ma è in quel periodo che nasceranno i primi clubs che saranno la base per la storia dell’alpinismo moderno e sportivo del quale francesi e italiani saranno gli alfieri. Tuttavia, dopo la Prima Guerra Mondiale, furono i tedeschi e gli austriaci i più strenui cultori di questo ”sport” creando scuole di arrampicata e inserendo la pratica SPQR SPORT | 49

dell’allenamento sistematico. L’Italia rispose con personalità di grande spessore del calibro di Emilio Comici e Luigi Micheluzzi solo per citarne alcuni che, insieme ai fratelli austriaci Franz e Toni Schmid e ai francesi Jacques Lagarde e Lucine Devies completarono grandi ascensioni e portarono a termine molte imprese. Mentre nel 1938 la cordata italiana composta da Riccardo Cassin, Ugo Tizzoni e Gino Esposito, lungo lo sperone Walker conquistò la Nord delle Grandes Jorasses, i tedeschi Heckmair e Vorg e gli austriaci Harrer e Kasparek conquistarono l’Eiger (Oberland Bernese) che aveva mietuto numerose vittime. In quegli anni l’alpinismo aveva conquistato consensi, attenzione e adepti, fino ad essere inserito, nel 1932, nei Giochi come disciplina olimpica. Il dopoguerra fu caratterizzato da una serie di importanti novità tecniche co-


me l’introduzione della suola Vibram e l’evoluzione del chiodo, che venne prodotto in varie fogge e misure, arrivando infine a quello a pressione. È questo il momento delle grandi ripetizioni, solitarie ed invernali, dei grandi itinerari degli Anni Trenta, ma è anche quello di maggior interesse da parte dei media, spesso più attenti alla tragedia ed alla polemica che alla cronaca. Il dopoguerra, fu anche l’epoca delle grandi esplorazioni extraeuropee, riprese dopo i pionieristici tentativi del Duca degli Abruzzi

2 CINA 9 PAKISTAN

10

7

8 1 NEPAL

5 6

4 3

INDIA

In Asia, le vette più alte del mondo Everest 8848 metri

K2 8611 metri

Kangchenjunga 8586 metri

Lhotse 8516 metri

Makalu 8463 metri

Nepal/Tibet/Cina

Nepal

Nepal/India

Nepal/Tibet

Nepal/India

L'Everestì è il monte più alto ed è stato scalato nel 1953). Il nome fu dato dagli inglesi in onore a in onore di Sir George Everest, geografico. In tibetano è il Chomolangma (“Madre dell'universo”).

1

Unico monte conquistato per la prima volta da Italiani ed unico monte a non esser mai stato scalato in inverno. È in Nepal. Il nome K2 sta per la seconda cima del Karakorum.

La medaglia di bronzo va al monte Kanchinjínga che significa "I cinque tesori della neve alta", (oro, argento, gemme, grano, e libri sacri.

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3 SPQR SPORT | 50

Ubicato al confine tra Cina e Nepal è collegato alla Everest tramite la Colle Sud. Lhotse significa "Picco del Sud" in tibetano.

4

Il Makalu (storpiatura del termine sanscrito Mahakala, “Grande tempo”) è stato scalato per la prima volta nel 1955. Qui sopravvivono gli ultimi ecosistemi delle montagne incontaminate sulla terra.

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spq ort

(Baltoro) e quelli più concreti, ma ancora velleitari data l’attrezzatura, degli Anni ‘20 e ‘30 (Mallory ed Irvine sull’Everest, i tedeschi sul Nanga Parbat). Nel giro di pochi anni furono conquistate tutte le cime sopra gli 8000 metri, tranne eccezioni legate a motivi politici (Shisa Pangma, Cinesi 1964), tra cui anche il più alto (Everest, 1953, Hillary e Tenzing) ed il più difficile (K2, 1954, Compagnoni, Lacedelli... e Bonatti con tutte le polemiche che seguirono). Sono spedizioni che videro larghissimo dispendio di mezzi, uso sistematico di ossigeno e di corde fisse, grande impegno organizzativo dei club alpini nazionali e degli stessi governi e rappresentarono, con la loro organizzazione di tipo militare, un’eccezione nel panorama generalmente libertario del grande alpinismo. Tuttavia si trattò di imprese d’indubbio valore, che richiesero ai loro protagonisti immani sacrifici ed un tributo di vite notevole. Tale tipo di spedizione rimase l’unico considerato possibile fino agli anni intorno al 1970, nonostante che già alcuni pre-

cursori avessero dimostrato la possibilità di muoversi in modo più leggero (Buhl e Diemberger sul Broad Peak).

L’alpinismo si trasforma. Le nuove tendenze Le trasformazioni sociali e culturali degli Anni ‘70, coinvolsero anche l’alpinismo e, come ormai succedeva in altri campi, le nuove tendenze arrivarono dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra attraverso alcune apparizioni sul Bianco che portarono una ventata di novità, forse al tempo non appieno compresa nel suo valore (Robbins, Hemmings, Harlin, Pratt, Dru, Ovest, Fou, Sud). Bisognerà, però, attendere qualche anno affinchè il fenomeno si imponga definitivamente. Le caratteristiche principali di questo “rinascimento”, che comportò una vera rivoluzione tecnica, tecnologica, etica e linguistica, sono comprese soprattutto nella nascita e nell’invenzione del Free Climbing. Una vera e propria rivoluzione culturale che rifiutava, più o meno radicalmente, l’arrampicata ar-

tificiale. Così come il Clean Climbing, che abborriva i chiodi ad espansione e ridimensionava l’uso dei chiodi tradizionali a favore delle moderne protezioni veloci (stopper, eccentrici, poi friends, etc.), nella volontà dichiarata di lasciare intatta la parete. Infine c’era il Bouldering, una sorta di rivalutazione delle strutture di bassa quota ed addirittura dei massi come attività fine a se stessa (sassismoBoulder), dove le capacità fisiche e tecniche e quindi l’allenamento erano centrali mentre le tradizionali componenti dell’alpinismo come la fatica, la paura, il freddo, etc. diventavano secondarie. La cultura “yosemitica” legata alle pulsioni giovanilistiche e contestatarie di quegli anni divenne subito moda e fece immediatamente presa nella massa più giovane degli alpinisti europei ed italiani. Pochissimi europei non inglesi (Bertone e Cosson, Gogna, Perlotto, Habeler e pochi altri) avevano conosciuto la “Valley”, ma essa divenne un mito anche per la massa de-

Cho Oyu 8201 metri

Dhaulagiri 8167 metri

Manaslu 8163 metri

Nanga Parbat 8125 metri

Annapurna 8091 metri

Nepal/Cina

Nepal

Nepal/India

Pakistan

Nepal

Cho Oyu significa "Dea Turchese" in tibetano. Conta 8201 metri ed è stato scalato nel lontano 1954!

6

Quattro anni dopo il Manaslu (in ottava posizione) è la volta del Dhaulagiri, scalato nel 1960. Il nome deriva dal sanscrito e significa “abbagliante”.

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Dal sanscrito “montagna dello spirito”. La sua valle è un santuario per molti animali in via di estinzione, tra cui leopardi e panda.

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Nanga Parbat (“Montagna nuda”) è divenuto un film sulla tragica spedizione dai due fratelli Messner nel 1970, in cui Günther Messner, fratello minore di Reinhold, è morto.

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Dal sanscrito "pieno di cibo”, è ubicato interamente in Nepal e fa parte, come tutti gli altri monti in questa top ten della maestosa catena Himalayana!

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Paul PREUSS

STORIE DI

(Altaussee, 19-8-1886; Vienna 3-10-1913)

GRANDI SCALATORI Storie di scalatori, storie di uomini solitari, di eroi che hanno sfidato la montagna. I più grandi, quelli che hanno lasciato il segno nella storia dell’alpinismo. Eccoli, le loro storie, le loro foto...

Emilio COMICI (Trieste, 21-2-1901; Val Lunga, 19-10-1940)

Walter Bonatti (Bergamo, 22-6-1930; Roma, 13-11-2011)

Hans DÜLFER (Barmen, 23-5-1892; Arras, 15-6-1915)

Giusto Gervasutti Cervignano del Friuli, 17-4-1909; Mont Blanc du Tacul, 16-11-1946

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Hermann BUHL Innsbruck, 21-9-1924; Chogolisa, 27-6-1957

George Leigh MALLORY (Nobberley, 18-6-1886; Everest, 8-6-1924)

gli alpinisti medi, che abbandonarono repentinamente pantaloni alla zuava e scarponi per braghe di tela e scarpette di pelle e gomma. In Italia queste novità furono raccolte innanzitutto in due località, che divennero ben presto luoghi di culto: la Valle dell’Orco e la Val di Mello, ma erano state anticipate, in taluni aspetti, da alcuni “cani sciolti” di eccezionale capacità ed intuito, come Messner e Cozzolino. In particolare il primo si fa interprete delle nuove tendenze pur se non proprio nello stile e nella tecnica. Il suo resta un alpinismo tradizionale che attinge dagli Anni ‘30 etica e allenamento. Ne escono alcune realizzazioni di altissimo livello per difficoltà e velocità di realizzazione (Marmolada, Droites, Sassolungo, Sass dla Crusc, II Torre, Civetta). Vie nuove, solitarie, ripetizioni invernali, ma anche alcune importantissime pubblicazioni che con efficace linguaggio svelano l’inganno dell’”assassinio dell’impossibile”. In Europa sono soprattutto i Francesi del Verdon ed un gruppo di arrampicatori di lingua tedesca a farsi interpreti del nuovo modello. Il progresso tecnologico, quello fisico-atletico e soprattutto quello psico fisico, che libera dalle antiche paure chi, conscio delle proprie capacità arrampicatorie testate in fondovalle, si avventura verso quote più alte, porta in pochi anni a demo-

lire letteralmente i miti del passato. Quelle vie che erano sempre rimaste prerogativa di pochi eletti, che le percorrevano spesso con grande difficoltà in più giorni, diventano delle classiche salite per migliaia di persone, mentre il livello tecnico dei “big” si lancia verso prestazioni che portano ad un continuo abbattimento del record, di difficoltà e/o di velocità. Un periodo di grande splendore vive anche l’arrampicata su ghiaccio, grazie alle nuova tecnica frontale (piolet traction) che, sperimentata contemporaneamente ma autonomamente in Scozia (Mc Jnnes), Francia (Checchinel) e Stati Uniti (Chouinard) facilita, velocizza ed abbellisce le vecchie classiche delle Alpi. Frotte di alpinisti si avventano sulle Nord. La contestazione sessantottina che influenzò anche l'Alpinismo, seppure con qualche anno di ritardo rispetto alle rivolte studentesche, in Italia prese il nome di "Nuovo Mattino", dal titolo di un articolo di Gian Piero Motti sulla Rivista della Montagna. Qui si cominciarono a mettere in dubbio e a contestare i metodi e gli scopi dei classici scalatori che prevedeva la conquista per mezzo delle vie classiche, da ripetere con tecniche e metodologie consolidate. L'idea del “movimento”, invece, era quella di basare l'Alpinismo sulla scoperta della libertà, il gusto per la trasgressione, rifiutando la cultura alpinistica della vetta a tutti i costi, dei rifugi, degli scarponi, del CAI, delle guide, e deprecando lo sfruttamento ambientale delle montagne. Metodi specifici di allenamento fisico e psichico, innovazioni tecniche spesso importate dagli Stati Uniti (i primi pionieri del Free Climbing sperimentavano sulla formazione rocciosa El Capitan, fino ad allora considerata quasi impossibile da scalare, nel Parco Nazionale di Yosemite in California), ottennero risultati clamorosi e resero possibile la vittoria contro dif-

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ficoltà che allora sembravano insormontabili.

L’arrampicata sportiva negli anni dal “No Limits” ad oggi La stagione magica del nuovo mattino è, però, nelle sue espressioni più genuine, assai breve. Quelle che erano sincere esigenze di libertà, di innovazione e di cambiamento, diventeranno rapidamente semplici mode abilmente sfruttate commercialmente ma anche stimoli necessari all’evoluzione dell’alpinismo e, successivamente, alla nascita di quella che con il tempo diventerà una vera e propria disciplina sportiva: l’arrampicata sportiva o meglio il Free Climbing. Fondamentale, a questo scopo, fu il ritorno alla ribalta del chiodo ad espansione, il cosiddetto “spit” che ha permesso negli ultimi quarant’anni di “attrezzare” migliaia di vie su centinaia di falesie e l’esplosione di questo sport che oggi conta, in Italia e nel Mondo, molte migliaia di appassionati e centi-

naia di atleti che hanno scritto e stanno scrivendo una nuova storia. Tra questi, tanto per ricordarne alcuni (molti dei quali membri del No-Limits Team), vanno certamente annoverati: il grande Maurizio Zanolla (alias “Manolo”), Alexander Huber, Beat Kammerlander, Marko Prezeli e il romano Alessandro Lamberti detto

“Jolly”. Nel contempo sta nascendo una nuova generazione di arrampicatori di grandi capacità come Adam Ondra e Chris Sharma. La differenza fondamentale tra l'alpinismo propriamente detto e la disciplina dell'arrampicata sportiva è che, mentre nell'alpinismo lo scopo è il raggiungimento della vetta di una

SUCCESSI E CATASTROFI Le grandi montagne, purtroppo, sono da sempre teatro di terribili tragedie nonostante le attrezzature per le scalate siano sempre più efficenti. Uno dei primi grandi incidenti che causò la morte di 5 scalatori avvenne il 28 agosto del 1905 durante l'ascesa al Kangchenjunga, la terza montagna più alta del mondo. All'Everest, oltre all'altezza, spetta anche il triste primato del numero di vittime durante le scalate: ben 216 comprese tra il 1922 e il 2009. Proprio nel 1922 si consumò una delle più grandi tragedie che la storia dell'alpinismo ricordi. Il 7 giugno di quell’anno, durante la scalata sulla parete nord della montagna, ben 7 alpinisti morirono a causa di una valanga. In ogni caso, le montagne più pericolose del mondo, risultano essere il K2 e l'Annapurna in base al rapporto numero di scalate/incidenti mortali. A tal proposito, a settembre del 2012, sempre sulla catena hilamaiana e sui monti del Karakorum, è morto l’alpinista italiano Alberto Maiano ed altri 13 scalatori travolti da una valanga.

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Kangchenjunga 28-05-1955


montagna, nell'arrampicata lo scopo principale è il superamento di una parete (naturale o artificiale) o di una parte di essa, dove la difficoltà è generalmente maggiore.

Arrampicata e alpinismo Un ulteriore confronto tra alpinismo ed arrampicata sportiva viene a crearsi, in generale, sulle difficoltà incontrate. Nel primo possono esserne molteplici, estremamente varie durante l'ascesa e legate prevalentemente alle condizioni fisico-ambientali e meteorologiche (es. altitudine, presenza di ghiaccio e neve, esposizione alla variazioni metereologiche, lontananza da luoghi abitati, durata dello sforzo psico-fisico, dislivelli da superare, rarefazione dell'aria, ecc..). Nell'arrampicata sportiva invece, prevalgono prettamente le difficoltà tecniche (es. parete strapiombante, scarsità di appigli ed appoggi). Ne consegue che la pratica dell'alpinismo, oltre ad una adeguata preparazione fisica, richiede una particolare conoscenza dell'ambiente di montagna, mentre nell'arrampicata sportiva è necessario portare ai massimi livelli l'allenamento fisico e tecnico specifico. E anche vero però che la grande progressione delle difficoltà superate in falesia ha contribuito ad innalzare molto anche il livello di difficoltà delle salite in ambiente alpino.Anche il tipo di sforzo fisico è diverso: mentre nell'alpinismo tende a prevalere la resistenza fisico-aerobica allo sforzo continuato, coinvolgendo tutto il corpo, nell'arrampicata, invece, prevale la forza muscolare sia massimale che resistente sugli arti superiori.

Nella foto, l’illustrazione dei vari strumenti che vengono usati in ambiente di montagna.

STRUMENTI

DEL MESTIERE

5 1

2

6 7

3 4

9

8 10 16 15

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1 Imbracatura 2 Caschetto 3 Corde 4 Sacca porta ramponi 5 Scarponi 6 Scarpette di arrampicata

17

7 Ghette da ghiaccio 8 Sacca del pronto soccorso 9 Piccozza 10 Friends 11 Rinvii 12 Nuts

14 12

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13 Piastrina 14 Secchiello 15 Discensore a 8 16 Chiodi 17 Moschettoni a ghiera 18 Cordine e fettucce

Bivacco Abbigliamento Una tuta d’alta quota per alta montana. Il materiale è generalmente di gorotex con un interno in piuma d’oca.

Strumenti Le racchette da progressione, i ramponi ai piedi, la sacca della corda. Tutto è pronto per la scalata.

Umberto SILVESTRI* Manager sportivo e freeclimbing. Giornalista e scrittore. Autore del libro “Il mio selvaggio blu” SPQR SPORT | 55

Un sacco pelo è elemento essenziale per uno scalatore di alta quota che dorme all’interno di una tenda nei vari bivacchi durante l’ascesa della montagna. Ha un peso di massimo un chilo.


Le montagne della penisola La montagna più alta d'Italia è il Monte Bianco, con i suoi 4.810 metri s.l.m. d'altezza. Si trova nelle Alpi Graie, al confine tra la Valle d'Aosta e la Francia. Oltre ad essere la montagna più alta d'Italia è anche il punto più elevato dell'intera catena alpina e d'Europa. Al secondo posto, il Monte Rosa, nelle Alpi Pennine, che in territorio italiano raggiunge i 4609 metri, sulla Punta Nordend. La punta più alta del Monte Rosa (Punta Dufour), che misura 4634 mentri, è infatti in territorio svizzero. Il Massiccio del Monte Rosa vanta il primato di essere il massiccio più esteso delle Alpi. La terza montagna più alta d'Italia è invece il Cervino, che misura 4.478 metri. Seguono le vette più alte divise per Regione.

Il vulcano del Sud L'Etna sorge a ovest della costa orientale della Sicilia, entro il territorio della Provincia di Catania. Trattandosi di un vulcano (oggi 3.343 m.), la sua altezza è variata nel tempo a causa delle sue eruzioni che ne hanno determinato l'innalzamento o l'abbassamento.

Il Monte Bianco, a guardia delle Alpi Il Monte Bianco, la più alta montagna d’Italia è di natura granitica, irta di guglie e di creste, intagliato da profondi valloni nei quali scorrono numerosi ghiacciai.

Regione Abruzzo Basilicata Calabria Campania Emilia-Romagna Friuli-Venezia Giulia Lazio Liguria Lombardia Marche Molise Piemonte Puglia Sardegna Sicilia Toscana Trentino-Alto Adige Umbria Valle d'Aosta Veneto

Vetta Corno Grande Serra Dolcedorme Serra Dolcedorme Monte Cervati Monte Cimone Monte Coglians Monte Gorzano Monte Saccarello Pizzo Zupò Monte Vettore Monte Meta Punta Nordend Monte Cornacchia Punta La Marmora Etna Monte Prado Ortles Cima del Redentore Monte Bianco Punta Penia

Massiccio Gran Sasso d'Italia Pollino Pollino Cilento App.tosco-emiliano Alpi Carniche Monti della Laga Alpi del Marguareis Bernina Monti Sibillini Monti della Meta Monte Rosa Subappennino Dauno Gennargentu --App. Tosco-Emiliano Ortles-Cevedale Monti Sibillini del Monte Bianco Marmolada

Altezza 2.912 metri 2.267 metri 2.267 metri 1.899 metri 2.165 metri 2.780 metri 2.458 metri 2.201 metri 3.996 metri 2.476 metri 2.242 metri 4.609 metri 1.152 metri 1.834 metri 3.340 metri 2.054 metri 3.902 metri 2.448 metri 4.810 metri 3.342 metri

Le vette italiane più alte per regione

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spq ort Il Gran Sasso del centro Italia La più alta montagna degli Appennini (2.912 m.) in Abruzzo, è l'unico ghiacciaio che si trova in tutta la catena appenninica. È anche un parco nazionale. Dai suoi punti più distanti, ovvero il Passo delle Capannelle a nord-ovest e le Gole di Popoli a sud-est, il Gruppo del Gran Sasso misura circa 50 km in lunghezza e 15 km in larghezza.

4 1 3 2 5 Le più alte dello stivale Monte Bianco 4.810 metri

Il Monte Bianco è nel settore delle Alpi Nordoccidentali, tra la Valle d'Aosta e l'Alta Savoia. Si tratta della montagna più alta d'Italia e d'Europa centrale.

1

Monte Rosa 4.609 metri

Il Monte Rosa è il massiccio più esteso delle Alpi e il secondo per altezza, inoltre è il monte più elevato della Svizzera. è famoso per la sua parete est di forme himalayane.

2

Cervino 4.478 metri

Gran Paradiso 4.061 metri

Il Cervino è situato nelle Alpi Centrali, tra l'Italia e la Svizzera. È caratterizzato dalla particolare forma piramidale molto pronunciata.

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Pizzo Zupò 3.996 metri

Il Gran Paradiso è in Valle d'Aosta anche se la sezione meridionale del suo massiccio si estende sino in Piemonte.

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Il Pizzo Zupò, con i suoi 3996 m s.l.m. è nel Massiccio del Bernina in località Pontresina. Per la sua cima corre il confine italo-svizzero.

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a montagna. Quel senso di sfida. Arrivare lassù dove è più vicino il cielo, dove il suono del vento ricarica il corpo e lo spirito. Anche per il Sindaco di Roma la montagna è sempre stata una passione. Un amore nato in famiglia «e trasmessomi da mio padre che era appassionato di sci e aveva frequentato un corso di alpinismo quando era militare proprio negli alpini. Da giovane ho vissuto al nord tra Bolzano, Torino, Padova, zone molto vicine alle Alpi. Fino all’età di dodici anni ho frequentato la montagna. Con il trasferimento a Roma questo rapporto si è interrotto per poi riprendere intorno ai trent’anni quando, con qualche amico e poi con la famiglia, ho ripreso a scalare, con l’aiuto e l’assistenza di Gigi Mario, una guida alpina, un grande maestro di alpinismo con il qua-

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LA SPEDIZIONE IN

HIMALAYA

2007: Alemanno affronta l’Ama Dablam. La neve lo blocca a 5900 metri di altezza. SPQR SPORT ripropone un servizio dell’epoca .

Da un articolo di Wainer Preda del 4 maggio 2007, tratto dal sito specializzato Montagna.tv KATHMANDU, Nepal — Non ce l’hanno fatta, come è successo a tutte le altre spedizioni impegnate su questa via. Il maltempo è stato più forte di Gianni Alemanno e della sua spedizione. Alemanno, appassionato di alpinismo e impegnato in una difficile salita all’Ama Dablam, ha dovuto fermare la sua rincorsa a campo 2, a circa 6000 metri d’altezza a causa di abbondanti nevicate: «Siamo scesi ieri da campo 2 a causa della bufera che rendeva del tutto improponibile e pericolosa ogni scalata», racconta la guida Gianpietro Verza. «La discesa è stata piuttosto difficile: abbiamo fatto diversi tratti a corde fisse zeppi di neve, su un terreno molto scivoloso». Troppo fitta la nebbia. Troppo insidiosa la neve. Troppo cattiva la bufera che, dopo intere giornate perturbate, solo in un giorno ha riversato sulla montagna altri 30 centimetri di neve fresca. L’Ama Dablam è una montagna bella (secondo molti la più bella della regione est del Nepal) quanto difficile. Situata nella valle del Khumbu, a soli 12 km dalla vetta più alta del pianeta, cattura l’attenzione di chiunque gli passi accanto. Soprannominata "il Cervino dell’Himalaya", con i suoi 6812 metri d’altezza, per diversi giorni domina il panorama est dei trekkinisti diretti all’Everest. I primi a raggiungere la vetta furono, nel 1961, i componenti di una spedizione mista, neozelandese e americana: Mike Gill, Barry Bishop, Mike Ward and Wally Romanes.

La normale via di salita è dalla cresta sudovest, con i tre campi piazzati lungo il costone. Il campo 3, che veniva installato subito sotto il ghiacciaio pensile che caratterizza il cucuzzolo finale della montagna, oggi non è più praticabile. Infatti questo campo, a 6500 metri, viene considerato troppo pericoloso dopo il cedimento del seracco che lo scorso anno uccise 7 persone. La parete presenta una parte d’arrampicata pura, su roccia di granito, seguita da un terreno misto di neve e roccia. L’ultimo tratto, prima della vetta, è tutto su ghiaccio, con un pendio finale molto scosceso. Per completare la scalata servono, in genere, quattro settimane.

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«È stata lo stesso un’esperienza importante», conclude Alemanno. «Arrivare ai campi alti, con pareti di quinto grado superate in corda fissa, a quell’altitudine, in quelle condizioni, non è certo facile».


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le ho frequentato vari corsi di introduzione alla roccia e al ghiaccio, anche insieme a mia moglie. Erano gli inizi degli Anni ’90 e da quel momento in poi non ho più smesso. Sono 25 anni che salgo continuativamente». Qual è la montagna più dura che ha affrontato e perché? «La montagna più difficile è stata la Ama Dablam. È una cima himalayana nella valle del Khumbu, che porta al campo base dell’Everest. È una specie di Cervino di 8600 m. Siamo partiti insieme con gli Sherpa, le guide locali, un’etnia del Nepal. Ero con Marco Forcatura, una guida alpina, un caro amico, purtroppo scomparso tragicamente. Abbiamo fatto tutto l’avvicinamento, siamo arrivati al campo base, abbiamo raggiunto il primo campo, il secondo, siamo arrivati a 6000 m, una cosa molto emozionante, molto bella e poi ha iniziato a nevicare e siamo dovuti tornare indietro». Che vuol dire la montagna per lei? «Vuol dire passione, amore, sfida, pericolo, rischio calcolato, provare i propri limiti, le proprie debolezze e cercare di superarle. Vuol dire fisicità, ma anche spiritualità, silenzio e riflessione». Ha vissuto momenti di pericolo in montagna? «Certamente, come tutti. In una falesia a Chamonix, dopo una salita e nella fase di discesa, un compagno si è lasciato sfuggire la corda, facendomi “volare” per alcuni metri. Per fortuna, l’esperienza e la tecnica, ci hanno aiutati e, attraverso una manovra d’emergenza, tutto si è risolto per il meglio con qualche acciacco ma senza conseguenze gravi». Quale sarà la prossima sfida? «Il Cervino innanzitutto. Sono due tre anni che cerco di andarci ma per un motivo o per l’altro non riesco mai a farlo. Penso di riuscirci la prossima estate e vorrei tornare, forse già a settembre di quest’anno, a l’Ama Dablam. Ovviamente, dopo le elezioni comunali. Ci andrò o per festeggiare o per consolarmi, ma ci andrò».

Ci descriva le sensazioni che le offre la montagna… «Sono totalmente diverse a secondo se si scala sul ghiaccio, in montagna, oppure in falesia. Nel primo caso quello che colpisce è la luce riflessa e lo stridore dell’acciaio sul ghiaccio. La falesia è più una sfida sportiva, il mettersi in discussione atleticamente, fisicamente. Mentre, in montagna, c’è la simbiosi con la natura, con il vento, il freddo e l’ossigeno rarefatto, con i propri compagni di cordata». Chi è caratterialmente un uomo di montagna? «È un essenziale, uno che rifiuta i fronzoli, le chiacchiere a vuoto e inutili. Insomma il superfluo. Anche solo la selezione del sacco di montagna, per non portare peso, o il fatto che, quando manca l’aria, si parla poco perché bisogna risparmiare il fiato... tutto ciò porta a mantenere le cose più semplici. L’uomo di montagna è una persona che aspira alla sobrietà e al rifiuto di tutto ciò che è retorica, alle chiacchiere e ai sovrappiù». Cosa si è portato dietro dell’esperienza in montagna nella sua vita politica? «Ho

LA PROSSIMA

SFIDA Via: Cervino. Via normale italiana Quota partenza (m): 2.802 Quota vetta (m): 4.478 Dislivello complessivo (m): 2.000 Difficoltà: EEA - AR - IV - D Località partenza: Breuil Cervinia Punti appoggio: Capanna Carrel Descrizione itinerario: La prima tappa è di natura escursionistica; la seconda riserva già notevoli difficoltà alpinistiche; la terza tappa è quella che per l'altezza e per le difficoltà alpinistiche risulta più impegnativa. Normalmente la salita avviene in due giorni. Durante la prima giornata si raggiunge il rifugio Carrel; nella seconda si sale in vetta e si discende.

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cominciato ad arrampicare in montagna insieme ad amici di militanza politica. Una pratica che era anche esperienza formativa, con caratteristiche di forte spiritualità, coraggio, tenacia e spirito di squadra. Credo che quello che la montagna mi ha insegnato sia proprio questo ‘spirito di squadra’. Anche il termine ‘stare in cordata’, ormai si addice a tutte le situazioni in cui c’è una sfida, una spedizione comune. Anche il termine ‘tagliare la corda’ è ripreso dalla montagna, legato a quando uno taglia la corda al compagno per fuggire, lasciandolo al suo destino…». Ci descriva il suo carattere? Come si racconterebbe? «Mah, è difficile farlo su sé stessi. Preferisco che lo facciano gli altri per me. Del resto, un politico deve accettare di sottoporsi a giudizio pubblico. Detto ciò, penso di essere essenzialmente una persona schiva, riflessiva ma anche generosa, aperta agli altri pur senza eccessi di esternazione o di estroflessione. Sono del segno zodiacale dei pesci e, come ogni persona di quel periodo, ho elementi contraddittori nel carattere; posso passare dal silenzio interiore a un atteggiamento più aperto, gioviale o anche burlone». I suoi hobby? «Poca roba, nel senso che la politica è pervasiva. Fare politica significa leggere, studiare, approfondimento culturale, significa vivere in gruppo, vivere esperienze comuni, sociali, rivolte alla politica. La politica è anche divertimento, svago. Quando posso, cerco comunque di andare a teatro, di visitare qualche museo e, ovviamente, scalare. A parte la montagna, qual è la giornata tipo del Sindaco di Roma in vacanza? «...Diciamo che in vacanza cerco di trascinare sempre la famiglia. Mia moglie arrampica e, per fortuna, le piace la montagna. Abbiamo vissuto belle esperienze insieme. Mio figlio invece, dopo qualche vacanza con noi, ha deciso di votare per il mare e va altrove. Questa estate sono, però, stato con lui e mio nipote in macchina in California. Con mia


IL FILM

GRIDO DI PIETRA

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Il Cerro Torre, la cima protagonista della pellicola Titolo originale Cerro Torre: Schrei aus Stein Paese di produzione Canada, Germania, Francia Anno 1991 Durata 105 min Genere drammatico Regia Werner Herzog Soggetto Reinhold Messner

rido di pietra è un film del 1991 diretto da Werner Herzog, che racconta di una sfida tra alpinisti alla scalata del Cerro Torre, un picco situato nelle Ande tra Argentina e Cile. Roccia Hinerkofler (Vittorio Mezzogiorno), alpinista che sta preparando una spedizione al Cerro Torre, commentando una gara di arrampicata sportiva sostiene che gli atleti di tale disciplina non sarebbero mai in grado di realizzare un'impresa di tipo alpinistico. Raccoglie la sfida Martin (Stefan Glowacz), che si aggrega alla spedizione di Roccia al Cerro Torre. Al campo base, Roccia sembra titubante; approfittando di una sua assenza dal campo per curare i rifornimenti, Martin ed il compagno di Roccia (Hans Kammerlander) partono all'assalto della vetta che però si trasforma in tragedia: ritorna al campo base da solo dove organizza una seconda spedizione, que-

Casa di produzione Les Films Stock International (canada), Films A2, Molécule, Canal + (Francia), Sera Filmproduktion (Germania), Belga Films (Belgio) Interpreti e personaggi Vittorio Mezzogiorno: Roccia Innerkopfler Mathilda May: Katharina Stefan Glowacz: Martin Donald Sutherland: Ivan Brad Dourif: Senza dita Al Waxman: Stephen Gunilla Karlzen: Carla Chavela Vargas: India Georg Marischka: Agente pubblicitario Volker Prechtel: Maestro himalaiano Hans Kammerlander: Alpinista Lautaro Murúa: Proprietario ranch

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sta volta con piena copertura mediatica. Nel frattempo, è avvicinato da uno strano personaggio (Brad Dourif), vestito da alpinista, privo di alcune dita, che sostiene di essere stato sul Cerro Torre. Martin e Roccia partono e nel tentativo di superare il "fungo" terminale di ghiaccio, il primo, che durante la scalata non si è mai fermato a riposare, precipita rimanendo tuttavia appeso alla corda, sotto gli occhi di Roccia, che poco dopo arriva alla vetta; qui trova una vecchia piccozza con appesa una foto di Mae West, indice che lo strano personaggio senza dita era effettivamente arrivato in vetta. Una sottotrama vede la fidanzata di Roccia (Mathilda May) che, rimasta sola quando lui decide di rimanere in Patagonia, diventa poi la compagna di Martin.


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moglie ho fatto viaggi belli: come quello di nozze in Islanda. In jeep». Va al cinema? «Certo, quando gli impegni pressanti me lo permettono. L’ultimo film che ho visto è ‘Lo Hobbit’, molto bello». Un film sull’alpinismo? «Ho visto ‘Il grido di pietra’ di Herzog, dove è molto ben rappresentata la sfida spirituale dell’alpinismo». Che esperienze cerca di solito nei viaggi? «Libertà, abbandono. Quest’estate in California la prima notte dopo la partenza io, mio figlio e mio nipote, abbiamo dormito in macchina perché non avevamo prenotato nulla, non avevamo trovato ristoro. La mattina dopo, ci siamo buttati direttamente in mare… Da un lato ricerco sempre questo tipo di libertà e dall’altro c’è sempre il desiderio di raggiungere una meta. Ad esempio dire “Voglio arrivare a Capo Nord”, oppure “Voglio arrivare in Messico”. Mi piace molto anche andare in campeggio, godere della natura. Con mio figlio abbiamo fatto molti di questi campeggi liberi, con zaino e tenda». Alemanno e la natura. «Rapporto molto forte. Per me la natura o è la montagna o è uno spazio selvaggio, non mi piacciono le vie di mezzo. E questo vale anche per il mare se posso stare un po’ libero, per conto mio, o fare qualche immersione subacquea».

Quindi, subacquea, montagna... Quali gli altri sport di Alemanno? «Ho praticato karate e poi, più tardi, kendo. Un altro sport che ho fatto da giovane è stato il rugby che mi è rimasto nel cuore. Ho, inoltre, il brevetto di paracadutista civile ma, per mancanza di tempo, non moltissimi lanci all’attivo». Torniamo alla montagna. La sua preferita? «È il Velino Silente perché, partendo da Masse d’Alpe, ci sono 1400m di dislivello. Non è una montagna difficile, si può fare senza arrampicate, poi ha dei bellissimi scenari. Ci si arriva con l’autostrada RomaL’Aquila: si incontra, ad un certo punto dopo Tagliacozzo, l’area di servizio Monte Velino. Non è come il Gran Sasso, che è una bellissima montagna ma è strapiena di persone. Troppe per i miei gusti...». La descrizione di una tipica giornata di scalata… «Sveglia alle 6, dopo di che comincia il combattimento con la mia collaboratrice domestica, capace di nascondere tutte le attrezzature. Riesce a fare cose veramente incredibili: ci manca solo che metta qualche rampone in frigorifero e poi ha fatto tutto. Quindi, si parte con una certa fatica a mettere insieme tutti i pezzi. Si arriva in macchina e, durante il viaggio, si recupera il sonno. Il momento in cui devi aprire lo sportello e uscire fuori, è quello... più impegnativo e ci si comincia anche a chiedere “ma chi me l’ha fatto fare. Potevo re-


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ALLENAMENTO SULLA PARETE Il sabato, appuntamenti permettendo, il Sindaco svolge allenamento di arrampicata che prevede 2 tipi di allenamento: uno di resistenza e uno di forza. Resistenza prevede dai 5 agli 8 circuiti da 20 ai 30 movimenti l'uno con 2/3 minuti di recupero. Forza 8/10 circuiti da 8/10 movimento l'uno con 2/3 minuti di recupero. Alla fine della seduta 10 minuti di stretching. Questo tipo di allenamento si svolge solo quando ha tempo dunque raramente. Quando non ha tempo si ottimizza il tutto facendo delle mini sedute di 20/30 minuti. Andrea DACASTO (Allenatore di arrampicata sportiva) Foto: Francesca Di Majo e Claudio Papi Ufficio Fotografico Campidoglio

IN FORMA IN i occupo di riabilitazione dello sport da più di venti anni. in tutto questo tempo ho imparato che ogni volta bisogna misurarsi con la determinazione dell'atleta a voler recuperare per tornare a svolgere la propria disciplina dopo un infortunio. Nel caso del Sindaco Alemanno, che ho seguito personalmente, non si è trattato di un infortunio, ma della correzione chirurgica di un varismo di tibia conseguente ad un incidente subito che stava determinando la compromissione grave dell'articolarità del ginocchio. Un problema seria tanto per lo svolgimento delle normali attività quotidiane che per le attività sportiva. La scelta della modalità di intervento, programmarne i tempi, avendo ben presente la complessità di tutte le fasi del recupero, è stato il pri-

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PALESTRA

mo momento, forse il più tormentato, di un lungo percorso necessario per tornare "sulla parete". Il resto , lunghe sedute di fisioterapia, prima in clinica e successivamente in palestra, la riprogrammazione posturale , l'adozione anche di una dieta equilibrata, hanno fatto parte di un programma costruito attorno ad "una persona" che, sebbene in orari impossibili, per non sottrarre tempo prezioso alla sua attività di Primo cittadino di una città impegnativa come Roma, ha dimostrato una tenacia ed un impegno paragonabile a quella di molti atleti professionisti. Ma poi, alla fine di un lungo lavoro di recupero è giunto il giorno della prova "sulla parete", una grande emozione. Un breve riscaldamento, si allungano i muscoli, e do-

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po qualche passaggio ci si rende conto che tutto va bene... Cristina CLEMENTI (Fisioterapista)


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LE SPECIALITÀ DELL’ARRAMPICATA SPORTIVA La dimensione agonistica dell’Arrampicata Sportiva si concentra in tre diverse discipline: Difficoltà (Lead), Velocità (Speed) e Boulder. Lead: è la classica salita con la corda dal basso, dal basso su pareti lunghe tra 15 e 25 metri; l'obiettivo è raggiungere il punto più alto possibile del tracciato. Nelle gare, la classifica viene determinata dall'ultima “presa” raggiunta. Speed: è la specialità dove conta il tempo di salita su una parete di 10 o 15 metri, seguendo un tracciato convalidato dalla Federazione Internazionale e dunque identico in tutte le gare del mondo. Boulder: è la specialità più 'esplosiva' dell'arrampicata. Prevede la salita su strutture alte massimo 4 metri, senza corda, ma con l'ausilio di materassi di protezione (crash pad). L’obiettivo dei “boulderisti” è raggiungere il top, ovvero l'ultima presa del 'problema' nel minor numero di tentativi.

stare a dormire...” Poi, il rito della colazione ovviamente. Ma non bisogna esagerare. Quando inizia la scalata vera e propria lo sforzo, la fatica, la gioia di arrivare, ripaga di tutto. Un momento intimo e di grande gioia. Poi, la discesa che per me è il momento più fastidioso per i piedi e le articolazioni… scendere è più faticoso che salire. Nella giornata c’è anche l’aspetto ludico, rilassante, quello dell’arrivo in baita dove ci si scarica mangiando e recuperando da tutta la fatica fatta». Il rapporto con gli animali? Lei ha conosciuto l’aquila Olympia. Che ricordi ha? «Vedere l’aquila a Formello è stato impressionante. M’ha colpito la sua calma, la sua mansuetudine che sembravano solo apparentemente in contrasto con la sua grandezza e magnificenza. In montagna si possono osservare bei volatili, falconi. Anche vedere uno stambecco è sempre un’immagine bella ma sfuggente: la montagna non ti porta al contatto diretto con gli animali, solo immagini lontane… SPQR SPORT | 65

Con gli animali ho invece un rapporto domestico, molto intenso. Ho un gatto certosino che si chiama Bizet ed è il mio beniamino. Da alcuni mesi mio figlio ha portato in casa anche Drake, un bracco molto grande di taglia. Ora nell’appartamento c’è il muro di Berlino: da una parte c’è il gatto dall’altra il cane». Ha mai visto un lupo? «I lupi italiani, quelli del corpo della forestale. Quando ero Ministro delle Politiche Agricole». Da uomo di montagna, cosa ha rappresentato per lei il terremoto de L’Aquila? «L’Aquila è una città di montagna, la conosco bene, ho amici. Gli abruzzesi, si dice, sono forti e gentili, tenaci, duri. È anche gente semplice. Sono stato in Abruzzo tante volte, anche dopo il sisma. Tra Roma e L’Aquila c’è un rapporto molto diretto, speciale». In un suo discorso ha recemtemente detto «quando in montagna ti accorgi che arriva una bufera, bisogna buttare la zavorra e correre. Questo momento,


REINHOLD MESSNER

L’UOMO DELL’IMPOSSIBILE Definire questo alpinista è difficile poichè nessuno come lui e prima di lui ha spostato così in avanti i limiti umani sia tecnici che di sopravvivenza. Egli compie fin da giovanissimo innumerevoli imprese (spesso solitarie); si pensi solamente alla prima solitaria alla Nord delle Droites, a 25 anni, nel gruppo del Bianco, compiuta in giornata quando le migliori cordate dell’epoca impiegavano perfino 5 giorni! Il 16 ottobre 1986 diventa il primo uomo ad avere raggiunto la vetta di tutti e 14 gli 8000 della Terra. È anche il primo uomo che sale senza bombole sull’Everest e lo fa ancora in solitaria, ma le sue imprese acquistano maggior valore quando si riconosce che dietro non c’è disprezzo per la vita, ma grande preparazione, conoscenza e soprattutto una notevole comprensione dei propri limiti e della possibilità di migliorarli. Qualità senza le quali sarebbe sconsiderata, se non addirittura esecrabile "l’arte dell’inutile", cioè l’Alpinismo. Alla luce degli esasperati exploit attuali si capisce la profetica dedica di un altro grande, Walter Bonatti, che nel suo celeberrimo libro "I giorni grandi", scriveva in apertura: «A Reinhold Messner, giovane e ultima speranza del grande alpinismo tradizionale» Ma Reinhold è anche autore di libri di successo sulle sue avventure, celebre "Settimo grado" in cui si poneva a dura critica il mito della insuperabilità del VI grado in arrampicata libera. È ciò che prima non c’era e che, dopo il suo passaggio, si può raccontare. Questo è ciò che forse fa davvero la differenza fra i grandi e Reinhold Messner. Le sue salite su roccia sono impressionanti per audacia e difficoltà, considerando, come è doveroso fare, i mezzi tecnologici e di sicurezza dell’epoca. Esempi? Il Pilastro di Mezzo del Sass de la Crusc, oggi un VIII grado, nel ’68 con il fratello Günther, la solitaria del diedro PhilippFlamm in Civetta o la Soldà sul Sassolungo nel ’69 oppure ancora la prima solitaria della parete nord delle Droites, nel massiccio del Bianco. Negli Anni ’70 iniziano le grandi spedizioni sulle alte montagne di tutto il globo fra cui Kilimanjaro ed Everest, che culmineranno poi nel decennio successivo facendo entrare Messner nell’Olimpo dell’ Alpinismo. Prima ascensione al mondo dell’Everest senza ossigeno e poi in solitaria sempre senza l’utilizzo di bombole. Prima uomo al mondo ad aver salito tutti e 14 gli ottomila. Storia. Senza dimenticare anche le grandi spedizioni orizzontali dove, racconta Messner, riusciva a ritrovare lo stesso smarrimento ed esposizione delle Grandi Montagne: Il Bhutan da est a ovst, il deserto del Taklamakan da sud a nord, la Groenlandia sugli sci da sud a nord, il deserto del Gobi a piedi. Già, l’esposizione. Condizione “sine qua non” della vita di Messner. Spingere al ma ssimo. Dagli Anni ‘60, egli non ha fatto la Storia, è la Storia. (U.S.)

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per l’Italia, è arrivato»… «L’Italia non esce dalla crisi ed ha grandi difficoltà perché è ancora un paese zavorrato, molto lento nelle procedure, nella burocrazia, negli apparati, nel peso delle Istituzioni. È come una persona che sta andando in montagna con un grosso carico sulle spalle. Poi però ad un certo punto arriva la bufera che, in questo caso è la crisi. Occorre salvarsi, magari buttando via lo zaino e mantenendo le cose più indispensabili. Alleggerirsi e correre. L’Italia per salvarsi dovrebbe fare questo, alleggerirsi al massimo, buttare via tutto il superfluo e correre rapidamente verso un approdo, una vetta». Il suo personaggio di riferimento nell’alpinismo… «Sicuramente Messner che rimane un grande profeta dell’alpinismo, un grande comunicatore della materia. M’è rimasta impressa una sua frase, che suona così più o meno: “Io non salgo per arrivare in cima, arrivo in cima quando sono salito”, che spiega il superamento di sé stessi». Un suo pensiero su Marco Forcatura che, oltre ad essere una guida, era anche un amico… «Marco era la guida più importante di Roma, operava in Abruzzo. Aveva la caratteristica di essere un’ottima guida e un ottimo alpinista ma anche un uomo capace di costruire intorno alla sua attività un clima molto sociale. Insomma, non era il classico tipo che con due grugniti ti accompagnava in cima. Cercava di coinvolgere, di socializzare, di animare. Era una persona benvoluta da tutti, simpatica e disponibile. Molto aperto, una persona molto solare. E un bel ragazzo: colpiva molto l’universo femminile. Purtroppo se ne è andato nella maniera più sbagliata e più improbabile, tutti ci chiediamo il perché». Lo sport e Roma «Roma è una città molto sportiva, c’è un grande fiorire di circoli, palestre, impianti e c’è un grande tifo. Ci sono due squadre molto seguite, c’è una vocazione allo sport. È necessario fare in modo che questa vocazione sia meno spettacolo e più indirizzata verso la pratica. Quindi, bisogna moltiplicare gli

Monte Cervino

impianti, fare cultura anche nelle scuole e propagare l’idea che la pratica sportiva non sia solo un optional, ma un qualcosa di imprescindibile per una vita sana. Io penso che i giovani che hanno la vocazione allo sballo, alla discoteca, alle droghe, possano essere allontanati da questi spettri offrendogli ben altre emozioni, dimostrando che non c’è bisogno di sballarsi per avere sensazioni forti». Quanto Roma Capitale ha fatto per lo sport in questi anni? «Credo che Alessandro Cochi, il Delegato alle Politiche Sportive, abbia fatto molto sia per lo sport di base sia per i grandi eventi. Non c’è stato un solo appuntamento che non sia andato bene: anche i mondiali di nuoto, dove ci sono stati problemi collaterali, ha rappresentato un grande evento sportivo apprezzato da tutto l’ambiente olimpico. Noi eravamo assolutamente dell’idea di fare le Olimpiadi nel 2020, è stato un peccato che siano saltate… Siamo andati avanti nell’affrontare i problemi degli impianti sportivi pur trovando

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tante difficoltà. Abbiamo risolto il problema dello stadio per gli Internazionali di tennis. Abbiamo affrontato il problema del Flaminio. Abbiamo risolto anche il problema che ci aveva lasciato Veltroni del Palazzo dello Sport a Tor Vergata. Qui, gran parte del merito va all’Università. Infine abbiamo operato per le periferie anche se, c’è ancora molto altro da fare. E questo, dipende anche dalla possibilità di realizzare opere pubbliche nella nostra città. Si parla, quindi, di Patto di stabilità, crisi economica… cose che esulano dallo sport». L’arrampicata sportiva per il 2020 sarà candidata all’Olimpiade? «Certo. Purtroppo l’esordio non sarà a Roma. L’arrampicata sportiva merita questo grande riconoscimento». Il Tevere? «Lo sport moderno, nella Capitale, è nato proprio su questo fiume. Ci sono molti circoli sportivi, si pratica il canottaggio, il running sulle sue sponde, ci sono le piste ciclabili. Occorre fare del Tevere un’enorme palestra a cielo aper-


to. Mia moglie, ad esempio, ha scoperto il canottaggio ed ora non ne può più fare a meno». Il Parco Olimpico sul Tevere rappresentava qualcosa di straordinario… «Era la grossa opera pubblica legata alle Olimpiadi sfumate. È stato un errore di Monti, eravamo pronti, il nostro progetto era il migliore senza dubbio. In questo ultimo anno con Monti si è fatto tanto sul risanamento ma poco sullo sviluppo. Sono convinto che Roma sia pronta. Se nel 2020 si faranno le Olimpiadi fuori dall’Europa, chiunque sarà il Sindaco dovrà candidare Roma per il 2024». Molto è stato fatto anche per la cultura dello sport… «Certo, sono state intraprese molte iniziative, anche nelle scuole. Pure la nostra rivista, SPQR SPORT, è un esempio di quanto lo sforzo di promozione e cultura dello sport sia stato cercato fortemente e con una qualità notevole». Quanto è importante la cultura dello sport nella nostra città? «L’ho espresso prima, è importante perché offre un’alternativa importante allo sballo dei giovani, perché educa ad una vita equilibrata, sana, disciplinata. Lo sport è un elemento imprescindibile della vita di ognuno». 300.000 persone in piazza, in Via dei Fori Imperiali per SPQR SPORT Day. Sarà importante replicare queste iniziative? «Sicuramente. C’è fame di sport e di eventi sociali». Se Alemanno dovesse rivincere, cosa farebbe per lo sport? «A parte la ricandidatura alle Olimpiadi, dobbiamo andare avanti con il piano regolatore per gli impianti sportivi, risanare i grandi impianti come il Flaminio e farne crescere di nuovi. C’è poi da risistemare tutta l’area del Foro Italico e favorire la nascita degli stadi di proprietà di Roma e Lazio. OIltreché studiare iniziative nuove per lo sport di massa. ...Compresa, perché no, una grande manifestazione di arrampicata sportiva nella nostra città». Fabio ARGENTINI

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La montagna e la sua storia. Storia di successi e drammatiche sconfitte. Storia di conquiste come quella rappresentata, in una copertina de "La Domenica del Corriere" a conclusione di questo dossier, dal tricolore italiano sull'Himalaya nel 1954 SPQR SPORT | 69


“Il tifoso, l’arbitro e il calciatore”. Quando un film di cassetta diventa un cult. La storia del derby, quello giocato tra i bar e allo stadio. Un film divertente, un documento testimoniale che racconta la stracittadina degli Anni ‘70 e ‘80... di Luca ALEANDRI Paolo Bruno - Getty

el 1982 il calcio italiano era in crisi, travolto da un insolito destino presentatosi sotto forma di calcio scommesse. Squalifiche, arresti a bordo campo, processi, manette. Niente che avesse a che fare con il campo. I gol di Paolino Rossi, ostinatam e n t e messo in campo da Enzo Bearzot nel Mundial spagnolo con una pervicacia al limite dell’ostinazione, restituirono credibilità ed entu-

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Ma nun potevo nasce a Zurigo? siasmo. Secondo una entusiastica teoria sociologica, anzi, il titolo mondiale fu la celebrazione di un Paese che usciva dal tunnel degli anni di piombo e si avviava verso un periodo di ritrovato benessere. Tanto che, di lì a poco, arrivarono nel nostro campionato i migliori giocatori del mondo. Ma a Roma i destini delle due formazioni capitoline divergevano: i giallorossi si apprestavano a vincere lo scudetto già sfiorato nel 1981 (il campionato del celeberrimo gol annullato a Turone, del quale ancora oggi si parla) mentre i dirimpettai biancocelesti paludavano in serie B, dove erano finiti proprio in seguito al coinvolgimento nello scandalo delle partite truccate. Il derby, Pertanto, mancava dal 1980, e se ne avvertiva la mancanza. I giornali cominciarono a parlare delle sfide tra Roma e Juve, come fosse il nuovo derby, per i romani di ogni fazione non può essere così. Il film

di cui parliamo è “Il tifoso, l’arbitro e il calciatore”. Tema centrale, dunque, il calcio, spunto offerto dalla realtà, dalla quale molto attingeva Pingitore sia per il cinema che per i suoi varietà. Era la commedia all’italiana, però di quel filone che aveva successo anche senza le famose docce che oggi vengono ricordate con qualche sorriso malizioso. «Non mi sono mai lavata tanto come in quegli anni», ha scherzato recentemente la splendida Edwige Fenech, che ha consumato sotto i ciak litri di bagnoschiuma oltre che tante, invidiate spugne. Secondo un uso piuttosto in voga al tempo per i film di costume, la pellicola si divide in due storie indipendenti. Pippo Franco compare in un episodio, quello ambientato appunto nella Roma del derby. Ma lasciamo la parola al protagonista. «All’inizio degli Anni Ottanta, era il 1982, mi proposero di girare questo SPQR SPORT | 71

film sul calcio. L’idea ci piacque immediatamente, e infatti il progetto prese piede, al contrario di tanti altri. Erano anni in cui eravamo molto attivi, facevamo due o tre film all’anno, idee ne circolavano parecchie e chiaramente non tutte andavano in porto. Ma in questo caso lo spunto ci colpì perché gli riconoscemmo uno straordinario impatto. Personalmente trovai anche che la storia non fosse solo divertente, ma anche piuttosto simbolica. C’era infatti la contrapposizione interiore, il concetto di coesistenza di elementi di alterità, concetti che sentivo molto miei». Vediamola, allora. Torniamo al 1982. «Si parlava di calcio, quindi l’argomento popolare per antonomasia, inserito in una sceneggiatura divertentissima. Io sono Amedeo, diviso tra un padre romanista e un suocero, oltre che datore di lavoro,


Il film

Laziale per amore l tifoso, l’arbitro e il calciatore è un film del 1982, diviso in due episodi e diretto da Pier Francesco Pingitore. Nel primo si parla di arbitri. Nel secondo un tifoso romanista si finge laziale per far piacere al suocero; finisce con l’essere malmenato dai tifosi di entrambe le squadre. Fanno parte dell’episodio: Pippo Franco, Daniela Poggi, Roberto Della Casa, Mario Carotenuto, Gigi Reder, Martufello, Gianfranco Barra, Lucio Montanaro, Salvatore Baccaro, Antonio Spinnato, Franco Caracciolo.

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laziale. Inoltre il cast era eccellente, con figure indovinatissime. Le scelte di Carotenuto nei panni del barista romanista, mio padre, e di Gigi Reder in quelli del laziale mio suocero, diede al film una marcia in più. Per amore mi fingo laziale con mio suocero, ma devo continuare a essere romanista sfegatato con mio padre, che non avrebbe tollerato “crisi di passione”. Riesco a dividere le mie due anime finché decidono di giocare un derby amichevole dove ambedue mi vogliono con sé, e non avrebbero tollerato una mia assenza. Pertanto sono costretto a dividermi, facendo la spola tra una curva e l’altra. Finché, alla fine, mi confondo ed esulto nella curva sbagliata, e non mi resta che sfuggire all’ira di ambedue le fazioni. Proprio in questa scena, mentre corro esausto, maledico questa folle, insana passione tipicamente roma-

na. E allora, con il fiatone, urlo “Mortacci della Roma! Mortacci della Lazio! Ma nun potevo nasce a Zurigo?” Stupenda». Infatti il film in questione è uno di quelli oggi considerati cult, almeno all’ombra del Colosseo. «Mi capita di girare per la strada e ragazzi, anche giovani, mi recitano battute intere del film, questa in particolare, come capita al Marchese del Grillo!! Per girare furono scelti dei tifosi veri, perché fu ritenuto che solo loro avrebbero potuto colorare le riprese con comportamenti, epiteti, slogan che erano tipici del mondo dei tifosi e che nessuno avrebbe potuto riprodurre in modo altrettanto efficace. Che so, dire all’arbitro “vieni a pescare che mi manca il verme”, cose così. In effetti accadde esattamente questo, però poi all’ultima scena si doveva girare una rissa tra opposte fazioni. Nell’imminenza del ciak le parti si fronteggiavano un po’ in cagnesco, io ero nel mezzo, e poi sarei dovuto sgusciare via. Ma quando si sentì “Motore” la scena divenne immediatamente reale, quasi ci si dimenticò di stare su un set, le botte erano vere!». Come ricorda il derby di quegli anni Pippo Franco? «Comunque erano tempi meno volgari di oggi, il tifo era improntato più allo sfottò, non si parlava di cori razzisti, il film in questo incarnava molto bene lo spirito del tempo...». Com’è nella realtà il suo rapporto con il calcio e con il derby in parti-

La Roma dei bar dello sport I

l tifoso, l’arbitro e il calciatore dipinge, oltre al derby, anche l’icona del bar dello sport, quello dove gli sfottò si rincorrono, le formazioni della domenica diventano fatti seri, più dell’attualità politica, dove le scommesse lecite e meno lecite, schedina o picchetto, hanno fatto la storia del costume soprattutto di Roma. E poi, i capannelli, intorno ad un Campari o a un cappuccino per definire al dettaglio la formazione ideale di tutti i tempi della Lazio o della Roma e, solo qualche volta, della Nazionale. Anche la rivista che avete tra le mani, SPQR SPORT ha, come noto, deciso di distribuire freepress nei bar, proprio pensando ad una storia tutta romana....

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colare? «Il calcio mi piace molto, sono tifoso romanista ma vivo in pace con il mondo, come amo definire in generale me stesso. Ho diversi amici laziali, tra cui il presidente Lotito, che conosco da prima che prendesse la Lazio. Non so se prima si interessasse si calcio, non ne abbiamo mai parlato, penso che più che altro si sia trattato di business».

Il derby

Ieri e oggi Il bar ritrovato l bar della Roma nel film che tratteggia un derby d’annata: è il vecchio bar “delle Catene” oggi “Moon Light Cafè” a Testaccio. Eccolo in una foto d’epoca ed in una dei giorni nostri.

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Il grande attore comico romano in un excursus della sua lunga carriera. «I nostri film si giravano in un mese, era quasi una catena di montaggio. L’industria del cinema produceva proprio tanto». Anche Billy Wilder tra i registi che l’hanno diretto. I magnifici ed indimenticabili tempi del Bagaglino con artiste belle e formose e la vena comica di Oreste Lionello... ’è una Roma Anni Settanta che è più sparita di quella ottocentesca dipinta da Roesler Franz. Una città immobile, come la ruota panoramica dell’Eur, che pure qualcuno definì “le mejo luci de Roma”. Era quella di via Veneto, ma non solo paparazzi e flash, pugni pupe e rock’n roll. Era una città che cavalcava il cambiamento, che produceva cinema ad ogni respiro, anzi lo masticava. La vita che non era solo dolce ma anche continuo spunto di riflessione. Ci sono momenti e congiunture storiche che eleggono un luogo e un momento in cui gli spiriti illuminati si danno appuntamento. Il fermento vitale di quell’epoca ci viene tramandato da foto memorabili in bianco e nero, filmati invece più rari. E, soprattutto, dall’immensa produzione che caratterizzò il nostro dopoguerra. Pippo Franco è, in questo senso, un reduce. Ha attraversato anni di spettacolo a tutto tondo, dal cinema al cabaret. Dal debutto nel 1959, all’esperienza miliare del Salone Margherita, al fianco di giganti del settore come Pingitore o Ceccacci. Inevitabile cominciare da qui. «L’esperienza del Bagaglino comincia nel 1972, la televisione arrivò una decina di anni più tardi. Poi, inevitabilmente, a un certo punto, decisero di voltare pagina. D’altronde la prima serata del sabato è ovviamente una programmazione ambita, dopo un po’, anzi dopo parecchio, nel nostro caso, diventa fisiologico. Ma queste sono piccolezze, tecnicismi…».

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Ma la sua trasmissione non è coincisa con la fine della Prima Repubblica? In fondo la vostra era una satira di quelle che, per così dire, rinforzano il potere, rendono

simpatici, umani, gli uomini potenti? «Cronologicamente potremmo rispondere affermativamente, in effetti come date ci siamo. Ma più in generale mi sento di poter affermare che eravamo in una fase di grande transizione, non solo meramente politica, ma che riguardava la società e quindi il pubblico. La nostra satira cominciava ad essere evidentemente complessa per una televisione che virava rapidamente verso una sempre maggiore frivolezza, superficialità. D’altronde la tendenza adesso mi sembra chiarissima: oggi non esiste programma del sabato che non contempli certi format ben identificabili, dai quiz ai concorsi per bambini che cantano. Una televisione esteriore in cui perfino il Grande Fratello sembra quasi essere stato superato». Sarebbe possibile oggi una riedizione del Salone Margherita? «Per quanto detto sopra direi di no, a parte il fatto che siamo rimasti io, Pingitore e Martufello.. Ma ovviamente non è solo questo». Non mi dica che il cambio della classe politica non vi offre più soggetti… «No assolutamente, anzi oggi ci sarebbe molto di cui parlare. La realtà offre tanti spunti e non mi riferisco solo ai protagonisti della scena governativa ma più in generale alle evoluzioni in atto in tutto il mondo. All’epoca essere presi di mira da noi rappresentava quasi uno status, infatti esponenti di partiti minori chiamavano lamentandosi di essere trascurati. Ce ne chiedevano il motivo, e chiaramente non gli si poteva rispondere l’ovvia verità. Però va considerato anche il modificato rapporto tra lo spazio e i

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protagonisti odierni, come conseguenza del progresso tecnologico e della rapidità delle informazioni, e quindi dell’esposizione mediatica. Faccio un esempio, oggi le rivoluzioni, come le primavere arabe, sono figlie della rapidità comunicazionale. C’è un rapporto meno mediato tra il personaggio pubblico e, appunto, il pubblico».


Se dovessi citare un personaggio “tipo” imitato sul vostro palcoscenico a memoria mi verrebbe da dire Andreotti, che peraltro talvolta assisteva agli spettacoli e rideva divertito… «Andreotti è una persona dotata di un’ironia straordinaria, e permeava così ogni aspetto della vita, dalla politica alla descrizione dei personaggi. In questo lo paragonerei a un gigante come Ennio Flaiano. Oggi mi sembra tutto pervaso, invece, da quella superficialità di cui dicevo a proposito della televisione». Pippo Franco e il cinema. Lei ha attraversato un’epoca particolare, il famoso periodo della commedia all’italiana. «Il cinema degli anni Settanta esprimeva la vitalità del periodo. Si girava tanto, in una commistione tra il cinema d’autore e quello della commedia tipica di quel momento, che tra l’altro ormai è stata ampiamente rivalutata anche da figure come Tarantino. Via Veneto era

un laboratorio, un confronto continuo, stavamo tutti lì. Fellini veniva sempre ai nostri spettacoli, gli piacevano molto, ed eravamo capaci poi di stare a parlarne tutta la notte. I diversi tipi di cinema, diciamo il livello diverso, in realtà erano contigui. Stavamo sempre insieme, ci confrontavamo continuamente, anche perché la grandezza dei personaggi stava proprio nella loro modestia. Tanto per citarne uno, Fellini in questo era illuminante. Ricordo che una volta, stava girando Ginger e Fred, e diceva “sto facendo un filmetto”. O Mastroianni, un altro grande del nostro cinema, capitava che usasse le stesse parole. Si era consapevoli della particolarità di questo mondo, della sua casualità. Mi viene da dire che fossero coscienti della caducità di questo mestiere, oltre che dell’esistenza in sé. Oggi molti personaggi si prendono tanto sul serio». Lei ha attraversato tutta un’epoca SPQR SPORT | 74

del cinema italiano, partecipando a tanti film, anche in costume... «Sì qualcosa, romano, medievale. I nostri film si giravano in un mese, era quasi una catena di montaggio, l’industria del cinema produceva tanto. Poi c’erano i film di qualità, e allora i tempi non erano più preventivabili. Si sapeva quando cominciavano le riprese, ma mai quando sarebbero finite. Non capitava di rado che il produttore di turno, stufo di mantenere troupe e cast, stoppasse le riprese dicendo di montare quello che avevano girato fin lì. Può sembrare incredibile, invece è successo più spesso di quanto si possa pensare». Qual è la prima cosa che le viene in mente ripensando invece al ruolo degli attori? «Noi eravamo la generazione che veniva dopo i mostri sacri, Sordi, Tognazzi, Manfredi, Vitti. Oppure penso a De Sica... il suo “Ladri di biciclette”, penso che sia uno dei più grandi


spq ort Il Bagaglino è uno spettacolo di varietà e satira politica durato 48 anni ed iniziato in uno scantinato romano grazie alla passione di gruppo di intellettuali. E finito poi sul palcoscenico del Salone Margherita di via Due Macelli. A calcare le scene nel corso degli anni si sono succeduti attori di grande talento come: Gabriella Ferri, Leo Gullotta, Oreste Lionello e Pippo Franco. La trasmissione andata in onda prima sulle reti Rai si spostò sulle reti allora Fininvest. Bellissime show girls hanno allietato le serate degli italiani. La satira che andava in scena al Salone Margherita era assolutamente libera ed indipendente infatti colpiva senza alcuna distinzione tutti i protagonisti dell’epoca,facendo però sorridere e divertire il pubblico. Nel corso degli anni il Bagaglino è diventato una sorta di specchio del Paese dei suoi malcostumi e delle sue debolezze passando dall’Italia democristiana all’epoca di Tangentopoli.

Il privato, il palcoscenico, il Bagaglino film di tutti i tempi. Ripensava la figura dell’uomo, lontano dai fasti irreali dei telefoni bianchi. I grandi registi hanno la caratteristica di tirare fuori il meglio di te. Quando i protagonisti venivano scelti per strada, come avvenne per alcune opere neorealistiche, i personaggi venivano doppiati, però il regista sapeva esattamente come farli muovere. In alcuni casi, proprio grazie all’opera quasi da mentore del regista, diventavano professionisti, come Maurizio Arena, o Renato Salvatori. Ma lo stesso, seppure in chiave diversa, poteva capitare anche con attori affermati. Mi capitò di girare una pellicola con Billy Wilder. Ricordo benissimo le selezioni. Lui stesso mi diede un copione con il personaggio che avrei potuto interpretare io. Mi disse come lo immaginavo. Rimasi stupito: “Ma come, Billy Wilder è lei, e non mi dice cosa vuole da me?” Allora, dopo una, settimana, tornai e gli dissi

come me lo ero immaginato: rigoroso, meticoloso, con una serie di attrezzi da lavoro nella giacca come in un ufficio ambulante. Immaginai perfino un linguaggio ad hoc, inventato, quasi un miscuglio di dialetti. Tutto questo gli piacque, e la parte fu mia. Una volta Giannini mi disse che anche Fassbinder, per esempio, non gli aveva detto niente. “Motore, azione”, e basta. In questo stava la grandezza, nel tirare fuori la creatività, la personalità di ognuno». Accantoniamo il cinema per un attimo. Lei è noto per la sua profonda conoscenza di un poeta messo un po’ all’indice per le sue idee politiche come Ezra Pound. «Sì ma credo che questo faccia parte della concezione di armonia, di senso estetico che l’arte sia in grado di affermare. Non mi interessano le idee politiche del poeta, perché nei suoi versi ci si innalza a un livello SPQR SPORT | 75

superiore, alla ricerca trascendente di qualcosa che va molto al di là dell’ideologia. Riconosco questo anche in Pasolini, la cui militanza penso sia fuori discussione. Eppure proprio Pasolini è stato uno dei vettori della conoscenza di Pound, perché i poeti si riconoscono, nel nome di un senso astratto ed estetico che li caratterizza. Tra l’altro, nel mondo in cui sono cresciuto io, c’era una forte contrapposizione ideologica tra, diciamo per semplificazione, destra e sinistra. La sinistra era piena di riferimenti culturali, prima che la sua anima marxista implodesse in modo drammatico. La destra, al contrario, ne era quasi priva. Pound, appunto, La Rochelle, poco altro. Però era, ed è, la ricerca del bello che mi affascina, da qualsiasi parte provenga. Ed è dal suo disconoscimento, o dalla sua mancata conoscenza o ricerca, che derivano infatti le brutture del mondo».



Terzo appuntamento sul mondo dei tifosi e delle coreografie nelle curve romane specchio di un’epoca e di una società

PROTAGONISTA, LA GENTE

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no sguardo indietro, al calcio che fu. E compaiono come d’incanto i fumogeni dall’odore acre. Tanti anni prima dell’attuale legislazione di emergenza i ragazzi italiani sono stati allevati da un asilo chiamato”ultras”, che ha cresciuto, con poche eccezioni, le ultime generazioni, dai tardi Anni Sessanta in poi. La folla diveniva, come raramente prima d’ora, protagonista di una passione idealizzata. Dietro quelle foto, la moltitudine di storie, i piccoli aneddoti di gruppi, gli adolescenti, tanti, e gli adulti, qualcuno. E allora dall’archivio della memoria tiriamo fuori alcuni scatti che in grado di raccontare un’epoca, per l’unica soddisfazione di un momento, di quando il fumo si dirada e dietro, eccolo, lo spettacolo. Se questo giornale decide di occuparsi di coreografie della nostra città, oltre che dei grandi campioni, è proprio per dare un senso, una voce, una dimensione a questa capacità di aggregazione. Che, stavolta, lo sport lo vede un po’ in lontananza, quasi verniciato sullo sfondo come la coreografia di un teatro. Come quelle foto in cui giganteggiano bandieroni, sotto i quali si vedono scaldarsi piccoli giocatori, che saltellano roteando nervosamente le braccia, mentre aspettano il fischio d’inizio. Non sono loro i protagonisti, in quel momento. Solo comparse passeggere.

a cura di Luca ALEANDRI * Sociologo


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oppa Italia sarà: con questa scritta realizzata in polistirolo, dai colori della bandiera italiana, la Curva Sud si presentò all’ingresso in campo dei giocatori per la finale della competizione, giocata a Roma. La scritta, poggiata sul muretto in marmo del vecchio Olimpico, era accompagnata, come d’uopo in quegli anni, dai giornali ritagliati a creare tanti coriandoli, dalle bandiere giallorosse e dai fumogeni. Uno spettacolo che spinse i giocatori in campo alla vittoria. La Roma eliminò Perugia, Ascoli, Sampdoria, Bari, Milan e Ternana nella semifinale vinta grazie a una doppietta del bomber Roberto Pruzzo, il centravanti che, dopo ogni gol, correva sotto la sua Curva Sud. Quella partita fu un'epopea; lo stadio pieno da ore e lo zero a zero alla fine del primo tempo; i supplementari coronati dalla punizione di Di Bartolomei all'ultimo secondo parata da Terraneo che a


Coppa Italia

noi sembrò un palo (come si sente nella registrazione); poi i rigori al cardiopalma, il vantaggio del Torino, l'assaporare l'inevitabile sconfitta, e la successiva resurrezione ad opera di Tancredi che parò i due rigori che avrebbero regalato la vittoria sul Torino.

Roma: Tancredi F. Maggiora D. De Nadai M. Benetti R. (1'pts Di Bartolomei A.) Turone M. Santarini S. Conti B. Giovannelli P. Pruzzo R. Ancelotti C. Amenta M. (30'st Scarnecchia R.) Torino: Terraneo G. Volpati D. Vullo S. (17'st Mandorlini A.) Sala P. Danova L. Masi M. Greco G. Pecci E. Graziani F. Zaccarelli R. Pulici P. (6'pts Mariani P.) Arbitro: Michelotti di Parma Marcatori: dopo calci di rigore: 3-2, per la Roma B. Conti, Santarini e Ancelotti, per il Torino Mariani e Mandorlini


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na curva all’inglese, quella della Lazio, nel derby in cui migliaia di stendardi si aprirono all’improvviso svelando una coreografia da pelle d’oca. Tutti insieme, quei vessilli cuciti o pitturati nei mesi precedenti l’incontro, coprirono totalmente la Curva Nord. Non era solo il modo di tifare della curva biancoceleste, all’inglese appunto, a motivare quella scelta coreografica, ma anche e soprattutto la presenza dell’asso britannico Paul Gascoigne. Sul tartan, in quella partita, comparve anche il costume di “Gazza” con un tifoso laziale al suo interno. Un modo per esaltare i ventimila laziali sugli spalti. Ad un certo punto, sintomo di quella goliardia che era patrimonio degli ultras biancocelesti, in curva comparve anche un canotto con la “controfigura”


dell’ex Tottenham sopra. Lo stendardo, a forma di bandiera pirata, spiegava successivamente la creazione: “all’arrembaggio”. Era la carica che la Nord aveva deciso di dare ai propri beniamini in campo.

ROMA-LAZIO 0-0 (18/4/1993) ROMA: Cervone, Garzya, Bonacina, Piacentini, Benedetti, Aldair (74' Comi), Mihajlovic (67' Tempestilli), Hassler, Carnevale, Giannini, Rizzitelli. A disp.: Zinetti, Salsano, Muzzi. All. Boskov. LAZIO: Orsi, Bergodi, Favalli, Bacci, Luzardi, Cravero (79' Marcolin), Fuser, Winter, Stroppa, Gascoigne, Signori. A disp.: Fiori, Corino, Sclosa, Neri. All. Zoff. Arbitro: Sig. Sguizzato di Verona. Note: ammoniti: Bergodi, Giannini. Antidoping: Garzya, Mihajlovic, Gascoigne, Fuser. Spettatori: paganti 41.350, incasso L. 2.139.720.000, abbonati 33.659, quota L. 806.853.000.


Intervista a Kolaj, pugile italiano di origini albanesi. Orial racconta del suo arrivo nel nostro Paese, difficile, della passione per la boxe, della sua crescita umana e professionale, del suo tifo per la Lazio. E lo fa in modo schietto e semplice, le caratteristiche del suo carattere

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di Fabio ARDENTE Paolo Bruno - Getty

A PUGNO DURO isegni che rivelano l’anima del guerriero, orgoglioso portatore della propria tradizione. La croce ad esprimere i valori della cristianità, con i guantoni da boxe appesi, legati da un vincolo simbolicamente indissolubile. Le aquile, lo stemma d’Albania, il Paese vissuto poco ma mai dimenticato. Un cuore con la scritta ‘mamma’, la testimonianza di come un uomo dà il meglio di se stesso nel segno dei valori sacri della famiglia. E poi la frivolezza: un pugile seduto all’angolo mentre, tra un round e l’altro, raccoglie le energie per la battaglia, con sullo sfondo una ragazza del ring che conscia della propria bellezza esibisce il cartellone del prossimo round. Disegni che diventano tatuaggi su Orial Kolaj, che rappresenta se stesso sul proprio corpo. Una statua scolpita, un volto che dietro i lineamenti decisi nasconde grande sensibilità. Un fisico modellato dal duro lavoro in palestra, ma anche dalla durezza della vita. Kolaj infatti fa il pugile, ed è anche un

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buon pugile visto che per lui si profila un orizzonte con una sfida europea. Ma la sua è una di quelle storie che, pur intersecandosi con quelle del ring, vanno oltre le sedici corte. Orial combatte per l’Italia, è fiero di farlo, la sente sua, lui che, ora trentenne, quando aveva undici anni lasciò il Paese delle aquile, l’Albania. Cosa ricorda dell’arrivo in Italia? «In Albania c’era una situazione di isolamento politico ed economico dopo la caduta del comunismo, molti albanesi avevano deciso di raggiungere l’Italia. Mio padre ci riuscì nel ‘90, io dovetti aspettare quattro anni per raggiungerlo. Per me venire è stata una sorte di odissea. Attraversammo il mare, ma due volte, arrivati nei pressi di Otranto, la corrente contraria diventava fortissima e dovevamo tornare indietro». Quindi il sogno di una vita migliore svaniva sul più bello? «Esatto, ricordo ancora la delusione che pro-

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vai nel vedere la costa senza riuscire ad arrivarci. Ma non ero il solo a restarci male, sul gommone eravamo una ventina». Alla fine ha trovato la corrente giusta? «Niente affatto. Visto che continuavamo a fallire, mio padre, che lavorava per una ditta di scarpe, trovò il modo di farci salire su un camion che trasportava merce in Italia. Mi nascosi e quella volta non ci fu niente che poté fermarmi». Anche se sono passati in fondo pochi anni, non era ancora un mondo globalizzato. Un bambino che ha sempre vissuto un paese isolato dal resto d’Europa, quali le sensazioni nel ‘nuovo mondo’? «Sembrerà strano, ma la cosa che non riesco più a togliermi dalla mente sono le scale mobili. Una volta in Italia entrai in un centro commerciale, e ricordo nitidamente lo stupore quando vidi e salii sulle scale mobili. Mi sembrava di essere entrato in un film di fantascienza, un’emozione incredibile».


«Sono entrato in palestra per fare un po’ di tutto»

Poi il bambino diventa uomo. «Sì, ho preso a lavorare, facendo il muratore». E la boxe? Quando ha iniziato a praticarla? «Beh, prima di praticarla c’è sempre un qualcosa che mette in moto il meccanismo. A me, per esempio, il pugilato me lo ha fatto conoscere Mike Tyson. Ricordo un suo match contro il bufalo bianco Botha che mi fece scattare la classica scintilla. E poi come poteva non attrarre uno come Tyson, con la sua decisione nell’andare verso l’obiettivo senza troppi fronzoli». Ma fino a 25 anni non c’è traccia del Kolaj pugile? «Tra i professionisti. In realtà, sono entrato in palestra per fare un po’ di tutto: pesi, ad esempio. Quindi ho scoperto la passione del ring ed ho iniziato tra i dilettanti, ma avevo già 23 anni». In canottiera come se l’è cavata? «Direi piuttosto bene, ho 45 vittorie, ho vinto vari tornei».

Ma il professionismo è un’altra cosa. «Le devo dare ragione, la boxe dilettantistica e quella professionista poco ci manca che sono sport diversi».

contrato io era imbattuto, ed ora continua ad esserlo dopo 27 match da professionista, penso che presto lo vedremo sfidante per il titolo mondiale».

All’inizio della carriera tra i prof, vediamo un ruolino poco incoraggiante. «Mi allenavo a Varese, dove avevo seguito mio padre che si era trasferito per motivi di lavoro, nella palestra dei Lauri. Diciamo che avevo un maestro un po’ all’antica, che si basava anche sulle sensazioni del singolo. Mi diceva se me la sentivo di combattere, io non vedevo l’ora e dicevo subito di sì, ma non c’era programmazione adeguata, e nella boxe questa è una carenza che si paga».

Un match impossibile? «Per il Kolaj di allora decisamente sì, mi presentai a combattere a Berlino con dieci giorni di preparazione... Una improvvisazione che pagai inevitabilmente, perdendo in due round».

Arriva la sconfitta prima del limite con Brischetto, poi quella onorevole con D’Agata in finale di Coppa Italia, quindi addirittura la trasferta in Germania... «Si, vado a combattere contro Dustin Dirks, uno che l’organizzazione tedesca tiene in grande considerazione. Già quando l’ho in-

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Ma salire su un ring contro un avversario così quotato, non mette un po’ di paura? «Io dell’avversario non ho mai paura. In fondo, che può succedere? Le dai, le prendi, ti mette giù, o magari sei tu a metterlo ko. Invece, anche se è più giusto parlare di timore che di paura, a Berlino combattere davanti a trentamila persone mi ha creato qualche problema. Tutta quella gente che stava persino sulle scale... da non credere per uno come me che aveva combattuto sempre con platee limitate. Lì un po’ di ansia mi è venuta, temevo di deludere il pubblico, ma anche


spq ort gli italiani che erano venuti a vedermi». Viene la voglia di smettere dopo che, al decimo incontro, le metà sono sconfitte? «Si, anche perché non avere una organizzazione dietro comporta anche qualche verdetto ingiusto come contro Woge o il polacco Gladsewski. Quindi ero deciso, una volta tornato a Roma, a lasciare la boxe e fare il muratore». Ma non è stato così... «Decisivo l’incontro con Davide Buccioni e la sua BBT. In fondo avevo battuto uno dei migliori mediomassimi italiano come Cicchello, e lui mi diede una chance facendomi combattere contro uno dei suoi pugili, Moretti». E come finì? «Vinsi in due riprese, e da quel punto ho cominciato una vera carriera, allenandomi con scrupolo. I risultati sono venuti, prima ho conquistato il titolo italiano prendendomi la rivincita su un ottimo pugile come D’Agata, poi ho conquistato il titolo dell’Unione Europea». Da qui al titolo europeo, quello vero, il passo è breve «Il campione in carica, il tedesco Braehmer, poteva scegliere tra quattro nomi per una difesa volontaria. C’ero anche io nella lista, ma ha optato per un francese tra l’altro imbattuto. Penso che, in caso di vittoria, lascerà la cintura per tentare il mondiale, ed allora potrei essere nominato cosfidante al titolo». Un modo per ringraziare l’Italia, la sua seconda patria. «L’Italia non è la mia seconda patria, è la mia patria come lo è l’Albania. Per me, è come avere due genitori a cui si vuole bene allo stesso modo, impossibile fare una scelta». Possiamo definire la boxe come una metafora della vita? «La boxe insegna cos’è la vita, come per ottenere qualcosa bisogna lavorare e sacrificarsi. Quando vinci ti sono tutti vicino, devi essere bravo a prendere le occasioni al volo, perché poi quando perdi non sei più nessuno e

la gente non si ricorda di te». Ma per arrivare a certi livelli, ci vuole una vita di sacrificio. Ci racconta la sua giornata tipo? «Mi alzo sempre presto la mattina, vado a correre, quindi vengo alla palestra Fiermonte ad allenarmi. Poi pausa, aiuto mio zio che gestisce un punto scommesse, quindi riparto e vado ad allenarmi in palestra a Civitavecchia nella palestra dei fratelli Branco. In particolare ci tengo a ringraziare Silvio, una grande persona che mi ha insegnato molto a stare sul ring». Ma oltre al pugilato, uno sport praticato. Il calcio ad esempio? «Lo giocavo ai Castelli, a Marino. Ero un giocatore di quantità, ma fondamentalmente il pallone non faceva per me». Meglio riservare le energie per il calcio tifato. È nota la sua passione per la Lazio. «L’aquila è un simbolo meraviglioso, appena l’ho vista mi sono innamorato della Lazio. Inoltre ho due zii che sono tifosi sfegatati della Curva Nord, il passo è stato breve. Allo stadio ho coltivato delle amicizie importanti: per me, ad esempio, Fabrizio Piscitelli, che molti conoscono come Diabolik, è più di un fratello».

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BOXE INCROCIO DI CULTURE l pugilato è da sempre una occasione di riscatto sociale. Come giustamente ha fatto notare Orial Kolaj, il benessere non si concilia con la durezza del ring, Ci vuole qualcosa dentro per emergere, quel qualcosa che è addirittura doppio quando a cimentarsi è uno straniero che vuole affermarsi in Italia. Il ring ne ha visti tanti di 'nuovi italiani' affermatisi grazie al sudore ed alla potenza dei pugni, e non necessariamente si tratta di un fenomeno circoscritto ai nostri giorni, legato all'immigrazione ormai massiccia. Senza voler fare un elenco, il primo nome è quello di Leone Jacovacci, con la sua storia straordinaria iniziata all'inizio del secolo scorso: padre italiano, mamma del Congo, una volta arrivato in Italia dovette battersi contro la discriminazione, non certo sottile in quell'epoca, dovuto al colore scuro della pelle. Proprio una ingiustizia subita dopo un match dominato contro Bruno

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Frattini, quando fu dichiarato sconfitto, ne scatenò la reazione orgogliosa che lo portò a lottare per l'ottenimento della cittadinanza. Vinta la battaglia burocratica, diede vita ad una delle rivalità più appassionanti che la storia della boxe italiana ricordi. Una trilogia di match contro Mario Bosisio che addirittura originò una canzoncina popolare canticchiata da una generazione: un milanese contro un romano, un tecnico contro un fighter, caratteristiche e caratteri differenti, insomma la rivalità perfetta. Saltando parecchi anni, troviamo un altro italiano acquisito che ha fatto tanto per la nostra boxe è Carlos Duran, argentino, campione nazionale dei pesi medi. Il suo approdo in Italia fu a caccia di ingaggi più alti, ma tra lui e il bel paese fu subito attrazione fatale. Incontrò i migliori della categoria, vinse quasi sempre, qualche volta dovette arrendersi (riuscì a batterlo Nino Benvenuti). SPQR SPORT | 86

Ma una volta ottenuta la cittadinanza, seppe ricambiare l'Italia in maniera adeguata, conquistando il titolo europeo dei medi e poi, dopo aver perso in Francia da Bouttier (avversario storico di Monzon) riuscì a scendere di categoria, cosa mai facile per un pugile, conquistando la corona continentale dei superwelter. Altra generazione, altro pugile che lasciò comunque un segno, Nino La Rocca, che SPQR SPORT ha intervistato in un numero precedente. Non bisogna lasciarsi ingannare dal fatto che il morso del cobra Donald Curry si rivelò velenosissimo per il pugile italo-maliano. L'impatto sul movimento pugilistico che ebbe La Rocca fu importante, tanto che se il fiore non riuscì poi a sbocciare del tutto è un particolare secondario. La Rocca, protagonista negli anni ottanta, era ancora una rarità, mentre più 'comune' ai pugili venuti da lontano è stata la storia di Yawe Davis, venuto ragazzo dall'Uganda e


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DA JACOVACCI A GIACON QUANDO LO SPORT È INTEGRAZIONE diventato uomo in Italia. Arrivò a conquistare i titoli italiano ed europeo già pugilisticamente vecchio, ma le lacrime versate quando salì sul trono continentale sono l'immagine dell'attaccamento e della gratitudine all'Italia. Sempre dall'Africa Nera veniva Mwehu Beya, dallo Zaire al titolo italiano nei mediomassimi. Bei pugili, che abbinavano alla loro forza sia la voglia di emergere, sia l'esigenza di fare spettacolo. Ai nostri giorni i nuovi italiani sul ring sono una consuetudine, e l'apporto al movimento è molto importante. A parte Kolaj, per il quale si stanno schiudendo interessanti prospettive europee, c'è forse uno dei due pugili italiani migliori, pound for pound, in circolazione: Leonardo Bundu, originario della Sierra Leone e incontrastato dominatore in Europa tra i pesi welter. Il neo per Bundu è l'età: ha 37 anni, è esploso tardi, ma pur in una categoria decisamente proibita a livelli mondiali,

una chance se la meriterebbe proprio. In crescita costante, pronto per un traguardo europeo, Mohamed Ali Ndiaye, il ragazzone del Senegal che dopo qualche incertezza e immeritata delusione (la sconfitta con Lolenga Mock), si è finalmente sbloccato: la vittoria contro Di Luisa nel match valido per il titolo dell'Unione Europea dei mediomassimi, è il classico trampolino di lancio. Bisogna aspettare invece per Luca Giacon, Black Mamba, papà di Ivrea e mamma africana. La grande sicurezza nei propri mezzi, quel liquidare gli avversari in poche battute, ha subito un brusco ridimensionamento contro il sinistro del ruvido quando forte portuale di Civitavecchia, Emiliano Marsili, che lo ha spedito ko in due round per il titolo europeo dei pesi leggeri. Dalla parte di Giacon c'è però l'età: a 24 anni ci si può riprendere anche da una brutta sconfitta. Il tricolore ha pazienza, può aspettare prima di essere abbracciato. SPQR SPORT | 87


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Alberto Sordi, nel decennale della sua morte. Raccontiamo la sua storia e i suoi film, il suo modo di raccontare l’Italia ed anche lo sport... urante la mia visita in Campidoglio dove fu allestita la camera ardente (ero un privilegiato, perché ero stato esentato dalla fila e avevo la possibilità di trattenermi quanto volevo) ho potuto osservare questa moltitudine di romani e di italiani che si sobbarcava ad una attesa di ore, anche nella fredda notte romana, per passargli davanti per pochi secondi, per lasciargli un fiore, un disegno, una lettera, la foto dei figli (un bambino gli ha lasciato un Puffo…), una cosa cara come la sciarpa della propria squadra. Davanti alla bara erano prevalenti le sciarpe giallorosse, in quanto Alberto era romanista, ma non mancavano quelle biancocelesti della Lazio, e quelle della Juventus e dell’Inter. A un certo punto è arrivato un uomo con la sciarpa del Cagliari al collo. Si è fatto il segno della croce, ha chinato la testa poi si è tolto la sciarpa e l’ha deposta ai piedi della bara, nel mucchio degli omaggi. L’ho avvicinato, curioso di conoscerlo. Mi ha parlato con il tipico accento della sua isola e mi ha detto che era partito dalla Sardegna apposta per portare il suo omaggio ad Alberto. Essere (sentirsi) romani significa da-

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re del tu alla storia, avere familiarità con i grandi monumenti e le opere d’arte uniche al mondo. Significa convivere con Michelangelo, con Bernini, con Raffaello, con Caravaggio... Significa avere familiarità con il Colosseo e con San Pietro. Significa pensare che il Papa, anche il Papa polacco o il Papa tedesco o il Papa argentino, è anche lui romano, come noi. Ed è fedele allo spirito di Roma, che, come suggerisce il nome stesso letto al contrario, vuol dire Amor. Alberto in quella occasione volle ricordare a tutti i romani che il rovesciamento della parola Roma vuol dire Amore e quindi rispetto. Rispetto per una città da amare ma anche da trattare con delicatezza e in punta di piedi. Anzi, a un certo punto, quando si sedette al tavolo del Sindaco con tutta la giunta comunale schierata davanti, Alberto disse a Rutelli: «Come si fa a fare una delibera?». «Dici al direttore generale qui presente che cosa vuoi deliberare e lui te la scrive secondo le leggi e il regolamento comunale». Allora Alberto, rivolto al direttore, disse: «Scriva direttore: da oggi chiusura al traffico di tutto il centro storico». TutSPQR SPORT | 89

di Giancarlo GOVERNI* foto Getty Images ti si misero a ridere ma Alberto, se avesse potuto lo avrebbe fatto sul serio. Forse per questo sentirsi romano si era dichiarato romanista, nel senso di tifoso della Roma, per la squadra che porta il nome della Città. Non importa se la Lazio è stata fondata 27 anni prima da nove giovani romani ed è stata chiamata così perché all’epoca non si usava, o forse non si osava, dare il nome della Capitale, della Città Eterna, a società sportive. Per Alberto, dal punto di vista calcistico, la squadra di calcio era la Roma e lui era romanista. E accenni a questa sua preferenza sono disseminati in tanti film. Ma il suo era un tifo di altri tempi, fatto di sfottò, di scherzi, di scommesse afflittive, ma di rispetto per l’avversario a partire dalla squadra “cugina”, tanto è vero che negli ultimi anni quel tipo di calcio non solo non lo amava ma non lo seguiva neppure più. Quando lavoravo con Sordi a “Storia di un Italiano”, il presidente della Roma Dino Viola mi chiese un grande favore: portargli Alberto allo stadio. Io ci provai in tutti i modi ma lui non ne volle sapere. «La partita la guardo in televisione, quando mi va…», mi disse.


Una foto senza data del grande Alberto Sordi. Dopo aver iniziato la sua carriera doppiando Oliver Hardy, divenne una star grazie all’intuizione di Federico Fellini che lo fece recitare ne “I vitelloni”. La sua lunga carriera lo vedrà sulla scena in oltre 150 film.

Alla fine anche i laziali si sentivano vicino a questo straordinario personaggio e quando morì gli portarono il loro omaggio e allo stadio prima del derby si sbellicarono dalle risate alla proiezione di un video che io avevo preparato e che veniva proiettato sui maxischermi. I tifosi della Lazio ridevano anche agli sfottò indirizzati a loro. Da Alberto accettavano tutto. Al calcio Sordi ha dedicato molti momenti dei suoi film e non avrebbe potuto essere diversamente, visto che il suo racconto sulla vita italiana e sugli italiani non poteva prescindere da un tema spesso cruciale. E quando lo fa è sempre in forma satirica, mai in maniera forzata. Si serve del calcio nel film “Il marito” (1958), quando deve rinunciare ad andare al derby come sempre con gli amici, perché la moglie gli ha organizzato, proprio nell’ora della partita, un concertino di musica da camera con le amiche. Lo fa in Un giorno in pretura, quando incontra, alla fine del film allo stadio, sempre al derby, il pretore (Peppino De Filippo) che lo ha condannato. Alberto si è messo in testa un cappello a forma di testa di lupo, mentre il pretore, in giacca e cravatta e lobbia come sempre, tifa per la Lazio perché nella

squadra biancoceleste gioca suo figlio. Ne “Il tassinaro” arriva anche a falsare la storia (e questo è l’unico momento scorretto del tifoso romanista Sordi nei confronti della Lazio. La Roma ha appena vinto il suo secondo scudetto e Sordi-Tassinaro ospita nel suo taxi Giulio Andreotti, un altro romanista, e ovviamente quello è l’argomento della conversazione. A un certo punto Sordi dice: «Lo scudetto lo abbiamo aspettato 40 anni e poi daje e daje, è ritornato a Roma», fingendo di ignorare che lo scudetto a Roma lo aveva portato, soltanto nove anni prima, la Lazio, la prima squadra della Capitale. Nel “Borghese piccolo piccolo”, il sofferto film di Mario Monicelli, in cui ci regala uno straordinario ruolo drammatico, oserei dire tragico, Alberto dà in un certo senso una riparazione ai suoi ammiratori laziali. Lui è come sempre romanista e l’amatissimo figlio, quello che verrà ucciso nel momento in cui si reca al concorso che dovrebbe spianargli la strada dell’impiegato statale proprio come suo padre, è tifoso della Lazio. Padre e figlio guardano insieme Lazio-Juventus. «Gioca bene la Lazio, eh!» dice Sordi, SPQR SPORT | 90

«Rifatte l’occhi!» risponde il figlio Mario (Vincenzo Crocitti). «Sei laziale, eh! Vai contro tuo padre» il rimprovero è affettuoso. E quando la Lazio segna, il Padre osserva il figlio che esulta compiaciuto ed esclama: «Bravo Mario!» Questo amore per il figlio per il quale è disposto anche a tradire per un po’ la sua Roma, serve a preparare la tragedia. Ma il film sul calcio per eccellenza è, ovviamente, “Il presidente del Borgorosso football club”. Un film che Alberto non amava molto e che non volle neppure, nonostante le mie insistenze, inserire in “Storia di un Italiano”, ma che ebbe uno straordinario successo e che oggi viene ricordato, fra i tanti che sono stati fatti sul tema, come la più riuscita e feroce satira del fenomeno calcio. Il film è ricordato per tutto, persino per la canzone della sigla che fu scritta per l’occasione interamente da Sordi, musica e parole. Ma è ricordato soprattutto come satira di un calcio, sia pure paesano, che si sta sostituendo a tutte le passioni, alla politica soprattutto ma anche alle rivalità cittadine e al senso di appartenenza. Benito Fornaciari, un tranquillo impiegato della Biblioteca vaticana, i cui interessi sono ben lontani dal calcio e dal suo mondo variopinto e caciarone, alla morte del padre separato da sua madre che ha vissuto sempre in Romagna, eredita la squadra di calcio del Borgorosso. Benito se ne vuole disfare immediatamente, ma a fargli cambiare idea è il potere che dà essere patron di una squadra di calcio, in fama e in popolarità. Allora decide di tenerla e di farsene prendere la mano fino ad incitare lui stesso i suoi tifosi alla rivolta contro un arbitraggio ingiusto. Il calcio nei film di Sordi è centrale nella rappresentazione della società italiana. Soltanto raramente, un paio di volte, fa riferimento ad altri sport. E sempre legato ai due personaggi di giovani emergenti nel dopoguerra. Il Compagnuccio della parrocchietta di Don Isidoro e Nando Mericoni, il romano che sogna di essere americano. Il Compagnuccio della Parrocchietta era ispirato a un’Italia che Alberto conosceva bene, quella dell’Azione Cattolica, dei ‘giovani esploratori’, che


spq ort nella nuova Italia democratica si preparavano a diventare classe dirigente. Il personaggio aveva tutte le caratteristiche necessarie per fare presa sul pubblico: era petulante, assillante, era egoista e arrivista, mascherato dietro un’apparenza caritatevole e altruistica. Per il Compagnuccio lo sport è un pretesto per arrivare a un tornaconto personale. Infatti partecipa alla Maratonina di Roma per vincere il premio che consentirà alla parrocchia di allestire il presepe e soprattutto per mettersi in mostra davanti alla signorina Margherita che invece è innamorata di un vero campione della corsa. Ho sempre avuto il sospetto che Alberto non amasse il Compagnuccio della parrocchietta. Ma sono certo che provava grande simpatia per Nando Mericoni ‘americano der Kansas City’, un personaggio che aveva accennato in un episodio di “Un giorno in pretura” e che successivamente sviluppò nel film “Un americano a Roma”. Nando Mericoni è un giovane proletario, sognatore e superficiale, che vive alimentandosi del mito americano. Sogna di essere un grande ballerino di tip-tap, rivive nella realtà i film che vede la sera, come se la vita fosse un grande film americano con Fred Astaire, Gary Cooper, Joe Di Maggio. Va in giro per Roma sopra una potente ed enorme Harley Davidson parlando un improbabile inglese e vestito con una ancora più improbabile divisa da sceriffo, con tanto di stella, della polizia del Kansas City. Nei suoi sogni non c’è il calcio ma il baseball, lo sport più americano, lontano anni luce dai gusti e dagli interessi degli italiani, ma che è entrato nei sogni di Nando che non è diventato americano del Kansas City soltanto perché ha avuto la “scarlattina che lo ha bloccato”.

* Giancarlo Governi, scrittore giornalista e autore cinematografico e televisivo. Per la Rai ha realizzato, come autore e conduttore, centinaia di programmi nei quali ha raccontato i grandi dello spettacolo italiano e dello sport. Ha dato anche vita, insieme a Guido De Maria, a Supergulp! Ha pubblicato 24 libri di successo con i principali editori.

Albertone

LO SPORT NEI FILM

Alberto Sordi e lo sport, un binomio che ha fatto da sfondo in qualche film del grande attore romano. Come non ricordare, ad esempio, il “Presidente del Borgorosso Football Club” (1970) dove il calcio è stato il leit motiv della pellicola. Benito Fornaciari alias Albertone. impiegato del Vaticano e appassionato di filatelia, eredita dal padre Libero il Borgorosso Football Club, squadra di calcio dell'immaginario paese romagnolo di Borgorosso. Il calcio non è esattamente la sua passione, tuttavia, dopo un primo momento di disinteresse per la squadra, inizia a dedicarvisi completamente, con risultati disastrosi (oltre a giocatori scarsi, ingaggia un allenatore sudamericano José Buonservizi soprannominato lo Stregone) che gli inimicano l'intero paese di Borgorosso. Quando tutto sta per precipitare, colpo di genio finale. Proprio nel momento in cui sta perdendo la presidenza del club, si rilancia portando nientedimeno che

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Omar Sivori. E la piazza gli si rimette al fianco con rinnovato entusiasmo. Un altro film che vede lo sport in primo piano nei film di Sordi è “Mamma mia che impressione” (1951) dove, nella seconda parte della pellicola, diventa preminente la corsa podistica nel cuore di Roma con un Albertone improbabile atleta che fa di tutto per conquistare la signorina Margherita. Anche se altri film non vedono lo sport come elemento di primo piano, sta di fatto che Sordi non disdegna di parlare ad esempio di calcio. Come ne “Il marito” (1958), con il derby che fa da cornice ad alcune scene, come quella con sul terrazzo ad innaffiare le piante e che si rivolge ai tifosi laziali che vanno allo stadio con «’A sfollati, ma ‘nd’annate», oppure la discussione con la moglie Elena che gli impedisce di raggiungere i suoi amici allo stadio, oppure la scenetta esilarante che spernacchia l’amico Peppino al telefono: «Peppino, Peppino, prrrrrrrrr, alla faccia tua e di tutti i laziali».


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La vita di Sordi nei ricordi di Giancarlo Governi, il suo storiografo uando l’ho visto per l’ultima volta ho pensato a tutta la sua vita che si è svolta in un grande palcoscenico, il palcoscenico della sua Roma che si è allargato a tutta l’Italia. Ho pensato a quegli inizi frenetici, a quella sua voglia di esibirsi fin da bambino, a quel debutto in una compagnia di avanspettacolo (a 16 anni), alla voce di Oliver Hardy e via via l’ingresso nel cinema prima come comparsa, poi in posizioni sempre più importanti fino alla conquista del ruolo principale, quello del protagonista. Un ruolo sudato, conquistato a oltre trenta anni, dopo tanto lavoro e tanta esperienza. Un ruolo conquistato contro i produttori che non credevano in lui ma che, anzi, lo ritenevano deleterio per il film con la sua stessa presenza. Come fecero i produttori de “I vitelloni”, a cui Alberto partecipò, per l’impuntatura del suo amico Federico Fellini. Ma la condizione fu che il nome di

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Alberto non sarebbe dovuto apparire sui manifesti. Fu il grande successo del film e del personaggio interpretato da lui, che costrinse i produttori a staccare i manifesti dai muri e a ristamparli con il nome di Alberto in bella evidenza, perché il successo al film lo aveva dato anche lui con il famoso gesto dell’ombrello rivolto ai “lavoratori della malta!”. “I vitelloni” fu l’inizio di una corsa che soltanto la vecchiaia rallentò. Un personaggio dietro l’altro che appagava la sua straordinaria voglia di raccontare i suoi italiani, di metterli alla berlina, di togliergli la pelle. E ogni volta era un atto di amore alla sua Italia. Fra Federico Fellini e Alberto Sordi ci fu una grande amicizia. I due, giovanissimi, divisero le loro amarezze e la loro gioia di vivere. Insieme avevano terrorizzato Roma con i loro scherzi al telefono. Scherzi che spesso Federico ideava e Alberto realizzava con la sua straordinaria SPQR SPORT | 93

capacità di fare tutte le voci. La voce che gli veniva meglio era quella di Amedeo Nazzari. Una volta aveva preso a telefonare a tutti gli attori più importanti, a cominciare da Vittorio De Sica, con la voce di Nazzari. «Vittorio sono rovinato — diceva — non ho più una lira…». Tutta Roma parlava del povero Nazzari in rovina. Ma quando Nazzari venne a sapere che De Sica stava raccogliendo soldi per venirgli in soccorso, ovviamente andò su tutte le furie e fece una denuncia contro ignoti. Con De Sica il rapporto fu subito di grande affetto. Si conobbero alle stanze dell’Eliseo, un ristorante annesso al famoso teatro romano, che Alberto frequentava con la sua compagna Andreina Pagnani, una grande attrice del teatro italiano. Tra gli avventori c’era un colonnello di cavalleria che parlava con la sua voce stentorea, tessendo le doti del cavallo italiano. Alberto a un certo punto si alzò, si impettì sull’attenti e cominciò a urlare: «Co-


Vittorio De Sica ed Alberto Sordi ne il film: “Il moralista”. Fra i due c’era un grande rapporto. Una sorta di affetto filiale da parte di Albertone.

lonnello Biasetti che cosa ne pensa dei nostri gloriosi alpini… mi sun alpin e me piace il vin e la barbera e il grignulin…». De Sica sorpreso esclamò: «Ma chi è questo pazzo portatemelo subito qui…». A De Sica Sordi deve “Mamma mia che impressione” il primo film da protagonista, un film da lui prodotto e, nella sostanza anche diretto, anche se firmato da altri.

A proposito di questo film, Sordi racconta un aneddoto che vale la pena ricordare, perché dimostra quanto mestiere e quanta spregiudicatezza metteva De Sica nel suo lavoro. Andarono a girare in un campetto sportivo di un piccolo oratorio e alla fine delle riprese la produzione diede al prete dieci lire di obolo, e quello si arrabbiò. «Dieci lire, dieci milioni mi dovete dare,

perché voi del cinema guadagnate miliardi». De Sica si mise a litigare con il prete: «Dieci milioni, ma si vergogni padre!». E se ne andò. A un certo punto qualcuno si ricordò che non avevano girato una inquadratura fondamentale. Allora De Sica mandò il segretario di produzione dal prete: «Digli che ci abbiamo ripensato e che siamo disposti a dargli i dieci milioni». Girarono la scena, poi risalirono sui mezzi di produzione e al prete che gli correva dietro, De Sica gridò : «Ritorneremo, non si preoccupi, per i suoi dieci milioni, stiamo andando in banca a prenderli». Alberto Sordi parlava di De Sica con molto affetto filiale. Si capiva che Vittorio De Sica è un persona che ha amato e ammirato ma è anche una persona con cui ha riso tanto, con la quale ha avuto un rapporto cameratesco di grande complicità quasi goliardica. De Sica era, insomma, per Sordi una persona che metteva allegria e che, per questo, poteva diventare il bersaglio affettuoso dei suoi proverbiali scherzi. Alberto aveva preso l’abitudine, quando camminavano fianco a fianco, di dargli sulle spalle delle piccole spinte con la mano, per gioco. E lui rispondeva invariabilmente: «E daje Alberto, nun me spigne, è tutta la vita che me spigni». Un giorno c’era la cerimonia di inaugurazione dello stabilimento della De Laurentiis e il presidente Fanfani era venuto a mettere la prima pietra. De Sica era piazzato proprio dietro di lui. Allora Alberto non resistette e gli diede una spinta, forte. De Si-

Albertone HISTORY LINE 1920

1937

Nasce a Roma, quarto figlio di Pietro, professore di musica e Maria Righetti, insegnante elementare

1936 Incide un disco di fiabe per bambini per conto della casa discografica Fonit

Entra nel cinema trovando lavoro come comparsa a Cinecittà. Vince un concorso indetto dalla Metro Goldwyn Mayer per doppiare la voce di Oliver Hardy

1938 Debutta a teatro nella compagnia di Guido Riccioli e Nanda Primavera con lo spettacolo Ma in campagna è un'altra... rosa

1945 Il doppiaggio lo rende noto. E’ la voce di Robert Mitchum, Anthony Quinn e Mastroianni.


spq ort ca perse l’equilibrio e il suo gran corpo andò a cadere sopra il piccolo Amintore che mise tutte e due le mani nella calce... Ci fu un momento di gelo. Ma De Sica rialzandosi ed aiutando il presidente a rimettersi in piedi, gridò verso Sordi: «È stato lui, è stato lui! Mi sta sempre a spigne. È tutta una vita che me spigne costui!». Ma lo scherzo più bello, tra i tanti, ed anche più audace, lo fece ai suoi amici Gino Cervi e Andreina Pagnani. Una sera si recò a salutarli al Teatro Eliseo dove recitavano una commedia di Aldo De Benedetti. La scena rappresentava una casa vuota, appena costruita, che tutti e due volevano affittare. Alberto si era messo a guardare da una quinta, in attesa che finisse la commedia. Ad un certo punto Cervi lo scorse e gli fece un segno di saluto con la mano. Alberto non ci pensò due volte: entrò in scena, si presentò (a Cervi, perché la Pagnani era scappata subito spaventata) e disse: «Sono stato chiuso qui per tre giorni perché il muratore mi aveva murato dentro per errore. Ora, grazie a voi posso finalmente uscire e raggiungere la mia famiglia che sarà certamente in pensiero». Strinse la mano a Cervi sbalordito ed uscì. Il pubblico non capì, ma pensò forse che la sua strampalata apparizione fosse prevista dal copione. Ho ripensato alle serate passate con lui, con gli amici importanti ma anche con la gente semplice che lo amava e che lui riamava. Perché Alberto amava la gente con cui comunicava quasi con avidità. Alberto era

1947 Esordio alla radio con i programmi di varietà “Rosso e nero” e “Oplà” presentati da Corrado.

sempre Alberto anche nella vita privata. Quando qualcuno mi chiedeva «come è Alberto Sordi nella vita?» io gli rispondevo: «Così come lo hai conosciuto al cinema». Sempre allegro, con un cervello sempre in movimento, per cogliere un momento ridicolo, per prendere al volo una battuta fulminante. Mi è capitato anche di vederlo insieme ad amici comici. Ebbene la scena era sempre la sua, con gli altri a fare da spettatori divertiti, e con Monica Vitti a incalzarlo: «Dai Alberto, racconta di quella volta…». Ho ripensato alla sua vita privata e discreta, condotta da vero cristiano che segue il dettato del Vangelo: “non sappia la sinistra quello che fa la destra”. E la “sinistra” non seppe mai della sua opera benefica, della sua grande generosità. Lui pubblicamente passava per avaro anzi era l’Avaro per eccellenza, quello con la a maiuscola. Fu con questo argomento che lo convinsi ad interpretare l’Avaro di Moliére. Tonino Cervi, il regista, mi disse che Alberto aveva molti dubbi. Io andai a trovarlo e cominciai a dirgli che alla sua età (aveva una settantina di anni) doveva dedicarsi ai classici, che in fin dei conti lui era il Molière del nostro tempo e via di seguito. Alberto mi stette un po’ a sentire poi tagliò corto: «Tu vuoi che io faccia l’Avaro, perché alludi?» disse. «Certo che alludo, e già vedo il manifesto del film che dice: Alberto Sordi è l’Avaro di Moliére!». E lui di rimando: «E allora perché non lo fai fare a un mio collega (fece nome e cognome ma io non lo riferirò) che

1951 Gli viene assegnato il primo ruolo importante in un film, “Mamma mia che impressione” su sceneggiatura di Cesare Zavattini

UN POSTO SPECIALE NEL NOSTRO MAGAZINE Alberto Sordi è stato alcune volte protagonista nelle pagine di SPQR SPORT. Lo abbiamo immortalato come grande interprete sportivo dedicandogli una copertina (come si può vedere nell’immagine qui sopra) che ha fatto da richiamo ad un lungo servizio all’interno dove è uscito fuori l’Albertone calciatore e di conseguenza il tema ci ha portato a trattare uno dei film che l’hanno reso sempre più popolare come “Il Presidente del Borgorosso Football Club”. Ma Sordi ci ha dato spunto anche per altri sport come ad esempio il baseball, una disciplina che fa da cornice ad uno dei suoi mitici personaggi, Nando Mericoni nel film “Un americano a Roma”. Insomma come la metti la metti bene. Con Alberto Sordi non si rischia mai di sconfinare nel banale.

1952 Viene diretto per la prima volta da Federico Fellini che lo vuole con sé nel film “Lo sceicco bianco”

1953 Fa la sua ultima apparizione nel teatro di rivista con “Gran Baraonda”, scritto e diretto da Garinei & Giovannini.


è certamente più avaro di me?». E io di rimando: «Ma lui è soltanto un volgare tirchio!». Accettò e fece un film bellissimo. Lui in pubblico giocava con questa sua fama di avaro, mentre soltanto pochi amici sapevano di quello che faceva per gli anziani, per i bambini abbandonati, per i portatori di handycap. Alberto passava per avaro, perché lui lo aveva sollecitato con il suo comportamento. Una volta gliene chiesi il perché. Lui mi rispose: «Vedi, io sono stato arricchito dalla povera gente che faceva sacrifici per venire a vedere i miei film, per questo mi sarebbe sembrato di offenderli se avessi ostentato la mia ricchezza». Fu così che nella sua villa non si fecero mai feste hollywoodiane, fu per questo che Alberto non possedette mai una barca, fu per questo che la sua automobile fu sempre quella media, dell’italiano medio. La sua ultima macchina è

stata una Fiat Punto. Sarà avaro, dissero quelli che erano abituati a dissipare ricchezze e non capivano le sue nobili motivazioni morali. E avaro è stato fino all’ultimo, fino a quando, dopo la sua morte, non è stata svelata la verità che pochi amici, vincolati dallo stretto segreto, conoscevano. Ho ripensato alla sua vita discreta dedicata al lavoro e segnata dalla rinuncia ad una famiglia propria con figli che portano il tuo nome e che danno continuità alla vita. Gli chiesi i motivi. E lui mi disse che di figli ne aveva fatti tanti ed erano i suoi film. Questi film-figli Alberto li custodiva gelosamente conservava tutte le copie cinematografiche, i copioni, le foto di scena, i ritagli dei giornali, talvolta anche il costume) e li amava con eguale passione. Se gli chiedevi quale fosse il suo film preferito rispondeva immancabilmente che un padre ama i propri figli con lo stesso affetto, quelli che hanno fatto una buona riuscita come quelli che sono riusciti meno bene. Però di alcuni dei suoi film parlava con maggiore trasporto. Ora che lui non c’è più lo possiamo dire: tra i suoi film preferiti c’erano “La grande guerra”, “Tutti a casa”, “Una vita difficile”, “Polvere di stelle”, “Fumo di Londra”, “Un americano a Roma”, “Bello, onesto, emigrato in Australia”, “Il vigile”, “Il mafioso”, il profetico “Finché c’è guerra c’è speranza”, “Amore mio aiutami”. I suoi preferiti erano insomma i film che hanno raccontato il nostro Pae-

se, quelli che hanno raccontato l’italiano nei momenti cruciali della sua storia, dalla devastazione della guerra, alla ricostruzione, con le speranze e le aspirazioni per una vita migliore che si andavano realizzando, fino al miracolo economico quando gli italiani scoprirono il benessere, fino alla crisi. Negli ultimi anni Alberto non trovò più ispirazione in questa Italia molle, smemorata e massificata e sommersa nel benessere e nel consumismo fino a perdere ogni identità nazionale, in preda a una “cupio dissolvi” che ci lascia sbigottiti. E non a caso il suo ultimo film bello è “Nestore”, dedicato al dramma della vecchiaia. Ne parlo con tanta confidenza perché ho avuto la fortuna di essergli stato amico per un quarto di secolo, grazie alla realizzazione di uno straordinario programma televisivo che si chiamava “Storia di un italiano” e negli anni ho avuto la possibilità di vedere l’affetto con cui era accolto in tutta Italia e in tutto il mondo. A Milano era, se possibile, più popolare che a Roma, perché a Roma era uno di famiglia che si vede tutti i giorni mentre a Milano era come un’apparizione. Ho visto centinaia di persone aspettarlo sotto il suo albergo di Parigi. Ho visto la gente fare la fila davanti al Lincoln Center di New York per vedere “Storia di un italiano”. Ho visto Jack Lemmon prostrarsi ai suoi piedi e pronunciare davanti al pubblico incredulo: «That’s my teatcher (questo è il mio maestro!)». Mi fu rac-

HISTORY LINE

1957

1954 Il cinema lo consacra. In un anno escono 13 film da lui interpretati fra cui “Un americano a Roma” di Steno.

1956

Sordi s’iscrive alla SIAE come suonatore di mandolino, strumento che gli era familiare dalla Seconda Guerra Mondiale.

Con “Lo scapolo d’oro” di Antonio Pietrangeli vince il suo primo Nastro d’Argento.

1958 Riceve il titolo di Commendatore dell’Ordine della Repubblica dal Presidente Giovanni Gronchi

1959 Riceve la “Medaglia d’oro” del Premio “Una vita per il cinema” grazie ai suoi personaggi.


spq ort

contato di un suo viaggio in Russia con il pubblico delirante davanti a lui che indossava uno smoking bianco. A un certo punto Alberto si mise a urlare al microfono: «Diteglielo a Breznev che, invece di buttare i soldi nei missili, vi comprasse a tutti lo smoking…». La sua compagna degli anni della giovinezza, Andreina Pagnani (una grande attrice, che il pubblico ricorda soprattutto nella parte della signora Maigret), sul letto di morte gli disse: «Caro Alberto, mi hai fatto tanto piangere, ma ti perdono perché mi hai fatto tanto ridere». E la sua morte ci ha fatto piangere tutti, ma è stata anche una straordinaria occasione per ridere di nuovo dei suoi personaggi delle sue battute. «America’ faje Tarzan!», è lo striscione più significativo fra tutti quelli che i suoi fans in lacrime gli hanno dedicato. Ho ripensato a tutte queste cose, e a tante altre ancora, quando l’ho visto per l’ultima volta composto nella bara e mi è venuta in mente una frase che ho scritto nel libro in cui i suoi fans lasciavano la loro firma: «Caro Alberto, la tua vita è stata talmente bella che viene la voglia di chiedere il bis!». Alberto fu un attore precocissimo, Alla fine della guerra, pur essendo ancora giovane, aveva dietro di sé un curriculum molto denso: aveva interpretato diversi film, avevo fatto il teatro di rivista (le due Zabùm e Soffiasò) ed era una delle ‘voci’ più note del doppiaggio. Eppure anche lui, come quasi tutti gli italiani,

dovette ricominciare daccapo. Era come se la guerra avesse spazzato via ogni cosa, come se tutti volessero dimenticare il passato. Dopo un attimo di smarrimento, si guardò intorno alla ricerca di un mezzo che gli facesse recuperare il tempo perduto e che gli permettesse di raggiungere rapidamente il pubblico di tutta Italia. Il mezzo c’era: era la radio che a quell’epoca stava diventando alla portata di quasi tutti gli italiani. Alberto capì che attraverso la radio avrebbe fatto il primo passo importante della sua nuova carriera. Però bisognava arrivarci, superare ostacoli tutt’altro che agevoli, forzare un ambiente chiuso che si difendeva dai ‘nuovi’ e dagli ‘intrusi’. L’idea e il personaggio da proporre li aveva ed erano ispirati all’Italia di allora o, meglio, a un’Italia che Alberto conosceva bene, quella dell’Azione Cattolica, dei ‘giovani esploratori’, insomma dei ‘Compagnucci della Parrocchietta di Don Isidoro’. Che nella nuova Italia democratica si preparavano a diventare classe dirigente. Il personaggio aveva tutte le caratteristiche necessarie per fare presa sul pubblico: era petulante, assillante, era egoista e arrivista, mascherato dietro un’apparenza caritatevole e altruistica. Purtroppo aveva un grave difetto:

1960

1963

Grazie alla sua interpretazione ne “La grande guerra” riceve il secondo Nastro d’Argento e il primo David di Donatello.

Arriva la notorietà negli Stati Uniti con il film “Il diavolo”, per cui è premiato con il prestigioso Golden Globe

era ispirato alla realtà ed allora la radio era concepita soltanto come pura evasione. E Pugliese il direttore della radio non ne voleva sapere. Finché non gli venne in soccorso un colpo di fortuna incredibile. A quell’epoca a Roma di giovani come Nando Mericoni ce n’erano molti: costretti a vivere in una realtà poco esaltante, fatta per lo più di miseria e di disoccupazione, finivano per rifugiarsi nel sogno americano, così come veniva loro proposto dal cinema e dalla pubblicità. Nando e il Compagnuccio avrebbero avuto uno sviluppo diventando senz’altro i prototipi di due categorie di italiani che Sordi successivamente si accanirà a rappresentare. Il Compagnuccio si intuiva che avrebbe fatto strada, che sarebbe diventato qualcuno, all’ombra della parrocchia di don Isidoro: era facile intuire che prima o poi avrebbe messo a frutto la sua furbizia e il suo arrivismo che si nascondeva dietro l’apparenza di stupidità e sprovvedutezza. Nando Mericoni è riapparso invecchiato in un film degli anni Settanta (“Di che segno sei?”), oramai sistemato: va ancora in giro con la sua mastodontica Harley Davidson, questa volta non per gioco ma per lavoro. Dopo un passato burrascoso e precario, è stato assunto come tutore dell’ordine privato, come vigilante al servizio di un commendatore danaroso che teme di essere sequestrato. Alla fine del film, Nando, che sta banchettando insieme ai suoi colleghi al tavolo accan-

1966 Per la prima volta si cimenta nel ruolo di regista dirigendo “Fumo di Londra”. Partecipa in Tv a Studio Uno condotto da Mina.


DODICI GIORNI DI EVENTI A UN DECENNIO DALLA SUA SCOMPARSA Ben dodici sono stati i giorni dedicati a Sordi attraverso una sequela di proiezioni, concerti, stralci di programmi radiofonici. A Villa Borghese è stato a lui intitolato un viale. Un cammino culturale chiuso alle 20.30 del 25 Febbraio con la proiezione del film “Un Americano a Roma” alla Galleria Sordi.

to a quello dei commendatori, pronuncia una battuta agghiacciante, mentre addenta abbacchio e bucatini all’amatriciana: «Approfittiamo di questo momento che c’è il boom della paura!». Ecco, finalmente in questa Italia malata e mostruosa

uno sempre emarginato come Nando Mericoni ha trovato una sua occupazione stabile, un suo ruolo preciso. Non solo, ma finalmente quello che era stato il

Albertone HISTORY LINE 1967

1972

Negli Stati Uniti dirige, cura la sceneggiatura insieme a Sonego e interpreta, a fianco di De Sica, “Un italiano in America”.

Con “Detenuto in attesa di giudizio” vince sia il David di Donatello, sia l’Orso d’Argento a Berlino come migliore attore.

1969 Vince il David di Donatello per il film “Il medico della mutua” di Luigi Zampa, grandissimo successo di pubblico.

1977 Arriva l’interpretazione toccante e drammatica in “Un borghese piccolo piccolo”. Viene premiato col sesto David di Donatello della sua carriera.

1978 Dirige l’episodio “Vacanze intelligenti” all’interno del film “Dove vai in vacanza?”, riuscendo con grande maestria ad ironizzare sulla Biennale d’Arte di Venezia.


spq ort

di Via Druso di mobili di grande valore e quando la casa non poteva più contenerne, comprava una villa, la arredava secondo il suo gusto e poi la rivendeva, magari rimettendoci, ma appagando così il suo hobby. Alberto aveva una bellissima voce da basso profondo che non riuscì mai a sfruttare. La passione gli era venuta perché il suo papà Pietro suonava il basso tuba nell’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. Soltanto nel film “Mi permette babbo”, con Aldo Fabrizi, riuscì a raccontare questa sua passione. Lo fece raccontando di un giovane cantante lirico che aspira a debuttare all’Opera in una parte secondaria che è quella del dottore della “Traviata”. Inventò canzoncine strampalate come le sue imitazioni assurde. Lui cantava, spacciandosi per il maestro Gambara, canzoni come “Carcerato”, come “Nonnetta”, con

suo hobby giovanile è diventato lavoro. Insomma, oggi le creature giovanili di Sordi, il Compagnuccio della parrocchietta e Nando Mericoni, chi più e chi meno, hanno fatto carriera. Una volta gli chiesi che cosa avreb-

1979 Insieme a Giancarlo Governi porta in Tv “Storia di un italiano” realizzata in 4 edizioni, una selezione tematica di spezzoni dei suoi numerosi film

be fatto se non fosse diventato quel grande attore che era. Lui mi disse: «Avrei fatto l’antiquario». La passione per l’antiquariato gliela aveva trasmessa il grande antiquario Apolloni di cui era amico. Alberto prima si riempì la sua bella casa

1981 Gira “Il Marchese del Grillo”, diretto da Mario Monicelli, una pellicola che è una pietra miliare del cinema italiano

1982 Lavora per la prima volta insieme con Carlo Verdone nel popolare film “In viaggio con papà”

1985 Dimostra ancora una volta un eccezionale acume con il film “Tutti dentro”, che anticipa le vicende di Tangentopoli.


Il regista Federico Fellini firma autografi insieme ad Alberto Sordi. I due sono a Venezia per partecipare con “I vitelloni” al Festival del Cinema del 1953.

versi assurdi come “Nonnetta tu sei paralitica, non puoi camminar ma ritmar certo potrai…”. Oppure come “Sono carcerato… ritmo sincopato…”. Il pubblico all’inizio si sentiva provocato da tanta iattanza e spesso

reagiva male ma i più avvertiti capirono che avevano a che fare con un tipo speciale.Ogni momento però è buono per riflettere sulla figura e l’opera di questo grande, immenso italiano. Spesso mi domando: ma Alberto Sordi è stato un comico? Certamente sì. Uno dal quale ci si aspetta sempre la battuta e il risvolto che provochi la risata. Ma se restassimo solo a questa definizione, cioè al suo essere comico, faremmo un grande torto a lui e al cinema italiano. Perché Sordi è stato attore a tutto tondo: drammatico, tragico, grottesco e chi più ne ha più ne metta. Solo che tutte queste componenti erano forse rese più vere e più pregnanti proprio dalla sua natura di

comico, che dava ai personaggi e impensabili sfaccettature vere.Sordi è stato soprattutto uno “storico”, perché ha raccontato gli italiani e l’Italia negli anni del dopoguerra, della ricostruzione, del miracolo economico e della crisi e oggi, se fosse ancora fra noi, certamente sarebbe il testimone della decadenza del nostro Paese. Fra duecento anni se ci sarà ancora qualcuno che vorrà studiare l’Italia e gli italiani del Novecento gli sarà sufficiente studiare i film di Alberto Sordi. Per questo alla domanda, che mi sono posto e che mi viene sovente posta se Alberto Sordi sia stato un attore o un comico mi viene da rispondere: Sordi non è stato nulla di tutto questo, ma è stato e sarà per sempre Alberto Sordi.

Albertone HISTORY LINE 1986

1994

Continua la collaborazione proficua con Carlo Verdone che questa volta ha l’onore di dirigerlo in “Troppo forte”.

Riceve il 16 Marzo l’onoreficenza di Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana.

1989 Nella trasposizione televisiva de “I promessi sposi”, per la regia di Salvatore Nocita, interpreta il ruolo di Don Abbondio.

1995 Ottiene il prestigioso riconoscimento del Leone d’Oro alla carriera in occasione del Festival del Cinema di Venezia.

1998 Dirige il suo ultimo film “Incontri proibiti”, ma non ebbe un grande successo. Protagonista della pellicola Valeria Marini


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Ciao grande Maestro 2000 Il sindaco di Roma, Francesco Rutelli, gli cede per un giorno la fascia tricolore. Lo ‘scettro’ della sua città.

2002 È la sua ultima apparizione televisiva, partecipando al programma “Italiani nel mondo” condotto da Pippo Baudo.

2002 Riceve presso l’Università Iulm di Milano la laurea Honoris Causa in Scienze e Tecnologie della Comunicazione

2003 È l’anno della sua morte. Ai funerali, celebrati nella Basilica di San Giovanni in Laterano, partecipano oltre mezzo milione di persone


PRIMA PUNTATA

POLITICA, SPORT E TERRITORIO

Il pensiero dei Consiglieri di Roma Capitale sullo sport. È il turno di Dario Nanni del Partito Democratico

GIOVANI

e periferie

o sport, la natura, gli animali, il patrimonio culturale. Roma è tutto questo, e c’è chi per questo lavora da anni. Ai microfoni di SPQR SPORT parla Dario Nanni, Consigliere Comunale del Partito Democratico, che ha fatto molto in questi anni per il trinomio sport, giovani, periferie. Alla prossima tornata, conta di rendere operativi i punti programmatici e le idee espressi in questa intervista. Per il Partito Democratico un

L

di Mirko BORGHESI

politico con le idee chiare, in prima linea con le sue volontà. Lo sport a Roma. Quanto c’è ancora da fare per i giovani e le periferie? «Innanzitutto bisognerebbe ripensarlo come un importante valore sociale. Si pensa che chi insegna e gestisce attività sportive lo faccia solo per business. Mi permetto di ricordare che a fronte di una minima parte che proba-

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bilmente è spinta solo dal denaro, ci sono molte persone che invece lo fanno per passione e con grande dedizione. Penso alle centinaia di polisportive e associazioni sportive a conduzione familiare. Ne conosco tante in periferia, le quali, pur avendo a disposizione piccoli spazi e poche risorse, svolgono un ruolo fondamentale per la formazione dei giovani, in alcuni casi scoprendo dei veri talenti».


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Quanto c’è ancora da fare a Roma, e cosa si sente di promettere ai cittadini se sarà rieletto? «Il mio slogan è “Tutto il mio impegno per Roma”. Quello che prometto è di continuare a lavorare come abbiamo fatto in questi 5 anni, con dedizione, trasparenza e amore per la nostra città. In questi anni sono sempre stato presente alle sedute dell’assemblea che si sono regolarmente svolte. Sono stato il consigliere che ha presentato più interrogazioni, chiedendo conto di alcune scelte, ma nel contempo sono stato quello che ha presentato più proposte di delibera, proposte concrete sulla mobilità, sulla raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, sulla sicurezza stradale, sulla regolamentazione per l’apertura delle sale giochi e l’installazione delle slot machine. Continuerò a rappresentare i cittadini nel miglior modo possibile, con un lavoro quotidiano molto concreto, non facendo differenza, come ho fatto in questi anni, tra la domenica e gli altri giorni della settimana. Conti-

nuerò a farlo per l’amore smisurato che nutro per la nostra città e per la responsabilità che sento nel rappresentare i suoi cittadini. Molti miei colleghi lo dimenticano, ma non c’è cosa più importante di cui andarne fieri, ovvero essere delegato da altri cittadini a rappresentarli». Cosa vuol dire sport per lei? «Lo sport ha un importante valore sociale, soprattutto in questa fase storica. Svolge un ruolo pedagogico per i ragazzi, permettendo loro di crescere in ambienti sani ed imparare i principi del rispetto dell’altro e della convivenza. Sport significa gioco di squadra, fatica, sudore, disciplina e senso del sacrificio per raggiungere un obiettivo. Credo che nei quartieri periferici della nostra città l’attività sportiva sia in grado di sopperire alle mancanze ed alle lacune di altri settori. Il lavoro che abbiamo fatto in questi anni per lo sport, è stato condiviso con tante realtà, dalle associazioni sportive alle polisportive, le quali con impegno e passione consentono a

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tanti giovani di dedicarsi a tante attività sportive dal gioco del calcio, alle arti marziali dal pattinaggio alla danza». Quali sensazioni le offre l’attività sportiva? «Sono emozioni importanti e piacevoli. Trovo che sia utile non solo per il corpo, ma anche per la mente. In una società complessa e convulsa come quella di oggi, l’attività sportiva è motivo di riflessione. Ho sempre fatto sport: corro, ho giocato a calcio ed mi sono cimentanto anche in altre discipline. Ma la mia vera passione è il trekking. L’estate vado in montagna, in Trentino, e poi ogni tanto mi concedo qualche scarpinata in Abruzzo, da solo o con amici. Da quando faccio l’amministratore ho meno tempo per fare sport, ma in compenso sopperisco con i ritmi che ho nel fare politica». Quali sport segue con interesse? «Seguo personalmente il rugby e la pallavolo. Le altre discipline ed i grandi eventi sportivi, come il calcio e il motociclismo, li seguo in televisione. Mi pia-


POLITICA, SPORT E TERRITORIO ce seguire il calcio dilettantistico, i piccoli tornei di judo, jujitsu e scherma o i meeting di atletica leggera anche di piccole società. Mi tengo quotidianamente aggiornato sugli eventi, lo sport fa parte da sempre della mia vita». Cosa si porta dietro dalle esperienze sportive quotidiane, nella sua vita politica? «In primo luogo, l’esperienza sportiva mi ha insegnato che senza sudore, senza fatica, senza abnegazione e preparazione non si ottiene nulla e non si raggiungono i propri obiettivi. Io sono il prodotto del mio lavoro costante e quotidiano. La stima e l’affetto di tante persone è in funzione del mio impegno, sia nelle istituzioni che sul territorio, con un rapporto diretto con i cittadini. In secondo luogo fare sport mi ha insegnato l’importanza del gioco di squadra. L’uomo, da solo, non va da nessuna parte. In una squadra ciascuno ha un proprio ruolo, ma alla fine si deve tendere tutti ad un unico obiettivo. È proprio quello che manca in questa fase concitata della politica italiana, il bene comune, lavorare per l’interesse generale, per la nostra città, per il nostro paese al di là del proprio schieramento». La bicicletta a Roma. Qualcosa su cui ti sei impegnato vero? «Vero, ho speso molte energie per mettere in sicurezza coloro che usano la bici e per avere una città a misura d’uomo. A Roma solo il 3% delle utenze utilizza le due ruote, mentre in altre città si va dal 15% in su. Abbiamo proposto molti interventi per aumentare la sicurezza di chi sceglie di muoversi utilizzando le due ruote. Inoltre abbiamo proposto la realizzazione di “zone 30”, l’installa-

zione di rastrelliere davanti agli ospedali, nei centri commerciali, nelle scuole, l’incentivazione del bike sharing e la realizzazione di una ciclovia che va dalla stazione Aurelia al Centro Storico, realizzabile senza spendere un euro, un percorso che utilizzando strade secondarie e quelle già pedonalizzate permetterebbe di collegare un importante snodo ferroviario con il centro della città». Passioni ed Hobby? «Dedico gran parte delle mie giornate al lavoro, all’amministrazione della nostra città. Il tempo che rimane è ben poco, ma cerco comunque di conciliare gli impegni lavorativi con i miei hobby. Innanzitutto l’amore per l’arte in tutte le sue forme: il Teatro, il Cinema, la Musica, la Pittura. Inoltre sono appassionato di geopolitica, nata durante gli studi universitari e quindi coltivo questo interesse documentandomi sugli aspetti geografici, economici e politici del continente». Perché ha iniziato la carriera politica? «Mi sono candidato perché vedevo che la disponibilità e la fiducia che avevo riposto in alcune persone non aveva trovato i risultati sperati. Nel 2006, mi chiedevano di candidarmi e così ho deciso farlo per la prima volta, senza risorse, senza appartenere a gruppi o correnti varie. Autonomia e libertà che ho mantenuto negli anni e che mi viene unanimemente riconosciuta come tratto distintivo. L’impegno profuso in questi anni, è il risultato di un rapporto diretto e quotidiano con i cittadini. Sono onorato ed orgoglioso di rappresentare la mia città ed i suoi cittadini, cercando di farlo nel miglior modo possibile».

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Sport è anche natura. Il suo rapporto con essa… «È un rapporto quotidiano. Sono uno dei consiglieri più attenti alle vicende legate agli insediamenti urbani. Roma è la città più bella del mondo e ci sono patrimoni che devono essere preservati, come quello del centro storico, ma anche le zone dell’Agro Romano, ma anche parchi, ville, strade antiche e monumenti che sono, o meglio dovrebbero essere la nostra ricchezza. Sport e natura sono un binomio quasi indissolubile. Amo la natura da andare spesso in Trentino, uno dei polmoni verdi dell’Italia. Quando posso mi concedo però qualche bella passeggiata sulle montagne limitrofe alla nostra capitale». Il rapporto con gli animali è bello come quello con la natura? «Li adoro, e avendo anche un po’ di spazio davanti casa posso condividere con loro parte del tempo. Ho avuto alcuni cani, attualmente abbiamo una gattina. La mia casa però ha visto veramente tante creature… dalle tartarughe ai canarini, fino al coniglio dei miei figli. Credo sia molto positivo per la crescita dei ragazzi far condividere loro, di pari passo, la crescita di un animale. Averli comporta però anche delle responsabilità. Grazie al piccolo spazio che ho a disposizione hanno però sempre avuto la loro libertà e autonomia, senza costrizioni». Torniamo allo sport. Un personaggio di riferimento? «Bella domanda. Non m’identifico con un atleta in particolare, ma in una squadra e la prima che mi viene in mente è la squadra italiana di Rugby. Ripeto, per me lo sport è soprattutto la forza della squadra, quindi nomino loro».



SPORT AMERICANI

II PUNTATA:

dopo il baseball è la volta del football americano

Dal business USA all’Italian Style avanti a circa 71mila spettatori allo stadio, e oltre 110 milioni davanti alla tv, la tradizionale finale del campionato professionistico di football ha mantenuto tutte le promesse della vigilia: Beyoncé ha esaltato il pubblico con un incredibile show tra il primo e il secondo tempo, i “fratelli coltelli”, Jim e John Harbaugh, seduti sulle due panchine, al fischio finale si abbracciano e si scambiano le congratulazioni di rito. Per non parlare degli spot miliardari, che come capita ogni anno, si sono dati battaglia in uno show, dentro lo show. Il titolo Nfl se lo sono aggiudicato i Ravens di Baltimora, il secondo della loro storia, battendo con una finale al cardiopalma i San Francisco 49ers per 34-31. Il 47esimo Super Bowl, giocato a New Orleans, il primo dopo la tragedia di Katrina, si è tinto però di giallo. Un improvviso black out di luce ha messo quasi al buio il Mercedes Benz Superdome nel bel mezzo del match con i Ravens in grande vantaggio. L’incidente ha provocato immediatamente la sospensione della gara per lunghissimi 35 minuti, durante i quali le due squadre sono rimaste in campo per non perdere la concentrazione. Alla ripresa del gioco, i giocatori di San Francisco sembrano rinati: corrono, spingono e cominciano a crederci. Di contro, i Ravens paiono svogliati e imprecisi. I valori in campo sono ribaltati rispetto alla prima meta: i “Niners” mostrano di avere una marcia in più fisica e tecnica. E touchdown dopo touchdown quasi raggiungono gli avversari. Una rimonta entusiasmante, che però non basta a ribaltare il risultato. A dieci secondi dalla fine, mancano l’ultimo tentativo di realizzare quella meta che avrebbe segnato il sorpasso. Così, alla fine, seppur di un soffio, e con grande affanno, la coppa di cristallo dedicata a Vince Lombardi prende la strada della East Coast.

D

Una sorta di mito che rasenta spesso la leggenda. È dal lontano 1869 che in America l’amore per questo sport non conosce black out. Una escalation continua sfociata addirittura negli Anni Settanta quando il football americano ha operato il sorpasso sul baseball in fatto di maggior numero di tifosi...

E NEL SUPERBOWL, I RAVENS CONQUISTANO L’AMERICA SPQR SPORT | 106


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di Antonio MAGGIORA VERGANO foto: Getty Images

ultimo Super Bowl disputato a New Orleans tra Baltimore Ravens e San Francisco 49ers ha dimostrato ancora una volta come il football professionistico targato NFL non abbia rivali tra gli sport “made in Usa”. I contratti televisivi e di pubblicità (oltre 100.000 euro al secondo) sono il massimo che si possa chiedere ed avere negli Stati Uniti e l’internazionalità del football continua a crescere, tanto che per la stagione prossima saranno due le partite, valide per la classifica, che verranno disputate a Wembley. Un po’ come il baseball è figlio del cricket, così il football lo è del rugby. Il primo incontro ufficiale, ma con regole diverse da quelle attuali, è del 1869, tra le università di Princeton e Rutgers, mentre il primo manuale di gioco è del 1889, scritto dall’allenatore di Yale, Amos Alonzo Stagg. La nascita del football a livello professionistico è datata 1920, ma la vera esplosione arriva quando le due leghe principali NFL e AFL si unificano, diventando rispettivamente NFC e AFC, dando vita al primo Super Bowl della storia nel 1967. Negli Anni ’70 avviene il sorpasso sul baseball e il football pro diventa lo sport che raccoglie il maggior numero di tifosi, quindi gli sponsor più interessanti e soprattutto i contratti televisivi più onerosi. Il football americano possiede una storia molto recente in Italia, che si lega a doppio filo con il batti e corri. Nel 1972 a Genova nasce infatti la Federazione Italiana Football, con presidente Bruno Beneck, che ricopriva lo stesso ruolo nella Fibs (federazione italiana baseball e soft-

L’

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ball) e vicepresidente Giuseppe Prisco, ma solo cinque anni più tardi si svolge il primo torneo Lif a Marina di Massa con le squadre partecipanti legate ai quotidiani sportivi (Gazzetta dello Sport Diavoli Milano, Corriere dello Sport Lupi Roma, Tuttosport Tori Torino e Stadio Veltri Bologna). Le tre gare (finale vinta dai Tori sui Diavoli e raccontata in Rai da Giampiero Galeazzi) raccolgono 12.000 spettatori e 25 milioni di incasso. Del 1980 il primo campionato Lif, vinto dai Lupi Roma, poi nel 1981 la nascita e la concorrenza dell’Aifa, guidata da Giovanni Colombo, presidente dei Rhinos Milano, costringe la Lif a chiudere a metà torneo. Il primo Super Bowl italiano viene così disputato nel 1981 a Santa Margherita Ligure, con il successo dei Rhinos Milano. L’interesse per questo nuovo sport sale in maniera SPQR SPORT | 108

esponenziale fino al 1986, con il Super Bowl VI disputato a Bologna e vinto dai locali Warriors sugli Angels Pesaro, che vede sugli spalti oltre 20.000 spettatori. Di fatto si raggiunge un successo più grande rispetto al movimento rappresentato. Nonostante l’ingresso nel Coni (1988 come Fiaf, Federazione Italiana American Football), la parabola del football diventa discendente negli anni ’90 e precipita verso la fine del secolo, con diverse squadre di vertice e non, costrette a chiudere i battenti a causa di problemi economici. La Fiaf viene cacciata dal Coni a causa dei suoi debiti ed è costretta a trasformarsi in Nfli con il campionato di vertice che scende fino a sole 5 squadre. Dalla metà degli anni 2000 la progressiva rinascita (squadre, praticanti e anche l’interesse dei media) e dallo scorso anno anche il ritorno nel comitato


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olimpico come Fidaf. A Roma, dopo il breve tentativo di tenere testa all’Aifa con la Lif, ci sono Grizzlies e Gladiatori a essere le squadre simbolo degli anni ’80, ma nascono anche realtà di provincia e non come le Linci Roma, i Cavalieri dei Castelli Romani e i Lumberjacks Fiuggi. Gli Orsi spesso sono al vertice della classifica (i primi a battere i Rhinos Milano) e dominano i derby fino al 1987, prima di scomparire l’anno successivo. In maglia Grizzlies ha disputato qualche gara anche l’ultimo italiano (nato e cresciuto nel nostro paese) ad aver giocato nella Nfl: Massimo Manca. Sardo di origine ma romano d’adozione, Manca è andato a studiare all’Università di Penn State, una delle più importanti per il programma di football negli Stati Uniti, e come kicker (calciatore) ha segnato diversi record nel torneo Ncaa. Nel

1987, approfittando dello sciopero che bloccò il torneo e costrinse i proprietari a rivolgersi a giocatori meno forti dei titolari che non volevano scendere in campo, fu impiegato in tre partite dai Cincinnati Bengals, mettendo a segno 6 punti (un field goal e tre extra point). Negli anni ’90 i Gladiatori, passati dal bluargento originale al giallorosso nel 1989, hanno raggiunto tre Super Bowl (persi tutti di misura nel 1993, 1995 e 1996), diverse finali giovanili (con un titolo nel 1995) potendo contare su tutti i migliori giocatori romani, dopo la scomparsa dei Grizzlies e la fusione con i giovani Hunters. Nel 1999 l’Italian Bowl (finale di A2) vinto dai Gladiatori, poi la realtà più importante sono diventati i Marines Ostia, che come Lazio Marines (ultima disciplina della polisportiva tenuta a battesimo dal presidente Nostini) sono arrivati al SPQR SPORT | 109

Super Bowl nel 2009 (battuti dai Giants Bolzano). Negli anni 2000 però sono cresciute altre realtà come i Barbari Roma Nord (un titolo giovanile nel 2005 e 4 Lenaf, il campionato di A2 senza americani, compreso quello 2012) e i rinati Grizzlies che nel 2011 hanno portato a casa lo scudetto under 18 e hanno perso nel 2012 la finale di A2 contro i Barbari. Attualmente a Roma disputano campionati Fidaf i Lazio Marines in IFL (A1), i Barbari Roma Nord (campioni in carica), i Grizzlies Roma e la Legio XIII in Lenaf (A2), Gladiatori Roma e Black Hammers Ostia in CIF9 (B). I campionati sono partiti a fine febbraio e per le squadre romane di Lenaf e CIF9 con due derby. Fino a giugno sarà possibile, a parte la settimana di Pasqua in cui tutti i tornei riposano, seguire il football nella Capitale praticamente ogni week end.


n o i s s a P n a c i r e m A football Il . e m u t i os meno di c i milioni e milioni d a o n e f a o iv d M eno sport to dalla passione viscerale. sto o d o m Da fenom a in t e n disciplina sità di qu o è alime american che vivono questa ama sulla pericolo b si cia di statuniten battuta di Barak O dato vita ad una s ntrate dopo te sport ha subito rie o una recen n o s e h ente Usa c id e s h e ic r P m l le a o p te d ioni offer z a g ie p s le

ato negli Stati Uniti alla fine del secolo scorso, il football americano riassume in sé alcune caratteristiche del calcio e altre del rugby. Sport estremamente duro, al punto che si dovettero creare nuove regole per limitare i danni ai giocatori, già alla fine degli anni Venti il football americano era, con il baseball e la pallacanestro, lo sport più amato del Nord America. Negli Stati Uniti esiste la NCAA (National Collegiate Athletic Association), un’associazione che regola il football americano a livello universitario; per i professionisti è stata creata nel 1922 la NFL (National Football League). I tifosi riempiono sempre gli stadi, c’è una attesa spasmodica per i grandi appuntamenti che sfociano nel Super Bowl, una manifestazione che tiene incollati al video milioni e milioni di appassionati. Intorno al football ruota negli Usa un grande movimento che regala alla macchina organizzativa una montagna di dollari grazie alle sponsorizzazioni e agli spot. I grandi giocatori firmano contratti con cifre da diversi zeri. Un fenomeno che va al di là del solo aspetto sportivo. Anche se ultimamente qualche scricchiolio nel faraonico ambiente del football americano si è cominciato a sentire. A aprire il tavolo delle polemiche è stato nientedimeno che il presidente Barack Obama che ha accusato la disciplina di essere troppo violenta. «Credo che quelli che amano questo sport - ha detto Obama a proposito del football - devono capire che probabilmente bisogna cambiarlo gradualmente per tentare di ridurre in parte la violenza. In alcuni casi sarà un po’ meno emozionante, ma sarà molto meglio per i giocatori». L’intervista a The New Republic, uscita poche settimane fa, sta facendo discutere. Il problema, in verità, è sul tappeto da tempo a causa delle numerose commozioni cerebrali ed i problemi derivati di cui ha sofferto un gran numero di ex giocatori, devastati da placcaggi e tuffi. «Se avessi un figlio, dovrei pensarci molto prima di lasciarlo giocare». Le frasi del presidente americano sulla pericolosità del football americano hanno scosso, come era naturale attendersi, il mondo dello sport più amato degli States che ha di recente vissuto la finale del campionato, il Super Bowl. A molti giocatori non è piaciuto quando il presidente ha detto che se avesse un figlio non vorrebbe che praticasse a questo sport. «Il nostro è uno sport fisico. Però - dice Aldon Smith,stella dei San Francisco 49ers - non vedrei nulla di male se mio figlio decidesse di seguire le mie orme. «Mi riferivo al campionato giovanile, a quello dei College, non alla lega professionistica, dove giocano atleti maturi, formati», ha chiarito Barack. Neanche l’inquilino della Casa Bianca al massimo della popolarità può infatti permettersi di inimicarsi i milioni di cittadini che vivono per lo sport più popolare del Paese.

N

DONNA E DI MA T O N E L SUL Da quando esiste il Super Bowl, l’intervallo tra il primo e il secondo tempo della partita è stato riempito con un breve concerto. All’inizio a esibirsi erano semplicemente le bande dei college – durante il primo Super Bowl, nel 1967, suonò la banda di un college dell’Arizona – ma poi anno dopo anno si decise di assegnare quello spazio ad alcuni tra i più grandi personaggi della musica statunitense e internazionale. Personaggi che generalmente non vengono pagati: si esibiscono gratis, in cambio della soddisfazione personale – Madonna ha detto che suonare al Super Bowl era il suo sogno fin da bambina – e della pubblicità impareggiabile che ne guadagnano. La prima persona famosa a esibirsi nello show dell’intervallo fu Carol Channing, nel 1970, seguita da Ella Fitzgerald nel 1972 e dal figlio di Duke Ellington nel 1975. Nel secondo decennio dei Super Bowl gli show cominciarono a variare un po’ ma non per gli ospiti: gli Up with People si esibirono quattro volte. Le cose cambiarono definitivamente all’inizio degli anni Novanta, quando gli sponsor capirono che invitare cantanti pop e dare allo spettacolo una forma meno tradizionale avrebbe funzionato. I primi furono i New Kids on the Block, nel 1991, seguiti da Gloria Estefan, Michael Jackson e Prince negli anni successivi. Da allora il concerto dell’intervallo è sempre stato affidato a cantanti famosi a livello internazionale, anche perché il Super Bowl è probabilmente l’evento più seguito dell’anno dai telespettatori statunitensi, non gli ultimi arrivati. Un pubblico di successo richiedeva quindi artisti di successo.


E R U T A L SPIGO

O AMERICAN FOOTBALL L E D À IT S URIO TUTTE LE C

FLACCO ETTE PER V R O C A UN L’evento sportivo che è stato seguito da oltre 100 milioni di americani alla TV e da 71mila persone allo stadio fa ancora notizia con il campione Joe Flacco (28 anni) che è diventato un mito negli Stati Uniti ed è stato premiato con una nuova Chevrolet Corvette Stingray. Il nome di Flacco sta facendo il giro del mondo perché il giovane quarterback dei Ravens (ricordiamo che il quarterback ha come funzione principale quella di far applicare gli schemi che gli vengono suggeriti dal Coach) ha vinto il titolo di “Most Valuable Player” (giocatore di maggior valore) dopo anni di magra visibilità. Ma il Super Bowl 2013 ha regalato fama internazionale anche ai Baltimore Ravens, che a inizio anno erano tra gli sfavoriti per la vittoria del titolo di “campioni del mondo”, e fin dal primo tempo della partita è stato chiaro che il suo quarterback sarebbe ufficialmente entrato nel firmamento della Nfl, National Football League.

POGIRO WL DA CA SUPERBO Il Super Bowl quest’anno ha incollato davanti alla televisione, solo in America, più di 108 milioni di persone. Uno spot Tv da 30 secondi è costato la bellezza di 3,5 milioni di dollari. Ma andiamo avanti coi numeri: il SuperBowl a stelle e strisce genera spese in food & beverage per 11 miliardi di dollari sull’intero territorio nazionale e nella città che ospita la manifestazione di chiusura del campionato di football americano turismo ed economia (pacchetti da 14.999 dollari per 4 notti e due biglietti oltre alla offerta di ospitalità).


Football FILMS Quella sporca ultima meta

Lo sport nazionale americano ha ispirato numerosi registi che hanno prodotto pellicole diventate pietre miliari della storia del cinema Il Paradiso può attendere

Robert Aldrich, 1974

W. Beatty e B. Henry, 1978

Cast: Burt Reynolds, Anitra Ford, James Hapton, Michael Conrad, Ed Lauter Trama: È la storia di un ex campione di football americano che finisce in carcere dopo aver rubato e distrutto l'auto della sua ex, completamente ubriaco. In prigione si troverà però al centro di una disputa sportiva fra detenuti e guardie.

Cast: Warren Beatty, Julie Christie, James Mason, Jack Warden Trama: Joe Pendleton, campione di football americano, muore in un incidente d’auto. In paradiso si accorgono però che l'angelo custode ha compiuto un errore: non doveva portar via l'anima. Inizia una nuova avventura in nuovi corpi.

Ciao America

The blind side

Frank Ciota, 2002

John Lee Hancock, 2009

Cast: Eddie Malavarca, Maurizio Nichetti, Violante Placido, Giancarlo Giannini Trama: È la storia dell'italoamericano, Lawrence Primavera. Non riesce a trovare un suo ruolo nel mondo ed allora torna in Italia, alle sue origini, trovando lavoro come allenatore di football americano a Ferrara. Scoprirà anche l'amore.

Cast: Sandra Bullock, Quinton Aaron, Tim McGraw, Jae Head, Kathy Bates Trama: Pellicola molto toccante che racconta la storia vera di Michael Oher, un ragazzo rimasto senza casa dopo un'infanzia densa di difficoltà e di traumi. Una famiglia lo aiuterà a diventare un giocatore professionista di football.

Ogni maledetta domenica

The program

Oliver Stone, 1999

David S. Ward, 1993

Cast: Al Pacino, Cameron Diaz, Dennis Quaid, James Woods, Jamie Foxx. Trama: È la storia degli Sharks, club di football americano distrutto dalle vicissitudini. L'allenatore non è più ben voluto dalla dirigenza, e i due giocatori principali hanno problemi di salute. Il futuro porta il nome del giovane Willie.

Cast: James Caan, Craig Sheffer, Omar Epps, Halle Berry, Kristy Swanson Trama: Film ambientato in un college universitario, dove un allenatore dai comportamenti paterni, riesce a conciliare gli interessi della squadra di football con quelli dei padroni, nonché i dirigenti scolastici. Porterà i ragazzi alla vittoria.

Il sapore della vittoria

Lo chiamavano Bulldozer

Boaz Yakin, 2000

Michele Lupo, 1978

Cast: Denzel Washington, Will Patton, Wood Harris, Ryan Hurst, Donald Faison Trama: È la storia dell'allenatore di colore Herman Boone chiamato dal Comitato Scolastico per preparare la squadra di football americano della scuola. Emblematico il rapporto fra bianchi e neri durante tutta la durata della pellicola.

Cast: Bud Spencer, Raimund Harmstrof, Ottaviano Dell'Acqua, Marco Stefanelli Trama: Un marinaio si è ritirato a vita privata dopo aver trovato la corruzione nel suo sport. Torna però in attività allenando un gruppo di ragazzini che sfida i militari della vicina base Nato a football americano. Nonostante i trucchetti.



Ostia polo del

FOOTBALL E sulla scia della popolarità di questa disciplina, altre realtà hanno provato e ripercorrerne le tappe. Tra queste anche l’Italia che nel 1972 dà vita ad una sua Federazione. E passo dopo passo sono arrivati risultati apprezzabili anche se la strada è ancora tanto lunga GIACOMO TANCIONI

LA PALLA OVALE NEL LITORALE ROMANO

Head Coach Black Hummers

«La nostra è una squadra che raccoglie tanti simpatizzanti». Queste le parole di Giacomo Tancioni, presidente del Legio XIII, squadra che milita in A2. Il Legio XIII è una realtà che non vive di sponsor: «Non riceviamo alcun tipo di aiuto, paghiamo tutto di tasca nostra ma il più grande rammarico è quello di non poter giocare a Ostia ma a Fonte Nuova, dove ci è stato messo a disposizione un campo per gli allenamenti e per le partite». Nonostante la lontananza dalla “città natale”, il Legio XIII ha una grande tifoseria: «Siamo soddisfatti del nostro pubblico anche per le categorie giovanili; sul web poi, abbiamo molto seguito. Assemblare una squadra di ragazzi che provengono da tutta Italia non è facile — aggiunge Tancioni — ma grazie agli ottimi innesti fatti in questa stagione, il nostro obiettivo è quello di migliorare lo 0 a 8 dello scorso anno». SPQR SPORT | 114

La parola passa a Enrico Moglioni, allenatore dei Black Hammers, società che gioca il Campionato Cif 9: «la nostra squadra nasce dall'esigenza di ex giocatori (delle Linci Roma e dei Marines Ostia) di fondare una realtà territoriale che potesse offrire l'opportunità ai molti giovani di appassionarsi al Football Americano. Dopo lo splendido Campionato dello scorso anno abbiamo perso pedine molto importanti a causa di infortuni e motivi lavorativi. Ma la grande passione e determinazione ci danno la forza di andare sempre oltre i limiti». Sportività, amicizia e lealtà, tre parole che racchiudono la filosofia alla base della squadra degli squali martello: «Gli sponsor ci sostengono ma il football americano meritebbere un interesse, a livello Nazionale, ben più elevato — conclude Moglioni, head coach e figura importante nel panoramana del football americano nel nostro paese — e vorrei ricordare che questo sport fa parte del Coni ed ha una sua struttura».

FACCIAMO DEGLI ENORMI SACRIFICI, MERITEREMMO PIÙ VISIBILITÀ

I

ENRICO MOGLIONI

Presidente Legio XIII

UN GRANDE PUBBLICO NONOSTANTE LA LONTANANZA DA CASA

l football americano fece il suo ingresso nella penisola insieme alle truppe alleate in occasione della Liberazione. La prima partita documentata è quella giocata allo Stadio della Vittoria di Bari, il 23 Novembre 1944, tra i Playboys e la Technical School. Il trofeo in palio, il “Bambino Bowl”, finì nelle mani di quest’ultimi in virtù dello 0-13 finale dinanzi ad un pubblico di 5000 spettatori. Negli anni ’80 il football americano raggiunse i suoi fasti prima di scivolare in un declino senza fine. La federazione, commissariata dal 1998 per un’insostenibile situazione finanziaria, venne espulsa dal CONI nel 2000. Senza punti di riferimento, nel 2003, la neonata FIDAF, cominciò l’opera di ricostruzione. A Roma l’attività è in costante crescita grazie alle squadre che sono distribuite su tutto il territorio. Fabio Tortosa, Consigliere Federale della FIDAF e pilastro del movimento ci spiega: «La crescita avviene dalla base, cioè dal reparto giovanile dei club romani. Lasciano ben sperare i nuovi atleti che sono la linfa di questo sport». Il polo di squadre si trova ad Ostia, nel XIII Municipio. Oltre ai Marines Lazio, unica compagine in A1, ci sono infatti altre realtà importanti in crescita, come la Legio XIII e i Black Ham-


Interviste di Laura CIRILLI

ROBERTO D’AMICO

TUTTE LE SQUADRE

Capo ufficio stampa Marines Lazio

VOGLIAMO TORNARE AD OCCUPARE POSIZIONI D’ELTE, CE L’OBBLIGA IL BLASONE

«Il nostro obiettivo è quello di tornare alle posizioni che ci spettano, dopo la finale di Campionato persa nel 2009 e due stagioni no, vogliamo tornare al top». Queste le parole di Roberto D’Amico, capo ufficio stampa dei Marines Lazio, squadra di football americano con sede a Ostia, che partecipa al Campionato Italiano di A1: «Gestire un gruppo di 40 giocatori in Serie A1 è la difficoltà più grande ma la voglia di risollevarci e vincere regna sovrana». Il football americano è una realtà che si sta espandendo in Italia e a Roma, soprattutto a Ostia, dove si contano ben tre squadre e i Marines Lazio rappresentano la società più grande: «Siamo nati nel 1991, dalle ceneri dell’U-Boats, la prima squadra di football americano a Ostia. Ora facciamo parte della Polisportiva S.S. Lazio, cosa che ci rende onore non solo per il prestigio ma anche per il pubblico che ci dà molto seguito». Un pubblico sempre più appassionato e che magari, sogna di assistere ad un Super-Bowl tutto italiano: «Per chi fa football è come giocare la Champions League; con l’ultimo consiglio d’amministrazione ci si sta avvicinando agli Stati Uniti. Si inizia a vedere l’interesse degli sponsor e gli eventi diventano sempre più ricchi».

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romane Marines Lazio Serie A/1 Data di nascita: 1991 Presidente: Fabio Pacelli Dove gioca: C.S. Giannattasio - Via Mar dei Coralli - Ostia A.S.D. Roma Nord Barbari A. F. T. Serie A/2 Data di nascita: 1999 Presidente Daniele Napoli Dove gioca: Centro Sportivo "Ernesto Dezi" - Via Tenuta Piccirilli Roma (RM) Grizzlies Roma Serie A/2 Data di nascita: 1981 Presidente: Stefano Cicinelli Dove gioca: C.S. Paolo Rosi - Via Dei Campi Sportivi 7 Roma (RM) Legio XIII Roma Serie A/2 Data di nascita: 2010 Presidente: Giacomo Tancioni Dove gioca: Stadio Comunale - Via Gioberti Fonte Nuova (RM) Black Hummers Ostia CIF/9 Data di nascita: 2010 Presidente: Mauro Florio Dove gioca: Stadio Pasquale Giannattasio - Via Mar dei Coralli - Ostia Gladiatori Roma CIF/9 Data di nascita: 1973 Presidente: Vincenzo Pietragalla Dove gioca: C.S. FortyLove - Via Fratelli Maristi 94 Roma (RM) SPQR SPORT | 115


Caschi e protezioni su corpi coperti solo da reggiseno e slip. Ecco le donne che stanno facendo impazzire l’America. Ed ora, stanno sbarcando anche in Europa

FOOTBALL

Lingerie intimo di sport di Paolo VALENTE foto: Getty Images uando pensi di aver scoperto tutto (nel vero senso della parola visto l’argomento) del mondo dello sport, ecco che d’improvviso si viene a conoscenza di una folcloristica disciplina che in America sta riscuotendo un buon successo. Si tratta del football lingerie, un campionato di football americano al femminile caratterizzato dal fatto che le giocatrici, oltre a calzare un casco e protezioni per spalle, gomiti e ginocchi, indossano solo intimo. La finale del campionato è chiamata Lingerie Bowl. Specialità nata nel 2004, dal 2009 si gioca un campionato a 10 squadre. Le partite si disputano su un campo lungo 50 yards, più 8 yards per le aree di touchdown. La larghezza è di 30 yards. A prima vista potrebbe sembrare uno sport per voyeur o per semplici curiosi, ma non è così. Il seguito è in continua crescita e sugli spalti il numero degli esponenti del gentil sesso aumenta di partita in partita. A fare la parte del leone, pardon, delle leonesse, è il Los Angeles Temptation che ha centrato sei titoli su sette. Le squadre presenti attualmente sono divise in due conference, quella dell’est e quella dell’ovest. Nel Western Confe-

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rence troviamo Chicago Bliss, Green Bay Chill, Las Vegas Sin, Los Angeles Temptation, Minnesota Valkyrie, Seattle Mist. L’Eastern Conference comprende Baltimore Charm, Cleveland Crush, Orlando Fantasy, Philadelphia Passion, Tampa Breeze, Toronto Triumph. Ma non è finita qui. Questa giovane disciplina è molto ambiziosa e vuole allargare i suoi orizzonti. Ora punta forte sul mercato dell’estremo oriente. Infatti la Lingerie Football League è pronta a sbarcare in Cina. Ci sono in programma tre partite dimostrative nel Paese asiatico nella prima metà del 2013, dopo la chiusura di un contratto TV in Asia, secondo quanto annunciato dal fondatore della Lega. Parlando nel corso della partita inaugurale della Lingerie Football League in Canada con le B.C. Angels che hanno battuto le Saskatoon Sirens 25-12, il commissioner Mitchell Mortaza ha detto che le tre partite sono programmate a Pechino, Shanghai e Zhengzhou probabilmente a marzo o a giugno per introdurre lo sport per i tifosi cinesi. Dal 2009, la LFL ha operato negli Stati Uniti ed inizierà la sua quarta stagione con 12 squadre il prossimo marzo. La Lega prevede inoltre di avviare un campionato in Australia il prossimo anno e di creare la LFL Europa nel 2014. Italia compresa.


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LA TUA RIVISTA DI SPORT SFOGLIALA ONLINE

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GINNASTICA ROMA L’ESPERIENZA DI LAURA MARTINELLI Laura Martinelli, una vita per la Ginnastica che pratica fin dall’età di cinque anni a Modena, la sua città natale. Ben presto diventa una professionista praticando la disciplina a livello agonistico. Gira l’Italia partecipando a competizioni di carattere regionale, interregionale e nazionale, sia individuali che di squadra. A 17 anni si avvicina anche alla Danza, frequentando classi, seminari e laboratori coreografici e d’improvvisazione che approfondirà con lo studio di questa disciplina in chiave classica e moderna. La sua passione e bravura permettono a Laura di superare molte audizioni. Entrerà così in diversi corpi di ballo per spettacoli teatrali, non solo come ballerina ma anche come coreografa. Dal 2009 collabora con la Ginnastica Roma, dove impartisce lezioni di danza.

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r R Rubriche dal mondo nd do dello do d de elllllo ello el e o sport ssp p por ppo oort t 20 12 R DEI CA CAMPIONI DELLO L SPO P R RT T

PROFILI PROFILI

VINCENZO CAPELLI nato a il Altezza Peso Inizio attività Disciplina Specialità Palmares

Roma 26 ottobre 1988 193 90 2005 Canotaggio Quattro senza Oro – Mondiali 2011, due con Secondo posto, Finale B – Olimpiadi Londra 2012

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R Profili

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R Storie da raccontare

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R Lo sai che…

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R Statistiche

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R SportStar

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R Cinema e Sport

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R Sport in Rete

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R Campidoglio: non solo Sport

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R Filmati nella storia

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R Hanno detto

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Piazza del Campidoglio, il saluto di Roma Capitale a Papa Benedetto XVI che lascia Città del Vaticano in elicottero

«Fin da quando sono nato, il canottaggio è stata parte integrante della mia vita. Papà Giuseppe lo praticava, quindi io lo seguivo al Circolo».

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MOTODAYS 2013 GIOVANI IN CORSA Ecco i ragazzi della Sapienza Corse nei padiglioni della Fiera di Roma durante il Motodays 2013 insieme al Delegato alle politiche sportive di Roma Capitale Alessandro Cochi. Un evento per tutti gli appassionati del settore con le 128.400 presenze totali per questa quinta edizione, oltre 20.000 in più rispetto alla precedente. La Fiera di Roma ha permesso l’allestimento di 55.000 mq dedicati a spazi espositivi, 6 padiglioni, 400 aziende coinvolte e 25.000 mq di area esterna. Presente anche una pista di 900 metri. E presente anche la motocicletta del team Piazza Bologna Corse.

Nella foto a sinistra i ragazzi di Sapienza Corse e in alto, la moto di Piazza Bologna Corse. Alla Fiera di Roma era presente anche il Delegato alle Politiche Sportive di Roma Capitale, Alessandro Cochi, nella foto in alto, con il pilota Riccardo Nardi

A GUARDIA DEL CAMPIDOGLIO n Campidoglio c’è una carica molto speciale, il guardaportone. Per Antonio Ottaviani, che nel 1976 è stato l’ultimo a ricoprire questo ruolo con delibera, ci vogliono attitudini particolari, soprattutto da quando il servizio è stato esteso dal solo ingresso di Sisto IV anche a quello della Lupa.

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Chi è e cosa fa il guardaportone? «Deve essere una persona capace di trattare con il pubblico e far fronte agli eventuali problemi. Intanto ci sono i visitatori: se qualcuno li attende, bisogna chiamare, annunciarli, verificare che ci sia davvero un appuntamento, prendere il documento, rilasciare il pass. Poi ci sono quelli che vengono al Campidoglio perchè vogliono che il sindaco risolva il loro problema. ll guardaportone deve da una parte impedire garbatamente l’accesso al palazzo, comprendere il problema e indicare le persone giuste a cui rivolgersi. Oggi questo ruolo è ricoperto da Bruno Matteotti, Fabio Rossi, Francesco Scino, Fabio Bellu, Danilo Scarponi, Antonio Ottaviani, Marco Empler, Massimo Pasquini, Emanuele Falasca e Riccardo Demofonti. Siamo 8 romanisti, 1 laziale e 1 interista. Calcio e corsa sono praticati da tutti, anche se Bruno, a 62 anni, partecipa ancora alle maratone e Marco è cintura nera di Taekwondo». Qual è la divisa che indossa ogni 21 aprile per i Natali di Roma? «È la divisa dei fedeli di Vitorchiano. Nel 1267 i cittadini di Vitorchiano

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si dichiararono fedeli alla città di Roma come ringraziamento per l’aiuto ricevuto nella guerra contro Viterbo. Roma li insignì della cittadinanza, di potersi fregiare della Lupa e di fornire le guardie capitoline. La divisa è stata disegnata da Michelangelo Buonarroti». Il 21 di aprile suona la Patarina: è l’unico giorno in cui è possibile sentirla? «No, suona anche nelle occasioni di emergenza per la città; e se suonasse per sbaglio centinaia di persone anziane telefonerebbero per chiedere cosa succede. Anni fa era possibile salire alla Torre e raggiungere la Patarina, ora è inagibile. Adesso si visita il palazzo solo alcune domeniche all'anno». Storia del palazzo. È vero che quando si saliva alla torre, si passava dalla sala del Boia? «Certo, questo era un palazzo di governo, c’erano le prigioni. La facciata sulla piazza è rinascimentale ma il posto del guardaportone è all’interno di una torre medievale, la Sala del Carroccio, di fronte si chiama così perchè i rappresentanti della Lega Lombarda, in visita a Roma avevano portato qui il carroccio: i cittadini romani lo distrussero perchè per conquistarlo erano stati comunque uccisi degli italiani. Dopo la vetrata ci sono i muri dell’antico Palazzo Senatorio. Nel posto riservato al vigile urbano in servizio, col plastico, c’è una raccolta di riproduzioni sui cambiamenti del Campidoglio».

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da Raccontare

Flavio e Francesco, i due fratelli colpiti dalla sindrome di Batten e la lotta dei loro genitori contro questa malattia degenerativa...

LA PARTITA DELLA VITA... L

a sindrome di Batten o Ceroidolipofuscinosi neuronale giovanile (JNCL) o malattia di Spielmeyer-Vogt-Sjögren, anche nella variante nota come Malattia da deficit della proteina palmitoil-tioesterasi, è una rarissima malattia congenita neurodegenerativa, su base genetica, con trasmissione autosomica recessiva. Parole difficili, quasi incomprensibili, che ci introducono nella storia di Flavio e Francesco, due gemelli di 13 anni colpiti da questo morbo. «Ogni giorno si perde qualcosa ma loro hanno voglia di vivere e noi tutti crediamo che qualcuno ci possa aiutare». A parlare è Marco Rosci, padre dei due ragazzini affetti da questa rara patologia che colpisce un bambino su 25.000: «Loro sono grandi appassionati di sport, praticavano lo sci e, fino a qualche mese fa, il calcio. Purtroppo le cose peggiorano di giorno in giorno ma fortunatamente hanno molti amici che gli stanno vicino. C’è bisogno di qualche eroe che ci tiri fuori da questo mondo brutto e triste». Per chi vuole aiutare questi ragazzi a vivere una vita migliore è stata istituita un’associazione “Insieme per Flavio e Francesco” l’iban di riferimento è IT37F0306903257100000002235. La loro passione per il calcio è legata anche al mondo Lazio: «Fin da piccoli li ho portati con me allo stadio, quando stavano meglio li portavo addirittura in curva dove ci conoscevano tutti. Passando gli anni però, si perdeva sempre qualcosa. Ora bisogna adeguarsi alla loro storia tragica e quando stanno bene, andiamo in Tribuna Tevere. Loro sono motivatissimi: allo stadio non vanno se non hanno sciarpa e bandiera. Quando seguiamo le partite della Lazio in tv, io mi improvviso telecronista per loro, che stanno tutto il tempo seduti sotto lo schermo e rivolti verso di me». Gli amici di Flavio e Francesco, insieme a papà Marco e a mamma Paola, hanno istituito un’associazione per aiutare i piccoli e rendere la loro vita meno complicata: «Per loro, ma anche per tutti gli altri ragazzi colpiti da questa terribile sindrome, c’è ancora tanto da fare. Noi confidiamo nella ricerca».

Nel 1980, dopo l’ultima vittoria a Saalbach-Hinterglemm, Claudia Giordani a soli 25 anni, decide di appendere gli sci al chiodo, forse rendendosi conto che il suo mondo sta decisamente cambiando. NEWS | 121

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Sport &Giovani

SPQR SPORT ALLA SCOPERTA DI NUOVI TALENTI

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ANDREA CARAVELLA GIOVANE PILOTA ROMANO DAL GRANDE FUTURO

TALENTO DA VENDERE S

PQR SPORT a caccia di talenti. Ha sedici anni, ma una grinta da veterano. Ecco chi è Andrea Caravella pilota romano dal futuro luminoso. Comincia a correre con le minimoto ad appena 8 anni, si classifica 9° alle selettive e 3° al Campionato Regionale. Partecipa due volte al Campionato Italiano classe 50cc classificandosi 4° il primo anno e 8° il secondo dove vive una stagione travagliata per un incidente che gli causa una duplice frattura al pollice destro ed al polso sinistro. L’anno seguente partecipa al Campionato Italiano classe 70cc classificandosi 5°. Nel 2010 partecipa al Campionato Italiano MiniGP classe 80cc classificandosi 1° Conseguendo il titolo di Campione Italiano. L’anno successivo debutta nella classe PreGP 125 nel circuito di Vallelunga in sella alla Metrakit del team Rossocromo, disputa una grande stagione dove arriva secondo ad un solo punto dal primo posto nella classifica generale. Sempre con il team Rossocromo debutta nel 2012 in Moto3 disputando il Trofeo Honda. Andrea Caravella è considerato uno dei piloti italiani sui quali scommettere nel futuro a brevissimo termine. Proveniente dalla fucina di talenti della casa costruttrice Metrakit Italia. Andrea, che ha vinto nel 2010 la classe 80cc del Campionato Italiano MiniGp, è pronto a farsi strada tra i Top Rider del motociclismo nel Campionato italiano Moto3. Proprio questa categoria, che ha recentemente scalzato la 125cc nel Motomondiale, è la classe che gode delle attenzioni della Federazione Motociclistica Italiana quando c’è da reclutare un talento nel Campionato di Velocità. Ed ecco illustrato il progetto di Andrea per il 2013: essere protagonista nel campionato nazionale e confrontarsi, in almeno tre occasioni, nel Campionato Spagnolo di Velocità in veste di Wild Card. A quel punto il passo per l’ambìto campionato iridato sarà breve e la moto numero “31” potrà finalmente proseguire il percorso nel mondo del professionismo internazionale.

S. Siro, 4 novembre 1959: Milan-Barcellona, VIII di finale della Coppa dei Campioni. Finirà 1-3, grande delusione per i rossoneri, ma trampolino di lancio per loro di una leggendaria serie di successi nella più importante competizione europea.

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UNA TARGA PER RENATO SPEZIALI Piacerebbe a tutti che la targa che a breve sarà scoperta al campo delle Tre Fontane, quando gli verrà intitolato l’impianto, portasse semplici parole che, meglio di altre, fanno capire l’uomo Renato Speziali. Presidente del quinto scudetto, quello del 2000 e della finale al Flaminio contro i tradizionali avversari aquilani. Dopo quel successo niente è stato più come prima in casa Rugby Roma e Speziali che avrebbe meritato di godersi il Pantheon della gloria sportiva cittadina ha dovuto amaramente assistere alla progressiva liquefazione di una società, di una storia e di un nome. E per lui che aveva tatuato su un braccio le due RR bianche e nere non c’è stata disillusione sportiva peggiore. Amico, nell’accezione vera della parola che oramai sta purtroppo sbiadendo... Speziali è sempre stato vicino a tutti in modo discreto, senza far pesare nulla né ovviamente aspettarsi qualcosa in cambio. Uomo di Sport: sui campi di rugby in Italia e all’estero riconosciuto come uno dei pochi “signori” dello sport. Un solo episodio a conforto di quanto diciamo: a spoglio avvenuto per una elezione della Federazione Italiana Rugby risultò, quasi con un plebiscito, il primo degli eletti. Ma il potere non gli riconobbe nemmeno una delle due vicepresidenze e lui imperturbabile e sottovoce ci disse: «Mi co-

noscono ancora in pochi e poi devo pensare alla Rugby Roma…». Maurizio Bocconcelli


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I ragazzi così cominciano a sognare ad occhi aperti: «È vero, ma non bisogna illudere nessuno. Passare una settimana con i coach ufficiali del Manchester United è un'esperienza incredibile. Se c'è un elemento che ha i 'numeri', può certamente essere segnalato». Il gruppo, il gioco: «Organizzando questi campi a fine Giugno, arrivano ragazzi che vengono da 9\10 mesi di scuola. I professori li allenano 5 ore al giorno ma poi vogliono anche altro. Per questo una struttura come un albergo a 4 stelle permette la socializzazione». La comunicazione: «La lingua del campo è l'inglese ma ci sono interpreti». La giornata tipo: «Sveglia alle 7.30, colazione alle 8.30, lavoro dalle 9.30 alle 12, piscina, pranzo alle 13.00, relax fra le 14 e le 15, ripresa allenamenti alle 16, doccia alle 18.30 e infine cena alle 20». Carlo FRANCIOSA

Palestra 2007. Una passione, un lavoro, un punto di ritrovo Lstra,ea molto altro. Nelle parole di Paolo Malgieri, anima della paletutta la voglia di descrivere il proprio gioiello: «La mia passione è nata senza un motivo preciso. Ero semplicemente un appassionato di sport e tifoso di calcio. Mi piacque poi il corpo libero, che anche in palestra ora è seguito. Sembrerà strano ma si può fare senza macchina, o con l'ausilio di queste tecnologie elettroniche. Il tutto si è tramutato in uno stipendio che oggi mi permette di sopravvivere insieme ai miei due soci». Inviti una persona ad entrare nella sua palestra: «Io dico sempre che noi vendiamo tempo libero. Succede così che alla mattina ti ritrovi gente che non solo segue i corsi, ma anche le attività collaterali. Ci si siede a leggere il giornale tutti insieme op-

pure ci si incontra prima dell'attività fisica per una colazione al bar. Insomma, socializzazione. Questo è l'identikit del nostro socio. La crisi è nera ma a noi piace essere positivi. Per questo abbiamo abbattuto del 20% il prezzo dell’abbonamento mensile e del 40% quello annuale. E i nostri iscritti sono aumentati». Tanti esperti dicono che la palestra faccia bene per ansia, depressione e stress: «È vero. Oltre alle persone che vengono qui per trascorrere il tempo libero o allenarsi, ci sono coloro che vengono per allontanare problemi più grandi. Non siamo psicologi, ma si può dare una mano a tanti ragazzi che cercano solo un po' d'attenzione e magari trovano nei nostri istruttori una via per aprirsi. Un modo per tirarli su quando ad esempio vengono da noi, col cuore in mano, dicendo di essere depressi».

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QUANDO UNA PALESTRA SCEGLIE TARIFFE POPOLARI

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IL MANCHESTER SBARCA A ROMA La Manchester United Soccer Schools sbarca per la prima volta in Italia. La parola al presidente della Training Camp Italia, Luigi Capasso: «La nostra associazione organizza questa scuola ufficiale del Manchester United. Da queste iniziative sono usciti campioni come Giggs, Beckham e Scholes. Noi abbiamo preso la gestione per i prossimi tre anni, per coltivare il sogno di tanti ragazzi che potranno allenarsi con i coach inglesi provenienti da oltremanica. Chi ha fra i 7 e i 13 anni può quindi venire a divertirsi». Gli obiettivi a questo punto: «Sono di allargare il nostro raggio d'azione. Abbiamo scelto Chianciano Terme per la conoscenza del posto e delle strutture, approfondita negli ultimi 5-6 anni. Ora vorremmo organizzare il prossimo anno 1 campo al Nord, 1 al centro mantenendo Chianciano Terme, 1 a Roma al Futbol Club e 1 al Sud».

Estate 1945: la guerra è finita. A Viareggio si rimboccano le maniche e rimettono in piedi il Carnevale, ma anche lo sport. Si incomincia a pensare a una competizione che ospiti le migliori eccellenze del calcio giovanile: il Torneo di Viareggio.

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I VOLTI DI CHI RACCONTA LO SPORT NEWS

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CALCIO: A TU PER TU CON...

MIKAELA CALCAGNO «Parlare di calcio? Mi viene naturale. L’ho sempre masticato fin da bambina avendo un fratello molto tifoso ed un padre presidente di una squadra. Si sa che le donne non hanno vie di mezzo: il calcio lo amano o lo odiano! Sono sempre stata doriana ma per il mio lavoro non posso fare la tifosa». Queste sono le parole di Mikaela Calcagno, affascinante e brillante giornalista sportiva delle reti Mediaset, che si racconta a Spqr Sport.

La bella e brillante giornalista di Mediaset Premium ci spiega come una donna possa essere protagonista in un ambiente maschile

Hai trovato difficoltà in un ambiente ‘dominato’ principalmente dagli uomini? «Ho una giusta e sana competizione con loro. Non nego che molto spesso ci sono pregiudizi verso noi donne che facciamo questo tipo di informazione per anni appannaggio degli uomini. Ma la cosa non mi disturba anche perché io cerco di fare il mio lavoro sempre nel migliore dei modi». Qual è il collega con cui hai più feeling lavorativo? «Mi trovo bene con tutti; ho la fortuna di lavorare in una redazione di professionisti come Piccinini o Brandi, da cui ho imparato molto». Anche grazie a te, negli ultimi anni si è assistito ad una ‘rivoluzione rosa’, nell’ambito dell’informazione sportiva. A chi va la primogenitura di questo merito? «Mah, non parlerei di primogeniture particolari. Posso però dire che sia in tv che in radio ci sono grandi professioniste che hanno fatto e stanno facendo molto bene in questo settore. Qualche nome? Direi Monica Vanali, Paola Ferrari, Ilaria D’Amico, tanto per citarne solo alcune. Credo che in generale ci sia un insieme di brave giornaliste e debbo riconoscere che Sky adotta da sempre questa politica sportiva al femminile perché crede nelle donne». Oltre a commentarlo, ti piace praticare lo sport? «Ho alle spalle undici anni di atletica leggera, quando ero bambina la praticavo a livello agonistico. Poi con il passare degli anni, ho alternato la piscina alla palestra, che ora sto vivendo in maniera preponderante. Credo che lo sport sia importante per socializzare, l’agonismo ti fa crescere; al di là dei benefici fisici, serve per scaricarsi e per ritagliarsi degli spazi». Cosa ne pensi dello sport a Roma? «Per due anni ho lavorato in una tv privata romana e per me è stato un grande trampolino di lancio. Nella Capitale il calcio si vive 24 ore su 24, ci sono moltissime radio, tv, siti internet e giornali dedicati a questa disciplina. Il pubblico, poi, risponde bene, ci sono sempre tantissime persone a Formello e a Trigoria per seguire le due squadre della città. Per chi si vuole avvicinare a questo lavoro, Roma è un bagaglio importante». Laura CIRILLI

Coppa del mondo di sci. Val d’Isère, autunno 1972. Vince Pierino Gross, ma il trionfo azzurro viene completato dal terzo posto di Schmalzl, dal settimo di Gustav Thöni e dal nono di Renzo Zandegiacomo. NEWS | 125

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ROMA CAPITALE IN FAO Per la prima volta al mondo un Model UN si propone l'arduo compito di mettere i giovani in prima linea nel dibattito per gli Obiettivi del Millennio delle Nazioni Unite. Il 2015, anno di ipotetico raggiungimento degli 8 obiettivi, si avvicina, e dunque il comitato

scientifico di Giovani nel Mondo vuole porre le nuove generazioni al centro della questione proponendo un'analisi (con vari comitati) dello status attuale della lotta per i vari obiettivi, con in più una fase propositiva dove i giovani delegati ONU saranno chiamati ad individuare soluzioni pratiche e di veloce attuazione che possano favorire il raggiungimento di questi importantissimi goals entro la deadline stabilita al 2015.

i sono svolti a S Roma, nello storico Palazzetto dello Sport al Villaggio Olimpico, i Campionati Italiani di Kendo 2013 individuali ed a squadre organizzati dalla CIK - Confederazione Italiana Kendo in collaborazione con l'ASD Shudokan Roma, associazione sportiva fondata dal Maestro Fabio Di Chio - romano, 5° Dan di kendo ed arbitro nazionale della CIK - per diffondere, insegnare e praticare l'antica disciplina del kendo, l'arte della spada giapponese. L'ASD Shudokan Roma, membro della CIK, fondata anch'essa alla fine degli anni '90 ed attualmente considerata una delle più importanti associazioni sportive del kendo italiano, vanta tra i suoi atleti alcuni esponenti passati e presenti della Nazionale italiana come Andrea Li Causi ed Eva Ricciuti ed ha conquistato per tre

volte il 3° posto nei Campionati italiani a squadre e una finale nel 2005. Il suo Presidente, il M° Fabio Di Chio, a suo volta membro in gioventù della Nazionale italiana, pratica da oltre trent'anni quest'antica disciplina ed è apprezzato e stimato anche come arbitro sia in Italia che all'estero. Foto: RIPARI YOUNG GROUP

14 luglio 2012: il Consiglio Direttivo della Fip dichiara radiata la Fortitudo Pallacanestro Bologna e ne revoca il codice di affiliazione. Muore una delle stelle più luminose del firmamento cestistico italiano.

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L'ASD SHUDOKAN ROMA E I CAMPIONATI ITALIANI DI KENDO

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l discorso di Rosella Sensi in FAO, durante la quarta edizione del ICarliRome Model United Nations, ospitato dall'università Luiss Guido e da prestigiosi enti istituzionali.


ARBITRI. TRA BENESSERE ED ETICA ra gli Enti di Promozione Sportiva, Asi – Associazioni T1994,Sportive e Sociali Italiane è uno dei più giovani. Nato nel ha subito avuto il riconoscimento da parte del Coni. Oggi conta in Italia migliaia di società sportive affiliate decine di migliaia di sportivi tesserati, grazie alla passione sportiva ed al carattere delle persone che vi fanno parte. Il suo storico ed ancora attuale Presidente Nazionale, Claudio Barbaro, ha permesso che una piccola realtà sportiva come l’Asi divenisse in un periodo relativamente breve uno dei più importanti Enti che promuovono lo sport a livello nazionale. Nel settore Calcio, ad esempio, il Comitato Provinciale di Roma ha fatto passi da gigante. Basti pensare che i suoi arbitri, nel corso di una settimana dirigono un numero impressionante di gare di campionati amatoriali. Sono stati i primi arbitri dilettanti al mondo ad utilizzare la stessa tecnologia degli arbitri Uefa e Fifa. Ai primi di settembre dello scorso anno, nella Sala delle Bandiere in Campidoglio, in occasione della presentazione della nuova stagione sportiva del calcio Asi, due arbitri del Comitato Provinciale di Roma, Polidori e Catena, hanno ricevuto gli “Oscar d’elite Asi” dal Sindaco Gianni Alemanno. Il Dipartimento, con l’appoggio del proprio Presidente Provinciale, Roberto Cipolletti, ha un suo settore dedicato alla formazione degli arbitri. Diversi, infatti, sono stati i corsi di formazione gratuiti, organizzati negli ultimi anni. Tra i “fischietti” tesserati presso la Sede di Via De Amicis ci sono anche quattro ragazze tra cui una di queste proviene dalla Moldavia. Un’ultima annotazione, forse la più imporrtante. Gli arbitri dell’Asi si sono dati un codice etico i cui principi ispiratori sono questi: “Lo sport è un diritto inalienabile della persona; lo sport è momento preminente di integrazione sociale, di benessere psico-fisico e rappresenta uno strumento educativo privilegiato nel senso più ampio del termine; L’etica e la morale dell’arbitro si basano sui principi cristiani della nostra tradizione”.

27 gennaio 1973: all’Arms Park di Cardiff, si sfidano gli All Blacks e i Barbarians, la squadra a inviti più famosa dello sport mondiale. Bastano solo due minuti al gallese Gareth Edwards per segnare una delle più entusiasmanti mete della storia del rugby. NEWS | 127

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DISTANZE ARRIVABILI

LO SAI CHE…

La rubrica che racconta in pillole storie e curiosità dello sport

L’uomo più veloce del mondo sulla lunga distanza è il keniota Patrick Makau Musyok, nato a Manyanzwani il 2 Marzo 1985. Percorse il 25 settembre 2011 a Berlino i 42 chilometri e 195 metri della maratona alla velocità media di 20.48 km\h.

ECCO GLI ULTRAS I tifosi organizzati sono detti ultras perché, a partire dagli Anni ’60, alcuni giornalisti etichettarono le frange più attive con il nome delle forze politiche francesi, gli ultras-royalistes.

1979 È L’ANNO DEI RECORD ITALIANI DI MENNEA. Il 4 settembre e il 12 settembre stabilì infatti il record sui 100m piani e sui 200m piani con prestazioni incredibili: 10”01 e 19”72.

BARACCA E FERRARI

58’43”8, È IL RECORD ITALIANO SUI 20000 METRI PIANI. Il record attuale è stato realizzato nel lontano 1977 da Franco Fava, atleta delle Fiamme Gialle.

Enzo Ferrari scelse come simbolo dell’omonima scuderia il cavallino rampante per fare un omaggio a Francesco Baracca, grande aviatore della Prima Guerra Mondiale.

11”14

È IL TEMPO DELLA DONNA ITALIANA PIÙ VELOCE DELLA STORIA. Ill record è attribuito a Manuela Levorato che lo ha stabilito in data 4 Luglio 2001 a Losanna, in Svizzera. Una curiosità: anche lei, come Mennea per gli uomini, detiene il record oltre che dei 100m piani, anche dei 200m piani, con il tempo di 22”60 stabilito nel 1999 a Siviglia, in Spagna.

ADDIO COPPA RIMET

STATISTICHE

La Coppa del Mondo FIFA è stata disegnata dallo scultore italiano Silvio Gazzaniga. Correva l’anno 1971, e si scelse di sostituire il precedente trofeo, la Coppa Rimet.

Il 7 maggio 1967 è la quarta volta che Lorenzo Bandini corre a il GP di Montecarlo. Sembra una gara semplice, ma un brutto incidente gli sarà fatale. La sua auto urta una bitta e prende fuoco. Morirà dopo tre giorni di agonia.

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ATLETI OLIMPICI AZZURRI Quella degli Atleti Olimpici Azzurri è una storia che risale a molti anni fa, precisamente al 1948, quando un gruppo di atleti reduci dalle Olimpiadi di Londra, decise di unirsi per fondare un’associazione apolitica, apartitica e rivolta agli atleti, donne o uomini, che almeno una volta, avevano indossato la maglia azzurra. Oggi il portavoce di tale associazione è Sergio Gasperini, medico della Federazione Ciclismo che ha partecipato alle Olimpiadi con il suo team: «Faccio parte di questo gruppo da più di dodici anni e venni nominato Atleta Onorario a Riccione, insieme a Petrucci. Di questa associazione ne fanno parte tanti ex atleti come ad esempio gli Abbagnale, Comaschi, Losi, Amadei… ma potrebbero partecipare tutti coloro che hanno rappresentato la nostra Nazione in ambito sportivo. Lo scopo era ed è quello di creare un ritrovo tra atleti di un certo livello per valorizzare lo sport di una volta. Spesso ci ritroviamo a discutere di doping ad esempio, un male delle discipline attuali. La nostra associazione è riconosciuta dal Coni ed essendo come una vera e propria federazione, ogni quattro anni si rinnova l’organigramma».

31 gennaio 1970, suono del quindicesimo gong. Attesa del verdetto. Quindici riprese durissime fra Bruno Arcari e il filippino di 27 anni, Pedro Adigue. A trionfare nel mondiale welter junior è però il pugile ciociaro. NEWS | 129

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«Ho sempre corso per piacere e per gioco, poi un gruppo di amici nel 2006 mi ha chiesto se volevo partecipare alla Maratona di New York… da quel momento la mia vita è cambiata!», sono le parole di Annalisa Vitale, runner che dal 2010, appartiene al circolo podistico Due Ponti: «Qui ho trovato tanti amici, un allenatore fisso e una squadra ben salda. Con loro sono cresciuta tantissimo e ho anche fatto gare all'estero. Andare fuori dall’Italia è eccitante: hai la scusa per visitare nuovi posti e gareggiare con modalità diverse e con gente di tutto il mondo! Chi non esercita questo sport non riesce a capire la nostra “pazzia”». Emanuele Tornaboni col fratello fa parte del gruppo corsa Circolo Due Ponti: «Ho sempre avuto la passione per lo sport ma quella per la corsa è nata circa 30 anni fa, quando con mio fratello, partecipammo alla maratona di Londra. Da ex nuotatori, abbiamo creato il Gruppo Due Ponti che conta 220 maratoneti. Abbiamo partecipato a diverse manifestazioni in giro per il mondo quali la Maratona di New York, Miami, ma quella più bella e affascinante è sicuramente quella di Roma. A differenza della Grande Mela dove correndo per il Bronx o per Manhattan si vedono grandezza e innovazione, la Capitale suda storia in ogni dove».

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Presso la caserma “Silvano Abba” della Cecchignola, sede del Centro Sportivo Olimpico dell’Esercito, l’A.S.D. “Esercito & Giovani” ha organizzato la 6. edizione della corsa podistica non competitiva, “Sulle orme del papà”. La prova si è corsa sulla distanza dei 400 metri e ha visto impegnati, mano nella mano, oltre 300 coppie composte da padri ed figli. Cinque erano le categorie predisposte dagli organizzatori: la A per i bambini da 0 a 6 anni, la B, per quelli dai 7 ai 10 anni, la C, per quelli dagli 11 ai 14 anni, ed infine la D e la E, rispettivamente, per la fascia d’età che va dai 15 ai 18 anni e dai 18 in su. All’evento, erano presenti il Comandante del Centro Sportivo Olimpico dell’Esercito, il Col. Dante Zampa, il Presidente del Centro Sportivo Esercito, il Col. Paolo Pavano, il Presidente dell’A.S.D. Esercito & Giovani, il Col. Raffaele Margotti ed il Presidente della XII Circoscrizione, Pasquale Calzetta. Al termine della staffetta, è stata infine organizzata una prova sulla distanza dei 1000 metri, aperta a tutti i partecipanti alla manifestazione .

VITALE, RUNNER NEL DNA

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SULLE ORME DEL PAPÀ


SPORTSTAR Il personaggio del mese, il divo, l’uomo copertina: ogni numero alla ricerca delle star che anche grazie allo sport sono diventati le icone del momento...

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NOTTE DA LEONI 3 USCITA: 30 maggio 2013 REGIA: Todd Phillips SCENEGGIATURA: Todd Phillips, Craig Mazin ATTORI: Bradley Cooper, Ken Jeong, Zach Galifianakis, Ed Helms, Justin Bartha, Mike Tyson, Mike Epps, Heather Graham, John Goodman, Jamie Chung, Sasha Barrese, Jeffrey Tambor, Melissa McCarthy

CRONOMETRO A SQUADRE Nel ciclismo, è un tipo di corsa a cronometro. I corridori partono ad intervelli prefissati e il tempo finale viene preso all'arrivo del quinto componente del team. Ciascuno del team si porta in testa a turno per far prendere meno vento in faccia ai compagni che lo seguono, quindi riducendo la fatica.

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STARTER Nell’atletica, è la persona incaricata a dare la partenza agli atleti impegnati in una gara di corsa. Solitamente il segnale viene dato con un colpo di pistola, in passato invece, si utilizzavano altri metodi.

EASTERN Nel tennis, è un tipo d'impugnatura utilizzata per il diritto. Questa impugnatura si effettua tenendo il manico della racchetta, posta in posizione verticale, in modo che la radice del dito indice sia posta sul lato largo, quello perpendicolare al terreno, parallelo al piatto corde.

FORECHECK Nell'hockey su ghiaccio è un’azione per esercitare pressione verso i portatori di disco della squadra avversaria. Può essere di tipo aggressivo (per entrare in possesso del disco) ma anche di tipo conservativo (per mantenere il possesso del puck).

Talento precoce, ma anche e soprattutto costante: basti pensare che dall’ottobre del 1977 (dalla finale dei campionati universitari) al 1985 (anno del suo ritiro), il judoka nipponico Yasuhiro Yamashita è rimasto imbattuto.

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na Notte da Leoni 3 è il terzo e ultimo episodio della serie, campione di incassi, diretta da Todd Phillips. Questa volta, nessun matrimonio. Nessuna festa di addio al celibato. Niente potrebbe andare storto, ma…quando quel gruppo di spostati si mette in viaggio, tutto può succedere. Insomma, ormai siamo abituati al terzetto di amici più scapestrato del cinema e il 30 maggio nei cinema italiani conosceremo in quale guaio si sono immischiati questa volta. Il cast è stato confermato, ci saranno Bradley Cooper, Ed Helms, Zach Galifianakis, Ken Jeong e Justin Bartha e stavol-

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ta nel terzo capitolo della saga apparirà anche John Goodman, pronto a unirsi al gruppo. Ritornano anche Heather Graham, Jeffrey Tambor e, nel ruolo delle mogli dei protagonisti, Gillian Vigman, Sasha Barrese e Jamie Chung. Inoltre troviamo Melissa McCarthy in una piccola apparizione L’unica cosa che si sa della trama è questa: dopo la morte del padre, Alan attraversa un periodo di crisi che lo porterà al ricovero in un ospedale psichiatrico. Dopo la sua fuga dall’ospedale gli amici Phil, Stu e Doug cercano di riacciuffarlo, rincorrendolo tra Tijuana, Los Angeles e Las Vegas.

A proposito di Bradley Cooper, alla Georgetown University ha vinto qualche medaglia nel pugilato prima di laurearsi nel 1997. Poi, grazie al suo amore per il kayak e per il climbing praticato sui ghiacci delle Ande peruviane, ha ottenuto il primo lavoro all’interno del mondo dello spettacolo come presentatore del programma “Treks in a Wild Word”. Dai suoi sport ha imparato la precisione: «La disciplina è fondamentale e l’ho trasportata nel lavoro dove è necessario sempre essere puntuali e meticolosi». L'ideale per chi, come lui, ogni estate fa il giro del mondo. Riprese permettendo.

MY BEST PLACE

My Best Place, la nuova applicazione per pc, tablet e cellulari che è stata sposata dal Dipartimento Sport di Roma Capitale per la creazione di un ulteriore canale di comunicazione dei 150 impianti di proprietà. Ce ne parla Saverio Fagiani, Responsabile della Comunicazione del Dipartimento: «Si tratta di una piattaforma di comunicazione utilizzata dal Dipartimento soprattutto per promuovere le attività dei 150 impianti sportivi di proprietà di Roma Capitale. Si può scaricare tranquillamente da Google Play per Android e dall'Apple Store. Naturalmente in maniera gratuita». Perché nasce My Best Place? «Siamo sempre alla ricerca di nuove tecnologie per ampliare la diffusione. Oltre agli attuali mezzi ci siamo voluti rivolgere ai nuovi mercati. Tutti oramai hanno un

tablet o un cellulare. Tutti ora possono accedere a Internet da qualunque parte del mondo». Quante persone volete raggiungere? «Quantificarle in un numero è difficile al momento. La diffusione attraverso i social network e altre vie tecnologiche ci fa ben sperare. È un interesse che coltiviamo non solo noi come dipartimento, ma anche gli stessi impianti di Roma Capitale». Roma è una città sportiva quindi in tutto per tutto: «Sicuramente. Noi abbiamo creato anche il PRISP (piano regolatore degli impianti sportivi), uno strumento utile non solo per rispondere alle esigenze di quanti vogliono fare movimento in città ma che servirà ad avere un’approfondita conoscenza del territorio in previsione dei progetti e delle evoluzioni. Un macrolavoro di database».

RISI, VOGLIA DI CORRERE «Vengo da una famiglia di corridori, mio padre ha partecipato alle Olimpiadi di Messico ’68 e per ben cinque volte stabilì il primato italiano dei 3000 siepi». A parlare è Stefano Risi, figlio del campione italiano Umberto, che oggi, insieme al padre, allena la squadra dei maratoneti del Circolo Canottieri Aniene: «Ho iniziato a correre tardi, ho gareggiato per alcuni anni con risultati soddisfacenti ma a causa di un infortunio alla schiena, ho cominciato ad allenare. Abbiamo una cinquantina di allievi, tutti amatori dai 35 anni in su, che ogni anno partecipano alle maratone in Italia e nel mondo: Roma, Roma-Ostia, New York, Londra, Rotterdam. In questo periodo ci stiamo preparando proprio per quella dei Paesi Bassi che si svolgerà fra tre settimane».

Alessandra Sensini è stata lo spot del windsurf, grazie alle sue sei partecipazioni olimpiche e all'oro di Sydney. I trionfi di un'atleta vera che, dopo i Giochi di Londra, è già pronta per una nuova, avvincente sfida: il triathlon. NEWS | 131

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CAMPO ACILIA, FERMO NO ALLA SUA RIDUZIONE «Non si può costruire un sottopasso sottostante al campo di Acilia!», così tuona Quinto Martini, presidente dell’Acilia Calcio, infuriato per il progetto che prevede una riduzione del campo comunale del XIII Municipio per la costruzione di un sottopassaggio che va dalla ferrovia al centro del quartiere. «Mi sto battendo per il bene della popolazione e dei ragazzi che non voglio che finiscano in mezzo alla strada a combinare guai. Il piano prevede la riduzione di 15 metri, ciò significa che da un campo regolamentare a 11 da 105 metri, ne resterebbero poco più di 90, che tra linee di gioco e spazi utili, arriverebbero a 82 m, non fruibili per una squadra a 11. La mia società conta più di 500 iscritti tra scuola calcio, settore giovanile e prima squadra. Perché invece di 15 metri non ne tolgono 10, così si può pensare ad un campo regolamentare da 90 m? Ringrazio sia il Delegato Cochi che il Direttore del Dipartimento Sport Campanile, che stanno prendendo a cuore la situazione». La pensa così anche Claudio Esposito, genitore che potrebbe veder sfumare il sogno dei suoi figli di giocare a calcio: «Per noi genitori il Campo dell’Acilia è importantissimo, soprattutto per la posizione strategica in cui è situato. Toglierlo significherebbe rimettere 500 ragazzi in strada, un vero guaio. Non voglio nemmeno immaginare cosa significherebbe portare i miei figli in un altro campo a Ostia; per i genitori che come me, lavorano dall’altra parte di Roma, sarebbe un vero problema e una grande scomodità. Sono a favore dell’impianto, il campo comunale di Acilia non deve essere abbattuto!».

STOCCATE D’ACCADEMIA L'Accademia di Scherma Romana. Ce ne parla il suo presidente Emanuele Di Giosafatte: «L'accademia nasce nel 1995 all'interno del Flaminio, sotto la Tribuna Centrale. Copriamo tutte le specialità ed abbiamo anche una sezione femminile e una paraolimpica. Abbiamo avuto campioni del mondo e campioni olimpici». Un ragazzo che vuole avvicinarsi alla scherma: «L'età ideale è intorno ai 6/7 anni. Viene effettuato un periodo di prova gratuito al termine del quale, per caratteristiche fisiche e morali, il ragazzo viene indirizzato verso una delle 3 armi, calcolando che

Il mondo della scherma romana

la sciabola è quella più tattica. Un percorso che si svolge sempre con lezioni individuali». Gli iscritti? «Siamo circa un centinaio, ma è uno sport che fanno anche i master. Certo, ad un'età avanzata, non ci si può aspettare di diventare campioni». L'Italia, quante vittorie. Perché? «L'Italia ha una buonissima scuola magistrale». Il fattore mentale e il gioco di squadra? «È fondamentale la testa per individuare le mosse dell'avversario e leggerne i movimenti. Esiste poi la competizione di gruppo e lì diventa importante la motivazione che fa da cemento nei rapporti interpersonali». Il futuro dell'Accademia? «Speriamo di portare qualche atleta a Rio de Janeiro. Inoltre abbiamo qualche talentino anche in vista dei Mondiali...».

Roma vanta il club più prestigioso d’Italia: la Scherma Roma che ha vinto ben 30 scudetti. Gli esponenti più prestigiosi gravitano nella Capitale, grazie alla folta schiera di club e ai gruppi sportivi militari. Così parla il Consigliere Federale della FIS, Vincenzo De Bartolomeo «Il movimento è in crescita nuove società sono sorte in tutta la città. Dal 2006 si svolge il Trofeo Città di Roma che vede impegnati 230 schermidori in rappresentanza di 12 nazioni che si affrontano in prove di fioretto e sciabola maschile e femminile».

I XIV Giochi invernali a Sarajevo si chiudono il 19 febbraio 1984 con la Germania Est davanti a tutti nel medagliere con 9 ori. Un decennio dopo sui pendii del monte Bjelasnica si apposteranno i cecchini serbi durante la prima guerra dei Balcani.

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LA PREVENZIONE PRIMA DI TUTTO i voglio bene, quindi prevengo». «M A parlare è Nicoletta Romanoff, popolarissima attrice ma anche compa-

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gna di Giorgio Pasotti e splendida mamma di tre bambini, affascinante specchio della salute. Nessuno meglio di lei poteva mettersi in gioco, in prima persona, nella campagna “Prevenzione prima di tutto” presentata in Campidoglio, promossa dal Delegato alle Pari Opportunità Lavinia Mennuni, dal Presidente della Commissione Bilancio Federico Guidi, la patologa Maria Luisa Santoro, e concretizzata dalla ass. Artemisa Onlus che da anni, grazie alla sensibilità della sua presidente, l’arch. Maristella Giorlandino, scende in campo attivando, gratuitamente ogni possibile percorso per raggiungere l’obiettivo salute. Tre giornate totalmente dedite alla prevenzione (8 e 9 marzo per la Festa della Donna), il 19 marzo (Festa del Papà) e 12 maggio (Festa della Mamma), durante le quali le donne hanno potuto festeggiarsi con approfondimenti specialistici. «La donna è certamente il perno del focolare, ma è importante che anche i papà tengano alla propria salute, per un

Un momento di un’intervista a Nicoletta Romanoff e, nella foto in basso, il tavolo dei relatori

miglior equilibrio familiare» ha precisato Guidi che ci ha tenuto a ringraziare ArtemisiaLab. «Le finalità morali che la nostra Onlus si prefigge – ha detto l’arch. Mariastella Giorlandino - sono il frutto dello sforzo comune dei nostri medici, dei nostri operatori e del sostegno quotidiano di tutti coloro che hanno a cuore la vita, che comprendono e condividono l’importanza di favorirla e tutelarla sostenendo il nostro percorso. Sono orgogliosa di ricordare che l’Associazione Artemisia Onlus da oltre 15 anni si impegna nella prevenzione». La campagna mira a «offrire visite gra-

Foto: RIPARI YOUNG GROUP

tuite a donne e uomini», ha spiegato la Mennuni «al fine di sensibilizzare i cittadini nella cura della salute. Duemila cittadini romani hanno potuto prenotare lo screening gratuito presso le pari opportunità o presso l'associazione ArtemisiaLab». Anita MADALUNI

LA FONDAZIONE CASTELLI E LA PREVENZIONE I defibrillatori negli impianti di Roma Capitale. Un capitolo importante come spiega Andrea Roberti del Dipartimento Sport di Roma Capitale: «Quella volta a Corcolle fu donato il 1° grazie al Forum Nazionale Giovani insieme al Dipartimento dello Sport con Alessandro Cochi. Un evento andato di pari passo alla donazione di un'altra di queste strumentazioni al Cus Roma». L'importanza del defibrillatore: «È fondamentale. Ora c'è stato anche il decreto Balduzzi, in fase di attuazione, che obbliga tutti gli impianti ad averne uno. Bisogna però anche formare il personale all'utilizzo di tale strumento, per poterlo usare senza incorrere in errori pericolosi. La Fondazione Castelli in questo campo è all'avanguardia per quanto concerne i corsi d'apprendimento». Cos'è la Fondazione Castelli: «È nata per ricordare il giovane calciatore dilettante Giorgio Castelli, morto sul campo di gioco a causa di un arresto cardiaco, tra le braccia dei fratelli Alessio e Valerio, in una scena straziante. Era il 24/02/2006 e il 1 Giugno avrebbe compiuto 17 anni. Un ricordo che ha spinto la Fondazione a sensibilizzare l'opinione pubblica sull'importanza della prevenzione delle malattie cardiovascolari».

Nella foto, la consegna del primo defibrillatore a Corcolle.

Nell'ottobre 2000, Maradona entra nella mezza età. Pelè aveva poco prima compiuto i sessanta. Per l'ennesima volta, un intero pianeta si domanda chi tra i due sia stato il migliore. Accade da sempre. NEWS | 133

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Federico PASQUALI

La rubrica che racconta sport e celluloide

Focus sulla

& SPORT

PREFONTAINE Steve James, 1997

La corsa da sempre affascina l’uomo. Una disciplina che sin dalle prime Olimpiadi ha catturato l’attenzione generale. Un’attenzione che anche il mondo del cinema non si è fatta sfuggire. E lo dimostrano i diversi film che hanno come tema dominante questa particolarità dell’atletica leggera. Storie profonde con precise finalità umane oltre che sportive.

Cast: Jared Leto, R. Lee Ermey, Ed O'Neill, Lindsay Crouse Trama: La vita dell’atleta statunitense Steve Prefontaine, raccontata dal punto di vista del suo allenatore e della fidanzata. Il mito del corridore di lunga distanza, dalla finale 5 km delle Olimpiadi di Monaco, all’Oro nei giochi panamericani fino alla sua tragica morte.

a cura di Roberto CIPOLLETTI

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Sportinrete

La nuova rubrica della rivista con le recensioni sui siti del mondo sportivo prosegue con le pagine su Andrea Lo Cicero

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a splendida vittoria dell’Italia sull’Irlanda del 16 marzo scorso, resterà negli annali della storia del Rugby italiano e non solo. Una giornata da ricordare, sia come la prima vittoria degli Azzurri sugli Irlandesi, sia come l’ultima partita in maglia azzurra per il Barone Andrea Lo Cicero. Una fine di carriera in grande stile per un giocatore che con 103 caps, ha il record di convocazioni in nazionale. I numerosissimi fans non hanno certo fatto mancare la propria vicinanza al campione del Rugby azzurro, e molti hanno scelto il suo sito personale per farlo, lasciando il proprio commento nella sezione “guestbook”, creata apposta per i fans. Il sito raggiungibile all' indirizzo http://www.andrealocicero.it, è, ovviamente, composto da molte altre sezioni che consentono al visitatore di conoscere in maniera approfondita la carriera de "lo sportivo”, ma anche gli hobbies “fuori dal campo”, e scopriamo che oltre ad essere un talento del rugby, ama gli sport acquatici, ha praticato e pratica la canoa, la vela ed il kite-surf, gli piace cucinare e dilettarsi ai fornelli per deliziare gli amici, il suo cavallo di battaglia

è la “scacciata” catanese, una sorta di focaccia ripiena con verdura, carne e tuma. Tra “le mie iniziative”, si scopre il grande impegno che svolge nel sociale sin dall’età di 14 anni, e che tutt’oggi continua con impegno e passione. Come ogni buon sito, si trova una sezione dedicata al “multimedia” con fotografie e video ed una sezione “news”, purtroppo non proprio aggiornatissima. Per concludere, a mio avviso, ciò che dà un senso di vicinanza a chi legge, e' “il mio diario”, anche questo non aggiornato, dove Andrea si racconta nella quotidianità.

Il Sito del Barone Andrea Lo Cicero

Luglio 1984. Alla vigilia dei Giochi di Los Angeles, che saranno i Giochi di Carl Lewis, Gianni Brera esalta con articoli di rara fattura il mito dei Giochi di ieri, di oggi e di domani. E poi sul decoubertinismo e sul vile denaro che lo inquinava... da molto tempo.

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MOMENTI DI GLORIA

UN AMERICANO A OXFORD

Hugh Hudson, 1981

Jack Conway, 1937

Cast: Nigel Havers, Ben Cross, Ian Holm, Ian Charleson, Dennis Christopher Trama: Storia vera degli universitari di Cambridge che si allenano e parteciparono alle Olimpiadi di Parigi del 1924. Eric Liddell e Harold Abrahams raccontano l’esperienza attraverso flashback e aneddoti sulle qualificazioni e le successive gare.

Cast: Lionel Barrymore, Robert Taylor, Vivien Leigh, Maureen O'Sullivan Trama: Uno studente americano al College di Oxford. Per la sua spregiudicatezza e dei successi sportivi, si scontra con i compagni. Si innamora della sorella di uno di loro ma la tradisce, è espulso dal college ma riuscirà a riappacificarsi. xxx

UN RAGAZZO DI CALABRIA Luigi Comencini, 1987

Joseph Sargent , 1979

Cast: Gian Maria Volonté, Diego Abatantuono, Thérèse Liotard, Jacques Peyrac, Santo Polimeno Trama: Calabria 1960, il giovane Mimì vorrebbe sfondare nel mondo dell’atletica ma è ostacolato dal padre. Lo aiuta l’autista Felice, iniziando una serie di allenamenti che lo portano a partecipare ai Giochi della Gioventù.

Cast: James Coburn, Curd Jurgens, Harry Gaurdino, Robert Culp, Leslie Caron Trama: Olimpiadi di Mosca 1980: un ex scienziato nazista, allena la figlia adottiva imbottendola di ormoni. La ragazza vince le prime 2 gare ma rendendosi conto del progetto del suo patrigno, prova a vincere la terza gara con le proprie forze.

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IL MENU DEL SITO

www.andrealocicero.it

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Prima di Valentino Rossi c'era Alberto Tomba: Rossi e Tomba sono i più grandi sportivi italiani degli ultimi 20 anni. Nel marzo 1998, "la bomba" chiude la carriera nel modo migliore, vincendo l'ultimo slalom stagionale NEWS | 135

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Maratona di Roma e RomaOstia la “mezza” più partecipata d’Italia. Ecco i quattro romani, due uomini e due donne, a tagliare il traguardo per primi. Una grande festa, mentre in America tutto è diverso. La Maratona di New York non si disputa per problemi atmosferici e a Boston, torna la paura per gli attentati...

MARATONA DI ROMA

ROMA-OSTIA

LORENZO GIULIO

GIORGIO CALCATERRA

UN SODDISFACENTE 24° POSTO

ECCO IL TASSISTA VOLANTE

Nato il 1 Novembre 1976, Lorenzo Giulio è arrivato 63° su 14088 atleti alla Maratona di Roma corsa il 17 Marzo. Si è piazzato 23° nella categoria 35/39 anni su 1960 atleti. Fra i suoi risultati di spicco il 40° posto su 29941 partecipanti alla 36esima Maratona di Parigi nell’Aprile del 2012 e il 75° posto su 31225 runners alla Maratona di Venezia nel 2011.

Giorgio Calcaterra è nato a Roma l’11 Febbraio 1972. Di professione tassista. Nel 2006 partecipa alla 100 km Firenze – Faenza: vince in 6h 45’ e titolo italiano. Entra nella Nazionale di Ultramaratona, con la quale prende parte a tre Campionati Mondiali di 100 km ). Vincendo la 3° edizione dell’Ultramaratona degli Etruschi in 6h 37’ 41” si è laureato campione del mondo di 100 km nel 2008.

FEDERICA LIBERATI

PAOLA SALVATORI

PER LEI UN ECCEZIONALE 13° POSTO Federica Liberati dell’Lbm Sport Team è nata a Roma il 28 marzo 1988, è laureata in Scienze Motorie e Sportive. Il suo allenatore è il colonnello Fabio Martelli. Alla Maratona di Roma, per lei un allenamento, ha raggiunto il 13° posto, prima italiana a tagliare il traguardo con il tempo 2:59:40. A SPQR SPORT: «Da adesso mi do alla pista e mi rivedrete alla mezza di Pisa e alla maratona di Firenze».

HA CENTRATO IL TEMPO DI 1H22.02 Paola Salvatori ha completato la RomaOstia in 1h22.02, è una delle migliori atlete del podismo romano, in forza alla società U.S. ROMA 83. Nella vita fa l’insegnante di scuola elementare presso la Jean Piaget di Roma. Ha iniziato a correre all’età di 15 anni si allena spesso al Paolo Rosi, l’impianto dell’Acquacetosa, abituale punto di raduno dei runners romani.

Agosto 1996. Doveva essere l'uomo dei Giochi di Atlanta e così fu. Michael Johnson divenne il primo (e per ora unico) atleta maschio a vincere il doppio oro olimpico nei 200 e nei 400 metri piani.

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BOSTON 15.04.13 angue e Terrore alla Maratona di Boston. No, non è il titolo di un film ma quanto accaduto alla rassegna sportiva americana, la più antica al mondo del settore dopo quella di Atene. Proprio mentre i runner erano a pochi metri dall’arrivo tutti, compresi gli spettatori, sono stati travolti da un’onda d’urto inaspettata. Una terribile esplosione che ha lasciato a terra 3 vittime, 144 ferite di cui 17 in gravi condizioni e 10 che hanno visto la loro vita completamente cambiata per via delle amputazioni resesi necessarie. Il più piccolo a lasciare questa Terra è stato Martin Richard, un bambino di 8 anni che aveva l’unica colpa di aspettare suo papà all’arrivo nel posto sbagliato. La gara podistica è terminata così, fra sirene impazzite, urla... Il particolare più agghiacciante sta nella fabbricazione degli ordini, di matrice chiaramente artigianale. In essi erano infatti depositate biglie d’acciaio e chiodi che hanno contribuito, in maniera decisiva, ad aggravare il bilancio. Carni dilaniate in ogni dove, questo è stato il raccapricciante spettacolo presentatosi dinanzi agli occhi dei soccorritori. Un fatto che con lo sport non ha nulla da spartire. Perchè in tanti, già qualche minuto dopo l’esplosione, hanno urlato come il terrorismo non fermerà la voglia di correre degli appassionati di tutto il mondo.

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MARATONA DELLA FOLLIA

Olimpiadi di Los Angeles, 1984. Come per ogni edizione dei Giochi, si rivedono volti per quattro anni sepolti nell'oblio. Uno di questi è Luciano Giovannetti, che bissa l'oro di Mosca nel tiro a volo, fossa olimpica. NEWS | 137

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CAMPIDOGLIO NON SOLO SPORT

A CURA DELL’UFFICIO FOTOGRAFICO DI ROMA CAPITALE

Campidoglio – Karl Lagerfeld interviene alla presentazione del progetto Fendi for Fountains per il restauro di Fontana di Trevi

Campidoglio – visita del regista Ridley Scott

Uno dei Diòscuri sulla Cordonata del Campidoglio

Il nordamericano Tyson Gay ha corso il 4 giugno 2007 durante il meeting di New York riuscendo a battere il record mondiale dei 100 m. piani con il tempo di 9.76, ma per sua sfortuna due decimi di vento in più hanno impedito l’omologazione di tale risultato.

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CUS ROMA QUANTA STORIA! «Il Cus Roma nasce nel 1946, e i primi sport che venivano praticati erano l’Atletica Leggera e il Rugby che oggi, milita addirittura in Serie A», queste sono le parole di Gianfranco Morrone, Presidente del Cus, Centro Universitario Sportivo di Roma. «Attualmente si sono aggiunti anche il basket, il volley, il beach volley, il calcio, il calcetto, il nuoto e da poco anche il tiro con l’arco». Il Cus Roma, che nasce all’interno dell’Università della Sapienza, in estate apre i suoi campus anche per i più piccoli: «I nostri circoli sono vantaggiosi, facili da raggiungere, dove i bambini si avvicinano agli sport che non conoscono. Il nostro è un vero e proprio centro ricreativo».

NEI PROSSIMI NUMERI UN DOSSIER SU SPORT E UNIVERSITÀ

I giochi di Berlino 1916 furono spazzati via dalla Guerra che dal 1914 al 1918 straziò le maggiori nazioni europee . Si tornò a parlare di Olimpiadi solo nel 1920, quando la manifestazione si spostò nella piccola città belga martoriata dal conflitto: Anversa. NEWS | 139

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L’ATLETICA LAZIALE, ANIMA MILITARE L’atletica laziale vede l’Esercito Italiano grande protagonista. A capo, Fabio Martelli, 48 anni, due figli, Fabiola di 25 anni e Alessio di 20, ten. colonnello dei Granatieri dell’Esercito italiano. Arruolatosi nel 1985, ha svolto funzioni operative e logistiche. Nel 2001 lo Stato Maggiore dell’Esercito lo ha impiegato nell’ambito dello sport. Dal 2005 è effettivo al Centro Sportivo Olimpico dell’Esercito come capo del 1°Dipartimento sportivo con 5 sport d’elitè: atletica leggera, nuoto, scherma, triathlon e pentathlon. Ricopre il ruolo di vice presidente del Comitato regionale FIDAL Lazio. La sezione atletica leggera ha portato in pochi anni a conquistare con gli atleti militari del Centro Sportivo Olimpico dell’Esercito tanti successi. Nelle poche ore libere allena un gruppo di atleti del Team LBM Sport. Nel 2007, con l’amico Col. Raffaele Margotti costituisce l’ASD Esercito Sport e giovani. Si inizia con 33 bambini nel 2007 fino ad arrivare al 2013 con circa 300 atleti tutti tesserati presso la Federazione di atletica leggera. Con l’ASD Esercito Sport e giovani è avvenuta la partecipazione allo spettacolare evento sportivo tenuto in via dei Fori imperiali. Evento nell’evento, che ha ridato luce alla storia dell’antica Roma e allo sport tutto. Tifoso laziale da sempre, nel 1998 fu incaricato dal Comandante di costituire la società di atletica! Lo statuto prevedeva i colori di Roma. «Una coltellata dritta al cuore! Rifeci tutto lo statuto e senza colpo ferire scrissi: colori sociali Bianco Azzurro».


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di Daniele FERRANTE

CLAUDIO ICARDI E I CAVALLI: UNA PASSIONE DA SALVARE laudio Icardi, giornalista che per decenni ha seguito il Trotto, c’introduce C sull’attuale situazione dell’Ippica, un tema caldo sul quale anche il Dipartimento Sport si sta battendo: «È un momento drammatico. Dall’inizio del 2012 c’è stato un decremento del 40% del montepremi. Sono stati chiusi alcuni fra i maggiori ippodromi italiani. Per mesi non sono stati ricevuti soldi e le mensilità luglio\agosto 2012 sono state saldate solo il mese scorso. Un decreto interministeriale ha poi programmato una rateizzazione nei prossimi tre anni delle mensilità dovute fra l’agosto e il dicembre del 2012. Il Montepremi del 2013 dovrebbe arrivare regolarmente. La situazione è difficile perché manca poi un piano di ristrutturazione. Abbiamo da questo punto di vista un problema legislativo. Il Ministro di riferimento non sarà più lui». Fra tutti questo problemi, la situazione di Tor di Valle: «È chiuso. La proprietà ha avuto problemi per pagare i dipendenti che hanno fatto un’altra manifestazione il 4 aprile». Salvare il Trotto: «La proposta di Tor di Valle al momento è quella di mantenere le attività fino alla costruzione dello Stadio e poi di trasferirsi all’interno dell’Ippodromo del galoppo delle Capannelle. Già hanno chiuso, inoltre, Milano Trotto,

Napoli Trotto, sede della storica Lotteria, e Padova. La colonna vertebrale dell’ippica si è disgregata». Il futuro è nebuloso. Anche le scommesse vanno a picco: «Partiamo dalle colpe degli addetti ai lavori, che non hanno garantito uno spettacolo adeguato, al passo coi tempi. C’è stata poi una disattenzione completa dai parte della politica che non hai mai promulgato e proposto nuovi scenari. La concorrenza spietata di altri giochi che costano meno e rendono di più ha fatto il resto. È

molto più facile organizzare una partita di poker che una corsa di cavalli». Chi gestisce i cavalli, come sta? «Sono veramente dispiaciuto per i gestori. Non hanno più soldi neanche per mangiare. Ormai chi ha investito su puledri nella speranza diventassero campioni è rimasto scottato. L’indotto dell’ippica coinvolge qualcosa come 50.000 famiglie. I problemi hanno toccato diverse classi sociali. Non è più un fenomeno locale, ma nazionale, dove in difficoltà sono andati tutti, dai maniscalchi ai trasportatori, sino ai veterinari. È un problema grosso». Le soluzioni? «Intanto cambiare la mentalità della gente. Febbre da Cavallo è uno stereotipo divertente ma che ha creato molti danni. L’ippica è uno sport pulito. Ci sono fior fiore di professionisti. Allenatori per fantini, allenatori per cavalli, curatori, allevatori che seguono passo passo la crescita dei loro puledri. Inviterei la gente ad andare almeno una volta al mese alle corse. E poi c’è la necessità di un piano per il futuro che permetta di avere delle certezze. Oggi non si sa nulla, quando invece serve finalmente unità d’intenti, e non quel marciare in solitario che spesso ha portato solo risultati negativi».

Ai Giochi Olimpici di Montreal del 1976, durante la gara di scherma, il pluridecorato atleta sovietico Boris Onishenko fu squalificato poiché colpevole di aver manomesso illegalmente la sua spada. Da quel giorno nessuno ha più sue notizie.

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UN APPUNTAMENTO DI SUCCESSO. NE PARLA SCHILLACI

TORNEO JUSTITIA, 40 ANNI DI STORIA

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Nel cuore di Roma, 40 anni fa, l’avvocato Cipollone, da sempre appassionato di calcio, decise di fondare un torneo amatoriale per gli avvocati e i magistrati della Capitale dandogli il nome di ‘Torneo Justitia”. A parlarne ai microfoni di SPQR SPORT è l’avvocato Schillaci, che oggi si occupa dell’organizzazione della manifestazione: «Siamo arrivati alla quarantesima edizione di questo torneo nato per gli avvocati e per i dipendenti del mondo giudiziario romano. Io collaboro con l’avvocato Cipollone ma siamo aiutati anche dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma. Il nostro è un Campionato di calcio a 11 vero e proprio, patrocinato dall’Asi, con andata, ritorno e play off. Quest’anno abbiamo undici squadre partecipanti e le partite si svolgono in vari campi della Capitale. L’anno scorso la finale si è giocata allo Stadio Flaminio grazie all’in-

teresse dell’On. Cochi, altri anni invece si è svolta a Formello. Inoltre, abbiamo un torneo dedicato esclusivamente agli Over 40 che quest’anno è arrivato alla sua tredicesima edizione».

CASTEL FUSANO, LO SPORT IN NOTTURNA A Castel Fusano ci si prepara ad una rivoluzione sportiva e naturalistica. Ne abbiamo parlato con Roberto Caldarelli che sta curando l’iniziativa: «Nasce tutto dalla mia partecipazione, a Berlino, circa 8 anni fa, alle masterclass per lezioni di spinning in cui 220 spin bike produssero tanta energia da illuminare la Piazza di Brandeburgo e quelle laterali. Era tutto molto positivo. Castel Fusano ha un problema. Col buio l’illuminazione è estremamente scarsa. L’intento, con il Delegato Cochi è di dare luce al parco con un’iniziativa che crediamo abbia una valenza sociale ed aggregante. Si potrebbe permettere a tanta gente di poter frequentare questo magnifico luogo anche alle 20 di sera. Nell’ottica di un patrocinio volevamo proporci anche all’Acea per avere un aiuto dal punto di vista tecnico. Io ho collaborato con la Protezione Civile per tenerlo quantomeno pulito e chiunque si adopera attivamente per il parco potrà usufruire gratuitamente di quest’area». Ci saranno strutture? «Non ce ne sarà una fissa. Tranne un discorso di tavolato per la posturologia e il pilates, non ci saranno strutture invasive. È un tipo di ginnastica, quella pensata, che si distacca da quella delle palestre perchè si fa all’aria aperta. Non ci sono neanche gli attrezzi, se non quelli a carico funzionale. Noi incentiveremo poi tutte le fasce d’età con un obiettivo. Con una preparazione volta ad arrivare in forma, la persona che riuscirà a raggiungere tale traguardo, non dovrà più pagare la mensilità. Un costo in ogni caso popolare, circa 30 euro, avendo a disposizione istruttori qualificati, con diploma di laurea o più. Ci sarà un lavoro dinamico, che terrà conto delle problematiche dell’individuo e di ogni piccolo problema fisico». I tempi? «La messa in opera per il progetto, come tempi di realizzazione, avendo già parte del materiale, la quantifichiamo in 30 giorni. Ora siamo però in attesa di alcuni permessi. È fondamen-

tale perchè abbiamo già promosso iniziative simili a Villa Ada e Villa Pamphili ma qui vorremo dare una stabilità al programma. Tutto sarà autofinanziato e le iscrizioni serviranno di volta in volta per investire su nuovi attrezzi. Con 25 spin bike illumineremmo già 130 lampioni, tutti i viali di Castel Fusano». Anche il socio e maestro di pugilato federale, Giovanni Capparella, ha voluto dire la sua: «L’obiettivo è il miglioramento della propria condizione fisica e, parallelamente, l’illuminazione del parco. Le due cose vanno di pari passo. Parliamo di sport all’aperto , con corsi di prepugilistica, yoga e pilates. Sarà anche un’iniziativa che permetterà di diffondere una mentalità di rispetto per l’ambiente, con la messa in sicurezza del parco».

Anna Incerti, capitano della squadra nazionale di maratona, ha saputo solo due anni dopo di aver vinto la medaglia d’oro agli Europei di Barcellona 2010, in seguito alla squalifica per doping della lituana Zivilé Balčiūnaité e della russa Nailiya Yulamanova. NEWS | 141

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TORNEO CORSPORT

JUNIOR

CLUB La seconda edizione del Torneo organizzato dal Corriere dello Sport e riservato agli studenti delle Medie Superiori di Roma e Provincia riscuote sempre un fascino particolare

iamo alla II edizione del Torneo Corsport Junior Club che «S quest’anno, si è fatto ancor più competitivo», sono le parole di Sergio Acciarino, organizzatore della competizione e direttore commerciale del Corriere dello Sport: «Partecipano 32 squadre di Allievi e 32 squadre Juniores ed è rivolto alla scuole superiori di Roma e Provincia. Tutte le partite vengono svolte al Wellness Town - ASD Ardappio ma auspichiamo ad un campo importante di Roma per la finale, che lo scorso anno, si è giocata allo stadio Flaminio». La parola passa a Alessandro Giorgio, organizzatore del torneo che lavora nella direzione commerciale e organizzazione di eventi all’interno del Corriere dello Sport: «Abbiamo preso in mano questa competizione nata in realtà negli anni ’80. Noi l’abbiamo rimessa in piedi ed ora è rivolta ad un pubblico di ragazzi tra i 15 e i 18 anni. Lo scorso anno parteciparono 24 squadre, quest’anno invece, le squadre sono salite a 32. È un torneo di calcio a 11 ben fatto: come in un campionato di Serie A, ci sono arbitri ufficiali e in più offriamo un servizio di pullman che da scuola porta i ragazzi al campo e poi li riaccompagna. Il Torneo vive di vita propria, abbiamo l’appoggio redazionale che ci dà una visibilità importante. Ogni giorno sul Corriere escono articoli sulle partite svolte il giorno precedente e in più, sul nostro sito, abbiamo una sezione dedicata all’iniziativa ‘Giornalista per un giorno’, dove ragazzi e ragazze possono inviarci articoli sulle partite; i migliori verranno pubblicati. È bello partecipare a questi tipi di eventi rivolti ai più giovani ma vorrei ringraziare anche il Wellness Town che ci dà una grande mano nella parte organizzativa».

Era il 16 luglio 1922, la partita Tra Vado e Udinese si trascinava sulla parità quando al 118’ un formidabile tiro da fuori area di Levratto non solo superò il portiere friulano, ma tra l’incredulità dei presenti sfondò addirittura la rete.

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Lucerna, estate 1947. Giuseppe Moioli, Elio Morille, Giovanni Invernizzi e Franco Faggi, quattro operai con la passione del canottaggio sconfiggono con la maglia della Moto Guzzi, la fortissima Cecoslovacchia nel quattro senza. NEWS | 143

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FFILMATI NELLA STORIA

Nome e Cognome: Fabrizio Mori Data e Luogo di Nascita: Livorno, 28 Giugno 1969 La sua specialità: 400 metri ostacoli

Momenti indimenticabili che hanno fatto la leggenda dello sport

La finale di Siviglia 1999

FABRIZIO MORI

È la sera del 28 agosto 1999 quando si svolgono le finali dei Campionati del Mondo di Atletica Leggera. Fabrizio Mori è in finale. Squalificato dopo la semifinale dei 400 ostacoli per invasione di corsia, Mori si presenta ai blocchi di partenza grazie al ricorso, accolto, della Federazione Italiana. Dopo una partenza in sordina Mori riesce a rimontare e a tagliare il traguardo per primo, grazie ad un magnifico rettilineo finale. Con il tempo di 47"72, Mori stabilisce anche il primato italiano.

ZDENEK ZEMAN Dopo l’esonero della Roma «Sono dispiaciuto, avrei voluto dare più soddisfazioni ai tifosi che se lo meritano. Rancore? No, ho fallito perché non ci sono stati risultati. I rimpianti sono solo i risultati. Se ho capito cosa non andava? Sì, sì, io l'ho capito: c'erano dei problemi. Se non ci fossero stati saremmo stati primi».

hanno detto…

CARLO CAIONE Tra i 400 ex azzurri premiati con il “cap” «È stato emozionante e commovente fino alle lacrime incontrare tutti gli ex azzurri, quella dei 'cap' è stata una gran bella iniziativa perché mi ha permesso di rivedere persone che non incontravo da vent'anni, anche se è stato come se ci fossimo lasciati il giorno prima».

PAOLO DI CANIO Il giorno del suo ritorno alla Lazio «Essere laziale è qualcosa di speciale, diverso dalla massa. È stato l'istinto a spingermi verso i colori biancocelesti e la passione per l'aquila, un animale affascinante, regale, fiero».

Ercole Baldini nel 1956 tolse il record dell’ora a Jacques Anquetil, 46,393 km, un’impresa storica, Anquetil dal canto suo lo aveva conquistato appena due mesi prima, spodestando nientedimeno che Fausto Coppi.

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IN BICICLETTA AL CIRCO MASSIMO

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I bikers si sono riuniti al Circo Massimo per vivere un evento interamente dedicato alla mountain bike con una dinamica gara su un circuito di un km a 100X100 Mountain Bike, Lcircoospitata nell’area verde del più noto di Roma, ha visto l’invasione della struttura per mano, anzi pardon, in bicicletta, di centinaia di ciclisti. Uno spettacolo incredibile che ha permesso il coinvolgimento di tantissimi spettatori attratti dal mondo delle ruote grasse. A farla da padrone una gara a staffetta entusiasmante su un circuito lungo un chilometro che ogni squadra, composta da tre atleti, ha percorso per 100 volte con obbligo di cambio ad ogni giro. Il fascino del Circo Massimo ha trasformato Roma nella capitale del ciclismo per un giorno, visto che la 100X100 Mountain Bike partirà ora in Tour con le prossime tappe del 6,7 e 8 Giugno a Camaiore (presente l’assessore al turismo del comune).

La scelta della capitale come apripista non è stata casuale, come spiegato da Claudio Vettorel, organizzatore e presidente dell’associazione Bike Park Roma: «L’evento nasce con la volontà di riportare al centro e nei parchi di Roma la bicicletta. La manifestazione ha regalato emozioni grazie all’imponente scenografia capitolina che ha di fatto stregato pubblico e partecipanti. L’ambiente, già elettrico per una formula di gara così particolare è diventato magico. Ringraziamo Roma Capitale per averci regalato questa magnifica cornice». In chiusura, attraverso lo slogan: “100 GIRI, 100 TEAM E 100 KM”, si è contraddistinta questa splendida manifestazione, tributo all’ambiente, alla capitale e allo sport, la prima, nel suo genere, a livello mondiale.

I centurioni del Gruppo Storico Romano con la nostra rivista...

IL PROSSIMO NUMERO, UN DOSSIER SUL MONDO DELLA BICICLETTA A ROMA Nel 1986 N 1986, a 16 anni, G Giovanna T Trillini entra nella storia della scherma come la più ù giovane campionessa italiana assoluta di fioretto, piazzandosi poi seconda nel Campionato del Mondo giovanile di Stoccarda. NEWS | 145

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Uno scatto che ferma una storia. Un’immagine che ha il potere di regalare un momento alla leggenda e suscitare emozioni. Istanti che rimangono impressi nella pellicola e nell’anima.

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LO SGUARDO DEL MONTE FUJI SUL KENDO. Un giovane si allena nell’antica arte del kendo, in Giappone, con il Monte Fuji sullo sfondo. È il 1950 e utilizza una spada di bambù detta “shinai”. (Photo by Popperfoto/Getty Images)

LA POTENZA È TUTTO.

BACIO AD ALTA VELOCITÀ 20 Luglio 1962. Una coppia dotata di un perfetto equilibrio sperimenta un bacio facendo sci nautico. (Photo by Alan Band/Keystone/Getty Images)

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Leslie Hanson prova un drive di potenza durante un torneo di golf in corso nel Moore Park Golf court. Photography. 1932. (Photo by Imagno/Getty Images)


SPQR SPORT, il mensile voluto dal Dipartimento Sport di Roma Capitale, è sfogliabile anche online sul sito www.spqrsport.it SPQR SPORT sarà presente anche nei principali social network ed inviato tramite newsletter. Un modo per raggiungere una fetta quanto più ampia della popolazione capitolina. Internet garantisce un’importante diffusione parallela rispetto al prodotto cartaceo che rispetta i canali classici della diffusione freepress: la rivista è distribuita in occasione dei grandi eventi sportivi della Capitale e anche sul territorio grazie alla scelta di esercizi commerciali (edicole, bar, etc) nelle piazze più importanti dei 19 municipi romani. L’elenco è consultabile sul web.



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