Spqr Sport n. 5 - 2011

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26-10-2010

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GLI SPORTIVI DI ROMA Gianni Alemanno, Sindaco di Roma

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oma ha superato a pieni voti il banco di prova dei Mondiali maschili di Volley. Le fasi finali del torneo sono state vinte sul campo dal Brasile, con l’Italia che purtroppo non è riuscita a salire sul podio. Ma il calore dei romani, presenti e appassionati al Palalottomatica, ha confermato che la nostra città non è solo una grande Capitale dello sport per il patrimonio infrastrutturale di cui dispone: lo è anche e soprattutto per la cultura sportiva della sua comunità cittadina. Il pubblico si è contraddistinto ancora una volta per partecipazione e sostegno, confermandosi unico. E questo è stato, senza dubbio, un valore aggiunto che ha inciso sulla buona riuscita della manifestazione. La maturità con cui sono stati accolti tifosi provenienti da tutto il mondo, la voglia di sostenere i propri colori nel rispetto dell’avversario e di vivere le emozioni che la pallavolo sa regalare, al di là delle squadre in campo, hanno scandito quest’avventura mondiale iniziata a Milano e culminata a Roma. Rivolgo per questo i miei più sentiti complimenti al Comitato Organizzatore e a tutti coloro i quali hanno collaborato a costruire questo successo. I Campionati del Mondo di volley sono stati per la Capitale e per tutta l’Italia un ulteriore momento di qualificazione internazionale, anche e soprattutto per quella prospettiva Olimpica, che non vogliamo perdere di vista. Ora, archiviato il Mondiale, ci attendono nuovi appuntamenti che coinvolgeranno tutta la nostra città, dal centro alla periferia. Iniziative territoriali che ci accompagneranno da qui alla fine dell’anno. Eventi ai quali teniamo in maniera particolare: la diffusione della pratica di base e la promozione dello sport sono, infatti, i pilastri a cui quotidianamente ci ispiriamo per raggiungere l’eccellenza. La stessa che insieme potremo vivere con le grandi kermesse internazionali, che riprenderanno a partire dal 2011 (primo appuntamento sarà come ogni anno il torneo 6 Nazioni di rugby) e che collocheranno Roma, ancora una volta, al centro della scena sportiva mondiale.


photogallery Uno scatto che ferma una storia. Un’immagine che ha il potere di regalare un momento alla leggenda e suscitare emozioni. Istanti che rimangono impressi nella pellicola e nell’anima. Senza bisogno di alcuna spiegazione.

2010 - SACRAMENTO ANDREA BARGNANI TORONTO RAPTORS - SACRAMENTO KINGS

2010 LEVERKUSEN, GERMANIA - BAYARENA BAYER LEVERKUSEN - VFL WOLFSBURG EREN DERDIYOK


2010 - IMOLA MAX BIAGGI CAMPIONE DEL MONDO SUPERBIKE 2010


2010 - NEW YORK BILLIE JEAN KING NATIONAL TENNIS CENTER JAMES BLAKE - PETER POLANSKY

2010 - MONZA FERNANDO ALONSO FESTEGGIA SUL PODIO


2010 - SINGAPORE TOA PATOH SWIMMING COMPLEX THOMAS DALEY


2010 - MOSCA CAMPIONATI DEL MONDO DI GINNASTICA RITMICA ITALIA CAMPIONE CON LA ROMANA SANTONI


Tutto in uno scatto di Roberto REAN CONT Sales Manager - Sport Getty Images

2010 - MLADOST CAMPIONATI EUROPEI DI PALLANUOTO GERMANIA-GRECIA 2010 - SINGAPORE MERCEDES-MCLAREN JENSON BUTTON

Prosegue la rubrica che “apre” le pagine della rivista SPQR SPORT. Anche in questo numero abbiamo scelto delle fotografie che, innanzitutto, ci trasmettevano le giuste emozioni. Sin dall’inizio ci siamo sempre soffermati poco a ragionare sulla selezione dei singoli scatti, dicendoci che la prima sensazione spesso è quella giusta e se alcuni momenti potevano dare emozioni a noi, probabilmente avrebbero potuto darle anche ai nostri lettori. Scelta condizionata in questo numero dai romani che vincono in campo internazionale che hanno monopolizzato molto dello spazio concessoci dall’editore. Elisa Santoni ha portato l’Italia all’oro nei Campionati di Ginnastica Ritmica di Mosca. Max Biaggi è invece diventato campione nella Superbike. Tra loro una stella che sta portando in alto il nome del nostro paese nel basket. È diventato una stella dell’Nba quell’Andrea Bargnani che oggi è considerato un top player della sua formazione. Dopo i romani vincenti, spazio agli scatti d’autore: come quello a fianco che vede la Mercedes-Mc Laren di Jenson Button alle prese con un meccanico e il gas refrigerante. O il tuffo di Thomas Daley immortalato in un momento di straordinaria perfezione del gesto atletico. Alla prossima “puntata”, dunque, per continuare a raccontare lo sport con le immagini. Scatti da conservare non solo in libreria ma anche nella memoria. Alla prossima.


LA CULTURA DELLO SPORT A ROMA Alessandro Cochi, Delegato alle Politiche Sportive di Roma Capitale

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a democrazia dello sport. È questo il messaggio che vogliamo lanciare con la nostra attività di governo dello sport a Roma. È inutile negarlo, nella nostra città tutto si chiama Roma, si chiama Lazio e partecipazione popolare per le squadre che monopolizzano i discorsi di tutta la settimana nei bar, negli uffici e nei giornali. Ma lo sport non è solo questo: è anche il bambino che per la prima volta infila la tuta della Nagc; è anche la delusione di una piccola nuotatrice che subisce la prima sconfitta in gara o dei genitori che si sobbarcano notevoli sacrifici per accompagnare i figli nelle tante palestre del territorio. Lo sport è quello dei pensionati che giocano a bocce e di quanti, meno fortunati, proprio in esso trovano un motivo di aggregazione e superamento di tante barriere. Lo sport, è meno, invece, di quei genitori che vogliono solo il figlio titolare e campione a scapito di una adeguata formazione fisica e, soprattutto, psicologica in un’età decisiva per la formazione del giovane. Roma esprime delle potenzialità straordinarie, a volte inespresse. Il nostro lavoro va nella direzione della cultura e della promozione dei sani valori sportivi. Anche grazie alla nostra Comunicazione, come nel caso della rivista che state leggendo. Riceviamo, in tal senso, dall’amico giornalista Fulvio Stinchelli una lettera aperta che, non nascondo, ci fa immenso piacere e ci invita alla riflessione. Le righe che seguono non rappresentano uno sforzo autoreferenziale: non ci piace e chi ci conosce lo sa. Fatta l’opportuna premessa, torniamo allo scritto del “Professore” questo il soprannome che Stinchelli si è guadagnato in anni di scritti e parole, che ha colto come nella nostra rivista si evinca il tentativo, chiaramente oltre le logiche commerciali, di raccontare la vera essenza dello sport, non solo quello di vertice che ruba le prime pagine dei giornali. Fa riferimento allo scorso numero, come si può leggere di seguito e alle tante pagine “rubate” ai campioni della serie A di calcio e date ad esempio ai “Giochi di strada”, quelle attività che oggi definiremmo ludico-motorie che rendevano felici i nostri padri che si inseguivano imitando indiani e cowboys e le nostre mamme impegnate nella “Campana”. Attività che insegnavano a vivere. Che davano ai giovani quella forza e quella spinta fantasiosa che sembra oggi mancare ogni giorno un po’ di più, in un mondo dominato dai giochi virtuali. La strada “maestra” oggi ormai manca visto che è stata sostituita da arterie a scorrimento più o meno veloce per le macchine o al meglio da parcheggi. Già, la nostra bella e romantica città è trasformata in un immenso garage a cielo aperto, con tutto il carico di malinconia che tutto ciò provoca. Ma questa è altra storia. Sicuramente la nostra volontà è dare voce allo sport e ai suoi protagonisti: dal giovane che palleggia a un semaforo o in una piazza d’arte e che oggi si fa chiamare con uno slang alla moda “freestyler” ad un campione proprio della serie A, per una volta sullo stesso piano di un atleta del nuoto, dell’atletica, del pugilato o del volley. Atleti di oggi ed anche quelli di ieri, forse un po’ meno “di cassetta” ma sicuramente con tanto da dire e altrettanta voglia di farlo. Noi ci stiamo provando. Il nostro item è fare cultura, promozione, lasciare su carta (da conservare in un angolo della libreria o nelle ceste che rendono più caldi e colorati i nostri salotti), i tanti momenti che meritano di essere ricordati. “Verba volant, scripta manent”, dicevano i nostri padri latini.


LETTERA APERTA di Fulvio Stinchelli

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aro Direttore, ora che SPQR-Sport, giunta al quarto o quinto numero, è così vecchia da sfidare impavida lodi o censure, accetta anche tu senza batter ciglio che uno stagionato suo e tuo collaboratore esprima in rapida sintesi alcune considerazioni sul cammino e il lavoro fin qui percorsi. Mi limiterò a pochi punti en vrac per non annoiare il colto e soprattutto l'inclita (plebe). 1) Stupisce innanzitutto il gusto, lo stile e il coraggio con cui la sullodata rivista ha osato sfidare una cittadinanza (quella romana) nota nei secoli dei secoli per l'efferato accidioso disinteresse con cui tratta e sport e cultura. E non venir a contraddirmi citando il tifo calcistico ché mi metto a urlare come un ossesso... 2) Le tante pagine e le bellissime foto d'epoca dedicate ai giochi di strada della Roma che fu, be', quelle mi hanno commosso. Anche se, per altro verso, reputo che non abbiano reso mezzo euro in pubblicità 3) Dopo aver tanto sparlato sulla scarsa sportività dei quiriti, faccio qui temporanea e parziale ammenda sottolineando il diffuso impegno con cui SPQR-Sport ha già trovato modo di ricordare fusti della statura di Fulvio Bernardini, Attilio Ferraris, Mario Riva e Bud Spencer (al secolo Carlo Pedersoli): tutti esponenti di quell'Oro Romano conteso tra sport e spettacolo di cui i contemporanei hanno ben scarsa memoria. 4) Confesso infine che la mia canizie e/o calvizie s'intenerisce in presenza di baldi giovani quali io considero l'eminentissimo delegato allo sport capitolino Alessandro Cochi e tu stesso, caro Direttore, ideatori e facitori primi di questa cara SPQR-Sport. Capaci oltretutto di dedicarvi con tanto impegno a codesto strenuo investimento nella cultura dello sport, in un contesto cittadino -ripeto senza stancarmi- che a cultura e sport si è sempre neghittosamente negato. E qui mi fermo per carità di lettura e di lettori. Ma non credere che alla mia osservazione sia sfuggita la cura con cui la Rivista ha trattato i contemporanei, quali la Pellegrini, De Rossi e Andrew Howe. Certo: Nova erigere, vetera servare. Come dicevano i nostri maiores. Tante felicità dal tuo Fulvio Stinchelli. P.S. Si noterà in questa mia letterina la profusione di termini, aggettivi e avverbi ormai banditi dalla lingua corrente dei predicatori mediatici nazional-popolari e politicamente corretti. Tràttasi d'insistenza voluta, volutissima, tanto per essere da questi ultimi (in ogni senso) puntualmente bestemmiato.


L’UFFICIO SPORT DIVENTA DIPARTIMENTO C

ome già brevemente anticipato nel numero precedente la Delibera di Giunta Comunale nr. 184 del 23/06/2010 istituisce il Dipartimento Sport, creando una nuova struttura dedicata esclusivamente allo Sviluppo dell’Impiantistica Comunale ed alla Promozione dell’attività a tutti i livelli nel territorio comunale, completamente autonoma dal punto di vista amministrativo e finanziario. Abbiamo incontrato il Consigliere Delegato allo Sport On. Alessandro Cochi ed il Direttore del neo - Dipartimento Dott. Bruno Campanile per comprendere come si evolverà il panorama dello sport a Roma. La prima riflessione riguarda proprio la creazione della nuova struttura: «La delibera 184 restituisce la dignità che lo Sport merita anche aldilà della candidatura alle Olimpiadi del 2020, che certamente responsabilizza il nuovo Dipartimento, ma non ne monopolizza le attività. E’ un segnale dell’ importanza e centralità dello Sport per l’amministrazione capitolina» esordisce il Delegato. Proprio in relazione alla candidatura alle Olimpiadi 2020 ci domandia-

mo se sarà questo il perno intorno al quale sarà riorganizzata la nuova struttura; in questo senso l’On. Cochi tiene a precisare che certamente questo è uno degli obiettivi primari dell’Amministrazione e che il nuovo Dipartimento si impegnerà a creare sinergia ed armonizzare l’attività del CONI, delle Federazioni, degli Enti di Promozione Sportiva, delle Società e delle Associazioni Sportive per rendere la candidatura non un evento di nicchia, ma l’esito di una concertazione tra tutti i soggetti coinvolti a tutti i livelli. Tutto ciò, però, senza togliere attenzione ed intensità a quelle che sono da sempre le priorità dell’Ufficio Sport: incremento e miglioramento dell’Impiantistica Comunale e sostegno a tutte le attività di Promozione Sportiva ad ogni livello. L’Impiantistica Sportiva Comunale riveste, in effetti, un’importanza fondamentale per il coinvolgimento della cittadinanza, offrendo ben 155 impianti in concessione, con servizi di ottima qualità e tariffe stabilite dall’amministrazione nella stragrande maggioranza dei casi, presenti in maniera piuttosto capillare sul territorio anche se non comple-

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tamente soddisfacente: «Innanzitutto si deve individuare la strada per snellire le procedure burocratiche, quindi riattivare il plafond “fidejussioni” per garantire gli interventi dei privati negli impianti da affidare in concessione (i concessionari assumono l’onere di ristrutturare o ammodernare gli impianti che hanno in concessione, usufruendo di una fidejussione in cui il garante con gli Istituti di credito è il Comune, che annualmente stanzia dei fondi specifici N.d.A.). Quindi vanno individuati i terreni comunali da mettere a bando nei XIX Municipi per costruzione e successiva concessione di impianti sportivi. Allo stato attuale è in corso uno studio in sinergia con gli assessori dei Dipartimenti programmazione e attuazione urbanistica on. Marco Corsini e Lavori pubblici e politiche di riqualificazione delle periferie on. Fabrizio Ghera e con i Direttori apicali Ing. Errico Stravato e Arch. Francesco Coccia che ha come obiettivo quello di individuare queste aree anche in base ai dati offerti dalla I e II fase del PRISP (Piano regolatore Impiantistica Sportiva)».


Sul PRISP vorremmo sapere qual è “lo stato dell’arte” ovvero come procede la stesura del Piano. Ci viene riferito che in questo momento i lavori per la I e seconda fase sono stati completati e si è in attesa delle seguenti fasi: “il progetto riveste importanza cruciale per il Dipartimento”, spiega il dottor Bruno Campanile Direttore dell’Ufficio Sport di Roma Capitale. “Questi permetterà difatti di mappare tutti le tipologie di impianti sportivi presenti sul territorio, offrendo una concreta panoramica del servizio offerto in tutte le zone della città e permettendo, quindi, di studiare i futuri interventi con maggiore consapevolezza e nell’interesse primario dei cittadini, intervenendo

primariamente ove l’offerta di strutture è più carente e razionalizzando la costruzione di nuove strutture”. Riguardo alla Promozione dello Sport il nuovo Dipartimento, oltre a favorire ed implementare costantemente le manifestazioni sportive legate allo sport di base, si farà promotore di un nuovo sistema di gestione dei Grandi Eventi Sportivi, che annualmente hanno un forte richiamo per il cosiddetto turismo sportivo: “l’intenzione è di creare una ‘rete’ di comunicazione” per cui ogni evento promuoverà l’altro, creando un circolo virtuoso che permetterà di amplificare l’informazione e l’interesse verso queste manifestazioni”, spiega ancora Campanile. “Inoltre, in linea con il Regolamento sugli Sponsor (di prossima pubblicazione da parte del campidoglio N.d.A.) dovrà essere studiato ed attuato un sistema di finanziamento da parte di privati degli eventi sportivi romani, per offrire una qualità sempre maggiore e senza troppo gravare sulle casse comunali. Metto a frutto la mia esperienza di operatore del mondo sportivo cittadino da oltre 25 anni. L’idea

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è quella di far si che i gestori di impianti e organizzatori di eventi possano vivere il rapporto con l’Amministrazione in qualità di partner della stessa e non di controparte”. Al termine di questa breve “chiacchierata” sollecitiamo i nostri interlocutori a raccontarci le loro impressioni e sensazioni sul mondo dello Sport e soprattutto su cosa significa per loro affrontare la sfida del nuovo Dipartimento: «Grazie alla fiducia del Sindaco – interviene l’On. Cochi - sto vivendo un’esperienza appassionante e fortemente sfidante, che tra l’altro mi ha permesso di incontrare grandi campioni. Quel che mi ha colpito di più, però, è la passione, la dedizione di chi pratica gli Sport a livello amatoriale, di alcuni anziani che, senza ricevere alcuna retribuzione, dedicano tempo ed energie a piccole associazioni magari accompagnando i ragazzi in trasferta, pulendo i campi, semplicemente tenendo aperte le strutture perché tutti possano usufruirne. n una società globalizzata lo Sport conserva e divulga grandi valori, offre un rifugio, aggrega ed educa.

Maria IEZZI


4.500 È la media di spettatori che hanno visto ogni partita del torneo iridato, una cifra davvero ragguardevole a cui hanno partecipato anche tifosi stranieri. 3.546.000 La cifra boom dell’audience raccolta dalla diretta di Italia-Brasile, la semifinale trasmessa su Rai3, quasi il 15% di share.

ISTITUZIONI Fra i politici il Sindaco di Roma Gianni Alemanno, il Ministro Giorgia Meloni, l’On.Gianni Letta, il Delegato allo Sport del Comune di Roma Alessandro Cochi, gli Assessori allo sport di Regione Lazio e Provincia di Roma Fabiana Santini e Patrizia Presipino. Fra le autorità sportive il presidente del Coni Gianni Petrucci, il segretario Raffaele Pagnozzi, il presidente del Comitato Paralimpico Luca Pancalli. Gradito ritorno al Palalottomatica quello di Claudio Di Coste, vice-campione del Mondo nel 1978 con la nazionale di pallavolo guidata da Carmelo Pittera.

IL MONDIALE VOLLEY 2010


348.000 Gli spettatori che hanno assistito alle 78 partite dei Campionati del Mondo di pallavolo, dalla prima fase alle finali giocate nel week-end. VIP Parata di Vip in occasione della semifinale tra Italia e Brasile. In tribuna la rappresentanza brasiliana dei calciatori della Roma: Adriano, Taddei, Juan, Julio Sergio, Simplicio e Cicinho, Fra gli ex Del Vecchio e Tonetto. Non poteva mancare la stella laziale Hernanes ed il presidente Claudio Lotito E ancora il difensore dell'Inter Lucio, fra i vip dello spettacolo Paolo Bonolis, Laura Freddi. e parte del cast del film "Femmine contro maschi", con il regista Fausto Brizzi e gli attori Giorgia Wurth e Fabio De Luigi.

DI ROMA

La Capitale ha visto lo svolgimento della fase finale del Campionato del Mondo di Pallavolo. Un racconto per ricordare un evento straordinario culminato con la vittoria del Brasile su Cuba


Camerun Messico Serbia

Francia

Bulgaria Egitto Italia Russia Venezuela

Brasile Iran Rep. Ceca Tunisia

Cuba

Australia Giappone Portorico Stati Uniti

CIna

Argentina Canada Germania Poloni Spagna

SEMIFINALI 1-4 POSTO 09 ottobre Serbia-Cuba 2-3 Italia-Brasile 1-3

FINALI 1-4 POSTO 10 ottobre Serbia-Italia 3-1 Cuba-Brasile 0-3

SEMIFINALI 5-8 POSTO 08 ottobre Russia-Bulgaria 3-1 Stati Uniti-Germania 3-0

FINALI 5-8 POSTO 09 ottobre Bulgaria-Germania 3-0 Russia-Stati Uniti 3-0

SEMIFINALI 9-12 POSTO 08 ottobre Argentina-Spagna 3-1 Francia-Rep. Ceca 0-3

FINALI 9-12 POSTO 09 ottobre Spagna-Francia 1-3 Rep. Ceca-Argentina 3-1 MONDIALI DI VOLLEY 2010 | 20

NAZIONALI NELLA STORIA Il primo torneo globale si svolse a Praga nel lontano 1949. A servire la prima battuta, i campioni assoluti di tutti i tempi ovvero l’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche: palla al centro dell’immensa Piazza Rossa di Mosca al cospetto del magnifico Cremlino. Con 11 medaglie i giocatori russi hanno sbaragliato gli avversari, vincendo l’oro per ben 6 volte. L’Italia è salita sul podio più alto 3 volte, dominando di seguito i mondiali del 1990 (Rio de Janeiro), 1994 (Atene) e 1998 (Tokio). L’Italia ottenne l’argento giocando in casa durante il torneo disputato a Roma nel 1978. Quell’anno l’oro lo conquistò la Cecoslovacchia: con 2 medaglie d’oro e 4 d’argento, è un’altra tra le nazioni che hanno cambiato aspetto dal 1993 ( si è sdoppiata in Repubblica Ceca e Slovacchia). A contendere il secondo posto all’Italia nel medagliere c’è il Brasile, vincitore dei tornei del 2002 (Buenos Aires), 2006 (Tokio), e appunto dell’ultima edizione italiana. La Polonia con una medaglia d’oro e una d’argento si piazza al quinto posto.

CLASSIFICA FINALE 1) Brasile 2) Cuba 3) Serbia 4) Italia 5) Russia 6) Stat Uniti 7) Bulgaria 8) Germania 9) Argentina 10) Rep. Ceca 11) Francia 12) Spagna


spq ort di Luca MONTEBELLI foto Getty Images

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tempi non sono ancora maturi per una rivoluzione cubana nella pallavolo internazionale. La meglio gioventù caraibica è stata infatti annientata dalla Selecao brasiliana, nell’ultimo decennio vera dittatrice sotto rete. Nella finale mondiale disputata al PalaLottomatica di Roma i verdeoro hanno infatti schiantato per 3-0 Cuba mettendosi al collo il terzo oro consecutivo e pareggiando così l’impresa riuscita negli anni ‘90 solo all’Italia della “Generazione dei Fenomeni”. Per la giovane formazione di Cuba, età media 23 anni, un argento come quello conquistato nel 1990 proprio in Brasile e un futuro tutto da scrivere. Terzi i Serbi, tostissimi e granitici, dei soldati pronti a sacrificarsi per la squadra: una formazione non talentuosissima ma un blocco compatto, che nella “finalina” ha annientato l’Italia. Gli azzurri sono stati battuti dal Brasile nelle semifinali. Il match si è chiuso 3-1 (25-15, 25-22, 23-25, 25-17). Nella finale per il terzo e quarto posto, appunto, la nazionale italiana è stata sconfitta dalla Serbia, sempre con il punteggio di 3-1. L’Italia si è dunque piazzata al quarto posto. Se si pensa che un anno si era classificata undicesima agli europei, dovrebbe essere un passo avanti. Ma in realtà le cose non sono andate benissimo: dopo un girone agevole, come sempre avviene per il paese orga-

nizzatore, gli azzurri hanno disputato una sola vera partita contro gli Usa, l’hanno vinta faticando, poi 2 crolli con Brasile e Serbia senza neppure l’onore delle armi. E a un mese dalla conclusione della manifestazione sorgono subito i primi interrogativi e gli enigmi sul futuro del volley italiano. Come all’indomani del mondiale in Sudafrica e del fallimento della nazionale di Lippi erano emerse forti preoccupazioni per l’assenza di giovani talenti nel panorama calcistico italiano, lo stesso sta accadendo per la pallavolo. Spesso nel sestetto base della compagine di Anastasi, c’erano 4 giocatori dai 32 anni in su, troppi e troppo poche le alternative. Il livello del nostro campionato con la crisi è calato moltissimo, i migliori stranieri se ne sono andati e i giovani tardano a maturare. Un peccato non aver potuto dare soddisfazioni a quel fantastico tifo sugli spalti, un delitto non aver fatto sgranare gli occhi a un popolo, quello italiano, che ha dimostrato di amare profondamente questo sport. Sì, perché c’è un’Italia del volley che lo ha indubbiamente vinto il suo mondiale, alla grande. Il quarto posto ottenuto sul campo può lasciare certamente qualche rammarico ma, per quel che concerne l’organizzazione, il mondiale italiano ha risposto in pieno

alle attese. Roma in particolare, con un Palazzo dello Sport sempre stracolmo, per un totale di 60.000 spettatori nelle cinque giornate di gara, con picchi di ben oltre 10000 presenze nelle giornate di semifinali e finali, ha dimostrato ancora una volta che la “macchina” organizzativa ha funzionato come meglio non si sarebbe potuto. Ascolti straordinari anche per gli ascolti televisivi, a testimonianza di quanto la pallavolo sia amata e popolare nel nostro paese, Il Mondiale è stato un grandissimo successo di pubblico e mediatico, ma anche televisivo. La Rai, host broadcasting della manifestazione, ha dato una copertura ampia e completa, fornendo un servizio che ci sentiamo di definire eccezionale. La telecronaca diretta della semifinale tra Italia e Brasile, andata in onda su Rai 3 è stata seguita da 3.546.000 telespettatori, con un uno share di 14.78. Per rimanere alle partite giocate a Roma dalla nostra nazionale sono stati 421.801 telespettatori (share 1,64) per Italia-Stati Uniti; 644.945 telespettatori (share 2,47) per Italia-Francia; 334.161 telespettatori (share 1,19) per Italia-Serbia. E ancora 21.39 ore di trasmissione per le dirette delle 8 gare degli azzurri; 2.39 ore per la diretta della finale BrasileCuba. Un Mondiale che a Roma ha fatto leva sull’entusiastica partecipa-

IL MONDIALE SI GIOCA ANCHE PER STRADA rima il sole e poi la pioggia ma la festa non si è fermata. Quattromila bambini hanno preso parte festanti e partecipi, sugli oltre 100 campi allestiti su via dei Fori Impieriali, al 1° Memorial Franco Favretto di Minivolley, manifestazione intitolata al compianto presidente del CP di Roma della Fipav, prematuramente

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scomparso lo scorso dicembre. L’idea di questa manifestazione fu proprio di Franco Favretto il quale, da lassù, avrà salutato con orgoglio lo spettacolo della mattina. La giornata intitolata “Dai Fori al Mondiale” ha gettato un ponte ideale verso i Campionati del Mondo di Pallavolo maschile. Ai Fori Imperiali presenti numerose autorità politiche e del mondo della pallavolo, dal Delegato allo Sport del Comune di Roma Alessandro Cochi, al vice presidente della FIPAV Luciano Cecchi, di ritorno da Milano dove ha assistito al vittorioso esordio della nazionale di Anastasi contro il Giappone, ai presidenti del CR Lazio Andrea Burlandi e del CP Roma Claudio Martinelli, Barbara Pescatori, Direttore Generale del COL di Roma dei Mondiali di Pallavolo. Parte attiva, tutte le società laziali che si sono riversate in massa all’ombra del Colosseo con al seguito naturalmente nugoli di piccoli pallavolisti. Fra gli ospiti la signora Favretto, madre di Franco che ha strappato momenti di commozione ricordando il figlio scomparso. «Una giornata straordinaria di sport-ha commentato Alessandro Cochi- che dimostra ancora una volta il grande lavoro svolto dalla FIPAV a livello giovanile. Nessuna disciplina più della pallavolo riesce ad operare così in profondità sui giovani riuscendo a coinvolgerli in eventi come questo. E’ emozionante vedere tanta partecipazione qui ai Fori Imperiali».

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Il Governo “in campo” Un supercampione tra la gente Solitario, concentrato, teso e in mezzo alla gente comune. Andrea Giani, ex pallavolista, ora allenatore, ha fatto la sua comparsa al Palalottomatica nelle partite dell’Italia. Lui, l’atleta che ha collezionato più presenze con la maglia della nazionale azzurra e che ne ha fatto la storia: insieme ad Andrea Gardini è uno dei due italiani incluso nella Hall of Fame del volley, che ha sede nel museo di Holyoke.

zione di oltre 300 volontari, che hanno dato un grandissimo contributo ala riuscita dell’evento. A decretare ufficialmente la riuscita di questo Mondiale arrivano dalle parole di Mr. Theofanis Tsiokris , vice presidente della FIVB, che ha ringraziato sinceramente il Comitato Organizzatore ed il COL di Roma: “Questa è la mia sesta edizione di un Mondiale di pallavolo, in qualità di official, e devo dire che sono molto soddisfatto per come sono andate le cose sia a livello organizzativo che di pubblico. Eravamo molto preoccupati alla vigilia di questa edizione 2010 per la complessità dell’evento, con 24 squadre partecipanti e 10 città diverse nelle quali si dovevano svolgere le partite. Devo dire che tutto è andato per il verso giusto ed è stato un grande successo. Tutto è stato possibile grazie alla collaborazione di tutti coloro che sono stati coinvolti nell’organizzazione. Li ringrazio sentitamente. In que-

sti giorni tra noi è nata qualche divergenza ma la sera, dopo un sereno confronto, eravamo di nuovo tutti d’accordo. Io credo che in futuro la FIVB non debba più svolgere un ruolo di controllo, con ispezioni nelle sedi deputate a organizzare manifestazioni internazionali, ma debba essere in grado di costituire un gruppo di lavoro che sinergicamente sappia collaborare per la migliore riuscita degli eventi”. Fra gli ospiti delle due giornate finali tanti personaggi, della politica, dello sport e dello spettacolo. Fra gli altri il Sindaco di Roma Gianni Alemanno, il ministro della Gioventù Giorgia Meloni, il Delegato allo Sport del Comune di Roma Alessandro Cochi, l’Assessore allo Sport della Regione Lazio Fabiana Santini, l’Assessore allo Sport della Provincia di Roma Patrizia Prestipino, il presidente del Coni Gianni Petrucci, il vicepresidente Luca Pancalli, Franco Carraro (membro Cio), i

Il Ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, si esibisce in un palleggio di fronte a molti ragazzi.

giocatori della Roma, Julio Sergio, Doni, Fabio Simplicio, gli ex Marco del Vecchio e Max Tonetto, il laziale Hernanes , l’interista Lucio, oltre ai due giocatore della Virtus Roma Luigi Datome, le attrici Giorgia Wurth e Laura Freddi, il regista Fausto Brizzi e l’ex campionessa di atletica Rita Bottiglieri. Si sono ritrovati sul taraflex del PalaLattomatica alcuni protagonisti della pallavolo del recente passato. Da Claudio Di Coste, vice-campione del Mondo nel 1997, gli azzurri dagli “Occhi di Tigre” Lorenzo Bernardi,Andera Zorzi, Fefè De Giorgi e Andrea Lucchetta, i con i cubani Raul Diago (presidente della federazione caraibica) e Joel Despaigne. Baci e abbracci ricordando le grandi sfide giocate dalle due parti della rete. Splendida la coreografia finale del Mondiale, orga-

QUANDO I CALCIATORI FANNO “TORCIDA” Per una volta i giocatori carioca di Lazio e Roma non avranno pensato al derby ma a sostenere tutti insieme la loro Nazionale. E così l’asso biancoceleste Hernanes, in compagnia del fratello Felipe, della fidanzata xxxx e dell’amico xxxx hanno raggiunto il Palaeur per la finale con Cuba. Dopo una cena in sala ospitalità, con la compagnia della nostra rivista (foto 1), Hernanes ha conosciuto il capitano della Nazionale italiana di volley Mastrangelo (2) e il Ct Anastasi (3). Poi ha raggiunto il parterre dove ha incontrato la colonia giallorossa formata da: Julio Cesar (4), Doni e Juan (5). Si è poi intrattenuto a parlare con il difensore interista Lucio (6) giunto appositamente da Milano per assistere alla finale.

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spq ort nizzata da “Clandestine” una cerimonia di chiusura degna dell’evento che andava a chiudersi. “Un gruppo di ballerini professionisti (40 uomini e 1 donna), hanno eseguito una coreografia davvero coinvolgente che ha trascinato il pubblico rimasto sugli spalti in attesa della premiazione finale, sulle musiche del musical “Greese”. Inoltre sul taraflex del Palalottomatica si sono esibite le ragazze della Federazione Italiana Cheerleading, Cheerleading. Coordinate dal coach federale di Roma, Sara Cianti, che hanno dato vita ad un frenetico show. La star Karina Cortez, atleta americana finalista ai Mondiali Cheerleading 2010, ha strappato gli applausi del pubblico insieme alle atlete della All Star Milano Jennifer Laureen Lechner,Tiffany Charlotte Ratcliffe, Sara Bernardo, Martina Bocciarelli, Sabrina e Patrizia Lissoni. Le conclusioni le lasciamo al presidente del COL di Roma Massimo Mezzaroma. “E’ stato davvero gratificante, dopo tanti sforzi e tanto lavoro, trovare un riscontro così importante da parte di tutti, pubblico, addetti ai lavori, Federazione Internazionale. L’intero Mondiale, le finale Roma in particolare, hanno dimostrato quanta passione,

competenza e professionalità siamo in grado di mettere in campo in occasione di un grande evento sportivo. Siamo pronti per altri grandissimi appuntamenti Mondiali. Roma sarà tea-

tro del Mondiali di beach del prossimo anno e dei Mondiali femminili nel 2014. La città è pronta a dare ancora una volta il suo grande contributo alla pallavolo internazionale”.

I SEGRETI DEL BRASILE Tre titoli mondiali di fila, due Olimpiadi e ogni cosa che conti da meno di dieci anni a questa parte. Il secondo sport praticato nel paese, il primo per le donne. Come è successo? Sono andati a scuola. La fabbrica delle medaglie verdeoro nasce alle elementari, 100mila bambini fanno volei ogni anno in 95 centri di 15 stati, fondi federali e privati. Per educarli, ma anche per scovare talenti. I tecnici della Federazione brasiliana prendono i più bravi e li mandano all’ università, un centro sportivo a un’ ora e mezza da Rio de Janeiro, un campus-città da 108mila metri quadrati, tutta la meglio gioventù della pallavolo nazionale. Il serbatoio da cui pescare sempre nuovi nomi e mani: la nazionale brasiliana ha saputo rinnovarsi negli anni perché ha potuto cambiare le energie in campo. I vecchi a casa per anagrafe, i nuovi dentro perché già bravi. Ma il modello Brasile ha un padre: lo zar delle Olimpiadi, mister perfezionismo, Carlos Arthur Nuzman, l’ attuale presidente del comitato olimpico brasiliano. Avvocato ed ex campione della nazionale brasiliana dal ‘ 62 al ‘ 68, è stato il gran governatore della Cbv (Confederação Brasileira de Voleibol), la più grande federazione del volley brasiliano per vent’ anni, dal ‘ 75 al ‘ 95. Iniziò quando la pallavolo in Brasile la giocavano solo le bambine upper class, tutti gli altri

calcio. Cambiò tutto: pubblicità e marketing, coinvolgendo aziende private nel finanziamento dei club e delle squadre nazionali. Voleva istruttori e scuole professionali, metodi di lavoro nuovi, strutture avanzate. Nel ‘ 77 il primo risultato, l’ oro nel campionato mondiale juniores. Fu la svolta, indicò alla federazione e al suo boss che la direzione era giusta. La pallavolo cominciò a essere giocata nelle palestre e per le strade, iniziava a diventare pop. Nel 1991 l’iniezione di liquidità più potente, entra in federazione il maggior finanziatore sul mercato, il Banco do Brasil all’ epoca in crisi. Era il 1991, l’anno dopo a Barcellona la nazionale maschile vince l’oro. La partnership tra l’istituto di credito con il governo della pallavolo brasiliana non si è più interrotta, contratti di 14 milioni di euro per anno, la Cbv ha respiro per programmare e costruire. E’ federazione modello azienda, soldi investiti soprattutto sui giovani e giovanissimi: dal ‘ 99 va avanti il programma sociale VivaVôlei, classi di pallavolo in scuole pubbliche e private, club e altre associazioni per diffondere lo sport tra i 7 e i 14 anni. Patrocinio dei club di Superliga maschile, femminile e juniores, seminari nelle università, impianti nuovi, tecnologia. Ecco il segreto carioca, non è neanche troppo nascosto.




CAMPIONE DEL

calato il sipario del Mondiale sul È palcoscenico di Roma, in un PalaLottomatica esaurito in ogni ordine di

di Fabio LEONARDI foto Getty Images

posto, e con un pubblico che sancisce il successo di un una manifestazione che da nord a sud ha ha risvegliato la tamento che tutta Roma ci ha dato. passione degli italiani per la pallavolo. Credo che lo spettacolo che si è visto Ad iscrivere per la terza volta conse- sulle tribune di questo palasport. sia cutiva il proprio nome alla sezione vin- stato fantastico. La gente è stata corcitori il Brasile di Bernardinho, con un retta, ed ha dato importanza allo spetsecco 3-0 (25-22, tacolo e non ad al25-14, 25-22) ai tre cose. Non era L’allenatore del Brasile la prima volta che danni di Cuba, racconta Mondiale, tornata dopo 20 giocavamo con anni a disputare l’Italia, ma nella emozioni una finale. Nella sentire e il progetto vincente… semifinale notte del tutte quelle per10/10/10 l’affersone che cantavamazione dei ragazzi di Bernardinho, e no l’inno, mi ha davvero emozionato, è il grande spettacolo offerto dentro e stata una delle cose più belle che abfuori dal campo, fanno dimenticare la bia mai visto”. medaglia sfuggita all’Italia contro la Serbia. Un affetto, quello del pubblico Dopo aver vinto questo terzo mondiale di Roma, che lo stesso ct del Brasile, continuerai la tua avventura? Non lo Bernardinho sottolineva a fine gara: so. Ho bisogno di fermarmi un attimo “Roma ci ha accolto molto bene in e pensare. Quello che posso dire è che questa terza fase. Era ovvio che quan- se nelle prossime settimane mi sentido abbiamo giocato contro l’Italia ci fi- rò in grado di dare un contributo per schiasse, ma siamo stati trattati con far crescere, con energia e capacità, rispetto. Vado via ringraziando il trat- questa squadra allora continuerò. Pro-

LO SPORT MILITARE | 26

prio in questi giorni parlando con Andrea Zorzi, gli dicevo che dopo l’argento all’Olimpiade di Pechino, sapevo che non era il momento di fermarsi e lasciare, anche se quel risultato sembrò disastroso. Adesso arriva la cosa più difficile, vincere dopo aver già vinto tanto. Ci sono stati tanti momenti difficili in questo mondiale, ma la cosa bella di questa terza fase è che si è parlato solo di pallavolo, non ci sono state polemiche, e la squadra è stata forte a prendersi le proprie responsabilità ed assumere consapevolezza. Abbiamo giocato come squadra, e vinto come collettivo, abbiamo fatto tanti cambiamenti, ma la competività è rimasta. E domani mattina quando ti farai la barba penserai di essere l’allenatore più vincente di sempre? Non so. Probabilmente domattina non farò la barba, me la sono fatta troppe volte qui a Roma, di solito la faccio solo per le partite. Domani guardandomi allo specchio sarò solo il parde di mia figlia che ha otto anni e lei non vede un allenatore vincente, lei vuole solo un papà che la porti in giro per questa splendi-


Parla Bernardinho

da città, che lei dice è la città dell’amor, che in portoghese è Roma scritto al contrario. Non ripartirò subito con la squadra, voglio restare qui con mia moglie e mia figlia. Ho bisogno di stare tranquillo, parlare con lei e definire il futuro. Una cosa molto importante per me è non pensare a questa vittoria, perchè quando vinci sei il massimo e quando perdi sei una disgrazia, e non credo sia così. Io credo che non sei ne tanto bravo quando vinci ne così scarso quando perdi, sei a metà strada, e io voglio essere lì nel mezzo. In fondo al cuore senti che c’è questa motivazione di continuare? Finchè c’è

rei vincere un’altro Campionato del Mondo. Sono contento di essere tra le grandi squadre di sempre, ma dobbiamo migliorere per fare meglio e crescere. Bisogna sempre fare meglio di quello che abbiamo fatto prima, non ci dobbiamo mai comparare con gli altri.

Quale tra questi tre mondiali ti ha dato più soddisfazione? Ogni mondiale da emozioni differenti. Il primo è il primo! E’ un grande traguardo, poi arrivò con un 3-2 contro la Russia, fu una gara durissima. Nel 2007 la Polonia era una

MONDO la passione, finchè ti svegli felice, perchè sai che devi entrare in palestra per allenarti allora puoi andare avanti. L’esperienza che ho avuto a Modena, dove ho lavorato e sembrava che fossi una pippa, mi è servita. Penso che se avessi creduto a quelle parole, avrei dovuto smettere, invece la passione che portavo dentro mi ha portato a migliorare. Qualcuno ha paragonato me e Mourinho, la cosa che ci differenzia è che lui ha ancora più voglia di lavorare di me. Come è nato questo progetto Brasile? Nel 2001 quando ho preso questa squadra tutti sapevano che ero un professionista, ma non pensavo di diventare un punto di riferimento. Quando mi metto a lavorare io penso sempre al prossimo appuntamento, lavoro per tappe. Nel 2001 quando abbiamo cominciato a vincere, volevamo fare come l’Italia. Avevo il sogno di fare una squadra grande, adesso sono tre volte campione del mondo, ma non mi sento appagato, vor-


arla Bernardinho

squadra più esperta di noi, quindi bella anche quella. Oggi abbiamo dominato. Sono tre emozioni diverse. Anche la soddisfazione è diversa.

Dopo l’Italia siete stati capaci di vincere tre mondiali. Esiste un sestetto ideale degli ultimi 20 anni? Se io ne dico sei poi ne scontento dieci. Se proprio devo ricordare qualcuno dico Dal Zotto, che anche se non ha vinto tanto, io lo metterei sempre in campo. Ce ne sono tanti Ricardo, Mauricio, Tofoli che è stato un grande giocatore. Come libero sceglierei sempre e solo Sergio. Poi non possiamo dimenticare Bernardi, Giba, Gardini, Gustavo, tanta gente, ma l’elenco è lungo. Il Vissotto visto stasera. Sono troppi i giocatori che hanno fatto la storia di questi ultimi 20 anni. Qualche messaggio particolare? Voglio dedicare un pensiero ai volontari di questo Mondiale. Abbiamo girato tante città. E qui a Roma abbiamo passato davvero tanto tampo. Li voglio ringraziare dal profondo del mio cuore. Ragazzi e ragazze splendidi che hanno lavorato tanto, e che sono stati il vero motore di questa manifestazione. Non ci sono parole per descrivere come ci hanno trattato, e quanto hanno fatto grande questo Campionato del Mondo. Non posso che battere le mani a questi ragazzi in maglietta rossa.

ALLENATORI

GLI ALTRI VOLTI DEL MONDIALE

Argentina Javier Weber

Australia Russell Borgeaud

Bulgaria Prandi Silvano

Camerun Nonnenbroich Peter

Canada Bernardo Rezende

Cina Jianan Zhou

Cuba O. S. Blackwood

Egitto Antonio Giacobbe

Francia Blain Philippe

Germania Raúl Lozano

Giappone Ueta Tatsuya

Iran M.D. Hossein

Italia Andrea Anastasi

Messico J. M. Azair Lopez

Polonia Castellani Daniel

Portorico Carlos D. Cardona

Rep. Ceca Jan Svoboda

Russia Bagnoli Daniele

Serbia Igor Kolakovic

Spagna Julio Velasco

Stati Uniti Alan Knipe

Tunisia Mkaouar Fethi

Venezuela I.G. H. Delgado

MONDIALI DI VOLLEY 2010 | 28


Dip

spq ort

Roma Capitale. Dello Sport “Roma Capitale dello Sport”: questa scritta campeggiava nei led intorno al campo da gioco, nelle tende d’ingresso agli spogliatoi, nei loghi presenti al Palazzo dello Sport. Ma era ben presente anche nel cuore di tutti i romani che ancora una volta hanno visto la loro città vivere un grande evento e come cornice uno straordinario coinvolgimento popolare e tanti appassionati che fanno della pallavolo dilettantistica una passione unica. Prima della partita Italia-Francia, gli azzurri sono stati accolti da migliaia di bandierine proprio di Roma Capitale, il nuovo “nome” del Comune di Roma, distribuite all’esterno dell’impianto (unitamente a quelle prodotte dal Comitato Provinciale di Roma della FIPAV). Un mare azzurro con due striscioni a rappresentare l’emozione della gente: “Forza ragazzi, Roma è con voi” (nella foto in basso).

Provo dei sentimenti molto contrastanti: sono felice per aver portato l’Italia a giocarsi la semifinale a Roma contro il Brasile, ma sono molto dispiaciuto perché abbiamo giocato male. La cosa positiva di questo Mondiale resta comunque il quarto posto, che era l’obiettivo della vigilia, ma questo non attenua minimamente la grande amarezza per aver mancato il podio. Peccato, perché questo pubblico straordinario meritava qualcosa in più”.

Andrea Anastasi

5000 taccuini. Collezione di autografi “Roma Capitale dello Sport”: Inoltre sono stati distribuiti ai tifosi 5500 taccuini dove poter raccogliere autografi dei protagonisti del Mondiale.

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Pol

Dip


IN IVA ESCLUS

Il Divino, l’VIII Re, Falcão. Il campione simbolo dello Scudetto della Roma e degli anni ‘80 giallorossi, si racconta alla nostra rivista. Dall’esordio al tricolore, dalla Coppa dei Campioni al Mundial ‘82. Un Palmares da brividi...

«C

aro presidente Viola, estou chegando». Trent’anni fa, con un’intera pagina di un quotidiano di San Paolo, ovviamente in portoghese, Falcão annunciava la partenza dal Brasile ed il volo che lo avrebbe trasferito a Roma. Voluto fortissimamente da Nils Liedholm, un po’ meno dal patron del club giallorosso che al centrocampista di Abelardo Luz, in forza all’Internacional di Porto Alegre, avrebbe preferito Zico, più funambolo, più di scena, più pirotecnico e quindi più indicato per far impazzire il pubblico giallorosso, da tempo orfano di un calcio spettacolare. Motivo, questo, che spinse Dino Viola, che di Paulo Roberto aveva sol-

di Silio ROSSI foto Getty Images tanto testimonianze da cassette di partite giocate, a sollecitare al suo atleta almeno un numero ad effetto nella gara amichevole, programmata dieci giorni dopo, proprio contro il Porto Alegre. «Caro Falcão - osò timidamente il dirigente - se una volta in campo si producesse in un efficace colpo di tacco, in un dribbling, in un palleggio prolungato, ne sarei felice e con me lo sarebbe il pubblico». Già, perché la gens romana sapeva pochissimo del nuovo acquisto, puntualmente fischiato quando Falcão si affacciò al balconcino della PAULO ROBERTO FALCÃO | 30

sede di via del Circo Massimo. Furono in molti a storcere il naso e a contestare la società. «A presidè, c’avevi promesso Zico, ma chi è ‘sto Farcao?». «Ritenni insolita la richiesta, ma risposi in maniera garbata: “Cercherò di accontentarla” - disse il calciatore al presidente - “ma vorrei che lei capisse una cosa fondamentale: io gioco per la squadra, non per divertire i tifosi. In caso contrario lei avrebbe fatto un pessimo investimento”. Viola - ricorda Falcão incassò senza battere ciglio, probabilmente felicitandosi con se stesso e con Liedholm che mi aveva richiesto, perché capì di avere assunto un calciatore con gli attributi. Arrivai in Italia grazie alla riapertura delle


L’UOMO CHE HA CAMBIATO LA STORIA DELLA ROMA Paulo Roberto Falcão nasce ad Abelardo Luz, il 16 ottobre 1953. Gioca e studia, sogna di diventare un calciatore ma programma una vita da avvocato. Vuole riscattare un’infanzia povera e ci riesce. Vince moltissimo in Brasile e in Italia: cinque campionati brasiliani con la maglia dell’Internacional, uno scudetto e due Coppe Italia con la Roma. Non riesce ad aggiudicarsi la Coppa del Mondo con la sua Selecao, eliminata dalla nazionale italiana di Enzo Bearzot e la Coppa dei Campioni all’Olimpico di Roma. Ma il suo nome rimane impresso in tutti gli almanacchi della storia del calcio mondiale. Il “Divino”: un soprannome coniato dai tifosi giallorossi per descrivere un calciatore oltre la realtà. Falcão è un giocatore che ha cambiato la storia di una Roma che da lui in poi ha capito di poter rimanere tra le grandi. Non sempre c’è riuscita ma quest’uomo, la dirigenza di allora, la passione popolare, hanno fatto della società giallorossa un marchio destinato a rimanere lassù.

frontiere, la mattina del 10 agosto del 1980, camminando in mezzo a un corridoio di tifosi all’interno delle sale d’imbarco e sul piazzale antistante il “Leonardo da Vinci”. Subissato da cori e slogan, pensate che sullo stesso aereo c’erano Ene-

te squadra di calcio, nella quale il giovane “biondo”, così lo chiamavano da quelle parti, era arrivato tredicenne, fino a che non fu scoperto da Dino Sani, una vecchia conoscenza del calcio italiano per aver giocato nel Milan, che in quel ragazzo, figlio di un autotrasportatore, si specchiava, rivedendosi nel modo di giocare, di dare la palla di prima intenzione e di guidare con abile regia i movimenti della squadra e gli automatismi utili per i compagni. «Dino Sani - spiega Paulo Roberto non mi lasciò un attimo, mi stava al fianco ogni giorno, come un padre per aiutarmi a mettere in mostra

«Viola capì subito di aver preso uno con gli attr ibuti» as e Juary, nessuno li filò, furono completamente ignorati e immediatamente inghiottiti da due auto con destinazione Bologna e Avellino». Paolo Roberto veniva in giallorosso da Canoas, Rio Grande do Sur, nella regione di Porto Alegre, la città che dava il nome alla più importan-

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Mitici anni

Erano anni dorati, anzi colorati. Il blu elettrico, il fucsia e il giallo erano padroni indiscussi dei tessuti e delle maglie. Dai collant a una camicia, a un semplice maglioncino. L'importante era risaltare. Per non parlare dei pantaloni, rigorosamente a sigaretta: attillati, quasi una seconda pelle, tendenti al fuseaux, altini in vita, cortini sotto, talvolta addirittura chiusi alla caviglia da una zip, Madonna, mito femminile anni ‘80, ne aveva fatto un cult. Il suo modo di vestirsi e di porsi, le sue calze strappate ed i monili di richiamo religioso, i suoi capelli parzialmente biondi unito al suo straordinario carattere sono stati i motivi che l’hanno resa un’icona. Giacche con gli spallini (detti anche “spencer” ed indossati anche dai Duran Duran), camice con i farpali in stile “new romantic”, jeans Levis Strauss modello 501, cinture di “El Charro”, felpe “Best Company” (talvolta infilate nei pantaloni) o con sotto una camicia rimboccata all’altezza della manica, capelli cotonati per le donne o lunghi dietro e davanti, ma rasati lateralmente… sono cose che vi ricordano qualcosa?

«Per quanto visto in campo quella Roma degli anni Ottanta avrebbe meritato di vincere almeno un altro scudetto» QUELLA FOTO PRIMA DELLA FESTA SCUDETTO Nella stagione 1982-1983 arriva il secondo scudetto della storia giallorossa, sotto la guida tecnica di Nils Liedholm. Della squadra fanno parte, oltre al brasiliano Paulo Roberto Falcão, il capitano Agostino Di Bartolomei, il centrocampista Carlo Ancelotti, il difensore Pietro Vierchowod, il centravanti Roberto Pruzzo e l'ala campione del mondo Bruno Conti. Nell'arco della stagione la Roma conquista il primato nelle prime giornate e lo mantiene continuativamente sino alla fine: il titolo viene conquistato l'8 maggio 1983 nello Stadio Luigi Ferraris, dopo un pareggio con il Genoa.

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o ã c l Fa l’intelligenza tattica di cui, diceva, io fossi dotato, unitamente alla visione del gioco e a un’ottima tecnica». Non solo il Porto Alegre. Per Falcão c’è la prima convocazione in Nazionale. «Era il 1972, fui inserito nel gruppo in partenza per le Olimpiadi di Monaco, che non furono felici, perché il Brasile juniores fu eliminato nel proprio girone da Ungheria e Danimarca. Meno male che i successi arrivarono col club: dal 1973 al 1978, infatti, vinsi ben cinque campionati gauchos e tre volte il titolo brasiliano. Nelle sette stagioni disputate con l’International ho segnato 78 reti». Scontata, allora, la chiamata con la Nazionale maggiore. «Debuttai nel 1976 contro l’Argentina in un match valido per la Coppa Atlantico. L’esordio fu positivo perché la seleçao sconfisse i biancocelesti per 20. Successivamente giocai contro l’Italia nel Torneo del Bicentenario, messo in calendario negli Stati Uniti per cercare adepti, aficionados, gente che si appassionasse al soc-


Un tricolore magico

cer, in un Paese, l’America, che preferiva ignorarlo a vantaggio di altri giochi, di altre e più forti discipline sportive. Il Brasile batté l’Italia con un sonoro 4-1 e nel resoconto finale la critica, soprattutto i giornalisti italiani presenti alla manifestazione, scrisse che ero stato determinante per la prestazione e per il risultato finale». Nazionale conquistata, dunque? «Così avrebbe dovuto essere, secondo logica, ma - dice Falcão - il pareggio per 1-1 col Paraguay, va-

levole per le qualificazioni ai mondiali del ’78, diventò la mia sconfitta, perché il commissario tecnico Claudio Coutinho, subentrato nel frattempo a Brandao, imputò al sottoscritto l’inatteso risultato e mi mi-

soltanto terza dopo aver battuto in una sorta di finalina proprio l’Italia di Enzo Bearzot». La storia seppe però rendere giustizia all’estro, al grande valore tattico di Falcão, protagonista ai mondiali

«Venni escluso dai Mondiali 1978» se sotto accusa e fuori squadra. Niente mondiali, dunque per me, ma niente gloria per la squadra che si era qualificata per il mundial argentino, ovviamente, ma che arrivò PAULO ROBERTO FALCÃO | 33

spagnoli, grande stratega, quattro anni dopo, in quel centrocampo dei fenomeni i cui protagonisti rispondevano ai nomi di Junior, Socrates, Toninho e Cerezo.


«L’Italia con una grandissima prestazione al Sarrià, un Conti monumentale, che Pelè proprio in quel giorno elesse come miglior giocatore del mondiale, e un Paolo Rossi straordinario, ci eliminò da una manifestazione da cui, secondo gli addetti ai lavori, saremmo dovuti uscire vincitori. Ricordo le ramblas di Barcellona, zeppe di italiani festan-

UN PASSO FUORI TEMPO Falcão riceve la sua prima convocazione nella Selecao per i Giochi della XX Olimpiade. Dopo la partecipazione alla Copa América 1979, partecipa al suo primo mondiale nel 1982. In questa edizione, disputata in Spagna, scende in campo 5 volte, realizzando 3 reti, l'ultima contro l'Italia, nella partita persa 3-2 (tripletta di Paolo Rossi). Quattro anni più tardi, partecipa al Mondiale 1986. Nel 1990 torna nella nazionale brasiliana come allenatore, guidandola nella Copa América 1991. Ottiene un secondo posto dietro l'Argentina.

ti, mentre la nostra torcida era lì a piangere, a complimentarsi con i vostri tifosi e a maledire Paolo Rossi verdugo, cioè assassino della Seleçao». Scambiando la maglia proprio con Conti, gli occhi di Falcão non seppero tradire la rabbia per quel successo svanito, probabilmente per un eccesso di narcisismo, la delusione per aver ciccato un risultato ampiamente nelle mani del Brasile, il disappunto per dover uscire dal mondiale per mano dell’Italia, che a Barcellona era arrivata tra la contestazione e lo scetticismo, dopo i tre pareggi strappati a Vigo contro Polonia, Perù e Camerun, e che in quel girone in cui Brasile e Argenti-

na godevano di grandissimo pronostico, poteva accampare poche pretese. «A noi bastava un pareggio per eliminare l’Italia, ma anche allora non eravamo abituati a fare i conti e ad accontentarci. Il Brasile gioca sempre per vincere e divertire, non si risparmia, lotta fino all’ultimo, anche se è avanti di cinque gol. Questione di mentalità, certo, ma se abbiamo vinto per cinque volte il titolo mondiale è anche merito della nostra filosofia». Di quella strana e maledetta giornata Falcão parlò a lungo nel suo soggiorno romano e neppure la vittoria dello scudetto con la Roma, l’anno dopo, riuscì a lenire la ferita.

«A noi bastava un pareggio per eliminare l’Italia, ma anche allora non eravamo abituati a fare i conti e ad accontentarci»

Dall’amarezza di Brasile-Italia 1982... PAULO ROBERTO FALCÃO | 34


Falcão era orgoglioso, nazionalista, abituato a vincere, con quel 3-2 di Barcellona aveva capito che il suo romanzo con la Nazionale era arrivato al capolinea, anche se fu convocato per Messico ’86, dove giocò scampoli di partita, e se della Seleçao, con risultati non del tutto soddisfacenti, divenne addirittura commissario tecnico, quando anche con la Roma il suo discorso si era drammaticamente interrotto. Già, il romanzo avrebbe potuto avere un altro finale. Falcão e la Roma, quella Roma che gli rimproverava i troppi malanni, il rigore non battuto nella finale di Coppa dei Campio-

china, aveva stabilito di regalare un assetto stabile alla squadra, farla più forte, determinata, vincente, degna di una capitale superba, il cui unico handicap, mi dissero anche questo, veniva individuato nella scarsa volontà dei palazzinari di “tassarsi” in maniera sostanziosa, per riequilibrare il calcio romano con le solite formazioni del Nord, asso pigliatutto. L’organico della Roma era già di primissimo livello. C’erano Tancredi, Agostino Di Bartolomei, Pruzzo, Righetti, Conti, Nela, Ancelotti, tanto per fare i primi nomi, gente affidabile sotto l’aspetto tecnico e sotto

...alle accuse di Roma-Liverpool «Per l’ennesima volta dico che io non sono mai stato il rigorista…»

ni contro il Liverpool, quel bambino, Giuseppe, che sulla spiaggia di Fregene “giocava a testa arta, come Farcao”, lasciato senza essere stato riconosciuto, ed evitando di sottoporsi all’esame del dna. Ma il pubblico non poteva non riconoscergli la mentalità vincente in quegli anni Ottanta, in cui la squadra giallorossa fu la sola ad opporsi al potere politico-sportivo ed economico della Juventus. «La storia era iniziata in gran segreto. Mi dissero che Viola, al suo secondo anno di presidenza, dopo aver riportato Liedholm sulla pan-

quello comportamentale. Mancava, secondo il presidente e l’allenatore, un “pezzo da novanta”, una sorta di uomo della provvidenza, capace di trasmettere la scossa alla squadra e di prenderla sottobraccio nei momenti di difficoltà. La riapertura delle frontiere a giocatori provenienti da federazioni estere, fu un’autentica manna per tutti i club (arrivò anche qualche bidone, per la verità), per la Roma in particolare, perché qualcuno aveva portato a Liedholm i filmati delle gare che avevo giocato col Porto Alegre, in cui un “certo Falcão” pur

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limitandosi all’essenziale, dettava i tempi in maniera superlativa. Nessuno mi conosceva al di là dell’Oceano, nessun giornale era riuscito a scovare la mia essenzialità, faceva più rumore e più effetto chi giocava in attacco e segnava dei gol. Il “Barone” si innamorò di quella naturalezza nei movimenti, si rivedeva nei lunghi passaggi, nel saper addormentare il gioco, nell’improvviso tiro che arrivava puntualmente nello specchio della porta. Un centromediano metodista come non se ne vedevano da tempo e che si sarebbe adattato alla perfezione nella “zona” che Liedholm aveva perfe-

QUEL MALEDETTO MERCOLEDÌ I tifosi giallorossi non hanno ancora rimosso quel disgraziato 30 maggio del 1984. Impossibile farlo. Per la prima volta nella sua storia, la finale di Coppa dei Campioni fu decisa ai calci di rigore (dopo un pareggio per 1-1 siglato da Neal e Pruzzo), e in quel frangente fu decisivo il portiere del Liverpool Grobelaar che, facendo oscillare le gambe e sbattendo le ginocchia, distrasse i rigoristi romanisti, inducendo Conti e Graziani a sbagliare i loro tiri dal dischetto; in questo modo la Coppa volò in Inghilterra per la quarta volta in otto stagioni.

zionato e che, ben presto, sarebbe dovuta diventare più efficace, proprio con il mio inserimento». Viola, come detto, la pensava diversamente. I tifosi, qualche suo amico politico, ma soprattutto l’ambiente bancario gli consigliavano di prendere Zico, un autentico artista del pallone, che il presidente aveva voluto incontrare di persona, una sera nella sua casa di via Gian Giacomo Porro. In quella cena il campione brasiliano, ragazzo intelligentissimo, aveva tirato fuori la sua “scienza” calcistica, in un italiano approssimativo, ma sufficiente-


E chi è riuscito a rimuoverlo più dalla mente, dagli occhi, dalle orecchie? La vittima sacrificale della magia del Divino, la Fiorentina nella stagione 81-82. Cross di Conti, tacco al volo di Falcão e la testa di Bomber Pruzzo a mettere dentro. Una sinfonia, una giocata corale. Musica pura.

mente comprensibile che piacque al gruppo di commensali. Viola ne rimase estasiato e, dando mandato ai suoi collaboratori perché portassero avanti la trattativa, si attivò personalmente per far ragionare Liedholm, fermo a Falcão e al suo carisma. «Una volta a Roma - racconta Paulo Roberto - seppi che il tecnico si era esposto in maniera esagerata sul sottoscritto, tessendo le mie lodi: “Presidente - obiettò l’allenatore svedese in quei giorni a Viola - se davvero vogliamo vincere qualcosa con questa squadra, io penso che Falcão sia il giocatore

ideale per completare il mosaico che è già di primissimo livello”, disse». I numeri, le vittorie dello scudetto e di due Coppe Italia, la finale di Coppa dei Campioni da giocare allo Stadio Olimpico, dopo una magica galoppata, in poco meno di cinque an-

l’ottavo re di Roma, non una cosa nuova perché, a suo tempo, il pubblico della Capitale l’aveva avvicinata ad Amadei e Losi e ancora oggi, la tira fuori ogni volta che in giallorosso spunta un fenomeno. «Qualcuno - ricorda Falcão - mi mise addosso l’appellativo di Divino. Non mi dispiaceva, anche se capivo che un termine del genere, portato nel calcio, rischiava di essere considerato eccessivo e per certi versi blasfemo. Però mi piaceva, mi dava una tranquillità diversa, poteva essere una garanzia e perché rispettando me, la gente, grazie anche a quel “divino”, sapeva rispettare tutta la Roma». In realtà da “Rometta”, in pochi anni, la squadra diventò una splendida realtà in campo nazionale ed in campo internazionale, grazie ai successi nelle Coppe europee, ma soprattutto al continuo prestito che la società di Viola faceva alla Nazionale. E se a Spagna ’82, il club ven-

«L’appellativo “Divino” non mi dispiaceva anche se sembrava eccessivo» ni, possono sembrare un magro bottino, ma confermano che la scelta Falcão, per quanto sofferta, fosse la soluzione più giusta. E presto se ne persuase anche Viola dopo i primi tocchi, i primi passaggi, i lanci, l’approvazione del pubblico che, nel frattempo, aveva dimenticato Zico. E tornò d’attualità la fama del-

ne rappresentato dal solo Bruno Conti, a Mexico ’86 gli atleti romanisti erano addirittura quattro: Conti, appunto, Ancelotti, Tancredi e Nela. «Il livello del calcio romano - ricorda Falcão - era cresciuto moltissimo. Noi eravamo considerati da tutti come l’unica antagonista della Juventus, con la quale avevamo in-

Palmarés

Roma-Torino 1-1, Finale di Coppa Italia 1980-1981

CLUB Campionato Gaúcho: 5 Internacional: 1973, 1974, 1975, 1976, 1979 Campionato brasiliano: 3 Internacional: 1975, 1976, 1979 Campionato Paulista: 1 San Paolo: 1985 Coppa Italia: 2 Roma: 1980-1981, 1983-1984 Campionato italiano: 1 Roma: 1982-1983 INDIVIDUALE Bola de Ouro: 2, 1978, 1979

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gaggiato una sorta di lotta ad oltranza, lotta che vide più spesso prevalere i bianconeri e non soltanto perché fossero più forti della Roma. Allora il potere, non soltanto quello economico, della società torinese era immenso e, ovviamente, nei suoi confronti era forte la sudditanza delle istituzioni. Insomma per quello che s’è visto in campo la Roma degli anni Ottanta avrebbe meritato di vincere almeno un altro scudetto». Forse anche di conquistare per la prima volta nella sua storia la Coppa dei Campioni. «Più vicina - dice Falcão - perché la finale contro il Liverpool si giocò all’Olimpico tra le feste del pubblico, che già il giorno prima nei luoghi più caratteristici del tifo, parlo di Testaccio, Trastevere e della Garbatella, sfilò con carri e macchine addobbate, e persino i giornali curarono edizioni straordinarie con le quali anticipavano quello che, purtroppo, il giorno dopo non avvenne». Forse anche per colpa di Falcão che si rifiutò di calciare il calcio di rigore. «Su questa storia - racconta Paulo Roberto - sono state dette e scritte molte inesattezze. Sono stato dipinto come un traditore che si tira indietro nel momento di massima drammaticità, ho subìto insulti feroci, anche da gente che fino al giorno prima mi aveva osannato, quasi che tutte le colpe di quella sconfitta fossero da addebitare al sottoscritto. Per l’ennesima volta dico che io non sono mai stato rigorista e che, soltanto in caso di emergenza, sarei stato chiamato in causa dall’allenatore. C’è chi dice, “ma tu eri l’uomo più carismatico della squadra, perché non ti sei presentato volontariamente?” Perché l’ordine dei rigoristi era stato concepito in maniera diversa. Si, forse in quei momenti concitati ci fu un po’ di confusione, al punto che Liedholm voleva incaricare i giovani, come Strukely e che uno di noi, forse Graziani, suggerì al tecnico di utilizzare, al contrario, i più anziani, i più esperti, i più freddi». E tutti sappiamo come andò: Bruno Conti e Graziani fallirono la loro occasione, spianando il successo degli inglesi, aiutati anche dall’assenza, per squalifica, di Aldo Maldera, un abile cecchino dagli undici metri, di Pruzzo e di Cerezo, costretti ad

«Roma festeggiava la Coppa dei Campioni già il gior no prima...» uscire per infortunio. Quella finale segnò lo spartiacque tra Falcão e la Roma? Forse no, ma di sicuro creò una frattura, anche se il giocatore per quello che aveva fatto vedere, per come aveva saputo distribuire la sua mentalità vincente agli altri, per come aveva saputo creare attorno alla squadra l’entusiasmo che non s’era mai visto in passato, godeva di un’ottima stampa, di resoconti in cui abbondavano più gli elogi che le critiche. Di tutto questo, allora, si diceva che Falcão ne approfittasse, soprattutto nelle discussioni per i rinnovi dei contratti. E questo, unitamente all’infortunio patito, all’intervento negli Stati Uniti, alla lunga guarigione, al desiderio di non presentarsi alla visita fiscale a cui la Roma lo aveva chiamato, deteriorarono il rapporto. Ma era l’ingaggio elevato il pomo della discordia e l’intransigenza del procuratore sportivo del numero 5, deciso a non fare passi indietro e a chiedere, anzi, il rispetto dei vari accordi: stipendi, sfruttamento del di-

ritto di immagine persino nella moda, un settore in cui Falcão si muoveva con disinvoltura, come in campo. «Quello delle sfilate, ma anche della moda in genere, era un argomento che mi interessava. Spesso sono andato a Milano a curiosare, proprio per verificare se esistevano i presupposti per portare in Brasile gli abiti ed i loro accessori, in cui l’Italia ancora oggi è prima nel mondo». Ma al primo punto nell’imbarazzo e nelle continue arrabbiature del presidente Viola c’erano i soldi. I tanti soldi che il giocatore percepiva. Si sapeva, ad esempio, che il primo accordo, quando arrivò a Roma nel

Con Pelé

Parata di stelle Il 4 marzo 2004 è stato incluso nella FIFA 100, una lista dei 125 più grandi giocatori viventi, selezionata da Pelé e dalla FIFA in occasione delle celebrazioni del centenario della federazione. Al party, presso il museo di Storia Naturale, hanno partecipato in tanti. Nelle foto anche Ronaldinho, Edgar Davids, Zico, Junior e Djalma Santos, inseristi fra i più forti di tutti i tempi del calcio mondiale.

Falcão con Djalma Santos, Junior, Zico, Davids e Ronaldinho

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1980, prevedeva 350 milioni a stagione e che prima della scadenza il club aveva rischiato di perdere il suo regista perché l’Inter di Fraizzoli se ne era invaghita ed aveva mandato un suo emissario nella Capitale a convincerlo con un regalo: un impianto stereo di ultima generazione: «Certo - conferma il brasiliano - ma il cadeau non aveva niente a che vedere col rinnovo del contratto, altro non era che un pensiero della dirigenza interista». Viola non aveva digerito che al primo rinnovo il procuratore di Falcão si fosse presentato con un documento con il quale richiedeva una cifra triplicata, e pensate che cosa successe quando, qualche giorno prima della finale di Coppa dei Campioni, mentre la squadra era in ritiro a Cavalese, Cristobal Colon, l’avvocato di San Paolo che curava gli interessi del giocatore si presentò in sede con una richiesta di tre miliardi e mezzo a stagione, per due anni. Un conto salatissimo, per un accordo che non c’era, nonostante che l’on. Andreotti, in televisione, presenti in studio Viola e Falcão, avesse riferito che era tutto a posto e che Falcão sarebbe rimasto a Roma. «C’erano degli altri problemi, legati soprattutto al mio stato di salute e al lento recupero, dopo l’operazione. Il contratto, di fronte a questa cosa più grave, per me e per il mio procuratore passava in secondo ordine». Ma, eravamo a dicembre del 1984, alla Roma, invece, sostenevano che i due capitoli viaggiavano di pari passo: Viola era convinto che da un punto di vista fisico Falcão avesse gravi danni e che difficilmente sarebbe tornato il regista magnifico degli anni precedenti. Per questo motivo e soprattutto per essere sicuro di non andare incontro ad un sonoro flop attraverso i medici, chiamò Falcão ad una visita fiscale. Consulto che il centrocampista ed il suo entourage consideravano offensivo: «Perché racconta il giocatore dagli Stati Uniti erano stati inviati a Roma pacchi di documenti con certificati, cartelle cliniche, esami radiografici dai quali, bastava consultarli, si poteva capire perché la mia degenza durava così a lungo e perché sarebbe stato utile che io facessi la rieducazione in America».

Così i giornali par lavano del Re Mancava soltanto la parola fine per chiudere il rapporto. Falcão chiese l’intervento del giudice del lavoro per essere tutelato in quell’infelice momento, al pari degli altri lavoratori in stato di disagio. Viola ai legali del giocatore oppose una task force di giuristi, con a capo Gino Giugni, allora uno dei più esperti in diritto del lavoro, il quale trovò, forse, la chiave giusta, in tema di inadem-

punto di tornare: pensate che un giorno, prima dell’accordo, ho ricevuto una telefonata a San Paolo, dove mi ero trasferito per il mio lavoro a Rete Globo: era il presidente che mi invitava a Roma. “Paolo, mi disse, visto che ti devo dei soldi, perché non vieni così ti offro un ruolo per la gestione dell’immagine?” Viola aveva di questi gesti. Alla sua maniera mi voleva bene, forse aveva capito

«Inter, Roma... Alla fine lasciai l’Italia per tornare in Brasile» pienza, per dare una mano alla Roma, che lo aveva convocato, inutilmente, alla visita fiscale e che, quindi, limitò il danno economico, visto che i giudici riconobbero a Falcão poco meno di un miliardo delle vecchie lire, a fronte di una richiesta di sette. «Allora ci fu un gran caos. Ed io lasciai l’Italia per tornare in Brasile per tornare in Nazionale e per giocare nel San Paolo. Ora è una storia passata. Ma sono stato spesso sul PAULO ROBERTO FALCÃO | 38

che in quegli anni, senza fare numeri da foca in campo, ero stato più che utile alla Roma. Voleva che facessimo pace e che ci stringessimo la mano. In Italia da allora sono venuto diverse volte. Anche qualche anno fa, su invito del presidente Sensi. Anche lui mi voleva in società. Arrivai a Roma con mia moglie e mio figlio. Non ho, visto né sentito nessuno. Ho pensato che non era destino. Mai stuzzicarlo».


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«Nella nostra disciplina si incontrano difficoltà quasi al limite del sostenibile,che non si incontrano certamente in tutti gli sport.È difficile, impegnativo e certe volte anche pericoloso...»

IL FISICO E I RISCHI

Il cuore è l’organo più controllato anche durante gli allenamenti in acqua grazie all’avanzata tecnologia Hosand, un sistema innovativo di trasmissione della frequenza cardiaca in telemetria in grado di monitorare fino a 32 atleti contemporaneamente in tempo reale fino a 200 metri.

ALIMENTAZIONE

In 5 ore di gara, ci si alimenta con carboidrati, maltodestrine e sali minerali. Si perde circa 1 Kg e mezzo di peso e si consumano circa 4.000 calorie. Una quota lievemente maggiore di grasso corporeo consente all’atleta un miglior galleggiamento e una superiore capacità di sopportare temperature più basse.


sport

IL MEDICO DELLA NAZIONALE

LE MEDUSE E… IL SALE Disidratazione, ipotermia, incontro con le meduse che, soprattutto in certe acque, sono particolarmente temibili. Inoltre, con certe condizioni di mare, tipo onda lunga, c’è la reale possibilità di soffrire di nausea, vista anche la grande quantità di acqua salata ingerita. Ecco i rischi dell’atleta in questa disciplina. LE TEMPERATURE

Non c’è un “trucco” particolare! Sopportazione di caldo e freddo dipende dalle caratteristiche soggettive dell’atleta. Comunque, durante la gara, è fondamentale reidratarsi. Si fanno circa 17-18 rifornimenti, per un totale di circa 5 litri di liquidi e 6.000 calorie.

Il nuoto di fondo si svolge in acque aperte (fiumi, laghi e mari) e si divide in quattro categorie: nuoto di mezzo fondo (fino a 5 km), nuoto di fondo (fino a 15 km), nuoto di gran fondo (fino a 25 km) e maratona (oltre 25 km). Pur essendo, per ovvie ragioni, la competizione natatoria più antica della storia (diffusa sin dai tempi dei Giochi di Atene), i primi campionati europei di questa disciplina si sono svolti solo nel 1989 a Starigrad. Il primo titolo mondiale è stato assegnato nel 1991 a Perth, in Australia. Ai Giochi della XXIX Olimpiade del 2008 il nuoto di fondo ha avuto finalmente il suo riconoscimento olimpico, con lo svolgimento delle gare maschili e femminili dei 10 km.

Sergio Crescenzi è il medico della Nazionale di nuoto di fondo che segue da vicino le grandi imprese di Valerio Cleri Quali sono le caratteristiche fisiche peculiari per un nuotatore così? «Capacità e resistenza aerobica elevate, postura corretta, incremento della forza-fiducia nel lavoro e nell’allenatore, un po’ di “sana” follia e passione per la solitudine oltre alla capacità di controllo dell’adrenalina». In uno sforzo prolungato come quello di una 25 km quali sono i parametri medici che vanno monitorati? «Fondamentalmente la frequenza cardiaca con la avanzata tecnologia Hosand, per il controllo dell’atleta in acqua». Quale al imentazione bisogna seguire prima di una gara? «Nelle 48 precedenti si incrementa la quota di carboidrati, la mattina della gara corn flakes, fette biscottate e miele, crostata di frutta e caffè». Come si affrontano le temperature rigide come quelle di caldo estremo? «Tutto dipende dalle caratteristiche soggettive dell’atleta. Comunque , durante la gara, è fondamentale reidratarsi. Si fanno circa 17-18 rifornimenti per un totale di circa 5 litri di liquidi e 6000 calorie». Cosa contengono i bibitoni colorati del rifornimento? E per le meduse? «Nessuna possibilità di evitare le meduse, se si entra in contatto, si utilizza la stessa acqua salata, che strofinata sulla pelle irritata, riduce il dolore ed il prurito. L’attrito del costume viene attenuato dalla presenza di vasellina, soprattutto sulle cuciture». Quali sono i sintomi che più spesso inducono un atleta a non concludere una maratona acquatica? «La disidratazione e l’ipotermia». È possibile soffrire di mal di mare in gara? «Certamente! Con certe condizioni di mare, tipo onda lunga, c’è la reale possibilità di soffrire di nausea, vista anche la grande quantità di acqua che viene bevuta (l’acqua è stimolante il reflusso gastrico).Valerio ha rischiato una crisi simile al 4 giro della 25 Km».

di Christian ZICCHE foto Getty Images mondo di Valerio. È un mondo fatto quaIlolsifatto al contrario, un altro universo paralledi acqua, chiara alle volte, più spesso torbida e indecifrabile nella sua vastità. Tanta acqua, salata o dolce che sia: magari liscia come quella dei fiumi e laghi, spesso arrabbiata come quella dei mari. Dalle onde fameliche che quasi non ti lasciano scampo mentre diventi un puntino con la tua testa, unica appendice visibile nell’infinito acquatico, ripresa con la telecamera da un elicottero e dalle barche appoggio che offrono gli unici generi di conforto, serL’INTERVISTA A VALERIO CLERI: CAMPIONE DI NUOTO DI FONDO | 41

viti al volo con un bastone che non consente di appoggiarsi manco per un istante. È il mondo del nuoto di fondo e di gran fondo, specialità olimpica fuori dal calmo e quasi scontato universo della piscina, delimitata e tranquilla nelle sue corsie al sapore di cloro. Un primordiale ritorno alle origini, il confronto tra l’uomo-pesce e la natura che cambia di continuo le sue regole, in un improvviso comparire di squali, alle volte, ma più spesso, sempre più spesso, di branchi di meduse di tutti i colori, alghe o pesci urticanti. Parti nel calmo, ti immergi total-


Valerio Cleri, in alto, mentre stringe la mano a Papa Benedetto XVI sotto lo squardo attento del Sen. Barelli Presidente della Federazione Nuoto. Sotto, un momento di gara. Nelle foto a lato, la premiazione dei Campionati Europei di Nuoto a Budapest, sul Lago Balaton.

mente nel burrascoso strada facendo. Freddo-caldo, caldo-freddo in una girandola di temperatura che ti mette a dura prova provando la tua resistenza. Nell’universo di questa disciplina non puoi scegliere come combattere: il cronometro c’è ma non è determinante. Sono la resistenza, lo spirito e la testa che fanno la differenza. Valerio Cleri da Palestrina è l’atleta che meglio di altri incarna questa battaglia sportiva dove combatti prima contro te stesso, nell’attesa di sfoderare la tua classe acquatica con gli avversari. Cleri l’Aquaman, Cleri il Nettuno senza forcone ma con occhialini e costumino che spunta tra i flutti bianchi, come nella sua foto profilo su Facebook. Primo italiano a vincere la maratona dei 25 chilometri: un muro di acqua di venticinquemila metri, cinque ore e rotte di navigazione a suon di braccia tatuate col numero di competizione. Campione del mondo un anno fa nel mare di Ostia, per l’occasione meno calmo e tranquillo del solito. Fresco vincitore ai mondiali canadesi di Roberval nella 10 chilometri (medaglia d’argento nella 25) del freddo assoluto e trionfatore, qualche settimana dopo, agli europei di Budapest con oro (25) e argento (10) nel caldo assurdo dell’acqua del Lago Balaton (quello che gli antichi Romani, da cui Valerio discende, chiamavano Pleso, e

I suoi risultati 1° posto Europei - 25 km - Balaton, 2010 2° posto Europei - 10 km - Balaton, 2010 2° posto Mondiali - 25 km - Roberval, 2010 1° posto Mondiali - 10 km - Roberval, 2010 3° posto Fina WC - 10 km - Santos, 2009 4° posto Mondiali - 10 km - Roma, 2009 1° posto Mondiali - 25 km - Roma, 2009 4° posto - Fina WC - 10 km - Cancun, 2008 1° posto Fina WC - 10 km - Singapore, 2008 1° posto Fina WC - 10 km - Hong Kong, 2008 1° posto Fina WC - 10 km - Shantou, 2008 4° posto Olimpiadi - 10 km - Pechino, 2008 7° posto Europei - 10 km - Dubrovnik, 2008 1° posto Europei - 25 km - Dubrovnik, 2008

che in ungherese deriva dallo slavo Blatna, acquitrino). Tutto un programma per il campione infinito Cleri, capace di nuotare più di 70 chilometri in meno di due settimane, unici compagni di viaggio il gorgoglio delle acque e avversari che ti tengono quasi compagnia in uno sforzo al limite del sovraumano. Valerio, come si diventa un nuotatore estremo? «Alla fine, come dici tu, sì, devo dire che siamo nuotatori – più in generale atleti – un po’ estremi. Nella nostra disciplina si incontrano difficoltà quasi al limite del sostenibile. È difficile, impegnativo e certe volte anche pericoloso, quando ti tocca gareggiare all’improvviso in mezzo a centinaia di meduse o quando, come in Australia, compaiono pure gli squali. Per non parlare delle temperature assurde. I sedici gradi per cinque ore di gara del lago Roberval, in Canada, non sono certo una passeggiata di salute per chi alla fine riesce ad arrivare in fondo. Come si diventa nuotatori estremi? Forse si nasce già così! A me sembra di averlo già nel mio dna, per questo ho abbandonato la tranquillità di nuotatore di piscina per l’avventura senza fine del fondo. In definitiva noi nuotatori di fondo siamo una tribù, una tribù un po’ di L’INTERVISTA A VALERIO CLERI: CAMPIONE DI NUOTO DI FONDO | 42

1° posto Fina WC - 10 km - Setubal, 2008 3° posto Fina WC - 10 km - Dubai, 2008 1° posto Fina WC - 10 km - Santos, 2008 8° posto Mondiali - 10 km - Siviglia, 2008 15° posto Mondiali - 10 km - Melbourne, 2007 1° posto Fina WC - 10 km - Vienna, 2007 1° posto Fina WC - 10 km - Shantou, 2007 1° posto Fina WC - 10 km - Hong Kong, 2007 1° posto Fina WC - 10 km - Cancun, 2007 1° posto Coppa LEN - 10 km - Milano, 2007 2° posto Mondiali - 10 km - Napoli, 2006 1° posto Coppa LEN - 5 km - Bracciano, 2006 12° posto Europei- 10 km - Budapest, 2006

Nato a Palestrina il 19 giugno 1981 È alto 175 cm per 76 chilogrammi di peso È tesserato per il C.S. Esercito e per il Circolo Canottieri Aniene Il suo presidente è Giovanni Malagò Tifa Lazio Il suo allenatore è Emanuele Sacchi La sua prima società: Marina Militare Il suo primo allenatore: Cristiano De Poli

matti. O, meglio, di atleti particolari, quasi introversi, un po’ come me». 25 e 10 km, le tue specialità, sarebbero un’enormità da nuotare in piscina. Figuriamoci in acque libere… «Come campo di gara a me piace particolarmente il mare perché amo il suo infinito, la sua estensione senza confini. Per il resto mi adatto a ogni situazione, calma o agitata che sia. Se poi non ci sono le onde, c’è qualcosa d’altro da scoprire all’improvviso. E questa caratteristica è anche il bello di questo sport. Ogni volta è una volta nuova, una situazione nuova. Da affrontare mettendo in gara il proprio fisico, ma soprattutto la propria testa. La bravura del nuotatore di fondo sta tutta qui: nel sapersi adattare istantaneamente a ogni ambiente e motivare di fronte alle difficoltà che ovviamente incontri di volta in volta. La fatica, fisica o mentale, è quasi uno scoramento che a un certo punto ti


spq ort

Appunto, a cosa pensi in cinque ore di gara? «Generalmente sono concentrato sulla gara, ma dentro l’acqua hai una percezione diversa del tempo. Fuori, magari, sopra una barca di appoggio cinque ore e mezza ti sembrano infinite. Dentro, il tempo ti pare scorrere più rapido. Poi spesso penso alle sensazioni della vittoria, il trionfo di quando tocchi la piastra d’arrivo per primo. Oppure mi immagino la delusione di chi si aspettava di più da me, nel caso non arrivassi al mio obiettivo. Una sorta di film, una proiezione in gara di quello che deve succedere, o che almeno io mi aspetto succeda. Il tempo passa in modo diverso, io mi carico strada facendo, cercando di superare i momenti in cui penso di non potercela fare. Se potessi ascoltare musica? No, sono i rumori dell’ambiente ma anche il suo silenzo, il contatto con gli avversari, che mi danno la carica». E poi, alla fine di queste maratone acquatiche, ve la giocate quasi sempre sullo sprint. Energie infinite, insomma… «Io sono abbastanza allenato e sempre pronto alla sfida finale. Il bello viene proprio in quel momento, che poi è la sommatoria di tante cose, ma principalmente dipende da quanto duramente ti sei allenato durante l’anno. Io sono scrupoloso nella preparazione: nuoto circa 20 km al giorno in piscina, 6 giorni su 7. Ma devo dire che ormai tutti arrivano alle gare al top della preparazione. Siamo professionisti, e non lasciamo nulla al caso». C’è bisogno anche di un’alimentazione specifica... «Mangio tanto perché devo avere tanta energia disponibile. Certo, nel cibo si cerca la qualità per

non appesantirsi inutilmente, e questo vale anche per la fase di allenamento. Poi in gara tutto cambia, visto anche il ritmo tiratissimo. Grazie all’adattamento che faccio durante l’anno in piscina, riesco a non perdere troppi chili, anche se alla fine quei due o tre chili a gara se ne vanno».

mo, emozionante. Essere parte della famiglia laziale è una cosa che mi fa molto piacere. Io peraltro seguo la squadra, o quantomeno mi tengo sempre informato. D’altronde in questo paese è impossibile non seguire i fatti calcistici, anche se poi alla fine io non vivo di calcio».

A Pechino nel 2008 nella 10 km, prima volta all’Olimpiade, arrivasti ai piedi del podio. Ora sei campione del mondo ed europeo. A Londra 2012 tenterai il grande slam? «Per il momento devo qualificarmi alle prossime Olimpiadi. Quest’anno sarà importante la stagione che mi porterà ai prossimi mondiali, e poi si vedrà. Certo un pensierino al podio olimpico lo faccio, sarebbe l’ultimo sigillo e potrei dire di avere vinto tutto. Ma, come dico, bisogna avvicinarsi lavorando tanto. Io non do mai nulla per scontato, so che ogni volta è una sfida nuova. E gli avversari crescono, sono imprevedibili come i campi di gara. Non sono certo intimoriti dal fatto che in questo momento io sia quello che vince di più. A Pechino ero in una condizione spettacolare, e nonostante ciò sono arrivato quarto».

Ma tu vai allo stadio, quando sei libero da appuntamenti? «Sì, quando posso qualche partita me la vado a vedere con gran piacere. In curva nord, ovviamente, nel cuore del tifo, anche se spesso la società mi invita in tribuna. Per qualche anno sono stato anche abbonato. Ora ho meno tempo, sono quasi sempre in giro per il mondo tra collegiali e competizioni».

Come si reagisce a una puntura di medusa, al dolore lancinate che a volte procura? «Stringendo i denti, ma ti assicuro che c’è anche di peggio. I colpi degli avversari, per esempio. Sotto l’acqua succede di tutto, e spesso un colpo in faccia è molto più doloroso. Sono duri e magari un colpo in un occhio è più invalidante di una ferita da medusa, che magari con l’adrenalina che hai in corpo senti meno durante la gara, quando ti passa per la mente tutta una stagione di allenamenti e non vuoi e non puoi mollare». Valerio, tu sei anche un grande tifoso laziale, e la Lazio ha celebrato un anno fa il tuo successo mondiale allo stadio Olimpico, durante la presentazione della squadra… «Sono stato felicissimo di questo. Io sono da sempre un tifoso della Lazio, i colori biancocelesti sono i miei colori da quando sono bambino. Essere celebrato all’Olimpico durante la presentazione della squadra è stato bellissi-

Il giocatore della Lazio che hai nel cuore da tifoso? «Non ce n’è uno in particolare. Mi vengono in mente i grandi che hanno fatto la storia di questa società: i vari Signori, Nesta, Gascoigne, Di Canio, le bandiere della Lazio insomma. Essere laziale è una cosa che mi viene da dentro». Oltre al fondo, quali sono le tue passioni? «Sono uno sportivo a tutto tondo. Adoro il calcetto, ho giocato fino a poco tempo fa. Ma per ovvie ragioni di sicurezza, legate agli infortuni, non lo posso più fare. Poi mi piace un sacco andare al cinema e fare lunghe passeggiate al mare. Non ho tempo, ma mi piacerebbe tanto fare un corso da sub, per andare a vedere da vicino quello che intravedo mentre solco il mare. E poi la fotografia, un’altra delle mie passioni». Sei fidanzato? «Sì, da poco meno di un anno. Con Donatella, una ragazza che vive fuori dal mondo dello sport e che è laureanda in psicologia, e su di me prende spunto per fare un po’ d’analisi (ride). È talmente distante dal mio mondo che non sa nemmeno nuotare. Dovrò trovare il tempo di farle da maestro».

Con Donatella la sua fidanzata

prende per portarti via, e devi sempre reagire e non perderti d’animo. Lì in mezzo sei solo, senti solo la tua fatica e il tuo respiro cadenzato dalle bracciate. Ma non c’è nulla di più bello che sentire il fruscio dell’acqua, e avvertire la tattica dei tuoi avversari sembre pronti a scattare e a cercare di seminarti».


DON BRAGG

Olimpiade 1960. Nel salto con l’asta si distingue un atleta americano chiamato a interpretare Tarzan sul grande schermo.Don Bragg è tornato a Roma, cinquant’anni dopo a Piazza del Campidoglio, per festeggiare quei Giochi. L’occasione per una intervista... fuori dagli schemi


di Caterina ALEMANNO foto Getty Images Comune di Roma


LA VITA DI DON BRAGG Nome e cognome: Donald George "Don" Bragg Nickname: Tarzan Altezza: 190 cm Peso: 89 kg Nato: 15 maggio 1935 a Penns Grove, New Jersey, Stati Uniti Paese: USA United States Sport: Atletica Ha vinto i Trials 1960 finale con un nuovo record mondiale di 4.80 m -record imbattuto con il palo di metallo-. Vince la medaglia d’oro nel salto in alto a Roma e diventa a fine carriera direttore sportivo a Stockton (NJ) e proprietario del campo estivo per ragazzi vicino alla scuola.

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DON BRAGG RACCONTA IL MONDO DI TARZAN Dentro al personaggio fantastico di Tarzan rientrano alcuni modelli mentali molto in voga soprattutto alla fine dell’Ottocento (l’uomo bianco dominatore, la natura incontaminata e il mal d’Africa, l’archetipo del supereroe). Molti i personaggi e gli oggetti diventati mito anche attraverso il cinema. Ecco Don Bragg alle prese con il mondo di Tarzan: i suoi racconti...

NELLA FORESTA Don Bragg: «Sono nato e cresciuto a contatto con la natura, la amo e la rispetto. La mia giungla è stato il New Jersey: è lì che ho imparato ad arrampicarmi sugli alberi; mentre tutti leggevano le storie di Batman o Superman, io giocavo a fare Tarzan».

iù in alto di lui in quella magica Olimpiade del 1960 non è arrivato nessuno: Donald George Bragg, americano nato e cresciuto a Penns Grove, tra i pini del New Jersey, aveva 25 anni e un fisico statuario di 1,90 metri di altezza per 89 chili quando saltava con l’asta in metallo i 4,70 metri, battendo il compagno di squadra Ron Morris e aggiudicandosi il suo primo oro olimpico, quello dei giochi che già prima della gara finale lo avevano seduto sul trono del mondo dopo aver segnato, nelle prove di qualificazione, il record assoluto di 4,81 metri. Il re dell’aria, il gigante capace di met-

tere le ali ai piedi e buttarli lassù, oltre l’ostacolo, oltre i limiti fisici di un corpo talmente massiccio da non immaginare che potesse sollevarsi da terra e librarsi leggero. Lui che re già ci si sentiva ben prima di arrivare a Roma. Non un re qualsiasi, bensì il re della giungla: Tarzan. Dentro e fuori il mondo sportivo, lo conoscono tutti come Tarzan, Don Bragg, per il suo aspetto, buono e selvaggio allo stesso tempo, e perché sin dall’età di 8 anni aveva ricostruito intorno alla casa dove viveva con i genitori una vera e propria giungla simile a quella dell’eroe, intrecciando corde su corde come fossero liane, im-

JANE, LA DONNA DI TARZAN

TANTOR E CITA

Don Bragg e l’allenamento: «Mia moglie Theresa; è lei che portavo in spalla mentre passavo da una liana all’altra del mio giardino. Una donna straordinaria, è lei la naturale compagna di 50 anni di matrimonio. Tanti quanti ne sono trascorsi dall’Olimpiade del ’60. L’avevo detto ai giornalisti che l’avrei sposata … anche perché senza quell’oro olimpico non avrei potuto comprare la fede nuziale!». Un vero amore come quello di Tarzan e la sua Jane. Oltre alla bella fanciulla nei film di Tarzan compare spesso un bimbo semplicemente chiamato “Boy”.

Tarzan è circondato di animali: l’elefante Tantor, il fedele leone Jad-Bal-Ja e, il più famoso, la scimmia Cita che: «veniva addestrata su un set a parte. Le scimmie, sono esseri intelligenti e molto umani, e sanno parlare tra loro come persone!».

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ato dalla penna dell’americano Edgar Rice Burroughs, tra le pagine del romanzo in bianco e nero intitolato “Tarzan delle Scimmie”, pubblicato per la prima volta nell’ottobre del 1912 sulla rivista All Story Magazine, il bambino cresciuto seminudo nella giungla e allevato selvaggiamente dalla scimmia Kala, torna più volte, da piccolo e da adulto, e in diverse versioni, a ravvivare la mente immaginifica dei bambini di tutto il mondo, nei romanzi come nei fumetti, in televisione come al cinema. Tar-zan (il cui significato sta per “pelle bianca”), sfortunato baby-naufrago inglese costretto ad imparare a sopravvivere in un ambiente popolato di bestie feroci, è il protagonista antropico di una favola che mischia bene fisicità e tenerezza, ripreso più volte sul grande schermo che lo ha assurto a icona dell’immaginario novecentesco. Oltre quaranta pellicole hanno catturato e riprodotto l’uomo scimmia a partire dal 1918, anno in cui esce il primo film, Tarzan of the Apes, del regista Scott Sidney. il primo Tarzan è muto, interpretato da Elmo Lincoln (suo il ruolo eroico per ben tre film di seguito) e lo resterà per dieci anni, fino al 1932 quando il regista W.S. Van Dyke, con il campione olimpico Johnny Weissmuller, per la prima

TARZAN

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parando a fluttuare da un albero all’altro per centinaia di metri e ingaggiando interminabili sfide con i compagni di gioco. Un allenamento naturale che nel frattempo forgiava le braccia e le gambe del campione olimpico che sarebbe diventato. Quando lo raggiungiamo nell’hotel dove alloggia con la moglie Theresa a Roma, proprio in quello che fu il cuore della dolcevita felliniana, in via Veneto, Don Bragg stringe vigorosamente la mano e si presenta fiero. Come Tarzan, ovviamente.

Perché proprio Tarzan, mister Bragg? «Tutti i miei amici avevano scelto ba-

IL COSTUME «La prima volta che mi chiesero di indossare quelle buffe mutande per le riprese ero molto divertito! Ma mi sentivo a mio agio… ero un bell’uomo sa? Facevo la mia gran bella figura con quello slip e fosse stato per me avrei voluto volentieri gareggiare conciato in quel modo! Niente di più vero e naturale …»

volta darà una voce all’uomo scimmia, cosa di non poco conto considerando la nascita del celebre urlo che da quel momento sarebbe risuonato in tutte le sale cinematografiche del mondo. Successivamente, le avventure di Tarzan sul grande schermo saranno riviste, talvolta anche liberamente, con qualche licenza di troppo che metterà l’eroe a confronto anche con personaggi del tutto estranei a quelli del romanzo originale. Come in Tarzan a New York, film interpretato da Weissmuller nel 1942 in cui Tarzan e Jane lasciano la giungla per vestire panni moderni e andare nella metropoli americana in cerca del figlio rapito e ingaggiato in un circo ambulante, o in Tarzan e le sirene, girato nel 1948 nella baia di Acapulco, in cui Tarzan mette in salvo una giovane donna dell’isola che si tuffa in mare per sfuggire alle grinfie di un viscido commerciante di perle nere che la vuole in sposa e raggira gli indigeni del villaggio. Tra le interpretazioni più libere, da citare anche quelle goffe e simpatiche dei cosiddetti “tarzanidi”, gli imitatori più o meno fedeli all’originale. Su tutti ricordiamo un Totò non certo tutto muscoli e bicipiti nella pellicola parodistica di Mario Mattoli, Tototarzan (1951), con Tino Buazzelli nel ruolo dell’antagonista. Anche la Walt Disney decide nel 2000 di fare il suo Tar-

nalmente come eroi Batman, o Superman, o chissà chi altro, e allora perché non Tarzan? A me piaceva Tarzan! Come lui, mi piaceva il contatto diretto con la natura, amavo giocare all’aria aperta e respirare la brezza fresca. Il mio passatempo preferito era quello di saltare da un albero all’altro per tutto il pomeriggio; pian piano avevo anche creato dei percorsi ad hoc e sfidavo gli altri bambini ad arrampicarsi e passare da un ramo all’altro anche per centinaia di metri: vinceva chi arrivava più lontano e nel minor tempo. Venivano da tutte le case vicine per rivaleggiare o assistere a una gara…».

LA LIANA «Mi sono sempre allenato sulle corde, che ho immaginato fossero vere liane, ma quando ne ho vista una dal vivo … ho pensato che non potesse reggere il mio peso! In poche scene del film che abbiamo girato le liane hanno retto bene, ma confesso di aver fatto comunque qualche tonfo per terra».

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Quindi le è sembrato quasi naturale ricopri re p oi il ruolo del suo eroe preferito nel film c he le hanno chiesto di girare… «Io non sono un attore e non ho recitato, perché, semplicemente, io mi sentivo in qualche modo Tarzan!». Però il sogno di uscire sul grande schermo vestendo i panni, o forse dovrei dire, lo slip del suo eroe preferito non si è mai compiuto… «Eravamo in Jamaica a girare le scene del film quando all’ultimo le riprese sono state fermate per una contesa con i Lord inglesi sui diritti d’autore… A me è rima-

L’URLO DI TARZAN «Ne ho fatti talmente tanti per gioco e per provocazione da non poter ormai neppure entrare in un posto qualsiasi senza che qualcuno mi lanciasse un urlo alla Tarzan e mi sfidasse a tavolino in una prova di forza con le braccia. Ho ancora una buona voce, ma farlo dal podio dell’oro olimpico di Roma ’60, mi creda, non ha paragoni …».


TARZAN

zan animato, ma questa volta l’eroe appare molto diverso da quello dei film di Holliwood: allevato innanzitutto da un gorilla anziché dalle scimmie, Tarzan acquista un andamento più goffo e scimmiesco che fiero ed eretto, nonostante i tratti richiamino molto quelli dell’attore Christopher Lambert che lo interpreta in “Greystoke: la leggenda di Tarzan” (1984). Con il “Tarzan” a cartoni animati, insomma, l’eroe della giungla torna alla sua caratterizzazione originale ricalcando buona parte del romanzo di Burroughs.

sto il ricordo dell’emozione intensa che ho provato a indossare il costume leopardato davanti alla cinepresa… Per altre due volte ho sfiorato la possibilità di essere Tarzan al cinema, come già altri atleti prima di me avevano fatto, e per ben due volte sono stato frenato dalla sorte. Due infortuni e quella antipatica bagarre burocratica». Cos’altro ricorda di quel set cinematografico fantastico? «Mi trovavo in un posto meraviglioso, rigoglioso e selvaggio proprio come lo immaginavo dai racconti di Burroughs. Mi dicevano di essere me stesso, avevo un canovaccio da seguire, certo, ma la maggior parte delle scene riguardavano corse e salti tra gli alberi. E quella era la cosa che mi riusciva meglio fare! Forse, se avessimo proseguito, avrei fatto un po’ di testa mia, ascoltando quell’istinto animale che sento dentro di me. Purtroppo, però, abbiamo completato solo un quarto delle scene previste, e quell’unico frammento di pellicola che racchiudeva il mio sogno è andato distrutto a Londra. Successivamente mi hanno anche proposto di girare altri ruoli eroici, ma ho rifiutato». Niente incontri ravvicinati con le scimmie quindi, né lotte per la sopravvivenza contro bestie feroci. Eppure lei giura di essere il vero Tarzan. E di aver morso una vera scimmia, in un’altra occasione… «Ero sul set di un altro film in cui recitava un amico ed ero circondato da scimmie che mi infastidivano e

Gli atleti che hanno reso grande Tarzan Agile, elegante e dall’aspetto possente, l’immagine di Tarzan, genuina e per certi versi vincente della natura, ha trovato da sempre facile incarnazione nel corpo di atleti di diversi sport che lo hanno interpretato sul grande schermo, molti dei quali veri e propri campioni olimpici, ben oltre la schiera di culturisti che già lo rappresentavano. Tra questi: JOHNNY WEISSMÜLLER: pluridecorato campione di nuoto con 5 ori olimpici (Parigi 1924 e Amsterdam 1928) e 67 record mondiali stabiliti in carriera, Tarzan cinematografico per eccellenza. “Big John” ha vestito il perizoma leopardato ben 12 volte, dal ’32 al ’48, debuttando in Tarzan l’uomo scimmia che piacque persino ad Edgar Rice Burroughs, autore del celeberrimo romanzo. Al suo fianco la bellissima Maureen O’Sullivan nel ruolo di Jane. Ha firmato contratti con le case di produzione Metro-Goldwyn-Mayer prima e RKO Pictures dopo. BUSTER CRABBE: cresciuto alle Hawaii, dove il padre lavorava come custode di una piantagione di ananas, Buster imparò a nuotare in tenera età e alle scuole superiori si contraddistinse anche nel football, nel basket e nell’atletica. Al primo anno di corso alla University of Southern California di Los Angeles conquistò un posto nella squadra olimpica di nuoto spalancando le porte di una carriera stellare costellata da 16 record mondiali e 35 record nazionali. Bronzo nei 1500m ai Giochi olimpici di Amsterdam (1928) e medaglia d’oro nei 400m ai Giochi olimpici di Los Angeles (1932), Crabbe è approdato ad Holliwood grazie alla sua stazza fisica, interpretando, tra gli altri ruoli, il settimo Tarzan della storia, quello del 1933, “Tarzan l’indomabile”.

mi pungolavano tutto il tempo, finché ho perso la pazienza, ho afferrato il braccio di una di loro e le ho dato un morso talmente forte da farle uscire il sangue! La poveretta poi è scappata in un angolo, leccandosi la ferita e piagnucolando davanti a tutte le sue “amiche”. Nessuna di loro da quel momento si è più avvicinata a me! E poi non mi si dica che gli animali non parlano…». Chi è stato il primo a riconoscerla come un possibile candidato a recitare nel ruolo di Tarzan? «Su tutti è stato l’amico e collega Johnny Weismüller a scommettere su di me: quante volte ci siamo sfidati a fare il celebre urlo di DON BRAGG E TARZAN | 48

Tarzan, per vedere chi lo faceva più forte… Già dalla prima sfida vinsi io: da allora Johnny mi ripeteva di continuo che dovevo assolutamente propormi al cinema come Tarzan. Era una gran bella persona Johnny, eravamo entrambi matti, prorompenti e con tanta voglia di scherzare. Ovunque andassimo ci rincorrevamo urlando come Tarzan, anche in occasioni formali, durante le cene di rappresentanza, o mentre raccoglievamo fondi per le associazioni benefiche…». Ma il suo urlo più celebre resta quello che ha lanciato dal podio più alto della gara olimpica che aveva appena vinto,


IL CINEMA a Roma… «È il momento più eccitante che ricordi della mia vita… L’urlo intendo! I miei compagni di squadra non credevano che l’avrei fatto. La giuria mi aveva appena impedito di andare a ritirare la medaglia a torso nudo, proprio come Tarzan, sicché, quando fui sul podio e con il mio oro al collo lanciai l’urlo di vittoria più importante che abbia mai fatto, tutto il mondo rimase di stucco…». Certi episodi, Don Bragg, li racconta ancora divertito e trepidante come fosse un ragazzino. Eppure l’aspetto, notevolmente dimagrito a causa dei recenti problemi di salute, lo fa sembrare più che un vip un eroe umano, rassicurante e pacato nella cornice di barba bianca che spunta sotto gli occhi piccoli e pungenti. Cerca ovunque i suoi occhiali, affannosamente, per poter vedere in faccia il giovane interlocutore che gli pone così tante domande: «Lei è troppo giovane per ricordare quelle Olimpiadi… quindi mi aspetto che mi faccia esattamente la stessa domanda che oggi tutti mi hanno fatto…». E va bene, giù la maschera: come ha ritrovato Roma a 50 anni di distanza dai giochi olimpici del ’60? «Vede, mi sto chiedendo se i giornalisti siano più preoccupati del fatto che ci siano realmente delle differenze, o della possibilità che io veda oggi qualcosa che non mi piace rispetto al passato… Le cose sono cambiate, certo, e non tutte necessariamente in meglio, ma Roma conserva un fascino antico che la rende unica ai miei occhi, probabilmente la mia seconda città di nascita». Perché Don “Tarzan” Bragg si sente un po’ romano. Non italiano, tende a precisare, bensì romano… «Crede nella reincarnazione? Io sì e le dico che a Roma ci sono già stato, molti anni prima del 1960… Quando arrivai con la squadra in città, passammo per la prima volta davanti al Colosseo tutto illuminato di notte. Eravamo in pullman, e io in quel momento ho sentito la mia ani-

Zorro e L’Uomo Ragno; D’Artagnan e Sherlock Holmes; Ercole e 007; Arsenio Lupin e Robin Hood. Cosa hanno in comune tutti questi tra loro e con Tarzan? La risposta è immediata: si tratta di quei personaggi del grande schermo che, per i molti film usciti nelle sale, possono essere definiti veri e propri “tormentoni”. All’uomo in maschera nera che disegna con la spada una Z sul corpo dei nemici e a quello in calzamaglia rossoblu che si libra tra i grattacieli con la propria ragnatela proprio come Tarzan con la liana, si aggiungono decine e decine di personaggi che ogni tanto vediamo (o abbiamo per lungo tempo visto) comparire nelle nostra sale cinematografiche. Personaggi tratti dalla fantasia di uno scrittore o di un ideatore di comics o anche dalla fantasia di produttori e registi. Certo, molti di quei personaggi fanno dell’atleticità la loro arma migliore. Quindi possono a buoni conti essere ospitati in queste pagine sportive… Scherzi a parte, scopriamo insieme i nomi dei più famosi. Buona lettura.

ma agitarsi, tormentarsi. Ho capito di essere già stato in quel posto: ero sicuramente un gladiatore romano nella vita passata, per giunta ucciso ingiustamente. Ed ero finalmente tornato per il riscatto. Trasalì urlando ai compagni “Qui vincerò!”. E ho vinto». Tuttavia, d’italiano, Don Bragg, parla forse dieci parole appena. O, meglio, conosce i numeri. Li sa contare perché in New Jersey, durante i pic-nic all’aperto, ha giocato tante volte alla “mora” con il padre di quella che poi è diventata sua moglie: «Sono bravissimo! Uno-Due-Tre-Quattro … lo vede?! E poi guardi, questa musica la conosco bene…».

E Tarzan si mette a canticchiare proprio le note della colonna sonora de “La Dolce Vita” che passano alla radio in sottofondo, anche se fa un po’ di confusione tra Fellini e Visconti. Ricorda molto bene, al contrario, Anita Ekberg, e dice di non essere mai stato a Cinecittà. E poi ha preso in moglie una donna di origini abruzzesi che cucina degli gnocchi fantastici, risulta a tutti sempre più simpatica di lui “pur non essendo un’attrice”, e si dedica insieme a lui alla numerosissima famiglia e alla gestione quotidiana del Kamp Olimpic, il centro di accoglienza per ragazzi provenienti dai quartieri poveri che i Bragg DON BRAGG E TARZAN | 49

hanno aperto in New Jersey nel 1968 e dove insegnano ad affrontare le sfide della vita lealmente, nel gioco come tra i banchi di scuola. Qual è il suo bilancio attuale dopo tanti successi nello sport e nella vita? «Ho quattro figli e altrettanti nipoti, molti altri figli “adottivi” con cui gioco e cresco ogni giorno al Kamp Olimpic, tante soddisfazioni sportive alle spalle e un passatempo che mi nutre l’anima e sa tirare fuori finalmente una parte di me che è stata troppo a lungo repressa dalla fisicità dei muscoli e della fama olimpica: la poesia».

«Ho abbastanza», dice Don Bragg, che intanto ci recita al volo qualche verso delle sue poesie e pure confessa segretamente che il suo sogno resta ancora quello di essere Tarzan. Fino in fondo. Anche al cinema: «Altrimenti chissà, in un’altra vita… che poi: se lo immagina Tarzan tra le nuvole? E per giunta in mutande!». Nel frattempo trasmette quel che può ai nipoti, troppo piccoli per conoscere tutta la storia del nonno…«Ne hanno sentito parlare in TV e dai loro genitori. Tutte le volte che rientrano da un pomeriggio passato in mia compagnia, salutano sulla porta di casa con un urlo. Quello di Tarzan, ovviamente».


Nel mondo dei Supereroi Il mercato dei “Tormentoni” se lo dividono tre case editrici che da anni vendono i propri diritti per la produzione di film. La Disney, citata in altro spazio, poi la DC Comics, proprietaria di eroi come Superman, Batman, Aquaman, e la prima supereroina dello schermo, Wonder Woman. Batman fa il suo esordio addirittura negli anni ‘40 con corti in abbinamento con grandi film. Il primo vero lungometraggio fu “Batman” del 1966 realizzato in seguito al successo della serie Tv. L’uomo pipistrello allora in una curiosa calzamaglia è oggi realizzato con tecniche moderne ma mantiene lo stesso fascino come i suoi partner del mondo dei Comics. L’altra casa editrice è la Marvel, quella dei Supereroi con super problemi: ovvero lo stile delle fiction nel mondo del fumetto. Serialità applicata a personaggi che vivevano la propria vita, diversamente da Superman e soci, come gente comune ma con i poteri in più. Gente che poteva soffrire e talvolta anche morire come capiterà al partner di Capitan America, Bucky, o alla fidanzata dell’Uomo Ragno dopo tanti numeri di una storia d’amore sofferta. È il 1974 quando L’Uomo Ragno sbarca al cinema con il primo di tre film consecutivi piuttosto improbabili. Ma solo negli ultimi anni la Marvel ha spinto sul piede l’accelleratore vendendo diritti per film o producendo in proprio i personaggi: I Fantastici Quattro, Iron Man, Devil, Elektra, Il Punitore, Ghost, X-Men, Hulk, Wolverine, Thor, I Vendicatori (gli ultimi due sono in lavorazione). Nel mezzo un eroe che viene dai fumetti Marvel ed è stato un vero protagonista di film anni ‘80: Conan il Barbaro con Arnold Schwarzenegger, nato dalla fantasia di Robert E. Howard. Per altre case editrici produzione importante ma residuale: Hellboy, Mandrake, L’Uomo Mascherato,The Phantom, L’Uomo Ombra, Howard, la Leggenda degli Uomini Straordinari, Ultraman, Mercury Man, Tex, Dylan Dog, Corto Maltese, Alvin, Barbarella, Buck Rogers, Casper, Diabolik, Dick Tracy, I Flintstones e soci, Garfield, Men in Black, I Puffi, Sin City, Spawn, Sturtruppen, Tin Tin, Transformers, Vampirella e tanti altri.

Fantasia, favole e animazione Dalle leggende Disney ai recenti Shrek, Toys e l’Era Glaciale, dai viaggi di Gulliver o di Sinbad a quelli di Verne a bordo di un sottomarino o una mongolfiera, dagli argonauti agli astronauti è vasta la filmografia legata a un genere che piace ai più giovani ma è amato anche dai grandi.

Charlie’s Angels Tre sexy investrigatrici californiane, pericolosamente belle e assoldate da un’agenzia di investigazioni private, la Charles Townsend Investigations: Sabrina Duncan (interpretata da Kate Jackson), Jill Munroe (Farrah Fawcett) e Kelly Garrett (Jaclyn Smith). Nei lungometraggi dei giorni nostri gli angeli vengono rappresentati dal bellissimo trio Cameron Diaz - Drew Barrymore - Lucy Liu.

007, licenza di uccidere Nato dalla penna dello scrittore inglese Ian Fleming, diventa un vero e proprio cult solo grazie al cinema dove l’affascinante agente segreto 007 (dove il doppio zero gli da licenza di ucidere) è stato protagonista di una fortunata serie di film, spesso assumendo volti diversi. Il più famoso di tutti è quello di Sean Connery che lo ha interpretato ben 5 volte insieme alle affascinanti “Bond Girls” di cui si circonda, impagabile seduttore. Poi, George Lazenby, Roger Moore, Timothy Dalton, Pierce Brosnan, Daniel Craig. Il filone degli agenti segreti viene proseguito a lungo: ad esempio con “Missione impossibile”.

Robin Hood, il Re dei ladri Simbolo eterno del gentiluomo che “ruba ai ricchi per dare ai poveri” infallibile arciere della foresta di Sherwood, il difensore degli umili e degli oppressi, l’eroe senza macchia e paura in 52 film, 18 serie tv e 14 pellicole di animazione, sempre il più onesto, il più bravo, il più coraggioso e il più amato. Il suo volto al cinema è, di volta in volta, quello in bianco e nero di Douglas Fairbanks, quello a colori di Errol Flynn, quello animato e antropomorfo della Disney, quello in calzamaglia di Mel Brooks, quello nostalgico di Sean Connery e ancora quello in fuga dai mori di Kevin Costner, prima di assumere i tratti fieri ed eroici di Russell Crowe.

Nel futuro Marty McFly è uno studente di liceo diciassettenne, che è solito frequentare un amico scienziato di nome "Doc" Emmett Brown. Insieme daranno vita a una serie di viaggi nel tempo, tema questo trattato abbondantemente al cinema e in Tv (ad esempio il dt. Whoo). Ma il filone dei viaggi nel tempo è infinito: da “L'uomo che visse nel futuro” (“The Time Machine”, George Pal) a “L'uomo che fuggì dal futuro” (di George Lucas) fino alle grandi parodie di Totò, Boldi e De Sica...

Indiana Jones Archeologo noto anche con il nome di Indy, è un personaggio cinematografico ideato da George Lucas, protagonista di una serie di quattro film diretti da Steven Spielberg e di una serie televisiva. Il suo ruolo è stato interpretato sugli schermi dall’attore Harrison Ford. L’avventura è sempre stata protagonista degli schermi.


Rambo e Rocky Entrambi personaggi interpretati da Sylvester Stallone, Rambo è l’uomo abbrutito dalla guerra in Vietnam, trasformato in una macchina da guerra letale (con lui prosegue una lunga filmografia di guerra). Rocky, pugile italo-americano dal passato difficile, invece è simbolo della forza maschile e del coraggio su un altro fronte, quello sportivo del ring che però mischia altrettanto la drammaticità della vita umana. Il primo film di Rambo è del 1982. Rocky è al cinema dal 1976.

Da Sherlock Holmes, il genere investigativo Quasi trenta film per Sherlock Olmes, dal primo del 1939 all’ultimo del 2009 con Robert Downey Jr. Il detective ideato da Arthur Conan Doyle è il personaggio letterario protagonista del maggior numero di film e molti sono gli attori che lo hanno interpretato. Tuttavia il volto cinematografico di Holmes è per tutti quello di Basil Rathbone, che con Nigel Bruce nella parte di Watson, è stato protagonista di ben 14 pellicole. Sulla scia dell’investigatore inglese tanti sono stati i personaggi del cinema a interpretare ruoli a difesa della legge: il Commissario Maigret, il tenente Colombo e il tenente Sheridan, l’ispettore Derrik, Nero Wolfe, Poirot, il Giustiziere della notte, Joe Petrosino, l’agente Pepper, Piedone e gli altri di Bud Spencer, Serpico, fino alla Pantera Rosa e tanti altri nati per il grande schermo o in Tv con trasposizioni anche fugaci al cinema.

Animali protagonisti Tanti gli animali protagonisti nel cinema (ma anche in questo caso personaggi Tv sono stati portati sul grande schermo anche solo per una pellicola). Il primo ad arrivare alla grande fama è Lassie, cane-divo di razza collie, è tra i cani più celebri al mondo, protagonista di decine di film, serie televisive, cartoni animati, fumetti e centinaia di romanzi apparsi dal 1938 fino ai giorni nostri. Il vero e storico debutto di Lassie come attore è del 1943 a fianco di una giovanissima Liz Taylor. Altrettanto celebri le avventure del “cugino” Rin Tin Tin, cane in forza all’esercito nordista, e del “pronipote” Rex, della squadra omicidi austriaca. Poi leggende positive come Zanna Bianca o Furia e negative come “Lo squalo” e tutti gli altri...

Flash Gordon Protagonista di straordinarie avventure sul pianeta Mongo, Flash Gordon e la bellissima compagna Dale aiutano il dott. Zarkov a scongiurare il pericolo di collissione con il pianeta popolato da perfidi abitanti e guidato dall’oscuro imperatore Ming. Dal fumetto sono state tratte numerose opere cinematografiche e televisive, a partire dagli anni ‘30. Sul grande schermo, il volto di Flash Gordon è quello di Buster Crabbe, nuotatore campione olimpico ad Amsterdam (1928) e Los Angeles (1932).

Le Arti Marziali Il primo fu Bruce Lee Nato a San Francisco e cresciuto ad Hong Kong, Lee è l'attore più ricordato per la presentazione delle arti marziali cinesi al mondo non cinese. Lupin è il ladro gentiluomo nato dalla fantasia di Ebbe un enorme, incredibile successo ai Maurice Leblanc. Francese, ama donne, lusso, gioco botteghini con “Dalla Cina con furore” nel Possente lottatore appartenente alla mitologia romana, Ercole d’azzardo ed è dotato di grande ironia. È un abile 1972 e da lì crebbe il filone delle arti è l’eroe che al cinema, così come sugli schermi televisivi affascina per trasformista capace di travestirsi in altre persone: marziali che ha visto tanti protagonisti l’eroismo, le pose plastiche e la forza fisica con cui combatte gli grazie a questi travestimenti riesce sempre a cavarsela come Karate Kid. avversari. Protagonista indiscusso di film epici ambientati in una terra contro la polizia. Il primo romanzo venne scritto nel 1907 e il antica e ferma nel tempo, al cinema Ercole (anche con Michael Lane) primo film data 1914. L’interprete più famoso è stato Jacques affronta al botteghino alla pari altri colossi come Ulisse (Georges Dutronc. Amato anhe in tv, nei fumetti e nei manga giapponesi di Marchal) e Sansone eroe israelita. Monkey Punch che ideò Lupin III, nipote ed emulo Negli anni ‘50 diventano protagonisti del genere dell’inafferrabile avo. cosiddetto peplum (conosciuto anche come “il Dopo di lui Fantomas: Criminale spietato, ambizioso e cinema dei forzuti” a causa degli atletici e muscolosi abile nei travestimenti, Fantomas ha la stessa protagonisti). La prima apparizione cinematografica eleganza di Lupin, ma è meno gentiluomo. È padre di Maciste è del 1914 nel film storico Cabiria, con del genere noir e antesignano di Diabolik e l’interpretazione di Bartolomeo Pagano. E molte Kriminal (che uscirono anche al Cinema). Ma anche le parodie presentate nel corso degli anni, tanti sono i personaggi contro la legge che con personaggi quali Totò, e Raimondo Vianello. appassioneranno le folle. Uno è Il Santo, Con un’analisi allargata, si possono includere nel Simon Templar, interpretato da Roger genere peplum film come “Ben-Hur”, “Cleopatra”, Moore nel 1977 dopo una fortunata serie Tv. “Tito” o “I Dieci comandamenti”.

Arsenio Lupin, Il Santo e Fantomas

Ercole, Maciste e Sansone


Charlotte: il Re Filone infinito del quale sono citati cinque monumenti a loro modo capostipiti: Charlie Chaplin, il re comico del grande schermo (il primo film nel ‘14), che rese famoso Charlot. Poi, Laurel & Hardy, in Italia Stanlio & Ollio, è il più famoso duo comico della storia del cinema. Grasso, serio e brontolone l’uno, smilzo, sbadato e ingenuo l’altro. Sullo schermo, per moltissimi anni (dal 1921 al 1951) Ollio era doppiato da Alberto Sordi. Citiamo, infine, il filone italiano con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.

Asterix e i francesi Fumetto: ambientato nella Gallia al tempo di Giulio Cesare ha per protagonisti il guerriero Asterix, il suo miglior amico Obelix, che si ostinano a resistere ai romani grazie all'aiuto di una pozione magica. Tre anche i film, uno, nel 1999, protagonista Benigni.

Ecco Zorro È l’eroe mascherato per eccellenza, spadaccino. Don Diego de la Vega, combatte in nome della povera gente contro la tirannia dei vari governatori della città di Los Angeles, accompagnato dal fedele cavallo Tornado, dal servo muto e dall’inseparabile sciabola con cui traccia un’inconfondibile “Z” sui nemici. Tra i volti più celebri che hanno vestito i suoi panni eroici, ricordiamo sicuramente Alain Delon nel film del 1975.

King Kong e tutti gli altri Gigantesco gorilla che approda al cinema nel 1933, anno del primo di una lunga serie di film. Capolavoro dell’epoca per i sorprendenti effetti visivi, lo scimmione originario dell’isola “del Teschio”, è trascinato a New York da una troupe cinematografica e lì scalerà i palazzi più alti in cerca della donna amata, Ann Darrow. L’istinto porta Kong a salire sull’Empire State Building (anche se nel remake del 1976 si arrampica sulle Torri Gemelle). Tante le riedizioni: quella giapponese con Godzilla, mostro protagonista di una lunga serie di film a partire dal 1954 e la tartaruga volante Kong, fino ad arrivare alla recente serie di “Jurassik Park”.

I Tre Moschettieri più uno Athos, Portos e Aramis, fedeli moschettieri dell’esercito del re Luigi XIII, combattono contro le guardie del Cardinale Richelieu. A loro si aggiunge D’Artagnan, impavido guascone. Il romanzo di Dumas è stato adattato per lo schermo almeno 20 volte, contando anche miniserie e film di animazione.

Trinità Tra i tanti personaggi del west Trinità, interpretato da Terence Hill è senz’altro il più noto. In coppia con Bud Spencer, Hill ha realizzato tante pellicole.

Pirati, corsari, eroi dei mari Se, soprattutto in Tv, l’oscar degli eroi esotici va a Sandokan, suo fratello di avventure per mare è il Corsaro Nero, protagonista anche lui di un romanzo di Emilio Salgari che dipinge le lotte tra imperi economici di metà ‘600 incarnando l’affascinante filone letterario e cinematografico piratesco. Poi Pirati e corsari si sono inseguiti nei cinema come nel caso di Jack Sparrow ne “I pirati dei Caraibi”.

Quando il sesso è protagonista Moglie diciannovenne di un diplomatico francese, Emmanuelle è, tra le pagine del romanzo di Emmanuelle Arsan, l’eroina sessualmente emancipata e culturalmente cosmopolita che simboleggia senza pretese la liberalizzazione sessuale degli anni ‘60. Una radiosa Sylvia Kristel la interpreta per la prima volta al cinema nel 1973 stregando un pubblico che dimostra di gradire il genere sexy. Il trionfo del primo film scatena negli anni Settanta un’abbondante produzione apocrifa italiana, distinguibile per il mancato raddoppio della “m” del titolo. L’iniziatore della serie è “Emanuelle nera” di Adalberto Albertini. Sulla falsa riga di Emmanuelle, il personaggio sexy tutto italiano Valentina (Demetra Hampton): fotografa feticista, parte come fumetto tra le pagine della rivista “Linus”.


Telecamere tra le stelle Il filone legato ai personaggi-tormentone in attività nello spazio è assai nutrito. Abbiamo già scritto di Flash Gordon e dei film di Verne, capostipiti, in altra sessione. Ma chi non ricorda la serie de “Il Pianeta delle Scimmie” con Charlton Eston o “Terminator” con Arnold Schwarzenegger. E i film con protagonista “L'astronave atomica del dottor Quatermass”? Con i bambini del “Villaggio dei dannati” e Ufo, alieni, robot, sopravvissuti in tutte le salse, hanno sbancato al botteghino “Star Treck” e gli eroi di “Guerre Stellari”, “Alien” e “Predator”. Al dottor Stranamore degli anni ‘60 segue Barbarella, eroina sexy dello spazio creata in piena rivoluzione sessuale: è il 1968. C’è il filone dei mondi futuristici (come quelli di Logan o di Jena Jena PlissKen in “Fuga da New York”) e c’è anche chi diventa cult di fantascienza ma ben saldo per le strade del pianeta terra. È il caso del poliziotto Robocop, degli Zombie, dei sopravvissuti alle guerre nucleari o a terribili epidemie. Ci sono poi i protagonisti di nuove strade della scienza tra clonazione, cervello e inconscio (film come “Matrix” a “Inception” ancora nelle sale, passando per “Tredicesimo piano” e “Avatar” che tormentone sta per diventare visto che c’è già l’idea del sequel).

Mostri e d’intorni Mostri al cinema, film horror: da Dracula (e l’antagonista Van Helsing) ai vari film di vampiri, dall’uomo lupo al licantropo, alle anime possedute rese famose da “L’Esorcista”, dai fantasmi alla “Cosa”, da Franckestein capostipite della scienza dei mostri (arrivata fino a Robocop), all'Uomo Invisibile, dalle mummie agli zombie, da Nightmare ai cannibali, dai personaggi legati a Satana alle streghe. Insomma, da non dormire la notte. A meno che con i mostri non si giochi come nel caso di parodie come “L’Esorciccio” interpretato da Franco e Ciccio, appunto, o la Famiglia Addams con la romantica coppia Gomez e Morticia.

Da Capitan Uncino agli Hobbit, Il fantasy è un genere letterario e cinematografico caratterizzato da elementi quali la magia, eventi soprannaturali, creature della mitologia o delle fiabe e mondi fantastici al di fuori della realtà quotidiana. Il genere fantasy, soprattutto nel cinema, presenta molte analogie con il genere fantastico (in cui la presenza di elementi magici o soprannaturali è inserita però in un contesto "reale"). Nel cinema, il fantasy è un genere relativamente recente, che ha avuto un’ampia diffusione solo a partire dagli Anni ’80, in parallelo con il perfezionamento delle tecniche più avanzate di effetti speciali. Dall’epoca del muto, si può citare un capolavoro del cinema tedesco, “I Nibelunghi” di Fritz Lang, una saga epica della durata di quattro ore basata sull’antica mitologia nordica. Passando per “La storia infinita” fino a “Il Signore degli Anelli“ e il piccolo Harry Potter. E “I Viaggi di Gulliver”, “Il Mondo di Oz”, “Le Cronache di Narnia”, personaggi di Excalibur, Merlino: alcuni esempi di una “storia infinita”.

La Monnezza rivalutata Er Monnezza (Tomas Milian) o il commissario (Maurizio Merli). Quel filone dei film italiani, gialli e western soprattutto che, dopo essere stati considerati da buttare, per tanti anni, sono ora rivalutati e considerati specchio di un’epoca.

Un Maggiolino. Tutto Matto! 1969: il protagonista è Herbie, Maggiolino Volkswagen del 1963 che “parla”, pensa ed è piena di emozioni. Uno dei film, tra tanti, che parlano del mondo delle macchine.



di Enzo CERRONE foto Getty Images

Da Pietralata al mondo della Formula Uno, il pilota romano racconta in un’intervista la sua storia fatta di lavoro e sacrificio.


I

sogni, in generale, quasi sempre rimangono sogni. Appunto, quasi sempre, perché qualche volta si realizzano, come è capitato a un bambino di otto anni, nato a Roma in un quartiere, Pietralata, certo non accostabile ad altre zone in della capitale. Certo, come è giusto che sia, i sogni non hanno una particolare collocazione, ma evidentemente in certi luoghi è oggettivamente più difficile realizzarli. Guai a dirlo al titolare di una carrozzeria-officina di Via Tiburtina, che decise di trascinare in una pista di kart alle porte di Roma il figlio di appena otto anni. Roberto Fisichella aveva indubbiamente un sogno nascosto in un cassetto del cuore, quello di vedere un giorno suo figlio Giancarlo pilotare una monoposto di Formula Uno. Ogni mattina a lavorare duro in carrozzeria, ma con quel chiodo fisso nella mente, quel desiderio tanto grande da non raccontarlo neanche ad amici e familiari. Eppure quel sogno iniziò a materializzarsi proprio in quei primi timidi giri sulla Pista d’Oro di Tivoli, dove papà Rober-

Gingarlo Fisichella premiato dal Sindaco Alemanno con il premio “Atleta dell’Anno 2009”. La prossima edizione si terrà il xxxxxxx. A destra il volto di un antico atleta romano ritratto sul premio in questione.

to riversò le sue prime ansie e i suoi primi denari. Indubbiamente una grande scommessa e tantissimi sacrifici, soprattutto economici, che evidentemente tolsero più di una notte di sonno a chi aveva veramente sfidato, forse, un altro destino. Destino che però quasi subito si mostrò benevolo, visto che molto presto arrivarono tante vittorie che ovviamente consegnarono un’ulteriore carica e convinzione all’interno della famiglia Fisi-

La carriera 1984 1985

Italian Minikart Championship (60cc)

1986 1987 1988

Italian Cadets Championship (100cc)

1989 1990

2nd in European Karting Championship

1991 1992 1993

2nd in European Karting Championship

1994 1995

Champion in the Italian Formula Three Championship, 10 wins

1996

Minardi test driver

Italian Cadets Championship (100cc) Italian Cadets Championship (100cc) Karting International Class (100cc) 2nd in Karting World Championship 8th in Italian Formula Three Championship, 1 win 2nd in Italian Formula Three Championship International Touring Car Championship with Alfa Romeo Junior Team F1 with Minardi (eight races) 6th in International Touring Car Championship with Alfa Romeo Junior Team Ferrari test driver

1997

8th in F1 Championship with Jordan, 20 points

1998 1999 2000

9th in F1 Championship with Benetton, 16 points

2001 2002

11th in F1 Championship with Benetton, 8 points

2003 2004 2005

12th in F1 Championship with Jordan, 12 points, 1 win

2006 2007

4th in F1 Championship with Renault, 72 points

2008 2009 2009

19th in F1 Championship with Force India, 0 points

2010

Scuderia Ferrari

9th in F1 Championship with Benetton, 13 points 6th in F1 Championship with Benetton, 18 points 11th in F1 Championship with Jordan, 7 points 11th in F1 Championship with Sauber Petronas, 22 points 5th in F1 Championship with Renault, 58 points 8th in F1 Championship with Renault, 21 points Formula One with Force India 15th in F1 Championship with Force India 5 races with Scuderia Ferrari, 8 points

GIANCARLO FISICHELLA UNA VITA IN POLE | 48

chella. Oggi quel bambino di otto anni ha trentasette anni, una splendida famiglia e, in particolare, una fantastica carriera sportiva che lo ha portato ad essere uno dei veterani, il quinto di tutti tempi, con tredici anni di Formula Uno sulle spalle. Quel bambino di Pietralata, che era felice solo con un volante fra le mani, ha realizzato il suo sogno e soprattutto quello di papà Roberto, che ancora oggi, va sottolineato, si sveglia molto presto e ogni mattina va nella sua carrozzeria a lavorare, esattamente come faceva circa trenta anni fa. Splendido esempio morale. Dunque come non rivivere, seppur velocemente, la vita di un ragazzo romano, che nel tempo si è aperto al mondo, ma che ancora di più ha consolidato le sue radici nella città che lo ha visto nascere? Giancarlo, se in un lontano giorno qualcuno ti avesse detto: correrai 229 Gran Premi di Formula Uno e così diventerai il quinto pilota di sempre. Gli avresti dato del matto?... «Beh, da bambino sognavo solo questo, sognavo di diventare un pilota di Formula Uno, ci credevo e ci speravo. Ci sono riuscito, ma mai mi sarei immaginato di entrare nella storia della Formula Uno grazie, come hai ricordato tu, a 229 G.P. disputati, anche se ce ne sono altri due da conteggiare. Un numero pazzesco in quasi quattordici anni di Formula Uno, ricchi talvolta di vittorie, pole position e grandi team con i quali ho corso. Tutto questo ovviamen-


Anno 2010, ovvero il primo anno senza pilotare una Formula Uno… «Si, senza pilotare per modo di dire, visto che sono il terzo pilota Ferrari e che mi occupo di test aerodinamici molto importanti per la squadra. Comunque non mi annoio davvero dal momento che, con la Ferrari F430 nel campionato Le Mans Series in compagnia di Jean Alesi e Tony Vilander, ho corso a Le Mans e anche nel campionato ALMS. Insomma sono tuttora impegnato a tempo pieno nelle corse e questo non può che farmi piacere, considerato che amo questo sport e dopo tanti anni di Formula Uno non sono ancora stanco». A proposito di Ferrari, non ti è mai venuto il dubbio che Fisichella e Ferrari si

siano incontrati in un momento tecnicamente sbagliato? «Mah, sai, dopo aver fatto a Spa la pole e il secondo posto in gara con la Force India, cosa quasi impossibile, ritrovarsi la settimana dopo seduto nell’abitacolo della Ferrari, non è stato proprio male. Anzi. Tra l’altro ormai dopo tanti anni di Formula Uno non ci speravo più. Purtroppo però sono andato a Maranello nel momento sbagliato; c’era una macchina non competitiva, molto difficile da guidare, con il Kers che non avevo mai usato. Inoltre senza test il venerdì mattina facevo davvero tanta fatica a utilizzarla al meglio. Certo, sotto il profilo dei risultati, delle gare, non è stata una grande esperienza, ma quel momento della mia vita è stato magico, lo rivivrei cento altre volte ancora. Poter dire di aver corso con la Ferrari, anche solo cinque gare, penso

Jean Alesi, Giancarlo Fisichella e Tony Vilander in posa di fronte a una delle F430 GTC, la berlinetta del Cavallino Rampante, messa a disposizione dalla Amato Ferrari Corse per la partecipazione alla serie internazionale Le Mans Series 2010.

che non sia una cosa di tutti i giorni». Cosa ti ha colpito di più all’interno del magico mondo della Ferrari? «Il calore, la Ferrari è una famiglia. Con i meccanici, gli ingegneri, ho avuto sempre un ottimo rapporto. E poi a starci dentro mi sono veramente sorpreso, perché scorgi la differenza, assapori il team campione del mondo, la mentalità, i metodi di lavoro. Ho imparato ancora tanto». Sempre Ferrari, ma parliamo della F430 che usi quest’anno nel mondiale GT2 . Evidentemente un altro mondo, con tanti specialisti delle ruote coperte. Che palcoscenico hai scoperto? «E’ un mondo per me nuovo, totalmente diverso dalla Formula Uno. Queste sono gare di durata che vanno dalle sei ore alle ventiquattro ore di Le Mans. Devi così divi-

UN PILOTA PER DUE FERRARI

te mi inorgoglisce».


foto arch. priv. Fisichella

A 8 anni partecipa a campionati nazionali e internazionali di kart. Nel 1991 passa alla sua prima squadra corse, la Formula Alfa Boxer.

Nel 1997, al volante di una Jordan ottiene 20 punti in 17 gare, e due podi fra i quali un 2° posto nel Gran Premio del Belgio a Spa.

L’ALBUM DEI RICORDI Nella foto mamma Annamaria e papà Roberto orgogliosi del proprio figlio che ha sposato da appena un anno Luigina Castellani (per tutti Luna), mamma dei suoi tre bambini. Si erano incontrati diciotto anni fa. Era una sera del '92 quando lei ballerina dal fisico statuario - e nel curriculum due edizioni a "Non è la Rai" con Ambra - incontrò Giancarlo. Accadde in una discoteca di Rimini. E fu passione per sempre.

dere l’abitacolo con altri due compagni e di conseguenza cercare un giusto compromesso per le importanti regolazioni della macchina. Ci vuole molta intesità e devo dire che io mi sono trovato molto bene con Alesi e Vilander. Abbiamo infatti corso una stagione strepitosa, con il mancato successo nell’ultima sfortunata gara di Silverstone, che ci è costata il titolo in GT2. Comunque, il prossimo anno sarò ancora là e vedrete». Torniamo alla Formula Uno o meglio al tuo personale podio, quello dei ringraziamenti per la tua splendida carriera. Chi ci metti lassù? «Beh, il mio podio speciale vede mio padre, la persona più importante della mia vita, colui che mi ha trasmesso la grande passione per le corse, che ha creduto in me, che ha investito all’inizio per correre con i kart. Poi ci sono altre persone importanti, su tutti Giancarlo Minardi che mi ha dato la possibilità di salire per la prima volta su una Formula Uno». Tanti anni di carriera e tanti piloti incrociati. Qual’è quello che più hai stimato? E chi hai stimato davvero poco? «Ho adorato Michael Schumacher, un grande professionista blasonato, ma il più grande di tutti per me è stato Ayrton Senna. Stimo parecchio Alonso, con lui ho uno splendido rapporto: ottimo pilota, campione del mondo, molto freddo. Non ho mai ammirato invece Ralf Schumacher, che tra l’altro nel ’97 alla Jordan mi creò non pochi problemi: in una gara mi buttò fuori quando ero secondo».

Debutta in Formula Uno nel 1996 con la Minardi e disputa 8 gran premi: il miglior risultato un 8° posto nel Gran Premio del Canada.

Invece fra i tuoi compagni di squadra, chi ti ha fatto perdere qualche notte di sonno in più? «Certamente Alonso è quello che mi ha dato più filo da torcere. Button nel 2001 era mio compagno e l’ho sempre battuto lasciandogli anche un secondo; poi lo scorso anno è andato a vincere il mondiale. Questo fa capire quanto è importante la macchina». A proposito di pensieri, cosa pensi di Flavio Briatore? «E’ stato, anche lui, un personaggio molto importante per la mia carriera. Dopo l’esperienza in Minardi, mi fece provare la Benetton e subito dopo mi fece firmare un contratto di diversi anni con quel team, lasciandomi però il primo anno in prestito alla Jordan». Abbiamo parlato di campioni e grandi piloti che hanno corso e vinto la mitica 500 miglia di Indianapolis: come vedresti Fisichella nell’ovale più famoso del mondo? «Non ci ho mai pensato, è difficile che accada. Del resto è un campionato molto complicato dove corrono piloti molto esperti, dei veri specialisti e dunque non sarebbe certo facile andare lì e subito viaggiare forte». A proposito di altri campionati, sembra che in Formula Uno ci sia la moda di correre nei rally. Gli ultimi in ordine di tempo sono Raikkonen e Kubica. Tu come ti rapporti a quel mondo? «È una disciplina stupenda, ho anche corso il Rally di Monza nel ’97 arrivando secondo e divertendomi tanto. È comunque un mondo diverso dove ci sono piloti, come appunto Raikkonen e Kubica, che lo amano

GIANCARLO FISICHELLA UNA VITA IN POLE | 50

Il 2004 lo vede al Volante della Sauber e gli vale un 11° posto nella classifica. Durante la stagione non riesce però mai a salire sul podio.

tantissimo, mentre io ho avuto solo quell’esperienza, tra l’altro in un rally spettacolo e non certo in un rally vero che è un’altra cosa. In ogni caso non mi vedo nei rally in futuro». Giancarlo, lasciamo per un attimo le corse e torniamo a Roma, in particolare nel tuo quartiere di Pietralata, un quartiere certo non facile, lontano dai grandi riflettori della Città Eterna. Da questa nativa realtà ti si apre il magico, lontanissimo, mondo della Formula Uno: che esercizi mentali hai fatto per adattarti a due mondi incredibilmente diversi? «Il quartiere dove sono nato è in periferia e non certo al centro di Roma, ma proprio lì ho imparato a capire la vita, quella vera. A rendermi conto quanto fosse difficile il quotidiano. Poi crescendo ho iniziato ha viaggiare da solo e indubbiamente ho di conseguenza conosciuto mondi di-

Nel 2005 approda alla Renault. Esordisce con la vittoria nel Gran Premio d'Australia e chiude al 5° posto la stagione. Nel 2006 vince il xxxxx Gran Premio di Malesia e contribuisce al 2° titolo costruttori.


versi, Paesi con usanze completamente sconosciute, che ho portato con piacere nel bagaglio delle mie esperienze. Si, mondi tanto diversi, ma altrettanto importanti».

Dal 1998 al 2001 corre per la Benetton. Ottiene la sua prima pole position in Austria nel 1998. Chiude il 1998 9° in classifica con due secondi posti. Nel 1999 si ripete, nel 2000 si migliora con un 6° posto. Nel 2008 corre con la esordiente scuderia della Force India, ma le scarse prestazioni della sua monoposto gli valgono zero punti. Nel 2009 ottiene però uno storico 2° posto nel Gran Premio del Belgio.

14 anni di Formula Uno ti hanno dato tante esperienze, notorietà e benessere economico. Potresti in effetti fare il pensionato di lusso. Che futuro immagini invece per Giancarlo Fisichella? «E’ difficile dirlo. Amo questo sport e spero di rimanerci ancora per tanto tempo. Come pilota, ma anche in altre vesti. Non a caso il progetto più importante riguarda la nascita di un’accademia dove convogliare non solo piloti, ma anche meccanici, ingegneri, collaudatori e chiunque voglia intraprendere la strada di questo sport. Mi piacerebbe realizzarla il più presto possibile, stiamo cercando i finanziamenti per partire nei prossimi mesi». Tanto passato, tanto presente, ma anche tanto futuro evidentemente non solo per te, visto che in famiglia ti reclamano sempre di più… «Certo ormai la vita è basata su di loro, ogni cosa si fa per la famiglia, per i figli. Cristopher ogni tanto lo porto a girare sui kart. Se vorrà fare questo mestiere, sarò il primo ad aiutarlo, e farò altrettanto se vorrà fare un altro sport o lavoro. Ora però è importante che pensi alla scuola».

Il 3 settembre 2009 viene ingaggiato dalla Ferrari per sostituire l'infortunato Felipe Massa nei 5 Gran Premi finali della stagione 2009. Diventa il terzo pilota nella stagione 2010.

Un ulteriore dovuto accenno alla tua famiglia di origine, in particolare a tuo padre, che tanto ha fatto per concretizzare questo grande sogno, ma che ancora oggi vive radicato nel suo mondo, al contrario di tanti altri papà che hanno preferito cambiare vita, mettendosi alle costole di figli diventati famosi… «E si, mio papà oggi ha 71 anni e ha iniziato a lavorare quando ne aveva 15. La mattina si alza alle sette e tutti i giorni va a lavorare, anche se sta male. Ogni volta non posso che ringraziarlo per quello che ha fatto per me». Giancarlo, cambiamo

GIANCARLO FISICHELLA UNA VITA IN POLE | 51

ulteriormente argomento. Sei da anni un punto fermo della nazionale calcio piloti. «Si, lo scopo è quello di raccogliere fondi per beneficenza; questa realtà esiste da circa 28 anni e ha raccolto tantissimi milioni di euro. Io ne faccio parte dal ’94 ed ogni anno facciamo 8-9 partite. Poi con piacere ricordo che sono da alcuni anni il capocannoniere della nazionale. Peccato per quest’anno, ho giocato un po’ di meno, per gli impegni di lavoro». Tanto per non farti mancare niente nel mondo delle corse, hai voluto provare anche l’esperienza del doppiatore in “Cars – Motori Ruggenti”... «Si, è stato divertentissimo, anche se la parte che ho fatto è stata piccola e l’ho condivisa con altri tre piloti come Trulli, Pirro e Zanardi». Giancarlo Fisichella ed il rapporto con lo sport in generale… «A me piace lo sport di grande movimento. Mi alleno molto in palestra, poi faccio corsa e bicicletta». Giancarlo Fisichella ed il rapporto con la tua squadra, la Roma… «La amo sin da bambino. Conosco molto bene Totti e diversi altri giocatori della Roma e quando posso la seguo. Si lo ammetto, sono un accanito tifoso giallorosso e quando vince la Roma sono stracontento, quando perde ci sono una furia». Torniamo ai tuoi hobby, alla tua passione per il poker… «Ho sempre amato giocare a carte, fin da giovane, con partite di scopa e briscola, poi da alcuni anni è nato il «Texas Hold’em. Ci gioco spesso e sono testimonial di un sito. Insomma mi piace, mi rilasso, mi diverto e con 5-10 euro riesci a fare tornei che possono durare anche 5-6 ore». Roma sempre più al centro del mondo nello sport, con la Formula Uno che si avvicina concretamente… «Si, certo. Il sindaco Alemanno e gli altri politici stanno lavorando molto e magari fra 2-3 anni arriverà davvero la Formula Uno a Roma, magari! Certo io non correrò, però mi piacerebbe essere presente, avere un ruolo; comunque me lo auguro per Roma». Appunto, Roma che addirittura potrebbe ospitare le Olimpiadi del 2020. Che ruolo vorresti ricoprire? «Beh, qualsiasi tipo di presenza per me sarebbe un onore. Roma per me è Roma».



Da Roma a San Diego, per entrare nella storia Dopo la vittoria schiacciante per 5-0 del Foro Italico, nella semifinale di Fed Cup contro la Repubblica Ceca, l’Italia affronta gli States a San Diego.

di Laura PATERNO foto Getty Images

D

opo la vittoria cappotto per 5 a zero contro la Repubblica Ceca, giocata al Foro Italico a Roma durante gli Internazionali BNL d’Italia, lo squadrone italiano della Federation Cup parte per San Diego. Obiettivo: difendere il titolo di campionesse del mondo conquistato lo scorso anno a Reggio Calabria proprio in una finale contro la bandiera a stelle e strisce. Si tratta di un appuntamento storico per il tennis femminile italiano: le ragazze approdano alla quarta finale in 5 anni, mentre in palio c’è il terzo titolo di sempre. La squadra composta da Flavia Pennetta, Francesca Schiavone, Sara Errani e Roberta Vinci affronterà il team capitano dalla ex tennista di vertice Marie Joe Fernandez e composta quasi sicuramente dalla giovane e biondissima Melane Oudin, ormai una colonna por-

CONOSCIAMO

LO SPORT MILITARE | 63

Flavia Pennetta


tante del team Usa, mentre è quasi sicura, l’assenza delle sorellone Williams, Venus e Serena. In concomitanza si gioca il Master di fine anno a Doha tra le più forti giocatrici del mondo, ed è altamente probabile che le Williams, come lo scorso anno, rinuncino a rappresentare il proprio Paese per seguire gli interessi individuali. Flavia, dal canto suo, è già qualificate alla kermesse in Qatar per i successi conseguiti durante l’anno ma la strada è già stata tracciata dalla Pennetta: rinunciare a punti e soldi per difendere la bandiera e per l’amore del gruppo. Un gruppo che così compatto non è stato mai nella storia tricolore di questo sport. Spesso, infatti, i successi della squadra femminile vengono stati accostati all’altro grande team che ha fatto sognare gli appassionati italiani: la squadra di Adriano Panatta e Corrado Barazzutti che vinse la Davis nel 1976 e disputò 4 finali in 5 anni. Ad avvicinare ancora di più le nostre atlete ai tempi d’oro dell’Italia tennistica è arrivata a giugno la grandissima vittoria di Francesca Schiavone al Roland Garros, tempio del tennis su terra rossa, proprio come fece Adriano Panatta sempre nel 1976. Le migliori donne di sempre, insomma, che fanno parlare di sé giornali e televisioni, e che mettono decisamente in ombra la navigazione a vista dei maschietti azzurri. Questi, se pure si sono comportati con onore ultimamente in Davis, sembrano soffrire di vari complessi tra cui una cronica mancanza di mordente agonistico insieme a una specie di spaesamento esistenziale. In squadra qualcuno si è fatto indietro dicendo di non essere all’altezza e singolarmente, nei grandi tornei, non riescono ad andare oltre i primi turni. Così, da

anni ci si chiede come mai non crescano più grandi campioni nel Bel Paese. Oltre alla possibile spiegazione che l’Italia è una nazione dalla cultura prevalentemente “monosportiva” e che, i nostri uomini vivono solo per il calcio (anche in questo caso per lo più in modo passivo), si vivacchia guardando alle donne, vero traino del movimento tennistico del nostro Paese, e mirando a rubacchiare segreti ai vicini di casa. Vicini come quelli della ormai famosissima Scuola spagnola che ha allevato nell’ultimo lustro l’invincibile armata, ovvero tanti campioni belli e forti fisicamente, tecnicamente e mentalmente, cresciuti apparentemente dal niente. Mistero Italia: da noi, così come quei muscoli e quei campioni, lievitano solo i panettoni sotto le feste di Natale.

Lea Pericoli

DAL 1963 AI GIORNI NOSTRI a “prima volta” della Fed Cup, il più importante torneo di tennis per squadre nazionali femminili, ha avuto luogo a Londra nel 1963. Inizialmente senza premi in denaro, con la squadre obbligate a pagarsi le spese di viaggio. Oggi il torneo riscuote sempre più adesioni grazie all’avvento massiccio degli sponsor. L’Italia si è aggiudicata il primo posto nel ranking della competizione, per il maggior numero di punti accumulati: guida la classifica davanti a Russia e Stati Uniti. Questi ultimi, sempre presenti, sono in testa invece alla classifica per numero di vittorie, ben 17, seguiti a distanza dall’Australia (7) e dalla Spagna (5), a pari merito con la Cecoslovacchia. L’Italia al momento vanta due vittorie, nel 2006 e 2009, mentre ha giocato, e perso, la finale nel 2007 contro la Russia. Nell’edizione 2010, la 48esima, sono scese in campo 80 nazionali, cinque in più rispetto all’edizione precedente, suddivise a seconda del punteggio in tre categorie. Il tabellone della massima serie, chiamato World Group, ha visto le migliori 8 nazionali scontrarsi: Italia, Ucraina, Repubblica Ceca, Germania, Serbia, Russia, Francia e Stati Uniti. Le ragazze guidate da Barazzutti hanno vinto nei quarti contro l’Ucraina, a Kharkiv, per 4 a 1, e in semifinale hanno regolato la Repubblica Ceca per 5 a zero. L’altra squadra finalista, gli Usa, ha invece vinto per 4-1 contro la Francia e per 3 a 2 contro la Russia. Ogni “round”, che dura due giorni, si decide in quattro singolari e un doppio, che assegna la vittoria in caso di parità.

L

TUTTE LE ITALIANE IN FED CUP L'Italia fa parte delle 16 squadre iscritte all’edizione inaugurale del 1963 con due grandi giocatrici: Lea Pericoli - fino al 1975 e Silvana Lazzarino. Dopo un periodo intermedio negli anni ‘70, quando in nazionale giocano Daniela Porzio, Manuela Zoni e Rosalba Vido, negli anni ‘80 si affacciano alla ribalta Raffaella Reggi e Sandra Cecchini (tuttora record di 25 incontri disputati): riescono a far rientrare l’Italia nella top 8 di Fed Cup nel 1984, 1985, 1986 e 1991. Nel 1999 l’Italia entra nel World Group, il tabellone delle più forti nazioni del mondo, e conquista la 1a semifinale della sua storia grazie a Silvia Farina e Rita Grande. La 2a semifinale, nel 2002, coincide con l'esordio in Fed Cup di Francesca Schiavone. Dal 2003, a fare da rinforzo alle più esperte Farina e Grande, arrivano Maria Elena Camerin, Antonella Serra Zanetti, Tathiana Garbin. Nel 2004 a Rimini, l'Italia sfiora la terza semifinale. Silvia Farina passa definitivamente il testimone a Francesca Schiavone e, al suo fianco, l'inserimento di Flavia Pennetta. Nel 2006 è successo assoluto: a Charleroi contro il Belgio, Francesca Schiavone, Flavia Pennetta, Mara Santangelo, Roberta Vinci, Romina Oprandi, Tathiana Garbin vincono la Fed Cup per la prima volta nella storia. L'Italia è Campione del Mondo. Nessuna squadra aveva vinto la Fed Cup conquistando tre successi sul terreno delle avversarie. Un capolavoro.


L’intervista a Flavia Pennetta

Flavia Pennetta porta il tennis nella cornice magica del Colosseo. Alla vigilia degli Internazionali 2008, la campionessa italiana ha sfidato la stella francese Amélie Mauresmo su un campetto allestito ad hoc all’ombra dell’anfiteatro. Un’esperienza che Flavia non ha mai dimenticato: «Sono felice di avere avuto la possibilità di giocare in un’atmosfera assolutamente magica. Non è stato facile concentrarmi sulla palla in quel meraviglioso scenario che mi circondava! È stato come vivere in un film».

Una delle protagoniste assolute della prima Federation Cup della storia vinta dall’Italia ha deciso di raccontarsi a Spqr Sport, svelando retroscena e segreti

F

lavia è estroversa, simpatica e schietta. Giramondo come tutti gli sportivi, quando parla si avverte una lieve sonorità pugliese – è nata a Brindisi (ma ormai romana di adozione. Lo scorso anno ha anche giocato per il Tc Parioli in A1) – ma anche iberica, per via degli anni passati in Spagna. Anni importanti della sua vita, quando scherzava con Nadal ed era la fidanzata ufficiale del bellissimo top ten Carlos Moya. La storia finì, ma lei ne è uscita a testa alta affinando le unghie da agonista e sfoderando una qualità tennistica molto migliorata. Entra ad agosto del 2009 fra le migliori dieci al mondo. Le mancano ancora i picchi raggiunti dalla collega milanese e certificati dal bottino di uno Slam, ma se lo merita certamente per impegno e dedizione e perché al tennis italiano lei ci ha sempre creduto. Flavia, cosa rappresenta per te la Fed Cup? «Tutte noi ci teniamo molto a questa squadra di Fed Cup. In questi ultimi quattro anni ci siamo unite molto, di conseguenza giochiamo bene quando si tratta di difendere i colori della maglia azzurra. Magari non siamo le più forti giocatrici del mondo ma messe insieme siamo una squadra forte. Far parte della squadra nazionale per noi è un grande orgoglio! Gli obiettivi per questa finale contro gli Usa sono gli stessi dell’anno scorso… Non diciamo niente ma sai cosa intendo… (ride). Scenderemo in campo e faremo del nostro meglio, come sempre. La nostra fortuna è che oltre ad essere compagne di squadra siamo anche molto amiche e questo ci da una forza in più. Speriamo davvero bene…». Un commento sulla vittoria di Francesca Schiavone al Roland Garros. «Bellissima partita! Grande vittoria! Sono molto contenta per lei». Tu sei una delle atlete di punta del

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tennis italiano. C ome ti trovi in un questo ruolo? «Sicuramente avere una posizione privilegiata nel tennis italiano femminile mi piace. Inoltre, penso che magari al termine della carriera potrei aiutare i più giovani a diventare dei giocatori professionisti. E comunque, alla vigilia di una gara importante, quando magari si parla di me, non mi importa molto di quelli che si aspettano gli altri. Più che altro penso molto a quello che io aspetto da me stessa e a quello che devo fare: migliorare o lavorare su un determinato aspetto del gioco. Gli altri si possono aspettare tantissimo ma non sanno mai come sto, come vanno le cose. Quindi per me è molto più importante il mio feeling, le mie aspettative». Da tempo vivi e ti alleni all’estero. Una scelta professionale o personale? «Attualmente mi alleno a Verbier, in Svizzera. Lasciare l’Italia è stata una scelta dovuta a più di una motivazione, e comunque in Italia non c’era nessuno che mi potesse seguire nella maniera che volevo, o meglio, gli allenatori mi-

gliori per me erano tutti presi. Ho trovato Gabriel Urpico con il quale lavoro da sei anni, e con il quale abbiamo iniziato a lavorare in Spagna, mentre ora ci dividiamo tra la Svizzera, dove io vivo, e la Spagna, dove lui vive. Cerchiamo di alternarci un pochino tutte e due per stare un po’ di più a casa». Ogni tanto però vieni anche a Roma…. «Ho vissuto a Roma per tre anni. Girando così tanto il mondo ci si rende che come l’Italia non c’è nessun Paese. A me fa sempre piacere tornare e Roma, ho tanti amici, è una città bellissima e mi trovo veramente bene quando ci torno. Purtroppo ci torno poco però». Ti è piaciuto il nuovo stadio centrale? «Si, veramente bello». Rafa Nadal in un’intervista che ci ha rilasciato agli Internazionali ha detto che siete amici… «Si, lo siamo. Io e lui ci conosciamo da ormai tanti anni. Ci siamo allenati anche un paio d’anni insieme, nel senso che il suo preparatore fisico lavorava anche con il mio preparatore fisico, e in più è molto amico del mio ex ragazzo. Lo ricordo molto piccolo, Rafa, avrà avuto 19 e 20 anni, quando ci siamo conosciuti. E comunque siamo rimasti molto legati».

Come è cambiato il tennis femminile, negli ultimi anni? «È cambiato tanto perché prima c’era il dominio assoluto delle prime dieci del mondo, che non perdevano quasi mai o arrivavano quasi sempre alla fine dei tornei. Adesso il livello delle giocatrici di dietro, quelle che vanno dalla classifica 20 in su, si è molto alzato e di conseguenza si è livellato molto il livello. Vedi giocatrici numero due, tre o quattro del mondo che possono perdere anche dalla numero 30 e 40 del mondo. Questo penso che sia positivo perché c’è un pò più interesse: non c’è più la routine, non è sempre la stessa cosa e questo è una cosa che al pubblico può piacere». Quali sono, fra le tenniste, le italiane più grandi, secondo te? «Sicuramente, senza andare troppo indietro nel tempo, Raffaella Reggi, Sandra Cecchini e Silvia Farina, tre atlete che hanno marcato gli Anni’90. Poi, sia per gioco che per stile Lea Pericoli non verrà mai superata da nessuna… e poi ci siamo Francesca ed io!». E i giocatori e le giocatrici più simpatiche del circuito? «A parte le italiane, sicuramente le spagnole e le argentine, molto più simpatiche delle altre». La squadra italiana maschile ha fallito il play off in Davis. Tante erano le aspettive e le speranze. Per l’occasione, la Coppa Davis era tornata sulle


UNA COPPIA DA RECORD Flavia Pennetta e Francesca Schiavone (nella foto a destra ospiti in uno dei salotti televisivi più seguiti dal paese, quello del Chiambretti Night tra tennis e battute piccandi come nello stile del presentatore Piero Chiambretti) rappresentano il tennis italiano che vince. La Schiavone ha anche conquistato l’ultima edizione del Roland Garros, prima italiana di sempre. Francesca gareggia per il Tennis Viterbo. Nella foto in basso la Pennetta festeggia, con un “gavettone” insieme con la Schiavone.

reti televisive in chiaro. «Sono stati sfortunati. Meritavano di vincere! Seguo tutte le loro partite, agitatissima ma anche felice per le loro vittorie e anche per il Capitano (ndr Barazzutti, lo stesso della Fed Cup) perché se lo merita. È una squadra che si è attirata sempre molte critiche, non avendo fatto quel passo in avanti che tutti si aspettano e vorrebbero che facessero. Invece hanno dimostrato più volte che ci tengono alla maglia azzurra. Si sono impegnati e se non sono arrivati alla serie A in questi anni è perché han-

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no avuto anche un po’ di sfortuna nei sorteggi». Le cose più importanti per Flavia oggi? «Sicuramente il tennis rimane la priorità, ma nel mio cuore c’è sempre la mia famiglia e le mie amicizie. Le prime soprattutto, che sono quelle che poi rimangono di più, e che ci sono sempre in tutti i momenti. Io sono molto legata alla mia terra a quelle che sono le mie origini, di conseguenza per me loro sono una cosa importantissima».

Flavia persona. Tu e l’amore… «Per il momento non sono fidanzata e va bene così. Avere una relazione quando sei sempre in giro per il mondo senza rimanere per più di 7-8 giorni in un posto non è semplice… Però l’amore sarà al primo posto quando smetterò di giocare, vorrei avere dei bambini e una bella famiglia!». Quale animale ti potrebbe rappresentare? «Una pantera …. Silenziosa e veloce, che quando meno te l’aspetti attacca!».


SS05_Calcio dilettantistico:Layout 1

25-10-2010

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2 campi di calcio a 11 1 campo di calcio a 8 3 campi di calcio a 5

CAMPI

IL CALCIO DILETTANTISTICO

Sede: Via del Baiardo, 25 00191 Roma Tel: 06.3330083 Fax: 06.33213055 E-Mail: info@tordiquinto.it

U.S.D.

MAGLIA

TOR DI QUINTO La Rinascita Tor di Quinto, primo nome della U.S.D. Tor di Quinto, nasce nel 1946 su iniziativa della sezione rionale del Partito Comunista Italiano. Dopo i primi anni di sacrifici, la società decide di acquisire la sede attuale, allora gigantesco appezzamento di terreno adibito a discarica abusiva. Dopo un duro lavoro di riqualificazione, alla quale tutto il quartiere di Tor di Quinto aderisce con uomini e mezzi, via del Baiardo diviene la sede definitiva.

S

i scrive Unione Sportiva Tor di Quinto, si legge tradizione. La società dilettantistica romana, vera e propria creatura del patron Massimo Testa, che l’ha fatta crescere e imporre nella realtà calcistica giovanile nazionale, muove i suoi passi fedele negli anni a una filosofia che è il marchio distintivo dei colori rossoblu. Un sodalizio vincente non si improvvisa. Proprio per questo, da oltre un ventennio, la presidenza detta le strategie e gli altri eseguono: grande senso di appartenenza al club, rifiuto della zona come schema tattico e precedenza al lavoro con i giovani. Questa è l'alchimia con cui il Tor di Quinto è riuscita a fregiarsi di ben 5 tricolori Juniores e oltre 20 titoli regionali, compresi anche Giovanissimi e Allievi. Un rullo compressore che ogni stagione riesce a festeggiare un primato e lanciare diverse promesse nel calcio professionistico. “I successi del Tor di Quinto – afferma Testa – sono figli del lavoro e della programmazione; riuscire a giocare sempre

XXX A livello iconografico la società di via del Baiardo ha sintetizzato al meglio la filosofia che la contraddistingue, riportando nel simbolo tutti insieme la torre, i colori rossoblu, un pallone antico (di quelli cuciti a mano) e un campo di calcio stilizzato.

ad altissimi livelli è possibile solo rafforzando idee e confermando gli uomini chiave anno dopo anno”. Traguardi importanti resi possibili con la forza del gruppo: “Ci affidiamo agli stessi dirigenti e allenatori qualificati da diverse stagioni e soprattutto abbiamo instaurato con le istituzioni, che ci sono sempre state vicine, un rapporto di schietta e proficua collaborazione”. Una seconda famiglia, quella rossoblu, che, grazie alla sua unità d'intenti, rende merito a quanti credono e continuano a credere in questo affascinante progetto nato nel secondo dopoguerra: “Siamo un corpo solo e il fatto di remare tutti dalla stessa parte, rinvigorendo giorno dopo giorno un forte senso di appartenenza al Tor di Quinto, ci ha permesso di preservare il club da ingerenze esterne che nel calcio sono sempre in agguato”. L'organizzazione societaria è solida. Il direttore generale Giovanni Spallucci (che al termine della finale tricolore Juniores dello scorso giugno si è lasciato scappare, riferendosi alla dimestichezza dei rossoblu con la vittoria: “dovremmo diLE SOCIETÀ CAPITOLINE | 68

ventare oggetto di studio”) e il direttore sportivo Giampiero Guarracino (guru silenzioso delle strategie organizzative di tutte le squadre) affiancano il patron nelle scelte che gli competono. Sul campo nulla è lasciato al caso, dall'opera di scouting alla crescita dei talenti, ma un debole in particolare Testa ce l'ha ed è la categoria Juniores: “Da sempre sono convinto che sia una gran bella sfida lavorare con questi ragazzi perché è più difficile insegnare calcio e motivare giovani dai 17 ai 19 anni, distratti da tante altre cose. Il segreto del nostro lavoro credo sia la gestione del gruppo. Dopo 6 anni di società, infatti, i ragazzi respirano l'aria del club quasi più dei dirigenti e probabilmente mettono a frutto gli insegnamenti ricevuti nelle altre categorie”. Protagonista in panchina dei trionfi recenti del Tor di Quinto Juniores è mister Paolo Testa, una vita in società, non solo per questioni di sangue (è il figlio di Massimo, Ndr): “Ogni successo ci emoziona e ci rende felici allo stesso modo di


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25-10-2010

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OGNI NUMERO ALLA SCOPERTA DI UNA SOCIETÀ CAPITOLINA PER CONOSCERE UN MONDO FATTO DI LAVORO E PASSIONE

LE FORMAZIONI

LA PRIMA SQUADRA

I PIÙ GIOVANI

NOMI ILLUSTRI

Il vivaio del Tor di Quinto è una fucina di campioni che sforna calciatori con una continuità impressionante. I più famosi che hanno vestito la gloriosa casacca della società di via del Baiardo sono sicuramente Marco Materazzi, Lamberto Zauli e le due glorie romaniste Stefano Desideri e Tonino Tempestilli. L'interista ha giocato con il team rossoblu nel periodo in cui il padre allenava la Lazio

quello precedente, certo è che quando riusciamo, come è il caso del gruppo laureatosi campione nel 2009, a crescere insieme con gli stessi ragazzi dai Giovanissimi Regionali allo Scudetto della Juniores, la vittoria ha un sapore più intenso”. È nello spogliatoio che il “condottiero” Paolo ha forgiato i gruppi vincenti del 2009 e del 2010. È sempre nello spogliatoio che il Tor di Quinto ha vinto la sua scommessa più bella, unendo i suoi ragazzi per prima cosa nel vincolo dell'amicizia. E poi se il campo ti dà ragione, meglio ancora: la “storia siamo noi” cantano i calciatori rossoblu, in

e si è imposto al grande pubblico vincendo uno scudetto Juniores proprio con il Tor di Quinto, prima di spiccare il volo e affermarsi con il Perugia. Zauli, dopo la gavetta a Roma, si fa notare nel Modena e nel Ravenna, prima di scrivere una delle pagine più belle del calcio italiano con il Vicenza, eliminato dal Chelsea in semifinale nella Coppa delle Coppe della stagione 97/98. Il filo sottile tra Tor di Quinto e Trigoria unisce anche il percorso professionale-agonistico di Desideri e Tempestilli, protagonisti entrambi dei ruggenti anni ’80 giallorossi. Ma il sodalizio rossoblu di via del Baiardo non ha sfornato solo calciatori famosi: ha lanciato anche figure professionali di altissimo spessore, che non hanno più nulla a che fare con il calcio giocato. È il caso, per esempio, di Luca Palamara, presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, e dell'attore Pietro Sermonti, reso famoso dal ruolo interpretato ne “Il medico in famiglia”.

pochi possono dargli torto. Riavvolgendo il film degli ultimi campionati, le vicende sportive del Tor di Quinto si intrecciano alla perfezione con la crescita del movimento laziale, soprattutto per quel che concerne la competitività delle formazioni giovanili nel resto d'Italia. La società rossoblu è la punta di un iceberg che ha altre frecce in faretra, eppure ciò di sui si è reso protagonista il Tor di Quinto negli ultimi due lustri è davvero stupefacente sia per continuità, sia per qualità delle prestazioni.

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STAFF Presidente: P. Testa Direttore generale: G. Spallucci Direttore sportivo: G. Guarracino Segretario generale: M. Maragliulo

1 squadra in Promozione 9 squadre di Settore Giovanile e Scolastico 200 bambini di scuola calcio

CATEGORIE 5 volte campione d'Italia Juniores (90-91, 92-93, 05-06, 08-09, 09-10), 10 titoli regionali

PALMARES

I TIFOSI


THE FREESTYLER, DI CASA NOSTRA di Federico PASQUALI foto Bruno-Getty

L

a passione per il calcio è nel dna di tutti i romani. Ma, come per altri giochi, la partitella sull’asfalto sotto casa non si fa più a Roma. E nemmeno quella nei campetti di terra o nei prati, dove con due bastoni si facevano le porte e si giocava sette contro otto, cinque contro sette e le squadre si facevano all’istante. Una volta il calcio dei ragazzini era davvero uno street sport, oggi se non si iscrivono a una scuola calcio è difficile vederli giocare in giro per la città. Da una quindicina di anni però, a Roma e in Italia sta prendendo piede una disciplina da strada legata al calcio che nei Paesi sudamericani è quasi più gettonata del calcio stesso. È il Freestyle soccer, evoluzione creativa del calcio con la sostanziale differenza che si pratica per strada. Ai semafori, nelle piazze, sui marciapiedi, ovunque ci sia un piccolo spazio libero, basta un pallone e un paio di scarpe da calcetto e lo spettacolo è garantito. I freestylers, come si chiamano i praticanti, sono per lo più giovani, perché è una disciplina nella quale la velocità nei movimenti è fondamentale: anche una frazione di secondo di ritardo determina la riuscita o meno di un trick, ovvero di un’evoluzione con la palla. Nel freestyle soccer non ci sono limiti, ognuno è libero di esprimersi come meglio crede, può sfoggiare il proprio stile e mostrare al pubblico ciò che ha dentro. Una sorta di forma d’arte corporea con il pallone come elemento principale, come testimoniata da celebri fenomeni del calcio che più d’una volta l’hanno praticato davanti alle telecamere. Maradona fu il primo e rimane, ovviamente, il più celebre: ma adepti famosi sono anche Ronaldinho, Cristia-


spq ort E a Roma dove lo praticate? «Ci alleniamo nel parcheggio dello Stadio Flaminio tutti i giorni o quasi. Poi lo pratichiamo in molti posti. Dai semafori delle vie più grandi allo spartitraffico di Piazzale Flaminio, e a via del Corso, dove nel week end facciamo gli street show e il basking».

no Ronaldo, Kakà, Messi e persino Cassano. Autentici giocolieri coi piedi, poeti del palleggio. Scendendo dalle stelle e atterrando sulla strada, a Roma il soccer freestyle ha un nome e cognome: Antonio Colella. Ventidue anni, un passato nel calcio, un presente da primo della classe nel freestyle. È lui che per primo ha iniziato a diffondere la disciplina nella capitale. E a lui chiediamo lumi su questo street sport. Dove nasce il soccer freestyle? «In realtà non si sa di preciso dove sia nato, anche perché è sempre esistito. Ovunque nel mondo da ragazzini si gioca per strada esibendo le proprie doti acrobatiche, soprattutto in Sudamerica. Diciamo che la codificazione dei trick eseguiti a ritmo di musica è avvenuta grazie ai pubblicitari che, sfruttando la popolarità dei video di Maradona che palleggiava come un alieno, hanno intuito la forza mediatica proponendo a altri calciatori famosi di girare spot con loro che effettuavano evoluzioni da fantascienza». Dove si pratica? «Principalmente nelle strade, da qualche anno però anche nei centri commerciali, agli eventi di piazza, alle inaugurazioni di negozi e anche prima delle partite del campionato di calcio per dare spettacolo». Perché si inizia a fare freestyle? «Generalmente chi lo pratica è un ex calciatore, ma non un professionista. Chi gioca a calcio per passione si accorge presto che gli allenatori di oggi puntano molto sull’aspetto fisico e tattico e poco sulla tecnica, quindi se ti senti un leone in gabbia perché dotato tecnicamente e pieno di fantasia, ti annoi e molli. Ti fanno passare la voglia di giocare, quindi pensi di sfruttare le tue doti in altro modo e inizi a palleggiare come un funambolo. Io, così co-

me molti altri, ho iniziato per queste ragioni dopo undici anni di calcio giocato». È un m ovimento in espansione? «A Roma sono stato il primo ad iniziare, quattro anni fa e all’epoca in Italia saremmo stati una quindicina. Oggi siamo circa un centinaio in tutta la Penisola, quindi in espansione ma sempre un fenomeno di nicchia. Credo però che nel giro di pochi anni in molti inizieranno a praticarlo, perché il calcio annoia sempre di più soprattutto i ragazzi dai diciotto anni in poi». Chi si avvicina al freestyle? «Ragazzi dai 15 ai 30 anni al massimo e da poco tempo anche le ragazze. Solo i giovani possono praticarlo perché è basato su movimenti rapidissimi, fondamentali per eseguire i trick. Certo, con molto impegno tutti potrebbero farlo, ma per ottenere risultati ci vuole tempo». Cos’è di preciso questo street sport? «Un qualcosa che si avvicina al calcio ma con un approccio diverso. Diciamo che è la parte pura e spettacolare di questa disciplina, quindi potrebbe essere un ottimo allenamento per i ragazzi che giocano nei club dilettantistici perché consente di migliorare il controllo del pallone e favorisce lo sviluppo della tecnica. Ma soprattutto è un passatempo divertente: in fin dei conti sei tu e la palla, con la quale devi esprimere ciò che hai dentro». Si pratica da soli o in gruppo? «In genere si pratica insieme con altri perché ci sono dei movimenti di gruppo che fanno più spettacolo. Io ad esempio sono fondatore del gruppo Fast Foot, siamo un quartetto, tre uomini e una donna, che si esibisce per strada e anche in giro per l’Italia in eventi nazionali e internazionali».

FREESTYLER | 77

Il basking? «Si, è una cultura del soccer freestyle fare basking, ovvero raccogliere soldi dai passanti che si godono lo spettacolo. Soldi che non utilizziamo per vivere, sia chiaro, ma per comprare magliette con il nostro logo e le attrezzature per praticare il freestyle. Io, come i miei compagni, lavoro nella vita: questo lo faccio per passione». I passanti vi prendono per pazzi? «No, assolutamente. La domanda ricorrente è: ma sai giocare a calcio? Poi rimangono incantati a guardarci e si divertono tutti anche perché la nostra filosofia è quella del coinvolgimento». In che senso? «Nel senso che non facciamo solo trick tra noi, ma chiamiamo il pubblico a partecipare e gli facciamo passare il pallone da tutte le parti facendolo rimanere di stucco». Quali sono gli attrezzi del mestiere? «Un pallone normale da calcio ma termosaldato, perché più leggero e leggermente sgonfio perché è più facile controllarlo. Poi scarpe da calcetto con suola per l’indoor, una tuta e una t-shirt, o anche jeans e camicia: ognuno si veste come vuole, è uno stile libero e da strada quindi…». Per diventa re un bravo freestyler? «Tanto allenamento e passione». Quanto vi allenate? «All’inizio, quando dovevamo imparare bene ci allenavamo quattro ore al giorno per quattro volte alla settimana. Ora invece ci alleniamo un po’ meno, perché giriamo parecchio per gli show». Per imparare basta iniziare o si possono prendere lezioni? «Ancora non ci sono scuole, ma io sto avviando la pratica per aprire la prima scuola di soccer freestyle in Italia. A breve partiranno i corsi e sono convinto che molti ragazzi e ragazze si iscriveranno».


Continua il nostro viaggio nelle strutture sportive di Roma. Dopo il servizio sul Water Ski Complex, in questo numero la nuova pista del ghiaccio di Piazza Mancini

Ad ottobre è stato inaugurata la nuova pista del ghiaccio di piazza Mancini: uno spiraglio di luce per tutti coloro che sperano nella crescita del pattinaggio su ghiaccio nella Capitale

Il ghiaccio

Il nodo della temperatura interna

Il ghiaccio ha uno spessore di 6 cm, ed è mantenuto costantemente a temperatura (8/-10°) da un impianto di raffreddamento al cui interno scorre una miscela composta da acqua e liquido anti-congelante. Come manutenzione viene mantenuta piana la superficie attraverso una macchina levigatrice che, periodicamente, passa sul ghiaccio stendendo acqua ed eliminando quei residui di neve che si possono formare dopo salti e piroette.

Per il mantenimento della temperatura interna (20-24°) senza eccessivo spreco energetico, è stato pensato un utilizzo della tensostruttura a doppio strato per rivestire tutto il palaghiaccio, contenente dell’aria che funge da isolante termico. Poi nella porzione a sud, particolarmente interessata dall’irraggiamento solare, è stata installata una doppia parete con all’interno dell’alluminio.

Le misure

La posizion

La superficie della pista è di 28x56 metri quadri, delimitata da una balaustra che funge da recinto perimetrale.

Si trova sul lun un’area interes riqualificazione del Foro Italico

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La mascotte Un pinguino di nome “Axel” sarà la mascotte del palaghiaccio: il nome, come sanno bene gli esperti di pattinaggio su ghiaccio, è quello di uno dei più spettacolari salti del pattinaggio artistico.

Stadium boards a led I due Stadium Boards a led 6X1 con animazione grafica computerizzata possono comunicare al pubblico in pista informazioni in tempo reale

ne dell’impianto

gotevere di fronte allo Stadio Olimpico in ssata da importanti interventi di e urbanistica: in Piazza Mancini, alle porte

di Silvia CHIERUZZI

A

lle porte del Foro Italico è nato un impianto sportivo dedicato al pattinaggio su ghiaccio, sport olimpico poco praticato nella capitale. Dal 10 ottobre, i romani potranno mettere i pattini ai piedi e sfogare la propria passione per il pattinaggio nel cuore di Roma. Questa nuova struttura d’eccellenza colmerà una mancanza della città, offrendo la possibilità anche a chi non ha mai indossato i pattini con le lame di provare a volare sul ghiaccio. «La posizione strategica di questo nuovo impianto per il pattinaggio – dice Raffaella Vignali, direttore organizzativo del centro sportivo – contribuirà a dare il giusto valore e considerazione a questo sport a Roma, e ovviamente favorirà lo sviluppo della pratica dello stesso. Uno dei punti forza di questo impianto è proprio la sua ubicazione: a piazza Mancini, in un’area interessata da riqualificazione urbana e ben collegata dai trasporti, a due passi dal Foro Italico e dagli impianti sportivi dell’Acqua Acetosa». Che tipo di impianto sarà? «Uno spazio tematico con una serie di servizi e attività collaterali che consentiranno di viverlo non solo agli sportivi. Ci sono un bar, un ristorante ed un negozio di gad-


STRUTTURE

AXEL, la pista del ghiaccio della capitale get e abbigliamento tecnico, pensati per coloro che, anche non volendo pattinare, desiderino passare un pomeriggio con tutta la famiglia all’insegna dello svago e del divertimento fra musica, luci e colori. L’area sarà inoltre location di numerosi eventi, che vedranno anche l’arte contemporanea come protagonista». Entriamo nei dettagli tecnici. Per capire cos’è una pista di pattinaggio è essenziale sapere come viene realizzata. Una pista su ghiac-

cio regolamentare come questa dell’impianto di piazza Mancini, ovvero adeguata allo svolgimento di gare nazionali e internazionali, si estende su una superficie di 28x56 metri quadri, delimitata da una balaustra che funge da recinto perimetrale. Il ghiaccio ha uno spessore di 6 centimetri, ed è mantenuto costantemente a temperatura da un impianto di raffreddamento. Sotto il ghiaccio una serie di tubazioni, o meglio serpentine, sono collegate tra di loro e, al loro interno, scorre una mi-

scela composta da acqua e liquido anticongelante, chiamato glicole. Queste condotte sono a loro volta collegate all’impianto di raffreddamento vero e proprio. Una pompa fa circolare continuamente la miscela mentre un serbatoio espelle tutta l’aria che potrebbe rimanere bloccata nel circuito; l’impianto di raffreddamento consente, così, di abbassare poco a poco la temperatura del liquido, che raggiunge -8 /10 gradi. Il ghiaccio si ottiene poi dopo circa 82 ore distribuendo acqua ad in-

DAL PROGETTO ALLA REALIZZAZIONE La pista, come immaginata dai progettisti

L’area ristoro

Nel rendering, l’ingresso della struttura

xxxx

Il lavoro sullo scheletro esterno della struttura Tre momenti dell’Inaugurazione: gli spettatori presenti, il Sindaco Alemanno “rompe” il ghiaccio osservato dai consiglieri del Municipio Marco Perina Assessore allo Sport del XX Municipio e l’Assessore allo Sport del II Municipio, Gloria Pasquali. La terza foto mostra come la festa abbia reso felici tanti bambini.


tervalli regolari Costruire un impianto del genere non è questione di poco conto, spiega il progettista dello stesso impianto, l’architetto Nurchis. «La più grande difficoltà riscontrata – spiega il progettista - è stata proprio nella natura particolare del progetto, che per grandezza e varietà prevedeva una distribuzione interna complessa che è stata, comunque, risolta. Uno dei principali problemi che ci siamo posti è stato come fronteggiare il dispendio energetico della struttura stessa. A tal proposito, abbiamo adottato delle strategie efficaci come l’utilizzo della tensostruttura a doppio strato per rivestire tutto il palaghiaccio, contenente dell’aria che funge da isolante termico. Poi nella porzione a sud, particolarmente interessata dall’irraggiamento solare, è stata installata una doppia parete con all’interno dell’alluminio. Probabilmente, durante il periodo estivo, per fronteggiare i

costi elevati dovuti all’aumento della temperatura, il ghiaccio verrà rimosso e la struttura sarà utilizzata per altre attività, sportive e non». “L’idea di realizzare una pista del ghiaccio l’avevamo da tanti anni. Roma aveva bisogno di un investimento di questo tipo, di un luogo di aggregazione, di un punto d’incontro in una zona peraltro strategica della città ad un passo dal Parco del Foro Italico, centro nevralgico dello sport capitolino. Rivalutando anche la zona di Piazza Mancini” : spiega Guido Tommasi, ideatore e responsabile del progetto. “Corsi stagionali si terranno all’interno della struttura per principianti fino al livello agonistico: è forte il senso sociale e aggregativo dell’iniziativa ma sogniamo che finalmente la nostra città possa un giorno far nascere una nuova Carolina Kostner”. La pista sarà aperta tutti i giorni dalle 9 del mattino alle 11 della sera, con turni di pattinaggio di due ore ciascuno. Passiamo alla parte prettamente sportiva. Innanzitutto all’interno della strut-

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tura ci sarà un negozio interamente dedicato al pattinaggio su ghiaccio, dove neofiti e agonisti potranno acquistare l’attrezzatura necessaria dei migliori marchi. Uno shop monotematico che a Roma mancava. La gestione sportiva del nuovo palaghiaccio sarà curata dall’associazione sportiva dilettantistica Axel Roma, che organizzerà corsi di pattinaggio su ghiaccio aperti a tutti coloro che vogliono avvicinarsi alla disciplina, indipendentemente dalla bravura e dall’età. «Il nostro lavoro – dice il presidente della società sportiva Mario Pelagalli si svilupperà lungo due direzioni: la prima è quella di creare un punto di ritrovo per i giovani; la seconda è quella di divenire la società d’èlite della Capitale e del sud Italia, ampliando la conoscenza di questo sport e promuovendo la crescita degli atleti. Per questo stiamo anche sviluppando degli accordi con gli istituti scolastici di Roma nord finalizzati a delle visite guidate, per cercare di avvicinare a questo sport quanti più ragazzi possibile». Convinto delle potenzialità promozionali di questo impianto è il presidente del Comitato FISG Lazio, Nando Buonomini: «Questa nuova struttura – chiosa il presidente - darà un nuovo impulso ad un movimento in continua crescita nel Lazio e nel centro-sud Italia. Tuttavia, questo impulso non può rimanere solo in mano all’iniziativa di privati, ma occorre che anche nel Lazio l’iniziativa pubblica se ne faccia portatore. Il sogno di tutti gli appassionati è quello di vedere nascere a Roma un palazzo del ghiaccio a conduzione pubblica polivalente, dove tutte le cinque discipline federali possano essere praticate ad alti livelli».


E

ra un pomeriggio di ottobre del 1983. Tirava vento. E il vento ne alzava di polvere, in quello sterminato campo di calcio in pozzolana dell’Ostia Mare. E faceva anche freddo e le nostre gambette che spuntavano dai pantaloncini erano ghiacciate. Eravamo tutti lì. In fila sulla riga di gesso del centrocampo. Tutti lì ancora una volta con i nostri sogni di diventare campioni di calcio. Campioni come Falcao e Bruno Conti oppure come Bruno Giordano e Vincenzo D’Amico. Eravamo lì e già sognavamo di far gol, di correre sotto la curva, di alzare una coppa al cielo. Arrivarono gli allenatori e ci divisero prima per anni e poi per semestri. Noi, con i nostri dodici anni, eravamo quelli del Settantuno primo. Una ventina di ragazzi. Qualcuno già sviluppato ci mangiava in testa

di Davide DESARIO come Riccardo. Altri avevano una stazza possente. Io e Massimo no. Eravamo piccoletti. Forse per quello ci misero vicini in fila. E rimanemmo vicini un anno intero. Massimo era un pischello simpatico, spregiudicato, un po’ svogliato negli allenamenti e un po’ strafottente. Come me non era proprio una promessa del calcio: lui voleva fare l’attaccante, io già avevo capito che il mio spazio era in difesa. Sapevamo giocare bene ma non eravamo dei campioncini. Insomma il posto in prima squadra potevamo anche guadagnarcelo. Peccato che sia mio padre che il suo non erano mai presenti agli allenamenti e non facevano pressioni sul mister. E così tra quelli più bravi di noi e quelli più raccoRACCONTI | 76

mandati, io e Massimo finivamo spesso in panchina. Io la prendevo abbastanza bene, lui molto meno. Si incazzava perché erano titolari quelli del nostro livello solo perché il padre, attaccato alla rete, urlava come un pittbull: «Ao’, devi da fa’ giocà er mi fijo». Me lo ricordo bene Massimo. Aveva i denti guasti: «Da piccolo mi hanno dato una medicina sbagliata e me li ha rovinati - mi confidò in panchina - ma quando divento grande e ricco me li rifaccio belli come quelli della pubblicità» . La cosa che mi piaceva di Massimo era che parlava sempre del futuro, sognava a occhi aperti. Si faceva dei film incredibili nella testa e li sapeva raccontare così bene che sembravano già vissuti. E ogni sogno e ogni desiderio, che fosse un gol da antologia, una fidanzata da spupazzarsi, una macchina cabriolet con la quale correre sul lungoma-


Quei ragazzi cresciuti tra Pasolini e la Banda della Magliana. E sul campo dell’Ostiamare si consuma una delle storie del libro riprodotte in queste pagine. Un linguaccio crudo, essenziale: per ritornare indietro negli anni sulle strade degli anni ‘80... re, lo concludeva sempre alla stessa maniera: «Se vuole il cielo». La nostra era una amicizia particolare perché solo nostra. Nel senso che non era condivisa con niente e nessuno. Io e lui e basta. Mia madre non sapeva chi fosse lui, la sua non sapeva chi fossi io. Nessuna delle due d’altronde ci accompagnava agli allenamenti. Ogni martedì e giovedì pomeriggio andavamo e tornavamo da soli con le nostre borse con scarpini e accappatoio che ci facevano sentire grandi. Io arrivavo con l’autobus, lo 05 barrato. Lui, che abitava più vicino al campo, in via Adolfo Gregoretti, arrivava a piedi: gli bastava fare l’ultimo cavalcavia ed era già lì. Andavamo in scuole diverse: io alla scuola Media Stella Polare, lui con alterni risultati alla Caio Duilio. Molte cose ci univano. Come la squadra del cuore. Massimo era lazialissimo. Come me. Lui però tutte le volte che la Lazio giocava in casa andava allo stadio. E poi il martedì mi raccontava tutto. Ma proprio tutto. Una sintesi perfetta che riusciva a farmi vivere gli odori, i colori, gli stati d’animo e le urla della gente e quelle del venditore di aranciata, birra, Coca e caffè Borghetti. Me la raccontava mentre nello spogliatoio ci preparavamo per gli allenamenti: la stessa maglietta viola dell’Ostia Mare col colletto a V bianco, io gli scarpini della Diadora, lui la Pantofola d’Oro. Eravamo gli ultimi a entrare in campo. Anzi lui era l’ultimo perché prima di uscire doveva sempre fare la pipì e perdeva altro tempo. Negli spogliatoi io e Massimo ci facevamo rispettare forse meglio che in campo. Eravamo i campioni delle pisellate: nudi e in piedi sul lettino del massaggiatore ci si prendeva a pisellate come campioni di scherma in pedana. Chi cadeva aveva perso. E noi non cadevamo mai, tanto che il custode dei campi, un omone alto con i capelli lunghi e gli occhiali, ci aveva soprannominato i Campioni del cazzo. Era una bella amicizia la nostra perché eravamo contenti l’uno dei successi dell’altro. Se il mister lo chiamava per riscaldarsi ed entrare a sostituire qualcuno io lo incitavo come il secondo fa con il campione di boxe. Quando io feci il mio unico gol ufficiale di quell’anno al termine di una

STORIE BASTARDE di Davide DESARIO AVAGLIANO EDITORE - 180 pag. 15 Euro Tra Pasolini e la Banda della Magliana il racconto dell’infanzia in periferia: risse e sfide, con la voglia di diventare grandi.

L’autore

furibonda mischia in area il primo ad abbracciarmi fu proprio Massimo, che mi corse incontro dalla panchina e mi travolse come Dino, il dinosauro del cartone animato i Flinstones. Certo non era facile stare in panchina. A quell’età è una scelta dura da accettare. E noi ci riuscivamo solo perché c’era l’altro accanto. Alla fine di ogni allenamento tornavamo insieme. Spesso cantando Baglioni: a lui piaceva tanto e io conoscevo i testi perché piaceva tanto a mia sorella. Lui mi accompagnava fino alla fermata del bus e aspettava l’arrivo del mio pullman. Io salivo e poi lo salutavo con la mano dal vetro posteriore mentre lui si incamminava verso casa. Una volta mi salvò da un cane inferocito tirandogli una breccola che lo colpì in pieno muso. Una volta lo salvai io da un gruppetto di ragazzini stronzi che volevano fregargli la borsa. Entrambi, uno di quei pomeriggi, salvammo una vecchietta da uno scippo in via delle Fiamme Gialle: due tossici in sella a una Vespa le avevano preso la borsetta ma lei non mollava. Noi, con l’incoscienza dei nostri anni, le corremmo incontro e prendemmo a pugni il braccio del tossico finché non mollò la presa. La vecchietta ci ringraziò mentre un finanziere ci voleva portare dentro la caserma per fare il verbale e noi scappammo per paura di chissà cosa. Alla fine di quell’inverno (ormai era il 1984) io finivo anche le scuole medie. L’anno successivo sarei dovuto andare al liceo e i miei mi avevano già detto che avrei dovuto smettere di allenarmi perché co-

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È nato a Roma nel 1971. Laureato in Scienze Politiche. Calcio e musica le sue passioni. Ma soprattutto il giornalismo e la voglia di raccontare la vita. Oggi lavora al quotidiano Il Messaggero dove è caposervizio della Cronaca di Roma. Per le sue inchieste ha ricevuto il riconoscimento speciale al Premio Cronista 2008 organizzato dall’Unione Cronisti Italiani e ha vinto l’Amalfi Coast Media Award (2009). È sposato e ha due figli. Questo è il suo primo libro.

minciavo un ciclo di studi importanti e non potevo distrarmi col pallone. Lo comunicai a Massimo seduto sulla panchina vicino a casa sua. A testa bassa mentre ci passavamo una pigna con i piedi. Lui rispose da vero amico: «Allora me ne vado anch’io». Ma poi, come al solito, partì con uno dei suoi sogni: «Vedrai giocheremo in due squadre diverse, ma poi ci ritroveremo tutti e due nella Lazio». Sorrisi, e lui con i suoi denti rovinati aggiunse ridendo: «Se vuole il cielo naturalmente». Ma per Massimo il cielo volle un’altra cosa. Appena un anno dopo. Il cielo gli mandò improvvisamente un cornicione di marmo dal quinto piano sulla testa che non gli lasciò scampo. Morì in ospedale, qualche ora più tardi. Io lo lessi due giorni dopo quando mio padre al ritorno dall’ufficio portò i giornali a casa. Dell’articolo si accorse a fine serata mia madre che commentava la disgrazia di quel ragazzo che aveva la mia stessa età. Quando vidi l’articolo mi prese un colpo. C’era la foto di Massimo. Riuscii a leggere fino a metà, poi i lacrimoni mi impedirono di continuare. Ricordo che nel titolo c’era scritto Ostia, cornicione killer. Ma io pensai al cielo. Al cielo che non aveva voluto. Per sempre.


i ludi romani

di Giorgio Franchetti Presidente Ass. Culturale “S.P.Q.R.” di Roma Foto: Piero Lancialonga, Elaborazione grafica di Giulia Flamini Location: Parco della Cellulosa

giochi nell’antichità APPROFONDIMENTI E FONTI STORICHE

il volo del disco

Prima della costruzione dello stadio di Domiziano, nell’area del Campo Marzio, presso il Pantheon, sorsero le terme Neroniane, fatte costruire da Nerone nel 62 d.C. e completamente restaurate da Alessandro Severo nel 227. Presso le terme fece realizzare una grande palestra contornata da giardini che, secondo Svetonio, suggerì all’imperatore Domiziano l’idea di costruire un nuovo stadio per abbellire il Campo Marzio e poter far svolgere le gare ginniche e le corse dei cavalli. Nell’86 d.C., l’imperatore Domiziano istituì l’Agon Capitolinus in onore di Giove, con gare che si svolgevano ogni quattro anni, con competizioni ginniche precedute da quelle letterarie e musicali all’uso greco. Il complesso eterogeneo di competizioni includeva, oltre a gare sportive, competizioni di tipo artistico, prevedendo un abbinamento per cui alla corsa a piedi e all’eloquenza succedevano il pugilato e la poesia latina, il lancio del disco e la poesia greca, quindi il lancio del giavellotto e la musica, in una successione competitiva mista in cui alle discipline atletiche si alternavano le dispute culturali. L’Agone, ideato da Domiziano, era segnato, nel programma delle feste della Capitale da un ricco cerimoniale, aperto da un fasto inaugurale segnato dalla presenza dell’imperatore che, per l’occasione, si mostrava.

È

teso il mio braccio che impugna il disco. Lo farò volare verso l’alto, verso il cielo. Oscurerò la famosa bravura di Titvs, nel lancio del giavellotto. Come fossi Hyakinthos, l’eroe che sta per lanciare il disco. Nelle gare precedenti sono riuscito a primeggiare solo nella poesia latina. Mi attende ancora la poesia greca e il pugilato e il disco, ma devo dare il meglio di me in questa prova di lancio. Titvs mi è vicino nei punti e solo un lancio davvero unico del giavellotto e poi del disco potrebbe consegnarmi le chiavi della vittoria finale. Eccolo vicino a me Titvs, con la sua barba incolta e i capelli corti. Figlio di Marcus Velleivs, grandissimo atleta che vinse molte gare anni addietro. C’è la solita folla festante sugli spalti. L’Agon Capitolinvs ogni 4 anni vede i migliori atleti della città darsi convegno per meglio figurare di fronte all’imperatore Domitianvs. Oggi è il quarto giorno e c’è il giavellotto, poi le premiazioni finali. A fianco a me nella corsia dove vengono svolte le gare di lancio del giavellotto c’è Valerivs. Mi guarda di sottecchi perché sa che anche io lo sto osservando. Impugna il suo giavellotto, si concentra, prende la rincorsa, corre, corre forte, lo scaglia in aria. Migliaia di occhi sono puntati verso il cielo, e seguono una saetta scura che vola e disegna una parabola per poi ricadere a terra e conficcarsi nel terreno. C’è un boato. È un bel lancio, è vero. Dopo di lui è il turno di Marcvs. E’ molto conosciuto questo atleta, ha vinto già molte competizioni. Osserva il campo di lancio, come se stesse già decidendo dove lanciare il suo

fulmine. Si concentra in silenzio, immobile. Prende la rincorsa, corre, corre forte, scaglia con forza il suo giavellotto. Ancora una volta il pubblico segue il dardo che vola alto e che supera di poco il punto dove era caduto il lancio di Valerivs. Ancora un boato del pubblico. Dopo tocca a me. Non sono mai stato bravo con il giavellotto. Il gruppo degli atleti mi osserva, qualcuno parlotta di nascosto, ridacchia, coprendosi con la mano. Sono nervoso. Guardo il pubblico. Il pubblico mi guarda. Prendo il mio giavellotto. Mi concentro. Aspetto. Chiudo gli occhi. Li riapro. Corro, corro forte, lancio il

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emozioni senza tempo Quarto giorno dell’Agon Capitolinvs: i migliori atleti della città si sfidano nel lancio del giavellotto e del disco

dardo con tutta la mia «Chiudo gli occhi. il mio massimo… Chi forza. Per una volta mi conosce e mi segue Prendo il mio disco. da ancora il pubblico sesempre lo sa beRuoto. Giro. Lancio ne…» gue il lancio, segue questo fulmine di con un grido e cado «Roma ha quindi in te Iuppiter che vola nel anche in terra nello il suo miglior atleta? cielo dello stadio. Il Gli dei staranno ridensforzo. Il disco vola do mio giavellotto atterdi cuore al pensiera solo un po’ più in là alto. Alto. Alto. Alto. Il ro!» di quello di Valerivs, pubblico lo segue Tutti gli altri atleti rima molto dietro tutti attento, quasi muto» dono, sento un fuoco bruciare dentro di me. gli altri. Ippivs: «Non Tocca adesso a Vibmi pare che tu ti stia bivs, forte atleta veterano. Osserva impegnando poi molto per vincere il campo di gara. Prende il suo giaqueste gare…» vellotto. Prende la rincorsa. Corre. «Ti sbagli Ippivs, sto dando il meglio Corre forte. Scaglia in alto il giaveldi me. Il giavellotto non è mai stato

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IL DISCOBOLO DI MIRONE

lotto che vola, vola di fronte agli occhi di tutti e si pianta in terra oltre il mio. «Che ti dicevo? Solo il vecchio Valerivs ha fatto peggio di te!» «Vecchio a chi?» lo interrompe l’atleta. «Io ho fatto già 4 olimpiadi!». «Appunto…» ridacchia Ippivs. Ora è il turno di Titvs, al lancio. Respira. Chiude gli occhi. Prende la rincorsa. Corre. Corre forte. Scaglia in alto il dardo. Il pubblico lo segue che vola. Vola. Vola. Vola. Cade oltre tutti gli altri giavellotti. Un boato fa quasi tremare la terra sotto i miei piedi. Titvs si sente già vincitore di questa gara, e forse fa bene a farlo. Un lancio davvero unico il suo. Si passa ora al lancio del disco, la mia specialità. Inizierà proprio Ippivs, di Sparta. Prende il disco. Ruota. Gira. Gira. Gira. Lascia andare il disco che gira su se stesso volando alto e cade a metri di distanza.

Non sembra un buon lancio e anche Ippivs lo sa bene, chè passa e sputa in terra davanti a me. Non siamo mai andati molto d’accordo, ammetto. Tocca adesso a Procvlvs. Prende il disco. Ruota. Gira. Gira. Gira. Lancia il disco che volteggia nell’aria e ricade a terra, superando abbondantemente il lancio precedente. Stavolta sono io a ridacchiare. «Eh sì, vedo che Sparta ha messo anch’essa in campo il suo miglior atleta. Accidenti. Ancora un po’ e lo stadio non sarà sufficiente a contenere i tuoi lanci, Ippivs!» Stavolta sono io a far ridere l’intero gruppetto di atleti. Ippivs è furioso, ma non parla. «Inutile parlare e litigare tra voi, sarò io a vincere la gara». È Titvs a parlare. È sicuro di sé, molto sicuro. Lo è sempre stato. «Bene, vedo che non parlate. Allora vuol dire che sapete che ho ragione…». Prende il suo disco. Ruota. Gira. Gira. Gira. Lancia con un grido

soffocato. È un bel lancio, già si vede. La gente osserva attenta. Il disco cade molto lontano. C’è un boato fragoroso. Tocca a me ora. Passo davanti tutti gli altri atleti. Mi raccolgo nei miei pensieri. Chiudo gli occhi. Prendo il mio disco. Ruoto. Giro. Giro. Giro. Giro ancora. Lancio con un grido e cado anche in terra nello sforzo. Il disco vola alto. Alto. Alto. Alto. Il pubblico lo segue attento, quasi muto. Oltrepasso il punto di Titvs, di molto. Un boato del pubblico riempie le mie orecchie, la mia testa, rimbomba. Nel fragore del tumulto lancio uno sguardo nel pubblico. Scorgo un volto conosciuto. Chi sei uomo con la barba folta e i capelli crespi corvini che mi osservi così attentamente? Ora ricordo: somigli molto a Mirone, il famoso scultore greco. Forse dopo questo lancio anche tu dedicherai a me una statua in bronzo, un giorno. Chissà…

UN’ARTE A CAVALLO FRA LA GRECIA E ROMA Il Discobolo è una scultura realizzata da Mirone intorno al 455 a.C., rappresentante un atleta che sta per scagliare un disco. C'è chi ritiene che la figura rappresenti l'eroe Hyakinthos (Giacinto); quest'ultimo si narra che fosse amato da Apollo, il quale l'avrebbe ucciso involontariamente proprio con un disco e poi con il suo sangue avrebbe creato il fiore omonimo. Mirone rappresenta il corpo nel momento della sua massima tensione; tale sforzo tuttavia non si riflette nel volto, che esprime soltanto una tenue concentrazione. La torsione del corpo, in una composizione a ruota, è vigorosa, ma allo stesso tempo armoniosa e delicata. L'originale era in bronzo ed è stato perso; l'opera pervenutaci è una copia romana (detta Lancellotti), attualmente custodita nel Museo Nazionale Romano di Roma, alta 156 cm. Un'osservazione attenta rivela la possibilità di dividere l'opera in varie parti, racchiuse in uno schema geometrico ben preciso, composto da quattro triangoli sovrapposti così definiti: il primo tra la base e i polpacci delle due gambe; il secondo chiuso tra la coscia destra e il polpaccio sinistro, con il vertice formato dalla piega interna del ginocchio; il terzo nello spazio creato dalla parte superiore della gamba, dal braccio sinistro poggiato sul ginocchio e dal torso; l'ultimo definito dalle linee del costato e del braccio sinistro che si incontrano in corrispondenza del capo. Un "effetto molla" è prodotto,invece,dalle sporgenze e dalle rientranze della parte sinistra della statua. Il busto si mostra frontale mentre un grande arco, che sottolinea l'effeto di tensione, viene formato dal braccio destro sollevato e lasciato indietro, dalle spalle,dal braccio sinistro e dalla gamba sinistra arretrata.

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di Andrea CRESCENZI foto Red Bull


R

oma caput mundi… Per una sera d’inizio ottobre questa celebre frase latina torna ad essere attuale grazie a un evento senza precedenti, che ha riportato la capitale d’Italia al centro del mondo. Un evento che da anni cercava senza successo di sbarcare nel bel paese e che solo grazie all’interesse e alla disponibilità del sindaco Gianni Alemanno, del CONI e del Delegato alle Politiche Sportive del Comune di Roma, l’On. Alessandro Cochi, è finalmente divenuto realtà. «Ma il successo è andato ben oltre l’incredibile sold out dopo una sola settimana di vendita dei biglietti, anzi ha confermato il successo organizzativo della finale di UEFA Champions League del 2009, con un evento perfetto sotto ogni punto di vista che dimostra le potenzialità di Roma anche in prospettiva della candidatura per le Olimpiadi del 2020», hanno spiegato gli organizzatori della PiùBlu, Paolo Bernabei e Marco Calabrese in prima fila in questa edizione degli X-Fighters. Fra gli autori di questo successo a 360° non possiamo non ricordare gli ideatori della kermesse: gli austriaci della Red Bull da anni incentrano la loro comunicazione nell’ambito degli sport più legati all’esplosione di energia.


L’impatto di questo marchio sul mondo degli sport estremi è stato importante: dal 2001 a oggi la Red Bull, multinazionale produttrice di bevande energetiche, ha trasformato un mondo conosciuto fuori dagli Stati Uniti solo da una piccola nicchia di appassionati, in un imponente evento su scala globale. L’X-Fighters mediaticamente rappresenta per l’azienda la punta di un iceberg composto di sport tanto accattivanti quanto rischiosi: dalle spericolate gincane aeree della red bull air race alle evoluzioni sulla neve del redbull snowboarding. Nata nel 2001 a Valencia la manifestazione si proponeva di coniugare lo sport estremo del freestyle motocross con la tradizione popolare della corrida; passando per Madrid (2002) e Città del Messico (2005) il concept è andato col tempo modificandosi da singolo evento a tour mondiale. Storicamente l’evento non ha precedenti a livello europeo e l’unico termine di paragone è rappresentato in America dagli X-Games: l’annuale competizione degli sport estremi organizzata dal network sportivo ESPN. Anche molti degli storici protagonisti dell’X-Fighters derivano da questa competizione, tra tutti il veterano campione Nate Adams e il leggendario Travis Pastrana, inventore del doppio backflip. Lo sport come le moto derivano dal su-

percross americano, meglio conosciuto in Europa come motocross (MX) e anche lo stesso nome ne è una logica derivazione: Freestyle motocross (FMX). Nato in Inghilterra nel 1924 con il nome di scrambles (in italiano letteralmente arrampicate), il Motorcycle Cross Country ha raggiunto il suo apice per diffusione e sviluppo tecnologico verso la fine degli anni ‘80, dal 2004 invece ha subito una flessione dovuta sia al passaggio dai motori due tempi ai motori quattro tempi, sia alla riduzione dei team non ufficiali. È forse anche a questo che si deve il sempre crescente interesse mediatico che la derivazione di maggior successo, il freestyle ovviamente, ha suscitato in tutto il mondo. Soltanto nella prima tappa dell’ X-Fighter World Tour a Città del Messico, 42mila spettatori si sono accalcati per potervi assistere. Un successo che è stato replicato fino al sold out della finale romana, figlio di un’ottima organizzazione, unita alla qualità dello spettacolo offerto. Niente in questo campo è lasciato al caso: ogni settore, dall’organizzazione logistica al marketing, è seguito con sapiente meticolosità; per non parlare dell’aspetto sportivo, nel quale i riders mettono a rischio ROMA 2010 - XFIGHTERS | 84

iL CAMPO DI GARA

la propria incolumità, solo dopo aver passato centinaia di ore in allenamenti e prove tecniche saltando sopra vasche riempite di gommapiuma. L’effetto finale, che porta il pilota ad agire con estrema naturalezza, non deve però correre il rischio di far pensare allo spettatore che ci si possa cimentare in questo sport partendo dal nulla perché, nonostante gli allenamenti e la preparazione atletica, gli infortuni sono sempre dietro l’angolo. Fortunatamente la tappa romana in questo senso non ha inciso, lasciando negli occhi dei 20mila spettatori presenti tutta la magia che questo sport riesce a evocare. La magia vera però l’ha fatta il giovane talento spagnolo Dany Torres an-


BACKSTAGE BARRE ESTRAIBILI Sopra il manubrio vi sono delle barre a scomparsa. Servono al rider per bilanciarvi contro il peso delle braccia LA SELLA Parte dell’imbottitura viene rimossa per dare più spazio al rider e per evitare impigliature

MANUBRIO I rider scelgono spesso un manubrio più largo della norma, senza barra trasversale e con una piega più profonda. Per alcuni trick è fondamentale che lo sterzo rimanga dritto quando le mani lasciano il manubrio. Quì si trova il regolatore

LE MANIGLIE Tagliando il rivestimento in plastica sotto la sella si ottengono delle maniglie (è meglio saldare ulteriormente la struttura) per effettuare trick nei quali si deve afferrare la sella

FORCELLE... ADESIVE Molti piloti tagliano le targhe per applicare nastro antiscivolo sulla forcella. Potranno quindi avere maggiore aderenza con i piedi.

PARAFANGO ANTERIORE Il parafango viene accorciato per soli motivi estetici

LA MOTO I PEDALI Sono generalmente più larghi per maggiore stabilità e distribuire la forza di impatto sul piede IL TELAIO Comprende forcelle e ammortizzatori. Sono adattati per resistere ad atterraggi violenti.

PARAFANGO POSTERIORE Viene spesso accorciato per consentire libertà di evoluzioni ROMA 2010 - XFIGHTERS | 85


LA FORMULA UNO

I legionari del Gruppo Storico Romano hanno “affrontato” in un emozionate sipario la Red Bull di Coulthard.

Superflip

Hart attack

Il superman backflip consiste in un backflip (salto mortale all’indietro) durante il quale il rider stacca i piedi e li calcia all’indietro. Più si allontana dalla moto e più punti ottiene.

Chiamato così dal nome dell’inventore Carey Hart questo trick si esegue puntando le gambe in aria verso l’alto. Una mano è posizionata come per fare una verticale sulla sella, mentre l’altra tiene il manubrio. Se eseguendo il trick il rider guarda dietro, allora si ha in lookback hart attack.

Lazy Boy Per effettuare questo trick il rider allunga le gambe sotto al manubrio poggia la schiena sul sellino e stende le braccia dietro la schiena. Tanto più allunga le braccia e le gambe, tanti più punti ottiene.

Deadbody

Whip Un whip si ha quando il rider spinge la moto lateralmente in aria, formando un angolo di almeno 90° con il suo corpo, prima di raddrizzarla per l’atterraggio.

dando a conquistare il successo di tappa con esecuzioni perfette, che non hanno lasciato spazio a nessun altro concorrente, incluso il leggendario Nate Adams che anche quest’anno si è laureato campione della classifica generale. A fine gara Torres dichiarerà «Amo l’Italia!», in preda all’euforia di un perfetto round finale. Lo sconfitto Adam Jones si è potuto limitare a un’onesta dichiarazione di resa: «Dany non ha commesso un solo errore. Io ho fatto del mio meglio nell’ultimo round, ma lui ha decisamente meritato la vittoria stasera».

Un Torres gladiatorio ha combattuto in piena sintonia con lo spirito evocato dalle esibizioni dei ragazzi del gruppo storico romano. Quest’ultimi, in tenuta da legionari con tanto di gladio, scudo e scontro con i riders, hanno tracciato una linea ideale tra l’arena del passato e quella del presente (…futuro?). La sua incoronazione a moderno imperatore, di fronte a una schiera di 300 giornalisti accreditati, ha sancito la chiusura di un evento che lascia ampi margini alla conferma della presenza italiana come tappa stabile delle edizioni future. Anche grazie all’entusiasmo suROMA 2010 - XFIGHTERS | 86

Nel dead body il rider stacca i piedi dai pedali e allunga le gambe in verticale sopra il manubrio. Arrivato in questa posizione, stende il corpo completamente.

scitato nei vip presenti. Raul Bova al termine dell’esibizione si è espresso così: «Ho assistito a uno dei più grandi eventi mai visti a Roma. Eccitante, coinvolgente e di grande intrattenimento. Spero che nel futuro della città ce ne siano tanti altri per far conoscere l’emozione del freestyle a grandi e piccoli». Con un successo così sarà difficile fare meglio in futuro, ma per ora ci godiamo i complimenti incassati dalla capitale e aspettiamo di rivedere le acrobazie di questi fantastici atleti negli show televisivi che ne proporranno resoconti ed estratti.


Kiss of death Consiste in una verticale sulla moto durante l’esecuzione di un backflip, che spinge la testa verso il parafango, fino quasi a baciarlo.

Rock solid Cliffhanger Durante l’esecuzione di questo trick il pilota stacca le mani dal manubrio, riprendendolo con i piedi, e stende il più possibile il corpo verso l’alto.

IN VATICANO

Tsunami Per fare questo trick si esegue una verticale in aria oltre la linea del manubrio, mantre si cerca di mantenere la moto in posizione orizontale.

Gli X-Fighters anche in vaticano. Ecco lo svizzero Mat Rebaut tra le guardie del Papa (Svizzere...) e nell’armeria vaticana.

Ruler Il rider salta dalla rampa e, stringendo il manubrio, lancia il corpo verso l’alto, con i piedi puntati verso il cielo. Allo stesso tempo deve spingere la moto verso il basso, puntando il parafango verso il circuito. Se la moto punta dietro ad ore sei e davanti ad ore docici si ottiene il ruler.

In questo trick il rider stacca i piedi e allunga il corpo allontanandosi dalla stessa, staccando anche le mani e allargando le braccia per volare letteralmente sopra di essa.

I TRICK


UNA VITA DA MEDIANO Cresciuto nel Milan, fa il suo esordio tra i professionisti nella stagione 1995-1996 con la Pro Sesto in Serie C1. Dopo due anni passa al Lumezzane, nel 1998 al Verona dove arriva l’esplosione. L'Inter lo ingaggia nel 2000, ma lo cede al Milan la stagione successiva. E arrivano le grandi soddisfazioni, in tre stagioni vince tutto: Scudetto, Champions League, Coppa Italia e supercoppe nazionali ed europee. Nell'estate del 2005, però, visto il poco spazio, approda alla Fiorentina e ottiene con i viola un quarto posto. Torna al Milan, ma disputa solo 74 partite in due anni, tra cui le vittoriose finali di Supercoppa UEFA e Coppa del Mondo per club, entrambe partendo dalla panchina. Quindi il passaggio alla Lazio il 28 agosto 2008. Il 13 maggio 2009 vince la Coppa Italia contro la Sampdoria. La nuova stagione si apre subito alla grande: l'8 agosto 2009 vince, giocando l'intera partita, la Supercoppa Italiana a Pechino contro l'Inter.

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spq ort

Ha vinto tutto grazie al lavoro, al cuore, alla grinta. E sogna di chiudere la sua carriera in biancoceleste.Vuole togliersi ancora tante soddisfazioni con questa maglia e incrementare un curriculum senza una macchia e senza paura

A

rgento vivo negli occhi e nei muscoli: lo ricordano così dalle parti di Via Turati. Inossidabile come la materia prima, inarrestabile come la sua grinta e la sua voglia di mangiarsi il mondo e gli avversari. Cristian Brocchi ha vinto tanto, praticamente tutto con la maglia del Milan, ma non è ancora sazio. Ha la fame del vecchio leone, la stessa voglia irrefrenabile, a 34 anni suonati, di togliersi ancora tante soddisfazioni. Stavolta con la maglia della Lazio. Desidera chiudere una carriera elitaria imprimendo il suo nome nella storia del club biancoceleste. E avrà ancora due anni a disposizione: “C’è tempo”, assicura, prima di raccontarsi a SPQR Sport.

L’uomo Brocchi in cosa differisce dal calciatore che noi tutti conosciamo? «In realtà davvero poco, sono due facce di una stessa persona. Amo il calcio dall’età di 5 anni e ho deciso d’intraprendere questa professione proprio per questa passione intensa, forte e genuina. Quella che metto ancora in campo a distanza di tanti anni. Fuori, di diverso c’è solo il mio modo di vivere la vita privata, di comportarmi, di raffrontarmi alle altre persone. Cerco sempre di mantenere un certo equilibrio e tanta umiltà. Sono cosciente che nel momento in cui finirà la mia carriera, la mia vita sarà sicuramente diversa. E se un giocatore, già durante l’attività, riesce a comprendere che tutti i privilegi e i vantaggi che ha sono legati

LO SPORT MILITARE | 89


alla professione che svolge, sarà molto più facile e meno traumatico il giorno in cui appenderà gli scarpini al chiodo. Saprà come confrontarsi con la gente comune». Da dove sei partito per arrivare ad essere quello che sei? «La mia infanzia la ricordo in bianco e nero. Ho vissuto bei momenti, ma anche brutti. Ho iniziato presto, sono rimasto nelle giovanili del Milan dai 9 anni sino ai 19. I primi anni sono stati difficili perché dovevo allenarmi spesso. Le sedute continue mi toglievano il tempo per poter coltivare le amicizie extra. E soprattutto, subito dopo, dovevo tuffarmi anima e corpo sugli studi. Mia mamma non transigeva, era molto esigente e spingeva più per la mia cultura che per correre dietro a un pallone. Sono stati anni duri, ma fondamentali per la mia maturazione. Crescendo, poi, sono diventato molto competitivo: ho iniziato sempre più a confrontarmi con gli altri, ma anche con me stesso. Cercavo di mi-

di Alberto ABBATE foto Getty Images

gliorarmi e di prefiggermi degli obiettivi da raggiungere con le unghie e con i denti. Alla fine, eccomi: sono riuscito a centrarli nonostante tante insidie e tanta gavetta». Dal settore giovanile rossonero alla serie C. Due anni alla Pro Sesto, un anno al Lumezzane, due anni a Verona, poi finalmente la s erie A. Un percorso tortuso? «Sì, ma fondamentale e gratificante. Ho scritto il mio curriculum con le mie forze, non c’è soddisfazione più grande. E inoltre ogni anno è stato fondamentale, ha scandito la mia crescita continua. Ho dimostrato infatti ogni stagione qualcosa per poter salire di un gradino. Gli anni di Pro Sesto e Lumezzane sono stati essenziali, poi a Verona mi sono fatto conoscere al calcio italiano, ho migliorato le mie credenziali.

L’INTERVISTA: CHRISTIAN BROCCHI | 90

Infine, l’arrivo all’Inter, una mannaia: doveva essere una gioia, è stato paradossalmente l’anno più brutto della mia carriera. Dopo la preparazione, fui costretto a operarmi a due ernie del disco e, prima di entrare in sala operatoria, mi dissero che la mia carriera era fortemente a rischio, che avrei potuto non giocare più a calcio. Volevo gridare, piangere, poi tutto è andato per il meglio. Ma da lì nacque il mio “odio” nei confronti dell’Inter: mi lasciarono solo in un momento così delicato, senza proteggermi né tutelarmi. Eppure avevano investito tanto su di me…». Finalmente il ritorno a casa, al Milan, e l’inizio una carriera s folgorante. Cosa ti porti ancora dietro di quegli anni rossoneri? «Sicuramente tanta esperienza, tante soddisfazioni e amicizie. Ma anche al Milan non è stato tutto rose e fiori. Tornai a vestire la maglia rossonera proprio dopo quel maledetto anno all’Inter. Fui costretto a ripartire da


spq ort ché è stata una notte amara per tutti. Tuttavia, mi ha insegnato tanto. Da quella sconfitta è nata subito la voglia di puntare a un’altra vittoria con maggior entusiasmo e spirito di dedizione. E infatti è subito arrivata. In due anni col Milan abbiamo giocato una finale di Champions, e io fui protagonista in diverse partite importanti. L’unico rammarico è di non aver giocato le finali, ma ho vissuto comunque con grande soddisfazione la rivincita sul Liverpool. Tra l’altro l’anno seguente abbiamo anche vinto il mondiale per club contro il Boca».

Stadio Olimpico, 13/05/2009: Cristian Brocchi batte un calcio d’angolo durante la finale di Coppa Italia contro la Sampdoria, poi vinta ai rigori.

zero, tornai non dalla porta principale, ma attraverso uno scambio. Fui costretto a conquistarmi tutto giorno dopo giorno, ma almeno ero a casa, nella mia famiglia. Al Milan in due anni mi rimisi a posto. Il problema alla schiena mi aveva però cambiato come calciatore: non riuscivo a fare più determinati movimenti e decisi di reinventarmi, di puntare più sulla forza fisica, non più come prima sui dribbling e la velocità. Un giorno dissi a me stesso: o faccio così o non posso andare avanti. Da lì è arrivata una carriera ricca di soddisfazioni come a Manchester e di qualche delusione come a Istanbul. Tra l’altro quello fu un anno molto difficile per me perché avevo giocato poco, mi ero abbattuto su molte decisioni di mister Ancelotti, con il quale avevo un rapporto splendido. Ma alla fine ricordo solo le grandi emozioni provate con quei colori». Davvero hai dimenticato la sconfitta nella finale di Champions contro il Liverpool? «Assolutamente no, per-

L’arrivo alla Lazio, perché questa scelta di vita? «Avevo fatto circa 170 partite con la maglia rossonera, ma l’arrivo di un altro centrocampista mi aveva toccato nell’orgoglio. Non volevo rimanere a Milano senza stimoli, ho preferito andarmene sapendo di aver fatto qualcosa di importante. E mi ha stimolato subito l’idea di gettarmi in una nuova avventura con la maglia della Lazio, non un club qualunque, ma una società con una grande storia e con la voglia di recuperare il terreno perso negli ultimi anni causa varie vicissitudini societarie. Ho scelto di venire nella capitale con la voglia di chiudere la carriera ancora da protagonista. Così sono arrivate due coppe che per me, considerato il momento biancoceleste, valevano quanto una Champions vinta con il Milan. Ho vissuto le finali con la stessa emozione e intensità dei tempi rossoneri». Eppure anche quest’anno i destini del Milan e di Brocchi

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stavano per incrociarsi nuovamente. Perché? «Il Milan rimane una seconda famiglia e il dottor Galliani, che ha uno splendido rapporto con me, mi stima come uomo e come giocatore e voleva che tornassi a Milanello. Durante la turné di quest’estate con il Milan negli Stati Uniti avevo infatti dimostrato il solito spirito da condottiero, serietà e attaccamento a quella maglia. Ma è normale, perché io, i colori rossoneri, li avrò sempre nel cuore e li ringrazierò per tutto il resto della mia vita. Tuttavia, il fatto di essere riuscito a conquistare una piazza importante come quella di Roma e il fatto di essere entrato nel cuore dei tifosi biancocelesti, mi ha subito fatto fare un passo indietro. Alla Lazio sto benissimo, ho un ottimo rapporto con la società e non me la sono proprio sentita di sbattere la porta in faccia alla Lazio, che mi ha persino allungato il contratto di un anno. Per me, quest’attestato di stima è stato motivo d’orgoglio. Ho fatto quindi una grande scommessa con me stesso: spero di chiudere la mia carriera fra gli applausi della gente, gente che parlerà nel futuro bene di me, perché ho lasciato dei buoni ricordi come calciatore e come uomo».


Stadio San Nicola. I laziali festeggiano Sergio Floccari dopo la seconda rete segnata a discapito del Bari



San Siro, 11/11/2006: Cristian Brocchi corre ad abbracciare il tecnico Carlo Ancelotti e dopo la rete messa a segno contro la Roma.

C’è chi invece ha realizzato un percorso inverso, un’intera colonia biancoceleste è emigrata a Milanello. Senti qualcuno? «Con Nesta ho un rapporto assiduo, ci confrontiamo spesso e parliamo di Lazio. Mi dispiace che qualcuno non gli perdoni il suo addio, che tra l’altro non è stata una sua scelta. Alessandro è molto legato alla lazio, sente ancora lo scudetto cucito addosso, ce l’ha tatuato nel cuore. Favalli è un altra grandissima persona, recordman presenze nella Lazio, uno dei più forti difensori con cui io abbia mai giocato. Con Oddo infine ho condiviso diversi anni nelle giovanili. Massimo ha lasciato un grande ricordo qui a Roma, ha giocato a grandi livelli e ha dimostrato grande attaccamento alla maglia biancoceleste». Ora tocca a te lasciare il tuo ricordo. Avrai due anni per toglierti soddisfazioni con la Lazio e per cancellare subito quanto accaduto la passata stagione? «Questo è sicuro. Ce la stiamo mettendo tutta per percorrere la strada giusta e disputare un’annata positiva. Abbiamo cambiato atteggiamento e sono subito arrivati i risultati, basti guardare il percorso fatto da febbraio a oggi. Sono stati messi da parte gli interessi personali. L’anno scorso arri-

vavamo da due coppe vinte e nella nostra testa pensavamo di essere più forti di quanto lo fossimo davvero. È successo la stesso all’inter quest’anno, che ha perso due partite. L’inter ha però vinto con dei grandi campioni, mentre la Lazio ha campioni potenziali, delle promesse che non hanno ancora dimostrato appieno il proprio valore. Siamo stati presuntuosi e siamo rimasti scottati, ora abbiamo capito che ogni partita va affrontata con la voglia di vincere e lo spirito di squadra. Nessuno deve pensare al proprio orticello. Guai». Lo ha capito anche Zarate? «Penso proprio di sì, perché ha finalmente iniziato a mettersi al servizio dell’intera squadra. Ma la sua situazione è più complicata di Christian Brocchi e Gennaro Gattuso, due modi quanto sia visibile assai simili di interpretare il calcio...


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Artemio Picchi, 9/5/2010: Cristian Brocchi con un gol contro il Livorno regala la matematica salvezza alla Lazio e corre ad abbracciare mister Reja.

prima stagione in Italia, ed è difficile ripetersi a quei livelli senza riuscire a reggere le pressioni di una piazza importante come quella romana. Lui ha vissuto un momento difficile, anche perché si è sentito l’unico colpevole di un’annata disgraziata. Ma ora ha capito che in realtà quando la squadra gira, ne trae vantaggio anche il singolo, non è mai un giocatore solo che vince o che perde».

in apparenza. Il popolo laziale aveva bisogno di un giocatore simbolo, un idolo che potesse reggere il paragone con Totti, e lo ha rivisto in Zarate. Ma Totti è un giocatore navigato, ha tanta Serie A sulle spalle. Mauro è giovane, ha sbalordito tutti alla sua

Sicuramente però ci sono giocatori che più di altri possono incidere positivamente o negativamente sulle prestazioni della squadra. L’impatto di Hernanes sinora può considerarsi decisivo? «Sì perché è un grande giocatore, un calciatore di qualità superiore. Assomiglia a Kakà, ma Ricardo quando è arrivato aveva già un’impostazione più europea. Quando Hernanes capirà che l’azione perfetta è quella con la quale ha portato al pareggio di Floccari contro il Milan e la ripeterà sempre, diventerà uno dei più forti». Anche l’apporto di Mauri si sta rivelando essenziale. Brocchi è il primo fan del brianzolo. «È fondamentale sia nell’ultimo passaggio, ma soprattutto nel gioco complessivo della squadra anche quando nessuno se ne accorge. L’anno scorso è stato spesso ingiustamente fischiato in un momento

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di difficoltà e io ho detto di aver rivissuto a tratti quanto accaduto a Seedorf al Milan. In realtà senza di lui la squadra non gira, è uno dei giocatori più importanti e anche la gente ora se ne sta accorgendo». Il pubblico laziale si è senz’altro accorto di Olimpia, ormai nuova mascotte biancoceleste. Che ne pensa la squadra? «E’ stata un’ottima iniziativa, tutti l’hanno accolta con enorme entusiasmo, anche chi non è legato al simbolo di per sé. Mia moglie ha voluto farci una foto, fremeva. Insomma, la ritengo una scelta assolutamente azzeccata per rinsaldare metaforicamente l’unione fra i giocatori, la società e i tifosi. Un gesto per riavvicinare le parti per il bene della Lazio». C’è solo qualcos’altro che riesce a unire tutti al di là di qualsiasi divisione… «Il derby? Non c’è dubbio e quest’anno abbiamo ancora più voglia di vincerlo, è ancora vivo il ricordo amaro dell’ultimo. Io sinora ne ho vinto solo uno, un 4 a 2 bello ed emozionante, ma più sto a Roma più mi rendo conto quanto sia importante questa sfida, soprattutto per i tifosi. Soltanto vivendo nella capitale ti puoi rendere conto di cosa significhi questa partita. Appena arrivato neanche io lo capivo, ma ora lo sento come un vero tifoso».


Ponte Milvio

PONTE MILVIO UNO SLALOM NELLA STORIA Io sogno cose state… ai m o n o s i c n o che n no? haw è h c r e p : o c i d G.B.S e mi

CANOA KAYAK, IL CAMPO SLALOM È l’insieme delle porte installate in un corso o specchio d’acqua secondo una determinata disposizione (in uno stesso campo di slalom possono essere utilizzati molti schemi). Il percorso può avere da 18 a 25 porte, di cui almeno 6 in risalita. Vengono disputate due manche: ai fini della classifica vale quella migliore. Gli atleti devono attraversare tutte le porte senza toccarle né con la pala della pagaia, né con la barca, né con il corpo. Sono assegnate penalità di 2 secondi nel caso in cui tocchino la porta, oppure una penalità di 50 secondi se la affrontano nella direzione sbagliata o la mancano. La porta dello slalom è formata da due paline appese a una traversa e distanti fra loro minimo 1,20 m: essa rappresenta un ostacolo attraverso cui si deve passare senza toccare le paline. Le porte sono sospese rispetto alla superficie dell’acqua grazie ad alcuni cavi che attraversano il fiume. I campi installati in acqua ferma o lenta servono da palestra agli allievi: possono essere percorsi in tutti i sensi senza scendere dalla canoa.


È per ora solo un progetto.Ambizioso. Quello di realizzare sotto Ponte Milvio, sfruttando le rapide del fiume, un campo gara di Canoa Kayak. Ma, per realizzarlo, parte del Tevere potrebbe essere temporaneamente isolata dal corso d’acqua. Facendo tornare alla luce, conservati dal fango, reperti vecchi migliaia di anni...

di Martina SPIGNOLI* foto Getty Images

L

a creazione di un impianto fluviale di acqua mossa a Roma sul fiume Tevere, fruibile da appassionati e agonisti, rappresenta da sempre il desiderio degli sportivi che praticano la canoa kayak e il rafting. L’ impianto è stato ideato nel contesto di un più ampio progetto, avviato dalla Commissione Impianti della FICK, denominato“Il Fiume in Città”. L’obiettivo è portare lo sport della canoa kayak dentro la città, vicino alla popolazione, utilizzando per lo più le rapide già esistenti e creando un vero e proprio stadio naturale in una cornice unica e spettacolare.Le opere nel tratto preso in considerazione consistono nell’allungamento della rapida che costituisce il campo di gara già utilizzato a valle di ponte Milvio, attraverso una scogliera realizzata con massi ciclopici intasati di calcestruzzo. Tale opera costituisce una notevole protezione alla difesa spondale

La battaglia di Costantino (IV sec. D.C.)

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DESCRIZIONE DELL’INTERVENTO L’idea progettuale è stata sviluppata dalla Creative Water Stream (per conto della FICK), che, adottando i più moderni criteri di sicurezza, qualità e dotazione delle attrezzature, unite a innovazioni specifiche frutto dell’ingegno italiano, ha già ideato alcuni tra i più importanti impianti sportivi fluviali naturali internazionali realizzati negli ultimi anni (Ivrea, Treviso, Sacile, Palazzolo, Bologna, Lao Pollino, Alcantara). La sfida adesso è quella di realizzare un impianto con caratteristiche peculiari di naturalità nel centro della Capitale. Un impianto, dunque, ben diverso da quelli artificiali olimpici, ma complementare e versatile per tutti i livelli. L’impianto sportivo verrà integrato in un ambiente naturale secondo i criteri di sostenibilità ambientale . In particolare, saranno valorizzate le ampie zone di passeggio sulle banchine laterali già esistenti, opportunamente delimitate per garantire gli accessi e l’utilizzo pubblico dei servizi in tutta tranquillità e sicurezza.

Ponte Milvio

2 Rapida Ricostruzione del possibile impianto sportivo visto dall’alto. I Rapida Il progetto dell’impianto fluviale di acqua mossa sul fiume Tevere, sviluppato dalla Creative Water Stream per conto della FICK.

Banchina


delle banchine esistenti consentendo nello stesso tempo la conformità dell’impianto per le gare sportive a livello nazionale ed internazionale. Questo ampliamento avrà altezza uguale alle banchine stesse. Da esso dipartiranno diversi “pennelli”, sempre costruiti con massi intasati in cemento, per la movimentazione del percorso fluviale sportivo con la creazione di zone di acqua ferma alternate a piccole rapide ed onde. Oltre all’ampliamento, è prevista in progetto una seconda fase costituita da posa a secco di massi ciclopici all’interno della rapida. Tale posa ha la funzione di frangiflutti nel caso di piena, in modo da ridurre l’energia cinetica del flusso ma contemporaneamente avranno al funzione di “muovere“ il corso del fiume per renderlo più idoneo alla pratica della canoa. Il percorso che di fatto verrà a formarsi tra i

due argini, sarà di fatto la pista di accesso per le opere in progetto e per gli eventuali interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria. Per realizzare tutti questi interventi sarà necessario mettere a secco parte del fiume con dighe di terra idonee, naturalmente si interverrà sui due lati alternativamente e, nella stagione più secca, per non interrompere il normale flusso delle acque. La sfida sociale del progetto è quella di riavvicinare la popolazione al fiume Tevere. Senza dimenticare che la fruizione dell’impianto garantisce il presidio attivo del territorio e una conseguente maggiore sicurezza. L’obiettivo che il progetto si pone è di portare gli sport della canoa kayak e rafting, nei suoi vari livelli (agonistici, turistici e ludico ricreativi) all’interno della città sfruttando le opportunità naturali per una perfetta integrazione con l’ambiente.

A oggi queste discipline sportive sono praticabili solamente in luoghi poco visibili e sovente anche poco accessibili. La possibilità, quindi, di praticare attività sportive fluviali in un impianto ben strutturato e posto al centro di Roma sarà la base per lo sviluppo e l’incentivazione di queste discipline. Il notevole interesse sportivo e sociale dell’iniziativa consentirà di ampliare le ricadute dell’intervento: ad esempio secondo il flusso Sport- Ambiente-SpettacoloCultura. L’area individuata, per la sua collocazione e il clima, garantisce grande continuità di utilizzo dell’impianto durante tutto il corso dell’anno, in una cornice con importanti caratteristiche storiche, naturali e paesaggistiche. Da tutta Europa, soprattutto nei periodi invernali, gli atleti verrebbero ad allenarsi in Italia. Questa iniziativa, di carattere assolutamen-

UN MUSEO A CIELO APERTO Chiunque abbia seguito, direttamente o indirettamente, un progetto di edilizia urbana o sportiva a Roma lo sa bene: la Capitale riserva sempre delle belle sorprese. Parliamo, ovviamente, di sorprese archeologiche. Non c’è scavo che non porti alla luce preziose vestigie dell’Urbs del passato. Sebbene il progetto per la realizzazione di un impianto sportivo fluviale sul Tevere sia ancora in fase iniziale, l’eventualità di rinvenire resti archeologici durante la successiva fase di scavo lungo gli argini è stata già presa in considerazione. Che cosa farne però di questi tesori? Anche qui, come già fatto altrove, si potrebbe lasciarli sul luogo del ritrovamento, raccogliendoli in un apposito museo. Una ragione in più, se mai ce ne fosse bisogno, per attirare presso l’impianto cittadini e turisti, oltre che, naturalmente, tutto gli sportivi amanti del fiume. E dell’arte.


te innovativo, crea i presupposti per lo sviluppo non solo delle discipline sportive fluviali, ma anche della sicurezza delle aree coinvolte, adiacenti al fiume. La particolare visibilità del percorso fluviale, unita alla suggestiva cornice offerta dal Tevere e dallo storico ponte Milvio, costituisce un elemento fondamentale per il successo del progetto. Le prerogative del luogo risultano particolarmente interessanti anche per altri significativi aspetti che vale la pena ricordare: • il carattere torrentizio del Tevere, con variazioni di portata stagionali tali da garantire, per gran parte dell’anno, la pratica delle attività e lo svolgimento delle gare; • le condizioni ideali di sicurezza: cioè campo gara in centro città e con sponde facilmente accessibili alla logistica di servizio e di soccorso; • la possibilità di svolgere eventi in notturna. L’intervento, non invasivo e a basso impatto ambientale, è stato progettato nel rispetto delle norme idrauliche previste, con un limitato ingombro visivo e perfettamente integrato con la connotazione naturalistica del corso d’acqua. Questo stadio naturale della canoa saprà soddisfare la crescente necessità di sviluppo della canoa slalom internazionale. La città di Roma potrà dunque ospitare le più importanti manifestazioni agonistiche, come i Campionati europei e mondiali di canoa slalom (disciplina Olimpica dal 1992). Il Comitato Lazio ha inserito nel calendario federale 2010 tre gare nazionali: il 26 Settembre: slalom; il 2 ottobre: sprint. Il 3 ottobre: discesa classica. Verrà inoltrata la candidatura per il 2011 alla prima gara internazionale tipo C slalom. Questo rappresenta il presupposto per un futuro impianto olimpico artificiale, sede naturale per allenamenti, preparazione delle squadre e per lo sviluppo delle attività federali. * Collaborazione Tecnica Fick di Luca Federici Idea Progettuale di Marco Caldera.

I PUNTI DI FORZA DEL PROGETTO 1) Riqualificazione ambientale, infrastrutturale e urbanistica dell’area dell’impianto sportivo fluviale naturale 2) Posizione centrale nel cuore sportivo del Parco fluviale del Tevere. Si configura come la grande ossatura del futuro “Parco Olimpico Area 2 Foro Italico” 3) Unicità e visibilità mondiale per latitudine, clima e richiamo della Capitale 4) Impianto complementare e integrante al futuro campo gara olimpico 5) Vicinanza dei circoli canottieri e del galleggiante dell’UISM. Ampia fruibilità e presenze costanti 6) Presidio attivo del territorio. Sicurezza e valore sociale 7) Servizi e strutture già esistenti. Viabilità, parcheggi, alberghi ecc. 8) Bassi costi di realizzazione ed esigui costi di manutenzione. Progetto modulare a partire da 200.000€ 9) La commissione impianti FICK possiede il know-how e l’esperienza progettuale specifica 10) Il coinvolgimento diretto delle associazioni sportive locali, che parteciperanno attivamente alla realizzazione e alla successiva gestione

KAYAK: LE PRINCIPALI STRUTTURE IN EUROPA Gli impianti per la canoa slalom sono di due tipi: fluviali (se realizzati modificando il letto dei fiumi) o artificiali (se realizzati totalmente dall'uomo). A parte quello progettato al Foro Italico, il principale impianto fluviale in Europa è quello di Bourg Saint Maurice, in Francia. Molti di più sono, invece, gli impianti artificiali: • Atene (Grecia), in uso solo un mese l'anno • Tacen (Slovenia) • AUSBURG (Germania) • Praga (Repubblica Ceca) • Bratislava (Repubblica Slovacca) • Lipsia (Germania) • Pauo (Francia) • Cracovia (Polonia) • Nottingham (Gran Bretagna) • Londra (Gran Bretagna - in costruzione per le Olimpiadi 2012) La struttura del Foro Italico sarà la più a Sud d'Europa.

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UN LUOGO PER GLI INNAMORATI, LA MOVIDA E IL RICORDO È il ponte degli innamorati, inizialmente grazie al libro “Ho voglia di te” di Federico Moccia in cui, appunto, i due protagonisti si giurano amore eterno agganciando un lucchetto al lampione centrale dopo averlo serrato, buttandone poi via la chiave nel Tevere. Ma Ponte Milvio è anche movida, spensieratezza e voglia di divertirsi nei tanti localini che sorgono come funghi in ogni dove. Ragazzi fra i 14 e i 30 si danno appuntamento nel week-end per bere una birra o un cocktail, mangiare una pizza o rimorchiare. Nei pomeriggi infrasettimanali diventa il luogo di ritrovo deputato anche solo a prendere un caffé o a fare due chiacchiere. Infine Ponte Milvio come luogo della memoria: nel trigesimo dell’uccisione di Gabriele Sandri venne piantato in memoria un albero di magnolia e posata una targa ricordo a forma di disco, una delle passioni del giovane Dj romano.

LA BATTAGLIA DI COSTANTINO Ponte Milvio fu teatro della celebre battaglia finale tra Costantino e Massenzio. Nel IV secolo d.C., l'impero era controllato da una tetrarchia, ossia da quattro augusti che venivano sostituiti contemporaneamente ogni 10 anni. Questa formula non durò a lungo, perchè al primo avvicendamento si scatenò una guerra di successione tra le varie famiglie. Costantino e Massenzio, figli di due augusti, erano rimasti nel 312 d.C. gli ultimi a contendersi il dominio sull'impero. Massenzio aveva elaborato una strategia molto difensiva: aveva distrutto Ponte Milvio, sostituendolo con passerelle di legno, da ritirare al passaggio dell'esercito nemico. Dopo due giorni di combattimenti, Costantino ebbe proprio nei pressi del ponte una visione del dio cristiano che lo invitava ad apporre su tutti gli scudi e i drappelli il simbolo della croce, segno che gli avrebbe garantito la vittoria. Il comandante romano decise di obbedire al volere del Cristo, sferrando subito dopo l'attacco decisivo all'esercito di Massenzio. Secondo la leggenda, Costantino ebbe la visione della Croce recante la scritta: "In hoc signo vinces" che lo incoraggiò alla battaglia, e alla seguente integrazione dei cristiani nell'impero. Quest'ultimo, assediato, cercò la salvezza al di là del Tevere, ma il ponte era già strato in parte distrutto, e fu quindi costretto a gettarsi nelle acque del fiume, rimanendo vittima della sua stessa strategia. Costantino entrò, così, vittorioso a Roma dando inizio ad una nuova epoca per l'Impero Romano. Il combattimento decisivo tra Massenzio e Costantino, prese da allora il nome di battaglia di Ponte Milvio. Del ponte romano restano le tre arcate centrali.

IN HOC SIGNO VINCES

PROGETTI | 101


Intervista al pugile, categoria pesi medi. Spada racconta a SPQR SPORT le difficoltĂ di uno sport, in Italia ancora troppo lontano dai riflettori. Confida i suoi sogni e le sue aspirazioni


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DOMENICO SPADA GIURA: «SARÒ CAMPIONE DEL MONDO» di Luigi PANELLA foto Getty Images Arch. Priv. Spada

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uando incontri Domenico Spada, la prima sensazione è quella di essere entrato in un western di Sergio Leone. Sei in una di quelle stazioni che sembra non abbiano mai visto una goccia di pioggia, ingiallite da sole, dove la polvere è la regina poco amata. C’è un capostazione avanti con l’età, si preoccupa solo di farsi gli affari suoi, è vagamente preoccupato della presenza di uomini che non ridono mai. Non ridono adesso, in realtà non lo hanno mai fatto, impegnati sin dalla nascita nella lotta per la sopravvivenza. C’è un binario, rettilineo, infinito che finisce per sposarsi con l’orizzonte. E soprattutto c’è un appuntamento con il destino, c’è un treno che si annuncia in lontananza con il suo rumore inconfondibile. C’è Domenico tra gli uomini che aspettano: lo sguardo scuro, profondo, impenetrabile, neanche un movimento dei muscoli facciali, solo qualche tic ripetuto, per ingannare l’attesa, per stemperare la tensione. Non c’è nessuna fretta, tutto si fa con calma,

ma nulla può distoglierlo dalla sua missione, dall’aspettare quel treno, salirci sopra. E’ una vita che se ne aspetta il passaggio per regolare finalmente i conti con il passato e indirizzare il futuro. In quella stazione c’è soprattutto un uomo animato da feroce determinazione. «Ho tanta, tantissima voglia di emergere, il mio chiodo fisso è diventare campione del mondo dei pesi medi e un giorno ci riuscirò». È una delle frasi che Domenico Spada proferisce con più fermezza dalla sua casa agonistica, la palestra Pro Fighting a Tor Pignattara («Non è solo una palestra, ma una vera scuola di sport che non cura solamente il pugilato, ma dove c’è la possibilità di fare anche altre discipline»). Una vita da combattente, sul ring e fuori, contro preconcetti di ogni tipo. ‘Vulcano’, un alias che dice tutto su Spada, vuole anche fungere da strumento per far fare al pugilato quel salto di qualità che in Italia è atteso da decenni: «Basta con lo stereotipo del pugile che de-

LO SPORT MILITARE | 91

ve per forza essere delinquente, stupratore o, ancora peggio rincoglionito dai cazzotti. La gente deve sapere che tra i pugili c’è anche chi ha studiato, chi ha una posizione sociale importante. Conosco ad esempio dei ragazzi della Roma bene che non vengono in palestra solo per allenarsi, ma fanno veri e propri combattimenti». Un compito di divulgazione che spetta ai pugili, ma anche e soprattutto alla federazione: «Non viene fatto quanto sarebbe necessario per una adeguata divulgazione del pugilato, e questo vale anche per gli altri sport. Io mi sono battuto due volte per il titolo Mondiale dei pesi medi WBC da sfidante ufficiale, non accadeva da 30 anni, dai tempi di Vito Antuofermo (leggendario il match pareggiato con Marvin Hagler, ndr). Non è forse un traguardo degno della carriera dei calciatori? L’inno di Mameli che suonano per me non è lo stesso che suonano per loro? Eppure in Italia lo sapevano in pochi che io combattevo, come in pochi sanno che ci so-


no i mondiali di volley, che ci sono stati i mondiali di baseball ecc. ecc. Sono più conosciuto in Francia, persino in Cina che nel mio Paese. La verità è che in Italia la democrazia è solo apparente, e molte cose, in campo sportivo e non solo, ci vengono imposte. Io sto con la mia compagna Claudia da tredici anni, ho tre figli maschi, ma se quando cresceranno non vedrò democrazia e meritocrazia nel mio sport, loro non faranno la boxe». Già, la meritocrazia, è un chiodo fisso che Spada cita spesso ripercorrendo la sua carriera: «Prima ho provato con il pallone con una società oratoriale che si chiamava Juvenilia 88, ma presto ho capito che la mia strada era il ring. Sin dalla categoria dei novizi sono sempre stato al vertice. Da dilettante ho vinto tre titoli italiani di cui l’ultimo nel 1999, quindi ho vinto quattro tornei, ho battuto il campione del mondo juniores, ma al momento delle selezioni per le Olimpiadi di Sydney. nonostante fossi Campione Italiano assoluto e avessi preso la medaglia d'oro a Liverpool nel 2000,

mandarono Ciro Di Corcia all'ultima qualificazione a Venezia, che perse contro un pugile da me sconfitto in semifinale a Liverpool. In seguito fu ripescato e andò a Sidney e perse il primo match con Simion. Il nome Vulcano me lo ha dato il padre di Simion, con quale non ho mai combattuto ma ci siamo allenati spesso facendo sparring insieme ed ero l'unico pugile a tenergli testa.». Una pausa, poi nonostante siano passati dieci anni, tuona con uno stentoreo, tremendamente attuale. «Perché? Solo questo vorrei sapere, perché? Forse perché a quell’epoca appartenevo ad una piccola società, oppure c’è dell’altro...». Cambiamo anche noi il tono del discorso, ed azzardiamo. E se in quell’altro c’entrasse qualcosa con il fatto che Spada appartiene ad una etnia rom? La risposta è in uno sguardo tagliente a cui si lega una risposta bisbigliata, un po’ a volerla far restare inter nos, un po’ a volerci usare come veicolo per farla uscire. «Forse... forse è anche dipeso da quello». Il ghiaccio è rotto anche su quel versante. Nella battaglia di Vulcano c’è

anche la parte contro i pregiudizi verso i rom. Noi stessi, durante una riunione in cui Spada era spettatore, lo abbiamo visto fulminare con lo sguardo – solo con quello per fortuna – uno spettatore che aveva deriso un pugile rom. «Quando ho sentito urlare ‘a zingaro, ma che sei venuto cor canotto’ non c’ho visto più. Non mi piace la gente ignorante, chi non rispetta le altrui culture». Ci spieghi le sue origini. «Il fatto di essere rom altera i giudizi della gente, anche perché, pur non avendocela certamente con loro, si tende a confonderci con i nomadi che vengono da altre nazioni, ad esempio dalla Romania o dai Balcani. Niente di più sbagliato. La mia famiglia è in Italia da 600 anni, noi siamo italiani, di origine abruzzese. Mio nonno Alizio Spada ha combattuto la Seconda Guerra Mondiale in Grecia, ha fatto sette anni di prigionia e alla fine non si è visto riconoscere neanche un indennizzo...». Ma nell’immaginario popolare, il rom è quello che vive nella roulotte, che campa di espedienti, abbandonato dagli scrupoli anche se si tratta di rubare. «Anzitutto, io ho sempre vissuto in un appartamento, sono un rom e non un nomade. E poi rubare? Ma io non ho mai fregato un centesimo a nessuno, sono andato a scuola fino alla terza media e per guadagnarmi da vivere prima che il pugilato mi desse un certo benessere ho fatto di tutto. Ho venduto i fazzoletti ai semafori, ho fatto il muratore, l’idraulico, il pasticcere, sempre con grande onestà». Poi il pugilato come riscatto sociale, spinto anche dalla fame? «Certo, la fame e la voglia di emergere vanno di


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LA PALESTRA È LA SUA SECONDA CASA Domenico Spada inizia a frequentare la palestra all’eta di 13 anni e conosce subito il suo maestro Valerio Monti (il primo nella foto da sinistra a destra), con il quale instaura presto un buon feeling. Da settembre si allena quotidianamente nella palestra Pro Fighting a Tor Pignattara, “una vera scuola dello sport”. Nella foto, anche Pasquale Di Silvio, Sonja Mirabelli, la trentatrenne campionessa di Kick Boxing, Thai Boxe e regina anche della boxe femminile.

pari passo. Mio padre ha lavorato come muratore e nella manutenzione stradale, ma a casa stavano in 40 metri quadrati, io, i miei genitori e cinque sorelle. Nella nostra cultura, anche se questo aspetto sta cambiando, le donne non possono lavorare, quindi mi sono dovuto rimboccare le maniche. Ho la mentalità del lavoratore, di quello che rispetta le regole. Io sono un cittadino italiano che paga le tasse, e lo fa fino all’ultimo centesimo». Cittadino modello capace di trovare la propria strada. «Beh, posso dire che sono stato favorito nell’approccio alla palestra dal fatto che in famiglia c’è una grande tradizione pugilistica. Si parte dai Casamonica, inoltre due miei cugini, Pasquale Di Silvio e Michele Di Rocco sono pugili professionisti di ottimo livello nel panorama nazionale». Ovviamente un pugile non si forma da solo, ci sono tante componenti. «Anzi tutto, è fondamentale avere un grande maestro, ed io ce l’ho in Eugenio Agnuzzi. Lui mi ha forgiato come pugile, ma anche come uomo, mi ha insegnato come comportarmi. Ad esempio, oltre al pugile io faccio anche il commentatore televisivo per La7 (voce tecnica del supersix, grande torneo per stabilire chi è il più forte medio in circolazione), ed è una cosa di cui vado molto fiero e che devo al mio maestro. E poi ci sono anche gli insegnamenti di Roberto D’Elia, uno che da dilettante

batteva Patrizio Oliva». Ma torniamo a quel treno mondiale che Spada aspetta, e che è passato due volte con sopra il tedesco Zbik. «Nella prima occasione avevo vinto ma mi hanno rubato il verdetto. Si combatteva al Nurburgring, la sera prima del Gran Premio. Che emozione, a bordo ring c’erano Briatore, Lauda, Schumacher».

che i ring italiani erano pieni di zingari. Il dottor Del Greco ne ottenne il giusto deferimento». Programmi immediati? «Con il manager Cherchi della Opi 2000 stiamo cercando di organizzare un doppio campionato intercontinentale a Roma, con me e Della Rosa, nuovo trampolino di lancio per la scalata mondiale. Spero che le istituzioni ci diano una mano».

Nella seconda invece una sconfitta netta. «Sì, ma in quella circostanza sono stato tradito dal mio orgoglio. Ho avuto un problema muscolare al fianco, non riuscivo a fare il peso, non ho fatto i guanti per il mese che ha preceduto il match. Potevo dare forfait ma non me la sono sentita, avevo troppa voglia di dimostrare a Zbik chi era il più forte. E poi lui è un pugile casalingo, ce ne sono tanti. Ultimamente il lato manageriale, l’organizzatore, è molto tutelato».

Ma oltre al titolo Mondiale, per Spada c’è un altro sogno nel cassetto? «Sento dentro di me una vocazione da attore, vorrei fare qualcosa di importante nel mondo del cinema. Da ragazzino ho partecipato al film di Sergio Rubini ‘Il viaggio della sposa’, ma anche gli zii, i nonni, hanno avuto delle parti con Sergio Leone, Pier Paolo Pasolini, accanto ad attori del calibro di Marcello Mastroianni, Alberto Sordi, Nino Manfredi, tanto per citarne alcuni».

Per caso si prepara un’altra stoccata alla federazione? «Beh, diciamo che la nostra è una federazione che lavora al contrario. Tutela i dilettanti e ignora i professionisti. Quando sono andato a fare il Mondiale, non mi è arrivato neanche un in bocca al lupo. Non voglio fare però di tutta l’erba un fascio. Ad esempio il dottor Antonio Del Greco (vicepresidente federale, ndr) mi è stato molto vicino e ha mostrato molta sensibilità quando Vincenzo Cantatore se ne uscì in maniera infelice sul fatto

E il tipo di film da interpretare? «Vista la domanda, aggiungo un altra cosa. Vorrei che la mia vita diventasse un libro, e che da questo venisse ricavato un copione per un film».

DOMENICO SPADA: SOGNI DI UN CAMPIONE | 93

E perché no signor Spada, in fondo Lei in un film c’è già. Non si dimentichi quella stazione, quel binario, quell’atmosfera da vecchio west. Un rumore annuncia che sta per arrivare un altro treno, e siamo sicuri che stavolta saprà prenderlo al volo.


Continua il viaggio alla scoperta di chi guida lo sport nella nostra città e nella Regione

di Saverio FAGIANI

L’Assessore alla Cultura, Arte e Sport, Fabiana Santini, promuove la partecipazione a qualsiasi attività sportiva anche attraverso un vero progetto di “alfabetizzazione motoria”

LO SPORT UNISCE LA REGIONE LAZIO TRA GRANDI EVENTI E SPORT DI BASE

F

abiana Santini è oggi l’Assessore alla Cultura, Arte e Sport della Regione Lazio. Romana, trentasettenne, una giovane macchina della politica nella quale coniuga passione, occupazione e hobby. Assessore col il culto dello sport: «La corsa - ci dice - ho smesso di praticarla in tuta, quando ho visto che tanto è divenuta il mio stile di vita, tra attività di partito e il lavoro nell’Istituzione. Difficoltà aggiuntive, i tacchi! Vado poi in bicicletta, questo sì, ma ormai ha montato i catarifrangenti perché mi è rimasta libera solo la notte. La domenica mattina poi, nuoto e lascio i telefoni a casa. Di conseguenza il resto della giornata la dedico alle chiamate perse ma, in fondo, come mi dice mio padre, l’ho scelto io». Da assessore allo sport della nostra Regione, come vede la sua attività in città e contestualmente come pensa di promuovere il grande sport anche resto del territorio regionale? «Il Lazio ha la fortuna di avere una grande capitale: Roma è una città che nel mondo non ha bisogno di presentazioni ed esercita un indiscusso ruolo di polo d’attrazione rispetto alle attività, alle iniziative e agli eventi di qualsiasi genere che

avvengono nel resto del Lazio. Anche le attività sportive che la regione ospita, ovviamente, risentono di questa situazione. Ma lo sport nel Lazio è parte integrante di tutto il territorio ed è necessario dare una forte connotazione regionale anche agli eventi romani, esportando ad esempio loro parentesi sul territorio laziale. Ed è altrettanto doveroso valorizzare tutte le eccellenze sportive che esistono sul nostro territorio». Dai Grandi Eventi allo sport di base: quali sono le sue idee per incentivare la pratica sportiva? «I Grandi Eventi sono un’occasione di alta promozione sportiva, e una vetrina verso il grande pubblico che ama e pratica tutti gli sport. Rappresentano quindi un’occasione per tutta la Regione per avvicinare i tanti giovani a conoscere ed iniziare la pratica di tantissime discipline che non hanno grande seguito mediatico, ma nelle quali il nostro Paese e soprattutto la nostra Regione vantano importanti eccellenze. D’altronde, in questi primi mesi, partecipando a numerose iniziative sportive su tutto il territorio regionale, mi sono potuta rendere conto di persona di co-

LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE | 106


spq ort me sia assolutamente eterogeneo il mondo dei praticanti nello sport. Ma ho anche potuto riconoscere quanto lavoro bisogna fare per promuovere la pratica sportiva come fattore di benessere fisico per tutta la popolazione. Un’indagine sui cittadini e lo sport nel Lazio di tre anni fa aveva stabilito che un terzo dei laziali praticava uno sport in maniera continuativa o saltuaria, un terzo dichiarava di essere impegnato in attività fisiche, il rimanente terzo poteva considerarsi sedentario. È un dato sicuramente incoraggiante, ma sul quale bisogna riflettere molto». In quali condizioni ha trovato l’assessorato? Qual è il suo programma? «Come ho già accennato, in questa prima fase di assestamento ho aperto le porte dell’assessorato al dialogo con le istituzioni e gli operatori del settore. Ma in questo delicato momento di crisi economica e finanziaria, investire nello sport vuol dire anche razionalizzare le risorse. Per questo stiamo monitorando le iniziative esistenti e verificando le necessità per il futuro, consapevoli che la promozione sportiva sia uno dei punti cardine dell’azione del mio assessorato. A titolo di esempio, stiamo già lavorando di concerto con il CONI e il Ministero dell’Istruzione per collaborare in merito a progetti di “alfabetizzazione motoria” da portare nelle scuole della regione. Mentre con gli enti di promozione sportiva stiamo mettendo in campo specifici progetti in grado di valorizzare il ruolo dello sport come elemento di aggregazione e di integrazione sociale». Regione Lazio e le esigenze strutturali. Pensa che il Lazio e Roma abbiano bisogno di nuovi e più funzionali impianti sportivi? A Roma, come nel resto del territorio, quali sono i progetti che stanno vedendo la luce e quelli ancora nel cassetto? «Primo obiettivo di questo assessorato è un’attenta pianificazione delle strutture e delle attività sportive sul territorio. E il punto di partenza non può che essere questo censimento degli impianti sportivi al quale stiamo lavorando con Roma Capitale. Un progetto che vorremmo non si esaurisse in questa fase ma che, grazie alla collaborazione con il Coni Servizi, potrebbe continuare in futuro con una diffusione dei dati emersi dal censimento, per poterlo trasformare in un servizio efficace e fruibile per tutti i cittadini laziali. Inoltre esiste secondo me la necessità di elaborare i dati raccolti sugli impianti mettendoli in relazione con quelli relativi a popolazione, atleti, sportivi, divisi per fasce d’età e sesso. L’obiettivo è quello di avere uno strumento di analisi e pianificazione territoriale in funzione della pressione della domanda attiva. Altra necessità è inoltre quella di un’attenta analisi dei diversi modelli di pratica sportiva. Esistono infatti tanti e svariati modi di praticare sport: da quello ottimamente organizzato dalle federazioni, dalle società e dagli enti, alla pratica sportiva completamente destrutturata e libera che sempre più persone svolgono ogni giorno nei luoghi più disparati». Pensa che le attuali leggi regionali in materia di sport siano sufficienti per attuare e applicare un buon programma politico sportivo? «Trasparenza e chiarezza normativa devono essere alla base di qualsiasi intervento. Per questo è necessario emanare una nuova legge quadro per quanto riguarda lo sport della Regione. Una legge necessaria alla luce delle nuove e sempre più pregnanti istanze ed esigenze sia del mondo sportivo sia dei cittadini».

Il Coni e il Miur stanno, gradualmente, inserendo l’alfabetizzazione motoria nelle scuole elementari: Cosa ne pensa e come potrebbe, eventualmente, inserirsi attivamente la Regione? «L’avviamento alla motricità e ai primi passi di sport è azione indispensabile cui il Ministero ha deputato il Coni. Ma è ovvio che la Regione sarà vicina a questo percorso perché fondamentale per l’imprinting motorio dei giovanissimi». E riguardo alla sicurezza? «Su questo tema centrale e importante ai fini della prevenzione della salute e del benessere dei cittadini la Regione sta lavorando nell’ambito della Consulta per i problemi della sicurezza nello sport. Una specifica commissione analizzerà il problema e le possibili modalità d’intervento regionali. Esiste un progetto nazionale che vede la collaborazione tra CONI e INPS chiamato Sport e Salute che intende promuovere la pratica sportiva tra i cittadini di tutte le età che non fanno sport. Ed è da notare che si tratta del 69% della popolazione nazionale». Quali sono i programmi e i progetti che intende portare a compimento nell’arco del Suo mandato? «La promozione dell’attività sportiva è il mio primo obiettivo. In questo processo è assolutamente indispensabile mettere in rete tutte le istituzioni e gli enti peposti sul territorio per coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini. Il mio sogno è una grande Festa dello Sport della Regione Lazio. Inoltre sport e solidarietà, sport e integrazione devono essere binomi indissolubili. Per questo vogliamo impegnare tutte le eccellenze dello sport che esistono sul nostro territorio regionale ad impegnarsi in progetti di forte utilità sociale per aiutare tramite lo sport chi è in condizioni fisiche, mentali o sociali meno fortunate». Quali rapporti intercorrono con il Comune di Roma e l’Ufficio Sport? «I rapporti sono ottimi e lavoreremo insieme perché Roma e il territorio laziale possano offrire un calendario di eventi culturali in grado di attrarre ospiti internazionali. Le possibilità sono moltissime e le Olimpiadi del 2020 potrebbero essere il fiore all’occhiello di questa collaborazione trasformandosi in un modello di ricettività “diffusa” che garantisca un sistema di infrastrutture, di trasporti, di accoglienza turistica sul territorio romano ma soprattutto sulle aree limitrofe».

Sopra una foto di rito per l’insediamento. A destra lo scatto in occasione di xxxxxx.

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Il calcio non è solo quello giocato ma ha tante sublimazioni. In sei puntate andremo a ricordare il calcio da tavola e quello Balilla, il subbuteo e i videogiochi, le scommesse e il Fantacalcio. Partiamo in questo numero da una lunga ricerca sui principali giochi da tavolo

ECCO A VOI IL CALCIO. DA TAVOLO di Luca ALEANDRI

foto Getty Images


GIOCHI DI ABILITÀ MANUALE - GIOCHI DI SOCIETÀ - GIOCHI DI STRATEGIA CALCISTICA - GIOCHI MECCANICI - CALCI DI RIGORE

Viaggio nei giochi da tavolo football style. Dai figurini del Subbuteo ai classici table con dadi e carte. Sognando d’avere il fiuto strategico di un manager o il sangue freddo di un rigorista davanti alla porta...

I

n origine era il Subbuteo. Sì, anzi no. Il Subbuteo è solo il parente più celebre di una lunga serie. Come si direbbe in gergo, per molti anni è stato il leader del settore, anche se la sua era sembra ormai conclusa. Parliamo dei giochi che hanno avuto l’ardire di provare a ricreare l’atmosfera ammaliatrice di un campo di calcio, oppure le sue molte sfaccettature. Le stanze segrete e fumose dei manager, con le scrivanie sulle quali si decidono le sorti di un club nel prossimo campionato, o l’emozione del rigorista, solo di fronte al destino che sta per compiersi. Imprenditori del settore giochi hanno provato a vendere queste emozioni. Riuscendoci, in molti casi. Certamente producendo una serie sterminata di tentativi. L’Inghilterra in prima fila, a modellare, immaginare, inventare ciò che il calcio poteva suggerire. I filoni dei giochi si sono sviluppati principalmente in tre direzioni. Il primo, quello più realista, è capitanato dal già citato Subbuteo. Sono i giochi di abilità manuale, in cui le squadre (generalmente, ma non sempre, undici come nell’originale) sono composte da figurini pitturati, dotati di basetta equilibratrice, con gli accessori indispensabili per il match: campo, porte, pallone. Ne sono esempi meno celebri il Balyna, ma anche varianti differenti. A due giocatori, più il portiere, ad esempio, come Cup Final. In Italia i più dotati di fosforo ricorderanno Giocagoal, tipo Subbuteo con basette dritte, non ellittiche, e calciatori che avevano posture differenti a seconda del ruolo; ogni squadra era venduta con la propria metà campo. Il secondo filone è quello, non meno fortunato, dei giochi di società: classico table con dadi, carte, strategia “modello Risiko”, dove il Liverpool sostituisce il Quebec. Ne sono esempi Goal Chance, o il Billy Hamilton’s Football Academy, o ancora Matchday. Oppure le versioni che ricostruiscono l’intero cam-

pionato, ad esempio Tactics. O addirittura l’edizione Monopoli di France ’98. Questa seconda tipologia, peraltro, dà senz’altro maggiore spazio alla fantasia: c’è chi riproduce il campionato attraverso le mere vicende calcistiche, chi ripercorre le strategie manageriali, chi la butta semplicemente sulla dea bendata in una sorta di gioco dell’oca a tema. Un esempio è costituito dai giochi di strategia calcistica (tattica allo stato puro) come Carrow Road, inventato non a caso da un tifoso del Norwich: una sorta di scacchi football style. O World Soccer, una realistica ricostruzione su table di una partita di calcio. Oppure giochi composti da quiz tematici alla Trivial Pursuit, football style, of course. Altro esempio è The Final Whistle, prodotto in sinergia con il Liverpool, il cui logo ufficiale infatti campeggia sulla confezione. Infine, il terzo filone è quello dei giochi meccanici. Un campo, più o meno grande, ospita squadre di figurini non liberi di muoversi (come nel Subbuteo, per intenderci), bensì costretti a correre entro binari predeterminati (ad esempio International Football, di derivazione canadese). A questo filone può legittimamente ricondursi anche il celeberrimo Calcio Balilla, che costringe i nostri eroi entro lo spazio concessogli dalla stecca. Un po’ come Zeman, tornato recentemente in auge. Una citazione a parte merita uno dei momenti clou di un match calcistico: il calcio di rigore. Ad esso, anche per la semplicità della ricostruzione, sono stati dedicati diversi giochi. Addirittura Shoot risale al 1920. Bang It In, invece, unisce il fascino del penalty a quello del tiro a segno: il tabellone sistemato di fronte al bomber ospita infatti una porta e il suo portiere, ma anche tre fori ognuno dei quali assegna un punteggio qualora il pallone vi passasse attraverso. Come dire, il bersaglio vale più di una porta.

Air Soccer Un campo in miniatura con due giocatori per squadra e un disco da “calciare” con abilità su un cuscino d’aria. Un precursore di giochi similari da sala giochi.

Association Football Un campo da calcio formato scacchiera su cui misurarsi con giocatori-pedine.

Balyna Football La versione più comune ha il campo in alluminio e piccoli figurini in plastica con basetta tonda.

Bang It In Un rigorista, una porta, tre fori e quattro punteggi diversi. Il fascino del penalty unito a quello del tiro a segno.

Big League Un campo da gioco simile a quello del Subbuteo, con figurini pitturati che stanno in piedi da soli.


Calcio Scudetto Billy Football Academy Table di strategia sponsorizzato dal campione irlandese.

Cup Final I figurini, intercambiabili, eseguono le azioni suggerite dalle carte.

Football Stadium Semplice e divertente: la palla si calcia spingendo il figurino retto da una molla con un colpetto del dito.

Uno dei più famosi giochi italiani degli anni ’80, con figurini in plastica da personalizzare con le facce dei giocatori.

European Cup Gioco meccanico, che ricorda vagamente il flipper: la palla si muove calciata dalla gamba del figurino.

Girl Kick Versione al femminile del classico gioco da tavolo, con figurini di calciatrici in top e calzoncini succinti.

Goalspree

Gola Soccer System

Sin dalla grafica del tabellone, un Monopoli rivisto in “football style”.

Uno dei giochi da tavola più realistici e avvincenti, sponsorizzato dal campione Giuseppe Gola, detto Benè.

Italia ‘90

Soccer Game

Lo storico gioco, colorato e avvincente, lanciato in occasione dei Mondiali di Italia 90.

Per chi sogna di tirare un calcio potente: la gamba del figurino si aziona con semplicità schiacciando la testa.

Card Dice

Casdon Soccer

Adattamento calcistico del poker e del ramino, contaminato dall’uso dei dadi.

Rimasto nel cuore dei più anziani, si giocava con figurini in plastica da far ruotare con l’apposito pomello.

Fireside Football

Football Game

Glorioso gioco da tavolo, con calciatori trasformati in pedoni da scacchi.

Praticamente identico al gioco delle pulci. Con una sola variante: bisogna fare gol.

Gazza! The game Il classico penalty game, lanciato sfruttando la popolarità dell’inglese Paul Gascoigne, alias Gazza.

International Football

Glida Football Tutto in legno, si gioca con 22 pedine e la classica sfera da tirare in porta.

Hot Shot

Una sorta di calcio Balilla, arricchito dagli effetti sonori che imitano gli slogan dei tifosi.

Una via di mezzo tra il penalty game e il tiro a segno, per ricreare l’emozione di calciare un rigore.

League Championship

Los Olimpicos

Classico table con carte d’azione, pubblicizzato dal mitico George Best.

Una rarità made in Uruguay, con un tabellone-campo da gioco in stile art déco.


Luda Comune in Est Europa, si caratterizza per figurini appollaiati su una sfera piazzata nei punti strategici del campo.

22 Player game Due squadre regolamentari con figurini azionati da un pulsante che calciano la palla.

Master Manager

Match of the day

Monopoly

Gioco di strategia manageriale per ricreare l’emozione di formare una squadra vincente.

Un quiz tematico alla Trivial Pursuit, commercializzato in due versioni: anni ’80 e ’90.

Versione football style del Monopoli, prodotta in occasione dei Mondiali di Francia 98.

90 minutes Commercializzato in diverse versioni, si gioca con carte e dadi.

Premier League

Pro Action Football

Una sorta di Subbuteo reso celebre dalla basetta cubica che sostiene i figurini.

Altra versione del Subbuteo con basetta magnetica che “cattura” la sfera.

Shoot

Skicker

Probabilmente uno dei penalty game più noti. La prima versione risale addirittura agli anni Venti.

Versione italiana del Subbuteo con giocatori-disco invece di figurini.

Soccer Starbles Molto pubblicizzato in Inghilterra, si gioca come il Subbuteo. Al posto dei figurini, ci sono sfere, collezionabili.

Pelé Big Kick Gioco canadese che sfrutta la notorietà del campione brasiliano: Pelé, solo davanti alla porta, calcia un rigore.

Quizball Gioco “ibrido”: per poter tirare in porta bisogna prima rispondere esattamente a una domanda sul calcio.

Penalty Shot Penalty game in versione flipper.

Real Men Soccer Più d’ogni altro si gioca con le mani: i figurini sono infatti applicati a un guanto.

Soccer Tactics Sin dal nome, un gioco di tattica con carte e dadi.

Gioco anni Novanta, con figurini in plastica, che ricrea in modo molto realistico l’emozione del campo.

Subbuteo Soccer Chess Una vera scacchiera in legno, con figurini di calciatori al posto delle classiche pedine.

Strike Champions Penalty game vivacizzato dalle carte azione.

Lo storico gioco da tavola football style, con figurini dotati di basetta equilibratrice, campo, pallone e porte.


The Manager Gioco di strategia mangeriale, sponsorizzato dall’allenatore britannico Terry Venables.

World Cup Commercializzato dall’italiana Arco Falc, è dotato di figurini con basetta meccanica per azionare il calcio.

Top Dice Football Noto gioco anni ’50, basato su movimenti predeterminati attraverso il lancio dei dadi.

Soccer World Cup Gioco da tavolo americano piuttosto “moderno”. Sia i giocatori sia la palla hanno la forma di piccoli coni colorati.

Super Striker Simile alle prime versioni dello Striker, il calcio si aziona schiacciando un pulsante sulla testa del giocatore.

CALCIO VIRTUALE? UNA PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA - DALLA FANTASIA DEL SUBBUTEO ALLA REALTÀ DEGLI STADI -

E

d eccoci, finalmente. Le previsioni più nere si avverano, il Medioevo prossimo venturo che diventa realtà, che sa di film americano, tra scenografie di fogne, metropolitane, palestrati in vestiti di cuoio nero che salvano quello che resta della terra. Ma qui parliamo di calcio, e le previsioni a cui facciamo riferimento sono quelle di qualche anno fa, lanciate da colonne poco note, da firme poco glamour, da penne “di cartoleria”. Però, alla fine,

a quello che temevamo ci siamo arrivati davvero: l’odiato calcio virtuale. Eravamo bambini tra i Settanta e gli Ottanta, mangiavamo pane, calcio e, parecchi di noi, tifo. Giocavamo a Subbuteo ricostruendo le folle urlanti e gli striscioni di carta per il colpo d’occhio. Giochi di ugola a imitare il boato per ogni gol, ogni palo, ogni parata. Eppure sapevamo che era tutta una finzione. Eravamo bambini, ma comunque abbastanza maturi per sa-

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spq ort

BANDIERONI SI.

MA PER MANCANZA DI TIFOSI pere che la carta non era carne, che gli omini con la basetta sotto gli scarpini non avrebbero mai preso un autobus benché fossero capaci, sul nostro telo, di dribblare come Garrincha, quando c’era ad ispirarli un dito particolarmente capace. Il nostro gioco virtuale serviva soltanto a riempire i vuoti tra una domenica e l’altra. Eravamo bambini, eppure tutto questo lo sapevamo. Poi, crescendo, abbiamo ben presto scoperto che non avremmo calcato campi, indossato maglie da sudare, abbiamo capito che gli striscioni li avremmo affissi alle vetrate e non baciati dopo un gol e una corsa sotto la curva. Allora abbiamo riciclato i nostri studi, ponendoli al servizio, critico, della passione di sempre. Abbiamo attaccato – altro che tre punte! – per urlare che tutto quello che vedevamo intorno al nostro calcio ci faceva ribrezzo, che lo stavano uccidendo. Sarà la storia a dirci se avevamo ragione (questa l’ho già

sentita). Però profetizzavamo di un calcio senz’anima, virtuale, e fin qui alzi la mano chi se la sente di darci torto. E nella peggiore delle profezie parlavamo di stadi riempiti da pupazzi, ma in fondo non ci credevamo nemmeno noi, perché comunque al palcoscenico serve la platea, ci dicevamo, il pubblico è funzionale perfino a nonna Sky e mamma Premium. Invece eccola la notizia del Medioevo prossimo venturo, la bomba che mai avresti pensato. Arriva una foto da Trieste, con il pubblico dipinto! Non tutto ovviamente. Solo una tribuna, che avrà riprodotti perfino gli striscioni di club che ormai sono vuoti, vittime di un’aggregazione che non c’è più, scritte senza significato. Uomini (omini?) disegnati per stadi televisivi. E forse domani anche robot in campo che dribblano meglio di Ronaldo, e sicuramente costano meno. Il pubblico abbandona gli stadi, con il suo lascito di cartacce sul marciapiede da post partita. Il sistema ha fatto di tutto per mandarlo via: diffide dalla dubbia costituzionalità,

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prezzi impossibili, tornelli, tessere del tifoso, merchandising, trasferte blindate, trasferte vietate, partite vietate, lo spezzatino, il documento, il biglietto nominale, i botteghini chiusi il giorno della partita, le classifiche del campo e quelle del tribunale, le bandiere che non ci sono più e i mercenari che invece ce ne sono troppi. Ma la guerra, finalmente, è finita. I tifosi hanno perso. E finalmente se ne vanno. Si accomodano sul divano, birra e telecomando, come Homer Simpson. E magari, rutto libero, come il più italiano Fantozzi. Sperando che il vicino non senta, pena diffida. Tre anni solo su Rai Uno, compreso il “Meteo”, “Porta a Porta”, e “La signora in Giallo”. I tifosi, dicevamo, se ne vanno, sostituiti, a poco a poco, da teloni disegnati, che non litigano, non tirano bottigliette, non dicono parolacce. È il Medioevo prossimo venturo. Manca solo l’eroe vestito di cuoio. Forse perché non ha più niente da salvare.


LA SCHEDA

RUGBY,

che passione I GRANDI CAMPIONI SCRIVONO PER NOI

Ho iniziato a giocare a rugby a otto, nove anni. La palla ovale era nei miei geni. Mio padre è stato un valido rugbista negli Anni ’70: ha indossato anche la maglia azzurra. Da bambino andavo con lui al campo e a forza di vederlo mi è presa la voglia di giocare. Ho iniziato a farlo con il Lazio Club, ma non mi sono limitato a questo. Ho giocato a calcio, calcio a cinque, pallavolo e ho praticato anche il canottaggio. Fortunatamente mio padre, benché lo sperasse, non mi ha mai detto: “devi giocare a rugby come me”. Forse, se così fosse andata, non avrei proseguito. Invece l’amore per la palla ovale è cresciuto in me giorno dopo giorno. Andare su un campo a ruzzolarsi con i ragazzi della tua età: cosa c’è di meglio? E andare la domenica in trasferta con il pulmino, dove a bordo si canta e si fa baldoria, prima e dopo il match, è una sensazione che da ragazzino ti riempie l’anima. Semplicemente mi divertivo ad allenarmi e a giocare la domenica. Così è stato tutto più facile per me. Non ho mai fatto un sacrificio, e lo dico senza retorica, perché, ripeto, mi sono sempre divertito a giocare a rugby. Lo sport però, finanche il rugby, che ti forma e ti forgia per la vita come poche altre discipline sportive, non è e non deve essere tutto. La scuola, l’istruzione sono altrettanto importanti. Ho sempre conciliato le due cose, non nascondo a fatica, ma sono riuscito a farlo e bene. Mi sono diplomato in un liceo tosto come il Righi e nel frattempo sono diventato un professionista del rugby. Un mondo, quello del professionismo, che mi ha fatto rimanere a bocca aperta, perché ho ritrovato gli stessi valori che mi venivano trasmessi quando giocavo da ragazzino. Non è così in tutti gli altri sport quando fai il salto di categoria. Diventato un giocatore da massima serie ho cercato con tutte le forze di realizzare il sogno che inseguono tutti i rugbisti e gli sportivi: giocare con la Nazionale. Sono riuscito nell’impresa, e mi rimane davvero difficile potervi trasmettere anche una briciola delle emozioni che ho provato quando ho indossato la maglia azzurra allo stadio Flaminio, al “Sei Nazioni”. Lo stadio della mia città, casa mia. Lo stadio progettato dal grande architetto Nervi, il cui nipote Vittorio è stato uno dei miei primi allenatori di rugby. La mia famiglia, i miei amici, tutti i romani in tribuna a tifare per noi. E io lì dentro, col cuore in gola. Emozioni che provai allora e provo nuovamente ogni volta che ho la fortuna e l’onore di entrarci con la Nazionale. Ma a rugby ci si può giocare anche senza arrivare così in alto. È uno sport che ti insegna, come pochi altri, il rispetto per l’avversario, per l’arbitro e soprattutto per te stesso. Valori che servono anche nella vita, perché ti danno un inquadramento utile per affrontare ogni situazione. Provate, se non credete. Fatelo tutti, non date retta alle immagini che vedete. Per diventare un rugbista non bisogna essere Superman. Se hai veramente voglia di assaporare le emozioni di questo sport non preoccuparti di nulla. Sappi che se sei più grasso dei tuoi amici potrai diventare un pilone: da te partirà tutto, altrimenti il resto non funzionerà. Se sei troppo alto potresti diventare come me, una seconda linea: prenderai i palloni in touche per poi far ripartire la tua squadra. Se sei timido potresti diventare un’ala: pensi di essere ai margini della squadra, ma sei tu quello che segnerai le mete per la tua squadra e, segnandole, ti passerà la timidezza perché sarai il protagonista. Valerio Bernabò

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IL RUGBY A ROMA

li storici attribuiscono l’invenzione del rugby a uno studente inglese della città di Rugby. Nel 1823, in occasione di una partita di calcio nel campo da gioco della Rugby School, tale William Webb Ellis stravolse le regole del gioco correndo con la palla tra le mani invece di calciarla. Solo qualche anno più tardi però vennero codificate le regole. Le prime arrivarono nel 1970, sempre dagli studenti della Rugby School. Quelle generalmente accettate risalgono al 26 gennaio 1871, stabilite dai rappresentanti delle varie scuole inglesi riunitisi nel ristorante Pall Mall di Londra, dove venne fondata la Rugby Football Union. Nel corso degli anni la disciplina si è poi sviluppata in diverse specialità: a 15, la più nota, a 13 e a 7.

L A STORIA

G

La storia del rugby nella Capitale è antica quasi quanto quella del calcio. La Lazio Rugby è nata nel 1927, la Rugby Roma nel 1930: insieme all’Amatori Milano e al Brescia le due squadre capitoline sono le più antiche d’Italia. La Roma è in assoluto la più titolata, in quanto capace di vincere 5 scudetti, di cui l’ultimo nel 2000. Attualmente le due squadre giocano nel campionato d’eccellenza (la massima serie del rugby). Altre quattro squadre capitoline giocano in campionati nazionali. Le Fiamme Oro Roma sono in serie A girone 1. L’US Primavera Rugby, fondata nel 1976, l’Unione Rugby Capitolina, fondata nel 1996 e il CUS Roma partecipano al campionato di serie B.

L’OVALE

IL CAMPO Dimensioni: Il campo di rugby varia da una dimensione minima di 66x119 metri a una massima di 69x144 metri, inclusa l’area di meta. Linee: Al centro del campo si trova la linea di metà campo. A dieci metri da questa, da entrambi i lati, si trova la linea tratteggiata dei dieci metri. A ventidue metri dalla linea di meta si trova la linea dei ventidue metri. A cinque metri dalla linea del fallo laterale ai lati del campo si trova la linea dei cinque metri, così come in prossimità dell'area di meta. A quindici metri dalla linea del fallo laterale ai lati del campo si trova la linea dei quindici metri. L'area di meta è delimitata dalla linea di meta e dalla linea di pallone morto. Porte: I pali della porta, piazzati al centro della linea di meta, sono due montanti rotondi di oltre 4 metri di altezza (prolungabili all'infinito). Distano tra loro 5,64 metri e sono uniti da una barra orizzontale il cui filo superiore è posizionato a 3 metri dal terreno.

Linea laterale

Linea di centrocampo Linea dei 22m Linea 10m

Area di meta

15m

Linea di palla morta Linea di meta

max 69m

ono molte le regole del rugby a 15, incluse quelle non scritte, come il “terzo tempo”. Le principali sono la presenza di due squadre, composte da quindici elementi ciascuna, che si affrontano su un campo largo 66-69 metri e lungo 119-144 metri, incluse le aree di meta. Scopo del gioco è quello di segnare più punti della squadra avversaria durante gli 80 minuti di gara, suddivisi in due tempi di 40 minuti. I punti vengono marcati con la meta, che si realizza quando un giocatore mette a terra la palla oltre la linea di meta avversaria, oppure riesce a spedirla con i piedi all’interno dei pali della porta a forma di “H”. 5 punti vengono assegnati per una meta, 2 per il calcio di trasformazione seguente la meta, 3 per il calcio effettuato, con palla ferma o in gioco, il drop, non conseguente la meta. La palla di gioco è ovale e può essere passata soltanto a un compagno che si trova dietro la propria posizione.

5,6m

S

La palla da rugby è di forma ovale. Queste sono le dimensioni standard: 28 cm di lunghezza, 74 cm di circonferenza sull’asse maggiore, 59 cm di circonferenza sull’asse minore e 410 grammi di peso.

5m

L E RE GOL E

10m

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22m


LA TENUTA PILLOLE DI STORIA SIX NATIONS Conosciuto in Italia come “6 Nazioni”, è il più importante torneo internazionale di rugby a 15 dell’emisfero settentrionale. Nato come “Home Championship” nel 1883 e disputato tra le quattro nazionali delle isole britanniche (Galles, Inghilterra, Irlanda e Scozia), è divenuto “Cinque Nazioni” nel 1910 con l'ingresso della Francia, per poi diventare l’attuale torneo con l’ammissione dell'Italia nel 2000.

ITALIA KOMBAT GARAMaglia manica corta, fondo e inserti in rete in 100% poliestere, logo FIR ricamato

TERZO TEMPO Nel rugby, il “terzo tempo”, conosciuto nel mondo come “after match party”, è il tradizionale incontro dopo gara tra i giocatori delle due squadre. Un momento conviviale di socializzazione tra i giocatori, cui spesso partecipano anche le loro famiglie e, a volte, anche i tifosi; nel mondo anglosassone si svolge in genere presso la club house della squadra che ospita l'incontro. TRONCON Alessandro Troncon è il giocatore italiano, ormai ex, con il più alto numero di presenze in Nazionale. Il trevigiano ha collezionato 101 presenze prima del ritiro, avvenuto nel 2007. Tra i più forti mediani di mischia della storia, dopo il ritiro ha assunto, dal 2008, il ruolo di assistente allenatore della Nazionale italiana. In carriera ha vinto 7 titoli italiani, 2 Coppa Italia e 1 Supercoppa d’Italia con la Benetton Treviso; 1 Challenge Cup con il ClermontAuvergne (Francia); 1 Campionato Europeo per Nazioni con l’Italia.

PANTALONCINI Rigorosamente bianchi con sponsor blu ricamato

KINESIO TAPING Cerotti per distendere i muscoli contratti. Permettono una miglior circolazione del sangue

CALZETTONI Richiamano la maglia kombat

ABECEDARIO PLACCAGGIO: Consiste in un’azione, effettuata da uno o più giocatori, volta a fermare l'avanzamento dell'avversario che in quel momento è in possesso di palla. TOUCHE: È la rimessa laterale e si effettua con i pacchetti di mischia delle due squadre schierati, tutti o in parte, in fila fianco a fianco, separati dalla linea immaginaria dell'uscita della palla. UP AND UNDER: È un tiro col piede a pallonetto con parabola alta che consente a chi lo effettua di giungere di corsa sul punto di caduta del pallone per recuperarlo. DROP: Dopo la meta, e come la realizzazione del calcio di punizione (da fermo), è l’azione che frutta più punti: 3. Si segna calciando il pallone dopo averlo lasciato rimbalzare sul suolo e facendolo passare in mezzo ai pali e al di sopra della traversa.

SCARPINI Blu il triagolo Adidas bianco lateralmente e la sigla bianca su sfondo rosso sulla linguetta e sul tallone. Tacchetti gialli

“TESTA” E CORAGGIO La mischia è la fase di gioco più dura e affascinante del rugby. Il pacchetto di mischia è composto da otto giocatori per squadra che si dispongono in modo da formare due schieramenti contrapposti, il cui scopo è quello di conquistare il possesso della palla. Questa viene rimessa in gioco dal mediano di mischia che, al contatto spalla a spalla dei due schieramenti, la introduce al centro della mischia. Per favorire la regolare disposizione dei pacchetti di mischia, dal 2007 è stata introdotta la regola per la quale l’arbitro deve esprimere i comandi crouch (bassi), touch (tocco), pause (pausa), engage (ingaggio) prima dell’introduzione del pallone da parte del mediano. Gli otto giocatori si dispongono su tre linee: la prima linea, formata dai due piloni con al centro il tallonatore, che entra in contatto con la prima linea avversaria; la seconda linea formata da due giocatori che puntellano la prima linea spingendo nei due spazi tra i tre giocatori; la terza linea formata da tre giocatori, due laterali e uno centrale. L’azione di mischia si esaurisce quando la palla, senza l’uso delle mani, viene fatta uscire dal retro della mischia stessa e raccolta da uno dei mediani di mischia, o dal numero 8, per riavviare il gioco.

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I dischi in plastica flessibile, in omaggio con tanti celebri marchi: in questa versione con il marchio dell’Olimpiade di Roma e la canzone “Arrivederci Roma”

Dalle scarpe di Berruti ai biglietti di tutti gli impianti che hanno ospitato le gare. Maurizio Tecardi, presidente dell’Unione Italiana Collezionisti Olimpici e Sportivi, racconta come nasce una mostra commemorativa dei Giochi

Le scarpette di Livio Berruti, oro nei 200m


spq ort di Antonio FARINOLA foto Bruno-Getty

i collezionisti raccontano

Roma 1960

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l 25 agosto del 1960 allo stadio Olimpico di Roma prende ufficialmente il via la XVII edizione dei Giochi Olimpici. Saranno i cinque cerchi di Abebe Bikila che vincerà la maratona a piedi scalzi, di un ancora sconosciuto Cassius Clay, dei 200 m. di Livio Berruti e dei guantoni di Giovanni Benvenuti per tutti Nino. Saranno le prime Olimpiadi trasmesse in televisione che mostreranno al mondo intero la capacità organizzativa del nostro Paese. Cinquant’anni dopo, poco più in là dello stadio Olimpico, al Foro Italico, una mostra ne rievoca la grandezza, i personaggi, i simboli. Si tratta dell’esposizione di filatelia, numismatica e memorabilia organizzata dall’UICOS, Unione Italiana Collezionisti Olimpici e Sportivi, del presidente Maurizio Tecardi inaugurata il 25 agosto e alla quale

hanno preso parte anche l’Assessore alle Politiche Educative Scolastiche, della Famiglia e della Gioventù, Laura Marsilio e il Delegato alle Politiche Sportive di Roma Capitale, Alessandro Cochi. Presidente Tecardi come nasce una mostra di questo genere? «L’idea è arrivata alla fine del 2008 con l’intento di propagandare e sviluppare il collezionismo dello sport olimpico attraverso i francobolli, le monete e la memorabilia in occasione del cinquantenario dei Giochi di Roma. Decisi di scrivere al Presidente del Coni Petrucci spiegandogli il progetto. Diversi mesi dopo ricevetti la risposta in cui si parlava della nascita di un Comitato organizzativo presieduto da Franco Carraro. Così a gennaio di quest’anno abbiamo iniziato ad organizzare tutto il lavoro».

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La scelta della location? «L’obiettivo primario era sin dall’inizio l’Auditorium. Poi, dopo una serie di valutazioni, abbiamo optato per il Foro Italico». Creato il Comitato, s celta la Location, bisognava decidere come e cosa esporre. «La scelta è iniziata tra febbraio e marzo. L’UICOS, compresi i soci stranieri, può contare su circa 230 membri, ma non tutto il materiale poteva essere utilizzato per la mostra romana. Nello stesso periodo, infatti, un’associazione filatelica del nord Italia ci aveva chiesto materiale per un’esposizione parallela. Dopo aver valutato quanto avevamo a disposizione, ci siamo resi conto che avremmo potuto coprire benissimo i due eventi e paradossalmente crearne degli altri. Il problema a questo punto era cosa esporre. Non è stato facile, ma alla fine credo che sia stata fatta la scelta migliore ricevendo anche i complimenti di tutti gli ex atleti che sono venuti. Lo stesso Franco Carraro è rimasto sorpreso dal materiale esposto». Quali erano i pezzi più importanti della mostra? «Dal punto di vista documentaristico, a parte la fiaccola olimpica, direi la raccolta completa di tutti i biglietti d’ingresso degli impianti di tutti gli sport. Erano centinaia. Poi c’erano le medaglie,

quelle di partecipazione e quelle di premiazione». I costi di questo materiale per un collezionista? «Variano da Olimpiade a Olimpiade. Le fiaccole possono costare intorno ai 5000 euro, le medaglie d’oro 5-6000, d’argento 34000, di bronzo sui 2000. Tutto sommato non sono prezzi altissimi. Questo perché, avendo preso parte a diversi Giochi con il Cio, molto spesso mi capitava di vedere atleti che, finita la cerimonia di premiazione, si vendevano la medaglia. Questo avveniva specialmente con gli sportivi dell’ex Unione Sovietica che con quei soldi ci vivevano per un paio d’anni. Molte volte capita di trovare qualcosa anche in mercatini come quello di Porta Portese. Una volta mi capitò di trovare il badge di un atleta dei Giochi invernali di Cortina ‘56 con tanto di foto. Chiesi al venditore se aveva altro materiale di quel genere e mi tirò fuori una medaglia di partecipazione e una di bronzo. Con 150mila lire ho portato via tutto quanto. Altre volte può capitare che dopo la morte di un collezionista i parenti gettino tutto o regalino il materiale non conoscendone il valore». A proposito di questo. Da chi e come viene deciso il valore dei vari oggetti? «Tutto è iniziato nel 1985 dall’al-

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lora presidente del Cio Juan Antonio Samaranch, grande collezionista di francobolli e memorabilia, che decise di creare ‘l’Olimphilex’, appuntamento ormai classico con i Giochi Olimpici e alcune volte anche in occasione di eventi sportivi internazionali. Così, oltre al mercato da bancarella, sono nate delle case d’asta specializzate nella valutazione dei tre settori trainanti della memorabilia sportiva: le medaglie, i manifesti e i distintivi. La più importante di tutte è negli Stati Uniti. Noi, invece, come Commissione Cio abbiamo realizzato un catalogo delle medaglie olimpiche in cui c’erano tutti i dati tecnici: il disegnatore, le tirature, il metallo, ecc.». E Maurizio Tecardi quando ha iniziato a collezionare qualcosa? «Avevo 6 anni. Abitavo dalle parti dello Stadio Olimpico e molte volte andavo a casa dei miei amichetti. Un giorno la nonna di uno di questi mi regalò la collezione di francobolli del defunto marito. Nel 1952 ci fu a Roma, organizzata dal Coni, la prima mostra internazionale del francobollo sportivo. Mi colpì tantissimo, così andai da un commerciante e barattai la mia raccolta di francobolli classici con quella sportiva. Diversi anni dopo ho allargato la mia collezione con altro materiale».


UNA GALLERIA DI PEZZI RARI «Dal punto di vista documentaristico, a parte la fiaccola olimpica i pezzi più rari sono rappresentati dalla raccolta completa di tutti i biglietti d’ingresso degli impianti. Poi, le medaglie, con tutto il loro immortale fascino»

Un esempio di gagliardetto: qui ritratta la Lupa Capitolina.

Uno delle centinaia di biglietti d’ingresso presenti alla mostra. In questo foglio sono indicati i posti a sedere sul palco presidenziale. Dal Presidente Leone, Andreotti a Regine e Principesse.

Ricca la rassegna di magazine dalla Domenica del Corriere al Time.

Il regolamento del torneo di calcio nella traduzione in inglese e francese.

Un esempio di carta d’identità rilasciate ai partecipanti della XVII Olimpiade. Nella foto, quella storica del Presidente del Coni Giulio Onesti


Cuori tifosi che hanno smesso di battere. Famiglie distrutte da tragedie che hanno segnato la storia centenaria del calcio italiano.

Perché non accada mai più.

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na vita in chiaroscuro da fine anni '70. Una scia di sangue lunga un decennio, interrotta alla fine degli anni '80. Come altre piazze italiane, con affanno Roma annaspava in una quotidianità costretta a misurarsi con intolleranze e derive populiste. Un po' come a Milano, Torino e Genova. Ma nella Capitale c'era qualcosa in più, qualcosa di diverso, perché già venti, trent'anni fa Roma era metropoli, con quello che voleva dirne in termini di ordine pubblico, conflitti sociali, riflussi e rivendicazioni spontaneo-nichiliste. Una città segnata dalla rabbia giovanile, dal disagio delle borgate, dal movimentismo di massa come status d'affermazione. Una città timidamente alla ricerca di una convivenza civile e democratica, scossa da cronaca nera e vio-

di Maurizio MARTUCCI* lente occupazioni all'università, coi cortei del sabato proletario infuocati da minacciose chiavi inglesi ad alternarsi ai rapimenti di politici e imprenditori. Lotta di classe, sogni rivoluzionari. Un marasma generale dove s'agitava anche la famigerata Banda della Magliana, scorribande a colpi di pistola. E sul selciato restavano i martiri, il sangue di vittime in tempo di pace, segni indelebili di storia del nostro passato prossimo, impressa sulle pelle di famiglie distrutte dal dolore, amputate degli affetti più cari. Le ideologie come rivolta. La contrapposizione e il senso dell'altro come nemico da sconfiggere, da annientare. Gli opposti estremismi, un cortocircui-

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to tra destra extraparlamentare contro sinistra extraparlamentare. E poi il sistema, il centro, la nausea per il doppiopetto e i colletti bianchi, la malavita comune, la piaga dilagante della droga, il controllo delle forze dell'ordine come bersaglio mobile da colpire. E ancora, le ferite di una guerriglia urbana da leggere sopra i manifesti, sui muri delle case, fuori i palazzi delle istituzioni, nelle scuole, nelle fabbriche, in discoteca e anche allo Stadio Olimpico, terra di sport fattasi isola nel deserto. Colonne d'Ercole e marmo bianco del Foro Italico sfregiati a colpi di vernice spray, con gli slogan di una dialettica bellicosa armata da giovanissimi tifosi laziali e romanisti, intenti a ricalcare avveniristiche mode d'Inghilterra contaminandole con la riproduzione di un attivismo


stile sezione di partito. La domenica era l'appuntamento della settimana, popolare per antonomasia. Roma fingeva di spogliarsi gli abiti cittadini, provando a scordarsi del suo contenitore sociale. Ma era praticamente impossibile staccare la spina, anche per soli 90 minuti di gioco, che per molti non era affatto semplicemente un gioco. Il calcio viveva di riti magici, di tradizioni nobili vissute a nervi scoperti, radiocronache 'Tutto il Calcio Minuto Per Minuto' e portoghesi in piccionaia, arrampicati sugli alberi della collinetta verso il Fleming o ai piedi della madonnina di Monte Mario, in una liturgia sincretica tra sacro e profano, che alla buon ora iniziava sul Lungotevere per grandi e piccini, sciarpe e bandiere in mano, prima di varcare i cancelli, quando l'adre-

nalina del pubblico introduceva i calciatori al fischio d'inizio sul campo, prima della battaglia per i due punti in palio, l'orgoglio della supremazia in classifica. E poi la fila al botteghino, coi più spregiudicati costretti alla colletta partecipata, cercando offerte libere di pochi spiccioli per comprarsi l'agognato biglietto, confidando sul senso della comunità. Da un grosso bocchettone centrale si entrava direttamente nella pancia della curva e da lì si poteva scegliere: andare sotto il parterre senza transenne oppure starsene sopra, in alto verso il tabellone luminoso, ai posti a sedere su verdi panche di legno. Era tutto diverso, non c'erano i seggiolini numerati e nemmeno la copertura. In Curva Sud nacque il tifo organizzato di entrambi gli

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schieramenti. Dopo tanti anni, i giallorossi ancora oggi sono lì, mentre i biancocelesti dirottarono in Curva Nord come scelta d'indipendenza, in risposta ad una delle pagine più tristi della stracittadina. Era il 28 Ottobre 1979, il terreno si delimitava con canti e scritte, sfottò al vetriolo lasciati sui muri di cinta dello stadio o su lembi di stoffa che circoscrivevano appartenenza e senso referenziale. Ma il tifo non nacque come fenomeno violento, anzi era (ed è) principio d'aggregazione creativo e interclassista, altruismo organizzato per spronare la propria squadra alla vittoria, come se in campo scendessero 12 gladiatori, l'ultimo senza maglietta e calzoncini, ma simbiosi misterica di voci e cuori di migliaia di fedeli. Tutti per uno, uno per


tutti. I muretti venivano ricoperti dagli striscioni della tribù, amalgamata nel 1977: Eagles' Supporters da un lato, Commando Ultrà Curva Sud dall'altro. E sopra i tamburi, con i capi-coro a lanciare il primo grido d'incitamento ritmato dal popolo col battito delle mani. E gli alfieri a sventolare grosse bandiere, dipingendo con folclore spalti altrimenti ingrigiti. Così quei blocchi bianchi di travertino diventavano colore, fantasia, originalità, spunto di non omologazione ricercata. In questo clima surreale si consumò la prima tragedia della capitale pallonara, la prima vittima romana in uno stadio di calcio. Senza accorgercene, avvenne quasi per caso. Ma in Italia, in realtà, l'ipertrofizzazione dello sport più amato aveva iniziato a mietere vittime già a Viareggio nel lontano 1920. E poi a Gubbio nel 1946, a Milano nel 1958 e ancora a Salerno nel 1963. Le cause furono diverse, ma a Roma fu tutta un'altra storia. Perché dopo il primo martire arrivò anche il secondo. E poi pure il terzo, infine un altro. Quattro vittime in dieci anni, dal 1979 al 1989. Quattro vittime da non dimenticare. Quattro storie terribili. Quattro cuori tifosi, figli della città di Roma.

ROMA-LAZIO 1979, VINCENZO PAPARELLI

Esattamente 31 anni fa. Un derby di sangue, colpa un gesto esuberante trasformatosi in strumento omicida. Dalla Sud un ragazzo di 18 anni lanciò un razzo nautico ad alto potenziale, cre-

dendo di aggiungere solo qualcosa in più all'accensione di un semplice fumogeno o una torcia pirotecnica, né più, né meno. Quel razzo attraversò invece tutto il rettangolo verde, volteggiando in aria per oltre 200 metri. Sibilò come un missile, piombando d'improvviso sugli spalti della Nord, dall'altra parte della barricata. Centrò un uomo di 33 anni, padre di due bambini, reo di starsene al posto sbagliato nel momento sbagliato. Venne straziato in pieno volto mentre era seduto accanto alla moglie. Che ancora adesso ricorda quella domenica come un incubo. Vanda Del Pinto, vedova Paparelli: «Mi guardavo intorno e dicevo: ‘È tutto tranquillo oggi, non c’è tanta confusione’. Ridevamo e scherzavamo. Le squadre erano ancora sotto gli spogliatoi. Lui mangiava i bruscolini, poi verso l’una e mezzo avevo lo sguardo rivolto intorno alla scenografia e ho sentito un tonfo. Mi sono girata verso mio marito per dirgli: ‘Hai sentito?’ Quando mi sono girata ho visto mio marito con un razzo nell’occhio. A quel punto l’istinto è stato di prenderlo e toglierlo. E mio marito, quando ho tolto il razzo, è andato giù. E’ andato giù sdraiato... E poi...». Vincenzo Paparelli morì mentre l'ambulanza lo stava trasportando all'Ospedale Santo Spirito: «Mai vista una ferita del genere. Raccapricciante - disse il medico - non assomigliava neanche ad una ferita di guerra: era molto di più». L'autore del lancio del razzo si chiamava Giovanni Fio-

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rillo. Dopo una latitanza tra le valli bergamasche e la Svizzera, si costituì alle autorità giudiziarie per scontare una condanna definitiva per omicidio colposo. «Nonostante tutto l'ho perdonato, non avrebbe voluto uccidere mio padre... ma purtroppo lo uccise...», ripete Gabriele Paparelli, che per troppi anni ha dovuto convivere con l'insensibilità e un vuoto culturale colmato dalla stupidità di quanti, come per gioco, oltraggiavano il nome del padre invece di ricordarlo come monito per il futuro. Ma oggi le tifoserie di Roma sono finalmente mature e Vincenzo Paparelli può riposare in pace col rispetto di tutti, romanisti accanto ai laziali. E una targa affissa dal Comune di Roma nell'ingresso del settore Distinti della Curva Nord sta lì a testimoniarlo. Oltre i segni del tempo.

BOLOGNA-ROMA 1982, ANDREA VITONE

Una famiglia di Piazza Bologna sconvolta nel pieno della notte, pochi mesi prima della trionfale 000 terzo titolo mondiale con Bearzot. Era il 21 Marzo 1982, uno squillo improvviso della Polizia sul telefono della famiglia Vitone, casa in Via Livorno: «Siete pregati di raggiungere subito Orte. Sul vagone andato a fuoco è stato trovato il corpo di un giovane. Potrebbe trattarsi del vostro congiunto». Un convoglio di tifosi romanisti stava rientrando da Bologna: la Roma aveva perso in Emilia per due reti ad una. Al confine tra Umbria e Lazio, quel treno si trasformò in un rogo a cielo aperto. All'altezza della piccola stazione di Sant'Oreste, lasciate Viterbo e Civita Castellana, le fiamme avvolsero il corpicino di Andrea Vitone, 13 anni, detto 'Puccino' per via del fratello maggiore Giuseppe, conosciuto dagli amici del Commando Ultrà Curva Sud col soprannome di 'Pucci'. «Andrea era simpatico, scherzava sempre a scuola e fuori – ripeteva un compagno di scuola - aveva una vera passione per il calcio, era tifosissimo della Roma e quasi sempre la seguiva in trasferta. Ci andava col fratello più grande e il lunedì non veniva a scuola, restava a casa a riposarsi. Altri interessi? Il motorino, ci stava sempre sopra, sognava la moto, era la sua passione. E poi il biliardo, a stecca e a carambola in un bar sulla Nomentana, dove andavamo di pomeriggio». Il piccolo Vitone si spense su quel treno. Non ci fu mai una versione ufficiale dei fatti. Incendio doloso, incendio


colposo, forse il corto circuito dell'impianto elettrico, oppure una bravata costata cara. Un buco nero infittito dal mistero di una vendetta covata nell'ombra, consumata a fuoco lento seguendo la legge del taglione, con altri due ragazzi spariti nel nulla ad effetto domino, uno dietro l'altro, senza che le loro famiglie ne rinvenissero mai i cadaveri. Un giallo risolto molti anni più tardi grazie alle confessioni di un pentito: Luca Viotti (15 anni detto Er marmotta) venne freddato in un agguato sferrato nell'oscurità di una fungaia dove oggi c'è l'Ospedale Pertini. Una sorte macabra anche per Stefano La Valle (19 anni di Tor Lupara), forse murato senza pietà in una palazzina a Torvajanica, senza via di scampo. Pochi lo sanno, ma se si può dire così... di calcio si è morti anche in questo modo...

PISA-ROMA 1986, PAOLO SIROLI

La tragedia che si ripete, praticamente lo stesso copione. Ancora una volta i tifosi della Roma in ritorno da una trasferta. Ancora una volta un treno in fiamme prima di sbarcare a Termini. Ancora una volta un giovane rimasto a terra, intrappolato nel corridoio, tramortito dall'ossido di carbonio, calpestato dalla ressa di gente impaurita, in salvo alla meno peggio. A due giornate dalla fine del campionato, la squadra all'epoca allenata da Sven Goran Eriksson avrebbe voluto culminare una clamorosa rincorsa ai danni della Juventus. Però vanificò l'impresa all'Olimpico la settimana successiva con un incredibile Roma-Lecce 2-3 passato alla storia. Sul convoglio di rientro da Pisa, nel nodo ferroviario tra Ponte Galeria e l'autostrada per Fiumicino, a pochi chilometri dalla Stazione Ostiense morì nel sonno Paolo Siroli, classe 1968, abitante nel centralissimo quartiere Prati: «Era mio amico – disse un coetaneo atavamo sempre all'oratorio San Giuseppe, al Trionfale, e quando è venuto a domandarmi se andavo a Pisa gli ho detto che sarei partito in treno con il solito gruppo. Voleva venire anche lui, per festeggiare l'aggancio alla Juve e così siamo partiti insieme alla Stazione Ostiense alle 3 di notte: era la sua prima trasferta al seguito della Roma. Paolo era bravo, era tanto bravo, aveva anche una ragazza. All'Olimpico, a vedere la Roma, ci andavamo sempre insieme».

MILAN-ROMA 1989, ANTONIO DE FALCHI L'ennesima trasferta senza ritorno, con biglietto di sola andata, stavolta però per colpa di un'aggressione selvaggia compiuta da un isolato gruppo di tifosi milanisti. Accadde fuori lo Stadio San Siro, prima di Milan-Roma, a ridosso dei Mondiali di Italia '90. Antonio De Falchi era in compagnia di tre amici residenti sulla Casilina: si stava dirigendo verso il Meazza dopo aver visitato il centro intorno al Duomo. Non ostentava nemmeno sciarpe romaniste, ma l'accento romano ne tradì l'origine senza dargli scampo: «Me l’hanno ammazzato. Antonio, Antonio mio, bello de mamma. Ma perché? Perché l’hanno fatto… perché l'hanno fatto?». Mamma Esperia ancora oggi non si da pace, disperandosi nella sua casa di Torre Maura per la perdita del figlio più piccolo, 18 anni appena raggiunti. Un agguato fatale. Antonio restò solo sull'asfalto: non resse l'urto di una violenza ingiustificabile e il suo cuore cessò di battere all'improvviso. Il processo nel tribunale di Milano si concluse con un nulla di fatto e non vennero mai accertate responsabilità e responsabili nei tre gradi di giudizio. Quella di De Falchi resta una morte impunita, purtroppo episodicamente anche schernita e vilipesa dall'ignoranza di chi dovrebbe rispettarla in silenzio, meditando perché non si ripeta mai più. «Il significato del ricordo, il peso della memoria… De Falchi presente!», lo striscione esposto dai ragazzi della Curva Sud giallorossa in

Roma-Milan del 6 Marzo 2010. La memoria è comunque salva.

INTER-LAZIO 2007, GABRIELE SANDRI

Un delitto che non c'entra niente col mondo del calcio, ma che comunque un'informazione distorta ha preteso di farcelo entrare. «Dentro quella macchina avrebbe potuto esserci chiunque», dice Giorgio Sandri. Quanto accaduto ha segnato le coscienze delle tifoserie di tutta Italia, unite nella richiesta di giustizia giusta per l'insensata morte di un ragazzo di 26 anni della Balduina, noto Dj della movida romana, tifoso della Lazio, colpito mortalmente da un colpo esploso dall'agente della Polstrada Luigi Spaccarotella mentre con gli amici si trovava a bordo di un'auto sull'autostrada RomaFirenze, direzione Milano, gara InterLazio dell'11 Novembre 2007. Da quel giorno è nato il popolo di Gabbo. Anche il Comune di Roma ha contribuito alla costituzione della Fondazione Gabriele Sandri, mentre nel quartiere della vittima c'è Parco Gabriele Sandri. E allo Stadio Olimpico, in Curva Nord come in Curva Sud, si grida «Gabriele uno di noi!», superando ogni divisione calcistica, animati da senso civico, garantismo e responsabilità. Gabriele Sandri è riuscito a unire quello che gli estremismi degli anni '70 divisero: i giovani della città di Roma.

Lo scrittore Maurizio Martucci ha presentato così in Campidoglio il suo ultimo libro Cuori Tifosi’: «Il calcio è anche e soprattutto un fenomeno sociale e dev’essere trattato da chi conosce la materia, in particolare il mondo giovanile». Nella foto da sinistra il giornalista Italo Cucci, l’autore del libro Maurizio Martucci, Cristiano Sandri, Gabriele Paparelli e Alessandro Cochi, Delegato alle Politiche Sportive del Comune di Roma. In piedi l’Onorevole Mario Baccini. CALCIO DI PIOMBO | 125


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IN TUTTA ITALIA QUEI MORTI DIMENTICATI

“Spero che questa mia storia la ricordino le Istituzioni, i giornalisti, i tifosi. Affinché tutto questo non accada mai più. Dopo trent’anni non me ne faccio ancora una ragione. Tanti figli hanno sofferto come me. Tanti non hanno potuto avere più un padre. Perché”.

Gabriele Paparelli

1979: Vincenzo Paparelli è da poco morto e la Curva Nord chiede ai giocatori di non disputare la partita

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Un lungo elenco di sangue. I nomi di chi ha perso la vita dal 1920, data in cui si annota la prima vittima in uno stadio a maggio del 2009. • AUGUSTO MORGANTI, 2 Maggio 1920, tifoso del Viareggio ucciso da un colpo di pistola sparato da un Carabiniere • GIORDANO GUARISCO, 30 Novembre 1958, tifoso del Milan schiacciato dalla folle accalcata nello Stadio San Siro • GIUSEPPE PLAITANO, 28 Aprile 1963, tifoso della Salernitana, ucciso da una pallottola vagante esplosa da un poliziotto in Salernitana-Potenza • VINCENZO PAPARELLI, 28 Ottobre 1979, ucciso nel derby RomaLazio • MARIA TERESA NAPOLEONI e CARLA BISIRRI, 13 Giugno 1981, morte in seguito alle ustioni riportate nel rogo della Curva Sud dei tifosi della Sambenedettese • ANDREA VITONE, 21 Marzo 1982, romanista morto sul treno in fiamme di ritorno da Bologna-Roma • STEFANO FURLAN, 8 Febbraio 1984, tifoso della Triestina morto dopo un lungo stato di coma in seguito alle manganellate infertegli da un poliziotto • MARCO FONGHESSI, 1 Ottobre 1984, tifoso milanista ucciso da un altro milanista al termine di Milan-Cremonese • BRUXELLES, Heysel Stadium, 29 Maggio 1985, 39 vittime nella strage della finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool • PAOLO SIROLI, 13 Aprile 1986, romanista morto sul treno in fiamme di ritorno da Pisa-Roma • NAZZARENO FILIPPINI, 17 Ottobre 1988, tifoso ascolano morto dopo un'agonia seguita agli scontri di Ascoli-Inter • ANTONIO DE FALCHI, 4 Giugno 1989, tifoso romanista morto in un aggressione prima di Milan-Roma • CELESTINO COLOMBI, 10 Gennaio 1993, bergamasco morto durante una carica delle forze dell'ordine dopo Atalanta-Roma • SALVATORE MOSCHELLA, 30 Gennaio 1994, siracusano gettatosi dal treno per sfuggire ad un'aggressione di tifosi del Messina • VINCENZO CLAUDIO SPAGNOLO, 29 Gennaio 1995, genoano pugnalato a morte da un gruppo di milanisti prima di GenoaMilan • ROBERTO BANI, 11 Maggio 1997, tifoso bresciano caduto rovinosamente allo stadio durante Salernitana-Brescia • FABIO DI MAIO, 1 Febbraio 1998, tifoso trevigiano morto durante una carica delle forze dell'ordine dopo Treviso-Cagliari • MAURIZIO ALBERTI, 8 Febbraio 1999, tifoso pisano morto dopo il coma seguito ad un malore accusato durante Pisa-La Spezia • CIRO ALFIERI, VINCENZO LIOLI, GIUSEPPE DIODATO, SIMONE VITALE, 24 Maggio 1999, morti nel rogo appiccato sul treno dei tifosi campani di ritorno da Salernitana-Piacenza • ANTONINO CURRÒ, 2 Luglio 2001, colpito mortalmente da una bomba carta prima di Messina-Catania • SERGIO ERCOLANO, 20 Settembre 2003, morto dopo gli scontri nel derby Avellino-Napoli • MASSIMO BRUNI, 22 Novembre 2004, leader dei tifosi della Sambenedettese, precipitato dalla Curva Nord del Riviera delle Palme • ERMANNO LICURSI, 27 Gennaio 2007, dirigente de La Sammartinese morto dopo una rissa in una gara di calcio dilettantistico calabrese • GABRIELE SANDRI, 11 Novembre 2007, tifoso della Lazio ucciso da un poliziotto con un colpo di pistola esploso sull'Autostrada del Sole • MATTEO BAGNARESI, 30 Marzo 2008, tifoso del Parma ucciso in un incidente sotto le ruote di un pullman in un autogrill di Asti • EUGENIO BORTOLON, 23 Maggio 2009, caduto mortalmente dal settori esposti durante Parma-Vicenza.


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I BARBARI SUL COLLE DI ROMA ALESSIA FILIPPI NUOTATRICE

Su Francesco Totti: «Non chiamatemi Pupona, per favore, ammiro Francesco e sono tifosa giallorosa, ma Totti è Totti, io sono io. Io sono Alessia Filippi e basta».

hanno detto

CRISTIANO BLANCO GIOCATORE DI POKER PROFESSIONISTA Il peso delle vittorie: «Molto spesso i giocatori agli inizi riportano delle vittorie, anche consistenti perdendo così il senso con la realtà. Bisogna saper tenere i piedi a terra».

Premiata in Campidoglio la squadra romana di Football americano "Barbari Roma Nord", Campioni d'Italia per il terzo anno consecutivo, quinto in 10 anni. Hanno partecipato alla premiazione Federico Guidi Presidente della Commissione Bilancio e Alessandro Cochi Delegato allo Sport.

L’Hockey subacqueo L’associazione ASD Romaquatik Sports ha organizzato il primo meeting internazionale di Hockey subacqueo Città di Roma. L’idea nasce da Christian Iary Schembri che nel lontano 1999 portò questa specialità nella capitale. La manifestazione si è svolta presso la ASCD Racing nuoto.

TOMMASO ROCCHI GIOCATORE DELLA LAZIO A fine carriera: «Se dovessi rimanere nel calcio vorrei fare qualcosa di diverso, un po’ mi mancano le domenica con la famiglia e i figli, un giorno mi piacerebbe tornare a viverle, vedremo».

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LA S.S. LAZIO E I GIOCHI DI ROMA Il 24 settembre scorso anche la S.S. Lazio ha voluto ricordare i Giochi Olimpici del 1960, tramite una serata al Circolo Canottieri Lazio (la cui piscina fu all’epoca anche impianto olimpico) con i propri atleti che parteciparono cinquant’anni fa alle Olimpiadi di Roma. Da Salvatore Gionta a Giancarlo Guerrini della pallanuoto, a Giuseppe Avellone, Anna e Daniela Beneck, Paola Saini, Maria Cristina Pacifici, Daniela Serpilli e Welleda Veschi del nuoto. Non c’erano Roberto Ferrari della scherma e Fabio Paiella dei tuffi, venuti a mancare prematuramente.


L'anno magico di Tonino Zugarelli fu il 1977. Il tennista romano, quarto uomo della famosa squadra vincitrice della Coppa Davis, conquistò la finale agli Internazionali del Foro Italico, sconfitto in 4 set da Vitas Gerilaitis.

A PALAZZO VALENTINI, I CAVALIERI DELLA ROMA

Maria Sensi e Patrizia Prestipino, Assessore della Provincia di Roma

Anche quest’anno l’Associazione “I Cavalieri della Roma”, presieduta da Lino Cascioli e Antonio Calicchia, ha rinnovato il suo affetto verso i tifosi più illustri. Presso la Sala di Liegro di Palazzo Valentini sede della Provincia di Roma, sono stati nominati 12 nuovi Cavalieri giallorossi: Mariolina Bernardini figlia di Fulvio Bernardini; Davide Bordoni Assessore alle Attività Produttive, al Lavoro e al Litorale di Roma Capitale; Gianfranco Caporlingua imprenditore; Davide Ciaccia Amministratore Delegato Atletico Roma; Serena Dandini giornalista; Giovanni Floris giornalista; Cristoforo Gentile imprenditore; Antonio Olivieri dirigente amministrativo; Stefano Petrucci Presidente Acer; Giorgio Rossi tecnico massaggiatore; Mirella Sacerdoti cardiologa, figlia di Renato Sacerdoti; Carlo Mazzieri imprenditore, commercialista. Madrina dell’evento l’Assessore alle Politiche dello Sport della Provincia di Roma Patrizia Prestipino. Presente anche la signora Maria Sensi.

Davide Bordoni, Assessore di Roma Capitale

PASSIONE OLIMPICA Un tedoforo di Roma ‘60 ricorda un’olimpiade di cui è stato protagonista e della quale vorrebbe mantenre il ricordo attraverso le immagini. Un piccolo angolo d’emozione a testimonianza dei Giochi che hanno lasciato il segno nei cuori degi romani e degli italiani

HOCKEY FEMMINILE SAN SABA

CENTRI SPORTIVI RICREATIVI AMBIENTALI Una giornata di sport all’insegna della natura i è appena conclusa la manifestazione sportiva organizzata dall’A.S.I. Roma (Presieduta da Roberto Cipolletti), nel cuore della Riserva Naturale di Monte Mario, iniziativa che ha avuto lo scopo di valorizzare discipline che si praticano a stretto contatto con la natura. Le decine di partecipanti, che nonostante una giornata di pioggia, non hanno voluto mancare questo appuntamento si sono potute cimentare e divertire su due diverse pareti di arrampicata sportiva, hanno assaporato l’ebbrezza di un passaggio su un ponte tibetano di oltre 30 metri sospeso tra i pini del parco, si sono sfidate in appassionanti gare di tiro con l’arco. Per i più piccoli, ma non solo, erano a disposizione arbitri e portieri per tirare i calci di rigore ed anche una postazione dedicata al golf. Alla manifestazione, realizzata anche grazie al contributo della Regione Lazio e patrocinata dal Comune di Roma, ha partecipato tra gli altri il Delegato alle Politiche dello Sport Alessandro Cochi, che ha sottolineato l’importanza di iniziative di questo tipo volte a valorizzare discipline sportive che, oltre ai valori fondanti dello sport, riescono anche a trasmettere il rispetto e l’amore per la natura.

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L’Hockey Femminile Libertas San Saba, la società romana vincitrice quest’anno del suo ottavo scudetto e Roma Formula Futuro, la società che fa parte di FG GROUP che sta gestendo il progetto della Formula Uno a Roma, hanno annunciato oggi di aver stipulato una partnership avente per scopo lo sviluppo del marketing della squadra stessa. A ridosso dell’inizio del campionato si consolida così il team di partner delle rossoblu, anche quest’anno tra le favorite della stagione.

LA GIORNATA DELLO SPORT PARALIMPICO Non posso non esprimere la grande soddisfazione per la 'V Giornata Nazionale dello Sport Paralimpico' che ieri nello splendido stadio delle Terme di Caracalla, vanto tra gli impianti di proprieta' comunale, ha visto migliaia di ragazzi cimentarsi in tante discipline diverse". Lo afferma Alessandro Cochi, delegato del sindaco Alemanno alle Politiche sportive.


Il 31 gennaio 1970 il Palauer ospitò il match che consacrò Bruno Arcari a livello mondiale. Il pugile ciociaro conquistò l'iride battendo dopo 15 durissimi round il filippino Pedro Adigue

DA QUESTO NUMERO RACCONTEREMO UN CAMPIDOGLIO NON SOLO SPORTIVO, GRAZIE ALL’UFFICIO FOTOGRAFICO DEL COMUNE DI ROMA

CAMPIDOGLIO. NON SOLO SPORT

Seduta straordinaria dell’Assemblea Capitolina per il conferimento della cittadinanza onoraria di Roma Capitale al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Campidoglio - Aula Giulio Cesare prima, durante la conclusione dei lavori di restauro. Il Sindaco di Roma, Gianni Alemanno, inaugura il nuovo anno scolastico presso la Scuola media “C. Piva”.

Ara Pacis, presentazione del nuovo logo per la promozione culturale e turistica di Roma.


Il cucchiaio di legno è il poco ambito premio per chi arriva all'ultimo posto nel Sei Nazioni di rugby. Una tradizione ereditata da una consuetudine riservata dagli studenti di Cambridge ai colleghi meno bravi

E pensando a Roma Capitale, un libro sul sacrificio degli eroi Il 20 settembre si è celebrato il 140° anniversario di Roma Capitale. Evento accompagnato dalla pubblicazione del volume “A la Breccia de Porta Pia” di Renato Merlino e stampato a cura del Consigliere Comunale On. Antonino Torre. Il volumetto tratta prima della sfortunata avventura per detronizzare il Papa-Re nel 1867 e successivamente l’intervento del Governo Italiano che con la Breccia di Porta Pia consacrò finalmente Roma Capitale nel 1870. L’autore descrive in prosa e in poesia il tentativo di entrare in Roma dei “settanta” guidatidai fratelli Cairoli poi sconfitti a Villa Glori. Quindi, il sacrificio dei romani nel

lanificio Aiani guidati da Giuditta Tavani Arquati. E poi la prima e unica sconfitta di Garibaldi a Mentana procurata dai terribili fucili Chasspot dell’esercito francese. Ci si sofferma sulla battaglia di Porta Pia. Alcuni versi: «Roma che già se sente libberata, slarga le braccia e bacia li sordati; la gente sparpajata pe li prati, se fionna a fà da sponna a la sfilata. Abbraccichi, carezze... E’ n’affacciata de libbertà. E rideno beati! Le pene de li secoli passati so’ pene, ormai, de n’epoca scordata. minerva scese giù dar monumento, strappò ‘na piuma da ‘gni berzajere e la frullò pell’aria immezzo ar vento. Er sole appizzò l’occhio ar cannoccchiale, vedenno Roma piena de bandiere, la consacrò pe sempre Capitale!».

A Testaccio una targa per Gabriella Ferri Il 23 settembre a Testaccio in piazza Santa Maria Liberatrice per una testaccina doc, Gabriella Ferri. Alla cantante scomparsa nel 2004, è stata dedicata la targa commemorativa dove nacque il 18 settembre del 1942. A celebrare la cantante i versi della sua canzone “Sempre”, “anche tu così presente così solo nella mia mente tu che sempre mi amerai" che sfilano sotto la dicitura "a Gabriella Ferri, grande interprete della canzone italiana". Presenti, tra gli altri, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il sovrintendente Umberto Broccoli, l'Assessore capitolino alla Cultura Umberto Croppi, il Delegato allo Sport Alessandro Cochi, il Presidente della Commissione Sport Federico Mollicone, il Delegato del Sindasco di Roma per il Centro Storico Dino Gasperini, i familiari, la sorella Teresa Ferri, il figlio Seva Borzak e i nipoti. Tanti gli artisti, Renzo Arbore, Lando Fiorini, Tosca, Pino Strabioli, Elena Bonelli, Giorgio Onorato. Di fronte ad una piazza affollata, sfilano i familiari. Teresa Ferri: «oggi commemoriamo Gabriella, ci manca, ci manca tutto quello che di grande avrebbe potuto regalarci. Essere immortali significa aver lasciato qualcosa nel cuore. In tutti noi rivive la sua rete e il suo modo unico e irripetibile di essere artista». Dice il figlio Seva: «Roma ci aiuta a ricordare, ha saputo mantenere il passato radicato nel presente, quello che conta è la volontà di voler ricordare una persona che ha voluto dare a Roma molto di se stessa. La targa per me e mio padre è un grande orgoglio. La targa rispecchia la voce di Roma». Parlano gli amici. Lando Fiorini: «Sentiamo tanto la sua mancanza. In televisione all'inizio mi disse 'a giovanò canti troppo pulito, mettici un pò de impiccio». Renato Zero manda uno scritto recitato da Broccoli "Roma è un po' più nuda da quando se n'è andata". Renzo Arbore: «Gabriella è il mio impatto con Roma. Mi introdusse alla città e mi insegnava tutte le canzoni romane. Il ricordo di Gabriella è di una romanita' straordinaria come Anna Magani, la passione per la città, l'umore e la vitalita'". Tosca: «Faccio questo mestiere per lei, l'ho vista al teatro la prima volta che avevo nove anni". Poi le autorità. Broccoli sottolinea: "Non era un personaggio, era una persona, con tutta la sua complessità, immediatezza e aggressività. La sua capacità è l'aver coniugato la dimensione storica della canzone romana con l'aggiornamento». Chiude Alemanno: «La cultura dei grandi artisti della Roma contemporanea, degli attori e cantanti ci parla di messaggi veri e di valori che non possono e non devono essere persi. Ascoltando una canzone di Gabriella Ferri s'impara un pezzo di vita e di saggezza. L'impegno che oggi Roma si prende scoprendo la targa è quello non solo di ricordare Gabriella Ferri ma anche di far si che la sua arte non si perda».

CORSI DI ATLETICA LEGGERA CON LA LAZIO Scuola di avviamento e perfezionamento all’atletica leggera. Al via i corsi di atletica leggera per ragazzi nati dal 1995 al 2001. L’organizzazione è curata dalla S.S. Lazio Atletica Leggera con frequenza bisettimanale presso lo Stadio della Farnesina (Ponte Milvio) o lo Stadio Paolo Rosi (Acqua Acestosa). I ragazzi saranno seguiti da personale laureato Iusm/Isef sotto la supervisione tecnica del Prof. Mario Vaiani Lisi. A tutti gli iscritti sarà consegnato un ricchissimo kit di abbigliamento sportivo. È prevista inoltre la visita medico-sportiva presso la clinica Villa Stuart, la copertura assicurativa e il tesseramento FIDAL e CSI. Per informazioni ed iscrizioni: tel. 06.37517331 info@sslazioatletica.net

LUOGHI E PERSONAGGI DA SCOPRIRE In Sindaco Alemanno con il figlio della Ferri Seva, Tosca e Lando Fiorini. Si riconoscono anche Dino Gasperini, Delegato per il Centro Storico di Roma Capitale e Lando Fiorini

Renzo Arbore racconta la “Sua” Gabriella La cantautrice Tosca. Alle sue spalle Ferri. Dietro il consigliere del Municipio l’Assessore alla Cultura Umberto Croppi I, Maurizio Forliti.

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Volete raccontarci una storia particolare legata ad uno sportivo? O un luogo della città dove lo sport è protagonista? Inviate la vostra segnalazione a: redazione@spqrsport.it


La Parigi-Tour, classica ciclistica del calendario internazionale, è l'unica corsa di un certo spessore mai vinta dal ciclista più vincente di tutti i tempi, il belga Eddy Merckx

COLISEUM ON FIRE er tre notti il Colosseo, grazie a uno spettacolare artificio tecnico, è stato avvolto dal fuoco. È stata l’occasione per sollecitare una riflessione sulla conservazione della cultura del nostro passato, sul restauro, sulla fruizione e infine sulla sostenibilità e sui temi legati alle energie rinnovabili. È stata anche un’opportunità rara offerta all’arte contemporanea che a sua volta ha avuto il merito di saper attivare con vigore grazie a un coinvolgimento totale, un dibattito in questa direzione. Un evento curato dal Direttore del Colosseo Rossella Rea, dall’architetto Piero Meogrossi, Direttore tecnico del Colosseo assieme all’art curator Gianni Mercurio e alla regista Christina Clausen. Evento che trova spazio sulle nostre pagine pensando anche al Colosseo come arena di sport di tanti secoli fa.

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IN COREA SI SFIDANO I VIGILI DEL FUOCO DI TUTTO IL MONDO I romani conquistano 21 medaglie! Gli italiani nel World Firefighters Games

Vigili del Fuoco del Gruppo Sportivo VV.F. “F. Sorgini” di Roma sono tornati vittoriosi dall’XI^ Edizione dei World Firefighters Games 2010, “olimpiadi” riservate ai Vigili del Fuoco di tutto il mondo, che quest’anno si sono svolte a Daegu, in Korea. Gli atleti hanno gareggiato in diverse discipline, affrontando colleghi di varie nazionalità, fino a conquistare ben 21 medaglie: nel dettaglio, 8 ori, 7 argenti e 6 bronzi. che vanno ad unirsi alle altre 15 medaglie vinte dai VV.F. di altri gruppi sportivi dei Comandi Provinciali di tutta Italia. Da sottolineare l’eccellente prestazione dell’atleta So-

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IL PROSSIMO NUMERO

nia Badoni, vincitrice di ben 4 ori nel nuoto. Gli atleti partecipanti hanno così bissato il successo ottenuto nella precedente edizioni dei Giochi conquistando medaglie anche in discipline non praticate in precedenza dai Vigili del Fuoco romani. L’impegno e la dedizione per l’attività sportiva dimostrata da questi atleti sottolinea quanto sia sentito lo sport tra i Vigili del Fuoco; la partecipazione è stata possibile grazie all’intervento di partner privati in quanto il Corpo Nazionale VV.F. non partecipa ufficialmente a queste manifestazioni a causa di motivi economici.

NEL MONDO DEI VIGILI DEL FUOCO NEWS | 124

Cognome e Nome ORO ROMANELLI RUGGERO Cossu Gianni Badoni Sonia Messia Giada

Comando Provinciale VV.F.

Disciplina Sportiva

Roma Roma Roma Roma

Ciclismo Ciclismo Nuoto Nuoto

ARGENTO Romanelli Ruggero De Santis Paolo Biondi Danilo Messia Giada Mattei Felice

Roma Roma Roma Roma Roma

Ciclismo Lotta Tennis Nuoto Atletica Leggera Mt. 800

BRONZO Messia Giada Cossu Gianni Spalletti Claudio Mattei Felice Messia Giada

Roma Roma Roma Roma Roma

Salvamento Ciclismo Lotta Atletica Leggera Mt. 1500 Nuoto


Il momento più alto del basket romano risale alla stagione 1982-83, quando la Virtus Roma si aggiudicò lo scudetto battendo nella terza gara della serie l'Olimpia Milano.

GLI ENTI DI PROMOZIONE SPORTIVA

CSI, la più antica poliportiva italiana C.S.I sta per Centro Sportivo Italiano. E’ la più antica associazione polisportiva attiva in Italia. Nasce nel 1906, su iniziativa dell’Azione Cattolica, come la Federazione delle Associazioni Sportive cattoliche Italiane e viene sciolta nel 1927 prima di riprendere l’attività nel 1944 come Centro Sportivo Italiano. Pur dichiarandosi quale prosecuzione ideale del passato, la stessa nuova denominazione, nei confronti della precedente, vuole indicare una precisa apertura apostolica verso tutta la gioventù italiana e non più limitarsi alle sole associazioni sportive cattoliche. Nella nascente Italia democratica vuole affermare il diritto di tutti i cittadini ad associarsi liberamente per praticare l’attività sportiva. Riconosciuta dal C.O.N.I. come Ente di Promozione Sportiva, l’associazione promuove lo sport come momento di aggregazione sociale, di educa-

zione, di crescita e impegno ispirandosi ai valori umani e cristiani. A livello provinciale, regionale e nazionale , il C.S.I. organizza annualmente campionati e tornei di decine di sport. Vanta un numero di 850.000 atleti, e organizza circa 8.000 tornei all’anno. Tra quelli con maggior successo troviamo Basket, Atletica, calcio a 5, a 7, a 11, Judo, Karate, Nuoto e Pallavolo. “Sono due gli eventi che mi piace ricordare in particolare”, spiega Franco Mazzalupi, Presidente Provinciale del CSI, ente in cui milita dal 1958 ricoprendo varie cariche a livello nazionale e locale. “Aria Aperta è un festa multidisciplinare che comprende tanti sport e persino delle passeggiate ecologiche. C’è poi un evento riservato alle scuole: oltre 1500 studenti sono condotti alla scoperta delle ville romane. La didattica e l’avvicinamento del giovane allo sport sono per noi fonda-

mentali”. Il CSI getta un ponte nel futuro: “Abbiamo pensato, in collaborazione con il Bambin Gesù di Roma, di parlare ai giovani di problemi come l’obesità perché movimento e sport servano alla crescita dell’individuo”. Nel 2007 ha anche organizzato la prima edizione della Clericus Cup, una competizione calcistica dedicata agli iscritti degli istituti pontifici di Roma e provincia. Con Mazzalupi al Provinciale, l’attuale Presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano è il milanese Massimo Achini, eletto dalle Società Sportive di tutta Italia nel giugno del 2008. Eleonora MASSARI

I SONDAGGI DI SPQR SPORT

Cosa ne pensate di questa rivista? A quali argomenti dovremmo dare più spazio? Cosa avete gradito di più e di meno del numero d’esordio? Potrete dare il vostro parere sul sito www.spqrsport.it grazie al primo dei sondaggi i cui risultati saranno poi pubblicati anche sulla rivista. Grazie al vostro giudizio e ai vostri consigli, aiuterete la redazione a sviluppare un prodotto sempre più interessante e vicino a voi.

IL CALCIO A 8. CON L’AQUILA SUL PETTO ll’inizio era il calcetto, forse perché era difficile arrivare a ventidue amici, o forse perché cominciavano a rendersi disponibili la sera gli spazi dei campi da tennis, fatto sta che a poco a poco, nella capitale, sempre più giovani, meno giovani, under e over si cimentavano al calcetto. . . e fu grazie al movimento sempre più crescente che da divertimento si passò alla tattica, agli schemi, alle società, alla disciplina e dal calcetto si passò appunto ad un più tecnico: calcio a 5. Oggi, la storia si ripete e dal calciotto si è ormai passati al calcio a 8, dove imperversano tattiche, strategie, società e tor-

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nei. È in questa realtà, sempre più crescente e organizzata, che si è affacciata, da lunedì 27 settembre anche la polisportiva della Lazio. Nella splendida cornice del Futbolclub, erano presenti le due compagini della Lazio, che nell’occasione hanno sfidato le vecchie glorie della Lazio, la squadra categoria Assoluti, che disputerà il campionato di Lega della A2 e la squadra degli Over che si cimenterà nello storico torneo del Pezzana. Il Presidente della S.S. Lazio calcio a 8, Luciano ZACCARDI, ha così salutato e augurato, alla presenza del Presidentissimo Buccioni, un “in bocca al lupo” alle due squadre, che saranno impegnate sui campi del circolo della Polizia di Stato di Tor di Quinto, sede del torneo Pezzana, e del circolo “Stella Azzurra” di Via Ostiense, dove si svolgerà il girone di A2 della Lega calcio a 8.

Nel segno del golf Andreas Harto ha vinto con 265 colpi (66 65 65 69), diciannove sotto par, il Roma Golf Open 2010 presented by Rezza disputato sul selettivo percorso dell’Olgiata Golf Club (par 71). Il torneo del Challenge Tour europeo era inserito anche nel Pilsner Urquell Pro Tour, il circuito delle gare nazionali allestito dal Comitato Organizzatore Tornei dei Professionisti della FIG. Il 21enne danese, dopo aver concluso le 72 buche regolamentari alla pari con il 25enne svedese Joel Sjoholm (68 65 67 65), lo ha superato con un birdie alla prima buca di spareggio.

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È il 1998 l'anno in cui Varenne ha iniziato la sua scalata ai vertici mondiali del trotto. Suo il successo nel Derby a Tor di Valle, l'ippodromo di Roma, battendo il favorito Viking Kronos, considerato l'astro nascente della specialità.

Giochi di strada

Al via una nuova rubrica che numero dopo numero ci racconterà i classici giochi di una volta. Sono ricordi e patrimonio di un tempo passato, soffocato dai videogiochi e dalla strada che non è più un luogo dove divertirsi. Ma c’è chi sta provando a farli tornare.

Il tiro alla fune La documentazione del tiro alla fune come sport risale ad un'iscrizione egiziana del 2.500 a.C. sulla tomba di MezeraKu in Sakkara. Negli antichi giochi olimpici (500 a.C. il tiro alla fune era praticato sia come attività sportiva autonoma, sia come pratica di allenamento per altre discipline.

DISCENDIAMO IL TEVERE All’Isola Tiberina si è tenuta la IV edizione di “DiscendiAmo il Tevere”: è stato possibile provare l’emozione di far parte di un equipaggio su un gommone sulle rapide del Tevere. Il tratto sottostante ponte Fabricio è stato teatro di spettacolari gare e di dimostrazioni rigorosamente gratuite, in pieno spirito Uisp. In più, l’Area Acquaviva del Comitato Uisp Roma (con il patrocinio della Commissione Sport di Roma Capitale), ha predisposto sulla banchina il Villaggio d'Acquaviva con stand espositivi di associazioni sportive e ambientaliste.

Lo sport del Tiro alla Fune è praticato da due squadre. Ogni squadra di tiratori è composta da 8 membri. La gara si considera iniziata quando le squadre sono nella posizione di tiro sotto la supervisione del giudice di gara. Ogni squadra può disporre di una riserva che potrà essere utilizzata per sostituire uno qualsiasi dei tiratori della squadra. La sostituzione può avvenire solo una volta e può essere fatta per ragioni tattiche o per infortunio. Nel caso di un nuovo infortunio la squadra può continuare a gareggiare con soli 7 tiratori. La squadra che rimane con meno di 7 tiratori non può continuare la gara stessa. Ogni squadra può avere un proprio allenatore che diriga le tirate. Ogni componente la squadra dovrà indossare abiti sportivi. E' ammesso l'uso di resine per facilitare la presa sulla corda ma l'uso è ristretto alle sole mani. Gli scarponcini dei competitori devono avere la suola, il tacco, e i lati perfettamente lisci senza puntali o piastre metalliche sotto le suole. La corda di gara deve avere una circonferenza di almeno 10 cm e una lunghezza non inferiore a 33,5 metri. I nastri adesivi o marca-

ture della fune devono essere fissati in modo tale che il giudice possa regolarli se la corda si allunghi o restringa. I nastri o marcatura saranno posti 1 al centro della corda, 2 a quattro metri dal centro in entrambi i lati, 2 a cinque metri dal centro in entrambi i lati. I nastri devono essere di tre colori diversi. L'area di tiro deve essere piana, coperta d'erba con una linea al centro del terreno di gara. All'inizio della gara il primo tiratore afferrerà la corda il più vicino possibile alla marcatura, la corda non potrà essere passata attraverso nessuna parte del corpo, ogni giocatore deve tenere la corda con entrambi le mani con le palme rivolte verso l'alto e la corda passerà tra il corpo e la parte superiore del braccio dello stesso tiratore: ogni altra presa che ostacoli il libero movimento della corda è infrazione alle regole. II tiratore alla fine della corda sarà chiamato uomo ancora, la corda passerà lungo il corpo diagonalmente attraverso la schiena e sopra la spalla opposta da dietro a davanti, il rimanente della corda passerà sotto l'ascella in direzione all'indietro ed esterno. Il capocorda afferrerà poi la parte diritta della fune con entrambi le mani con le palme rivolte in alto e braccia estese in avanti. Durante la gara non è ammesso compiere queste infrazioni: sedersi, toccare il terreno con parti del corpo all'infuori dei piedi, utilizzo di prese diverse da quelle ammesse, sedersi su un piede e non estendere i piedi in avanti, arrotolare la corda alle mani, se l'allenatore parla con la squadra mentre sta tirando. Il pareggio viene decretato nel caso in cui le due squadre si impegnano senza successo ottenendo uno stallo, predisporre tacche a terra prima che sia dato il comando di partenza. Dora CIRULLI

A CONVEGNO, L’UNIVERSITÀ DELLO SPORT è tenuta a settembre, presso l' uniSlico»,iversità degli studi di Roma «Foro Itail Convegno mondiale dell'Associazione Internazionale di Filosofia dello Sport (Iaps). L’iniziativa vede la partecipazione dei maggiori esperti del mondo di questo settore ed è occasione di confronto sui temi della filosofia dello sport. Alla cerimonia di apertura sono intervenuti Fabio Pigozzi, Prorettore Vicario dell’Ateneo e Presidente del Convegno, il Membro del Cio in Italia Ottavio Cinquanta e il Delegato alle Politiche dello Sport per il Campidoglio Alessandro Cochi. Corey Brennan, dell’Accademia Americana in Roma, ha tenuto la lettura magistrale di apertura. L’evento è stato preceduto dal convegno “Archivi di donne sportive. Università del Foro Italico, un progetto in costruzione”, nel corso del quale è stato presentato un progetto di collaborazione tra Università e Agensport. Durante il Convegno si sono poi esibite le ragazze della Società Ginnastica Romana, l’Ass. Ginn. Flaminio e l’Ass. Polimnia Ginn. Ritmica Romana, guidate da Marina Piazza. A fine cerimonia è stata consegnata da parte di Ottavio Cinquanta una targa ricordo a Marina Piazza, direttore tecnico della squadra nazionale di ginnastica ritmica, attuale campione del mondo, e all’atleta Marta Pagnini, in rappresentanza di tutte le compagne di squadra. NEWS | 126


FULVIO BRUNO Telethon

MASSIMO GRIMALDI Ct Eur

MAURIZIO ROMEO Tennis Club Parioli

ANTONIO BUCCIONI Presidente Associazione Circoli Storici di Roma

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On. ALESSANDRO COCHI Delegato alle Politiche Sportive di Roma Capitale

GIOVANNI MALAGÒ Circolo Canottieri Aniene

ALFONSO ROSSI Circolo canottieri Lazio

BRUNO ALBANI Sporting Eur

GIUSEPPE RAMIREZ Roma Polo Club

La prima gara giocata da Paulo Roberto Falçao allo stadio Olimpico di Roma risale al 30 agosto del 1980 contro l'International di Porto Alegre, ex squadra del fuoriclasse brasiliano. L'incontro si concluse con il punteggio di 2-2.

CORRI INSIEME A PETER PAN Si è svolta, con partenza da piazzale del bel respiro in villa Pamphili, l'undecesima edizione della maratona "corri insieme a Peter Pan" sulla distanza dei 5,3 km. La manifestazione organizzata dall'associazione Peter Pan in collaborazione con il comitato provinciale dell'UISP e con il patrocinio dell'Ufficio Sport di Roma Capitale ha visto la partecipazione, oltre che di un gran numero di agonisti ed amatori, del Delegato allo Sport Alessandro Cochi nonchè grande amico di Peter Pan e di due testimonial d'eccezione come i calciatori ex Lazio Giuliano Giannichedda e Giuseppe Favalli. Scopo della manifestazione è quello di promuovere la solidarietà verso i bambini e le famiglie colpite dal cancro ed attualmente ospiti presso le strutture dell'associazione.

IL KITESURF IN CAMPIDOGLIO La passione per la fotografia e per il mare ha spinto Roberto Foresti a scrivere un libro dal titolo “Kitesurf Planet”, una rassegna fotografica di grande emozione recentemente presentata in Campidoglio in una conferenza stampa moderata dal giornalista Michele Ruschioni. L’autore, anch’esso un kiter, ha voluto raccontare uno sport particolarmente emozionante e impegnativo. Il kitesurfing è uno sport relativamente recente, nato all'incirca nel 1999 nelle calde e ventose acque delle isole Hawaii. Si pratica con un'apposita tavola e un aquilone (kite o ala) manovrato mediante una barra di controllo collegata ad esso da due, quattro, o più line (cavi) lunghi e sottili in dyneema o spectra.

L’OLIMPIADE DEI CIRCOLI STORICI ROMANI oma candidata ai Giochi del 2020 ha un cuore sportivo. Quello dei circoli storici, che si affacciano sul Tevere e non solo, dove migliaia di persone praticano lo sport quotidianamente. Non è un caso, allora, che sono stati proprio i soci dei circoli a lanciare Circoliamo, l’Olimpiade dei sodalizi che è giunta ormai alla sua quinta edizione, con un successo incredibile e una grande partecipazione. L’evento è stato presentato in Campidoglio. Il Presidente della Commissione Sport Federico Mollicone ha sottolineato: “è fondamentale sostenere l’esperienza di Circoliamo con il suo carico di valori sportivi e tradizionali. I Circoli rappresentano un patrimonio per la città di Roma”. Il 30 settembre, quindi, è ripartita, con circa 1000 soci di 7 circoli capitolini, CC Aniene, CC Lazio, CC Roma, RCC Tevere Remo, TC Parioli, CT Eur e Sporting Eur, che si sono confrontati in 16 discipline sportive. Finisce con un punteggio inequivocabile, ed una prova di forza incredibile: la quinta edizione di Circoliamo, l’Olimpiade dei circoli romani, va al Canottieri Aniene di Giovanni Malagò. La classifica finale parla molto chiaro: 136 per la prima, 88 punti per il Parioli secondo e poi – giù giù – tutti gli altri a distanze ancora più siderali. Ma a colpire è anche il dominio assoluto dell’Aniene in quasi tutte le specialità di Circoliamo: su 16 medaglie in palio, il circolo dell’Acqua Acetosa ne ha portate a casa ben 12, per un dominio quasi assoluto. L’ultimo tassello è la gara di calcetto, vinta per 6-5 da Malagò e compagni contro il Parioli che pure schierava in campo Zibì Boniek: gli altri 11 ori arrivano da Biliardo all’italiana, bridge, canottaggio, corsa, burraco, gin rummy, tennis Tavolo, golf, nuoto, pallacanestro, pallavolo. Nella classifica finale, al terzo posto c’è il Canottieri Lazio con 73 punti, poi Tevere Remo 69, Canottieri Roma 59, Sporting Eur 56, CT Eur 50.

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La vittoria nel basket del CC Aniene

IL PRIMO LIBRO SUL KITESURF

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INVIAGGIO NEI MUNICIPI DI ROMA di Maria IEZZI

Si ringrazia Andrea Alemanni, Consigliere Delegato allo Sport per il supporto al servizio

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l vecchio quartiere Italia si sviluppa a ridosso di via Nomentana, partendo da Porta Pia, luogo della storica “breccia”, ove si erge il monumento ai bersaglieri proprio di fronte alle MuQuartieri ra Aureliane. Caratteristica di questa parte del Delimitazione territoriale: Municipio è la grande densità di ville storiche. In queNomentana - San Lorenzo sto quadrante del territorio municipale si trovano an- Stazione Tiburtina- P.zza che l’imponente e vasta struttura del Policlinico UmBologna berto I, che da sempre accoglie pazienti da tutta la citPopolazione: 53.059 tà e, in parte importante, anche dalla Regione, e la Presidente: Dario Città Universitaria, frequentata da oltre 150 mila stuMarcucci denti, ai primi posti tra gli atenei europei per numero Delegato allo Sport: di iscritti. Dalla Città Universitaria, andando verso la Andrea Alemanni ferrovia, si arriva a San Lorenzo, l’altro storico quarSede: via Goito 35 tiere del III Municipio. Nato alla fine del XIX secolo, Tel: 06.69.603.19 diviene sede di importanti attività industriali quali la fabbrica di Birra Roma, la vetreria Sciarra, il pastificio Cerere, di cui resta testimonianza negli edifici ora riconvertiti ad uso civile. Quartiere prettamente popolare, si trasforma nel tempo con la costruzione di un piccolo nucleo di città giardino, denominato Quieta Domus, con edifici realizzati dalla Cooperativa Risorgente e due villini in stile Coppedè. Il 19 luglio 1943 subisce un intenso e drammatico bombardamento che provoca circa 3.000 vittime e oltre 11.000 feriti. Molti edifici vengono distrutti o seriamente danneggiati; anche il cimitero monumentale del Verano viene duramente colpito. Attualmente San Lorenzo è considerato uno dei quartieri più alla moda della città, ricco di locali e punti di ritrovo dedicati soprattutto agli studenti, che si ritrovano per la consueta movida nella vicina piazza Bologna. Il III Municipio ospita anche la stazione Tiburtina che nel prossimo futuro sarà riservata all’alta velocità. Da questa si snoda la Tangenziale Est, oggetto di una imponente opera di adeguamento che la sposterà vicino al percorso dei binari. Il Terzo raccoglie tra i suoi residenti un mondo variegato per età, estrazione sociale e provenienza: la vicinanza con la stazione Termini e piazza Vittorio comporta infatti la presenza di numerosi cittadini stranieri.

Roma capitale d’Italia

La breccia di Porta Pia attraverso la quale i bersaglieri entrarono in Roma. Di lì a poco l’Urbe divenne capitale d’Italia.

Lo sport nel quartiere

Nelle ville lo sport in III

Caratteristica di questa parte del Municipio, il più piccolo di Roma, è la grande densità di ville storiche di grandissimo pregio architettonico: si va da villa Mirafiori a villa Blanc, da villa Torlonia, un tempo dimora di Mussolini (nel tempo ha subito pesanti danneggiamenti e atti vandalici finché, a fine anni ’70, è stata acquistata dal Comune, che ha avviato l’opera di ristrutturazione), a villa Borghese, villa Ada, Monte Antenne e altri polmoni verdi che si trovano al confine del territorio. Proprio nelle ville la cittadinanza trova il suo sfogo sportivo e ricreativo. A villa Torlonia, ad esempio, c’è Technotown, ludoteca per ragazzi specializzata nel settore tecnologico, vicino a un centro sociale per anziani con annesso un campo di bocce, mentre intorno c’è un percorso attrezzato e spiazzi per giocare a pallone. Oltre alle ville, importante è la presenza degli impianti delle scuole (compresi i campi universitari) e delle parrocchie: la scuola dei Salesiani, con la vicina Santa Francesca Cabrini, oggi oggetto di lavori per la realizzazione di parcheggi sotterranei, ha, ad esempio, una palestra, un campo da calcio a 8, uno da tennis, due polivalenti in cui praticare pallavolo, basket o calcetto (qui insegnava Padre Mario che negli anni

Municipio III DAL TERRITORIO | 138

Si parte dal III, il più piccolo per estensione territoriale dove sport fa rima con chiese e ville ’80 fu tra i primi a far conoscere il calcetto a Roma dopo aver fatto una lunga esperienza in Brasile, a seguito della quale il neo-acquisto romanista Falcao, appena arrivato a Roma, fece alla Cabrini la sua prima visita sul territorio). Fiore all’occhiello dell’impiantistica comunale, in attesa di un impianto polifunzionale a via Como, è lo storico campo Artiglio dove generazioni di giovani hanno imparato a dare calci a un pallone.

Gli impianti del III Istituto Comprensivo Scuola Infanzia Scuola Primaria Sc. Sec. I grado Sc. Sec. II grado Punti Verdi Qualità Impianti Comunali Impianti Ecclesiastici Impianti Privati Dati forniti dall’Ufficio Sport, estrapolati dal progetto PRISP (Piano Regolatore dell’Impiantistica Sportiva) che, entro il 2013, mapperà tutti i luoghi dove fare sport nella capitale onde proporre un piano di sviluppo dell’impiantistica sportiva.

P R I S P


alfabetizzare con la sua trasmissione “Non è mai troppo tardi” milioni di italiani, a quelle private, fiorenti in un Municipio sostanzialmente borghese. Progetto di punta del III Municipio è “Sport in classe”, un’iniziativa diretta agli utenti più piccoli delle scuole materne ed elementari. Il progetto prevede un’ora di attività motoria con istruttori qualificati per i bambini del territorio. La ragione di tale iniziativa risiede nella volontà di permettere anche agli studenti più piccoli di svolgere attività motoria, considerato che nelle loro classi lo sport non è previsto nell’orario scolastico e, pertanto, non è finanziato e organizzato dalla scuola. “Sport in classe” coinvolge circa 3.000 bambini delle scuole del III Municipio e prevede per gli alunni delle elementari attività strutturate e complesse (quest’anno, ad esempio, le arti marziali), per i più piccoli attività motorie più semplici con spunti di tipo ludico. Il progetto è attivo nel territorio da almeno 5 anni.

Spazio ai municipi romani. Per inviare notizie o far conoscere la tua realtà locale scrivi a redazione@spqrsport.it

SPORT IN CLASSE

LE PROPOSTE SPORTIVE DEL MUNICIPIO

Municipio vede le scuole in prima fila. Da quelle pubbliche, come Fratelli Bandiera, famosa per aver avuto tra le proprie fila il più granIdelal Terzo maestro della scuola italiana, quell’Alberto Manzi che ha contribuito ad

N T O L ’ E V E

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IMENTO rt, il III Municipio MENTEavvINicinareMOV la cittadinanza allo spo a

Al fine di , che coniug “Mente in movimento” organizza la rassegna azione, che di est nif ma nti culturali. La iniziative sportive ed eve una settimana e ha luogo nel mese circa norma ha una durata di almente gratuiti una serie di incontri tot di settembre, prevede le, con l’obiettivo di del territorio municipa presso i centri sportivi l’offerta di attività o lor far conoscere coinvolgere i cittadini, ne di prova. Il III almente fare una sessio sportive fruibili ed eventu nde sottolineare inte ne, zio tale manifesta Municipio, nel sostenere cazione all’attività esta una corretta edu quanta importanza riv e ad ogni età. sportiva, ad ogni livello

News dai Municipi II Municipio Le domeniche di Viattiva L’assessorato alle Politiche Sociali del II municipio, in collaborazione con l'Associazione Vitattiva, organizza l'iniziativa "Sport, Salute e Sanità". La prima puntata ha già avuto luogo domenica 3 ottobre, proponendo corsi di ginnastica dolce a basso impatto fisico e un corso di ritmo e movimento. Ma per tutti gli amanti delle passeggiate, l'associazione realizzerà dei percorsi che potranno essere affrontanti indistintamente, con differente intensità, da giovani e meno giovani. Le lezioni, totalmente gratuite, inizieranno alle ore 10 con la ginnastica dolce, alle 11 con ritmo e movimento, alle 10.30 e alle 11.15 ci sarà la partenza dei due gruppi delle passeggiate. Oltre a domenica 3 ottobre, l'iniziativa si è ripetuta nelle domeniche del 10, 17 e 24 ottobre. riaprirà i battenti 8, 15, 22 e 29 maggio 2011. Per informazioni contattare l'associazione al numero 06 4957871 o sul sito www.vitattiva.it

XIII Municipio Sportquarta «Otto edizioni con la 30 chilometri del Mare di Roma significano organizzazione, competenza e successo per una iniziativa che coinvolge l'intero territorio del municipio XIII, da sempre a vocazione sportiva. La corsa, in particolare, ha sempre appassionato i lidensi che in questa occasione possono abbinare lo sport con la riscoperta di alcuni te-

DAL TERRITORIOI | 139

sori turistico-ambientali di inestimabile valore. Ringraziamo gli organizzatori per aver scelto questo territorio». È quanto afferma l'assessore allo sport del municipio XIII, Giancarlo Innocenzi alla vigilia dell'edizione 2010 della "30 km del Mare di Roma". La corsa su strada ha avuto luogo domenica 10 ottobre con partenza alle 9 dallo stadio Giannattasio (ex Stella Polare) dove peraltro sarà approntato anche un villaggio Maratona e dove è prevista anche la conclusione della gara, valida come Campionato Regionale AICS 30 Km riservata ai tesserati degli Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI e ai tesserati FIDAL, purché in regola con le norme sulla tutela sanitaria dell'attività sportiva e che alla data del 10 ottobre 2010 abbiano compiuto il 18° anno d'età. Il ritrovo è fissato alle ore 7.

X Municipio Scuola di Atletica Leggera e di Pattinaggio Artistico Si segnala l'inizio di attività nel nostro Municipio di due importanti scuole sportive in Via Francesco Gentile n. 41: la Scuola di Atletica Leggera e la Scuola di Pattinaggio Artistico.

XI Municipio Uno sguardo sul mondo Edizione della Festa dell’intercultura, “Uno sguardo sul Mondo”. Cinque gli appuntamenti in programma, con spettacoli, animazione, giochi e sport per tutti.


Municipio III Il campo Artiglio, recentemente rinnovato grazie al Piano Urbano Parcheggi, meglio noto come PUP

CENTRI SPORTIVI COMUNALI

UN LUOGO STORICO, IL CAMPO ARTIGLIO

N

el territorio del III Municipio, dotato di strutture private, universitarie, parrocchiali e private, il campo Artiglio di via Boemondo rappresenta un gioiello storico di proprietà comunale. La struttura è stata riqualificata con i fondi derivanti dal Piano Urbano Parcheggi (PUP), grazie ai quali sono stati realizzati un campo di calcio, tre campi di calcetto e una grande palestra polivalente. L’impianto sarà totalmente fruibile dalla cittadinanza a partire dal settembre 2010, in coincidenza con l’apertura delle scuole. È stata, difatti, stipulata una convenzione con il concessionario dell’impianto, per far sì che la struttura, durante la mattina, sia a disposizione delle istituti scolastici. Tale opportunità riveste una grande valenza in relazione all’educazione allo sport dei cittadini più piccoli, considerando che gli istituti scolastici del III Municipio, ospitati in edifici di gran pregio architettonico, sono dotati di spazi modesti per l’attività motoria.

C’è poi la struttura di via Como, in costruzione. Una volta aperto, questo diventerà l’impianto sportivo comunale più vicino al centro della città: una vera sfida per il territorio del III Municipio, così densamente edificato. Ristrutturando l’area preesistente, verrà realizzato un centro polifunzionale con quattro campi da tennis in terra, una piscina regolamentare e una più piccola per bambini. Il progetto ha una valenza molto importante non solo per la posizione, vicina al cuore della città, ma anche perché consentirà di incrementare l’offerta di impianti sportivi comunali di alta qualità, con la garanzia di tariffe accessibili a tutti i cittadini. Allo stato attuale, il cantiere è ancora aperto: sono stati ritrovati dei reperti archeologici e si è reso necessario uno scavo appropriato per recuperarli. Una volta riesumati, i reperti verranno peraltro conservati in una piccola area museale, ricavata all’interno dell’impianto e visitabile su richiesta.

UN CAMPIONE DAL TENNIS AL CALCIO

Il grande campione di tennis, da sempre appassionato di calcio, da giovane giocava sui campi dell’Artiglio.

Quando Nicola Pietrangeli giocava a Piazza Bologna DAL TERRITORIO | 140


Uno scatto che ferma una storia. Un’immagine che ha il potere di regalare un momento alla leggenda e suscitare emozioni. Istanti che rimangono impressi nella pellicola e nell’anima. Senza bisogno di alcuna spiegazione.

1949. Fangio a Roma Il pilota argentino Juan Manuel Fangio fotografato a Roma alla guida della sua Maserati. L'anno successivo, nel 1950, venne istituito il primo campionato del mondo di Formula Uno. Fangio vinse nel 1951, per poi ripetersi con un fantastico poker consecutivo dal 1954 al 1957

1968. Goleada alla Roma Il portiere Pierluigi Pizzaballa (E NON Pizzaralla!!!!) si tuffa nel vano tentativo di evitare una rete dell'Inter. Una giornata pesante per la Roma, che verrà sconfitta dai nerazzurri per 6-2. Oltre alle indubbie qualità tecniche, Pizzaballa è noto anche per essere stato una sorta di tabù per i collezionisti di figurine: la leggenda narra che la sua fosse praticamente introvabile


1934. ondiali L’Italia vince i Mto domenicale en Ritagli dal supplem ra”, dedicato lla Se del “Corriere de ndiali di calcio alla finale dei Mo Italia e da a 1934, giocat 10 giugno a il a hi cc va slo Ceco dello stadio del po m Roma, sul ca


1930. In palestra Anni Trenta: Gli interni della palestra Gymnasium di Roma. In quegli anni il regime dava molta importanza alla preparazione fisica dei giovani, a tutti i livelli

1931. Moto contro aereo Immagine della gara di velocità tra un aereoplano e una moto, svoltasi il 13 dicembre 1931 all’aeroporto Littorio di Roma. Il motociclista vinse la corsa.


1960. Il Giro d’Italia a Roma 19 Maggio 1960: la partenza del 43° Giro d'Italia. I campioni passano davanti al Palazzo del Quirinale a Roma. Quel giorno, dopo 212 km la tappa fu conquistata a Napoli da Dino Bruni che restà leader per sole 24 ore prima di cedere la maglia rosa a Romeo Venturelli. La classifica finale se la aggiudicò il fuoriclasse francese Jacques Anquetil

Olimpico, Lazio-Inter In un Olimpico gremito. Roberto Boninsegna (E NON PINO) evita il tackle del laziale Giuseppe Papadopulo (E NON GIORGIO). Sulla sinistra il grande Giacinto Facchetti. Boninsegna, detto 'Bonimba', è stato uno dei più grandi cannonieri italiani di ogni tempo: fu colonna fondamentale nella spedizione azzurra del 1970 in Messico, segnando sia nella semifinale con la Germania che nella finale con il Brasile


Si ringrazia per il materiale e xxxxx

SPORT DILETTANTISTICO

ALLA SCOPERTA DELLE SOCIETÀ ROMANE DI TUTTI GLI SPORT

TENNIS TAVOLO. PARALIMPICO L’isola che non c’era Associazione affiliata dal 2003 alla Fitet e al Cip. Ha 95 atleti tesserati di cui 8 disabili, uno è nella rosa della nazionale in preparazione per le Paralimpiadi di Londra 2012. Organizza ogni anno manifestazioni sportive integrate e tornei di tennis da tavolo. L’attività si svolge presso la palestra dell’Istituto Armellini in largo B.P. Riccardi – San Paolo, XI Municipio – Roma. Il Presidente è Domenico Scatena (fondatore). Segretario dell’associazione è Simone Gaffino (co-fondatore).

di Saverio FAGIANI

È

il luglio del 2002 quando due amici disabili, Simone e Domenico, supportati da altri amici, danno vita nel piccolo oratorio di una parrocchia all’associazione tennistavolo L’isola che non c’era. Inizia così l’avventura sportiva dei nostri amici (premiati in Campidoglio dall’Amministrazione Comunale e dal Presidente Regionale del CIP, Pasquale Barone) che con la loro iniziativa vogliono trasmettere un’immagine diversa e formativa della disabilità, lanciando così un messaggio di speranza per tutti i disabili che, bloccati

Anche attraverso il ping pong avviene il processo d’integrazione tra normodotati e diversamente abili

TENNISTAVOLO cenni di storia

dall’ostacolo psicologico, vedono l’attività motoria in gruppo come un traguardo irraggiungibile. Credendo nel processo d’integrazione tra individui, e tra disabili e normodotati, attraverso lo sport, i due amici istituiscono corsi di tennistavolo per tutti. Dopo i primi passi il cammino prosegue con l’affiliazione alla Fitet, la federazione di riferimento, e al Cip, e quindi con la possibilità di far gareggiare i propri atleti nelle gare regionali. Già nel 2003, a Firenze, arrivano i primi titoli italiani. Negli anni successivi la società partecipa ai vari campionati regionali e nazionali sia maschili che femminili, concorrendo sempre con atleti disabili e normodotati. Nel luglio del 2005 due atleti della società, Simone Gaffino e Augusto Casciola, vengono convocati dalla nazionale italiana disabili per parte-

LO SPORT DELLA CAPITALE | 142

Nel 1884 si incontra per la prima volta il termine "tennis tavolo" in un catalogo commerciale del venditore di articoli sportivi F.H. Ayres. Con l'avvento della plastica e della celluloide vengono introdotte nuove palline, che sostituiscono in breve tempo quelle in gomma e in sughero. Proprio dal suono emesso dal rimbalzo delle palline di celluloide viene coniato il termine onomatopeico “ping pong”, che diventa peraltro un marchio registrato. Alla fine dell'Ottocento cambia radicalmente anche l'attrezzo usato per colpire la pallina, che in passato assomigliava più ad un tamburello, con la nascita della moderna racchetta in legno.

cipare al campionato mondiale di New London, nel Connecticut, dove raggiungono un risultato storico: la conquista della medaglia di bronzo a squadre. Dopo vari piazzamenti ai campionati italiani CIP, nella stagione agonistica 2008-2009 la squadra dell’Isola che non c’era si laurea campione d’Italia, confermandosi poi nella stagione successiva con uno storico bis tricolore.


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