Lutfi Alia | Il codice consuetudinario albanese

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LUTFI ALIA

IL CODICE CONSUETUDINARIO ALBANESE (KANUN DI LEK DUKAGJINI) LE CATEGORIE ETICO - MORALI

Siena 2016

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LUTFI ALIA

IL CODICE CONSUETUDINARIO ALBANESE (KANUN DI LEK DUKAGJINI) LE CATEGORIE ETICO - MORALI

Edizione II

Siena 2016 2


Titolo originale:

IL CODICE CONSUETUDINARIO ALBANESE (KANUN DI LEK DUKAGJINI) LE CATEGORIE ETICO - MORALI Autore: Lutfi ALIA

Redattore: Prof Fabio BERTI Consulente: Prof Vincenzo GALATRO Copertina: Genci ALIA Fotocomposizione: Christina CHRISTENSEN

Siena 2016 3


Ai miei nipoti Emma ALIA Matteo ALIA

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Convegno di Alessio (Lezha), 1444

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PREFAZIONE Prof Franco BELLI Quando, qualche mese fa – certo troppi, ma in sintonia con i miei tempi biblici di scrittura – l’Autore di questo libro, mi propose di svolgere la funzione di Prefattore, dopo aver accettato di getto e con entusiasmo da quello sconsiderato che sono, non potrei fare a meno di domandarmi per quale arcano motivo Lutfi avesse scelto proprio me. Non sono un antropologo e non so, forse oramai potrei azzardarmi a dire “non sapevo” – di storia e di costumi albanesi. Sono un Professore di diritto dell’economia, ergo “giurista di complemento”- dell’Università degli Studi di Siena, che ha avuto contatti non sporadici, per corsi o per tesi di laurea con studentesse e studenti albanesi. Inoltre, per buona giunta, mi bastò sfogliare appena e di tralice il saggio di Lutfi Alia ed il libro di Avv. Pandi Frasheri, per rendermi conto che, pur trattando di un per me misterioso “Kanun”, aveva a che fare con il diritto, con quello “positivo” che un pò mi è famigliare, in maniera affatto particolare. Sarebbe stato preferibile – che so io? – uno storico del diritto, un filosofo del diritto o, almeno, un costituzionalista. Glielo dissi. E gli dissi anche che, magari, avrei preferito scrivere la prefazione ad un suo libro di poesie, del tipo Notturno senese, struggente omaggio di un’ospite che pur ha lasciato il cuore nel paese di origine; ma, già lo sapevo per esperienza diretta, gli albanesi sono più che tenaci, Lutfi non è da meno e … non demorse. E dunque? Dunque, di sicuro il dottor Alia, “profugo” a Siena ormai da molti anni, non aveva optato per il sottoscritto, diciamo così, ratio materiae, bensì per altri motivi. Fra questi in particolare, l’amicizia, ritengo. Un’amicizia, cementata negli anni dal comune amore per la poesia; un’amicizia che ha resistito, 6


stranamente direi, alle numerose “sòle” (in toscano significa “fregature”) che avevo rifilato a Lutfi. Perché non vieni a Tirana a presentare la riforma universitaria italiana.” “Certo che sì.” “Quando?” “A ottobre…a novembre … in primavera … a fine estate … ” E via andare, con questa musica, con questo rosario di promesse non mantenute, ma ancora non conoscevo il significato ed il valore fondante nella società albanese della “Bessa” (la parola data). Oggi che, grazie a questo libro, ne ho contezza, prometto (abbastanza) solennemente all’Autore che, prima o poi, mi munirò di passaporto – non si meravigli il Lettore: sono una rara bestia stanziale – e manterrò la promessa.. Ma veniamo, per brevissime parole, ai contenuti di questo libro: il “Kanun”, o i “Kanun”, perché, come risulterà chiaro al Lettore, la storia albanese ha prodotto vari kanun. Mi soffermo sul Kanun di Lek Dukagjini. Siamo al cospetto di un codice consuetudinario, che in verità affonda radici nella notte dei tempi e che porta chiare tracce della civiltà greca e del diritto romano, che fu organicamente risistemato nel corso del quattrocento, grazie all’opera del principe Lek Dukagini. Il Kanun, tramandatosi oralmente nel corso dei secoli, come unica fonte del diritto per regolare una società politicamente martoriata e priva di altre leggi, riportato in forma scritta da Padre Stefano Costantino Gjeçovi, nei primi decenni del secolo scorso, recepito dalla legislazione dello Stato d’Albania nel 1912, fu pubblicato nel 1933. Inutile ricordare che il Kanun cadde in disuso durante il regime comunista, sopravvivendo tuttavia in maniera carsica. Attualmente non è più in vigore, ma se ne riscontra nel bene e nel male l’influenza nelle zone settentrionali del paese. Ho detto nel “bene” e nel “male”. 7


Parliamo, innanzitutto, del “male”. Liquidiamo gli aspetti premoderni, ovviamente e necessariamente, presenti nel Kanun e fra questi, in special modo, la vendetta-faida ed il ruolo della donna, come descritti da Avv. Pandi Frasheri nel suo libro “La famiglia albanese, fonte della civiltà europea”, ed anche da Alia nel suo saggio. Due “istituti” che, pur inquadrati storicamente, scandalizzeranno il lettore, forse più la non considerazione della donna (in un sistema rigidamente patriarcale dove la donna è vista come “un otre fatta solo per sopporare”) che non la vendetta di sangue, barbara consuetudine antichissima. Il Lettore italiano, dicevo, si scandalizzerà e forse si considererà anche superiore rispetto ad impostazioni così “tribali”. Giusto lo scandalo, meno giusto, ritengo, l’eventuale sentime-nto di superiorità. Faccia un esame di coscienza, rispetto a questi fenomeni tenendo conto, va da sé, della metamorfosi delle forme, la nostra civilizzatissima società. Può darsi che questo esame, se condotto seriamente, ci riservi qualche sorpresa. O no? Veniamo al “bene”, veniamoci, e concludiamo, per dire che se antifemminismo endemico e vendetta - faida, magari raramente “di sangue”, sono ingredienti che, seppur dalle parole di tutti (quasi tutti) apertamente condannati, restano ancora oggi rinvenibili nel DNA delle società contemporanee, in esse sono invece sempre meno rinvenibili i principi etici che fanno da cardine al Kanun: il valore indefettibile di Bessa, della parola data, l’amico, l’ospitalità, la solidarietà, la reciprocità ecc. Su questi importantissimi fronti il libro del dottor Alia c’insegna molte cose e ci porta, pur parlando di tradizioni del passato, un vento fresco di novità. fresco e ristoratore.

Siena il 18 Aprile 2009 8


INTRODUZIONE La storia e la tradizione ben s’intrecciano tra loro nella vita dei popoli. Ricordare, tutelare e attualizzare i valori del proprio passato, vuol dire cultura. Le narrazioni orali, tramandate di generazione in generazione nella tradizione popolare, anche se sono condannate all’anonimato, in realtà fanno parte della storia. La tradizione ci porta a prendere contatto con il passato in modo inconsueto e diverso, ma ci induce a riscoprirlo e ricostruire gli anelli della storia, arrivando fino al presente. Nella storia della società albanese, la tradizione occupa un posto particolare, sopratutto quando si parla del “Canone di Lek Dukagini” (gli albanesi lo chiamano Kanun) o meglio, il diritto consuetudinario o Jus Albanicae, che rappresenta le basi etiche-morali e giuridiche della società albanese, cioè quelle leggi, le regole, le norme, gli usi ed i costumi, che non sono mai stati scritti, ma sono custoditi e trasmessi oralmente nei secoli dal nostro popolo, con lo stesso meccanismo con cui si trasmettono la lingua, il folclore, le usanze e la nostra storia. La vocazione di dedicare il mio interesse al Canone di Lek Dukagini è legata alla mia vita a Siena fatidica, in questa città con le tradizioni, la cultura e l’ospitalità che somigliano molto a quelle del mio paese. Vivere nel senese ha contribuito ad allargare il mio spazio culturale e professionale, e mi ha fatto recuperare l’armonia con il mondo. Il mio primo contatto con Siena prediletta fu un paesaggio nebbioso che nascondeva una città che emergeva dalle colline, con la sagoma della torre del Mangia e le punte dei campanili intorno; una città accerchiata dalle mura rossicce del castello che rinchiudevano, dentro le case arroccate, i vicoli lastricati, stretti e ombrosi, 9


percorsi dai contradaioli e dai turisti; una bella cittadella circondata da un mirabile panorama. Una delle tante sorprese senesi è la scrittura che campeggia sulla porta di Camollia: “Cor Magis Tibi Sena Pandit – Siena ti apre un cuore più grande”, che ho sentito come un augurio al mio arrivo, in questa città ospitale, che mi ha offerto un abbraccio di quiete, di pace e di amore. Per chi è stato di passaggio e per chi vive a Siena, la scrittura scolpita sulla porta Camollia non è soltanto un saluto o un augurio di benvenuto, ma esprime anche la cultura dell’accoglienza, l’ospitalità, l’amicizia e tanta umanità, doti delle quali i senesi sono orgoliosi. E non solo, ma quando io passo nei vicoli, anche se non mi conoscono i senesi mi salutano con cordialità, come nel mio paese Siena è una città piccola, ma grande nella sua lunga e ricca storia, nella cultura, nell’arte e nella vita sociale, contradaiola ed intellettuale; è una città festosa, misteriosa e mitica nello stesso tempo. Descrivere Siena è una impresa difficilissima, è come una illusione, perché più si scava nel segreto senese e più si scoprono i valori ed i misteri; la parola è insufficiente per esprimere le dimensioni di vita e dello spirito cortese senese. L’accoglienza, l’ospitalità e la vita senese sono state, e ancora sono, ben regolate anche dagli Statuti delle Contrade, quelle istituzioni cittadine che si avvicinano alle leggi, alle norme etiche e morali e alle regole cavalleresche degli Statuti ed in particolare del Canone albanese di Lek Dukagini. Avvicinandomi a questa bella, magica e misteriosa realtà, sono riuscito a scoprire, dentro Siena, anche una parte della storia e della cultura albanese. Nell’Archivio di Stato di Siena, ho trovato la lettera originale di Giorgio Castriota Skenderbeg (il Signore dell’Albania), indirizzata ai nobili cittadini del Concistoro di Siena (1451), l’epistolario del Conte Durazzo con i nobili senesi, mentre nelle varie Biblioteche di Siena ho trovato opere degli albanesi del 10


risorgimento europeo (sec. XV–XIX), come Leonic Tomeo, filosofo e docente di filosofia greca nell’Università di Padova; Marin Barleti, prete e storico; Pietro Bogdani, prelato della Chiesa Albanese, e poeta del barocco europeo; Pietro Budi, prete e scrittore; ho letto i libri di Girolamo de Rada, di Giuseppe Skirò; gli articoli di Dora d’Istria (ha vissuto anche a Siena); le opere di Demetrio Camarda, di Vincenzo Dorsa e di tanti altri miei vecchi compaesani. Tra le altre sorprese è anche una copia dell’icona di “Signora di Buon Consiglio di Scutari” del XV secolo, che si trova nella Capella dell’Ospedale Universitario di Santa Maria della Scala, mentre l’originale è al Santuario di Genzano - Roma. Conoscendo queste opere, ho vissuto in questa città, con nostalgia e con fierezza, una parte della storia, della cultura e dello spirito albanese: testimonianze di legami storici tra Siena e l’Albania, iniziati in un lontano passato e arrivati fino ai giorni nostri. Tre anni fa, in uno dei giorni di studio passati in Biblioteca degli Intronati del Comune di Siena, fui avvicinato dalla gentilissima amica Paola Lambardi che mi mise davanti un piccolo libro in lingua italiana: “La famiglia albanese, fonte della civiltà europea”, pubblicato a Spoleto Umbria nel 1947, scritto dall’Avv. Pandi Frasheri. Sono rimasto sorpreso e meravigliato da questa opera. Paola mi disse che Lei e il suo collega Marco Muzzi erano amici del mio concittadino. Qualche tempo dopo, Paola Lambardi in una lettera mi scrisse: “Pandi M. Frasheri era una figura elegante, per quanto non appariscente, estremamente gentile, educato e con un tono pacato nella voce. La gioia nel porgermi i libri, che volle donare alla Biblicoteca, era mitigata da una contenuta modestia, ma denunciava, però ed ugualmente, una nobiltà d'animo ben percepibile da chi aveva la ventura di incontrarlo e di parlarci. Una figura la sua, 11


per me indissolubilmente legata al mio luogo di lavoro: il signor Frasheri era già un frequentatore assiduo prima che io iniziassi a lavorare in Biblioteca Comunale e trascorreva lunghe ore a leggere. Poi, molto educatamente, veniva a restituire il libro e, cortesemente salutava. Chiunque, scambiandoci qualche parola con lui, capiva bene il livello di cultura e la grande educazione di quest’uomo, a volte ho fantasticato sulla sua storia, su questa figura un pò misteriosa, immaginando chissà quali dolorose realtà dalle quali era costretto a proteggersi. E poi... poi arriva il momento che ti rendi conto che è da un pò che non lo vedi il signor Frasheri, domandi ad altri colleghi ed anche loro rimangono perplessi. Poi, poi il tempo e il suo trascorrere ti suggeriscono una risposta che tu, Lutfi, mi hai puntualizzato anche con una data. Ma il signor Pandi Frasheri non è morto del tutto, finché il suo ricordo abiterà nel nostro cuore. Forse, oso dire, che ha guidato i tuoi passi. Niente accade a caso, no? Pandi Frasheri era nato a Koritza – Albania il 6 luglio 1907, si era laureato in giurisprudenza alla Sapienza di Roma e dopo aveva svolto l’attività come avvocato di grande professionalità in vari distretti di Albania, dove aveva conosciuto anche il diritto consuetudinario dei montanari del nord di Albania. Nel 1944 arrivò in Italia, dove ha vissuto per 38 anni, soggiornando per molto tempo a Siena, dove è morto il 12 Dicembre 1982. Il libro di Pandi M. Frasheri “La famiglia albanese, fonte di civiltà europea”, è uno studio approfondito, un’analisi storica, giuridica, sociale e culturale della famiglia, che è stata la pietra angolare della civiltà albanese. La novità del libro di Frasheri è l’analisi della famiglia sul piano del diritto consuetudinario, cioè secondo il Canone di Lek Dukagjini, ma in modo diverso da quelle effettuate in Albania, perché l’autore ha condotto questo studio senza pregiudizi 12


ideologici. Frasheri analizza la famiglia con competenze giuridiche e in un contesto storico e sociale, dimostrando che la famiglia albanese è un piccolo stato in miniatura, e l’organizzazione costituzionale di questo stato, quantunque totalitaria, è repubblicana, è democratica e aristocratica nello stesso tempo. Nella prima parte del libro, l’autore racconta l’origine e un po’ la storia del popolo albanese. Nei capitoli a seguire si presenta lo studio storico, giuridico e sociologico della famiglia albanese, completato dall’autore con l’analisi curata delle norme etiche, morali e culturali della società di questo paese. Ho conosciuto il Canone di Lek Dukagini dalla mia infanzia, ma l’ho letto la prima volta nel 1964 (pubblicazione del 1933), e dopo ho letto anche vari studi e una moltitudine di critiche ideologiche sul Canone; ma il libro di P. Frasheri é tutto diverso. Leggendo questo libro ho conosciuto meglio i valori e l’impatto del nostro diritto consuetudinario sulla famiglia albanese, ma anche aspetti particolari della vecchia storia dell’origine del nostro popolo. Dopo questa “scoperta” ho parlato con molti amici e colleghi, raccontando loro il contenuto ed i valori del libro di P. Frasheri, ma spesso ho incontrato qualche incomprensione: allora ho capito, che prima di parlare della famiglia albanese secondo il diritto consuetudinario, è meglio spiegare che cosa è il Kanun e quale è il suo ruolo nella vita della società albanese. Il Canone di Lek Dukagini è il diritto consuetudinario non scritto del popolo albanese e, a prescindere dal valore giuridico, è stato anche un codice etico-morale che ha regolarizzato tutti i rapporti tra individui, famiglie, stirpe, contrade, distretti, province, direi per tutta la società albanese. Non dobbiamo dimenticare che quando parliamo del ruolo e della forza del Canone, ci troviamo in una società medioevale, quando non era esercitato nessun potere statale nel vero 13


significato moderno della parola e la società urbana albanese era basata sugli statuti cittadini, mentre la popolazione rurale gestiva la vita, l’attività politica, sociale e militare secondo le norme che imponeva il Codice Consuetudinario o “Jus Albanicae”, il quale è stato attivo per molti secoli tra la popo-lazione albanese. Il Kanun di Lek Dukagini durante l’occupazione turca (1479 1912) era l’unico atto giuridico tra i popoli balcanici, rimasto come “diritto parallelo”, anzi dominante sulle leggi dell’Impero Ottomano, sopra la Sheriat (la legge religiosa dell’Islam), ma anche sopra le leggi ed il potere di tutti gli occupanti che in continuità hanno invaso l’Albania. Il Kanun è storia istituzionale, ma anche “l’idea formulata”; è lo spirito degli albanesi impresso nei secoli nelle loro tradizioni orali, custodito con fedeltà e trasmesso come un messaggio, che bisogna capire e far proprio per dialogare con il mondo da cui è stato prodotto e trasmesso. Questi sono stati i motivi che mi hanno spinto a scrivere questo saggio sul Canone albanese, presentando la sua storia, il primo legislatore, il Principe Lek III Dukagini, il secondo legislatore Padre Costantino Shtjefen Gjeçovi e, di seguito, una breve presentazione della struttura del Canone e dei concetti etici e morali della società montanara, nel letto storico e culturale in cui è nata e cresciuta una società con il proprio diritto consuetudinario, la sua etica, la sua morale e il suo ordine sociale. La pubblicazione di questo libro nell’anno 2009 è realizzato con il contributo e l’aiuto prezioso dei amici, soprattutto del mio compaesano Çlirim Muça, per l’incoraggiamento e l’appoggio sincero a pubblicare assieme, nello stesso volume, lo studio dell’Avv. Pandi Frasheri e il mio saggio. In particolare ringazio Nirvan Frasheri, figlio di Pandi Frasheri, che gentilmente ha concesso l’autorizzazione a pubblicare l’opera 14


del padre. I miei ringraziamenti e la mia sincera graditudine va al amico Prof Franco Belli, per la sua premessa e per i preziosi consigli e dei suggerimenti che mi ha dato per completare il mio saggio sul diritto consuetudinario albanese. Ringrazio cordialmente gli amici Guido Morgese, Senio Sensi e Piersante Sestini che mi hanno incoraggiato e mi sono stati di aiuto, per dare un tocco di “italianità” al mio lavoro. In particolare ringrazio Prof Fabio Berti, per l’epilogo molto sentito che ha dedicato a questo libro. Questa ultima pubbicazione (2016), presento la parte dedicato alle categorie etico – morali del diritto consuetudinario albanese, conosciuto come il kanun di Lek Dukagjini.

Siena 23. 02. 2016

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IL CODICE CONSUETUDINARIO ALBANESE IL KANUN DI LEK DUKAGINI. Il codice consuetudinario albanese, ben conosciuto come ll Canone (Kanun) di Lek Dukagini* o il Canone delle Montagne Albanese o, meglio, lo Jus Albanicae è una raccolta delle leggi, e nello stesso tempo un codice etico-morale, non scritte, tramandate oralmente dai tempi antichi, fin ai giorni nostri. Il Canone ha guidato il popolo albanese nella sua lunga e tormentata storia. Anche se non è stato mai scritto, il Kanun è sopravvissuto nei secoli e la memoria popolare lo ha custodito fedelmente portandolo fino ai giorni nostri, in un’opera completa, ben nota appunto, come il Kanun di Lek Dukagini. Nel suo libro “Albania punto a capo”, Emanuela C. Del Re, tra le altre scrive: “Parlando dell’Albania, prima o poi si finisce col parlare di Kanun”. S. Villari nel libro “Le Consuetudini giuridiche dell’Albania” ha scritto: “Il Kanun è un codice di consuetudini e profondamente radicato nella coscienza del popolo albanese”. Padre Giusppe Valentini, nel suo libro “La legge delle montagne albanesi nella relazione della missione volante” scrive: “Per Kanun s’intende l’intero complesso dei principi, delle istituzioni e delle norme tradizionali in Albania, indipendenti dal diritto statale”. Patrizia Resta, nel libro “Il Kanun, le basi morale e giuridiche della società albanese”, scrive “Il Kanun di Lek Dukagini è una raccolta delle leggi consuetudinarie, trasmesse oralmente per secoli, * Il lettore italiano conosce il Canone di Lek Dukagini: pubblicato come opera completa nel 1941, a Roma, dal Centro per gli Studi Albanesi dell’Accademia Italiana delle Scienze - e l’ultima pubblicazione nel 1997: “Il Kanun, le basi morale e etiche della società albanese” dalla Casa Editrice Besa – Lecce.

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ma che diventò codice quando fu scritto da Padre Gjeçovi, il vero legilatore della tradizione giuridica albanese”. Il Canone di Lek Dukagini è un’opera di valore monumentale, è un patrimonio storico e culturale del diritto consuetudinario albanese Il Canone rappresenta anche le basi etiche e morali che sono state trasmesse oralmente nei secoli, dal padre al figlio, con lo stesso meccanismo della lingua, del folclore e della nostra storia. Il Canone è una tradizione giuridica molto legata alla storia dell’Albania, all’identità del suo popolo, al suo essere fiero delle proprie origini e della sua storia. Il popolo albanese lo chiama il Canone con il nome di Lek Dukagini, perché da sempre si è sostenuto che fosse il Principe di Dukagini l’autore o, meglio, il primo legislatore del Kanun delle Montagne Albanese. Per secoli il Kanun rimase un opera non scritta, ma incisa nella memoria dei vecchi, che fedelmente lo insegnavano ai loro discendenti, garantendogli stabilità e continuità. E solo alla fine del XIX secolo ebbe riconoscimento pubblico. Il Kanun di Lek Dukagini fu raccolto, trascritto e codificato da Padre Shtjefen Costantino Gjeçovi durante gli anni 1898-1929, che ne dette conto in 2000 pagine manoscritte, pubblicate, come “Kanuni i Lek Dukagjinit” nel 1933 a Scutari. Del Kanun di Lek Dukagini si è parlato e scritto molto meno di quanto meriti; anzi, concentrandosi sull’analisi giuridica e sociale della “vendetta-faida” si può dire che, il Kanun per lungo tempo è stato criticato e sottoposto ad ostracismo, mettendo in ombra gli aspetti di valore storico, sociale, culturale, religioso e etico-morale. Il Canone non è solo un’opera di diritto, un insieme di leggi di regole e di norme: esso è un grande mito, che ha assunto la forma di una costituzione e che rappresenta una ricchezza universale della 17


cultura e della storia albanese. Infatti, più che una semplice raccolta di leggi, il Canone delle Montagne è piuttosto un completo sistema giuridico e sociale, che include anche le norme etiche, morali, culturali e religiose, che non appartengono del tutto alla sfera strettamente giuridica. L’autonomia locale ed il sistema d’autogoverno della comu-nità montanara albanese, la gestione della vita e di tutte le attività familiari, sociali, economiche e militari non avrebbero potuto durare a lungo, senza una solida struttura legislativa basata sul Kanun e sulla tradizione storica. La tradizione giuridica del popolo albanese espressa nel Kanun è conservata non solo in virtù della fedeltà della nazione alle tradizioni e alla identità, ma anche dell'organicità e logicità della concezione che le sta alla base e delle norme fondamentali che la concretano. L’opera di Padre Gjeçovi è una raccolta organica e forse più completa del diritto consuetudinario delle Montagne Albanesi. La concezione della tradizione giuridica è una concezione giuridico, sociale e morale. Dunque, il Kanun è questo: è la prova che la consuetudine è stata acquisita come norma, è l’organizzazione della vita sociale, è lo spirito del popolo albanese, la sua etica, la sua morale, il suo essere fiero di sé, del suo onore, della “Bessa”, del giuramento. Il Kanun assicurava la perpetuità di concezione della vita sociale e forniva le fondamentali istituzioni in cui una tale concezione avrebbe potuto realizzarsi nel complesso e nei particolari. Tutti gli aspetti fondamentali della vita umana, come la famiglia, il matrimonio, l’eredità, il governo locale, l’economia, i diritti di pascolo, le attività sociali delle istituzioni religiose, la difesa dei diritti elementari e della libertà, la delinquenza, gli atti criminali, il tribunale, il servizio militare, la guerra ecc., erano regolati da vari codici 18


tradizionali, tramandati oralmente dai vecchi, dal padre al figlio. Il compito degli anziani non era quello di promulgare nuove leggi, ma di interpretare i fatti d’ogni singolo caso alla luce delle vecchie leggi e delle vecchie regole del Kanun, che loro conosce-vano a memoria. La base di conoscenze del Kanun di Lek Dukagini era rappresentata dalla tradizione che ha custodito i principi dell’identità albanese, fondandoli in un insieme organico di codifica-zione sia civile e processual-civilistica, sia penale e processual-penalistica. Per capire il Kanun bisogna partire dalle origini del popolo albanese, la sua storia, in quanto la sua identità. Il suo concetto di uomo d’onore e di bessa (besa) si è tramandato nei secoli senza mai subire la pressione delle forze occupanti, che si sono avvicendate nella storia del Paese. Questo diritto riflette, in una certa misura, anche i cambia-menti successivi che hanno subito gli albanesi attraverso i processi storici, costituendo al tempo una testimonianza della loro integrità spirituale e etnica. Si tratta, in definitiva, di un’opera di riflessione e di organizzazione, ricca di espressioni laconiche, che dà conto dello specifico universo culturale e morale, sistemato in un codice complesso, che riguarda tutte le sfere della vita di una società cosciente di costruire le condizioni di base (norme e metanorme) con le quali definisce la pro-pria identità. Gli albanesi lo chiamano il Kanun, "La legge Vecchia”, “La legge Antica”, “La legge delle Montagne”; "Legge delle leggi”, "Il Canone Vecchio”, ma si usano anche altre denominazioni particolari come "Il Kanun di Lek Dukagini”, "Il Kanun delle Montagne”, "Il Kanun di Skanderbeg”, “Il Kanun di Mirdita”, “Il Kanun di Malesia e Madhe”, “Il Kanun di Martaneshi”, “La legge di Dibra”, “Il Kanun

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di Kurbini”, “Il Kanun di Papa Zhuli”, “Il Kanun di Laberia”, “Shartri i Idriz Sulit”. Tutte queste denominazioni si riferiscono all’applicazione del diritto consuetudinario nelle varie regioni e distretti; in sostanza le differenziazioni sono di poco conto, in quanto tutte le applicazioni si fondano sulla Legge delle Montagne o, meglio, sul diritto consuetudinario, che era diffuso e attivo in tutto il turritorio abitato dagli albanesi. Il Kanun ha regolato la vita pubblica e privata delle comunità e dei singoli e ha consentito la realizzazione di una sorta di convergenza tra le leggi, i principi morali, religiosi e civili, determinando una forma d’incontro tra sistemi normativi differenti. Il Kanun è sopravvissuto ai tentativi di unificazione amministrativa, sia ottomana, sia degli molti altri occupanti e, in seguito, anche alla legislazione civile del Regno d’Albania del 1929 ed alla legislazione del regime comunista. Dall’inizio del XX secolo il Kanun non è più in vigore in Albania, anzi diviene un “mondo chiuso”, o meglio un “opus finito”, perché nel 1912 il Parlamento dello Stato di Albania, aprovò le nuove leggi, poi il Re Zog I, gli tolse l’autorità del diritto. Da quel tempo il Kanun delle Monatgne fu “congelato” e smise di agire come legge fondamentale della società albanese, ma le norme etiche e morali sopravvissero e continuarono ad essere applicate ancora per molti anni nella società montanara. Il regime comunista lo bloccò totalmente, lo dichiarò un “opus proibito” e cancellò i residui rimasti nella popolazione montanara, condannò e riuscì a cancellare la vendetta-faida; non solo, il Kanun anche fu criticato come una legge medioevale, con morale e norme patriarcali, oscurando così anche i valori storici, etici e culturali. Ovviamente, in un stato moderno, le regole e le leggi del passato 20


come il Kanun, perdono forza di agire, mentre in uno stato debole, dove non agiscono le leggi, si assiste alla riattivazione degli aspetti più negativi del Kanun, come la vendetta-faida, che è senza dubbio una attività barbara, è un mezzo usato dalle forze oscure per distruggere i valori e la cultura del popolo albanese. Durante l’attuale transizione lunga e faticosa ed a causa della crisi morale che ha investito l’Albania, il risveglio dell’atto criminale della vendetta-faida, in particolare quella legata ai vecchi rancori di vendetta non consumata, ha creato gravi problemi sociali nella popolazione montanara o di origine montanara. Nella società albanese ci sono persone che applicano la propria vecchia vendetta, un’ostilità realizzata in modo selvaggio per motivi banali o come mezzo di “regolamento dei conti” o come “una punizione tra persone coinvolte nei conflitti e nei litigi banali”. Anche se da molto tempo non è più in vigore in Albania ed a prescindere dagli aspetti negativi ereditati dal passato, il Kanun rimane un patrimonio della storia e della cultura albanese, un’opera inesauribile di analisi e di studio. Le ricerche scientifiche, per quanto siano profonde, rappresentano quasi sempre solo un punto di vista del fenomeno, oppure trattano un solo aspetto di esso, perciò i Kanun, devono essere sottoposti alle ricerche e agli studi sistematici e multidisciplinari giuridici, psicologici, sociologici e religiosi, senza escludere l’etica, la morale ed anche la mitologia.

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IL PRIMO AUTORE-LEGISLATORE LEK DUKAGINI. Secolo V (D.C) – Un cronista bizantino del settimo secolo, che si basa sulla storia e le leggende, scrive che nel quinto secolo, una tribù dei Goti, sotto la guida di Duca Gentius (o Gini), scende dalla Dalmazia e si stanzia a Scutari. In seguito, Duca Gini fu nominato dall’Imperatore bizantino il suo Sebastocrator e ricevette anche l’incarico di Magister militum per la Dalmazia. Duca Gentius allargò il suo potere nei territori tramite Scutari e Durazzo, dove esercitò il suo potere adattando le leggi e le regole Gotiche. Secolo VII (D.C) – Secondo le fonti Ragusiane, pubblicate da Makushev in "Research on the Chronicle of Ragusa", risulta che nell’anno 695 (d.C), i Ducagini di Albania organizzarono la rivolta contro l’occupazione slava, ma sconfitti chiesero protezione e asilo a Ragusa, che li rifiutò, cosiché furono costretti a tornare nel loro paese e ad essere sottomessi al potere slavo. Secondo le cronache di Ragusa, accettarono di essere: "compari per sempre e non accattarono che infra loro." 1190 – 1216 Il Principato dei Dukagini fa parte dello Stato di Albania (Arberia). 1202 – 1204 Duca Progon, il figlio di Tanush I Dukagini, allarga i territori del suo principato al nord-est, occupando i distretti fino al fiume Fan (Mirdita). La capitale del Principato dei Dukagini diventa la città di Lezha (Lissus-Alessio). Secondo le cronache bizantine, Duca Progon aveva due figli, Paolo I e Leka I, anche loro conosciuti come signori di Zadrima. Due tra i loro discendenti, Giorgio Dukagini il 22


signore di Zadrima e Tanush II Dukagini, il signore di Fan, avevano molti figli. 1210 – Al trattato di pace tra Venezia e la Repubblica di Ragusa, partecipano anche i principi di Dukagini, come amici dei veneziani. 1281 – Per la prima volta appare scritto il titolo duca (dux), "Ducam Ginum Tanuschum Albanensem”. 1356 – La famiglia dei Dukagini si divide in due parti: - al nord Paolo II (figlio di Tanush II) estende il suo potere nelle tribù di Gashi, Krasniqe, Peja, Pristina, Gjakova, Prizren, e la capitale diventa Ulpiana; - al sud Leka II (figlio di Giorgio), esercita il suo dominio nelle regioni di Lezha, Zadrima, Puka, Selita, Zhuba e Mirdita, con capitale Lezha e la residenza nel castello di Lezha. 1393 – I Dukagini consegnano la città di Lezha ai veneziani, per non cadere nelle mani degli ottomani, ma hanno il diritto ad un terzo del reddito annuo. 1406 – Il principe Paolo (1384-1446) ed il fratello Nicola diventano I Principi Priori del Principato dei Dukagini di cui faceva parte Lezha, Puka, Mirdita e Kosova. 1410 – Nasce a Ulpiana il principe ereditario di Paolo II, chiamato Alessandro III (Lek) Dukagini. Sua madre è sorella di Arianit Komneni. Il piccolo Lek III è istruito e sviluppa la sua formazione culturale nei centri più sviluppati di quel tempo, come Ulpiana, Shkodra, Raguza, Napoli e Venezia. 1432 – Il principe Paolo II, suo fratello Nikola I, insieme con Tanush Topia, appoggiano Aranit Komneni, nella insurrezione contro gli invasori ottomani. 1433 – Nicola Dukagini e suo fratello Tanush Topia, cacciano via i 23


turchi dalla città di Dania. Questa azione militare viene contestata da Venezia che, in accordo con il governatore turco di Scutari, appoggia gli attacchi dei turchi contro i Dukagini. 1444 – Paolo e Nikola Dukagini si associano alla Lega degli Albanesi (Arberi) a Lezha e mobilitano 5000 soldati. Paolo accompagna Skënderbeg a Kruja. Nella prima battaglia a Torvjolli, contro i turchi, partecipano anche i soldati del Principato di Dukagini. 1446 – Muore Paolo II Dukagini. Al suo posto sale il suo figlio, Lek III Dukagini (Alessandro). 1447 – Lek Dukagini sposa Teodora, la sorella minore di Gjon Muzaka di Berat. Non hanno figli. I discendenti della famiglia Dukagini in Italia e quelli in servizio dell’impero Ottomano, sono membri adottati da Paolo o dallo stesso Leka. 1452 – A Durazzo si riconciliano Lek Dukagini e Skenderbeg. 1454 – Breksamus, diplomato di Lek Dukagini, rappresenta Skenderbeg presso il Re Alfonso di Napoli, il quale accorda a Lek III una pensione di 300 ducati. 1458 – L’esercito turco occupa Prizren, il centro commerciale e culturale del Principato dei Dukagini, mentre un anno prima avevano distrutto e raso al suolo l’Ulpiana. 1458-1481 Lek Dukagini costruisce nuovi castelli e ricostruisce quelli esistenti nella profondità montanara del suo Principato. Rafforza il potere locale dei montanari, i suoi concittadini, i quali da sempre vivevano liberi in questi territori. Il principe istituzionalizza un sistema politico – giuridico popolare, che verrà ereditato generazione dopo generazione come “Il Kanun di Lek Dukagini”. 24


1461 – Si dice che Lek Dukagini abbia chiesto una alleanza con i turchi. Questa sua iniziativa viene criticata da Papa Pio II, che lo minaccia di scomunica. 1463 – Papa Pio II interviene per la seconda riconciliazione tra Skenderbeg e Lek III. In seguito Lek Dukagini si riunisce con l’alleanza antiturca formata da Skenderbeg, il Doge di Venezia e Cernovici di Monte Negro. 1464 – Papa Paolo II, con una ferendae sententiae, scomunica Lek Dukagini, accusando il Principe di essere poco ispirato alla fede cristiana. (Molti autori dicono che questa scomunica è legata al Kanun). 1465 – Durante la battaglia di Sfetigrado, Lek Dukagini con un’azione coraggiosa salva la vita di Skenderbeg, che era circondato dai soldati turchi 1466 – Lek Dukagini e Nikel Moneta sono alla testa di 13.000 soldati nella battaglia contro i turchi, comandati da Ballaban Pascia. 1468 – Lek Dukagini comanda l’esercito albanese nella feroce battaglia di Scutari, dove i turchi rimangono sconfitti pesantemente. 1468 – Il Signore dell’Albania, Giorgio Castriota Skenderbeg muore. Lek Dukagini tenta di tenere riuniti i principi albanesi e si mette al comando della resistenza contro gli ottomani. 1477 – Lek Dukagini comanda l’esercito albanese in difesa di Kruja, dove rimane ferito gravamene. 1479 – I Veneziani firmano l’occupazione dell’Albania da parte dell’Impero Ottomano. Lek Dukagini si ritira e continua la resistenza nei Castelli nella profondità del suo Principato. 25


1481 – È documentata l’ultima comparsa pubblica di Lek Dukagini. Si tratta di un viaggio (forse l’ultimo) da Ragusa verso le montagne del suo Principato del Nord di Albania. 1481 – Muore Lek III Dukagini, l’ultimo erede del grande e vecchio Principato dei Dukagini. Non esiste nessun documento che indichi dove sia il luogo di sepoltura. Secondo la tradizione orale dei montanari, Lek III Dukagini, prima di allontanarsi dal suo principato, ha benedetto la libertà del popolo albanese fino al ritorno dell’indipendenza e ha maledetto gli invasori ottomani. La libertà degli albanesi e la lunga resistenza contro gli occupanti turchi sono state evidenziate anche nel Kanun. Il Kanun è stato attivo nel Principato dei Dukagini, in Kosova, nelle Nove Montagne di Ghegheria, in Dibra, in Toscheria, in Laberia ed anche in Çameria (Tsameria). Il popolo albanese ha custodito il Kanun con fedeltà e amore, nello stesso modo come la lingua e le buone tradizioni, e lo ha applicato come legge per organizzare, autogestire e autogovernare la vita nelle montagne. Lek Dukagini è una figura storica e complessa. Molti studiosi lo hanno descritto senza riserve questo saggio condottiero e hanno trovato le parole giuste per evidenziarlo come personaggio eroico e leggendario. J. G von Hahn ha scritto: “Lek Dukagini è stato il signore di questo paese e nello stesso tempo anche il suo legislatore. Lui ha codificato il Kanun, vuol dire le regole e le disposizioni, in base alle quali vivono, ai giorni di oggi, non solo i dukagini, ma tutti i montanari che abitano nel nord del fiume Drini, chiamato con il nome di Lui, il loro eroe nazionale”. Edith Durham scrive: "Lek Dukagini sembra che sia stato una personalità imponente, che ha influenzato molte persone, tanto che 26


l’espressione “così ha detto Lek” (Kështu ka thënë Leka), ha una forza di obbligo più dei dieci Comandamenti della Bibbia, più degli insegnamenti dell’Islam ed anche più del Cristianesimo, più della Legge dello Sheriat e della chiesa, perché tutti questi erano obbligati a sottomettersi al Kanun di Lek Dukagini. La sua fama tra le tribù montanare, che custodiscono con onore il suo nome, ha sorpassato anche la fama di Giorgio Castriota - Scenderbeg” Nel suo libro “L'Albanie et l'invasion turque au XV Siècle”, Paris - 1937, lo storico Athanas Gegaj scrive: "Non ci sono dubbi che Lek fu uno tra i membri migliori conosciuti della famiglia Dukagini. Egli era molto energico e forte, aveva combattuto i turchi. Lek Dukagini aveva le capacità organizzative e forse era un esperto nella legislazione giuridica di questo tempo. Tutti i leaders delle tribù albanese hanno riconosciuto e stipulato il suo Canone. E non solo, ma il popolo la conosce con i suo nome: Kanun di Leka”. Lo storico turco Sülejman Külçe, nel suo libro “Osmanli tarahinde Arnavutluk” (Izmir 1944) scrive: “Le leggi consuetudinarie e le norme morali e sociali del Kanun dei montanari albanesi sono quelle codifi-cate da Lek Dukagini e sono leggi draconiane”. Whitaker ha scritto: “Leka fu un personaggio storico, ma si può considerare soprattutto un semi eroe della tradizione albanese. Talvolta ostile, talaltra amico di Skenderbeg, partecipò alla rinascita del senti-mento nazionale albanese e fu parte attiva nella lotta del suo popolo contro i turchi, fino ad assurgere a simbolo di fierezza; è ricordato proprio per la sua opera di legislatore”. Alessandro (Lek) III Dukagini (1410-1481) era contemporaneo di Giorgio Castriota Skenderbeg (1404-1468), il signore dell’Albania. La storia riconosce entrambi come principi ereditari, saliti al trono dei loro rispettivi principati: Leka in quello dei Dukagini (dopo la morte del padre Paolo nel 1446) e Giorgio, nel principato dei 27


Castrioti nel 1443, dopo la morte del padre Giovanni Castriota. Il suo padre Giovanni, nel 1407 fu menzionato dagli veneziani come “Dominus Satis Potens in Partibus Albaniae”. Del Principato dei Dukagini, con capoluogo la città di Lezha, facevano parte i distretti di Zadrima, Mirëdita, Scutari, Malesia e Madhe, Kelmendi, Pulti, Puka, Kukes, Tropoja ed anche la Kosova, che aveva un secondo capoluogo, la città Ulpiana. Il Principato dei Castrioti, con capoluogo la città di Kruja, si estendeva nelle provincie del centro dell’Albania: Mati, Dibra, Martaneshi, Çermenica, San Giorgio, Kurbin, Tirana, Durrazo, estendosi fino al castello di Rodon sulla costa Adriatica. Lek III Dukagini, formatosi con la cultura generale d’ispirazione umanistica propria del Rinascimento europeo, aveva effettuato gli studi a Venezia, Napoli, Ragusa, Scutari, Ulpiana ecc. Mentre Scanderbeg aveva fatto una carriera veloce e brillante come militare a Istanbul, alla corte del Sultano Murati II. Quando si costituì l’alleanza dei principi albanesi nella Lega dell’Arberia (Lezha - 1444), i Dukagini (Paolo Dukagini e dopo suo figlio Lek III Dukagini) si associarono e rimasero per sempre accanto a Skenderbeg,. Dopo la morte di Giorgio Castriota (1468), il principe Lek III Dukagini, continuerà la sua opera, prenderà in mano il comando dell’esercito albanese, nella fase più difficile della resistenza antiottomana, fino alla prpoptia morte nel 1481. I cronisti e gli storici, iniziando da Tivarasi, Dh. Frengu, M. Barletti e G. Muzaka, che erano contemporanei di Skenderbeg e Lek, e dopo A. Gegaj, F. Noli, N. Frasheri, S. Godo, K. Frasheri ecc., hanno descritto Lek Dukagini come l’amico di Skenderbeg. Comunque, si può dire che sia gli storici, sia gli scrittori sono stati un pò avari nel descrivere la figura di Lek Dukagini; questo è 28


successo perché tutti erano incantati da Skenderbeg, il grande eroe, mentre gli altri personaggi restarono tendenziosamente in secondo piano, in ombra. Più equilibrato dei cronisti e degli scrittori è stato il popolo o, meglio, gli anonimi del popolo, che hanno mitizzato queste due importanti figure della storia medioevale albanese. Il popolo ha iden-tificato Skenderbeg, il principe coraggioso, con San Giorgio, mentre Lek Dukagini fu indicato come il principe angelo, il mentore, che con saggezza fu il legislatore del diritto consuetudinario e lasciò il Kanun in eredità ai suoi discendenti, al suo popolo, come un testamento per la difesa e la continuità della nazione albanese. Tra gli storici e cronisti stranieri c’è anche chi tendenziosa-mente ha scritto pettegolezzi su Lek Dukagini, presentandolo come un personaggio antagonista di Skenderbeg. Sarebbe stato più giusto che, invece di denigrare il Principe Lek, questi autori avessero avuto un po’ di onestà e coraggio nel criticare lo stato Pontificio ed i paesi europei, che, non riuscendo a creare una coalizione antiturca, hanno di fatto abbandonato il popolo albanese, lasciandolo al suo destino. Intermezzo. Dobbiamo ricordare che Skenderbeg, Lek Dukagini ed altri principi albanesi avevano proposto all'Europa disunita di mettere in atto una grande alleanza cristiana contro il nemico comune, contro gli invasori ottomani. In una lettera inviata al Papa Pio II, Skenderbeg scrive: “Insieme dobbiamo difendere le radici cristiane dell’Europa”. Questi inviti rivolti a Papa Pio II, agli Stati ed ai Regni dell’Europa, caderono in vuoto, l’alleanza fallì, e Skenderbeg e il popolo albanese rimasero soli, lottando per venticinque anni con eroismo contro gli invasori, che minacciavano il vecchio continente. 29


La resistenza albanese contro gli Ottomani fu una ispirazione per i movimenti patriotici in Europa. Per questo il poeta francese A. d'Aubingé, nella sua opera "Les tragiques", propone agli europei di superare le divisioni tra i vari paesi, di lanciare una riconciliazione tra di loro, prendendo a modello l'Albania di quel tempo e la saggezza del suo Signore, con il richiamo: "Imitez Skenderbeg". Anche altri scrittori come Longfellow, Ronsard, Montaigne, K. Marlow, M. Sarrocchi ecc.,evocano la resistenza ed il coraggio albanese per ispirare insurrezioni per la liberatà. I cronisti, gli storici e gli scrittori del medioevo non hanno osato criticare la Repubblica di Venezia, che non fu un’alleata fedele degli albanesi. I veneziani hanno approfittatto della resistenza antiturca degli albanesi, anzi l’hanno usata per i loro interessi commerciali e politico-espansionistici, per dividere la coalizione degli albanesi, mettendo gli uni contro gli altri e, quando non riuscivano a realizzare i loro scopi, li dichiaravano nemici del cristianesimo. Lek III Dukagini fu uno dei Principi più potenti accanto a Skanderbeg, perciò diventò preda anche degli intrighi della politica veneziana e degli storici. Quando la Serenissima sentì il pericolo turco vicino a casa sua, soltanto allora si riunì realmente con la resistenza albanese e proclamò la guerra all’Impero Ottomano nel 1463. Dopo quest’anno, i veneziani si complimentarono con il Principe Lek Dukagini; i cronisti e gli storici scrissero per suo coraggio e sue gesta eroiche accanto a Skenderbeg e come comandante delle truppe veneziane, fino al 1479, quando la Serenissima firmò l'armistizio con il Sultano, che segnò anche l’occupazione dell’Albania da parte dei turchi. Da questo anno gli storici smettono di scrivere per Lek III Dukagini, il Vaticano e la Serenissima lo dimenticano Viceversa la tradizione orale testimonia che il principe delle montagne continuò 30


la resistenza in testa ai combattenti albanesi fino all’anno 1481, anno della sua ultima comparsa pubblica in un viaggio da Ragusa verso le montagne del nord di Albania, dove muore, ultimo erede del grande Principato dei Dukagini. Il mito di Lek Dukagini per secoli ha ispirato sentimenti patriotici tra i montanari, egli era il grande cavaliere in prima linea nella lotta per difendere la libertà del paese, sia come legislatore del Kanun, sia come condottiero dell’esercito accanto a Skenderbeg e dei veneziani. Anche dopo la sua morte, la figura di Lek Dukagini è stata grandemente onorata e identificata con il Kanun, che lui lasciò in eredità ai suoi concittadini, che hanno custodito con fedeltà, e lo hanno applicato come la legge delle montagne per cinque secoli. Lo spirito popolare trasformò il principe Lek Dukagini in una leggenda, in un vero mito, tanto che qualche storico scettico ha avuto difficoltà ad accettare la sua figura e il suo operato come una realtà storica.

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IL SECONDO LEGISLATORE DEL KANUN, PADRE SHTJEFËN COSTANTINO GJEÇOVI. Padre Shtjefën (Stefano) Costantino Gjeçovi nacque il 12 luglio 1874 a Janjeva di Kosova, dove frequentò la scuola elementare, ed in seguito studiò presso il collegio dei Francescani a Troshan (Scutari). Nel 1888 andò in Bosnia, dove seguì gli studi liceali in filosofia a Bania Luca, e gli studi di teologia a Kresheva. Nel 1896 ritornò in Albania, dove servì come parroco a Peja, Laç, Durrazo, Rubik, Sapa, Scutari, Thethi, Prekal, Gomsiqe, Vlora, Zyma ed a Zara (una isola croata sotto il dominio italiano). Padre Shtjefën Gjeçovi, prelato stimato della nostra chiesa cattolica e dal popolo albanese e di una cultura poliedrica, dedicò molto tempo alle ricerche sulla storia, archeologia, etnografia e lingua albanese, senza dimenticare che il suo dovere principale era la predica del Vangelo. Lui fu impegnato in tutti questi campi ed ha scritto e pubblicato vari articoli e libri. Padre Gjeçovi ha svolto anche un’intensa attività patriottica. A prescindere dal ruolo di guida spirituale, fu anche il consigliere dei combattenti di Malesia e Madhe durante l'insurrezione popolare per l’indipendenza dalla lunga occupazione dei turchi (1910 – 1912); fu il consigliere dei guerriglieri che combatterono per la difesa dei nostri territori durante la prima guerra mondiale (1914 – 1918) e dei com-battenti nella battaglia per la liberazione di Valona (1920). Nel campo della storia, oltre qualche lavoro pubblicato sulla vita e le gesta coraggiose di Giorgio Castriota (Skenderbeg), sugli albanesi d’Italia e su Alessandro Magno, Padre Gjeçovi ha effettuato anche vari studi di valore storico e culturale come l’opere “L’eredità pelasgica nella tradizione del popolo albanese”, “Eredità illirica 32


nella tradizione albanese”, “L’eredità traco-illirica”, che pubblicò prima nel giornale “Populli” di Scutari, e poi nel giornale “Hylli i Drites”. E' inoltre l’autore della tragi-commedia “Mark K. Kryeqitas” (1905) e del dramma “Moisi Golemi” (1906). Nel 1910 pubblicò a Scutari il libro “L’alba della civiltà”, un’opera con sentimenti profondi di patriottismo, scritto con un linguaggio dantesco, ma ben comprensibile per il lettore. Padre Shtjefen Gjeçovi ha tradotto vari libri dalla letteratura mondiale, in particolare ha scelto opere con soggetto patriotico come il dramma “Attilio Regolo” di Pietro Metastasio, la storia di “Sant’ Antonio da Padova” di Niccolò Dal-Gal (1912); “La pulzella di Orleans o Giovanna d’Arco” (1915), ecc. Padre Gjeçovi si impegnò anche nel campo dell'archeologia. Effettuò scavi archeologici in varie zone nord di Albania, e con i reperti rin-venuti, riuscì ad allestire un museo all’interno la sua chiesa. Pubblicò i risultati degli studi archeologici in vari giornali albanesi e stranieri. In questi articoli denunciò il governo albanese per le concessioni rilasciate agli stranieri negli scavi archeologici, e per il contrabbando dei reperti. Il più grande contributo di Padre Gjeçovi afferisce al campo dell’etnografia. Basta riccordare le raccolte sul folclore, che pubblicò in una collana di opere come “Fabule popolari” (1903); ”Costumi nei casi di morte” (1907), “La vita nelle montagne” (1908); ”Regole e consuetudini sulle nozze” (1910-1911), “Il pianto-lutto, nei casi di morte” (1917-1920). Inoltre, usando il pseudonimo “Lkeni i Hasit”, Padre Shtjefen Gjeçovi pubblicò vari studi storici e sul folclore nella stampa locale e nella rivista “Albania” pubblicato dal suoa amico Faik Konica (Bruxelles – Belgio). L’opera più importante di Padre Gjeçovi, è in ogni modo il 33


“Kanuni di Lek Dukagini”, che iniziò a raccogliere nel 1898, e continuò per circa 30 anni fino al 13 ottobre 1929, quando rimase ucciso degli sciovinisti serbi. Lui fissa per iscritto norme giuridiche ed etico-morali più antiche, che sino ad allora erano state tramandate per via orale. Durante gli anni del servizio come parroco nei diversi paesi delle montagne dell’Albania del nord, Padre Gjeçovi venne a conoscenza del diritto consuetudinario non scritto, del suo potere sulla società mon-tanara, e meravigliato della forza e della ricchezza morale, etica, giuridica, cominciò le sue ricerche, dedicandosi con grande passione alla raccolta dalla voce del popolo, soprattutto dai vecchi (vegliardi), di questo patrimonio prezioso della storia e della cultura albanese, che operava come Canone delle Montagne albanesi, o il Canone di Lek Dukagini. I motti e le sentenze che passavano di bocca in bocca nell’occorrenza di un matrimonio, in famiglia, nella stirpe, nelle contrade, nei villaggi, nei discorsi e nei convegni, per sanare un conflitto o per stipulare un contratto, avevano una indiscutibile forza prescrittiva, che conferiva loro l’aspetto di norma, di regola e di legge stabiliti da Lek Dukagini. Sin dai primi risultati delle sue ricerche sul Kanun, Padre Shtjefen pubblicò vari articoli su tale patrimonio orale, nel giornale “Hylli i Drites” (“La stella della luce”). Il suo lavoro fu ben accolto dagli studiosi albanesi e stranieri, che espressero interesse a conoscere le vecchie leggi delle montagne. Se il suo contributo suscitò entusiasmo e interesse nel popolo e nel mondo degli intellettuali e degli scienziati locali e stranieri, a qualcuno, o meglio alle forze oscure, ciò dette molto fastidio. Un giorno, mentre stava tornando delle sue missioni religiose e di ricerca sul Canone, Padre Shtjefen Gjeçovi rimase ucciso in un imboscata di sanguinari sciovinisti serbi 34


La morte improvvisa di Padre Gjeçovi fu una dolorosa perdita per la nostra nazione, che bloccò la pubblicazione del Kanun, già tutto raccolto. Sentendone l’obbligo morale di completare l’opera di Padre Gjeçovi, un gruppo di padri francescani, riunì il voluminoso materiale da lui raccolto, e dopo tre anni di intensi lavori, riuscì a sistemare il materiale in un volume completo, pubblicato nel 1933 a Scutari, “Il Kanun di Lek Dukagini”, opera postuma di Padre Shtjefen (Stefano) Costantino Gjeçovi. La premessa al Kanun fu scritta dal suo grande amico e collega, l’Accademico italiano Padre Gjergj Fishta, che espresse stima profonda per la competenza e la professionalità di Padre Gjeçovi, e per il contributo straordinario dato dal suo lavoro di raccolta, ricerca scientifica e codificazione delle leggi del diritto consuetudinario albanese: vale a ribadirlo, fu un’opera di grande importanza per il nostro popolo. Padre Gj. Fishta nel 1933 scrive: “Con la raccolta del Kanun di Lek Dukagini, Padre Gjeçovi ha reso un grande servizio alla nazione, perché ogni stato che vuole vivere e svilupparsi secondo i principi della ragione della vera civiltà, ha bisogno di conoscere anche le leggi del diritto consuetudinario, che hanno importanza in se stesse, ma innanzi tutto devono essere prese in considerazione da quanti vogliano applicare le leggi dello stato”. Tramite l’opera di Padre Gjeçovi, il popolo albanese diventò conscio dei propri valori; anche il mondo riuscì conoscerci meglio, ed accettare quei valori come parte integrante della eredità storica, culturale e spirituale; valori cioè che nel loro insieme esprimono l’autenticità della nazione albanese. È importante sottolineare che l’opera e il contributo di Padre Gjeçovi sono stati valutati e stimati più dagli studiosi stranieri che da 35


quelli albanesi. Per l’apprezzamento dei suoi valori scien-tifici e per il contributo storico e culturale del suo lavoro “Kanuni Lek Dukagjini”, il Senato Accademico dell’Università di Laipzig (Germania) ha conferito a Padre Stefano Costantino Gjeçovi la Laurea Honoris Causa di Dottore delle Scienze. “Nessuno – disse Faik Konica – può competere con Padre Shtjefen Gjeçovi, per la saggezza e le competenze sul Canone, che rappresenta uno studio instancabile e approfondito, dove egli ha raccolto, sistemato, qualificato e presentato tutto quanto è rimasto del pensiero giuridico dell’Albania del medioevo, pensiero che sembra abbia radici al di là del medioevo”. Mons. Fan Noli scrisse: “Il Canone di Lek Dukagini, raccolto e codificato da Padre Shtjefen Gjeçovi, rappresenta in realtà il monumento più importante della cultura albanese, sorto durante il Rinasci-mento Europeo è sopravvissuto per sei secoli, giocando un ruolo strao-rdinario nella vita del nostro popolo, con la lingua nella quale è stato scritto”. Eqerem Çabej, nel 1935, nella sua opera “Elementi di letteratura e lingua albanese”, include vari racconti i di Padre Gjeçovi nell’antologia dei valori letterari, scelti per i bisogni della scuola albanese. Claudius Schewering (1939), professore della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Münich - Germania, esprimendo le sue opinioni sull’opera di Padre Shtjefen scrisse: “È un contributo di grande valore (un tesoro) nella cultura mondiale”, aggiungendo che “il Kanun è una raccolta del diritto consuetudinario e di leggi interessanti, forse le più vecchie dell’Europa". Con questi dichiarazioni per il Kanun di Lek Dukagini, Claudius Schewering ha onorato la nazione albanese ed in particolare il suo autore – legislatore Padre Shtjefen Gjeçovi. 36


Padre Giuseppe Valentini, uno tra gli studiosi più conosciuti di albanologia, ricercatore del diritto consuetudinario albanese, ha scritto: “Padre Sh. Gjeçovi, ha fornito valori insostituibili per capire la mentalità albanese. Senza di lui, oggi sarebbe difficile immaginare, come il Kanun fosse il regolatore di tutto". Ndoc Kamsi, scrive: “Padre Gjeçovi è un scrittore e patriota valoro-so, il primo intellettuale albanese, che regalò al suo popolo un’opera preziosa come è il Canone di Lek Dukagini, un’opera dedicata solo al diritto canonico del nostro paese...” Ms. Hasluck, Giuseppe Schirò e Witaker, scrivono: "Dopo una lunga eredità orale, sia prima che dopo l’occupazione ottomana, con la codifica fatta da Padre Gjeçovi, si vede che il Kanun contiene valori e modelli normativi, è un testo storico che racchiude le basi morali della società albanese". Federico Patetta, l’autore dell’introduzione che correda la prima pubblicazione del Kanun in lingua italiana (“Codice di Lek Dukagjini - ossia Diritto consuetudinario delle Montagne d’Albania” Roma 1941), scrive:“Il Canone, raccolto da Padre Shtjefen Gjeçovi, rappresenta la consuetudine acquista dal popolo albanese come norma”. Ndrek Pjetri, valutando il lavoro minuzioso e grandioso del Padre Gjeçovi scrive: “Il Canone fu raccolto come i chicchi di grano, in una grande povertà. Il Canone è stato la legge, il modo di vivere del popolo albanese, la nostra tradizione giuridica, che rispecchia noi e la nostra nobiltà nazionale”. Pandi Frasheri (1947) ha scritto: “Se apriamo il Canone di Lek Dukagini compilato con amore dal nostro nuovo Giustiziano, Padre Stefano Gjeçovi, troviamo istituzioni, leggi, usi e principi fondamentali, che fanno sbalordire per la perfetta analogia e coincidenza che hanno con quelli della Grecia e della Roma antica e, di conse37


guenza, con quelli degli stessi di molti trattati politici internazionali di ogni tempo”. Patrizia Resta, autrice dell’introduzione che correda il libro “Il Kanun, le basi morali e giuridiche della società albanese”, (pubblicato dalla Casa Editrice BESA, Lecce – 1997), scrive: “Il Kanun di Lek Dukagini è una raccolta delle leggi consuetudinarie, che si sono tras-messe oralmente per secoli, ma che diventò codice quando fu scritto da Padre Gjeçovi, il quale è il vero legislatore della tradizione giuridica delle montagne albanesi”. Ismail Kadare, in un saggio, definisce il Kanun di Lek Dukagini: “Jus Albanicae”. In realtà, se prendiamo in considerazione l’originalità, la struttura, la specificità e la continuità storica, posso dichiarare con orgoglio, che la definizione di Kadare è pienamente appropriata. Shaban Sinani, in uno studio dedicato al principe diffamato Lek Dukagini, scrive: “Il Kanun codificato da Padre Shtjefen Gjeçovi è un monumento culturale e storico del diritto tradizionale degli albanesi”. Lo studioso Tonin Çobani, analizzando il Kanun ed il suo legislatore Lek Dukagini, scrive: "…. Durante il periodo 1458-1481, quando Lek Dukagini dirigeva tutti i conventi e i consigli dei vecchi delle montagne, si è codificato il Kanun, che fu ereditato generazione dopo generazione come una pratica giudiziaria e le sentenze trasmesse oralmente quali espressioni dei saggi, formulate o pronunciate dal Principe Lek, alla stregua di sentenze giuridiche. Anche se il Kanun non è stato scritto, ha agito per secoli come una sorta di Commom law inglese, finché è stato raccolto e codificato da Padre Shtjefen Gjeçovi, nel passaggio dal XIX secolo al XX". Il medico giapponese Kazuhiko Yamamoto - che ha studiato il Kanun con dedizione ammirabile, analizzando i concetti etici come 38


la bessa, l’onore, il pane, il sangue e la vendetta (faida), trova una concordanza con il diritto consuetudinario antico giapponese, con la filosofia antica greca, con le opere di Platone e di Aristotele, anzi rivendendo i concetti etici della società greca senza autorità statale. In un’analisi comparata del Kanun, lui trova somiglianze con le vicende descritte da Omero nell’Illiade e nell’Odissea, nonché con le tragedie di Eschilo e di Sofocle. Il Kanun di Lek III Dukagini è una opera di ampio respiro giuridico ed umanistico, unica nella lingua albanese. Il Kanun, questo monumento giuridico ed etico-morale del diritto albanese, mette in luce l’abilità del nostro popolo di amministrare e organizzare la vita, ne richiama l’esperienza giu-ridica, e sua cultura, mostrando al mondo che gli albanesi non sono un popolo barbaro ed incolto. In particolare, i valori della nazione albanese sono evidenti nei capitoli e negli articoli del Kanun, in cui si parla della famiglia (struttura, organizzazione, i diritti ecc), o quando si determinano le regole organizzative e sociale delle tribù, delle stirpi, delle contrade e dei villaggi, per quanto riguarda l’onore, la parola data, la bessa, l’ospitalità, il pane-cibo ecc. Non dobbiamo dimenticare che quando parliamo del ruolo e della forza di agire del Kanun, ritorniamo molto indietro nel tempo: ci troviamo negli anni difficili di medioevo, difficoltà che sopravvivono al medioevo stesso, quando il popolo albanese viveva nelle zone alte e isolate delle montagne, dove non era presente nessun potere statale dell’impero Ottomano. Le tribù montanare nei secoli avevano autoorganizzato e automaministrato la vita secondo le leggi del Kanun, difendendo la loro auto-nomia, l’indipendenza, la loro identità etnica e culturale, la loro lingua, garantendo la sopravvivenza della nostra nazione. 39


In particolare, durante l’occupazione turca, quando non esisteva né stato, né governo albanese, è stato il Kanun a dirigere, organizzare e amministrare la vita in tutti i territori abitati dagli albanesi. Il Kanun di Lek Dukagini, o il diritto consuetudinario albanese, è stato l’unico tra i popoli balcanici rimasto come il diritto parallelo, anche dominante sul diritto dell’Impero Ottomano, sopra la Sheriat, ma anche sopra il potere e delle leggi degli altri occupanti che hanno invaso l’Albania. Il Kanun delle Montagne albanesi, raccolto e codificato da nostro legislatore Padre Shtjefen Gjeçovi, è arrivato, con qualche cambiamento, fino ai nostri giorni come il Kanun di Lek Dukagini, trasmesso fedelmente dalla nostra tradizione orale e come parte della nostra storia e cultura.

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IL CANONE E IL SUO PERCORSO STORICO. Il nome Kanun è di origine greca: «kanón» significa riga, lo strumento per fare le linee dritte e quindi metaforicamente “tenere dritto”, “tenere giustizia”. Dunque definisce “la giustizia di Lek Dukagini”, o “la giustizia secondo il Canone delle Montagne”, secondo il diritto consuetudinario non scritto, in base del quale è stata costruita la vita del popolo albanese. Quando si dice: “tutto è kanun, come ereditato dagli antenati gjithçka eshte kanù i trasheguem prej te pareve”, se ne evoca l’origine antica, che ancora non siamo però in grado di verificare con esattezza. Su tale origine insistono quasi tutti gli studiosi stranieri e albanesi. Schewering considera il Kanun “un riassunto delle norme consuetudinarie e delle leggi forse più antiche dell’Europa”. S. Villari, nel libro “Le consuetudini giuridiche dell'Albania nel Kanun di Lek Dukagini”, (Società Editrice del Libro Italiano, Roma 1940; pp 31-33), ha notato punti di corrispondenza fra il Canone Albanese ed il “Fetha Neghest” attribuito ai padri della chiesa convocati al Concilio di Nicea. Non si può dire che queste due leggi abbiano una unica fonte, ma il fatto della presenza attiva dell’Episcopato Illirico Albanese nei primi Concili ecumenici, specialmente il suo contributo sin dal Primo Concilio di Nicea, dove viene approvato il testo della formula del “Credo”, proposta da tale Episcopato, ci fa pensare a legami e ad influssi reciproci. Nei documenti dei Concilii troviamo altri contributi dei padri della chiesa Illirico-Albanese, in particolare nel campo della costruzione dell'“usus” ecclesiale. L’esistenza di un Canone illirico in questo periodo, non è facile da provare, ma nemmeno si possono 41


ignorare alcuni fatti di rilievo. Su questi argomenti vorrei aggiungere che nell’Archivio di Stato albanese si trovano più di 100 Codici, scritti dal VI secolo d.C fino al XIX secolo e tra i quali ci sono diversi codici agiografici dedicati alle regole sociali, alle norme morali, al matrimonio, alla tradizione laica, alla giustizia, al tribunale, alla musica, alla scienza. Purtroppo fin ora non sono stati effettuati studi approfonditi e comparativi tra questi codici con il Kanun o, meglio i Kanune, perché sono tanti. Barone Von Nopsca scrive: “la fonte del Kanun delle Montagne sono le leggi dei Longobardi, entrati in Albania prima del XIV secolo, tramite la Venezia”. Faik Konica scrive: “Il Kanun presenta tutto quanto è rimasto dal pensiero giuridico dell’Albania del medioevo, pensiero che sembra avere i radici oltre al medioevo”. Padre G. Valentini trova nel Kanun e analizza vari elementi che si ricollegano al diritto romano. Ernest Koliqi trovando nel Kanun analogie con il codice Teodosiano, con lo Jus Diocleziani, e con lo Jus Justiniani, scrive: “L’alto significato morale cittadino, lo spirito eroico che ispira le consuetudini giuridiche trasmesse oralmente, l’unico rimasto fin oggi in Europa, ci ricorda da sé la vecchia origine, in particolare quegli “antiqui mores” romani e le loro leggi, da cui è nato”. Pandi Frasheri comenta: “Nel Kanun troviamo istituzioni, leggi, usi e principi fondamentali, che ci fanno sbalordire per la perfetta analogia che hanno con quelli della Grecia e della Roma antica“. Robert Elsie, analizzando la vecchia origine del Kanun precisa: “Le leggi consuetudinarie del Kanun, con il passare del tempo, sono state cambiate e influenzate anche da soggetti stranieri. All’inizio sono state influenzate dalle leggi romane e dopo dalle norme e dalle leggi Germaniche, portate dai Goti. 42


Non si esclude anche l’influenza della chiesa, soprattutto dei monaci nelle zone montanare del nord dell’Albania”. E ancora Kazuhiko Yamamoto: “Il Kanun ha somiglianze con l’opera filosofica di Platone e Aristotele, e per di più, nel Kanun si trovano concetti etici della società greca, del tempo in cui era assente l’autorità statale, che fanno pensare che il Kanun sia di antica origine”. A. Andersen: “Il Kanun è una legge consuetudinaria che ha vissuto per 600 anni, e ha agito come un sistema per l’amministrazione giudiziaria nel nord dell'Albania, che storicamente è stata isolata dalle leggi del governo centrale”. Ismet Elezi, uno dei più notti ricercatori sul diritto consuetudinario albanese, ha documentato il fatto che “il Kanun appartenga ai tutti i territori abitati dagli albanesi, dal nord al sud”. Che il nostro Kanun sia esistito e abbia agito da secoli, ormai nessuno ha dubbi, ma la questione è quando fu codificato originariamente? Chi fu il primo legislatore? Tutti si domandano se il Kanun sia stato scritto, e se sì, in quale lingua? Come è riuscito a sopravvivere ed a rimanere invariato durante tutti questi secoli? Quale sono le somiglianze e le differenze con i diritti di altri popoli?

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Diogene con lanterna, cercando l’uomo vero. Opera di JohanTischbein

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IL KANUN ED IL DIRITTO ROMANO. Si suppone che il Diritto consuetudinario esistesse nell’Illiria, già proprio dei tempi romani. Infatti l'Illiria, una delle quattro Prefetture dell'Impero Romano, aveva il proprio diritto autoctono riconosciuto dall’imperatore romano. Questo confermano diverse fonti storiche ed anche il noto giurista romano Ulpiano, il quale scrive: “Il governatore romano dell’Illiria prendeva in considerazione il diritto locale”. Anche dopo la Legge di Caracalla (212 d. C.), questo diritto consuetudinario locale illirico è restato in vigore nella pratica giuridica. Occorre inoltre aggiungere che il diritto consuetudinario è stato conosciuto da quasi tutti gli imperatori romani di origine illirica, specialmente da Diocleziano, Costantino, Giustiniano. Tra gli argomenti che appoggiano l’idea che il nostro Kanun abbia ereditato elementi dal diritto romano, è il Codice Teodosiano, dove si trova la legge 6° che sancisce: “… Il legislatore critica il prefetto Flaviano, perché ha sbagliato appoggiando le leggi locali precedenti, che dicono: uno che vuole vendere la terra, prima deve avere l’approvazione dei cugini e dei vicini”. Anche se non è chiaro quali siano queste “leggi precedenti”, e non viene specificato se è la legge romana o è la legge illirica, è importante il fatto che questa vecchia legge è testuale anche nel Kanun di Lek Dukagini, (articolo 77, § 464 del KLD) che stabilisce: “prima che si venda un terreno, dovranno essere avvisati i cugini, la fratellanza, la stirpe ed i confinanti del venditore”. La stessa legge si trova anche nei altri Kanun albanesi. Secondo gli studi di Seeck, la legge descritta nel Codice Teodosiano risale al 391 d.C, quando Flaviano era prefetto del protettorato d’Illiria e l’imperatore era lo spagnolo Teodosio e non un imperatore 45


illirico. È interessante il fatto che una legge formulata come sopra non si trova nel diritto romano conosciuto finora, perciò Ernest Koliqi pensa:“… Sia stata una consuetudine di quel tempo, abolita in seguito e scomparsa dal mondo romano, ma custodita nel mondo illirico”. Durante l’occupazione romana, nel capoluogo principale o secondario della Prefettura d’Illiria si organizzava il famoso “Conventus iuridicus”, costituito dai nobili, notabili e giudici locali, mentre nelle colonie, questo era sostituito con “Conventus civium romanorum”. Il Prefetto periodicamente perlustrava la regione e, trattenendosi per ispezione nei vari capoluoghi, vi convocava il “conventus”, con il quale prendeva in esame le cause, specialmente di diritto civile, secondo norme che lui aveva predefinito con “edictum perpetuum”, che però si basavano sul diritto romano, sul diritto locale e sullo “ius gentium”. In particolare per la procedura, secondo i principi di “equità”, vigeva ampiamente, se non forse esclusivamente, l'istituto del “recuperatio”. Ogni cittadino locale che venisse chiamato in giudizio “in ius” da un giudice romano o illirico, come pure il membro di una comunità che venisse chiamato in giudizio dal membro di un'altra, aveva il diritto di scegliere una specie di giuria di “recuperatores”, che curavano il giusto svolgimento del processo nell'interesse dell'accusato. Di fatto, secondo il Kanun, colui che nella montagna viene citato dal suo avversario al giudizio degli anziani ha il diritto, secondo l'importanza della causa e secondo la sua qualità, di presentare una porota, o corpo di garanti, e testi a difesa, che avranno influenza capitale nella soluzione della vertenza. Nell’Articolo 144, § 1044 - KLD è stabilito: “Il Codice chiama “Porota” - “Poronike” (giurati) quel numero di persone che espressamente vengono designate dai giudici, perché giurino a favore di 46


un imputato per liberarlo dall’accusa”. Vero è che comunemente tale termine tecnico viene messo in relazione col parallelo “porota” vigente nel vecchio diritto tradizionale; ma non è improbabile, come è stato detto da molti studiosi, che dal termine “recuperatio” della lingua latina, attraverso la semplificazione “paratio”, sia derivato il termine albanese “porota”, che si trova in tutti i nostri Kanun delle montagne. Si sa che, quanto ai testimoni, nel diritto romano antico come consiglio e nel diritto Costantiniano come disposizione imperativa, vigeva il principio che “testis unus, testis nullus”; in maniera analoga anche la porota o corpo dei testi del diritto albanese richiede appunto una pluralità di testi, il più delle volte fino a 12 o 24 testimoni, perché, spiega il Kanun: “Di tutta quella gente, se non il primo, almeno il secondo e il terzo saprà qualche cosa e non vorrà vendere l'anima sua con un giuramento falso” (Art 144, § 1049, § 1050 – K.L.D). In seguito, cioè dal periodo degli Imperatori illirici in poi e specialmente dal tempo di Costantino, il “Conventus” acquistò sempre maggiore importanza tanto da venire a somigliare ad un parlamento provinciale, con diritto di presentare lagnanze e proporre migliorie al governo imperiale. La storia conosce tre di tali “Conventus” giuridici nelle città illiriche di Salona, Narona, Scardona, ed anche un Conventus civium romanorum, quello di Lissus, l'odierna Lezha di Albania, ma si può supporre che altri ancora ne esistessero in altri centri. Conventus in lingua albanese si chiama kuvend, ed è una parola modificata della parola latina conventus. Nulla sappiamo di preciso dal punto di vista costituzionale e giuridico sugli illirici, ma è molto probabile che sia esistito uno statuto o un codice tradizionale non scritto, legato da una parte, alla 47


psicologia del popolo illirico e dall'altra alla costituzione già consentita da Roma ai “Conventus”. Non si sbaglia a sostenere che i conventus illirico-albanesi, e poi anche il Kuvend, rappresentino una continuità del coventus romanoillirico e che abbiano avuto un ruolo importante nello sviluppo sociale, politico, culturale e militare del nostro popolo. Altra analogia con il diritto romano, la troviamo nel deferire il giuramento. Secondo “legis actiones” dei romani, l'una parte poteva, in prova dei fatti da essa allegati, rimettersi alla prova di coscienza dell'altra parte, deferendole il giuramento sulla verità di quei fatti: l'avversario soccombeva se ricusava di prestare il giuramento deferitogli. Così pure il Kanun stabilisce: “Se l'accusato non confessa, il padrone della cosa rubata o la parte civile ha diritto di costringerlo al giuramento; o giurare che non se ne sa nulla, o restituire quanto si deve, o presentare il colpevole “ (Articoli 88 – 95 del KLD). I giuramenti: “Per il cielo e per la terra, per questo pane, per questa pietra, per questo paese, per questo luogo” ecc., sono elementi importanti nel Kanun delle Montagne, usati per testimoniare la verità, per esprimere la forza della verità nelle circostanze quando lo si chiedeva dai vecchi giudici. Nelle montagne albanesi il giuramento si fa sulla “pietra” basando sui criteri del Kanun, ed “è uno dei giuramenti più spaventosi che conosce il montanaro albanese” (Art 89, § 533 - K.L.D) – ma si fa anche porta a porta. Questo giuramento non ha niente da fare con la religione, nè con il Vangelo, né con il Corano. I giuramenti stabiliti dal Kanun sono antichi, precristiani e legati alla mitologia elena e romana, anzi sono uguali a quelli dei eleni dell’antichità, che giuravano per il cielo (per Urano) e per la terra (per Demetra). 48


Ernest Koliqi, in un suo studio, ha confrontato il diritto di famiglia romano con il diritto della famiglia albanese secondo il Kanun e ha individuato somiglianze interessanti. Ricordiamo che, nella famiglia romana il “Pater familias” era il solo supremo regolatore, il solo giudice delle colpe commesse dai sottoposti alla “patria potestas”; aveva un illimitato diritto di correggere e punire i figli (ius vitae et necis). Come il padre era l'assoluto signore della famiglia, così egli era l'unico ed assoluto padrone del patrimonio familiare. Tutto quello che il figlio, posto sotto la patria potestà, acquistava, sia per incarico del padre, sia a sua insaputa, apparteneva al capo della famiglia; e il figlio non poteva, salvo in casi eccezionali, agire in giudizio in proprio nome. Analogamente, secondo il nostro Kanun, il padre ha diritto sulla vita dei figli; ha diritto di mandare il figlio a servizio quando vuole; può castigare quelli di famiglia lasciandoli a digiuno, togliendo loro le armi per una o due settimane, legandoli o imprigionandoli in casa, o cacciandoli; egli ha diritto sui guadagni di quelli di casa, siano paghe o regali; ha diritto di acquistare, alienare, permutare qualsiasi parte del patrimonio, mentre i familiari non possono vendere, nè comprare, nè permutare alcuna cosa. Solo chi era “pater familias” godeva in Illiria i pieni diritti civili e politici, ed anche nel Kanun spetta al signore di casa, di prendere parte alla vita della tribù e di partecipare nel conventus, egli rappresenta la famiglia con tutti i diritti e i doveri, in pace e in guerra (Art. 33 - K.L.D). Nel diritto romano la famiglia è la cellula della società, ma la donna non poteva aver mai la “patria potestas”, era esclusa nel diritto più antico, dell'esercizio di tutti i pubblici uffici. Così pure nel Kanun, la famiglia albanese è la pietra angolare della società, ma la 49


donna non è ammessa a partecipare al conventus e “non può accusare, non può essere testimone, e non ha diritti come erede” (Art. 34, § 61 - K.L.D). Sotto l’autorità del “pater familias” romano vi erano anche gli “agnati” (cugini), cioè i discendenti in linea maschile dal comune padre o nonno, e gli adottati da loro. La costituzione della famiglia patriarcale albanese, con il vecchio signore della casa, si estende analogamente a tutti i membri della famiglia in linea maschile (linea del sangue), che convivono ancora intorno a un solo focolare, o sotto un tetto. Alla morte del titolare d'un patrimonio famigliare romano, tutto il patrimonio passava in blocco a una o più persone che si dicevano eredi. Dopo la morte del capo famiglia, nella società romana, il gruppo della famiglia non si scioglieva, ma restava unito sotto un altro capo, che era il più immediato discendente del “pater” o una persona diversa ma designata da lui. Così pure nella famiglia montanara albanese, ordinariamente alla morte del padre o avo, continuava la convivenza ed il patrimonio rimaneva unitaro. Al primogenito spettava l’eredità del patrimonio e di governare la casa dopo la morte del padre, e doveva essere interrogato circa ogni questione, in casa e fuori. Secondo il diritto romano, all'erede passava non solo l'attivo ma anche il passivo. Cosi pure secondo il Kanun di Lek Dukagini. Se il capo di famiglia muore senza figli, lascia dei debiti, questi vanno pagati detraendone la somma dalle sue eventuali disposizioni testamentarie, e ciò a cura dei cugini (Art 36 – 42, K.L.D). Dall'eredità, nella società romana erano esclusi i discendenti in linea femminile; così pure il Kanun albanese vuole che l'eredità

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spetti al nipote del tronco del padre (linea del sangue) e non al nipote di figliuole (linea del latte). Presso i romani in mancanza di agnati erano chiamati alla eredità legittima i gentili o quelli della stessa “gens” o stirpe, benché tale disposizione sia presto caduta in disuso, così pure è descritto anche nel diritto albanese. Nei villaggi delle montagne albanesi, se la casa rimaneva senza discendenti maschi, il cugino più prossimo prendeva il dominio del patrionio. Se il patrimonio vacante non ha cugini in cui ricadere, la stirpe e la tribù, anche solo per ragioni di parentela “nel centesimo grado, ha diritto sul terreno e altri fondi del patrimonio (njiqind breza në kjofshin, kanë tagër mbi gjânë, pronën e pasunínë e pangut të shuem)”(Art. 42 del KLD). Si vede che esistono tante somiglianze e quelle non sono casuali. Nulla ne sappiamo di preciso dal punto di vista costituzionale e giuridico sugli illirici, ma è molto probabile che sia esistito un codice tradizionale non scritto, legato all’organizzazione della vita del popolo illirico, che durante la lunga occupazione romana sia stata influenzato, ed abbia ereditato molti elementi dal diritto romano. Non solo ma gli illirico-albanesi hanno custodito invariato il loro diritto consuetudinario. Tale fortissime tendenze delle vecchie tribù illiriche, ed in continuità gli albanesi, si concretano nelle espressioni sacramentali con cui ogni questione si tronca “come ce ne lasciarono legge i nostri avi” ed “a paese vecchio uso nuovo non si addice”, che vuol dire che non si possono fare cambiamenti alle leggi del vecchio Kanun. Nessuno aveva diritto di cambiare il Kanun. Questa sentenza consentì così di conservarlo invariato per molti secoli fino ad oggi,

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come un solido codice consuetudinario, come un diritto tradizionale, l'unico esistente in Europa fin al XX secolo. La decadenza prima dell'Impero romano e poi dell’impero bizantino portò con sé un regime che andava facendosi sempre più di tipo feudale. Tale processo naturalmente prima si concretizzava nelle città, mentre la popolazione illirico – albanese, che abitava nelle montagne e ancora rimaneva organizzata in tribù (fis), è presumibile andasse acquistando sempre maggiore atonomia, fino a reggersi da sé secondo le tradizioni etniche, ereditate dagli antenati. Non si esclude che il Kanun, in parte sia stato modificato dalle consuetudini impiantate dai romani e, nei secoli successivi, sono stato influenzato anche dalle leggi dell’Impero Bizantino, dei longobardi, dei normanni, degli slavi, dei veneziani e certo anche da altre circostanze storiche.

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IL KANUN ED IL DIRITTO BIZANTINO. Diocleziano (nato a Dioclea - Illiria) con la sua Tetrarchia divise l’impero in due parti; una decisione fatale, che portò per secoli alla divisione in due mondi, l’occidentale e l’orientale, sempre in conflitto tra loro. Durante la dominazione di Bisanzio, il territorio abitato dagli albanesi fu oggetto di conquista da parte delle tribù barbare del nord Europa, come Visigoti, Unni, Ostrogoti e Slavi. Dopo il crollo dell’impero Romano (476 d.C), i bizantini esercitarono un’autorità nominale, dividendo il territorio d’oriente in tante piccole signorie locali, che erano in contatto tra loro ed in un certo modo si fondono e si trasformano. I rapporti tra gli abitanti di queste signorie (dirette da un militare - Rex), erano regolati con le leggi centrali e locali. La risoluzione dei conflitti, fino al tardo medioevo era la FAIDA. Nel corso del V-VI secolo, l’autorità imperiale di Bisanzio tende ad accentrare nelle proprie mani il potere politico, economico e militare ed a controllare quello religioso. Per garantire l’unità dell’impero, viene rafforzato e organizzato il sistema giuridico ereditato da Roma (Codex Theodosianus - 438 d. C.) e, poi, il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano (nato a TauresioIlliria nell’anno 482 d. C, che diviene imperatore nel 527 d.C.). Della legge di Giustiniano furono redatte due edizioni: la prima, Codex Iustinianus primus o vetus del 529, è andata perduta, mentre la seconda, il Codex Iustinianus repetitae praelectionis del 534 d.C., ci è pervenuta integralmente. Lo Jus Giustinianeo è un capolavoro giuridico, composto da leggi e di sentenze, a cui hanno dato vita secoli di giurisprudenza romana, che codifica con chiarezza e razionalità i principi del diritto, su cui poggia l’ordinamento statale. 53


Il Codex Iustinianus è diviso in 12 libri, contenenti ognuno numerosi titoli. Complessivamente si contano oltre 1600 costituzioni. L'opera è divisa per argomenti: - libro I: diritto ecclesiastico; - libri II-VIII: diritto privato; - libro IX: diritto penale; - libri X, XI, XII: diritto amministrativo e finanziario. Pure il Kanun di Lek Dukagini è diviso in 12 libri, ma anche il primo libro è dedicato al diritto eclesiastico, i libri II - VIII al diritto privato e così via gli altri libri, il che evidenzia una somiglianza impressionante con la struttura del codice Giustinianeo. Per quanta riguarda l’aspetto giuridico del Kanun di Lek Dukagini, risulta che molti argomenti sono quasi gli stessi di quelli del Codex Iustinianiano, che era attivo in Illiria. Dopo la morte di Giustiniano, le sue leggi subìscono un grande processo di volgarizzazione, che renderà le sue opere molto più semplici e adattabili a quelle che erano le esigenze politiche e culturali di quei tempi. Non si può escludere la possibilità che la tradizione consuetudinaria degli illirici abbia subito l’influenza anche delle leggi di Giustiniano, selezionate dai mentori illirici e adottate secondo le circostanze e le condizioni specifiche della vita montanara nei loro domini. Dunque, possiamo suporrere che il Kanun rappresenta un riassunto delle leggi di Giustiniano (un variante volgarizzata) e negli anni successivi il diritto consuetudinario albanese, ha forse subito influenze anche dalle leggi normanne. Il nostro Kanun probabilmente è stato codificato come diritto locale prima del VI secolo, perché i codici, dopo il regno di Eraclio (VII secolo), attribuiscono al clero le funzioni amministrative; vice54


versa il Kanun di Lek Dukagini vieta in ogni caso al clero di avere potere amministrativo e politico. L’organizzazione dell’impero bizantino nei piccoli stati (dal VI – XII sec d. C), portò al consolidamento dei regimi locali, fra i quali compare anche l’Albania. In ognuno di questi cosiddetti stati vigeva il culto della personalità del diritto, per cui ciascuno di loro ha i propri usi, le proprie consuetudini, le proprie norme e regole, che sono custodite e trasmesse oralmente. L’Albania in questo tempo assume una fisionomia feudale, più chiara nelle città, mentre la popolazione montanara continua a rimanere organizzata in tribù e contrade, autogovernate secondo le regole consuetudinarie tradizionali. Questo processo portò all’unificazione del popolo albanese e della sua lingua, facendo nascere la nazione albanese, processo che fu completato nel 1190, con la proclamazione dello Stato di Albania. La nazione albanese in questo periodo era organizzata in tribù contadine e vari centri urbani, come Scutari, Durazzo, Tivari, Ulcini, Drishti, Lezha, Berati, Elbasan, Prizren, Ohri, Janina, Vlora, dove la vita e l’attività politica, sociale, economica e militare erano gestite da regole e leggi che non potevano essere spontanee. Le città albanesi erano come un ponte di comunicazione tra l’oriente e l’occidente e erano diventate centri importanti amministrativi, di artigianato, di commercio e centri di chiesa. In particolare le città di Scutari, Durazzo, Vlora, Ulcini, diventarono centri importanti e ponte di collegamento tra l’oriente e occidente. Dello Stato di Albania (Arberia) (1190 - 1216) faceva parte anche il Principato dei Dukagini. La famiglia dinastica Progono dello Stato di Albania aveva il suo stemma araldico, con l’aquila monocipite, con le ali levate in alto, che ritroviamo anche come stemma della famiglia dei Dukagini. 55


Nel 1204 crollò l’Impero Bizantino, ma lo Stato di Albania rimarrà ancora a lungo, per più di un decennio. Il fondatore dello Stato fu il principe Dhimiter Progoni, il Signore di Albania, o “Magnus Arkond”, e poi i suoi discendenti. Nel 1208, Papa Inocenzo III, in una lettera indirizzata al principe Dhimiter Progoni, lo chiama “Judex”, il primo giudice dell’Albania. Ma questo fatto fa sorgere una domanda: con quale leggi giudicava il Magnus Arcond dello Stato di Albania? Erano ancora le leggi di Gustiniano? Erano le leggi degli illirici, o lo Stato di Albania aveva le sue leggi, o forse in questo periodo era il Kanun? Ancora non possiamo rispondere a questa domanda. Comunque, in questo tempo esistevano delle leggi, come testimonia un documento raro e significativo. Nell’anno 1215 l'Arcivescovo Demetrios Chomatianos mandò una lettera al vescovo di Kruja, dove si parla del matrimonio di Gregorio, il Magnus Arkond di Albania, con Komnena, la sua cognata. Con un analisi giuridica e teologica dell'argomento, l’Arcivescovo Chomatianos scrive: “Questo matrimonio è conosciuto dalla chiesa” e, “questo matrimonio non sporca il sangue ed è legittimo”, confermando così il diritto di Gregorio per il legame matrimoniale con la vedova di suo fratello deceduto. Nel Codex Iustinianus ci sono molte leggi sul matrimonio, sul divorzio, sul adulterio ecc., ma non esiste nessun paragrafo che si riferisce al matrimonio con la cognata. Quale è, però, questa legge sul matrimonio a cui si riferisce Chomatianos? Questo matrimonio è realizzato secondo le regole che stabilisce il Kanun delle montagne e, quindi riconosciuto dalla chiesa o sono esistite anche altre leggi? Può sembrare una domanda retorica e priva di una risposta esau56


riente. Tuttavia se riflettiamo, possiamo dire che nelle condizioni storiche e sociali dell’Impero Bizantino di quel tempo, gli albanesi possono aver preferito usare le vecchie leggi locali ereditate. Se la storia ha confermato che le leggi dell’impero bizantino (Jus Iustinianus) erano ereditate da quelle del diritto romano, allora è più probabile che il Kanun rappresenti la continuità di questa fonte, ovviamente modificato con razionalità, addottandolo alle nuove realtà medioevali, su cui poggia l’ordinamento statale in Albania di questo periodo storico. Cosa stabilisce il Kanun delle Monatgne rispetto al matrimonio con la cognata vedova? È importante sottolineare che le regole sul matrimonio, nel Kanun di Lek Dukagini, sono le stesse di quelle che scrive l’Arcivescovo Chomatianos. Nell’articolo 14, § 36 del KLD si stabilisce:“La vedova ha diritto di scegliere il marito che meglio le aggrada, e di decidere da sé del proprio matrimonio”. Ricordiamo che il “diritto” secondo il Kanun di sposare la cognata vedova è stato applicato dalle famiglia montanare albanese fino alla prima metà del XX secolo. Anche se non le conosciamo ancora, tutti siamo convinti che durante il medioevo, in Albania siano esistite leggi e regole canoniche anche sul matrimonio. Su questo argomento, di nuovo posso ricordare i 100 Codici albanesi scritti dal VI fino al XIX secolo (in lingua latina e greca). Lo scienziato Theofan Popa, dopo un lungo e accurato studio, ha classificato i codici in tre gruppi: 1. codici biblici, 2. codici liturgici, 3. codici agiografici. Nel gruppo dei codici agiografici si trovano scritture dedicate alla cultura laica, alla vita sociale, alla morale, al tribunale, al giudice, al diritto e alle tradizioni etno-culturali, al fidanzamento, al matrimonio ecc., come risulta nel codice N° 14 di Berati dell’XI secolo, nei 57


Codici N° 32, N° 38, N° 43 di Berati del XIII secolo, nel codice di Scutari del 1341, ed in particolare nel Codice N° 86 di Elbasan dell’anno 1563 (contiene le regole per il matrimonio), e nel Codice N° 60 di Berati dell’anno 1786 con le norme e le regole per il funzionamento della giustizia, per la figura del giudice, per il tribunale, per le regole del fidanzamento e del matrimonio ecc. Maggioranza di questi leggi, regolamenti e norme morali nei Codici albanesi, non hanno niente da fare con la religione cristiana, al contrario hanno carattere laico. È probabile che le regole e le norme sul matrimonio, previste dal Kanun di Lek Dukagini, forse le possiamo trovarle anche nei codici richiamati. Nell’articolo 11, § 29 del KLD si stabilisce: “Il matrimonio è legittimo, riconosciuto come tale dal Kanun di Lek Dukagini e dalla chiesa”, cioè il riconoscimento civile (secondo il Kanun) e riconoscimento religioso del matrimonio, come nei tempi odierni. Dopo il crollo dello Stato di Arberia, fu il Regno d’Albania di Carlo I Angiò (1272-1368) e poi gli albanesi furono sotto il dominio slavo e, in seguito, sotto il dominio della Repubblica Marinara di Venezia, della quale facevano parte i territori del centro-nord e della costa marittima albanese. L’Albania Veneta continuerà fino alla occupazione turca di Scutari (1479) e del Durazzo (1505). Se il Kanun fosse stato codificato in questo periodo, ovviamente sarebbe stato denominato con un termine in lingua latina o italiana, che erano le due principali lingue usate nei documenti ufficiali, nei protocolli delle relazioni con gli altri paesi ed usate anche dalla chiesa cattolica. In realtà, la lingua albanese ha ereditato dalla lingua latina molte parole di uso amministrativo e giudiziario, come statut (status), ligj (lex), dokument (documentum), kod (codex), gjyq (ius), porota (recuperatores) ecc., invece la denominazione del Kanun è di 58


origine greca (lingua ufficiale nell’impero bizantino), il che suggerisce che il nostro diritto consuetudinario sia stato codificato prima del dominio napoletano e veneziano, e che sia un codice più antico. L’esistenza delle leggi attive locali, prima dell’occupazione veneziana, è confermata in vari documenti dell’archivio di Venezia. Padre Giuseppe Valentini ne ha scelto uno più significativo: “A Durazzo ed anche nelle altre città governate dai veneziani, era ordinato che ogni bailo, conte, podestà, o provveditore, dovesse conoscere e prendere in considerazione le leggi consuetudinarie locali”. Questo documento suggerisce l’esistenza delle leggi locali, ma di nuovo si pone la domanda: Quali sono le leggi locali? Esisteva in questo tempo un codice giudiziario albanese? Padre Giuseppe Valentini, studiando vari documenti dell’archivio di Venezia, ha rinvenuto testimonianze che dimostrano che, nei territori abitati dagli albanesi (Albania Veneta), funzionava un vero sistema giudiziario e che i processi giudiziari importanti venivano giudicati dal rappresentante veneziano una volta alla settimana, mentre i processi civili rientravano nei compiti dei giudici locali, ma non viene specificato chi fossero questi giudici locali (erano veneziani o erano davvero Vegliardi albanesi?) ed in base a quali leggi giudicavano? Esisteva in questi anni il Codice Consuetudinario Albanese – cioè il Kanun degli albanesi?.

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Azem e Shota Galica

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IL KANUN NEL MEDIOEVO PRE-OTTOMANO. Il medioevo albanese è stato travolto da molte guerre e vicende storiche. Indipendentemente da queste circostanze dal secolo IX fin all secolo XIV, il nostro popolo fu unificato, creando la sua identità etno-linguistica e consolidato come nazione albanese. Questo processo della nazione albanese viene finalizzato con lo Stato di Albania nel 1190. In questo periodo storico, nei territori abitati dagli albanesi esistevano leggi, regole e norme, che stabilivano la vita nelle città e nelle tribù contadine, ma determinavano anche i rapporti sociali, economici e militari all’interno dei principati e in relazione con gli altri paesi. Basandosi sui documenti di questo tempo, M. Šufflay scrive: “Nel XIV secolo, qualche gruppo di villaggi e distretti dei contadini, inizia ad organizzarsi nelle repubbliche autonome, esprimendo due elementi nuovi: uno militare e l’altro giuridico”. Ormai la storia ha confermato che queste piccole repubbliche, funzionavano secondo le loro norme e le regole morali e sociali, ma avevano anche le leggi per governare, per amministrare la vita, per reclutare soldati in difesa dei loro territori e della loro libertà. Su queste nuove unità amministrative, Milan Šufflay racconta: “In qualche città albanese furono costituiti gli uffici notarili, a cui si rivolgeva la gente per risolvere i problemi e da dove uscivano le notizie giudiziarie del paese”. Da queste testimonianze risulta che i centri urbani, e anche quelli rurali erano ben organizzati, e tutto funzionava secondo le leggi locali, anzi erano istituiti anche i tribunali e gli uffici notarili, ma non sappiamo ancora di quali leggi si trattava. La storiografia albanese documenta che dall’XI al XV secolo, le comunità urbane albanesi avevano raggiunto lo stesso livello orga61


nizzativo e di sviluppo degli altri paesi dell’Europa occidentale. Che lo spazio albanese sia stato incluso nell’umanesimo europeo viene documentato dall’esistenza degli Statuti di varie città, come atto fondamentale del diritto pubblico, come regole della vita cittadina nel medioevo preottomano. Molte città albanesi come Durazzo, Scutari, Tivari Drishti, Ulcini Dania, Kruja, ecc, avevano i loro statuti (o meglio le costituzioni cittadine). Che l’Albania di questo periodo avesse uno sviluppo di cultura civile, è testimoniato anche dal fatto che nell’anno 1369, nella città di Durazzo, presso la Cattedrale di Santa Maria, fu fondata l’Università: Univeristas Studiorum Durachium, dove si studiava giurisprudenza, medicina e teologia. Dopo l’occupazione ottomana, purtroppo la Cattedrale di Santa Maria di Durazzo, fu rasa al suolo dai barbari turchi e l’Università fu chiusa per sempre. L’esistenza degli statuti e l’organizzazione locale della vita cittadina e contadina secondo i costumi tradizionali, testimoniano uno stadio avanzato di sviluppo del popolo albanese ed esprimono la crescita dei fattori laici nell’amministrazione delle comunità urbane e rurali. In questo tempo compaiono strutture amminisistrative simili ad altri paesi europei, come il Ducato (Ducato di Scutari, Ducato di Durazzo, Ducato di Argirocastra, Ducato di Arta ecc.) ed anche Principati che si estendevano in ampi territori come, il principato dei Dukagini nel nord, il Principaato di Arianiti e Castrioti al centro ed il Principato di Gin Bue Shpata nel sud dell’Albania ecc. In questa struttura amministrativa, le famiglie nobili albanesi erano individuate tramite i segni araldici (lo stemma della famiglia), le bandiere e gli statuti. Attualmente noi conosciamo diversi statuti: lo statuto del Ducato di Scutari scritto in lingua latina è custodito meglio di tutti gli altri statuti albanesi . 62


Lo statuto di Scutari scritto nella prima metà del XIV secolo, con 70 pagine di testo, rappresenta uno degli standard più completi del diritto cittadino albanese nel XIV secolo. Lo scienziato Pellumb Xhufi, nel corso dell’analisi dello statuto di Scutari, nel testo scritto in lingua latina trovò la parola albanese BESSA, documentata nella forma scritta per la prima volta nel XIV secolo, che testimonia in modo convincente l’esistenza dell’istituto di Bessa albanese (parola d’onore) nel periodo preottomano. Secondo Lucia Nadin ed Oliver J. Schmitt, “Lo statuto di Scutari è un documento di fondamentale importanza da più punti di vista, è un vero monumento dell’Albania medievale, anche qualcosa di più, dal momento che risulta di sicuro interesse per la storia ed i rapporti con Venezia e con le maggiori potenze dell’area, nel quadro dei grandi equilibri internazionali. Ha inoltre il pregio di essere il più antico testo legislativo prodotto sul territorio albanese giunto fino a noi; è una chiara e organica testimonianza di quell’Albania costiera, di centri urbani e delle culture della montagna; che ci tramanda il ricordo di uno straordinario incrocio di culture e di genti, di rapporti e di prevaricazioni; è la testimonianza di una stratificazione di vicende e civiltà passata attraverso un’esperienza plurisecolare”. Lo statuto di Drishti del 1464, riscritto nel 1468 (in lingua latina), è un documento unico al mondo, perché contiene assieme sia le regole della chiesa che il diritto pubblico. Questa doppia funzione dello statuto fu determinata dalla circostanza che in quegli anni entrambi i poteri, quello religioso e quello pubblico, erano concentrati nelle mani dell'Arcivescovo di Drishti. Lo statuto di Drishti, consigliato dal Papa Calisti II e dopo dal Papa Pio II, fu scritto da preti albanesi e approvato in presenza dell’abate Nicola Lalmi, del conte Giorgio Topia, del rettore di San 63


Demetrio de Plumis e di molti cittadini albanesi. Dallo statuto risulta che la città di Drishti, sotto l'aspetto politico, amministrativo e militare, era organizzata non solo secondo regole, norme e leggi scritte, ma anche secondo costumi tradizionali. Il primo capitolo dello statuto di Drishti inizia con una norma consuetudinaria usuale nei tutti statuti albanesi e nei kanun Albanesi: "Come i giovani devono rispettare i vecchi e viceversa, i vecchi come devono stimare i giovani" (Cap I). Questo articolo, inoltre testimonia l'esistenza di regole cittadine e consuetudini antichissime, che sono state basati nella tradizione e ereditate "A maioribus nostris quasdam constitutiones traditas," [pagina 2] e dunque rappresentano una continuità in questi atti pubblici della società albanese. In varie parti dello statuto gli autori dicono esplicitamente che esso è scritto: "Secondum antiquissimam consutuetudinem imminantes" (Capitolo. XXXIX). Secundum antiquissima et observata consuetudine"(Cap.XLIV)."Secundum morem et consuetudinem antiquorum" (Cap. XLVI). Lo statuto stabilisce inoltre precisamente che in materie o circostanze in esso non regolate “Si agisce secondo la giustizia e l'onestà” (Cap. XXXV), due elementi fondamentali anche nel Kanun di Lek Dukagini Nei vari capitoli dello statuto di Drishti, sono contenute le regole dell'amministrazione pubblica (Cap. XX) e le condanne per i delinquenti (Cap. XXIII), mentre il capitolo XLI, precisa le misure per il sostegno degli studiosi e gli studenti. Anche se lo statuto mescola, come abbiamo accennato, materie pubbliche e religiose, in realtà le regole di chiesa vi risultano adattate secondo il diritto e la tradizione locale. Come le città albanesi, anche le popolazioni rurali, in particolare 64


le tribù montanare, che vivevano nelle alture profonde dell’Albania, avevano le loro regole, i loro costumi, le norme etiche e morali ed il diritto consuetudinario su cui era organizzata e gestita la vita sociale, economica e militare. Gruppi di villaggi e di distretti vicini, erano riuniti e organizzati nelle “repubbliche piccole”, come racconta M. Šufflay: “Nel 1414 e dopo, la grande tribù di Hoti si rafforza ed il suo priore viene nominato Capitano: Capitaneus Montanae Hottorum. Nel 1415 viene fondato anche la Lega di Mirdita, che in questo tempo riusciva a reclutare un esercito di circa 12 000 combattenti”. Su questa realtà, Padre Fishta aggiunge:“L’esistenza di queste piccole repubbliche in Albania, viene confermata con il fatto che si chiamavano con due nomi, come Shalë e Shosh, Pukë e Iballe, Shllak e Temal, Mat e Çidhen ecc.” A questo elenco di Padre Fishta, possiamo aggiungere anche altre piccole repubbliche con due nomi, ben conosciuto dalla storia come Martanesh e Çermenike, Plave e Guci, Gora e Opari ecc. Come si capisce, l’unificazione della popolazione contadina in queste repubbliche non era una semplice alleanza tra tribù, tra contrade o tra villaggi, ma rappresentava una comunità riunita sotto l’aspetto politico, amministrativo e militare, organizzata secondo regole, norme e leggi ben precise ed anche secondo costumi tradizionali, come viene precisato nello statuto di Drishti. Durante il medioevo, l’organizzazione sociale, politica, amministrativa e militare di queste piccole repubbliche, fece emergere una classe di priori delle tribù e di signori di tali repubbliche e principati. La signoria albanese del medioevo fu consolidata in dinastie indipendenti, con il diritto di eredità del potere e nobili con vari titoli e onorificenze equivalenti a quelle europee. La storiografia mondiale e quella albanese, dispongono di documenti che dimostrano una 65


gerarchia nobile albanese, espressa con i titoli di imperatores, principes, comites (conte), barones, reges duces, dominos, capitanus ecc. Dopo l’occupazione turca gli albanesi emigrati in Italia hanno custodito i titoli di nobiltà, riconosciuti dalla società e dallo stato che li ha ospitati, come il principe Giovanni Castriota, la Contessa Irena Castriota, il duca Topia, il conte Mansi, il conte Musaca, il conte Zaccaria, il conte Scura, il principe Martaseos, barone Groppa ecc. La nobiltà albanese è stata in relazione e in stretta collaborazione con gli omologhi dei vari stati d’Europa. Questi rapporti erano basati sul rispetto reciproco delle regole e delle leggi di ogni paese, perciò è impossibile che i nobili albanesi abbiano accettato e rispettato solo le regole e le leggi degli altri e non abbiano codificato le leggi nei loro paesi e per i loro popolo. D’altra parte, i contatti con i Paesi dell’Europa occidentale rappresentavano una buona occasione per scambiare esperienze, per assumere i loro buoni modi di governare e le leggi da adottare ed applicare nelle condizioni dei loro principati. Questo aspetto risalta dalle somiglianze del nostro Kanun di Lek Dukagini e degli Statuti delle città albanesi del medioevo, con i codici e gli statuti di altri Paesi europei. Inoltre, questo argomento ci suggerisce che prima siano esistiti i costumi tradizionali e le vecchie regole eticco-morali, che, durante un percorso lineare del diritto consuetudinario, passeranno verso forme statuarie e successivamente in forma più completa verso il codice (il Kanun), uno dei quali noi lo conosciamo con il nome del suo legislatore Lek Dukagini, che è sopravvissuto per molti secoli come diritto non scritto.

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IL KANUN DELLE MONTAFGE ALBANESE ED IL SUO LEGISLATORE LEK DUKAGINI. All’inizio del XV secolo, il Principato dei Dukagini era in difficoltà. La capitale Alessio, dal 1393, era sotto il domino dei veneziani; la città Ulpiana, il secondo capoluogo del Principato, era stata rasa al suolo dagli invasori ottomani e nello stesso tempo erano state distrutte altre città e centri abitati in campagna. In queste circostanze, Lek Dukagini fu costretto ad attaccare i veneziani ed ad occupare il picolo castello di Shati in Zadrima, che voleva trasformare nella sua residenza; ma interviene Skenderbeg, lo riprende e lo riconsegna ai veneziani. Rimasto abbandonato, senza una sua residenza e sotto gli attacchi dei turchi, ed anche dei veneziani e di Skenderbeg, il Principe Lek Dukagini fu costretto a ritirarsi nelle profondità del suo principato, tra le montagne libere. Il suo popolo lo accolse con l’onore che meritava, insieme con sua moglie Teodora Muzaka. Con i montanari del suo principato, ben conosciuti come combattenti coraggiosi (Marin Barletti), il Principe Lek ricostruì i suoi castelli e reclutò un esercito permanente, che fu impegnato sia nella difesa del Principato, sia nell’esercito della Lega degli Albanesi, sotto il comando di Skenderbeg nella lotta contro gli invasori ottomani. Durante gli anni 1450-1481, Lek Dukagini fu costretto ad adottare varie misure di difesa contro i turchi, che ovviamente accompagnò con iniziative amministrative per rafforzare il potere locale dei montanari, dei suoi concittadini fedeli, i quali da sempre erano vissuti liberi. In questo situazione, il Principe istituzionalizzava un sistema politico – giuridico popolare, che garantiva l’autonomia ed il diritto di autogoverno alle tribù montanare del suo grande Principato. 67


Il principe Lek Dukagini raccolse le leggi, le regole e le norme esistenti nella società montanara, le codificò e le consegnò ai vecchi, i membri del conventus (kuvend) di ogni villaggio o gruppi di villaggi del suo grande principato. Dunque, Lek Dukagini è stato il legislatore del Kanun, che lascia in eredità ai suoi concittadini, che lo accettano ed applicano come la legge delle montagne e lo trasmettono oralmente, dal padre al figlio, generazione dopo generazione per cinque secoli e sempre riconoscendolo come “Il Kanun di Lek Dukagini”. A prescindere dall’aspetto giuridico e politico, il Kanun, come regola della società montanara, precisa i raporti con la chiesa, ma rappresenta anche le basi delle norme etiche e morali, dove l’etica ha funzionato come un regolatore dell’ordine sociale, tanto più che in questo tempo non esisteva separazione tra diritto e etica. Un altro aspetto importante del Kanun è il carattere laico, il suo modo di agire totalmente indipendente dalla religione, un aspetto particolare che lo differenzia dai Codici, Canoni e dagli Statuti di altri paesi dell’Europa Occidentale ed Orientale. Secondo E. Durham, Whitaker, Villari, Resta ecc, il carattere laico del Kanun spinge il Papa Paolo II, conosciuto per i suoi atteggiamenti antiumanistici, con una ferendae sententiae dell’anno 1464 a scomunicare Lek Dukagini, accusando il Principe di essere poco ispirato dalla fede cristiana; ma non si sa per certo se questa decisione si riferisca o meno al suo Kanun. Al di là della veridicità storica dei fatti, attribuire la funzione di legislatore a Lek Dukagini, significa dotare di nobiltà e autorevolezza le norme, le regole le leggi consuetudinarie del suo Kanun; significa legarlo indissolubilmente alla lotta di liberazione del popolo albanese contro i turchi, a gesta epiche di eroi cavallereschi, ai quali il popolo albanese ha demandato il ruolo di rappresentanti 68


della propria identità nazionale. Analizzando quest’opera voluminosa, raccolta e codificata da Padre Gjeçovi e così arrivata fino ad oggi, vari autori ritengono che sia difficile che il Kanun sia stato codificato ex-novo e solo da una persona, sia pure Lek III Dukagini. È più credibile che il diritto consuetudinario sia più antico, anzi si pensa che ve ne siano stati diversi, usati dalle varie tribù e dai vari principati, legati a costumi ancestrali, che usavano questi codici per governare e amministrare la loro vita libera e isolata tra le montagne. In questa ipotesi Lek III Dukagini è stato colui che li ha raccolti, ordinati e codificati, dunque egli è il legislatore del Kanun albanese. Non dobbiamo escludere che il Principe Lek ha usato sia le leggi locali, sia gli statuti cittadini del principato, sia il codice di Giustiniano che è stato attivo per molto tempo nei territori abitati dagli albanesi. Dunque, gli statuti, i codici e i Kanun precedenti, nel loro percorso storico, hanno subito vari cambiamenti e modifiche suggerite dalle circostanze storiche e sociali, ma alla fine sono stati raccolti e sistemati da Lek Dukagini e presentati come un codice unificato (quello che è stato raccolto da Padre Shtjefen Gjeçovi, che giustamente è considerato il secondo legislatore). Padre Giorgio Fishta, nell’introduzione del “Kanun di Lek Dukagini” di Padre Shtjefen Gjeçovi, ha spiegato perché il Kanun si chiama con il nome di Lek Dukagini: “Una parte dice che il Kanun è conosciuto con il nome di Lek Dukagini, perché era lui che lo ha raccolto e codificato”. Questa opinione esprime anche lo storico croato Milan Šufflay, che scrive: “La tradizione orale racconta che questi vecchi costumi chiamati «Kanun di Lek», sono collegati con Lek Dukagini, che è il suo legislatore”. Padre Fishta, M. Šufflay, ma anche altri autori, non specificano di quale Lek appartengano, è Duca Lek III, o Duca Lek II, o Duca Lek 69


Ovvero queste leggi siano ancora più antiche, e ne risalgano dal tempo di Alessandro Magno, che gli albanesi lo chiamano Lek. Secondo Padre Gj. Fishta, esiste anche un'altra variante del nome, legata a due ampi distretti, quello dei Lek (i territori nel nord del principato dei Dukagini) e dei Dukagini (i territori di sud-est del principato). Secondo questa ipotesi, il Kanun è stato valido per la popolazione dei Lek (Shkodra, Malesia e Madhe) e per i Dukagini (Shalë, Shosh, Lezha, Puka, Iballa, Kosova, Mirdita, Kthella, Selita). Da questo ragionamento risulterebbe che il nome deriva che il Kanun era applicato nel Lek e nel Dukagini e non perché era stato codificato da Lek Dukagini, però anche gli abbitanti del Dukagjini dicono “Così ha detto Leka”, cioè ne regge l’ipotesi legati con due regioni, chiamati Lek e Dulagini. A parte queste interpretazioni, tuttavia i legami del Kanun con il nome di Lek Dukagini sono più convincenti, perché a prescindere dal suo ruolo come legislatore, che ha raccolto tutte le leggi e le norme del suo tempo, egli assume una posizione cardine e diventa il condottiero e il simbolo storico dei montanari albanesi nella lotta per la liberazione dagli invasori ottomani.

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IL KANUN DURANTE L’OCCUPAZIONE TURCA. Come altrove alla stessa epoca, il diritto consuetudinario si sviluppa progressivamente in Albania, passando in due fasi ben distinte: La prima all’epoca della dominazione bizantina e, e la seconda dopo l’occupazione turca. Successivamente, queste consuetudines si sarebbero distinte creando il diritto consuetudinario di ogni principato e di ogni città albanese. Quando i turchi hanno occupato l’Albania e, in particolare, quando hanno iniziato a riorganizzare o, meglio, a disorganizzare la struttura amministrativa dell’Albania, hanno conosciuto e si sono confrontati con la forza attiva delle leggi locali. Nei vari documenti ufficiali turchi si parla dell’esistenza e della forza giuridica del Kanun di Lek Dukagini. Secondo la storiografia antica e moderna turca, il Kanun è: "The most barbaric code of customary law on earth." Lo storico turco Sülejman Külçe, nel suo libro “Osmanli tarahinde Arnavutluk” scrive: “il diritto consuetudinario e le norme morali e sociali del Kanun dei montanari albanesi sono quelli codificati da Lek Dukagini e sono leggi draconiane”. Però l’autore ignora tendenziosamente il fatto che quelle leggi “draconiane” hanno mantenuto l’ordine, hanno conservato la lingua, la cultura, l’identità nazionale e sono state fondamentali per l’unità delle tribù montanare, che hanno contrastato gli invasori turchi, che l’Impero ottomano per cinque secoli non riuscì infatti a sottomettere. Durante il dominio turco, il Kanun di Lek Dukagini ha funzionato come sistema giuridico parallelo a quello ottomano. Il diritto consuetudinario rappresentava una vera propria forma di autogoverno, di autoamministrazione e di autodifesa del popolo per non essere assimilato e sradicato dagli occupatori turchi. 71


L’Impero turco, in quasi cinque secoli di dominio sugli albanesi, non è riuscito a sopprimere l'applicazione delle leggi del Kanun, anzi in varie Vilajet e, dopo, in varie Sangiac (denominazione turca degli ex principati albanesi) esisteva un sistema giudiziario parallelo, il cosiddetto Xhibal, che ha funzionato a Scutari fino al XIX secolo e che verificava le discordanze tra il diritto Ottomano e dello Sheriat con il Kanun di Lek Dukagini. Come riferiscono molti autori, il Kanun di Lek Dukagini è stato l’unico, tra i popoli balcanici, rimasto come diritto parallelo, dominante rispetto al diritto dell’Impero Ottomano e dello Sheriat. L’impero Ottomano, in particolare dopo l’anno 1550, applicò una nuova organizzazione amministrativa per i territori abitati dal popolo albanese. Da questo momento i principati e le piccole repubbliche vengono denominati Bairak (Bandiera) e il priore di queste unità amministrative viene chiamato Bairaktar (porta bandiera). Il potere turco cancellò altresì i titoli precedenti dei nobili albanesi, imponendo alla aristocrazia albanese titoli nuovi come pascia, bej, aga, bylykbash ecc. In questa metamorfosi della nobiltà albanese, solo il priore di Mirdita conservò il suo titolo di Principe, che ha sopravvissuto fino alla prima metà del XX secolo. L’Impero ottomano tentò di cancellare la cultura albanese, ma il popolo riuscì a custodire e trasmettere generazione dopo generazione la sua storia, la sua tradizione, la sua lingua e la sua cultura. Durante la resistenza contro gli invasori ottomani, il popolo coronava con il titolo di Capitano tutti coloro che avevano organizzato e comandato le battaglie e i movimenti insurrezionalisti per l’indipendenza dall’Impero Ottomano. Considero interessante presentare i dati di un documento dell’anno 1614 di Marjana B. Kotoranina, nobile di Cattaro (Monte 72


Negro), che dopo una visita nel Sangiaco di Scutari, (prima si chiamava il Ducato di Scutari), pubblicò tutto ciò che osservò in: “Relatione et descrittone del sangiaco di Scuttari, dove si ha piena contezza delle città et siti, loro villagi, case et habitatori, rito, costumi, et armi di quei popoli, et quanto di considerabile minutamente si contenga in quel Ducato”. In questo documento troviamo una lista di centinaia di Capitani uno per ogni formazione militare sulle base di contrade e di villaggi, di quei condottieri coraggiosi che organizzavano e comandavano il popolo armato contro i turchi. In quegli anni difficili, gli albanesi, più degli altri popoli europei, hanno sofferto delle rappresaglie, le masacre degli invasori turchi, che dall’inizio hanno sterminato gli albanesi, si tratta di un vero genocidio, che la storia mondiale lo ha dimenticato. Dopo la morte di Skenderbeg, il popolo albanese si trovò davanti ad una occupazione barbarica asiatica, che porta alla privazione della libertà, ed alla distruzione della cultura albanese. Il popolo albanese subì rappresaglie, fu sradicato dalla sua terra e costretto emigrare; subì pressione per la conversione al musulmanismo. Se non bastasse tutto ciò, il 31 maggio 1775, il Sultano Abdyl Hamiti I, firmò una legge, proclamato con suo fermano, che vietò l’uso della lingua albanese come lingua ufficiale; non solo ma tolse il diritto al popolo di parlare in lingua albanese. Tutti i documenti che erano scritti in lingua albanese, furono distrutti e bruciati dai turchi, solo qualche opera importante si salvò nelle biblioteche fuori l’Albania, come ad esempio il Messario di Giovanni Buzuku, scritto nel 1555. Un’altra condanna pesante per gli albanesi fu la vendetta dei turchi per la loro lunga e coraggiosa resistenza, che aveva impedito l’occupazione dell’Europa da parte dell’Impero Ottomano. 73


Le cronache del tempo documentano, che i turchi quando attaccavano gli albanesi urlavano “Avanti su Roma”, perché il loro obiettivo era l’Italia, il Vaticano, Venecia e l’occupazione dell’Europa. Ma gli albanesi hanno fermato per venticinque anni gli attacchi feroci degli ottomani alle porte di Europa. Durante il lungo dominio turco, il popolo albanese aveva una sorta di autonomia, ed ha gestito se stesso in modo diverso da quello che imponevano le leggi dell’Impero. Questa “libertà” gli albanesi la esercitavano tramite il Kanun di Lek Dukagini ed anche di altri Kanun, che erano attivi come diritto parallelo con diritto turo e che hanno garantito l’autonomia amminiistrativa, l’autodifesa e l’autoconservazione della identità nazionale. Il governo turco, in cinque secoli, non è riuscito a sopprimere l'applicazione e la forza attiva del Kanun. Nell’Archivio di Stato Turco si trovano documenti che testimoniano come i governatori turchi si lamentassero che gli albanesi ignorassero la legge ufficiale dell’Impero e di Sheriat. Su questo punto, gli albanesi narrano della loro disobbedienza alle leggi turche, rispetto alle quali, raccontano la superiorità del loro Kanun di Lek Dukagini. Ne citiamo un episodio. Intermezzo Il Gran Visir (primo ministro) dell’Impero Ottomano, fu informato che nemmeno gli albanesi musulmani ubbidivano alla legge di “Sheriat”, si preoccupò e decise di verificare sul posto la situazione. Travestito da dervish (monaco musulmano povero), salito a cavallo, arriva vicino alla città di Prizren, dove si fermò per passare la notte in un albergo. Durante la notte un ladro gli ruba il cavallo. Il padrone dell’albergo rimane offeso, si mette a caccia del ladro e lo trova in breve tempo. Però il ladro insiste che il cavallo è suo. La questione arriva al Tribunale della regione. 74


Il giudice albanese, prima che cominci il processo, chiede al dervisci, se vuole essere giudicato secondo le leggi dell’Impero o di quelli di Sheriat oppure secondo la legge albanese. Il monaco sceglie la legge turca, quella ufficiale del suo Impero. Allora il giudice gli dice: “Siccome tu non hai nessuna prova che il cavallo è tuo, la legge turca in questo caso è impotente, e non può restituire il cavallo”. “Facciamo il processo secondo la legge albanese”, chiede il presunto monaco. Dopo questa richiesta il giudice ordina a tutti e due di togliersi le scarpe. Visto che i piedi del “monaco” erano quelli di uno che non va quasi mai a piedi, ma piuttosto a cavallo, ed, al contrario, che i piedi del ladro erano quelli di un povero, che non aveva mai potuto avere un cavallo, fa giustizia dando ragione al vero proprietario, restituendo il cavallo e condanando il ladro.

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STRUTTURA DEL KANUN. Il Kanun, come diritto consuetudinario aveva valore di norma generale, era la costituzione, la legge, il sistema giuridico e sociale, ma era anche la norma etica, morale e culturale, ed era diffuso e vigente in tutti i territori abitati dagli albanesi. È importante ripetere che non è esistito solo un Kanun, ma sono vari Kanun, attivi nei diversi territori, anche se tutti questi codici canonici sono assai simili, con qualche differenza non significativa. Fino alla prima metà del XX secolo, gli albanesi hanno ereditato tre gruppi di Kanun: 1. Il Kanun di Lek Dukagini (chiamato anche il Kanun delle Montagne), identificato con il nome del suo legislatore Lek III Dukagini e in seguito, dopo cinque secoli, raccolto e codificato da Padre Shtjefen Gjeçovi. Il Kanun di Lek Dukagini è stato attivo nei territori posti sotto la giurisdizione dei Dukagini, cioè nel Principato dei Dukagini (Scutari, Malesia e Madhe, Hoti, Gruda, Kuçi, Krasniqe, Gash, Bytyç, Plava, Gucia, Tropoja, Peja, Prishtina, Gjakova, Prizreni, Tropoja, Kukes, Puka, Lezha e Mirdita). Essendo attivo nei diversi distretti del nord d’Albania, spesso è successo che i vari studiosi o i viaggiatori venendo a contatto con il Kanun attivo in un preciso territorio, lo hanno identificato con il nome del paese, dove funzionava come legge vigente, come infatti ad esempio nel caso del Kanun di Mirdita (usato dagli abitanti di Mirdita), la stessa cosa si è verificata anche per le altre regioni e si è parlato del Kanun di Puka, di quello di Malesia e Madhe ecc. Dall’analisi approfondita di tali “varianti” del Kanun, risulta che, a prescindere da qualche piccola differenza, la struttura ed il contenuto hanno stessa origine, perciò, giustamente si dice che sono 76


“varianti” locali dello stesso Kanun di Lek Dukagini. 2. Il Kanuni di Skenderbeg, conosciuto anche come il Kanun di Arberia (Albania), raccolto dal 1933 fino al 1966 e codificato da Dom Frano Illia, che lo pubblicò nel 1996. Il Kanun di Skenderbeg, con i suoi 3534 paragrafi, è stato attivo soprattutto nel parte centrale dell’Albania, nei territori che sono stati sotto il dominio dei Castrioti, ed e forse è stato questo il motivo per cui è stato chiamato con il nome di Skenderbeg. Vari autori, trovando qualche differenza con quello di Lek Dukagini, hanno pensato che fosse un Kanun a parte, forse codificato da Skenderbeg. Il Kanun di Skenderbeg è stato attivo in Ghegheria, estesa in territori tramite il fiume Mat e Shkumbini, all’est fino al Shkup e all’ovest fin al mare Adriatico. La parte centrale di Ghegheria è conosciuto come le Nove Montagne (Mat, Martanesh-Çermenika, Diber, Lura, Kurbini, Kruja, Tomadhea, Elbasan, Librazhd), ecc. Essendo attivo in diverse zone, viene conosciuto anche con il nome del paese o del regione dove è identificato dai studiosi, come ad esempio il Kanun di Mati, il Kanun di Martaneshi, la legge di Dibra ecc., che differiscono poco tra di loro e che si fondono tutti sul Kanun di Skenderbeg. 3. Il Kanun di Laberia, conosciuto e attivo nella regione di Laberia (Vlora, Kurvelesh, Kuçi, Tepelena, Drashovica, Gjirokastra, Delvina, Kalasa), in Himara ed in Toskeria (Deshnica, Opari, Skrapar, Verça, Shpati, Gramshi, Mokra, Myzeqeja). Il Kanun di Laberia (conosciuto anche con il nome di Papa Zhuli o Sharti i Idriz Sulit) era attivo nei territori del sud di Albania ed anche nella regione di Çameria, come testimonia una lettera di Marco Boçari, uno dei più famosi nobili e condottieri di questa 77


regione nella lotta contro i turchi. Il Kanun o, precisamente al plurale, i Kanuni delle montagne albanesi sono stati attivi dal periodo pre-ottomano ed hanno proseguito durante l’occupazione turca, quando hanno svolto la funzione di un diritto parallelo a quello ottomano, arrivando fino ai giorni di oggi con una struttura compatta. Quando Padre Gjeçovi si impegnò nel raccogliere il Kanun, questo testo e il suo legislatore Lek Dukagini erano diventati sacri per tutti gli albanesi, indipendentemente dalla religione. Quando fu codificato il Kanun nel medioevo, la popolazione albanese era di religione cristiana (cattolici e ortodossi). Così, nella variante originale, il primo libro stabilisce le regole e le norme sulla chiesa. Durante l’occupazione ottomana, quando una parte degli albanesi fu costretta a convertirsi alla religione musulmana ed al bectascismo, il Kanun non cambiò, rimase con la stessa struttura. Il popolo lo rispettava e lo applicava con fedeltà e correttezza ammirabile ed anche i musulmani lo conobbe con il nome di Lek Dukagini. L’unica differenza, è presente nel primo libro, è che la popolazione musulmana ha sostituito le norme ecliasistiche con le norme per la moschea (musulmani suniti) e per la techia (i bectasci). Padre Gjeçovi raccolse tutto quanto detto dai vecchi sul diritto consuetudinario albanese, su quella tradizione orale rigurdante le norme morali, etiche e giuridiche del Kanun di Lek Dukagini, ma non riuscì a portare a termine la sistemazione di questo materiale voluminoso e prezioso. Dopo la morte di Padre Gjeçovi, un gruppo di padri francescani lavorò intensamente per sette anni sulle 2000 pagine manoscritte che lui aveva raccolto, e riuscì a classificare, raggruppare e sistemare tutto il materiale in 12 libri (capitoli), in 159 articoli e in 1263 paragrafi, che vennero poi pubblicate nel 1933 come opera completa. 78


Il "Kanun di Lek Dukagini" contiene 12 Libri, oppure Canoni (secondo l’ordine sistematico dato da Padre Gjeçovi): Libro 1° - La Chiesa (la moschea per i musulmani e la techia per i bectasci. Non ci sono cambiamenti: sono uguali i principi canonici che regolano l’attività ecclesiastica, di moschea e di techia); Libro 2° - La Famiglia (la struttura e la gerarchia in famiglia). La famiglia albanese nel Kanun si presenta fortemente autoritaria e guidata dal signore di casa, il capo famiglia, che nella maggioranza dei casi è il padre che riunisce tutti i figli, anche quelli sposati con prole. Ogni famiglia è inserita, attraverso una rete di obblighi reciproci, in una struttura di parentela allargata alla stirpe (Art. 9, 19, 101 del KLD), composta solo dai parenti paterni (linea del sangue), mentre i parenti acquisiti per via materna (linea del latte), seppure riconosciuti come affini, non fanno parte della famiglia. Parenti del fis hanno l’obbligo di ereditare la vendetta e di proteggere le donne (madre, sorella, moglie) ed i figli. Libro 3° - Il Matrimonio (comprende il matrimonio civile secondo il Kanun, il matrimonio religioso; le regole del fidanzamento e Del matrimo nio, i diritti e i doveri del marito e della moglie, i bambini, il diritto della famiglia, il divorzio). Nel Kanun, la scelta matrimoniale è imposta ai giovani dai genitori che la contrattano separatamente (Art. 12. KLD), ma la decisione deve essere approvata sia dai parenti di fis, che da quelli materni. Libro 4° - La casa, i poderi e il bestiame. Libro 5° - Il lavoro e il commercio. Libro 6° - Le prestazioni, le donazioni, ed i debiti. 79


Libro 7° - La parola e la Bessa (Parola d’onore, il diritto di parola, il giuramento sulla pietra, il giuramento sul Vangelo, il giuramento sul Corano, il giuramento porta a porta, la condanna per il giuramento falso ecc.); Libro 8° - L'onore (l’onore dell’individuo, l’onore della famiglia, l’onore della stirpe, l’onore sociale), l’ospite-amico, il sangue (vendetta-faida), la fratellanza, il compare. Come è evidente, i libri 7° e 8° sono dedicati alle norme morale dell’onore e alle norme che regolano l’ospitalità. Questi due libri racchiudono l’etica del popolo albanese, di quel popolo nel quale la capacità dell’uomo di ottemperare al dovere, di mantenere integro il proprio onore,della famiglia, dello stirpe e della patria diventa fede, è legge inviolabile, è prescrizione assoluta, è l’istituzione, assume caratteristiche di sacralità (§596.KLD), spinge a conseguenze estreme ed inclina verso l’uso della vendetta - faida (§ 598 KLD). All’onore è legata l’ospitalità, una categoria canonica nel rango di fede. Sembra che il codice dell’ospitalità vada piuttosto iscritto in una dimensione di reciprocità, la cui mancanza metterebbe in crisi l’intero sistema organizzativo di famiglia, stirpe e della contrada. Il principio canonico dell’ospitalità e dell’accoglienza viene trasposto nella norma chiave dell’etica, mentre l’inospitalità disonora, di conseguenza assume il carattere di violazione di un precetto sacro, mette in pericolo la coesione sociale. Libro 9° - I Danneggiamenti (furti, ladri, il socio nel furto, la preda, il tradimento, l’uccisore, la Besa, la mediazione, la tregua, la riconciliazione, la vendetta-presa di sangue, il suicidio, la fratellanza). Libro 10°- I delitti infamanti. Il Canone contro le malvagità (crimini, i delitti disonoranti, l’offesa, l’omicidio, la filosofia della 80


condanna, la penalità). I libri - 9°, 10°, 11°: rispettivamente, contengono la concezione della colpa e la filosofia della pena. La categoria più importante del decimo libro e di tutti i Kanun albanesi è la Bessa, o meglio l’istituto di Bessa, la sintesi delle istanze che reggono l’intera organizzazione sociale. Bessa, una parola intraducibile in qualsiasi altra lingua, indica il rispetto dei patti, che regola l’ordine, garantita dal codice d’onore del montanaro albanese. Libro 11°- Il Codice giudiziario (Conventus - kuvendi, consiglio dei vecchi, codice giudiziario). Libro 12°- Privilegi ed esenzioni. La stessa struttura, le stesse materie, lo stesso ordine le troviamo anche nel "Kanun di Skenderbeu" e negli tutti altri Kanun, ma con un diverso ordine, senza differenze nei principi canonici. Il Kanun prevede un gran numero di norme di comportamento e regole severe a seconda delle diverse situazioni, dalla nascita fino alla morte. Si può definire come una codificazione totale, precisa e dettagliata delle leggi per una società complessa come era quella albanese. Il Kanun esamina e salvaguarda le istituzioni ed i processi in corso, rinforza la matrice tradizionale dei valori, stimola un determinato modello di comportamento, assume funzioni di prevenzione, insegna a non sbagliare ed a rispettare i diritti degli altri, scoraggia, severamente sanziona i comportamenti contrari. Nel caso in cui certe circostanze siano rimaste fuori del suo controllo, viene rinforzata la logica immanente dell'ethos, con istruzioni precise per una coscienza pulita. Da un paragone fra il Kanun di Lek Dukagini ed il sistema del 81


diritto moderno, risulta una concordanza impressionante. libro 1° il diritto eclesiastico, trattato in tale modo come una sorta di concordato tra lo stato e la religione. libro 2° e 3° corrispondono al diritto di famiglia. libro 4° al diritto privato. libro 5° al diritto del lavoro e al diritto commerciale. libro 6° coincide con il diritto tributario. libro 7° il diritto della parola. Kanun presenta una sorta di codice morale della società montanara albanese. libro 8° è un riassunto dell’etica e della morale albanese, dove il dovere per difendere l’onore diventa fede, è un obbligo assoluto, un dovere sacro. libro 9° e il libro 10°, corrispondono al codice penale e al codice civile, dove sono catologati i crimini ed i delitti, dai più gravi (il tradimento della patria, che mette in pericolo l’equilibrio della società), fino ai reati minori puniti con multe e ammende. libri 11° e 12° corrispondono al codice di procedura penale e al codice giudiziario. Il Kanun è universale per tutte le regioni abitati dagli albanesi. Il Kanuni non è legato ad un luogo o un paese preciso, al contrario, come scrive Ismet Elezi, appartiene a tutti i territori abitati dagli albanesi, dal nord al sud, e fuori ciìonfini amministrativi e da tutti è conosciuto con nome generico “Kanun delle Montagne Albanesi”, ed in seguito con i nomi dei legislatori: Kanun di Lek Dukagini, o Kanun di Skanderbeg, il Kanun di Laberia ecc. Per quanto riguarda i nomi del Kanun legati a luoghi particolari, rappresentano solo il distretto, la provincia o il Bairak dove viene applicato il Kanun di Lek Dukagini o il Kanun di Skenderbeg o il Kanun di Laberia. 82


Il Kanun è un codice laico. Fin dalle origini e nel proseguire, il Kanun delle Montagne è restato separato dalla religione, agendo in modo indipendente da essa, anzi difendendo le istituzioni ed i clerici di ogni religione in territori abitati dagli albanesi. Il carattere laico del Kanun è stato descritto da Mrs. Edith Durham: ”La forza del Kanun è che obbliga tutti, è sopra i Dieci Comandamenti della Bibbia, sopra l’insegnamento del Cristianesimo e dell’Islam, sopra la legge di Sheriat e della Chiesa, perché tutti devono essere sottomessi al Kanun di Lek Dukagini”. Nei vari popoli del mondo, l’etica e le regole della società, riflettono anche l’appartenenza religiosa, anzi diversi popoli vengono identificati secondo i libri sacri (la Bibbia, il Vangelo, il Corano), mentre nei Kanun degli albanesi non è presente questo fenomeno. Il Kanun è un universo giuridico, laico e molto vecchio, con le radici della sua origine nell’antichità, forse precristiano. Il Cristianesimo arriva in mezzo agli Albanesi con gli Apostoli stessi e per millenni convivranno insieme il Kanun ed il Vangelo. Il carattere divino della persona umana non è un fenomeno né nuovo né strano: ma lo è il fatto quando non difenda il suo sangue, la sua vita. Per il Kanun questo sarebbe stato un sacrilegio. Sono tanti gli elementi che dimostrano la laicità del Kanun, come la formula del giuramento che non è legata con Dio, né con i Santi della religione cristiana, neanche con gli Imam della religione musulmana. Il giuramento nel Convegno “per questo cielo”, “per questa terra”, “per questo luogo”, “per questa pietra”, “per questa pane” ecc., - sia quella fatto davanti a tutti in assemblea (Kuvend), sia il giuramento fatto porta a porta, sulla pietra ed anche il giuramento fatto con la mano sul Vangelo o sul Korano non sono di matrice religiosa, però sono legati con un credo mitologico, precristiano. 83


I giuramenti secondo il Kanun (Articoli 92 – 95, KLD), sono uguali a quelli dei eleni dell'antichità, i quali giuravano “per Uranoper il cielo”, “Per Demetra – per la terra”, dunque sono giuramenti per gli Dei antichi, che, come sappiamo, erano vietati dal Vangelo (Nuovo Testamento) ed anche dal Corano. Tutti i Kanun hanno sancito questo giuramento sacro autentico dell’albanese, come si precisa nell’Articolo 89 § 534 del KLD: “Il giuramento sulla pietra, secondo il Kanun è uno dei più gravi e dei più spaventosi, che conosca il montanaro albanese”. Inoltre, che talune categorie fondamentale dell’etica popolare rispecchiata nei diversi Kanun, come l’onore, la dignità, il rispetto, l’ospitalità, sono stabilite fedelmente: “Come ci hanno lasciato in eredità gli avi” e non secondo i libri sacri. Ovviamente, le istituzioni religiose ed i loro clerici, sono state parte importante della società albanese, e hanno avuto un ruolo nella vita spirituale e nelle relazioni sociali, esprimendo il ruolo sociale della religione. Tutti i Kanun albanesi dimostrano chiaramente “la missione sociale” delle religioni e delle istituzioni religiose, perciò c’è una divisione dei ruoli e, di conseguenza la religione non può interferire negli affari dei Kanun e nei Convegni, anzi la chiesa, la moschea, la tecia, la sinagoga, con i loro precetti, sono protetti debitamente dalle leggi, dalle regole e dalle norme dei Kanun. La divisione tra il Kanun e la religione si estende in tutte le attività della società montanara albanese. Nel articolo 11, § 29 del Kanun di Lek Dukagini si stabilisce che il matrimonio “È legittimo, riconosciuto come tale dal Kanun di Lek Dukagini e dalla chiesa”, una posizione netta, che, in quei tempi, non si vedeva in nessun altro Paese della regione Balcanica. Anche il battesimo dei bambini si celebra secondo il Kanun, riconosciuto 84


come il battesimo fatto in chiesa (per i musulmani in moschea da hodgia ed in casa per i bectasci), nello stesso modo di come, per esempio si celebra il battesimo laico nelle contrade di Siena. Il carattere laico del Kanun, come un atto universale giuridico, etico e morale della società albanese, è stato importante per la convivenza e la tolleranza tra varie religioni tra gli albanesi. Vale a dire che in Albania non vi sono mai state guerre religiose e la convivenza tra cristiani, musulmani ed ebrei è stata sempre tollerante e di solidarietà reciproca, come testimoniò anche T.G. Hughes, nel suo libro "Travels in Greece and Albania", pubblicato a Londra nel 1830. La cultura laica del popolo albanese si è manifestata con grande dignità nei vari casi di crisi o di situazioni di importanza storica dell’Albania, come nel caso della Lega degli Albanesi nel 1444, durante l’insurrezione “Messiana” nel 1602, della Lega dell’Arberia nel 1703, nella costituzione della Lega di Prizren nel 1878 e durante l’insurrezione popolare per l’indipendenza dall’occupazione turca nel 1912, dove il patriottismo e la libertà nazionale diventeranno il leitmotiv per l’unità degli albanesi contro gli occupatori turchi, tutti insieme cristiani, musulmani, bectasci, ortodossi ed ebrei. Un altro aspetto del carattere laico dei Kanun si vede chiaramente in quegli albanesi, che furono costretti a convertirsi in musulmani. Anche se hanno abbracciato il musulmanismo, loro hanno custodito con grande onestà il carattere laico dei Kanun, proteggendogli con dignità da ogni impato dell’ideologia Islama e dalle leggi di Sheriat. Non solo ma, hanno continuato a chiamarlo con il nome del suo legislatore, il Kanun di Lek Dukagini. Nella popolazione musulmana, l’unico cambiamento apportato al Kanun, si riscontra che il libro di chiesa fu adottato per la moschea e per la techia. In definitiva, il carattere laico del Kanun di Lek Dukagini è simile a quello delle Costituzioni degli Stati attuali moderni. 85


IL CANONE – KANUNI ed IL CONVEGNO – KUVENDI. Il Kanun non aveva significato senza il Convegno (Kuvendi), senza la presenza dei vecchi (vegliardi, anziani), i mentori, i saggi, i signori di casa, i nobili, i principi, i capitani, i bairaktari, i condottieri, non aveva significato senza il popolo "ac presentibus nobilitus et plebis innumeris", che riuniva tutti insieme per fare il diritto. Gli albanesi dicono “Kanun e kuvend”, “Canone e Convegno”; è questa la quintessenza del diritto consuetudinario albanese, cioè nessun non può decidere fuori del Kuvend - “parlamento”. La tradizione albanese, per risolvere i problemi nel Convegno, rappresenta una testimonianza dell’antichità del Kanun, che rispecchia le famose Conventus romane. Soltanto un popolo con antiche radici culturali può elaborare, su questa scala, gli elementi di autodisciplina e di responsabilità, per rispettare con correttezza le norme, le regole, gli usi, i costumi popolari ed il diritto consuetudinario nella vita sociale. Un popolo che ha codificato le norme e le leggi della convivenza e delle relazioni sociali, economiche, e giuridiche, dimostra una bell cultura etnica. Questo modo di organizzazione sociale, accettato da tutti in unanimità e senza condizioni (nobilitus et plebis), si è consolidato nel corso dei secoli, finché è arrivato alla codifica dei Kanun, che rappresentano l’esistenza di una vita urbana e rurale formata ed una coscienza di una civiltà e di una nazione. La convocazione del Convegno era la vicenda più importante sociale, politica, giuridica e militare per il popolo albanese. Se un principato (o distretto, un villaggio) intendeva attaccare un altro principato, o quando si trattava di mobilitare i combattenti per difendere il paese da un attacco dei nemici esterni, o quando si 86


doveva intervenire per riparare i danni dopo una calamità naturale, o per porre rimedio ad un disagio sociale, allora tutti si riunivano in assemblea generale (nel convegno – Kuvendi). Il Kuvend decideva di proclamare lo stato di guerra e sull’ordine di mobilizzazione di tutti gli uomini sopra 14 anni, come sancisce il Kanun: “Uno per ogni casa”; decideva le misure e programmava le azioni di aiuto per le famiglie colpite dalle catastrofe naturale, celebrava i processi giudiziari, ricinciliava le parti in conflitto ecc. Il Convegno – Kuvend è un istituzione che rappresenta tre forme di governo. È per lo meno singolare che queste tre forme di governo si contemperino nel regime politico della tribù albanese, poiché troviamo: - il potere monarchico nei nobili (principe, bairaktár, capovecchio), - il potere oligarchico nel Consiglio degli anziani o saggi (vegliardi) – il potere democratico nella “vegjelija” – rappresentato dalla gente comune (i plebei). Secondo il Kanun, “la tribù non conosce il Re” che vuol dire che il principe ed il bairaktar sono una specie di console, ereditario ed a vita, non però fornito di autorità maggiore di quella del console, né di molte esenzioni, che non aveva nemmeno il magistrato romano. D'altra parte, anche il capo della vegjelija, il tribuno della plebe, è ereditario, senza però diventare un autocrate. Nelle città medievali d'Albania ernao tre classi sociali cives, proniarii, nobiles, corrispondenti alle tre classi dei plebei, dei cavalieri e dei senatori in Roma, mentre nell’organizzazione della comunità montanara abbiamo una più semplice distinzione in due categorie: i senatori e plebei (lo stesso come nelle Contrade senesi). La direzione degli affari e dei giudizi della tribù, è affidata al consiglio degli anziani e solo straordinariamente all'assemblea generale di tutte le famiglie. Ciò comporta, dunque, che il senato sia un 87


consiglio di ottimati. Membri del senato sono di per sé e per diritto ereditario, soltanto i capi delle famiglie (§ 1147, KLD): tutti gli altri formano la cosiddetta gente comune (plebei - vegjelija). Il capo della stirpe, assieme ai vegliardi e al popolo delle fratellanze, ha diritto di tenere Convegni (Kuvende), stringere patti o tregue, giudicare, multare e denunziare (§ 1150, KLD). Il potere dei capi è regolato, o meglio limitato, dal Kanun che sancisce: “Il capo di una stirpe non può giudicare né prendere decisioni contrarie a quelle del Kanun” (§ 1152, KLD). Il Kanun limita il potere autocratico dei capi: “Per multare e denunziare un Capo bastano i Vegliardi, i sottovegliardi e il popolo della stessa tribù (§ 1155. KLD), dimostrando il carattere democratico del Convegno, dove il popolo ha la sua voce, come stabilisce il § 1176 del KLD: “Se il popolo non approva la decisione prese dai Capi e dai Vegliardi, ha diritto di non attenersi alle medesime”. Tuttavia, oltre ai pleq (senatori) ed i principi o i bairaktar che sono i nobili, si possono convocare altri per saggezza, ovvero per le loro personali doti di prudenza. “I senatori”, dice il Kanun, “sono o i primi delle stirpi o i capi delle tribù” (§ 1146, KLD). Senatori si chiamano anche uomini rinomati per prudenza de gli esperti in affari giudiziari, politici, sociali, militari e soprattutto quando si tratta di risolvere dei problemi delicati della vendetta – faida, o presa del sangue. Il Kanun di Lek Dukagini e degli altri Kanun, stabilisce che la gente armata sia in pace, sia in guerra non era comandato dal priore del villaggio (no da bairactari), ma dal Capitano, il quale veniva eletto dal Convegno per merito militare. È un meccanismo di elezione democratica della persona più coraggiosa e di capacità militare distinte, nello stesso modo di come si fanno le elezioni del Capitano nelle Contrade senesi. 88


Il convegno si riuniva nei luoghi prestabiliti e permanenti e si svolgeva con una cerimonia solenne, divina e autoritaria, con la partecipazione dei nobili, dei vegliardi e dei rappresentanti di ogni casa (il signore della casa), del popolo e, in casi particolari, anche con la partecipazione delle donne. Tutti i partecipanti riuniti in Convegno (Kuvend) si siedono in semicerchio, con le armi appoggiate sulle ginocchia, seduti in modo che ciascuno possa vedere l’altro e che l’invitato a presentarsi in mezzo a tutti e dinanzi ai capi, trovi il passo libero. I valorosi riuniti in convegno sono armati, ma nessuno usa l’arma neanche nel caso di una provocazione grave. Durante il dibattito, o durante i giudizi ed in assemblea generale, i capi di famiglia e dei villaggi ed i Vegliardi stanno da una parte ed il popolo dall’altra. I capi ed i Vegliardi prendono posto secondo il diritto di precedenza. Nel convegno, quando uno parla, gli altri sono obbligati ad ascoltare e tacere. Durante il dibattito non sono permesse parole offensive, non è permesso insultare, né offendere e neanche interrompere il discorso dell’altro, anche quando sta parlando in maniera sbagliata, e chi osa contravvenire viene punito. Dunque, il Convegno - Kuvendi era una democrazia autentica che oggi potrebbe fare invidia ai parlamenti più moderni del mondo. Il Convegno si occupa di cose importanti, mentre le questioni di secondaria importanza ed i litigi tra le persone, sono regolati dai Vegliardi e Sottovegliardi con il popolo. Le questioni di maggiore gravità e che riguardano una stirpe, dovranno essere prese in esame dai Capi della stirpe, dai Vegliardi e dai Sottovegliardi. Invece, le questioni che riguardano il distretto (villaggio, o gruppo di villaggi), il Bairak, il Principato, o la Patria, sono di competenza dell’assemblea generale, alla quale dovranno 89


intervenire i rappresentanti di tutte le famiglie. In chiusura dei lavori del Convegno, si approva la delibera finale (la sentenza), presentata in collegialità e in modo molto democratico dai Vegliardi. In questa cerimonia solenne e impressionante, gli autori e gli attori sono i Vegliardi (i saggi), ed i capi delle famiglie, i mentori o coloro che hanno custodito nella loro memoria e che hanno applicato e trasmesso oralmente, con fedeltà e con una precisione straordinaria tutto questo tesoro della cultura giuridica ed etico morale, parte della nostra lunga storia, riassunto in modo laconico nel Kanun di Lek Dukagini. I Convegni si riunivano in luoghi permanenti, di solito in una piazza del centro amministrativo di un villaggio, di un distretto, nei cortili delle chiese, nella piazza di una contrada, o presso le rovine dei vecchi posti sacri pagani (la tradizione precristiana). La storia albanese ha documentato e riconosciuto molti convegni, tra i quali ricordiamo più importanti: 1. Dukagini – sulla collina di San Giorgio (Shosh). 2. Puka – nella città di Puka. 3. Postriba – in piazza di Drisht. 4. Mbishkodra – nel cortile della Chiesa di Rapsha. 5. Kelmendi – in Colle di Berdelec. 6. Hoti e Gruda – nel villaggio di Hoti. 7. Zadrima (Capa) – nel villaggio di Dajç. 8. Nikaj - Merturi – nella Chiesa di Nikaj. 9. Mertur-Krasniqe – in campo di Blini Kuvendit Selca. 10. Miredita – presso la Chiesa di San Paolo o in Orosh. 11. Lura – in campo della Chiesa di Santa Maria Assunta. 12. Kthella – in piazza di Kroji i Fikut në Perlat. 13. Mati – nel villaggio di Lis. 90


14. Malsija e Lezhes - sul Molung, in Dardha Kërbucë. 15. Dibra – nel villaggio di Çidhën. 16. Kruja e Malesija e Krujes - nel villaggio di Benda. 17. Martaneshi – nella lizza Belik del villaggio di Peshk. 18. Çermenika – nel villaggio di Zdrajsha. 19. Tomadhea (San Giorgio) - nel piazzale di Varros. 20. Malësia jugore e Elbasanit – nel villaggio di Gjinar. 21. Malesia veriore e Elbasanit - nel villaggio di Labinot. 22. Labëria – nel villaggio di Larushk . 23. Kurbini – nei Prati di Selita, e Laç Sebasta. 24. Luma – nel villaggio di Bicaj. 25. Hasi – nel villaggio di Kruma. 26. Plava e Gucia – nel villaggio di Vuthaj. 27. Malësija e Gjakovës, nella lizza del Cimitero di Shala. 28. Gash e Krasniqe, presso il Convegno di Selimaj. Ecc, ecc.

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Bessa (Besa): Costantino con Doruntina.

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CONCETTI BASE DELL’ ETICA E DELLA MORALE DEL KANUN DELLE MONTAGNE ALBANESE. Gli studi sul Kanun sono indirizzati su due piani fondamentali: giuridico ed etico. La maggioranza degli studi è stata dedicata all’aspetto giuridico, suggerito dallo stesso codice consuetudinario. Come ogni codice giuridico, anche il Kanun è collegato alle norme morali ed etiche della società, tanto più che nel medioevo, quando è presumibile che sia stato codificato il Kanun, gli albanesi non avevano un governo nel significato moderno della parola e l’etica funzionava come un regolatore dell’ordine e delle norme sociali. Comunque, più che una semplice raccolta di leggi, il Kanun è quasi un completo sistema giuridico e sociale che include anche le norme etiche, morali e culturali, che non appartengono del tutto alla sfera giuridica. Sotto questo aspetto il Kanun ha servito anche come un Codice morale, etico e culturale, per regolarizzare i rapporti sociali tra individui, famiglie, stirpi, contrade, villaggi, province e per tutta la società albanese. In tutti i Kanun albanesi fioriscono molte virtù etiche, morali e culturali come burrëria (l’uomo d’onore, uomo virile e coraggioso), l’onore, la Bessa, l’ospitalità (l’amico-Dio), l’umanesimo, la solidarietà – carità, la fierezza, l’orgoglio, il rispetto, l’amore profondo per la libertà della patria, l’orgoglio nazionale, la resistenza e la tenacia nel non sottoporsi al nemico straniero ecc. Secondo Padre Giuseppe Valentini, “tutte queste categorie etiche e morali hanno valori insostituibili per capire la mentalità e la cultura albanese. Senza di loro sarebbe difficile immaginare come il Kanun abbia regolato tutto e rappresenti il mondo spirituale e psicologico del popolo albanese”. Padre Shtjefen Gjeçovi, nei primi articoli pubblicati nel 1912 e 93


successivamente, nel libro “Kanun di Lek Dukagini” pubblicato nel 1933, non esprime opinioni sulla mentalità e la personalità dell’albanese, nemmeno per altre categorie etno-psicologiche, ma tutto si capisce in modo indiretto, e tutti gli studiosi sottolineano che le categorie etiche e morali incluse nel Kanun di Lek Dukagini, esprimono l’individualità etnopsicologica dell’albanese. Dall’analisi di questo castello morale ed etico del Kanun e degli elementi psicologici ed etnopsicologici, che vivono dentro il Codice Consuetudinario, si evidenziano tante caratteristiche particolari, che esprimono l’originalità, gli elevati valori umani e la cultura del nostro popolo, nonché i legami del Kanun con il suo lungo percorso storico. Dentro il sistema di tanti elementi etici, morali e giuridici, spunta in primo piano la vendetta - faida (la vendetta con la presa del sangue), un atto atroce e con radici che affondono sin dall’origine dell’umanità, che è arrivato fino ai giorni nostri, come la coscienza tragica dell’albanese, un atavismo della barbarie, un male sociale. Il Kanun delle Montagne tratta la vendetta-faida come la sanzione più importante per stabilire l’ordine pubblico in una società senza autorità statale, situazione che, come sappiamo, gli albanesi hanno vissuto per secoli. In molti studi sul diritto canonico, emerge la considerazione della vendetta-faida come un atto di giustizia. Non dobbiamo dimentica che la risoluzione dei conflitti, fino al tardo medioevo dell’Europa, era la FAIDA. La maggioranza degli autori pensano: “la vendetta - faida non dimostra la barbarie del popolo albanese, ma è una conseguenza delle condizioni obiettive e delle particolari circostanze storiche che ha attraversato questo popolo”. Tra i primi Padre Gj. Fishta, nella introduzione che correda il Kanun di Lek Dukagini di Padre Sh. 94


Gjeçovi, ed anche altri autori albanesi e stranieri, durante l’analisi della vendetta – faida, si sono dedicati a questo fenomeno, trattandolo come un atto di giustizia durante il lungo periodo di medioevo, attuato nello stesso modo che in altri paesi, come Italia, Francia, Spagna, Germania, Inghilterra, Russia ecc. L’autore Rose W. Lane, nel suo libro “Peaks of Shala” (Note sul viaggio in Albania nell’anno 1921), descrive la vendetta come gli aveva spiegato l’arcivescovo di Pulti (diocesi del nord di Albania): “La vendetta è molto brutta, ma è l’unico modo che impone il rispetto delle leggi che, in generale, sono ammirabili, disse il prelato. La vendetta non è fuori legge, come pensano molti stranieri, essa è una forma della condanna captale, la stessa che esiste in altri Paesi che applicano leggi severe”. I. Whitaken, nello studio “Tribal Structure and National Politics in Albania, 1910 – 1950”, ha considerato la vendetta “un meccanismo pubblico del controllo sociale, in cui è compresa anche la struttura etica del Kanun”. K. Yamamoto, considera la vendetta-faida un concetto chiave, legato con il concetto del sangue, che ci porta verso altri concetti che costruiscono la struttura etica del Kanun e che assicura la funzione come di regolatore giuridico. Lui scrive:“Il concetto vendetta – faida, è un elemento fondamentale, il quale vigorosamente esprime la struttura etica del Kanun”. La vendetta-faida codificata nel Kanun, si basa su una morale ed una giustizia ben precisa e troppo rigorosa, che hanno una lunghissima storia ed una larga presenza nella vita e nella cultura tradizionale del popolo albanese. Ormai è chiaro che la vendettafaida aveva una propria legge (codice), il cui scopo generale era l’equilibrio della società (spirituale, materiale, civile, militare ecc.). La vendetta – faida albanese come istituzione giuridica, somiglia 95


alla vendetta degli altri popoli più antichi d'Europa, ma ci sono anche notevoli differenze dovute sicuramente dalle specifiche circostanze sociali e storiche. Le differenze più grandi si riscontrano specialmente nel modo in cui si concepisce la vendetta-faida, sia confrontando tra di loro le varie culture, sia all’interno della stessa cultura e di una stessa legge, a seconda dei diversi periodi storici. La vendetta - faida non è stata e non è un fenomeno o un prodotto albanese. Nella vita, nella storia, come nella letteratura spagnola, inglese, tedesca, italiana, francese, giapponese, russa ecc., quello della vendetta – faida è un fenomeno sociale e storico, ed è presente anche attualmente in Corsica, in Calabria, in Puglia, in Sicilia, in Sardegna, in Scozia, in Albania ecc. La vendetta – faida, purtroppo è un fenomeno sopravvissuto al passato ed è attiva anche ai giorni di oggi. Con l’abolizione del Kanun, in Albania, la vendetta – faida non è più in vigore, ma si nei territori abitati dalla popolazione montanara o di origine montanara, che ha conservato egoisticamente la propria vecchia tradizione di “presa del sangue”, come un modo di fare “giustizia”, una ostilità applicata in modo selvaggio per i vecchi rancori di vendetta, di solito per motivi banali, come dopo un vecchio litigio, o una offesa nell’ambiente pubblico, spesso come “regolamento dei conti”, “una aggressività nutrita dall’odio individuale”, una ostilità personale o come una vendetta “ufficiale” e politica, della quale ho una esperienza personale. In questo saggio non parlerò della vendetta – faida, perché se ne è studiata ed analizzata, se ne è parlato e scritto fin troppo, e non vale la pena di dedicarcisi di nuovo. Con la pubblicazione di questo saggio, ho preferito presentare un altro aspetto del diritto consuetudinario albanese, di evidenziare 96


qualche opinione storica, filosofica, etica e culturale che esprimono molti valori e pregi presenti nei Kanun albanesi, dei quali si è parlato poco. L’autore Anton Çeta, in uno studio dedicato alle caratteristiche positive della personalità dell’albanese inclusi nel Kanun, presenta i valori classificati in tre gruppi: - Nel primo ordine sono le categorie di burrerìa (l’uomo virile) e l’onore (uomo d’onore), definite fondamentale per individuare la personalità albanese. Lo spazio concettuale tra la burreria e l’onore è molto stretto, anzi, queste due categorie si descrivono intrecciate tra esse e, molte volte sono addirittura indicate come sinonimo. - Nel secondo ordine sono le categorie di Bessa e di Ospitalità; - Nel terzo ordine, sono raggruppate tutte le altre categorie etiche e morali, considerate comuni. Pandi Frashëri, nel libro “Famiglia albanese: fonte di civiltà europea“, pubblicato a Spoleto nel 1947, applica un'altra classificazione, basata sulle conoscenze storiche, etiche, culturali e giuridiche contenute nel Kanun. - In primo piano, mette l’ospitalità e la Bessa (parola data). Secondo Pandi Frasheri, questi due istituti politici della nostra civiltà hanno un valore specifico e riflettono, parzialmente, la grandezza d’animo di un albanese. - In secondo piano mette la vendetta. Secondo Frasheri, le categorie etico-morali di Bessa e l’Ospitalità non avrebbero nessun significato senza la vendetta, nella quale si trova la vera sorgente di quelle due virtù. Il giapponese Kazuhiko Yamamoto, nel libro “The Ethical Structure of Kanun” (2006), non formula classifiche dei valori etici primari o secondari, ma li tratta uno ad uno, spiegando il loro significato, svolge un’analisi comparata tra essi ed evidenzia le somi97


glianze e le diversità. Parlando dei concetti etico-morali come la besa, l’onore, il pane, il sangue e la vendetta – faida, Yamamoto mette in luce il significato e la loro funzione nel diritto consuetudinario albanese senza autorità statale; trova concordanze con i concetti etici del vecchio diritto giapponese e più remote come con “L’Illiade” e “L’Odissea” di Omero, con le tragedie di Eschilo e Sofocle, con l’opera filosofica di Platone, Aristotele, ed anche con le opinioni dello scrittore nazionalista giapponese Jukio Mishima. Gli studi sulle categorie etiche, morali e culturali del Kanun di Lek Dukagini hanno arricchito le nostre conoscenze sui valori etnopsicologici del nostro popolo, ma hanno evidenziato anche l’antichità del Kanun, le dimensioni della sua attività, la forza attiva, i rapporti storici, culturali e spirituali del popolo illirico – albanese con i greci dell’antichità, con i romani ed altri popoli vicini e lontani con cui siamo stati in contatto. Analizzando in questo piano i Kanun delle Montagne, sono state evidenziati categorie e concetti etici, morali, culturali, spirituali e intellettuali nella nostra società montanara, nel letto storico e culturale della quale è nata e cresciuta una società con il diritto consuetudinario, la etica, le proprie norme, le leggi e con il suo ordine sociale.

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L’OSPITE, l’ospite Dio, L’OSPITALITA’, l’accoglienza, il pane-cibo, il rispetto e la difesa dell’ospite-amico ... Il Kanun di Lek Dukagini e tutti gli altri Kanun albanesi hanno stabilito il culto dell’ospite e la cultura dell’ospitalità. L’ospite per gli albanesi è un amico, è trattato davvero così, circondato da onore, rispetto e l’accoglienza amichevole, esprimendo in questo modo i sentimenti umani, la nobiltà, l’atteggiamento cavalleresco, la stima ed il rispetto per ognuno che ospita ed onora la famiglia del montanaro. Nel Kanun di Lek Dukagini (anche negli altri Kanun) è presente la sentenza:“La casa è di Dio e dell’ospite” (Art. 96, § 602 - KLD), che esprime il rispetto per l’ospite medesimo, al quale si fa onore ospitandolo e offrendogli “pane, sale e cuore” “all’ospite del cuore si cede la casa” (§ 613 - KLD). Con questa categoria etica, il popolo albanese ha creato il culto dell’ospite e la cultura dell’ospitalità, che è diventata una disciplina, una norma sociale. Per l’albanese l’ospite è sacro, perciò la casa che la ospita è di Dio e dell’ospite, ma non solo la casa, anche l’ospite è equiparato con Dio, perciò il Kanun lo definisce l’ospite – Dio. Sono davvero divini e umani questo rispetto e questo onore che si riserva all’ospite, che esprimono la nobiltà e la grandezza dello spirito del montanaro albanese. Il culto dell’ospite e la cultura dell’ospitalità sono regolati dalle norme e dalle leggi nei Kanun e sono tramandati nella tradizione popolare albanese invariati per secoli, quasi una raccomandazionelegge espressa in modo categorico con una sentenza: “Cosi ha detto il Kanun, la legge degli antenati”. 99


Il culto dell’ospite è sancito negli articoli 96, 97, 98 del KLD con le sentenze: “La casa dell’albanese è dell’ospite e del viandante”;“la porta di casa si apre a ognuno che bussa, sia lui anche un mendicante”;“all’ospite si fa onore dando pane, sale e cuore”; “l’ospite occupa il primo posto alla mensa e acquista i diritti di protezione della casa”, ecc. Tramite queste leggi, sacre per l’albanese, si esprime una mentalità ed una cultura antica, biblica e paracristiana, che ha origine nei vecchi tempi, quando i profeti si affacciavano davanti alla porta di casa dei fedeli vestiti come un viaggiatore povero o come un mendicante. La frase divina “All’ospite si fa onore dando il pane, il sale e il cuore”, significa che il signore di casa, ospitando una persona anche sconosciuta, gli offre tutto ciò che si trova in casa, ad es. una casa povera gli offrirà pane - cibo con il cuore, cioè accogliendolo con sincerità, rispetto, atteggiamenti calorosi, che garantiscono all’ospite atmosfera amichevole, ospitalità, confort e sicurezza. L’ospitalità è una categoria canonica nel rango di fede, e sembra che il codice dell’ospitalità vada piuttosto iscritto in una dimensione di reciprocità, la cui mancanza metterebbe in crisi l’intero sistema organizzativo della famiglia, della tribù e della società albanese. Il principio canonico dell’ospitalità viene trasposto nella norma chiave dell’etica, mentre al contrario, l’inospitalità disonora, assume il carattere di violazione di un precetto sacro del Kanun, mette in pericolo la coesione sociale. Vale ricordare che questa cultura dell’ospitalità è attiva nella popolazione arbereshe d’Italia, legata ai luoghi e alle comunità dei vecchi albanesi - che già esistono da secoli; dove si parla di una cultura arbereshe di ospitalità, diversa dalle altre, che rappresenta un elemento di ricchezza in più, proprio perché questa etnia porta con 100


sé una storia vecchia, diversa ed originale da confrontare. Secondo la mentalità albanese, l’ospite che bussa alla porta deve essere accolto con tutti gli onori che merita e si deve “trattare nello stesso modo sia il medicante, sia il santo”. Secondo la tradizione popolare, l’ospite non si deve valutare dal vestito (l’abito non fa il monaco), perché sotto i vestiti di un mendicante può nascondersi un profeta o un santo. Entrato in casa, l’ospite occupa il primo posto alla destra del caminetto, di fronte al signore di casa, acquista tutti i diritti di protezione della casa e nello stesso tempo gode tutti gli onori, che gli appartengono secondo il Kanun. La commovente ospitalità del montanaro albanese, vero tipo del gentiluomo povero, che priverebbe se stesso, la sua famiglia, le sue donne, i suoi bambini dell'ultimo tozzo di pane per imbandirlo “con sale e con cuore” all'ospite; e accetterebbe di vedere la sua famiglia spenta a fucilata e le rovine della sua casa coperte di rovi, dalla soglia al focolare, piuttosto che lasciare l'ospite senza cibo o indifeso. Questi sono norme morali della legge delle montagne, che rappresentano i valori assoluti della cultura albanese per ciò che riguarda l’ospitalità, presenti in tutti i Kanun. Ricordiamo che il mondo lo ha conosciuto questo tipo di ospitalità nell'Iliade e nell'Odissea di Omero, ma anche nelle case dei montanari albanesi, che hanno consolidato l’ospitalità in una tradizione divina. E su questo aspetto hanno una grande esperienza molti stranieri, che hanno avuto il privilegio e l’onore di visitare le case modeste dei montanari, come testimoniano nelle loro cronache, E. Celeppia, E. Durham, J. Hahn, Lord Bayron, Hugs, Padre Valentini, Barone Nopça, Witaker, G. Valentini, Montanelli ecc. Il concetto ospite-amico ed amico-dio, è legato strettamente alla cultura dell’ospitalità dei montanari, all’ospitalità che il signore di 101


casa offre a chi bussa alla sua porta ed è accolto con il pane - cibo, preparato dalle donne di casa per l’ospite, dimostrando accoglienza, cordialità, solidarietà e carità, dando prova del bene fatto. L’accoglienza e l’ospitalità per l’amico rappresentano la personalità culturale, spirituale, umana e mistica del montanaro albanese. Offrendo pane all’ospite – Dio, il signore di casa (il vecchio), i membri della sua famiglia, la casa stessa, ricevono una benedizione, anzi divengono “sacre”. Il signore di casa trasmette all’ospite questa atmosfera divina tramite le parole cordiali di accoglienza e di auguri: “Benvenuto a casa mia: pane, sale e cuore”, “grazie al Dio che ti a guidato alla casa mia”. Parole che non sono semplici saluti di invito e di educazione, non sono una cortesia formale, ma esprimono la forza magica di una cultura di ospitalità. I saluti e le parole del signore di casa, indirizzati all’ospite, esprimono lo spirito generoso, l’invito cordiale, l’accoglienza e l’umanità, e gli portano la fortuna, ma dall’altra parte, anche il ricambio dei saluti, le parole di ringraziamento dell’ospite:“Ben trovato e sia lodata la casa che mi ospita”, sono una benedizione e portano bene al signore di casa ed ai tutti membri della famiglia, che saranno totalmente impegnati nel rendere più accogliente e confortevole la permanenza dell’ospite. Una forma particolare del rispetto del signore di casa per l’ospite si dimostra con l’obbligo di proteggerlo da ogni pericolo e non solo quando è entrato in casa, ma anche quando si trova nel cortile o, come dice il Kanun, “quando si trova nell’ombra di casa”, quando passa per le strade del villaggio”ecc. Nell’Articolo 97, § 641 del KLD è precisato una sentenza: “Se una persona viene alla porta della tua casa e ti prega di accendergli la pipa e tu lo accont-enti, però chiunque l’offenda si rende reo verso di te di lesa ospitalità”. 102


Secondo il Kanun, l’ospite diventa membro inseparabile della famiglia che lo ha ospitato. Il più grande privilegio e l’orgoglio dell’ospite è quando lui dichiara: “Sono nelle mani del signore di casa” (pronunciando il nome e cognome di colui che lo ha ospitato), ciò significa che durante tutto il tempo che rimarrà ospite nella casa, lui non potrà subire vendetta da nessuno. Se per caso, succede che l’ospite cade in una imboscata di un nemico che si vuole vendicare, basta dire “Sono nelle mani del tale signore”, cioè far sapere che è l’ospite del capo di una famiglia, pronunciando nome e cognome del signore di casa e questo gli salva la vita, gli dà sicurezza, lo protegge da qualsiasi pericolo. Nei tutti i Kanun e nella vita del polo albanese, non si usa mai la parola straniero e neanche forestiero, non esiste l’ospite straniero: al contrario la figura dell’ospite è l’amico, una figura unica, indipendentemente dalla nazionalità, dalla fede, dall’appartenenza etnica e sociale: dunque sono tutti amici, uguali, sia il povero che il ricco. L’ospitalità albanese è diventata proverbiale, quando si parla di accoglienza alle persone che soffrono, a quelle in difficoltà fisiche, a quelle che chiedono aiuto, alle persone perseguitate, come è successo con gli ebrei. Vale ricordare che. durante la persecuzione degli ebrei da parte dei nazifascisti, il popolo albanese ha ospitato tutti i cittadini ebrei, nascondendoli nelle loro case povere e non ha denunciato e nè ha consegnato nessuno. In Albania, i nasifacisti non hanno arrestato e non hanno ucciso nessuno ebreo. Rispettando le leggi del Kanun, gli albanesi esprimono un atteggiamento umano anche nei confronti delle persone in pericolo di vita; non solo ma hanno accolto e dato ospitalità anche ai nemici occupanti. Quest’ultima non è una leggenda, non è un paradosso, invece è una realtà della storia e della cultura albanese, ha una lunga 103


storia, è successo tante volte, come ha descritto Lord Bayron nel suo libro “Child Harold” ecc.. Vorrei ricordare solo un episodio più recente. Dr. Franco Benati nel suo libro “La guerra più lunga” (2007), narrando le vicende dei soldati italiani dopo l’8 settembre 1943, descrive con emozione, l’accoglienza e l’ospitalità ricevuta da una famiglia albanese: ”Condorelli, io e qualche altro soldato italiano, siamo accolti da una famiglia, che ha aperto la porta con una ospitalità commovente”. Non dobbiamo dimenticare che solo qualche giorni prima, quegli stessi ufficiali e quei soldati italiani erano i nemici invasori. Vorrei anche aggiungere che il popolo albanese li ha ospitato e li ha protetto dai tedeschi tutti i soldati italiani, i quali, dopo la guerra, sono ritornati sani e salvi nella loro patria (più di 36 000 soldati italiani). Pochi lo sanno, perché nessuno lo ricorda. Tutti gli stranieri che durante il medioevo, e anche dopo, hanno visitato l’Albania, sono rimasti stupefatti dall’ospitalità del nostro popolo, definendola un valore unico della cultura albanese. Tra loro vale ricordare il cronista turco E. Çelebiia, che traversò i territori albanesi durante gli anni 1623 – 1670; che nelle sue memorie scrive: “Non ho mai visto, in tutto l’Impero Ottomano, una ospitalità e una accoglienza così calorosa e umana”. Lui definisce questo comportamento un valore etico e culturale tipico albanese. Nella tradizione albanese l’ospite ha una posizione di importanza particolare, gode senza riserve, qurllo che possiamo definire “il diritto dell’ospite”. Chi offende l’ospite, ha calpestato l’onore della casa, ha violato le regole di accoglienza e l’ospitalità, ha offeso gli Dei e oviamente, gli Dei si arrabbiano e si vendicano contro loro. Secondo il Kanun di Lek Dukagini, l’unico modo per difendere l’onore dell’ospite, e per evitare l’ira degli Dei sul signore di casa, è 104


di condannare il colpevole, colui che ha offeso l’ospite, che ha offeso il Kanun, che ha offeso la casa ospitante e che di conseguenza deve essere punito. E la condanna viene eseguita tramite la vendetta. Rifiutare ospitalità ad un amico, o ad un viandante, o ad uno che chiede ospitalità, o offendere l’ospite è un grave reato. Nel Kanun viene precisato: “È sentenza di legge: si perdona l’offesa fatta al padre, al fratello, perfino ai cugini, ma l’offesa fatta all’ospite non si perdona mai” (Art. 97, § 649 di K. L. D). L’ospite, per l’albanese, ha anche il significato del rappresentante di un’altra famiglia, è l’ambasciatore di un’altra “repubblica”, di un “altro stato”, quindi dovrà essere rispettato e protetto appena entra all’ombra della casa, sotto la sovranità della “repubblica”. Non ha nessuna importanza se l’ospite è sconosciuto e non ha con sé “le lettere credenziali”. Egli rimane un tutt’uno e inseparabile con la casa, dovunque vada o chieda ospitalità e protezione. Solo così si spiega il fatto che anche qualora due famiglie si trovino o pervengano lì per lì in conflitto (la vendetta-faida), se l’uccisore entra nella casa dell’ucciso, sapendo o no che è di questo ultimo, lui non incorre nessun rischio da parte dei familiari dell’ucciso: anzi, sarà da questi protetto e tenuto con riguardo, prenderà eventualmente parte al funerale della vittima e sarà accompagnato, l’indomani o lo stesso giorno, dove egli desidererà andare o verso la strada che lo porta direttamente a casa sua (Art. 97. KLD). In queste circostanze, secondo il Kanun, l’omicida non subisce la vendetta e, quando lui vuole, viene accompagnato dai membri della casa dell’ucciso fuori del villaggio. Questo atteggiamento cavalleresco ricorda quello che oggi si tiene nei confronti dei rappresentanti diplomatici: anche quando due stati si sono dichiarati guerra o sono in guerra, questi vengono accompagnati con rispetto fino al confine. 105


La tradizione d’ospitalità dei montanari albanesi poteva essere valorizzata attribuendole un’etichetta cristiana, perché l’accoglienza ai forestieri viene lodata dalla chiesa come l’espressione di generosità “naturaliter cristiana”. Al stesso modo i bectasci la definiscono l’ospitalità “la nobiltà dello spirito del montanaro”, mentre i musulmsni è “l’onore di casa”. Come si vede, sia i cattolici, sia i musulmani, che i bectasci la considerano l’ospitalità come una norma etico e culturale, che non dipende dalla religione. La vita del montanaro albanese, la sua mentalità, la sua cultura canonica, la sua prontezza al sacrificio della vita senza esitazione per l'onore e per il dovere, la sua ospitalità unica e divina, la sua parola d’onore e i suoi contratti, le sue contese, le sue rappresaglie, la sua partecipazione al convegno, la sua posizione sulla politica interna ed estera sono regolati da questa legge, proclamato nella sentenza: “Tutto è Kanun di Lek Dukagini”, ereditato dai padri, più indelebile che se fosse fuso in dodici tavole di bronzo. Nessuno l'ha scritto, ma nessuno non lo mai cancellato dallo spirito e dalla mente albanese.

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L’ONORE: Il culto dell’onore, il codice d’onore. L’onore ed il sangue. L’onore dell’individuo, della famiglia, della stirpe, della tribù, della contrada, del villaggio, della Patria … Il concetto di onore impresso nel Kanun assume una duplice funzione: da una parte si presenta come una norma sociale generale, è un culto su cui insiste la società montanara (art 96 - KLD) e dall’altra parte, è un codice come precetto morale individuale, viene qualificato come proprietà personale, ma anche collettivo (della famiglia, della stirpe, della tribu, del villaggio (art 97, § 596 - KLD). L’onore nel Kanun esprime l’integrità dei costumi, il rispetto dei principi morali individuali e della comunità, su cui si fonda la pubblica stima e il rispetto individuale e sociale, che obbligatoriamente devono essere reciproci. L’onore nel Kanun di Lek Dukagini, ed anche negli altri Kanun, non è una categoria morale in senso stretto, anzi è una norma codificata: l'onore è dovere, è un codice, è una categoria giuridica, è legge. L’onore è una delle categorie più importanti dell’etica del popolo albanese, che esprime la capacità dell’uomo di ottemperare al dovere di mantenere integro il proprio onore, la reputazione, la personalità e l’autorità della sua famiglia e della sua comunità. L’onore nel Kanun è una fede, è una prescrizione assoluta, è una categoria etica che ha assunto le caratteristiche di sacralità. In questo modo l’albanese ha creato il culto dell’onore e lo difende con coraggio e fanatismo. E se qualcuno osa di toccare l’onore, la reazione è immediata, e si spinge fino alle conseguenze estreme, condannare il colpevole con l’uso della violenza, cioè applicando la vendeta - faida. 107


Il culto dell’onore degli albanesi ha origine antiche ed è rimasto sempre una categoria canonica codificata. L’onore nei Kanun è diverso dall’onore del codice dei cavalieri del medioevo e del rinascimento europeo, perché l’onore dell’albanese rappresenta una virtù sublime, un comportamento nobile, epico, eroico, un grande valore morale ed etico, è dignità, è coraggio. D’altra parte ha anche un carattere ruvido, feroce (proteto dalla vendetta-faida), ma si tratta di una ferocia che esprime la grandezza dell’onore, come pregio. Analizzando l’onore del Kanun di Lek Dukagini, anche se unico nel suo genere, il giapponese K. Yashimoto trova somiglianze con “Bushido”, il codice d’onore dei Samurai. L’onore nel Kanun è in primo ordine fra tutte le norme e le leggi ed è concepito dalla fusione di tre altri culti: l’ospitalità, la saggezza e la bessa. Ognuna di queste categorie canoniche è a parte, ma solidificati nell’onore, rappresentando le caratteristiche etnopsicologiche positive della personalità del popolo albanese. Avendo questi valori, il Kanun ha sancito che chi tocca l’onore altrui, chi offende nell’onore qualcuno subisce punizioni pesanti: “Per l’onore offeso non c’è giudizio o tribunale” (§ 596 - KLD). Non solo, ma più pesanti sono le sanzioni nel Kanun per chi perde l’onore, che è obbligato a difendere il proprio perchè “di fronte alla legge il disonorato è considerato persona morta” (§ 600 - KLD). Egli è così costretto ad agire nel senso di vendetta: “Il disonorato è libero di vendicare il proprio onore; non si dà pegni, non accetta i Vecchi, non si appella alla giustizia e non si contenta di risarcimento pecuniario. Il valoroso si giustizia da sé” (§ 599 - KLD). L’onore ha grande dimensione etico e morale, ed a prescindere dall’onore personale, racchiude anche l’onore della famiglia, della 108


casa, della stirpe, della tribù, della contrada, del villaggio, del distretto e della patria. Come ci si vede l’onore secondo il Kanun ha valori universali, ma d’altra parte l’onore ha confini stretti nel modo come viene applicato. Il Kanun insegna come ci si deve comportare per non perdere l’onore, dunque, in questo modo, il Kanun è un codice morale e svolge la funzione preventiva di difendere l’onore. Secondo i Kanun albanesi, un uomo perde l’onore quando lui commette errori gravi, per esempio quando tradisce l’amico, l’ospite e quando tradisce la stirpe, il principato, la patria. Ma si disonora anche con errori “piccoli”, ad esempio, con una parola scortese rivolta ad una persona che sta parlando nel Convegno, perciò: “Un uomo si disonora, dicendo bugiardo ad altra persona, in presenza di uomini seri radunati in Convegno” (§ 601 - KLD). Il Kanun non solo difende il diritto di libertà di parola, ma nello stesso tempo dimostra che il Convegno ha le sue regole che devono essere rispettate, ha la sua etica e, come un’istituzione onnipotente, deve difendere l’onore, perché l’onore è intoccabile, è sacro. Il Kanun riconosce il diritto della libertà di parola, la libertà di esprimere i pensieri, però all’interno delle norme e di una cultura democratica; precisa infatti anche i limiti di questa libertà, che si spinge fin a non toccare la libertà degli altri. In modo chiaro il Kanun stabilisce che nessuno deve interrompere in modo offensivo l’oratore, non solo nel Convegno, ma in qualsiasi ambiente familiare e sociale. Queste norme rappresentano nel loro complesso il codice della difesa dell’onore dei montanari. Secondo il Kanun nessuno ha diritto di offendere e di insultare l’onore degli altri in pubblico. Questa è l’etica creata della saggezza popolare, sancita nei Kanun, espressa con i discorsi laconici e filosofici dei montanari, con le norme del 109


buon atteggiamento sociale, di rispetto reciproco e buona educazione: è la cultura del dialogo, che contiene il peso dell’onore e della saggezza per mantenere in efficienza i meccanismi del funzionamento del Convegno – Kuvendi. L’onore nel diritto consuetudinario albanese è il contrario della vergogna, esprimendo con varie sentenze:“L’onore sulla fronte c’è stato impresso dal sommo Iddio” (§ 596 - KLD). “L’oltraggio all’onore non si perdona mai” (§ 597 - KLD), “Di fronte alla legge il disonorato è considerato persona morta” (§ 600 - KLD): questi sono elementi fondamentali del Kanun per definire l’onore. Se facciamo un confronto tra “le zone” o delle dimensioni dell’onore con quelle che appartengono alla vergogna o al disonore prescritti nel Kanun, risulta che lo spazio dell’onore è troppo stretto e, dentro questi limiti l’albanese deve costruire la sua posizione, il suo atteggiamento, la sua individualità e la sua personalità. Dal punto di vista morale, il Kanun contiene una catena di restrizioni, limitazioni e tanti tabù che proteggono il montanaro dalle “zone di vergogna”. In questo modo, lo aiutano a non cadere negli errori gravi per non rimanere disonorato: “L’onore fa la casa”, precisa il Kanun, ma “La casa non si fa con una generazione”. Come si vede, il Kanun impone regole e norme generiche per difendere l’onore della casa, della famiglia e obbliga a tramandare queste norme in tutta la discendenza, generazione in generazione. Il concetto dell’onore di casa ha avuto un impatto importante nella vita della famiglia montanara albanese e nella educazione della prole. Basandosi sui criteri dell’onore di casa, prima di creare una nuova famiglia (sposare il figlio, la figlia), i genitori sono obbligati a verificare la lontananza delle generazioni, cioè “di non essere dello stesso sangue e parentela per sette generazioni” (§ 39 - KLD) (Il Kanun in qualche distretto del nord di Albania stabilisce anche per 110


12 generazioni). Nello stretto significato, il Kanun esprime anche altre dimensioni sull’onore, come quello di proteggere la donna, la moglie, la figlia. Questa disposizione è singolarmente interessante, se si pensa che, in altra parte, il Kanun dispone la sottomissione delle donne, delle moglie, delle figlie, non dando loro pari diritti e opportunità. Il Kanun lo considera “disonorato un uomo che oltraggia la moglie, anche allontanandola dalla casa“ (§ 601 - KLD). Dunque, il Kanun protegge l’onore, la dignità, la libertà e la personalità della donna in famiglia e in una società patriarcale. Nella società albanese, il potere dell’onore è stato sempre, superiore al potere della religione e dello stato. L’istituto dell’onore rappresenta, quindi, il culmine della vita degli albanesi. L’onore stava in cima a tutte le altre categorie etiche e delle norme morali, perciò la sua perdita era equiparata alla morte: “Di fronte alla legge il disonorato è considerato persona morta”. Attualmente, in Albania, l’istituto dell’onore sociale non ha lo stesso valore e le stesse dimensioni di quello del codice consuetudinario, perché è ridotto e sfumato in un tale modo, che si presenta come una eccezione sociale. La semantica dell’onore significa allontanarsi da tutto ciò che è vergogna, che ti macchia il carattere, ma vuole anche dire custodire, proteggere, coltivare ogni norma morale ed etica che ti onora davanti agli altri, che ti fa rispettare e che fa crescere la tua dignità e la tua personalità davanti a tutti. Solo un uomo d’onore rispetta la Bessa, le norme e le regole di ospitalità, mantiene la parola, dimostra coraggio. L’onore è collegato con il passato, il presente e il futuro. L’onore non è solo un’istituzione del passato, una categoria etica arcaica, 111


primitiva, consumata, al contrario: oggi in tutti i paesi è salvaguardato da leggi (secondo il sistema politico-sociale). È evidente, che l’onore non solo è riconosciuto nel diritto penale, in correlazione con la personalità dell’individuo, nella sua espressione sociale moderna, ma è sancito anche nei vari documenti internazionali, che stabiliscono la protezione dell’onore, dei diritti dell’individuo e dei diritti universali dell’uomo. Mentre le leggi moderne sono dedicate all’individuo e basate sulla paura alla disobbedienza, le leggi e le norme del codice consuetudinario albanese, sono basate sulla lealtà, sull’onore, sulla Besa e sul comportamento cavalleresco personale, familiare e collettivo (della parentela, stirpe), perciò, se non si rispetta questo codice, la punizione è estrema, perchè “chi manca dell’onore è considerato morto per il Canone di Lek Dukagini”. Comunque, è un dovere imperativo morale e patriottico di custodire e coltivare tutti gli aspetti positivi dell’onore, ereditati nei secoli come valori della cultura e della storia albanese e incisi nel Kanun di Lek Dukagini ed anche negli altri Kanun albanesi, con la sentenza:“L’onore sulla fronte c’è stato impresso dal sommo Iddio”.

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BESSA (BESA). Il culto della Bessa, la parola data, la parola d’onore, mantenere la parola, la fedeltà, l’amicizia, la riconciliazione, la fratellanza, la solidarietà, la pace. Il Kanun ha istituzionalizzato la BESSA e ha creato il culto della BESSA, che regna su tutta la vita della società albanese. La parola BESSA non esiste nelle altre lingue, è infatti intraducibile e non avendo l’equivalente, nei vari dizionari la troviamo con note che ne spiegano il significato. La parola Bessa si usa anche in lingua rumena e bulgara, ma come parola originata dalla lingua albanes. Si usa anche nella lingua serbo-croata, definita come “arbanaska vjera” (che significa “quella che credono gli albanesi”). Il fatto che la usano anche altri popoli, dimostra che la Bessa albanese è una categoria etica e morale con valori particolari e comuni, che ha spinto gli autori stranieri a definirla come fenomeno tipico albanese. Bessa, o il culto di mantenere la parola data, la parola d’onore, ha origine antica ed è legata al mito biblico della parola, perché all’inizio fu la parola. Nei tempi antichi, quando non esisteva la scrittura e quindi non esisteva il documento scritto, gli accordi tra la gente si basavano sulla parola. Anche durante gli anni del medioevo e successivamente in una società albanese senza un vero governo, nelle necessità più elementari delle relazioni tra individui, famiglie, stirpe, regioni e principati, un importanza sociale assume la BESA, la parola data, la promessa,: “Da dove esce l'anima esce la parola”(KLD). Tra gli albanesi questa antica tradizione è conservata ed è diventata sacra nell’istituto della Bessa canonica. La Bessa, come un culto grande e divino, nel passare dei secoli, 113


prende nella in lingua albanese anche gli attributi dell’idioma religioso, diventa un sinonimo di fede (bessim), ma in particolare custodisce la fonte d’origine antica, da dove fu ereditata come un mezzo per esprimere l’obbligo di mantenere la parola data, obbligo che, in seguito, fu incluso nel nostro Kanun di Lek Dukagini come l’istituto della Bessa, l’autorità più alta e sublime nei rapporti e la fiducia basata sulla parola data. Bessa rappresenta l’accordo, il contratto non scritto. Bessa è un patto, è un protocollo giuridico senza firme e senza timbri, è un accordo senza cerimonie ufficiali e senza protocollo, ma tutto basato sull’onore, sul rispetto e sulla fiducia nei confronti della parola data: “Hai la mia bessa, o sei nella mia bessa” (KLD). La BESSA significa mantenere la parola, è promessa, è giuramento, è accordo, è patto, è intesa, è fedeltà, è amicizia, è riconciliazione, è fratellanza, è perdono, è pace. Tutto questo è basato sull’onore e sulla parola d’onore, che la persona ha lasciato come pegno di garanzia e come assicurazione per mantenere la parola data. La Bessa è una categoria etica con grande autorità, legata e basata sull’onore ed il coraggio, è una garanzia di fedeltà per i patti, le alleanze e gli accordi presi tra persone, tribù, contrade, distretti, province, principati, repubbliche, anche con gli stranieri, ma è anche tregua, è accordare la pace in società in rapporto con l’istituto della vendetta - faida. Per l’albanese dare la Bessa è un atto sacro, è legge, è un atteggiamento nobile e coraggioso, è una speciale manifestazione della fedeltà, amicizia e di garanzia, congiunta ad una grandezza d'animo; è l’aiuto e la protezione che ogni albanese, povero o ricco, debole o potente, si sente onorato di accordare a chiunque gli chieda la sua Bessa. 114


Bessa, questo “animus albanese”, è un testamento morale dai tempi remoti della mitologia. Le più antiche e più importanti ballate del folclore albanese hanno come elemento centrale il culto di Bessa – mantenere la parola data. La costruzione del castello di Scutari (VIII - VI sec. a. C) e del ponte che vibra hanno in comune la Bessa e il motivo del sacrificio della donna che viene murata viva: dunque si sacrifica la moglie per mantenere la parola data, la Bessa, stabilita tra i fratelli, di non svelare alle mogli il consiglio del vecchio saggio. Anche l’antica ballata di Costantino e Doruntina, ossia la storia del risurrezione del fratello morto, parla della Bessa, cioè della parola che Costantino ha dato a sua madre di riportare la sorella sposata lontano. Costantino, che era morto, si alza dalla tomba e va a prendere la sorella Doruntina, viaggia per tutta la notte e l’accompagna a casa, come aveva promesso a sua madre o, meglio, le aveva dato la Bessa, per portare la sorella che non la vedevono da molti anni. Troviamo l’esistenza dell’istituto della Bessa albanese, anche come categoria canonica nello statuto di Scutari del 1369, dove Bessa viene documentata per la prima volta come una parola scritta e che testimonia in modo convincente l’autorità del culto della Bessa tra gli albanesi nel medioevo preottomano. In tutti i Kanun albanesi, la Bessa viene equiparata con la vita, anzi oltre la vita. Questo modo di concepire e applicare l’istituto di Bessa, esprime la forza morale dell’onore e dell’onestà nei rapporti sociali ed inoltre significa che il culto d’onore è il pilastro del culto della Bessa albanese. La Bessa rappresenta anche la tregua d’armi, la pace, la pacificazione, la fratellanza in virtù della quale due famiglie sospendono prima per 24 ore e dopo per 30 giorni le loro azioni di vendetta faida. Ovviamente le persone o le famiglie in vendetta non sono in 115


guerra quotidiana con attacco e contrattacco, ma solo quando per caso, i loro membri s’incontrano, o cercano l’occasione di attaccarsi. Quindi, una famiglia concede all’altra la Bessa (per 24 ore o per 30 giorni), i membri di quest’ultima, possono uscire di casa liberamente, possono andare a lavorare i campi, occuparsi di bestiame e, con contegno riservato, possono restare nello stesso convegno e conversare con i membri della famiglia che ha concesso la bessa. Spesso questa tregua avvicina così profondamente le due famiglie in vendetta, che i loro membri soffrono sinceramente quando scade il termine e devono ricominciare le ostilità e l’isolamento. Nell’ambito di questa esperienza, il genio del popolo ha creato l’istituto di pacificazione oppure, come lo chiamiamo noi albanesi, la fratellanza (diventare probatini), in virtù della quale le famiglie in vendetta, in una solenne ed emozionante cerimonia pubblica, mescolano il loro sangue, buttando dietro le spalle la vecchia inimicizia, ed i vecchi rancori, cancellano la vendetta e si affratellano tra loro (Art. 140 - KLD). Il processo di fratellanza delle due famiglie si svolge con una cerimonia solenne, con una procedura ben precisa di riti epici, che proclamano pubblicamente la Bessa, constituendo il nuovo legame fraterno tra due famiglie. Io, personalmente, sono stato presente in una tale cerimonia, svoltasi in un’atmosfera shakespeariana. Ai due signori delle case pacificate (o ai loro rappresentanti), da parte del capo vecchio del villaggio (o il più vecchio della stirpe), viene legato il mignolo, poi, con uno pugnale, si fa un taglio e si fanno uscire alcune gocce di sangue, facendole cadere in due bicchierini riempiti di grappa o di vino. Dopo aver mescolato bene il sangue nei rispettivi bicchierini, i pacificanti li scambiano reciprocamente e, con le mani incrociate, bevono il sangue l’uno dell’altro, fra gli auguri dei tutti i presenti, 116


accompagnati da canzoni, danze e scariche di fucili. Dopo questa cerimonia, i due rappresentanti si dichiarano pubblicamente fratelli – probatini (§ 988, § 989, § 990 - KLD). La Bessa è anche riconciliazione tra persone, tra famiglie, o tra villaggi in conflitto o coinvolti in vendetta - faida tra loro. La riconciliazione è una nozione molto importante nella tradizione albanese. Anche la riconciliazione, come il perdono, è una istituzione centrale e antica dei Kanun, che nella procedura giuridica, ha sempre avuto un ruolo importante e pratico per impedire l’espandersi dei conflitti, per evitare la vendetta-faida, ma anche per evitare le condanne come forme non sempre produttive per la società montanara. Siccome i Kanun prevedono condanne molto rigide, specialmente nel campo delle norme morali, la riconciliazione ha contribuito ad addolcire le conseguenze sia delle colpe che delle condanne, dunque di diminuire le sofferenze quanto più è possibile. Quindi il suo ruolo nella umanizzazione della società albanese è evidente. Questo ruolo emerge direttamente dal Kanun, proprio dal suo fondamento, perché lo scopo principale di questa legge è convincere e non obbligare, prevenire e non di condannare post factum. La riconciliazione è la prima fase di ogni procedura giuridica per spegnere i conflitti e della vendetta - faida. Ci sono almeno tre tipi di riconciliazione: individuale, locale e generale. La Riconciliazione sia individuale anche locale, si stabiliscono quando tra le due parti in conflitto - con l'intermediazione del Consiglio degli Anziani oppure dell'Assemblea dei Consigli (Convegno Kuvendi), si trova il modo di superare il conflitto, di dare la Bessa e stabilire la pace tra le persone, le famiglie e i villaggi. Il Kanun di Lek Dukagini stabilisce: “Per le conciliazioni sono necessari i garanti prescritti dalla legge” (§ 970 - KLD). 117


Ma non c’é Riconciliazione senza Perdono, dopo di che segue la stipula del contratto speciale di riconciliazione, che si chiama "Besëlidhje" (patto di alleanza), tradotto ad litteram vuol dire: “Uniti tutti con la Bessa”. Questa riconciliazione prevede il rispetto delle condizioni stabilite dal persona danneggiato, oppure dal Consiglio degli Anziani nel Convegno - Kuvend. La Riconciliazione generale, invece, è, di fatto, un grande "Giubileo" dei peccati e del perdono, è alleanza, è una azione preventiva collettiva, è una impresa, è una Bessa nazionale, che ha un carattere sociale, politico e militare. Cioè, la Bessa si applica come un provvedimento di sicurezza e di autodifesa. L'emanazione della Riconciliazione Generale o la Bessa Nazionale, viene effettuata in caso di emergenza, quando la nazione viene minacciata da una invasione straniera, dalla guerra, da calamità dovute a cause naturali e altre minacce, oppure quando crescono i problemi all’interno della collettività ed i conflitti arrivano ad un livello che diventano pericolose. Dal punto di vista giuridico è una amnistia generale. L'iniziativa per una Bessa collettiva, che porta ad una riconciliazione, non viene sempre soltanto dal Consiglio degli Anziani, ma svolgono un ruolo anche le istituzioni religiose che intervengono predicando e difendendo insieme la Bessa, l’unità, la fratellanza, oppure anche altre istituzioni o gruppi di persone con una autorità. Le Riconciliazioni generali non vengono spesso. Alcune delle riconciliazioni più grandi, avvenute nella storia del popolo albanese sono state quelle del 1190, 1444, 1462, 1602, 1703, 1878, 1912, 1920 e del 1942.

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BURRI: L’UOMO D’ONORE, L’UOMO VIRILE; virilità (es vir), l’uomo con la forza di carattere, l’uomo onesto, l’uomo di parola, l’uomo con dignità, l’uomo coraggioso e saggio, patriota, l’uomo di sacrificio, l’uomo forte, l’uomo combattente, condottiere. BURRENIA: L’atteggiamento sociale d’un uomo d’onore, comportarsi con saggezza e coraggio, mantenere la parola data. Tutti i Kanun hanno stabilito il ruolo centrale dell’uomo nella società albanese, i segni della sua storia, il suo percorso nei secoli, il formarsi della sua identità e della sua personalità in famiglia e nella società. La categoria dell’uomo canonico, in lingua albanese, si chiama burri - che tradotto ad litteram vuol dire l’uomo, l’uomo virile (es vir), che non definisce l’uomo solo nell’aspetto biologico, come maschio, ma lo individua come categoria etno-psicologica. Burrenia rappresenta una cultura a parte ed è un concetto tipico albanese, che comprende in sé un complesso di virtù, qualità, valori, pregi ed atteggiamenti intrecciati strettamente tra loro, che si esprimono unitamente come una categoria etica e morale nel canone delle montagne. Non trovando gli equivalenti in lingua italiana per tradurre il concetto canonico delle parole burri e burrenia, perciò ho preferito usare i termini originali in albanese, per custodire i loro significati nei Kanun, dove burri e burrenia si affacciano come categorie etnopsicologiche e sociali, non giuridiche e per di più neanche come categorie biologiche. Per capire meglio il concetto canonico di burri, dobbiamo fornire una serie di spiegazioni, che a prescindere dal significato stretto 119


uomo-maschio, vuol dire anche l’uomo d’onore, l’uomo nobile, l’uomo virile, l’uomo con carattere forte, onesto, l’uomo di bessa, colui che mantiene la parola, l’uomo serio, l’uomo con dignità, coraggioso, saggio, il patriota, l’uomo di sacrificio, l’uomo forte, l’uomo che resiste davanti alle difficoltà ed i pericoli della vita, il combattente valoroso. Per invitare un’albanese, a qualsiasi maggiore atto di valore e di coraggio, a qualsiasi maggior sacrificio e rinuncia per uno qualunque dei grandi valori che nella sua mentalità costituiscono l'onestà e l'onore, la saggezza, bessa, coraggio, forza, basterà domandare “a je burrë? Es ne vir nec ne”? (“sei un uomo”?). Non solo, ma i montanari, anche quando si salutano, tra loro, per dimostrare rispetto, bessa e fiducia, così si rivolgono l’uno all’altro: “A je burre – sei un uomo”?( es ne vir nec ne”?). Le categorie fondamentali della psicologia albanese espresse nei tutti i Kanun come ospitalità, onore, Bessa ecc., sono legate con le categorie di burri e della burrenia, che intrecciati insieme, esprimono unicamente la personalità e la posizione individuale e sociale dell’uomo albanese. Padre Shtjefen Gjeçovi, nel Kanun di Lek Dukagini, parla per “Il Kanun – dovere e il Kanun di burrenia, che hanno avuto le nostre montagne da epoca immemorabile” (Art. 12 - KDL). In questo modo, come scrive Padre Gjeçovi, si evidenzia la distinzione tra due aspetti: “Il Kanun – dovere” (appartenente al campo giuridico e giudiziario, con l’obbligo di rispettare le leggi, le regole e le norme della società montanara), ed “il Kanun di burrenia” (legato all’aspetto spirituale ed etnopsicologico o, meglio, è l’obbligo spirituale e morale per tutti, di rispettare il Kanun di Lek Dukagini). “È legge mandare mediatori a chiedere Bessa. Concedere la Bessa è un dovere e cosa degna di uomini forti” (§ 855 - KDL). 120


Quindi alla base di tutta l'etica propria del Kanun, si trova Burri e Burrenia, che comprendono quanto sorpassa l'apparenza e la condotta puramente esterna, nonché le disposizioni di stretta giustizia, per entrare nel regno dello spirito e dell'animo illuminato del popolo albanese. Nelle due categorie Burri e Burrenia, troviamo fuse varie virtù e qualità fondamentali, legate alla concezione matura e virile della vita, come la saggezza, che è l'equilibrio mentale, il sapersi comportare con maturità, con prudenza, con garbo, con misura e rispetto nei rapporti tra uomo e uomo, presentarsi con dignità nel Convegno, nei rapporti con altre persone, con i membri della famiglia, della tribù e con altre tribù, contrade e villaggi, con i compaesani e gli stranieri. Secondo il Kanun il burri è coraggioso, che è valore ben distinto dalla temerarietà: è in grado di affrontare le difficoltà ed i pericoli, fin al punto che non lamenta mai; burri non piange mai, non può versare le lacrime, anche nel dolore più profondo che può capitargli. Burri è invincibile di fronte alle ingiustizie, è colui che sacrifica i propri interessi e le ambizioni personali, anzi anche della sua famiglia ed ha la forza di perdonare. Nella pratica consuetudinaria degli albanesi, chi perdona, aveva sempre un vantaggio come virtù degli uomini e come mezzo per annientare un conflitto, per scongiurare la vendetta-faida. Questa virtù del Perdono è legata e dipende da Burri e dall’atteggiamento con Burrenia e include un insieme di virtù e del carattere forte dell’uomo albanese. Ecco come è concepita la categoria etnopsicologica di Burrenia, in relazione con il Perdono, in uno dei tanti racconti cosiddetti giuridici del nostro popolo. Intermezzo. In una seduta dell'Oda dei Vecchi (Forum), alla domanda su “Quanto può essere alta e sublime la Burrnia”, uno dei Saggi 121


rispose: Burrenia ha tre piani e l’apice va molto più in alto. - Nel primo piano è colui che resiste al male, alle disgrazie, soffre e sopporta eroicamente, non si lamenta, non piange e non va a suicidarsi. Per questo si dice che è Burri (uomo virile). - Nel secondo piano è colui che sa uscire dal male senza provocare conflitti e guerre, lui è il Burri dei Burri (il miglior uomo virile). - Nel terzo piano è l’uomo con carattere forte che perdona al debole e questo è un superuomo virile. (Secondo una raccolta pubblicata da Anton Çeta). Il contrario di burri e di burrnia è la situazione di quando qualcuno perde le qualità di un uomo d’onore, cioè quando è disonorato. Nel Kanun di Lek Dukagini, per l’uomo che ha perso la burrnia si usano i termini di diprezzo come: vile, vigliacco, uomo senza onore, disonorato, misero, morto sociale. Secondo il Kanun “l’uomo disonorato ha l’impronta della vergogna per sette generazioni”, in particolar modo questa si usa per i traditori, ed in seguito stabilisce: “Un uomo è libero di mantenere la sua burrnia ed è libero di essere disonorato, di perdere la burrnia”, come succede quando un uomo non mantenga la parola, che calpesta la Bessa o si comporti in modo indecente, come non deve fare un uomo maturo. Nel Kanun di Skenderbeg, raccolto da Dom Frano Ilia, per un uomo che perdeva l’onore o, meglio, perdeva la burrnia, le sanzioni canoniche erano pesanti: “La condanna di uno che perde la burrenia è la vergogna, che è peggiore della morte”. “Burrenia è resistere nel bene e nel male, è nobiltà, è coraggio, è generosità, è bessa, è patriottismo fino all’eroismo, è tenacia nel difendere il diritto”. La perdita dell’onore, cioè della burrnia, è un concetto etno122


picologico categorico, che non ha niente a che fare con la giustizia. Secondo il Kanun, il “colpevole” subisce una punizione morale, rimane svergognato, è disonorato davanti ai compaesani ed ai suoi familiari, è una situazione peggiore della morte. In tutti i nostri Kanun la burrnia è la sintesi delle virtù più alte dell’etica e della morale degli albanesi, che insieme rappresentano la personalità etnopsicologica del nostro popolo. Dom Frano Illia, parlando di burrënia, ha dato un altra definizione psicologica: “La burrenia è carattere determinato, è carattere forte, è resistere davanti alle difficoltà, non inginocchiarsi, ma piegarsi solo davanti alla verità, alla giustizia e al bene”. Analizzando la Burrnia in rapporto con altre categorie etnopsikologiche ed etico – morali del Kanun, Dom Illia aggiunge: “L’onestà e la burrnia si rispecchiano l’una all’altra, mentre la Bessa è l’espressione dell’azione di entrambi nella vita”, perché, secondo i Kanun albanesi, un uomo senza Bessa, cioè uno che non mantenga la parola, che ha perso l’onore, è disonorato, perde la burrnia, è uno spudorato, non è un uomo d’onore, è un uomo morto. All’onore, alla Bessa e all’ospitalità, che definiscono in complesso la burrënia, Ernest Koliqi aggiunge un altro componente importante che è la saggezza. Secondo Koliqi “la burrënia è saggezza e dignità umana” e con questo termine in lingua albanese si capisce l’intreccio delle varie virtù che caratterizzano la burrenia albanese, come il coraggio, l’onore, l’ospitalità, la generosità, la nobiltà, il dovere e l’obbligo di rispettare le norme e le regole della società; mentre secondo Dom Illia, la saggezza è quasi un sinonimo della burrenia: “La saggezza trasmessa dalla bocca del Kanun è una virtù, la quale include in se stessa le migliori qualità umane, come maturità, intelligenza, giustizia, onestà, serietà”. 123


Secondo la mentalità canonica, a prescindere dalle particolarità che esprimono i sentimenti, gli aspetti conoscitivi, volutivi e psicologici dell’uomo albanese, la burrnia esprime anche le caratteristiche fisiche, la forza, la resistenza, la reazione davanti alle difficoltà ed ai pericoli, la giustizia, il coraggio nella difesa della libertà. Essere burri non ha niente da fare con il concetto moderno di maschilista. Il nostro popolo vede l’uomo, la sua forza fisica come una caratteristica tipica di burri, ma la mette sempre al secondo posto in confronto alla saggezza, che è la prima, come testimoniano molti proverbi albanesi che dicono: “L’uomo ha bisogno di saggezza e di forza: la saggezza guida, la forza combatte”, “Il saggio sconfigge il forte”; “Serve la forza, ma di più serve la saggezza”, ecc. Il rapporto tra la forza e la saggezza dell’uomo, nella psicologia del nostro popolo, si rispecchia chiaramente nella storia e nelle varie leggende come quelle dell’epos albanese. Vale ricordare un episodio. Il valoroso paladino Muji, quando vede che il suo paese è minacciato dai nemici, chiede alla Fata di dargli la forza e dal momento in cui lui beve il latte dal seno della Fata, si trasforma dal pastore debole e delicato che era, in un potente paladino, un eroe che salva la patria dagli invasori.

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BURRENESHA: La donna con carattere, saggezza e coraggio dell’uomo. Anche se i concetti burri e burrnia nell’aspetto semantico sono legati con le parole uomo - maschio, nel Kanun risulta cha la burrnia come categoria etnopsicologica e sociale viene attribuita anche alle donne, alle femmine che dimostrano valori etici e morali elevati, anzi dimostrano saggezza, coraggio, maturità, giustizia, non meno degli uomini. Perciò il Kanun le definisce burrenesha, cioè donna d’onore, donna nobile, donna saggia, donna coraggiosa - “virile”. Ovviamente, il termine burrenesha non ha niente a che fare con l’aspetto derivante dall’appartenenza al sesso, infatti in lingua albanese è chiara e precisa la definizione della donna burrenesha, come sancisce il Kanun di Lek Dukagini ed il Kanun di Skenderbeg: “La donna con carattere forte dell’uomo, si chama burrenesha”. Nella struttura canonica della famiglia patriarcale, la donna è trattata come un elemento sociale senza diritti e sottomessa, ma anche se la sua vita ha questi limiti sociali, la donna albanese ha trovato la forza e lo spazio per dimostrare i suo valori psicologici sociali, spirituali, culturali e fisici. Parlando sulle disuguaglianze tra l’uomo e la donna, Padre Fulvio Cordignano ha scritto: “Nel Kanun, la donna davanti al diritto non ha la sua personalità e i suoi interessi materiali ed economici vengono regolarizzati dalla famiglia, ma lo spirito di razza non l’ha trasformata in schiava, nata solo per soddisfare il piacere del maschio. La donna albanese sempre ha dimostrato la sua dignità, il suo ruolo nella famiglia e nella società, il suo contributo nella missione come madre, come sorella, come moglie, come compagna e come donna”. La storia del nostro popolo ha evidenziato molti casi del ruolo 125


primario delle donne in vicende importanti del nostro paese, la loro partecipazione nei Convegni, con pari opportunità e con gli stessi diritti degli uomini, anzi con il diritto di intervenire nel Kuvend, dove sono state onorate e ascoltate con rispetto da tutti gli uomini, come è successo con Ajkuna, Argjiroja, Mamica, Marta, Petrusha, Bubulina, Dora D’Istria, Nora di Kelmendit, Tringe Smajl Martini di Grudes, Nora Luli di Hoti, Shota Galica, Parashqevi Qirjazi, e con migliaia altre burrnesha. Della categoria delle burrnesha albanesi fanno parte anche le famose Vergini giurate, quelle ragazze o donne che cambiano la posizione sociale, chiamandosi e comportandosi pubblicamente come burrnesha e non come donna. Le Vergini sono conosciute da secoli in Kelmendi, Hoti-Gruda, Malesia Madhe, Kosova, Shala, Puka, Mirdita, Tropoia, Malesia di Lezha, Martaneshi, Dibra, Kurbini ecc. L’albanologo Johann G.Von Hahn (filologo, diplomato austriaco) nel anno 1863 scrisse: “Le burrnesha rappresentano il variante albanese della devozione cristiana”. Nella prima metà del XX secolo sono ben conosciute più di 300 burrënesha – vergini giurate. Ognuna di queste donne, essendo la prima figlia o la moglie in una famiglia restati senza maschi, uccisi in guerra o dalla vendetta, lei diventava capofamiglia e, sostituendo il signore di casa, si vestiva come uomo, gestiva e proteggeva la proprietà, lavorava la terra, allenava il bestiame, teneva la pistola alla cintura e portava il fucile quando usciva da casa. Questa burrnesha aveva diritto di partecipare al Convegno, con pari diritti a quelli degli uomini, intervenendo con discorsi sempre basati sul Kanun; aveva il diritto di giudicare e quando la tribù o il villaggio era in guerra, andava insieme con gli uomini nelle battaglie per difendere il paese, dimostrando coraggio e compiendo atti di eroismo non meno 126


degli uomini. Il Kanun di Lek Dukagini e gli altri Kanun albanesi, come tutti i codici che rispecchiano il diritto feudale del tempo che li produsse, ovviamente presentano vari aspetti delle disuguaglianze sociali, tra le quali anche la discriminazione della donna. Molti autori, studiando lo spazio giuridico tradizionale dei Kanun albanesi, hanno visto una contraddizione del nostro diritto consuetudinario: da una parte la donna era esclusa da tutte le attività sociali e politiche, la sua sottomissione davanti alla “autorità” dell’uomo – marito, la posizione inferiore nella famiglia patriarcale, in tribù, in contrada, nel villaggio, nel convegno e nella società - ma dall’altra parte, esiste anche la donna Burrnesha, la donna con diritti sociali, la donna dell’Oda (forum), del convegno, la donna giudice, la donna combattente ed anche la donna condottiera. Lo spazio dei diritti delle donne nel Kanun è molto stretto, ma dagli studi del folclore albanese risulta che nella vita spirituale e sentimentale la donna è stata fortunata, onorata, rispettata, amata e valutata non solo per la sua bellezza. Basta ricordare le belle poesie e le belle canzoni popolari dedicate alla donna, per capire il mondo dei pensieri e dei sentimenti dell’uomo albanese per la sua donna. Su questo argomento Ismail Kadare scrive: “Nella poesia popolare, la femmina albanese è rispettata, è libera, è attiva, dunque gode di tutto quello che non ha avuto mai nella vita. Si vede, che quella che il popolo non ha dato nella vita alle sue figlie, con grande generosità e con sentimenti delicati lo ha dato nelle canzoni”. Tutti i nostri Kanun negano i diritti delle donne nella famiglia e nella società, ma le proteggono dalla vendetta e, anche se sembra paradossale, gli uomini e le famiglie albanesi non sono stati così 127


conservatori e fanatici con le femmine (comprese la sorella, la moglie, la figlia). Vi racconto una vicenda reale, una festa che si organizza almeno sin dai tempi del medioevo e che, dopo una interruzione di quasi mezzo secolo, è stata rinnovata e continua anche ai giorni di oggi. È una festa particolare, unica: è il raduno di fine estate, chiamato dai montanari “Logu i Bjeshkeve” (Il Loco delle montagne), che si svolge nei prati fioriti di Perleci, tra le vette rocciose delle Alpi del nord dell’Albania. In questo posto incantevole, alla fine dell’estate, si riuniscono tutte le famiglie montanare per festeggiare insieme la chiusura delle raccolte estive (il ferragosto). In un’atmosfera festosa e di divertimento, con canzoni, giochi e danze vivaci, l’attività più bella che coinvolge tutti i partecipanti è la sfilata delle ragazze vestite con costumi tradizionali. Alla fine di questa sfilata, il popolo sceglie la ragazza più bella, quella ragazza che, nei nostri tempi moderni la chiamiamo Miss di bellezza. Come si vede, i montanari albanesi nei secoli hanno eletto la loro “Miss Montagna”. Secondo il Kanun delle Montagne, la femmina albanese (la figlia, la sorella, la moglie), nella sua vita sociale e familiare è stata sottomessa e senza diritti, ma protetta dalla vendetta del Kanun ed in particolare, nell’aspetto del “diritto spirituale” ha ricevuto rispetto, stima, amore, apprezzamento e la considerazione che meritava, evocando in questo aspetto i grandi valori di cultura civile ed i valori spirituali del popolo albanese.

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EPILOGO. Prof Fabio BERTI Dipartimento di Scienze Storiche, Giuridiche, Politiche e Sociali Università degli Studi di Siena. Fino a non molti anni fa “Kanun” era un termine noto a pochi specialisti: forse qualche antropologo esperto della zona dei Balcani o qualche raro giurista ferrato nella storia del diritto consuetudinario avrebbe potuto esporre il significato di tale termine, che già solo dal punto di vista semantico suscita interesse a curiosità al novizio. Poi, all’inizio degli anni ’90, a seguito della caduta dei regimi comunisti europei e il tramonto della cortina di ferro, anche l’Albania ha aperto le sue frontiere e centinaia di migliaia di albanesi si sono riversati in Europa e in particolare in Italia: da quel momento, nel bene e nel male, è cresciuta l’attenzione nei confronti di un popolo e di una cultura praticamente sconosciuta nel mondo occidentale e si è iniziato a parlare sempre più spesso anche del Kanun. Tuttavia le ragioni per cui anche il grande pubblico ha scoperto il Kanun ha fatto si che ne scaturisse un’immagine parziale e spesso distorta. Oggi, anche tra coloro che si occupano di immigrazione albanese, molti sono coloro che parlano del Kanun, spesso nel tentativo di spigare o – anche peggio – di giustificare certi comportamenti “devianti” di questi immigrati; il problema semmai, è che pochi hanno avuto l’opportunità di leggerlo e studiarlo, anche perché la letteratura sul tema è ancora molto rara e sporadica. Per questo, come dice giustamente Alia, il Kanun rimane un vero e proprio mito, che evoca qualcosa di misterioso e sconosciuto; nel Kanun c’è incastonata una sapienza atavica e irrazionale, oggi per certi versi dispersa, ma che ci permette di vedere gli albanesi con un’ottica diversa: non più quel popolo allo sbando, privo di ogni identità, come lo descrive Gianni Amelio nel suo noto film Lamerica, ma un popolo fiero, con una sua storia ed un insieme di 129


tradizioni radicate. In realtà quello albanese è un “popolo” fortemente ancorato alle tradizioni, che ancora oggi regolano, soprattutto nelle zone rurali, la vita dei cittadini. Si tratta di tradizioni laiche, vere e proprie leggi consuetudinarie che le tribù ed i clan avevano dovuto codificare per mantenere la coesione tra le famiglie; queste sono legate ai passaggi più importanti della vita (nascita, matrimonio, morte) e regolano una serie di comportamenti la cui eredità è visibile ancora oggi. Questa “legge” consuetudinaria si trova riassunta proprio nel Kanun al quale, tra l’altro, è legato anche il tentativo di regolare la “vendetta di sangue”, consuetudine antichissima, anche di origine illirica e codifica in un sistema patriarcale, in cui il maschio più anziano è a capo di una famiglia allargata. Il rinnovato interesse per il Kanun è legato proprio a questi aspetti più truci e violenti, che tuttavia nell’Albania del XV secolo avevano un senso per evitare che le rivalità tra i diversi clan sfociassero in vere e proprie guerre. In realtà il Kanun si occupa solo incidentalmente della vendetta e delle modalità di perpetrarla, anche se la superficialità con la quale oggi se ne parla fa apparire solo questi aspetti. Al Kanun sono invece legati aspetti profondi che prendono in considerazione la natura stessa del “patto sociale” a fondamento della società albanese, come nel caso della bessa, la parola data, un concetto molto forte per il quale il mancato rispetto della parola è punito severamente; la bessa regola i periodi di tregua tra famiglie rivali e l’ospitalità, un altro istituto molto importante nella cultura albanese. Anche se il Kanun non è più in vigore, smise di essere ufficiale nel 1912, data dell’indipendenza dell’Albania, dopo fu abolito durante la monarchia e il regime comunista compì sforzi importanti perché non venisse applicato, in vasti strati della popolazione, soprattutto in montagna dove la penetrazione culturale è stata più difficoltosa, se ne sente tutt’oggi l’influenza. Quelle regole codificate nel Kanun, utilizzate per lunghi secoli come unica legge civile, contribuiscono ancora a delineare alcuni 130


tratti culturali degli albanesi, anche se rimane troppo semplicistico e riduttivo fermarsi a questo. Per essere più espliciti, chi pretende di spiegare i fatti di sangue, per altro sempre ben amplificati dai media, compiuti dagli immigrati albanesi utilizzando la prospettiva culturalista, dicendo che in fondo fa parte della natura albanese avere dimestichezza con il coltello, compie un’operazione strumentale che ripropone la nota teoria del razzismo differenzialista ipotizzata da Taguieff. Tutto questo perché del Kanun si è parlato e scritto molto meno di quanto meritasse e questo non rende giustizia neppure alla cultura italiana, così vicina ed intrecciata con quella albanese. Di questo libro dobbiamo quindi essere grati all’autore che con il suo sforzo ha cercato di fare chiarezza e di proporre una prospettiva diversa sul Kanun e sulla cultura albanese. La passione, più del rigore dello specialista, la volontà di divulgare il valore storico di una cultura, piuttosto che i contenuti “giuridici” del codice consuetudinario albanese, ed infine la sensibilità del poeta, invece della disciplina del medico, hanno mosso Lutfi Alia – che svolge entrambe queste attività – a scrivere un saggio sul Kanun ed a riproporre al lettore un testo ormai dimenticato sulla famiglia albanese, di un altro albanese, Pandi M. Frasheri, trapiantato in Italia, anche se molti anni prima, addirittura prima che le frontiere albanesi si chiudessero al mondo intero: di questa passione dobbiamo rendergliene merito.

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Burrnesha e condottiera Shote GALICA

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INDICE. Parte I. Prefazione di Prof Franco BELLI …………..………………… Introduzione …………………..………………………………………

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Parte II. Le categorie etico - morali del codice consuetudinario albanese (Kanun di Lek Dukagini)………………………….. Il primo autore-legislatore Lek Dukagini ……………….. Il secondo legislatore del Kanun padre Shtjefën Costantino Gjeçovi……………………... Il Canone (Kanun) e il suo percorso storico ……………. Il Kanun ed il diritto romano ………………………………… Il Kanun ed il diritto bizantino ……………………………... Il Kanun nel medioevo pre-ottomano ……………………. Il Kanun ed il suo legislatore Lek Dukagini ……………. Il Kanun durante l’occupazione turca …………………….. Struttura del kanun …………………………………………….… Il Canone – Kanuni ed il Convegno – Kuvendi ………. Concetti base dell’ etica e della morale del Kanun….… L’ospite …………………………………………………................ L’onore ………………………………………………………………. Bessa ………………………………………………………………….. Burri - burrnia ………………………………………………….…. Burrenesha ………………………………………………………….

32 41 45 53 61 67 71 77 86 93 99 106 113 119 125

Parte III. Epilogo: Prof Fabio Berti...........................................

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