almcalabria n°3 e 4 2010

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www.almcalabria.org Associazione di volontariato culturale Via E. Rossi, 2 - Cessaniti - Vibo Valentia

solo

ISSN 2037-394X

1,00 € Periodico nonviolento di Storia, Arte, Cultura e Politica laica liberale calabrese

Te l a i , f u c i n e e f o l k l o r e g i u r i d i c o Mar z o - April e 2010 - Anno I V - n°3-4

La “pasta” che di tanta civiltà ha illuminato il mondo

All’interno ... Il lavoro:una questione secolare da collegare al sottosviluppo economico

QUESTIONE DI PADRI La tutela del territorio, le energie rinnovavili, se diffuse, rappresentano opportunità nuove di lavoro di Giuseppe M. Matina >> Pag 5

Gli Africani di Rosarno moderni figli della Gleba di Filippo Curtosi >> a Pag. 5

Un ricco patrimonio di cultura materiale ed immateriale che ha influenzato il processo di trasformazione sociale ed economico di questo nostro territorio di Filippo Curtosi a vera cultura”, sostiene lo scrittore Juan Manuel de Prada, è quella che nasce da ciò che i romantici tedeschi chiamavano Volkgeist, “lo spirito del popolo”; deve essere una emanazione naturale della gente, che canta, balla, racconta, dipinge, perché sente il bisogno di esprimere qualcosa che le appartiene nel profondo, qualcosa che è legato alla sua genealogia spirituale alla sua identità. Questa cultura, oggi come ieri, subisce però il sequestro da parte del potere; quest’ultimo si rende

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Il lavoro, la Calabria e l’emigrazione

POLITICA LIBERTARIA oppure LIBERALISMO SENSIBILE AI PROBLEMI SOCIALI di Mario Patrono >> a Pag. 8

Considerazioni demografiche

L’invecchiamento della popolazione sta anche modificando il mondo del lavoro

Anche a noi veniva proibito di entrare negli Stati Uniti con biglietto pagato da altri

La malattia di Alzheimer e le demenze rappresentano quindi una grande sfida per i Sistemi sociali e sanitari di tutti i Paesi

di Giovanna Canigiula

di Salvatore Colace

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Festa del lavoro, ma in realtà c’è poco da festeggiare

Il lavoro per cui, ancora oggi, si emigra, il lavoro per cui si stenta, il lavoro per cui si muore Sono trascorsi più di sessant'anni ma le condizioni dei lavoratori in Italia sono ancora precarie e insicure di Giuseppe Candido l Sud del l'Ita l ia , è stato ab b andonato da g l i ab itanti, p ar titi in c erca d i lavoro. Ma a ltri imm ig rati, anc ora p iù p overi, arrivano a l prenderne il p osto. Festa del 1° ma g g io, festa del lavoro e dei lavoratori. Stando p erò a l la crisi e conom ica che sta incre-

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mentando la d iso c cup a z ione e c onsiderando il numero dei mor ti (o ltre m il le a l l'anno) e de g l i incidenti su l lavoro che capitano nel nostro Paese c'è p o c o da feste g g iare. L e orig in i interna z iona l i del la Festa del 1° ma g g io risa l g ono a l settembre del 1882. > > P a g . 3

Emigrare e immigrare

La forbice tra il mondo dell’opulenza percepita e quello della scarsità reale tende ad allargarsi di Francesco Santopolo >> Pag. 7

Juan Manuel de Prada

I nostri concittadini ritornarono dall’emigrazione, disillusi dal sognato Eldorado

Il mercato assunto a feticcio ideologico

Crisi economica e fine del lavoro

conto che se riesce a trasformare queste effusioni naturali in un”artefatto”, ossia in un prodotto artificiosamente creato, può ottenere una ingegneria sociale. Allo stesso tempo si osserva una casta di intellettuali gregari; persone che si sono adeguate a una determinata interpretazione della realtà auspicata dal potere, che le sovvenziona e promuove, affinché impongono una determinata cultura,che non è autentica, perché non nasce da una espressione naturale del popolo.... >> Pag.2

Un vicino prossimo ritorno in Calabria

Il vivere nella lontananza e l'unità della comunità di Franco Vallone e due statue, policrome e inghirlandate di tutto punto, di San Basilio protettore di Magno, Cessaniti, e della Vergine Santissima della Lettera, venerata nella frazione Pannaconi, avanzano lentamente assieme, tra la gente, in una processione un poco più corta del solito. La marea di gente in movimento prosegue lenta, in un itinerario processionale, anche al di là dell'Oceano. Le due Cessaniti, quella calabrese e quella in Argentina, si guardano allo specchio con San Basilio e la Madonna della Lettera. Cessaniti e Pannaconi, portati sulle spalle, come ogni anno, come al solito, dalla stessa gente di Cessaniti sparsa nel mondo. I calabresi escono fuori dalle loro case, come formiche, si ritrovano e si riuniscono ancora una

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volta per le strade assolate di Buenos Aires. Dopo la messa portano fuori dalle chiese i loro santi, ricordano i passi del loro lontano paese per ringraziare, per fede o per abitudine, per rinnovare il rito e il senso più profondo dell'unità della loro comunità, nella consapevolezza di vivere in una lontananza obbligata, in una terra straniera oramai divenuta ritualmente familiare e quotidiana. Un rito per sentirsi, almeno per un attimo, a casa e per pensare, ancora una volta e con nostalgia, ad un vicino prossimo ritorno in Calabria. Il festante corteo avanza faticosamente tra le auto in sosta, tra la gente del mondo nuovo, con la nostalgia nel cuore nel ricordo dei parenti lontani, ...

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Tre emigrati calabresi a Buenos Aires


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A b o l i re l a m i s e r i a d e l l a C a l a b r i a www.almcalabria.org

Te l a i , f u c i n e e f o l k l o r e g i u r i d i c o La “pasta” che di tanta civiltà ha illuminato il mondo

Un ricco patrimonio di cultura materiale ed immateriale che ha influenzato il processo di trasformazione sociale ed economico di questo nostro territorio a vera cultura”, sostiene lo scrittore Juan Manuel de Prada, è quella che nasce da ciò che i romantici tedeschi chiamavano Volkgeist, “lo spirito del popolo”; deve essere una emanazione naturale della gente, che canta, balla, racconta, dipinge, perché sente il bisogno di esprimere qualcosa che le appartiene nel profondo, qualcosa che è legato alla sua genealogia spirituale alla sua identità. Questa cultura, oggi come ieri, subisce però il sequestro da parte del potere; quest’ultimo si rende conto che se riesce a trasformare queste effusioni naturali in un”artefatto”, ossia in un prodotto artificiosamente creato, può ottenere una ingegneria sociale. Allo stesso tempo si osserva una casta di intellettuali gregari; persone che si sono adeguate a una determinata interpretazione della realtà auspicata dal potere, che le sovvenziona e promuove, affinché impongono una determinata cultura,che non è autentica, perché non nasce da una espressione naturale del popolo. Inoltre, all’idea di popolo si è andato sostituendo il concetto nuovo di “cittadinanza”, una massa amorfa dove l’esperienza artistica non si produce più in modo naturale. La vera arte è comunitaria,per dirla con le parole di Manuel de Prada è come un seme che si getta e suscita il desiderio d’incorporarsi all’esperienza artistica e di comunicarla ad altri, di modo che ognuno, in un certo senso, diviene anche creatore. E’ una specie di contagio. La domanda che ci poniamo oggi è: come è possibile recuperare l’autentica cultura ed in particolare la cultura del lavoro? Solo riappropriandoci della nostra identità, di quella “pasta” che di tanta civiltà ha illuminato il mondo, potremmo evitare di “non eternare” come scriveva Vito Capialbi al suo amico Paolo Orsi, il cattivo nome, che di Noi corre per il mondo”. Occorre realizzare un lavoro di ricomposizione del tessuto sociale partendo dal basso, creare una specie di “controcultura” di fronte a questa “pseudocultura” stabilita dall’alto. Ma il popolo è bombardato quotidianamente dalla cultura artificiale che ci viene venduta. La Calabria possiede un ricco patrimonio di cultura materiale ed immateriale che ha influenzato il processo di trasformazione sociale ed economico di questo nostro territorio che resta ancora poco noto e documentato e che per questo necessita di un intervento di recupero e valorizzazione. Terra di Calabria, dove sono le giogaie che “traversano la penisola in tutta la sua lunghezza, stendendo le loro diramazioni verso spiagge fiorite, in fertili vallate,f ino ai lembi costieri,s u cui

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di Filippo Curtosi si inchinano àgavi ed ulivi bagnati dal cupo mare”. Dai monti al mare passando per le colline. Dai pini ed abeti, agli aceri, alle querce, castagni e poi più giù verso le valli coi vigneti, l’odore degli agrumi, delle zagare, ai fichi d’india, la liquirizia, i capperi. Dov’è il caolino di Parghelia, la lignite di Briatico, il

Folklore giuridico come raccolta degli usi e delle consuetudini Il “comprensorium haereditarium” della famiglia: Cu’ non d’ha casa o ortu, si po’ diri ch’eni mortu La podestà familiare ripartita fra il marito e la moglie: ‘A casa havi quattru cantuneri: Dui u maritu e dui ‘ mugghieri; Il rispetto ai genitori e le credenze popolari: Cu ‘no rispetta mamma e tata, Erramu vaci strata strata

ferro d i Mongiana, l’arte tessile, le sete e i damaschi di cui Catanzaro ebbe il primato della tessitura,” nobile nella materia come ci racconta Alfonso Frangipane e nella impronta artistica. Da Catanzaro, continua il fondatore della rivista”Brutium” si sparse l’amore dell’arte gentile, e sorsero i primi telai lignei, con le lignee macchine rudimentali e si formarono le specialissime maestranze di tessitori e tintori. Esempio fecondo Cosenza, Taverna, Monteleone, Reggio, ebbero tessitori di seta e di cascami. E’ vanto di Catanzaro l’avere preceduto altre città italiane nel lavoro serico; è storico il progresso delle pro-

L’età minore dei figli: Non diri ch’hai figghoili Si non hannu denti e moli Il corredo da preparare fin da quando la fanciulla è in fasce: Figghia ‘nfaccia, E dota ‘nacascia La fascia sociale a cui la donna appartiene: A figghia du massaru, Dui vòi e lu vòaru; A figghia d’ù garzuni A vesti e dui casciuni L’invulnerabilità della dote: A dota passa pi subba O focu e non si vruscia Il grado di parentela degli sposi e l’impedimento matrimoniale: In quattu La chiesa li spatta; l’”osculum interveniens” Donna vasata Donna spusata; La ripartizione ed il sorteggio delle quote successorie: U randi faci i parti Ed u picciottu pigghia. Gli altri nove concernono i nidi,gli sciami delle api e la selvaggina di pelo: Sciami,nido e pilu Undi u vidi pigliatilu;

Alfonso Satriani

duzioni catanzaresi, pregiate nei grandi centri dell’Italia centrale e settentrionale, fino a Lione, Parigi, Tours, dove pervenivano i nostri tessuti e tessitori. Si pregiavano ovunque i panni di seta, sciamiti, zendadi, anche a fili d’oro, ed i paramenti sacri, le coperte di velluto, i fazzoletti catanzaresi di organzino colorato, e le ABOLIRE LA MISERIA DELLA CALABRIA tinte, cremisi, verdi, gialle, turchine. A w w w. A L M C A L A B R I A . o r g Tropea la tessitura particolare di cotone periodico nonviolento di storia, arte, cultura e politica laica liberale calabrese e lana con carattere rustico ISSN: 2037-3945 (Testo stampato) 2037-3953 (Testo On Line) ----------------------------------------------------------------------------------- broccato,unica in Italia è ancora viva,le Direttore Responsabile: Filippo Curtosi coperte “ a pizzuluni” cioè a rilievo,faceDirettore Editoriale: Giuseppe Candido vano parte fino a pochi anni fa del correVice Direttori: Giovanna Canigiula, Franco Vallone ----------------------------------------------------------------------------------- do nuziale. Così a Longobucco, altro secolare e mirabile laboratorio tessile cui Editore: Associazione culturale di volontariato “NON MOLLARE” - Via Ernesto Rossi, 2 - Cessaniti (Vibo Valenza) tutto il paese collabora appassionataReg. Operatori Comunicazione (ROC) 19054 del 04.02.2010 mente. Non meno degne sono le Redazione, amministrazione e impaginazione ceramiche. Ecco le borracce, le cannate V ia Crotone, 24 – 88050 Crop an i (C Z ) ed i boccali di Seminara. Botteghe Tel/Fa x . 0961 1916348- c el l . 347 8253666 e.mail: almcalabria@gmail.com - internet: www.almcalabria.org importanti esistono a Gerace,S oriano, Stampa: BRU.MAR - V.le dei Normanni, 23/q - CATANZARO Bisignano. Tel.0961.728005 - cell. 320.0955809 ------------------------------------------------------------------------------------ Bisogna ricordare i fabbri di Serra San Registro Stampa Periodica Tribunale di Catanzaro N°1 del 9 gennaio 2007 ------------------------------------------------------------------------------------ Bruno per lavori di applicazione, insuPeriodico partecipativo: la collaborazione è libera a tutti ed è da perabili sono le balconate ricurve indoconsiderarsi totalmente gratuita e volontaria rate di flessuosi ed enormi tulipani. Gli articoli riflettono il pensiero degli autori che si assumono la responsabilità di fronte la legge Cosi come non va dimenticata l’arte Hanno collaborato a questo numero: lignea dei costruttori e decoratori di casGiuseppe Candido, Giovanna Canigiula, Salvatore Colace, Filippo Curtosi, Giuseppe soni nuziali, di collari, di conocchie, di Maria Matina, Francesco Santopolo, Franco Vallone bastoni e borracce, nonché quelle delle Progetto Grafico e impaginazione : Giuseppe Candido lucerne rudemente forgiate;gli artigiani Questo numero è stato chiuso il 22 Aprile 2010 alle ore 23,00 del giunco e della “janestra”.

La caccia ai volatili e la selvaggina grossa: Caccia di pilu, Si sparti a filu filu; Caccia di pinna, Cù ammazza s’à spinna; La costruzione arbitraria su suolo altrui: Cù frabbrica ‘nta terra strana, Perdi a carci, apetra e a rina; La tolleranza di raccogliere fichi e simili frutti: per “ sfamarsi” U ficu eni cuccu Cu’ u’mbatti s’u ‘mvuccu La disdetta dei fondi seminativi Quando è a Nunziata I rani pianu a licenziata; L’anno del garzone e i suoi diritti P’u bon’ annu, U garzuni chiumpi l’annu; E si scappa ‘nta annata Perdi a misata;

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Festa del lavoro, ma in realtà c’è poco da festeggiare Il lavoro per cui, ancora oggi, si emigra, il lavoro per cui si stenta, il lavoro per cui si muore

Sono trascorsi più di sessant'anni ma le condizioni dei lavoratori in Italia sono ancora precarie e insicure di Giuseppe Candido

l Sud dell'Italia, è stato abbandonato dagli abitanti, partiti in cerca di lavoro. Ma altri immigrati, ancora più poveri, arrivano al prenderne il posto.

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Festa del 1° maggio, festa del lavoro e dei lavoratori. Ma stando alla crisi economica che sta incrementando la disoccupazione e considerando il numero dei morti (oltre mille all'anno) e degli incidenti sul lavoro che capi-

tano nel nostro paese c'è poco da festeggiare. Le origini internazionali della Festa del 1° maggio risalgono al settembre del 1882. Due anni dopo il movimento sindacale dei “Cavalieri del Lavoro” approvò una risoluzione affinché quell'evento, quella manifestazione di rivendicazione venisse ripetuta a cadenza annuale. Le altre organizzazioni sindacali affiliate all'Internazionale dei lavoratori – vicine ai movimenti socialista e anarchico – suggerirono come data il primo maggio. Ma a far cadere definitivamente la scelta su questa data furono i gravi incidenti accaduti nei primi giorni del maggio del 1886 a Chicago e che ebbero il loro culmine il 4 di maggio quando la polizia sparò sui manifestanti. Il primo maggio del 1886 la “Federation trade and labor union” aveva proclamato i primi scioperi ad oltranza per chiedere di regolamentare contrattualmente l'orario di lavoro ad un massimo di otto ore. In Europa la prima celebrazione del primo maggio vi fu nel 1890 ad eccezione dell'Italia dove il governo presieduto da Francesco Crispi aveva ordinato ai prefetti di reprimere sul nascere qualsiasi manifestazione di piazza. La celebrazione del primo maggio in Italia si tenne l'anno successivo in un clima tutt'altro che tranquillo: due morti e molti feriti il bilancio. Non una festa, ma una manifestazione di rivendicazione di diritti, una lotta. Ecco cosa era allora la festa dei lavoratori. Durante il ventennio fascista le celebrazioni del primo maggio furono vietate da Mussolini che, nel '22 istituì la “festa del lavoro italiano” con cadenza il 21 aprile. Soltanto nel 1945, dopo la liberazione, il primo maggio ritornò festa del lavoro anche in Italia. Una festa che spesso fu però caratterizzata da scontri e morti. La pagina più sanguinosa si scrisse sicuramente il primo maggio del '47 a Portella della Ginestra, piccolo centro siciliano in provincia di Palermo, dove gli “uomini” del bandito Salvatore Giuliano spararono sulla folla non

appena si era cominciato a parlare dal palco. Una strage di lavoratori, di uomini e persone che oggi continua sotto altre forme: il mesotelioma provocato dall'amianto negli abitanti di Casale Monferrato, gli operai carbonizzati nella Tiessenkrup a Torino, o quelli morti cadendo da un'impalcatura. I fatti di Rosarno, in Calabria, mostrano uno scenario fatto di disoccupazione, di precarietà, di lavoro nero, di mancata sicurezza, quando

non di schiavitù. Da un diritto il lavoro si è trasformato in un favore. Il favore che ti fanno i politici, il favore che ti fa la criminalità organizzata, la 'ndrangheta. Un mondo, quello del lavoro, in cui è, più che mai, difficile entrare a

21 Aprile Festa del Lavoro italiano

Le celebrazioni del primo maggio erano state vietate da Mussolini

trascorsi più di sessant'anni ma le condizioni dei lavoratori in Italia sono ancora precarie e insicure. Il welfare universalistico in Italia è inesistente. In occasione del sessantesimo anniversario Vittorio De Seta, indiscusso maestro del film-documentario italiano, è stato designato a girare un cortometraggio proprio per quell'articolo 23: quattro minuti e mezzo per raccontare cosa è oggi “il Lavoro”. Nel titolo: “Pentedàttilo, a Sud dell'Italia, è stato abbandonato dagli abitanti, partiti in cerca di lavoro. Ma altri immigrati, ancora più poveri, arrivano al prenderne il posto”. Una storia che si ripete. Girato appunto a Pentedàttilo in Provincia di Reggio Calabria, il filmato, davvero splendido, è tra realtà, bellezza e racconto: assieme il lavoro, l'emigrazione. L'emigrazione di noi calabresi che, per trovare lavoro, andiamo al nord in parallelo con l'emigrazione di un ragazzo nero (l'attore è il protagonista di Lettere dal Sahara, Djibril Kebe) che, venuto dalla sua terra in Calabria, sostituirà il giovane calabrese che, per recarsi a lavorare dovrà trascurare l'assistenza della sua famiglia. L'emigrazione di noi calabresi e quella degli africani sono sorelle presentate nella loro drammatica bellezza, legate indissolubilmente dalle immagini che sono luce e sabbia negli occhi al tempo stesso. Le immagini del paese sono surreali e ti colpiscono subito come “sabbia negli occhi” e la realtà drammatica è offerta nella sua straordinaria bellezza. I fotogrammi sono subito pittura pura. Case vecchie, abbandonate e guglie di arenaria si integrano. Una donna nera con i capelli fittamente intrecciati di una bellezza straordinaria lava i panni, bada al fuoco, scopa un terrazzino. Mentre la madre italiana della famiglia calabrese prepara la valigia del figlio in partenza e prega. Il figlio (Tommaso Critelli l'interprete) che invece tra poco partirà per il nord Italia, tra i campi con il trattore spiega al giovane amico nero, che per De Seta rappresenta soltanto l'altra faccia dell'immigrazione, come fare i lavori: la pota, il trattore, le pecore. Tutto nella realtà più bella di quei posti, che con la loro bellezza trasudano drammaticità. Poi il viaggio in motocarro per andare alla stazione. L'extracomunitario nero sul cassone, madre e figlio nella cabina. Il figlio parte, la madre lo saluta. Regge fino a quando il treno parte, poi sviene e a sorreggerla c'è soltanto lui, l'extracomunitario che la soccorre e la sostiene. Le due speranze sono sorelle.

far parte, in cui la preparazione, le qualifiche, le capacità sembrano valere ben poco avendo più forza la raccomandazione; un sistema che non garantisce diritti, dominato dalla precarietà, che impedisce ai giovani di progettare il proprio futuro. Il lavoro è speranza, ma A B B O N AT I E S O S T I E N I sarebbe sicurezza, autonomia dalle Abolire la miseria della Calabria mafie e dalle criminalità che hanno sem- Non fruisce dei contributi statali all’editoria di cui alla Legge n°250 del 07/08/1990 pre un gioco facile quando manca il La pubblicaazione è possibile grazie al lavoro volontario dei nostri collaboratori, al lavoro. sostegno dei nostri abbonati ed al contributo degli sponsor che ci sostengono Il lavoro per cui, ancora oggi, si emigra, Abbonamento annuo (4 numeri minimo) il lavoro per cui si stenta, il lavoro per Ordinario:12,00 €; Promotore: 30,00 €; Sostenitori, enti e istituzioni: 50,00 € cui si muore. Cosa significa festeggiare, Da versare mediante bollettino postale commemorare il primo maggio? CC Postale 93431955 Speranza? Nel dicembre del '48 a Roma, o mediante bonifico bancario veniva siglata la Dichiarazione univerIBAN sale dei diritti dell'Uomo. Stando a quanto recita l'articolo 23 di quella I T 6 7 Y 0 7 6 0 1 0 4 4 0 0 0 0 0 0 9 3 4 3 1 9 5 5 Dichiarazione universale “ogni individIntestato a uo ha diritto al lavoro, alla libertà della Associazione di Vol ontariato Cultural e scelta dell'impiego, a giuste e soddisNON MOLLARE facenti condizioni di lavoro ed alla proVia Ernesto Rossi, 2 - 89816 Cessaniti (VV) tezione contro la disoccupazione”. Sono


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Considerazioni demografiche

L’invecchiamento della popolazione sta anche modificando il mondo del lavoro

La malattia di Alzheimer e le demenze rappresentano quindi una grande sfida per i Sistemi sociali e sanitari di tutti i Paesi di Salvatore Colace* a popolazione mondiale sta invecchiando in maniera abbastanza rapida: in Europa gli ultra sessantacinquenni rappresenteranno nel 2020 più del 25% della popolazione totale. In Italia la situazione è ancora più critica: gli ultrasessantenni sono già al livello del 34%. Questo netto cambiamento demografico- legato all’allungamento della vita e a una riduzione della natalità, rende urgente l’adozione di interventi che assicurano una vecchiaia attività e dignitosa agli anziani, evitando il rischio emarginazione e facendo in modo che essi continuano a restare integrati nella società. L’invecchiamento della popolazione sta anche modificando il mondo del lavoro: il rapporto fra persone attive e pensionati che oggi è a livello di 4:1 è destinato a diminuire drasticamente raggiungendo un rapporto 2:1 nel 2025. Il problema dell’invecchiamento della popolazione è ai primi posti nell’agenda dei Governi, dell’industria e del mondo economico tutto. Le barriere per gli anziani nella vita di tutti i giorni sono numerose. La fragilità fisica e/o mentale, le barriere presenti all’interno della propria abitazione, la mancanza di strutture idonee nei trasporti pubblici, le lacune e/o la ridotta accessibilità dei servizi di comunicazione e d’informazione e i bassi livelli di reddito sono fra le principali barriere. Le tecnologie informatiche e della comunicazione (ICT) possono fare molto; è una sfida enorme ma al contempo una notevole opportunità per le tecnologie ICT. Bisogna rispondere ai bisogni e alle aspettative degli anziani con progetti d’assistenza

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Sul blog richiamato nel titolo sono presenti “solo” i morti per infortuni sui luoghi di lavoro del 2008 2009 2010. Anche nell'anno 2009, con quasi il 60% delle vittime, sono gli agricoltori, gli edili del sud e gli stranieri a rappresentare la maggioranza dei caduti sul posto di lavoro. ROMA 3 aprile E' MORTO L'OPERAIO RIMASTO INTOSSICATO DALL'AMMONIACA NELLA CENTRALE ENEL- . L'operaio morto è uno dei quattro rimasti intossicati dall'ammoniaca all'interno della centrale Enel a carbone di "Torre Valdaliga Nord", e non nell'impianto Enelgreenpower del Gruppo Enel, come si era appreso in precedenza. L'incidente è avvenuto nell'area dell'impianto dove viene stoccata l'ammoniaca utilizzata per abbassare le emissioni del monossido di azoto che si sviluppo durante il processo produttivo. SALERNO 2 aprile E' MORTO UN OPERAIO DI 46 ANNI in un

mirati delle persone più anziane, malati e fragili in alcune specifiche aree. 1) Servizi per una vita indipendente. 2) Per promuovere una maggiore integrazione dell’anziano nella società. 3) Per una mobilità autonoma. 4) Per favorire il proseguimento della vita lavorativa . Oltre all’elevato numero di anziani ci sono tante patologie che condizionano anche gravemente la vita tra cui la demenza .

arrivare nel 2030 rispettivamente a 15 e 65 milioni ( Rapporto Mondiale Alzheimer, 2009 ). Oltre alla malattia di Alzheimer esistono diverse forme di demenza, caratterizzate da un progressivo declino della memoria e di altre funzioni cognitive, tale da interferire con le attività della vita. La maggior parte delle persone con demenza vive in famiglia; si determina quindi un forte carico psicologico, relazionale, economico ed anche pratico, per la necessità di sorvegliare e accompagnare il malato, di accudirlo e, nelle fasi avanzate, di sostituirlo nelle attività della vita quotidiana. La malattia di Alzheimer e le demenze rappresentano quindi una grande sfida per i Sistemi sociali e sanitari di tutti i Paesi. La curiosità del lettore non sarà fine a se stessa se potrà far meglio capire la vita delle persone affette da demenza e il carico di fatica delle loro famiglie. Se, infatti, contro la malattia di Alzheimer la medicina è ancora alla ricerca di una risposta mirata, la vita dell’ammalato e della sua famiglia richiede non solo la competenza e l’attenzione di chi è preposto alla cura, ma anche un’ampia e generosa solidarietà. La sofferenza del corpo e della mente è lenita dalle scoperte della medicina, ma anche da vicinanze significative; per questo Le forme di demenza, tra cui per il 60% motivo vorremmo che nessuno si sentisse l’Alzheimer, colpiscono in Italia circa 1 mil- solo quando nelle lunghe giornate e nelle ione di persone, con una prevalenza soprat- notti difficili offre con timore e tremore al tutto nelle persone in età avanzata. proprio caro l’assistenza amorosa che gli Oggi, secondo i dati comunicati da rende meno difficile il vivere. Alzheimer Europe, le persone affette da demenza in Europa sono quasi 10 milioni e * Presidente a sso cia z ione d i vo lontaria livello mondiale circa 35 milioni, per ato “L ?Altro Aiuto”

Caduti sul lavoro

cantiere nella località Perito sulla superstrada che collega Agropoli ad Omignano Scalo, in provincia di Salerno. Un edile, originario di Sessa Cilento, ha perso la vita, rimanendo schiacciato da un escavatore che si è ribaltato. BRESCIA 2 aprile E' MORTO UN EDILE SCHIA C C I AT O DA UNA BENNA IN U N CANTIERE Schiacciato da una benna in un cantiere edile. La vittima aveva 68 anni e risiedeva a Vobarno 31 Marzo BARLETTA E’ M O R T O FRANCESCO CAPUTO AGRICOLTORE DI 46 ANNI. Era alla guida di un trattore, Francesco è morto in un incidente stradale

avvenuto a Barletta all’incrocio tra la strada statale 93 che porta a Canosa di Puglia e l’asse attrezzato della statale 16 bis per Margherita di Savoia. VERONA E’ MORTO YOAN BACAOANU DI 31 ANNI . Il giovane romeno è morto in un incidente sul lavoro, a Mezzane di Sotto (Verona), nell’azienda agricola Massimago 1983. Rimasto schiacciato sotto il trattore che stava guidando e che, per cause in corso di accertamento, si è ribaltato. Milano E’ MORTO SALVAT O R E GRASSO. Salvatore si è spento dopo 4 giorni di agonia. 49enne residente da qualche tempo a Turate, è caduto da un mezzo in movimento giovedì mattina.

Taranto E’ MORTO CARMELO STANO. Carmelo è morto per essere stato colpito alla testa da un grosso masso mentre era alla guida di un escavatore. 31 marzo Verona E’ MORTO UN AGRICOLTORE in incidente mortale sul lavoro è avvenuto poco prima delle 9 a Mezzane di Sotto, in località Massimago. Schiacciato sotto il trattore che stava manovrando in un campo agricolo. PIACENZA 27 MARZO E' MORTO LUIGI BOTTI EDILE DI 48 ANNI. LUIGI ha perso la vita schiacciato da un componente metallico di una gru all'interno di un cantiere edile. 24 MARZO NOVARA E’ MORTO ANTONIO AINA AGRICOLTORE DI 67 ANNI. Antonio è morto dopo essere rovinosamente caduto dal tetto di una costruzione nel cortile di sua proprietà, in via XXV Aprile. Purtroppo l’elenco prosegue ... http://cadutisullavoro.blogspot.com/


Gli africani di Rosarno, moderni figli della gleba

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QUESTIONE DI PADRI

Il lavoro:una questione secolare da collegare al sottosviluppo economico

La tutela del territorio, le energie rinnovabili, se diffuse, rappresentano opportunità nuove di lavoro

di Filippo Curtosi

ichiamano alle labbra una voce in uso tra i Greci dell’età classica che significa seme e quando patteggiando col proprietario fa inserire nel contratto il suo diritto al “paraspolo”, fa ritornare al pensiero la parola dei suoi avi ellenici come pure li fa rivivere quando nella stagione propizia si reca con la zappetta nei campi seminati a “sporiare” come suol dire, il grano, il frumento. Non è vero quindi che la storia della parola “paresporium” o “parasporium” sia oscura se erroneamente si è creduto.La sua formazione ,più che all’epoca dei monaci basiliani deve risalire tempi remoti della Magna Grecia. E’ evidente,sostiene il profes sore di Nicotera che il contratto enumera soltanto gli obblighi ai quali si sottopongono i coloni calabresi. Questi si impegnano a corrispondere al convento una giornata di lavoro alla settimana, a titolo di ser vitù. (angaria) e tre volte all’anno, il paresporo di tre giorni insieme al giorno settimanale di angaria. Dei tre periodi o turni di paresporo uno è destinato ai lavori di mietitura, un altro a quello pel maggese e un altro poi alla semina dei campi. Come risulta evidente dall’esame letterale e comparativo del documento il paresporo è un tributo colonico comune nell’età media, alla quale perviene come ultimo avanzo di ser vitù personali, ultimo residuo delle miserevoli imposizioni fatte agli uomini della gleba. Nel territorio di Cassano all’Ionio il bifolco, il forese annaruolo, a quanto scrive il Lanza, prende ogni mese un tomolo di grano misura rasa,mezzo rotolo di sale,undici once d’olio ,un ottavo di tomolo di legumi, un barile di vino del peso di rotoli quaranta durante il tempo della semina autunnale e altrettanto nella trebbiatura delle messi. Più il paraspolo, consistente nel prodotto di tomolo quattro grano,di un tomolo di orzo e di uno stuppello di legumi seminato in comune nella masseria, su dei quali egli paga il terratico, la falciatura e le altre spese di coltivazione soltanto per metà. Così deve praticarsi anche nel medioevo. Per concludere, aggiungiamo noi col Corso, se la storia è la rappresentazione della vita di un momento, di un’epoca, d’un mondo sociale, non possono essere trascurate in essa le indagini che nella vita presente rivelano la persistenza delle idee e dei costumi del passato e in quella dei tempi scomparsi osser vano le forme vecchie o anche le forme originarie delle attuali condizioni sociali degli africani di Rosarno, novelli servi della gleba.

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n buon padre di famiglia è colui che, capace di osservare attentamente il presente, riesce a vedere dove esso si diriga, quali tempeste o bonacce si preparino e si dispone al peggio per affrontarle, costruendo fortificazioni e mettendo da parte il necessario.

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E se, invece o nello stesso tempo, intravede opportunità di crescita, si attrezza per non lasciarsele sfuggire, programma interventi correttivi della direzione di marcia in vista di un miglioramento possibile di condizione per sé e per coloro verso cui è responsabile. Non credo che la complessità – apparente o sostanziale che sia del nostro presente possa confondere a tal punto le idee da farci perdere di vista la bontà di questo principio fondato sul senso comune che quotidianamente ispira le sagge azioni umane: la previdenza. In relazione alla problematica del lavoro in Calabria, un’osservazione attenta ci parla di una questione secolare da collegare al sottosviluppo economico del meridione italiano in generale. Le ragioni storiche di questo sono già state ampiamente descritte dalla letteratura meridionalista, ma i tentativi di imprimere una svolta decisa e definitiva da parte dei governi che hanno inteso cimentarvisi, sono risultati vani. Cosicché il divario di partenza tra nord e sud del paese, pur avendo conosciuto periodi di maggiore o minore accentuazione, ha continuato a manifestarsi secondo un trend costante. L’attuale negativa congiuntura economica, rebus sic stantibus, ovviamente aggrava un quadro già di per sé precario, determinando sofferenze pericolose in un tessuto sociale già debole sotto il profilo della capacità di reazione motivazionale oltre che morale e civile. A mio avviso, in questo contesto, concentrare gli sforzi su provvedimenti puramente emergenziali, di tutela o di creazione di “astratti posti di lavoro”, rischia di risultare addirittura controproducente se

di Giuseppe Maria Matina non ci si chiede, innanzitutto, quali posti di lavoro salvaguardare o inventare. Perché la crescita sia strutturale e stabile, è necessario, infatti, fissare una rotta tenendo conto, da una parte, delle esigenze primarie e, dall’altra, delle nuove opportunità che si presentano. Per brevità di esposizione, faccio solo due esempi. Uno riguardo ad esigenze primarie ed uno relativo alle nuove opportunità. 1 - La tutela del territorio appare, oggi, alla luce del dissesto urbanistico ed idrogeologico che minaccia la sicurezza di larghe fasce di popolazione calabrese una priorità imprescindibile oltre che una necessità economica: investire in prevenzione piuttosto che essere costretti a dispendiosissimi interventi “curativi” che alla fine, per mancanza di risorse, si rivelano, al più, solo “lenitivi”. La rottamazione degli edifici che non rispettano le norme antisismiche, così come l’elaborazione di un piano di canalizzazione delle acque per impedire lo sbriciolamento franoso del terreno, sembrano, anche agli occhi di un profano, provvedimenti di buon senso che, oltre al pregio di essere economicamente vantaggiosi, hanno anche quello di richiedere un rilevante impiego di forza lavoro. 2 – Quello delle energie alternative è un settore di rilevanza strategica che avrebbe, anch’esso, una ricaduta positiva nella creazione di reddito. L’energia solare e quella eolica - in particolare, ma non solo -, naturalmente

disponibili, richiedono di essere trasformate a beneficio della comunità. L’attuale legislazione in materia consentirebbe il coinvolgimento di molti nell’attività di produzione, ma l’informazione a riguardo è del tutto insufficiente e la burocrazia connessa scoraggia pesantemente chi intenderebbe accostarsi a tale occupazione. Il risultato, per ora, è che soltanto chi ha a disposizione strumenti finanziari e organizzativi riesce a sfruttare questa opportunità. L’ostacolo potrebbe essere superato, in ambito regionale, diffondendo informazioni semplificate, mettendo a disposizione dei cittadini un servizio di disbrigo delle pratiche necessarie, costituendo un fondo di prestito agevolato. Molti piccoli proprietari, in questo modo, anziché accontentarsi di affittare i loro terreni ad imprenditori – magari spagnoli, tedeschi o padani - a prezzi irrisori, potrebbero avviare un’ attività produttiva in proprio. Un buon padre di famiglia - ovvio - deve prioritariamente voler essere tale, non essere distratto da propositi differenti rispetto a quelli assegnati al suo ruolo, che non è tanto quello di perdurare in una posizione di dominio o di proclamare guerre per sconfiggere i “clan” ritenuti nemici, quanto quello di contribuire, secondo le sue capacità, alla costruzione di un futuro migliore per sé e per gli altri. Nel contesto in cui ci troviamo, possiamo dare ciò per scontato? Purtroppo, non mi sembra.

Questo numero di Abolire la miseria della Calabria è stato stampato grazie al contributo e all’auto tassazione delle Associazioni di Radicali Calabresi:

Abolire la miseria

Resistenza nonviolenta e


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Il lavoro, la Calabria e l’emigrazione

I nostri concittadini ritornarono dall’emigrazione, disillusi dal sognato Eldorado Anche a noi veniva proibito di entrare negli Stati Uniti con biglietto pagato da altri

di Giovanna Canigiula a prima pagina dell’Avvenire Vibonese del 18 marzo 1893 è interamente dedicata al fenomeno dell’emigrazione, in preoccupante ripresa dopo un breve rallentamento della corsa. La grave crisi agraria di fine secolo, infatti, colpisce la Calabria e, in particolare, il settore agricolo. Si calcola che, tra il 1870 e il 1915, abbia lasciato la regione un terzo della sua popolazione e che il picco sia stato raggiunto nel ventennio tra il 1892 e il 1911, quando se ne andarono 714.731 calabresi. Gli Stati Uniti rappresentavano il luogo con maggiori opportunità occupazionali tanto che, ad un certo momento, inter vennero politiche restrittive per limitare l’ingresso di nuovi migranti. All’indomani dell’Unità d’Italia, l’estensione nelle regioni annesse della legislazione e del sistema fiscale piemontesi, attraverso le cinque leggi Bastogi, provocarono i primi problemi. Aggravio fiscale, unificazione commerciale, libero scambio, tradimento del problema demaniale, vendita dei beni ecclesiastici, aumento del costo della vita ma non dei salari, ruppero gli equilibri su cui poggiava la struttura feudale borbonica, tagliarono le gambe alla piccola industria, determinarono la crisi del settore granario, favorirono i potenti gruppi agrari a svantaggio del resto della popolazione. Una serie di calamità naturali, cui si aggiunsero la malattia del baco e la conseguente chiusura delle filande che garantivano lavoro stagionale alle donne, fecero il resto. Pizzo è la spiaggia dell’imbarco che conduce a Genova, dal cui porto centinaia di migliaia di poveri partono per l’incantato Eldorado delle speranze. La situazione appare peggiorata : se, fino a un decennio prima, lasciavano la loro terra solo gli uomini validi attratti dall’illusione di facili guadagni e con la speranza di un viaggio più o meno lontano dal quale si tornava, ormai attraversano l’Atlantico intere famiglie, dietro al peso di insopportabili miserie. L’emigrante del passato era ricordato attorno al focolare, una sua lettera o un vaglia ne testimoniavano il pensiero per i cari. L’esodo di fine Ottocento è più drammatico perché chi parte non torna e rescinde definitivamente il legame con la propria terra. Il motivo, si legge, non è che uno solo: l’impossibilità di vivere, sia pure di stenti, in patria. Non c’è possibilità d’illudersi: si emigra non per la lusinga di speranze rosee e lontane, non per l’attrazione che l’ignoto esercita sulle menti inculte, non per migliorare le proprie condizioni; si emigra invece per trovare un nuovo posto, nel quale la vita sia possibile. Il posto già occupato in patria non è più sostenibile. Non solo i poveri o gli artigiani sono fuori di posto, ma è la nostra società intiera spostata, i ricchi come i poveri stanno a disagio, vanno in cerca di un nuovo assetto, nel quale l’onesto lavoro sia possibile, e la vita resa più facile e meno colma di triboli e spine. Il ricco, o colui che può aspettare ancora, spera di trovare il nuovo posto in patria, chi non può aspettare sotto lo stimolo della fame parte, scappa, non guarda il pericolo futuro, pur di sottrarsi a quello permanente, incessante, continuo che lo minaccia. E’ un dato allarmante: ricco è colui che può permettersi il lusso di aspettare ancora. Intere famiglie vendono tutto, raccolgono gli ultimi risparmi, se ne vanno senza rammarico, anzi, col sollievo di non lasciarsi nulla alle spalle e di sottrarsi alle persecuzioni fiscali, all’incubo della liquidazione economica, alla miseria. L’immagine dell’emigrante è quella di un uomo che parte col coraggio che anima i disperati alla ricerca di pace. Le rivoluzioni politiche quotidiane, la febbre gialla, il vomi-

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to nero, gli orrori sotto tutte le forme, della vita vissuta sotto i tropici, ai quali va incontro, non lo sgomentano. Il settimanale tiene una piccola rubrica sull’emigrazione: il 24 marzo 1892, ad esempio, riporta una disposizione del Ministero che proibisce ogni operazione di emigrazione diretta al Venezuela per le cattive condizioni sanitarie di quelle contrade, invase da mortali epidemie. Il piroscafo “Colombo” proveniente dal Brasile, ebbe a soffrire molti decessi durante la traversata, ed ora sconta la quarantena prescritta al lazzaretto dell’Asinara. A bordo dello stesso trovansi varii nostri concittadini di ritorno dall’emigrazione, disillusi dal sognato Eldorado. C’è chi torna e chi parte lo stesso e si sorride a chi cerca di trattenere, non si maledice nessuno, si è senza indignazione, calmi e rassegnati a crearsi una nuova patria perché, nella propria, la miseria è passata sulla testa di tutti e quelli che son creduti ricchi, in realtà sono pezzenti mascherati, che non possono dare lavoro agli altri perché anch’essi mancano del necessario, ed hanno oneri maggiori da sopportare. Il Governo non impedisce la corrente dell’emigrazione ma dirama circolari che danno conto del modo in cui si vive all’estero e invita alla prudenza : del 1891 è la Circolare ministeriale a firma di Ramognini, che raccomanda agli italiani che vogliano recarsi in Venezuela di accettare solo lavori lungo la linea Caracas- Valenza, una delle più sane. In quest’area, oltretutto, gli operai impiegati dalla ditta tedesca che ha in appalto i lavori di costruzione di una nuova ferrovia godono di sufficiente assistenza medica, per la quale hanno una ritenuta del 2% sui salari e però si suggerisce loro, essendo il vitto piuttosto caro, di non accettare contratti che non assicurino una mercede non inferiore a nove o dieci lire al giorno. Il 4 luglio del 1892, è pubblicata la circolare con cui il Prefetto Carlotti mette in guardia da eventuali truffe in Perù: molti possessori di buoni del debito esterno peruviano si sono riuniti in Società sotto il titolo “Peruvian Corporation” ed avendo ottenuto da quel Governo, in garenzia del loro credito, una certa estensione di terreno, hanno pensato di introdurvi famiglie italiane per affidarne loro la coltivazione. A questo scopo qualche Agente avrebbe già aperte trattative con la suddetta Società. Si vorrebbe con ciò tentare, a rischio e pericolo degli emigranti italiani, l’attuazione di quel progetto per ora solo vagamente ideato e che non presenta sicure garanzie di buona riuscita. Da qui il divieto ministeriale ad Agenti e Subagenti di compiere operazioni d’emigrazione per il Perù, fino a nuove disposizioni. Gli immigrati italiani, infatti, vivevano ammassati negli slums delle metropoli statunitensi e lavoravano in condizioni disumane nei cantieri per le metropolitane sotterranee e per le ferrovie. Nel Sudamerica erano impiegati nei lavori agricoli, con paghe da fame e orari di lavoro massacranti. Leggendo questi pochi documenti si avverte l’incapacità del Governo di fronteggiare il fenomeno attraverso interventi che rimuovano le cause dell’emigrazione. La legge Crispi del 1888 e quella del 1901 che assegna allo Stato, attraverso il Commissario Generale dell’Emigrazione, il compito di tutelare e inter venire a favore degli emigranti prima della partenza, durante il viaggio e dopo, denunciano chiaramente il fatto che l’agire politico sia indirizzato non tanto a ostacolare il flusso migratorio, quanto a prendersi parzialmente cura, dopo averle ignorate o sottovalutate, delle condizioni di chi lasciava il paese. Secondo la redazione del settimanale è giusto che il Governo non impedisca l’emigrazione, bisogna però che si conoscano le difficoltà alle quali gli emigranti vanno incontro, partendo senza notizie sicure

dei luoghi ai quali sono diretti. Viene così riportato per esteso l’invito che Piero Lucca, per il Ministro, rivolge alle Prefetture affinché pubblicizzino la legge del 26 febbraio 1891 per evitare delusioni, viaggi inutili e dispendiosi, e dolorose peripezie: essa stabilisce che non è permesso l’ingresso nel territorio dell’Unione agli stranieri idioti, pazzi, infermi, poveri che possano cadere a carico della pubblica beneficenza, affetti da malattie nauseanti o pericolose per motivi di contagio, condannati per reati infamanti, o trasgressioni che implicano turpitudine morale, ai poligami e ai lavoratori arruolati per contratto sia esso scritto, verbale o sottinteso, o che abbiano ricevuto danaro da altri come caparra di lavoro. E’ parimenti proibito entrare negli Stati Uniti con biglietto pagato da altri o assistiti da altri per l’espatrio nonché assistere o incoraggiare la importazione o immigrazione di stranieri a mezzo di avvisi, stampati o pubblicati all’estero. Nessuna compagnia o proprietario di navi può favorire l’immigrazione, a meno che non si accerti l’esistenza di ordinaria corrispondenza commerciale, pena una multa di mille dollari o un anno di reclusione o entrambi. E’compito del comandante denunciare, all’arrivo nei porti americani e prima dello sbarco, nome, nazionalità, ultima residenza e destinazione di ogni straniero agli ufficiali ispettori che, saliti a bordo, devono passare in rassegna tutti gli immigrati e possono consentirne uno sbarco provvisorio per sottoporli a visita in tempo e luogo designati, e trattenerli fino a ispezione ultimata. Un’ulteriore multa di 300 dollari è prevista per capitani, agenti, consegnatari o proprietari di navi che si rifiutino di pagare le spese di mantenimento per tutto il tempo che gli immigrati restano a terra e quello successivo per il ritorno a bordo. Nonostante i rischi, le compagnie di navigazione, in questi anni, si fanno concorrenza, riducono i prezzi del transito, accordano facilitazioni, cercano di accaparrarsi il favore delle agenzie di emigrazione: la miseria fa fare buoni affari. Il paesaggio del sud, invece, tradisce gli abbandoni: lo esodo continua, e le nostre campagne diventano deserte: la vigna non si coltiva, le ulive non si raccolgono, e lo aratro non feconda più i nostri terreni. Come nei territori privi di popolazione il pascolo si estende, le mandrie si moltiplicano […] Solo qualche anno prima, nel 1885, l’Avvenire Vibonese aveva seguito con attenzione gli sviluppi della discussione sulla crisi agraria in Parlamento, giudicandoli poco soddisfacenti dal momento che l’agitazione che serpeggiava nel Paese si mantiene tuttora sostenuta da un penoso disequilibrio fra la gravezza dell’imposta e la povertà della rendita. Aveva quindi proposto ad agricoltori e proprietari fondiari di aderire al Comitato Centrale della Lega di Difesa Agraria costituitosi a Torino, per poterne a loro volta costituire uno locale. Fuori dai limiti dell’appartenenza politicoideologica ad un partito, aveva invitato a sostenere l’unico rimedio temporaneo possibile: l’aumento del dazio sull’importazione dei cereali. E riportato le parole di un illustre membro del Senato: “Le libertà economiche del 1848 furono una reazione contro il dispotismo politico, oggi la vostra Lega Agraria insorge contro il dispotismo dottrinario. Plaudo alle Provincie antiche, ieri iniziatrici dell’indipendenza politica, oggi iniziatrici dell’indipendenza economica”. Peggiorato lo scenario, non rimane, negli anni Novanta, che tenere informati sull’andamento del flusso migratorio e cercare di cautelare chi emigra attraverso una campagna d’informazione sui rischi cui si va incontro. E battagliare, per chi resta, affinché l’istruzione diventi una priorità.


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Crisi economica e fine del lavoro

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Il mercato assunto a feticcio ideologico

La forbice tra il mondo dell’opulenza percepita e quello della scarsità reale tende ad allargarsi di Francesco Santopolo ebbene la civiltà umana si sia strutturata attorno al concetto di lavoro e il lavoro rappresenti una componente essenziale dei processi economici, il mercato, assunto a feticcio ideologico, lo sta escludendo dal processo e oggi si contano oltre 200 milioni di disoccupati e un tasso di esclusione vicino al 7%. La cosa incredibile è che, senza arrossire, “gli economisti ortodossi ci assicurano che l’aumento del tasso di disoccupazione rappresenta un <<aggiustamento>> di breve termine alle potenti forze create dal mercato che stanno spingendo l’economia mondiale verso la Terza rivoluzione industriale” (Rifkin, 2000). La possibilità che, in un raro momento di lucidità, gli economisti capiscano che caduta dei salari significa caduta della domanda e crollo del mercato, è una cosa che non potrà mai accadere, visto che anche dopo il 1929 sono stati lasciati indisturbati a confezionare bufale. Vediamo di avviare un ragionamento. Nell’esaminare i redditi e le loro fonti, Marx scriveva “Capitale-profitto (guadagno d’imprenditore più interesse), terra-rendita fondiaria, lavoro- salario, questa è la formula trinitaria che abbraccia tutti i misteri del processo di produzione sociale” (Marx, 1965). Più avanti la formula si riduce a “Capitale-interesse, terra-rendita fondiaria, lavoro- salario” in quanto “l’interesse […] appare come il prodotto proprio, caratteristico del capitale” per estensione la comprendiamo genericamente nell’interesse, cioè, il compenso spettante al capitale terra. Ai fini del ragionamento che vogliamo avviare, questo ci consente, una forzatura concettuale che riduce la formula trinitaria alla formula binaria capitale/salario, in cui per capitale si intendono i mezzi di produzione (capitale fisso e capitale circolante) e per salario il reddito da lavoro. L’analisi del binomio capitale- lavoro, e la loro relazione col fattore demografico, ci consentono di ricostruire le origini e i caratteri della crisi economica che stiamo attraversando ma anche di affermare che, per la peculiarità con cui si esprime il processo di produzione sociale, crescita economica e crisi non sono categorie antitetiche ma tra loro correlate e strettamente funzionali. In sostanza- e non è un paradosso- le crisi dell’economia traggono origine dalla sua crescita. Partiamo dalla popolazione e dal suo trend di crescita. Per raggiungere gli attuali 6,9 miliardi di abitanti, la storia demografica del mondo ha dovuto superare alcune fratture. Secondo la teoria della catastrofe di Toba, una prima frattura si sarebbe verificata nel 70.000 a. C., e avrebbe decimato la popolazione, fino a ridurla a poche migliaia di individui. Dopo questo evento, la popolazione si attestò attorno a 1 milione di individui, si mantenne stabile fino al 10,000 a. C. e solo dopo la scoperta dell’agricoltura prese a crescere in maniera esponenziale, raggiungendo i 200 milioni nel primo anno dell’era cristiana e continuando la sua crescita fino alla Peste di Giustiniano (VI secolo d. C.) che si stima abbia fatto registrare 25 milioni di morti. Sia pure interrotta, di tanto in tanto, da qualche epidemia (una ogni 20 anni tra il 1348 e il 1487), la crescita è stata costante e ha raggiunto un picco del 2,2% nel 1963, con la frattura della pandemia della Morte Nera (XVI secolo), che colpì tutto il mondo allora conosciuto e si presume abbia ridotto la popolazione umana da 450 a 350-375 milioni. Siamo partiti dall’elemento demografico perché non è indifferente, rispetto al nostro ragionamento. In sostanza, considerando il processo produttivo concluso con l’equazione capitale/salario/capitale, se a nuovi investimenti corrisponde una maggiore offerta di beni e ser vizi, alla crescita dei salari, correlata alla crescita demografica che crea nuovi soggetti e nuovi bisogni, corrisponde una crescita della domanda. Qui però si incontrano due problemi. Il primo afferisce alla differenza del tasso di crescita dell’offerta e della domanda, il secondo alla distribuzione della ricchezza. Esaminando il primo punto e considerando un profitto lordo costante del 100% e un capitale costante pari a 100, il saggio medio di profitto sarà del 50% . Supponiamo, ancora, che il capitale costante raddoppi e il profitto lordo rimanga sempre il 100%, il saggio medio di profitto scenderà al 33%. Impegnando un capitale fisso quadruplicato, a parità di profitto lordo (100%), il saggio medio

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di profitto scenderà al 20%. Questo perché “la progressiva tendenza alla dimunizione del saggio generale del profitto è […] solo un’espressione peculiare al modo di produzione capitalistico” “La caduta del saggio del profitto non deriva da una diminuzione assoluta, ma soltanto da una diminuzione relativa dell’elemento variabile del capitale complessivo, dalla diminuzione di esso in confronto all’elemento costante “ (Marx, l. c.). Detto in altri termini, alla crescita di investimenti che producono beni e servizi (offerta) non corrisponde una pari crescita di salari (domanda). Tendenza confermata dai numeri, come rileva un rapporto dell’International Labour Organization (ILO) in cui si afferma che la produttività mondiale è aumentata del 26% ma il numero delle persone occupate è aumentato solo del 16,6%. Questa difformità di crescita ha portato a oltre 200 milioni di disoccupati e, secondo i dati resi pubblici dalla FAO, il 19 giugno 2009 nel sud del mondo si contavano 1 miliardo e 20 milioni di affamati, un sesto della popolazione che- si fa per dire- vive sul pianeta. E, ancora, rispetto al 2008, nei primi sei mesi del 2009 gli affamati sono aumentati di 100 milioni per effetto della crisi globale e dell’intreccio perverso tra recessione e disoccupazione. Se la prima ha portato ad un aumento dei prezzi dei beni alimentari, per cui con gli stessi soldi si comprano meno alimenti, la seconda ha ridotto drasticamente le rimesse degli immigrati che hanno perso il posto di lavoro e le loro famiglie hanno meno soldi da spendere. Sempre secondo la FAO, gli affamati “sono 642 milioni in Asia e nel Pacifico, 265 milioni nell’Africa subsahariana, 53 milioni in America Latina e nei Caraibi, 42 milioni nel Vicino Oriente e nell’Africa del nord. E sono 15 milioni quelli che non hanno cibo sufficiente in paesi come il nostro” (Nigrizia, 7-8/09). Nel momento in cui la forbice tra il mondo dell’opulenza percepita e quello della scarsità reale tende ad allargarsi, il “sistema cibo” diventa una problema reale, sia per chi ne ha troppo, sia per chi non ne ha abbastanza: i primi non vendono, i secondi non comprano. È cresciuta la produttività ma l’Ilo ha rilevato che i lavoratori poveri del mondo, quelli che, pur avendo un lavoro, vivono con meno di 2 dollari americani al giorno, sono 1,37 miliardi. Quanto alla seconda questione, cioè alla distribuzione della ricchezza, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUD), ha rievato che il 20% della popolazione mondiale più ricca dispone dell’83% della ricchezza, il 20% della popolazione più povera dispone dell’1,4% e al restante 60% della popolazione rimane il 15,6% (Madera, 1999). Negli Stati Uniti, per esempio, l’1% della popolazione possiede il 40% della ricchezza, il 20% un altro 40% mentre il restante 79% di popolazione deve accontentarsi del 20% (Madera, l. c.). In queste condizioni, il liberalismo “a tutti i costi” che privilegia l’offerta (impresa e mercato), senza considerare l’occupazione (domanda), rappresenta uno degli aspetti più affascinanti e perversi delle discipline economiche, soprattutto per la banalità con cui si esprimono risultati e congetture, ammantandole di costruzioni complesse, talvolta, al limite della paranoia. D’altronde se l’allora segretario del Pds Massimo D’Alema, ha potuto dichiarare “Io sono un liberale” (Bevilacqua, 2008) e mantenersi serio, è possibile pensare che i liberali di casa nostra si siano sentiti gratificati da questa, sia pure non autorevole, new entry. Né possiamo meravigliarci se Richard Sobov, assistente al CIO della Lincoln, esprimendo un’idea condivisa da tutto il mondo delle imprese, ha dichiarato “Tendiamo a privilegiare l’investimento, prima di assumere nuovo personale” (Rifkin, l. c.), ignorando che questa scellerata proposizione aveva antecedenti teorici in David Ricardo che, nel 1819, aveva affermato che in economia la quantità di occupazione è irrilevante perché non influisce sulle rendite e sui profitti che originano nuovi investimenti. Posizioni lecite, certo, ma solo per chi è convinto che il cervello sia solo un ingombro anatomico. Che il messaggio di Ricardo, lungi dall’assumere un carattere messianico, dovesse rivelarsi un’autentica bufala, è stato ampiamente dimostrato da tutte le crisi economiche che hanno attraversato il capitalismo, compresa quella che stiamo vivendo. Restando ancora nel limbo dei classici, nel 1798

Thomas Malthus aveva previsto che, entro la metà del XIX secolo, la crescita della popolazione sarebbe stata eccedente ripetto alla disponibilità di cibo, Le previsione malthusiana non si è avverata nei termini in cui era stata enunciata ma si è espressa, con connotazioni più perverse, nel paradosso che, ad una disponibiltà alimentare pari a 1,5 volte il fabbisogno dell’intera popolazione mondiale (Smith, 2004), corrispondono 1,1 miliardi di affamati. Davvero l’occupazione è ininfluente rispetto al mercato ? Davvero abbiamo bisogno degli OGM per vincere la fame nel mondo o non è vero che gli OGM, al pari di altre tecnologie, lasceranno per strada altri milioni di uomini senza lavoro? Non è il caso di cominciare a pensare a nuove forme di occupazione, prendendo atto che alcuni processi, come la sostituzione del lavoro umano con le macchine, sono irreversibili? Pensare ad un’agricoltura non petrolio - dipendente, per esempio. Pensare di utilizzare la competenza dei geologi per limitare frane, erosioni e perdita di suolo per desertificazione, senza accontentarsi di intervistarne qualcuno dopo un evento, salvo, poi, a contiunare sulla strada percorsa perché quell’evento si verificasse. La domanda è: esiste una vita “oltre il mercato”? Negli ultimi anni, all’esterno della dicotomia governo- mercato, si è aperta una terza possibilità, definita la “terza forza basata sulle comunità locali” (Rifkin, l. c.). In questo settore, “altrimenti noto come indipendente o volontario, l’accordo fiduciario cede il passo ai legami comunitari, e la cessione volontaria del proprio tempo prende il posto delle relazioni di mercato imposte artificialmente e fondate sulla vendita di se stessi e dei propri servizi”, e proprio perché escluso dalla logica del profitto, attraverso la riduzione dei salari, il terzo settore “è scivolato ai margini della vita pubblica, costretto all’angolo dal dominio sempre più forte delle sfere del mercato e dello Stato” (Rifkin, l. c,). Questo settore occupa già una buona parte della vita sociale e il volontariato spazia dall’istruzione alla ricerca, dall’assistenza sanitaria ai servizi sociali, dalle arti alle religioni, dall’assistenza ai diversamente abili al disagio giovanile, dai malati di AIDS ai malati terminli. In futuro, disoccupazione e minore impiego di lavoro, forniranno sempre maggiori quote di tempo libero improduttivo, per sé stessi e per i processi di accumulazione. A noi spetta valutare come farlo rientrare nel processo e invertire la logica dell’espulsione. Dal punto di vista della produzione di ricchezza “uno studio condotto dall’economista Gabriel Rudney, di Yale, nei primi anni ottanta è giunto a stimare che la spesa delle organizzazioni di volontariato americane fosse più elevata del prodotto interno lordo di tutti i Paesi del mondo, con la sola eccezione di quelli appartenenti al Gruppo dei Sette” (Rifkin, l. c.). Si tratta di prendere atto che, da una parte, la logica del profitto tenderà ad utilizzare sempre meno lavoro e, dall’altra, il volontariato può fare cose che il settore pubblico e quello privato non faranno mai. I sociologi francesi lo hanno definito “economia sociale” e Thierry Jeanter ha scritto che questa “non è misurata allo stesso modo in cui si misura il capitalismo […] ma il suo prodotto integra i risultati sociali con i guadagni economici indiretti” (Thierry Jeanter, 1986). Si tratta, in altri termini, di stipulare un nuovo contratto sociale fornendo la giusta risposta a quanto osser vava nel 1819 Simonde de Sismondi, in risposta alle allucinazioni di Ricardo: “La ricchezza è davvero tutto e gli esseri umani assolutamente niente? Bibliografia Bevilacqua, P. (2008), Miseria dello sviluppo, Bari, Laterza. Madera, R . (1999), L’animale visionario, Milano, Il Saggiatore. Marx, K. (1965), Il Capitale, Libo III, cap. XLVIII), Roma, Editori Riuniti. Rifkin, J, (1995), La fine del lavoro, Milano, Baldini & Castoldi. Simonde de Sismondi, J. C. I. (1819), Nouveaux principes d’économie politique. Sta in Rifkin, l. c. Smth, J., M. (2004), L’inganno a tavola, Ozzano dell’Emilia, Nuovi Mondi Media. Thierry, J. (1986), La Modernisation de la France par l’economie sociale, Parigi, Economica. Sta in Rifkin, l. c.


Emigrare e immgrazione

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POLITICA LIBERTARIA O LIBERALISMO SENSIBILE AI PROBLEMI SOCIALI di Mario Patrono*

isogna guardarsi alla specchio e fare una scelta chiara: se assumere, nel campo della politica una posizione libertaria o di un liberalismo sensibile ai problemi sociali come avevamo fatto scegliendo la Rosa nel Pugno”

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efficienza, è un qualcosa di fondamentale. Vi sono poi altre cose che si possono fare o non fare, che si possono fare in un modo o in un altro modo, a seconda dell’opzione di fondo cui si faccia riferimento. Qui sta la riflessione da compiere. Bisogna guardarsi alla specchio e fare una scelta chiara: se assumere, nel campo della politica una posizione libertaria o di un liberalismo sensibile ai problemi sociali come avevamo fatto scegliendo la Rosa nel Pugno. Una scelta chiara cioè tra liberismo, per cui l’economia non si tocca e per cui, cioè, il potere pubblico l’economia la deve proteggere ma non vi deve intervenire e liberalismo laburista che, pur muovendo da un’idea di mercato e dalla sostanziale possibilità delle libertà economiche, ne vede anche i limiti quando il mercato non risolve i problemi o addirittura li crea. L’intervento pubblico può manifestarsi essenzialmente nel riformulare le regole. Dopo gli scritti illuminati di Crus, è ormai chiaro che l’intervento pubblico si fa anche, semplicemente, riformulando le regole in modo che esse consentano alla socialità del mercato. C’è bisogno, in altre parole, di una scelta di fondo. De resto, i Radicali ante litteram dei primi del ‘900 erano, se vogliamo, laburisti e non liberisti: Nathan fu il creatore delle case popolari. La socialità del mercato, se si volesse davvero fare la scelta di candidarsi alla guida della sinistra intera, trascinerebbe con se la necessità di allargare il campo delle tematiche alla riforma del welfare, del sistema creditizio e alla fiscalità di vantaggio, alla programmazione della ricerca scientifica di base, al governo dei conti pubblici in presenza di un controllo di gestione che sia sostenuto da strutture di base davvero indipendenti dal potere politico. Un controllo, è chiaro, che non potrà non avere serie ricadute sulla carriera dei funzionari destinati a maneggiare il denaro pubblico. Si tratta, come si vede, di scelte e riflessioni complesse. Si tratta, però, anche di scelte e riflessioni non eludibili. * Testo tratto dall’Intervento di Mario

I Radicali sono oggi a un bivio: “Un’alternativa è che i Radicali continuano ad essere un partito che agli occhi di molti si presenta ancora come un partito specializzato. Un partito che porta avanti battaglie decisive su casi limite di libertà calpestate le quali, però, sono battaglie avvertite da minoranze sensibili ma che non appaiono, spesso, battaglie di massa. Naturalmente questa immagine dei Radicali, presso l’opinione pubblica, tradisce la realtà di un partito che, battendosi in favore della legalità per migliorare le condizioni del vivere insieme nel nostro Paese, su base di libertà individuali e responsabilità personali e che vuole rigenerare una democrazia affetta dal cancro della degenerazione partitocratica, è un partito che porta avanti le tematiche più varie che tutte riguardano, quantomeno in astratto, la generalità dei cittadini. L’impegno per una riforma radicale delle istituzioni, va per l’appunto in questa stessa direzione. Se però. Il partito Radicale, pur conservando le sue preziose sensibilità, vuole diventare un partito che si candida davvero alla guida del Paese, un partito che davvero è capace di fornire un leader alla sinistra complessiva, allora il partito Radicale deve fare nuove riflessioni. Naturalmente vi sono dei compiti minimi dello Stato, dei poteri pubblici, della Repubblica, che sono, quantomeno in teoria, universalmente condivise. Svolgere bene questi compiti nella Patrono al comitato nazionale di legalità, nella pulizia, con la dovuta Radicali Italiani del 18 aprile 2010

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...degli amici e dei conoscenti, delle strade di casa o di chi ormai non c'è più. I cessanitoti si stringono l'uno con l'altro per stare assieme almeno un giorno, ancora un giorno, nel ricordo della loro festa. Una strada, quella che si attraversa, fatta di migliaia e migliaia di chilometri di mare. Un viaggio che anche Italiano Domenico di Favelloni si fece nel lontano 1910 su un bastimento sgangherato. Le partenze avvenivano abitualmente da Napoli, o da Genova e poi si affrontava l'infinito Atlantico fino a Buenos Aires. Di questi lunghi viaggi Domenico Italiano ne fece tanti, alcuni sono anche testimoniati dai suoi biglietti d'imbarco. Uno di questi interminabili viaggi lo fece nel 1928 col vapore, di bandiera italiana, "Augustus". Il biglietto di viaggio testimonia il camminare per il mondo di Domingo. Da Favelloni a Napoli e poi scalo a Genova prima di prendere il largo nell'oceano. Il giorno della partenza da Napoli è il 6 luglio. La cabina, che gli tocca e gli consegnano, è la numero 686, il letto B, il biglietto è lo 00100. Domenico Italiano ha trent'anni ed è uno dei tantissimi giovani calabresi in cerca di lavoro, di fortuna e di una nuova vita al di là dell'Oceano. Oggi riusciamo a conoscere anche il menu della cucina del bastimento e sapere cosa Domenico Italiano ha potuto mangiare in quei giorni di viaggio. Il menù di bordo, giorno per giorno, prevedeva tra l'altro pasta all'acciuga, baccalà in umido con patate, pasta e ceci al lardo con patate, carne al ragù con cipolle cotte... Con il suo biglietto di terza classe economica, un pezzo di carta, piegato in due, di colore rosso, il signor Italiano affrontò il primo mistero di quello che veniva definito altro mondo tanto era lontano e sconosciuto, il secondo, quello definitivo e infinito, lo avrebbe affrontato molti anni più tardi, nella sua Favelloni Piemonte, dopo il ritorno dalla 'Merica. Domenico Italiano partì per l'Argentina con il suo baule dell'emigrante ritrovato anni dopo da Padre Maffeo Pretto, scalabriniano calabroveneto in missione nel Sud Italia proprio per studiare il fenomeno delle migrazioni. Quel baule è oggi un simbolo prezioso e famoso delle “Stanze della luna” di Vibo Valentia, guardato con gli occhi incantati da migliaia di visitatori provenienti da tutto il mondo, sguardi colmi di retorico e del nostalgico nel Museo dell'Emigrazione Italiana nel Complesso del Vittoriano, a Roma. Ieri quel baule è servito come utile contenitore delle povere cose di Domingo. Un corredo per il corpo e per l'anima, una coperta, maglie e mutandoni di lana, un coltello per il pane, un rasoio e un pennello da barba, documenti e fotografie della famiglia lasciata al paese, lettere sgrammaticate mai inviate e mai arrivate e tanti ricordi infiniti. Ed oggi ancora una bella e inattesa sorpresa: dopo l'uscita di alcuni volumi sull'emigrazione calabrese ("Il Baule dell'Emigrante, il bagaglio della memoria"; "I Calabresi che scoprirono la 'Merica"; "ItaliAmerica, il viaggio sul mare grande come il cielo") in cui più volte si parla di Italiano Domenico di Favelloni di Cessaniti, a Milano la regista Fiorella Cicardi gira un video per uno spettacolo teatrale dal titolo "Bastimenti" che racconta proprio di

Domingo Italiano, di Argentina, di emigrazione, di sogni, speranze e disperazione, di terre lontane, di nostalgia… Cataldo Perri autore dell'opera si ritrova il signor Italiano sulle tavole di palcoscenico dello spettacolo in Italia e in Argentina. In fondo il destino di questo antico uomo di Favelloni è, da sempre, proprio il viaggio, il camminare per portare la sua testimonianza di uomo, di lavoro e di fatica, di fede, di calabrese nel mondo. Una delle immaginette religiose, raffigurante San Filippo d'Agira, contenuta nel baule di Italiano Domenico, riporta proprio una scritta in corsivo, ingiallita e sbiadita dal tempo: "Cognato Carissimo Con piacere ti mando la figura del nostro gra (nde) Santo protettore, con la speranza che il nostro S. protettore ti voglia guardare da tutti i pericoli e il buon idio voglia che ti guariscie dei dolore che tieni !… un paternoster e un gloria patre. Non ti scordare di noi. Pronta risposta tuo Bruno. Si è fatta una bona festa". Sulle belle cartoline pubblicitarie le agenzie di navigazione mostravano bellissime navi e promettevano comodi viaggi su veloci e moderne imbarcazioni che poi, in realtà, si dimostravano solo sgangherati vaporetti. Partivano emigranti e bastimenti, da porti vicini e lontani, da Pizzo Calabro, Messina, ma principalmente da Palermo, Napoli e Genova. Partivano con la speranza di attraversare l'Oceano in tempi brevi, invece non bastavano trenta giorni di navigazione. Gli emigranti dovevano affrontare "quel mare grande quanto il cielo, un mare così grande che sembrava non finire mai", trenta o quaranta giorni di mare e cielo per arrivare a New York, la famosa Ellis Island, la loro Novayorca o a Bruccolino o a Bonosairi o a Muntivideo… New York, Brooklyn, Buenos Aires, Montevideo tanti nomi strani per l'emigrante che partiva per la 'Merica senza conoscere la nuova lingua, con la sola speranza di un futuro migliore. I bastimenti partivano con il loro carico d'umanità stipato su ponti e stive e si portavano appresso sacchi strapieni, bauli, topi e valigie, stracci e ogni genere di cose. Gli emigranti partivano con la speranza che solo la 'Merica poteva offrire, tutti assieme, alla ricerca di una nuova vita. Molti di loro trovavano lavoro e soldi per vivere dignitosamente, altri solo lontananza e un infinito senso di nostalgia. Lasciavano affetti, le case e le cose, si portavano dietro, racchiuso nel portafogli, il loro scrigno della memoria, le foto dei parenti più cari, le immaginette sacre dei propri santi. San Francesco di Paola per il lungo viaggio sul mare, Santa Lucia per gli occhi, Santi Cosma e Damiano a protezione della salute. Tanti santi diversi per arrivare bene e ricominciare, sotto la loro protezione, la nuova vita al di là dell'Oceano. Nel nuovo continente ricostruivano la nuova immagine fatta, molte volte con l'illusione di una vita diversa, da anelli di giallo oro americano, scarpe nere lucide e scricchiolanti, portafogli di pelle di coccodrillo, un'auto e un vestito nuovo per fare le foto da spedire ai parenti rimasti al paese. Molte volte vestito, accessori e automobili erano solo noleggiati per il tempo necessario per fare le foto e poter dire, almeno attraverso l'immagine spedita "ecco come stiamo bene, qui in America".


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