Informazione istruzioni per l'uso

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prima parte

i limiti dell'informazione in Italia L'interesse dell'editore Il potere della pubblicitĂ Fuori pagina: guerre, ambiente, mafie e povertĂ

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l'indipendenza dei media non è più una virtù Giornali, radio, tv: una storia dipendente La storia dell'informazione nel nostro Paese è stata sempre caratterizzata da conflitti di interesse e da interferenze pesanti che l'hanno resa poco credibile e funzionale a fini diversi dalla volontà di fornire ai cittadini un'informazione corretta e indipendente, tramite aziende sane ed autonome. Giornali e televisioni, in particolare, sono stati nella maggior parte dei casi (e restano tuttora) sotto il controllo diretto o indiretto di poteri politici ed economico-finanziari. A ciò si aggiunge oggi il crescente peso della pubblicità, principale fonte di guadagno per le aziende editoriali. Radio e televisione sono nate come un monopolio pubblico (attraverso la Rai), scalfito solo negli anni 70 grazie ad accese battaglie giudiziarie e al ruolo fondamentale della Corte Costituzionale. La televisione venne “liberalizzata” con un processo particolare e inizialmente solo su base locale: prima (1974) quella via cavo, successivamente (1976) anche via etere. Negli anni il monopolio pubblico nazionale è stato spartito fra Rai e Fininvest (poi Mediaset) grazie a un progressivo “allargamento” da base locale a nazionale delle tv di Silvio Berlusconi, con la nota storia fatta di colpi di mano e provvedimenti di regolarizzazione. Diversa è invece la vicenda della crescita delle radio private: nel 1974 ai tempi della sentenza della Corte Costituzionale che consentì, previa autorizzazione 6


statale, “l'installazione e l'esercizio di impianti di diffusione radiofonica e televisiva via etere di portata non eccedente l'ambito locale”, esistevano già 400 emittenti attive, note come radio “pirata”, poi radio “libere”. Grazie anche all'assenza di leggi al riguardo, il numero di queste radio aumentò fino a 2.800 nel 1978. Sfidavano il monopolio pubblico, fornendo, spesso con rudimentali, ma efficaci, apparecchiature, musica indipendente e ribelle, notiziari, idee politiche, rifacendosi anche alla “controinformazione” che si era affermata dalla fine degli anni 60 parallelamente ai movimenti di protesta che cambiarono il volto del nostro Paese. Nel corso degli anni 80 le radio “libere” lasciarono il posto alle radio private. Aumentò la “professionalità” dei conduttori radiofonici, si ingrandirono gli studi, la radio divenne un fenomeno commerciale al pari della televisione grazie, anche in questo caso, all'enorme vettore pubblicitario. Nel 1988, con la legge di riforma del servizio radiotelevisivo pubblico, le emittenti Rai (che nel frattempo erano diventate tre) cominciarono a puntare sulla qualità e sull'intrattenimento “leggero”, non potendo più competere in termini di ascolto con le private, le quali a loro volta avviarono un processo di concentrazione in “network”. Fino alla metà degli anni 90, dopo un periodo di forte calo degli ascolti, si parlava di "tramonto della radio", sconfitta dalla televisione. Dalla fine degli anni Novanta, però, c'è stata un'inversione di tendenza, grazie anche alla diffusione del web come strumento di accesso e fruizione diretta del mezzo da parte del pubblico. Storia più annosa è quella che riguarda la carta stampata. Alla fine degli anni 70 il giornalista Giampaolo Pansa scrisse un libro divenuto famoso, Comprati e venduti (Bompiani), in cui denunciava la facilità con la quale gli editori italiani acquistavano e cedevano i giornali in maniera funzionale ai propri affari non sempre trasparenti. Informare non era lo scopo principale dei giornali, salvo alcune rare eccezioni, e le aziende editoriali quasi mai erano in grado di fare utili o rimanere in pareggio. Ci 7


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