Coltivare la città

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Indice Introduzione

Uno sguardo oltre la globalizzazione

p. 5

Prima parte Coltivare la città

p. 9

di Andrea Calori

Dal produttore al consumatore

p. 10

L'esperienza italiana

p. 18

Da cittadini a co-produttori

p. 25

Lo scambio diretto e le sue forme

p. 29

Mercato globale e sovranità alimentare

p. 35

Che cosa vuol dire locale

p. 40

La qualità come costruzione sociale

p. 44

Seconda parte

Corti circuiti

p. 49 a cura di Andrea Calori, Francesca Federici e Daphne Sanvito Francia - Amap "Les Olivades" Tra l'autostrada e i centri commerciali

p. 50

Gran Bretagna - Food Milton Keynes L'arte di costruire una città e la sua campagna

p. 58

Gran Bretagna - Parish Food Plans La produzione del paesaggio inglese

p. 66


Germania - Unser Land La nostra terra, il nostro pane

p. 74

L'agricoltore del futuro Intervista a Denise e Daniel Vuillon

p. 81

Senegal - Thiès Piccole rivoluzioni: biologico per tutti!

p. 85

Tanzania - First Mile Internet a dorso di mulo

p. 91

Venezuela - Las Ferias de Consumo Familiar de Barquisimeto Dal microcredito per i funerali ai mercati locali

p. 98

Una nuova resistenza Intervista ad Antonio Onorati

p. 105

California - North Coast Coop Trent'anni di utopie concrete

p. 113

New York - Just Food Fame a New York

p. 120

Giappone - Teikei Il cibo con la faccia del contadino

p. 127

Un'onda di innovazione sociale Intervista a Ezio Manzini

p. 136

Il RĂŠseau International Urgenci: una rete urbano-rurale per costruire nuove forme di scambio tra cittadini

p. 147

Chi sono gli autori

p. 149


Introduzione

Uno sguardo oltre la globalizzazione

C

he cosa accomuna un immigrato del Bronx nell’anno del crollo di Wall Street, una donna di un sobborgo di Osaka negli anni 50, una contadina senegalese dei nostri giorni, un panettiere della ricca Monaco di Baviera e un guidatore di autobus venezuelano licenziato negli anni 80? Apparentemente nulla. In realtà ciascuna di queste persone è protagonista di storie legate al cibo che hanno alcune caratteristiche ricorrenti. Ognuna di queste persone appartiene a gruppi e comunità che, in modo più o meno formalizzato, sono organizzate per vendere o acquistare prodotti alimentari che vengono consumati vicino ai luoghi di produzione. Le loro storie sono molto diverse per contesto, durata, dimensione e modalità di azione, ma tutte nascono da persone che mettono alla base dello scambio economico la relazione diretta tra le persone e la fiducia che questa relazione crea. La forma più semplice di questo tipo di relazioni è la vendita diretta, cioè quello scambio in cui il produttore agricolo vende i propri prodotti direttamente al consumatore senza alcun tipo di passaggio commerciale intermedio. Questa forma elementare di relazione crea uno spazio in cui gli elementi di valore legati al cibo -il gusto, l’origine, le qualità nutritive ma Introduzione    5


anche lo stesso prezzo- possono essere definiti e gestiti in modo più immediato dalle due parti in gioco. In realtà, però, le forme di relazione diretta possono essere molto diverse e più complesse, soprattutto quando il semplice rapporto tra un singolo produttore e un singolo consumatore si instaura all’interno di relazioni che si sviluppano tra gruppi, cooperative, associazioni, consorzi e ogni altra forma di legame sociale formale e informale. Lo scambio diretto di prodotti alimentari che avviene all’interno di reti sociali assume, allora, le forme dei mercati locali, dei gruppi di consumatori organizzati, delle reti di negozi gestiti dai produttori e dai consumatori, e da altre forme più sofisticate di organizzazione collettiva. Ognuna delle storie raccontate in questo libro si intreccia con altre forme di socialità e con altre attività, che vanno dai servizi gestiti su base locale, alle logistiche innovative, alla cura per i luoghi di socializzazione, alla gestione del paesaggio, al riuso di aree dismesse, a forme di welfare comunitario, a rapporti diversi tra le città e le campagne, a politiche di creazione di occupazione e, talvolta, perfino alla ridefinizione dei compiti delle istituzioni locali. L’utilizzo di reti informatiche autogestite nei villaggi più remoti degli altopiani della Tanzania e l’insegnamento di tecniche di coltivazione e di cucina di base di cibi freschi per gli orti urbani nel cuore di New York sono due estremi che danno l’idea di come queste storie mescolino il recupero di tradizioni con l’uso delle tecnologie di informazione più avanzate quando non, addirittura, l’impiego di un design innovativo per strumenti e servizi futuribili. Questo libro non intende fare una raccolta di microstorie quanto, piuttosto, cogliere dalle esperienze alcuni elementi di riflessione che toccano da vicino molti punti critici di questa epoca di tramonto della globalizzazione: il rapporto tra luoghi e nazioni, tra società locali e regole generali, tra stili di vita e cultura diffusa, tra sistemi produttivi e patrimoni naturali e sociali. L’idea è di fornire spunti interessanti per provare a guardare oltre la globalizzazione da un punto di vista particolare: lo scambio di cibo locale territorializzato. 6

COLTIVARE LA CITTÀ


La globalizzazione è, prima di tutto, un racconto in cui la trama è data dall’idea che possa esistere una one best solution, cioè una soluzione “unica e migliore”, con regole e modelli che possano e debbano funzionare in tutto il mondo. L’intreccio in cui si dipana questa trama è dato dai passaggi che, uno dopo l’altro, tendono a uniformare le produzioni agricole di tutto il mondo, le regole del commercio, di uso delle sementi, di modi di coltivare e di consumare con una crescente indifferenza rispetto alle specificità di ciascun luogo. La scelta di partire da storie ambientate in contesti diversi di tutto il mondo è dovuta alla necessità di affiancare a questo racconto della globalizzazione anche altri racconti, che riguardano forme di economia e di società che funzionano nonostante la globalizzazione. Per mostrare che non c’è una one best solution bisogna raccontare altre storie, ciascuna delle quali non è necessariamente una best practice, un caso di eccellenza ma, di certo, una buona soluzione che in un dato luogo è stata trovata per risolvere alcuni problemi che potremmo a tutti gli effetti definire “di sviluppo”. L’intento, quindi, non è quello di proporre immediatamente la generalizzazione di una particolare esperienza locale, che per sua natura è storicamente e geograficamente determinata. Ciò che preme, soprattutto, è mostrare che in ogni angolo del mondo esistono delle esperienze che declinano in modo efficace e pertinente i temi della centralità delle relazioni sociali sulla strumentalità dei rapporti economici. O, ancora, osservare in che modo la cura dei luoghi possa essere un’attività incorporata nel lavoro che viene fatto per produrre cibo e, dunque, riconosciuta come un valore aggiunto specifico del cibo e non solo remunerata come attività accessoria. Nessuna delle storie che raccontiamo parla di un’economia assistita: ognuna di queste vicende si è sviluppata intorno a meccanismi che sono in grado di autosostenersi e, talvolta, sono perfino capaci di migliorare le condizioni di vita in molti di quei contesti di marginalità che sono stati creati o fortemente accelerati prima dalla modernità e poi dalla globalizzazione. Pensiamo, ad esempio, alle povertà urbane di Introduzione    7


una metropoli come New York, al degrado ambientale delle campagne inglesi influenzate dalla vicinanza delle grandi città o all’insicurezza occupazionale della popolazione venezuelana a fronte dell’assenza dello Stato nella fornitura dei servizi di base. Alcuni degli attori principali del racconto della globalizzazione sono le commodities: un termine che indica tutte quelle materie prime o quei beni che possono essere commerciati ovunque nello stesso modo perchè si tratta di beni “standard”, sempre uguali, senza specificità, o particolari valori aggiunti locali che ne possano limitare la commercializzazione sui mercati internazionali. Tra le principali commodities ci sono anche i beni alimentari di base, come il grano e il riso che, in una prospettiva globalizzata, per avere valore -cioè per essere commerciabili all’interno del mercato globale- devono essere “standard” e senza particolari specificità altrimenti, appunto, non hanno valore. Le storie da cui parte questo libro mostrano una realtà completamente ribaltata, ma altrettanto diffusa e consolidata in tutto il mondo: forse tracce di una possibile globalizzazione dal basso che va osservata prima che giudicata. Storie che possiamo chiamare di relazioni solidali ma che, forse è meglio definire storie di creatività e di imprenditorialità, di “progetto di futuro”. La cosa più importante non è valutare la dimensione di ciascuna di esse; neppure nei casi in cui le persone che vengono attivamente e stabilmente coinvolte sono migliaia, come nel caso di Monaco di Baviera o milioni, come nel contesto giapponese. Nelle condizioni attuali è più importante cogliere e interpretare la capacità che ciascuna di loro ha di trattare i problemi strutturali del nostra epoca fornendo delle risposte pratiche. La loro estensione, adattamento e generalizzazione è un compito diverso e ulteriore, di carattere progettuale, che non si può chiedere ad ogni contadino di un sobborgo inglese o al consumatore di Marsiglia, ma che richiede una successiva osservazione, interpretazione ed elaborazione tecnica. 8

COLTIVARE LA CITTÀ


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