Torri Costiere e masserie fortificate in Salento.

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea Triennale in Scienze Umane dell’Ambiente, del Territorio e del Paesaggio Curriculum Paesaggi Geografici e Culture del Mondo

TORRI COSTIERE E MASSERIE FORTIFICATE NEL SALENTO

Elaborato finale di: Andrea MARIANI Matr. n. 662416

Relatore: Chiar.mo Prof. Antonio VIOLANTE

Anno Accademico 2006-2007


Dedicata a Fabrizio Fiore

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INDICE INTRODUZIONE……………………………………………………………………..... 4 CAPITOLO I ASPETTI GENERALI DELLA PENISOLA SALENTINA 1.1. La storia geologica………………………………………………………………….... 7 1.2. Le subregioni salentine: caratteristiche morfologiche, demografiche e linguistiche... 8 1.3. Il Salento Murgiano………………………………………………………………….. 9 1.4. Il Tavoliere Salentino……………………………………………………................... 11 1.5. Il Salento delle Serre……………………………………………………………….... 15 CAPITOLO II TORRI COSTIERE e MASSERIE FORTIFICATE: ASPETTI STORICI E TIPOLOGICI 2.1. Ragioni storiche dell’edificazione delle torri costiere……………………………….. 19 2.2. Le tipologie di torri costiere…………………………………………………............. 22 2.3. Ragioni storiche dell’edificazione delle masserie fortificate………............................30 2.4. Le tipologie di masserie fortificate............................................................................... 32 CAPITOLO III TORRI COSTIERE E MASSERIE FORTIFICATE NEL TERRITORIO 3.1. Il ruolo delle torri costiere e delle masserie fortificate nella trama insediativa del Salento……..……………………………………………………………………………... 36 3.2. Funzione e significato delle torri costiere e delle masserie fortificate nella società attuale……………………………………………………………………………...............47 CAPITOLO IV ANALISI DEL CASO: TORRE LAPILLO 4.1. La Torre e il percorso della sua ristrutturazione…………………………………....... 52 4.2. L’Area Marina Protetta di Porto Cesareo ed il Centro di Educazione Ambientale………………………………………………………………………………...56 4.3. La funzione pratico-simbolica della torre: da torre di difesa dai turchi, a torre per la difesa dell’ambiente ……………………………………………........................................ 63

CONCLUSIONE……………………………………………………………………........66 BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………....... 68 SITOGRAFIA…………………………………………………………………………… 70 RINGRAZIAMENTI…………………………………………………………………… 71

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INTRODUZIONE La mia ricerca si propone di analizzare due tipologie di manufatti architettonici presenti in Salento, le torri costiere e le masserie fortificate. Esse sono segni nettamente visibili all’interno del territorio, che non passano inosservati agli occhi di un visitatore attento; le prime contraddistinguono in modo rilevante il paesaggio costiero, mentre le seconde connotano fortemente l’entroterra, dotando quindi di una identità sia i litorali sia le terre in cui sono collocate. Obbiettivo del mio lavoro è quello di verificare il ruolo da loro svolto all’interno della trama insediativa salentina e di comprendere in quali modalità hanno influenzato l’organizzazione del territorio. Esse, infatti, ponendosi come nodi fondamentali nello spazio, hanno contribuito a plasmare l’assetto territoriale in quelle forme individuabili ancora oggigiorno. Pertanto, ho focalizzato l’attenzione sul fatto che le torri e le masserie fortificate, se interpretate quali componenti di una rete complessa, assumono un valore aggiunto e si configurano come l’espressione concreta di differenti progetti politici che, dal secolo XI in poi, hanno legato indissolubilmente il reticolo insediativo a quello difensivo e produttivo. In questo modo tali edifici, concepiti appositamente come punti di riferimento per la sicurezza ed il sostentamento, sono diventati per molti secoli degli elementi vitali per la sopravvivenza dei centri abitati. La metodologia seguita mi ha portato a valutare innanzitutto l’organizzazione territoriale oggi presente in Salento. Un’analisi della morfologia salentina e dell’influenza da essa esercitata sul costituirsi di differenti tipologie insediative è stata essenziale per pervenire ad un inquadramento più preciso dell’intera area geografica. Costruita una conoscenza di base del contesto di studio, per prima cosa ho ritenuto opportuno approfondire le motivazioni storiche che hanno portato all’edificazione delle torri costiere e delle masserie fortificate; ciò mi ha condotto ad analizzare i diversi provvedimenti politici, decretati dalla dominazione normanna in poi, che hanno maggiormente concorso alla genesi di tali manufatti. Ne è seguita una suddivisione tipologica, che ha fornito delle chiavi di lettura propedeutiche alla comprensione delle differenze architettoniche in esse presenti. Tuttavia, ho messo in evidenza l’impossibilità di racchiudere tali strutture entro rigidi schematismi e questo per l’enorme ricchezza storica e culturale condensata in essi.

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La suddetta analisi è risultata necessaria per giungere ad un’interpretazione più precisa del fenomeno delle torri costiere e delle masserie fortificate, portandomi a considerarle non solo come elementi individuali, ma soprattutto quali parti fondamentali di reticoli complessi. Ed è per tale ragione che mi sono concentrato sul rapporto instauratosi tra la rete delle torri, delle masserie fortificate e quella degli insediamenti. Ne è emerso un profondo legame tra di esse, motivato dalla necessità di tutelare sia l’incolumità dei cittadini salentini, sia i numerosi beni prodotti dai poli agricoli. E’ in questi termini che tali strutture si sono qualificate come nodi vitali all’interno del territorio, diventando per l’intera popolazione dei punti di riferimento indispensabili per la sicurezza ed il sostentamento; allo stesso tempo configurandosi come spazi fortemente vissuti, esse hanno assunto per l’intera collettività una spiccata connotazione simbolica. Questo ultimo punto ha innescato una riflessione sul significato di tali organismi nel passato e mi ha condotto a considerare quanto il loro abbandono e la conseguente decadenza, avvenute durante il Novecento a seguito di mutate condizioni economiche e sociali, abbia contribuito ad un indebolimento del rapporto tra di esse e la popolazione e quindi ad uno svilimento della loro semanticità. Tuttavia non ho trascurato che negli ultimi decenni vi è stata un’inversione di questa tendenza, la quale ha segnato un nuovo destino per queste tipologie di strutture, reinvestite in molte circostanze di ruoli primari all’interno del territorio. A sostegno di queste considerazioni, ho ritenuto opportuno riportare l’analisi di un caso concreto, quello della restaurazione di Torre Lapillo, presso Porto Cesareo (Le). L’edificio, riqualificato ed adibito a Centro di Educazione Ambientale, ha riacquistato una precisa funzione ed è tornata ad essere un luogo fruibile all’interno dello contesto geografico, facendosi garante della sicurezza dell’ambiente e della salute dei suoi cittadini. Ai fini della mia ricerca, lo studio di alcuni testi critici riguardanti le torri costiere e le masserie ha fornito in parte le linee guida necessarie allo sviluppo della tematica da me analizzata. Allo stesso tempo ho rilevato in codeste fonti, che il rapporto tra i reticoli delle torri, delle masserie e dei centri abitati, benché sia segnalato come un argomento di notevole importanza, non venga trattato in modo esaustivo. Per questo, si sono dimostrati molto utili anche testi di carattere storico, i quali attraverso l’analisi di questioni militari, agrarie e politiche sono risultati indirettamente funzionali alla mia indagine, fornendo interpretazioni diverse che hanno condotto ad una visione globale del fenomeno.

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Il lavoro svolto ha offerto notevoli spunti verso i quali ho indirizzato la mia attenzione; tuttavia ritengo che alcune questioni, se ulteriormente approfondite, potrebbero fornire delle informazioni più dettagliate riguardo alla tematica da me affrontata. In particolare un’indagine più accurata delle relazioni economiche e delle tipologie di scambi commerciali instauratesi tra le strutture produttive ed i nuclei abitati, metterebbe in risalto il forte legame di interdipendenza costruitosi durante i secoli. Inoltre una ricerca finalizzata a comprendere secondo quali modalità la popolazione salentina sia giunta a considerare le torri costiere e le masserie fortificate come elementi simbolici, svelerebbe la centralità assunta all’interno del territorio da tali manufatti, contribuendo a definire l’influenza da loro esercitata nella costruzione della trama insediativa salentina.

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CAPITOLO I ASPETTI GENERALI DELLA PENISOLA SALENTINA 1.1. La Storia geologica. Il Salento ha una storia geologica1 che può definirsi come recente, poiché ha assunto le sue caratteristiche attuali soltanto nell’era geologica in cui viviamo, il quaternario. Costituita inizialmente da un mantello arenaceo e sabbio-argilloso, la regione sollevandosi secondo fasi di varia intensità venne progressivamente colpita da agenti esogeni tra cui le acque correnti. Queste trasportarono le sabbie e le argille del quaternario nelle zone di minor altitudine e all’interno del mare; così facendo vennero accumulandosi, in particolare sui tratti costieri, delle serie di dune sabbiose, che impedirono il corretto scorrere delle acque superficiali. Tale fenomeno provocò l’impaludamento delle coste e la diffusione della malaria, con delle ripercussioni di notevole portata sulla salubrità di tali aree. Gli agenti fisici, operando con intensità costante, spazzarono via la copertura di queste terre e riportarono in luce le zolle del periodo terziario e del cretaceo. Le prime erano costituite da terreni eocenici, ossia argille e da terreni miocenici, i quali costituivano invece una sorta di sabbione argilloso-calcareo2. Le seconde erano composte da rocce calcaree3, le quali formano tuttora l’impalcatura sottostante del Salento e dell’intera regione Puglia. Per comprendere la ragione per cui la morfologia di questo territorio si presenta con gli attuali lineamenti bisogna riallacciarsi nuovamente all’azione delle acque superficiali. Esse avendo spogliato la superficie della regione dai materiali sabbiosi, non trovarono più alcun ostacolo al loro scorrere e facilmente riuscirono a penetrare nel sottosuolo attraverso le molte fratture della crosta terrestre. Questo fu all’origine di una abbondante idrografia sotterranea, la quale comportò delle conseguenze di notevole interesse. Infatti, si determinarono in superficie delle profonde cavità4, attraverso le quali le acque penetravano 1

C. Colamonico, Aspetti geologici e geografici del Salento, in Studi Salentini, Pajano, Galatina, 1956, vol. I, cit., pp.11-13 e D. Novembre, Puglia: popolazione e territorio, Milella, Lecce, 1979, cit., pp.13-19. 2 Molto diffuso nel Salento, è noto con il nome di pietra leccese, cosi come è spiegato molto bene nel volume di C. Colamonico, La geografia della Puglia, profilo monografico regionale, Cressati, Bari, 1923, cit., p.12. 3 Ivi, cit., p.13. Chiamate come pietra viva, erano molto usate in ambito edile anche per la realizzazione delle torri costiere. 4 Il complesso di tali fenomeni prende il nome di carsismo e comporta in superficie la creazioni di profonde gole note con il nome di doline, dette anche in questi territori “vore” e “grave”.

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nel sottosuolo dove, scorrendo con impetuosità, diedero vita ad un numero abbondante di grotte. Allo stesso tempo però si assisteva alla scomparsa della idrografia superficiale, fenomeno questo che si è rivelato determinante nel plasmare non solo l’attuale conformazione fisica del territorio salentino, ma anche la disposizione della sua trama insediativa.

1.2. Le subregioni salentine: caratteristiche morfologiche, demografiche e linguistiche. Il Salento5 si estende dalla cosiddetta soglia messapica sino al capo di S.Maria di Leuca, ed esprime una compiuta unità geografica6; la mancanza di rilievi di notevole entità gli conferisce una certa uniformità fisica ed appare, quindi, come un paesaggio completamente omogeneo. Tuttavia, compiendo una indagine più accurata, non si può fare a meno di constatare la presenza delle pendici meridionali delle Murge più nord e delle Murge Salentine o Serre più a sud, tra le quali si estende il Tavoliere Salentino (o Leccese) o piana Messapica, totalmente pianeggiante. Tali elementi territoriali comportano una suddivisione del Salento in tre entità subregionali distinguibili come: il Salento Murgiano, il Tavoliere Salentino ed il Salento delle Serre. E’ interessante notare come le differenze fisiche di queste tre subregioni salentine abbiano determinato anche delle tipologie insediative e delle densità demografiche diverse. Tali dissomiglianze non si riferiscono esclusivamente alla rete poleografica, ma anche alle colture agrarie ed alle parlate dialettali. Nonostante le distinzioni di quest’ultime non possano prescindere da un legame storico con le molteplici popolazioni che hanno abitato questi territori, nello stabilire i confini tra di esse un ruolo determinante è stato svolto proprio dalla morfologia territoriale7. La cosiddetta “soglia messapica “, la quale determina una sorta di confine ideale tra le Murge ed il Tavoliere Leccese, sancisce infatti il limite oltre il quale si parla il dialetto salentino e progressivamente viene meno l’uso di quello pugliese.

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D. Novembre, cit., pp. 39-42. C. Colamonico, Aspetti geologici e geografici del Salento,cit., pp.13-16. 6 O. Baldacci, Puglia, in R. Almagià (collezione diretta da), Le Regioni d’Italia, Tipografia sociale torinese, Torino, 1962, vol. XIV, cit., p.50. 7 G.B. Mancarella, Salento, in M.Cortellazzo (a cura di), Profilo dei dialetti italiani, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Centro di Studio per la Dialettologia Italiana, Pacini Editore, Pisa, 1975, vol. XVI, cit., p.8.

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Figura 1. Le subregioni salentine (Fonte: D. Novembre, p.40)

1.3. Il Salento Murgiano. Il Salento Murgiano rappresenta una fascia di transizione verso quello che può essere definito come il Salento “profondo”8. Il suo confine superiore è delineato dalle pendici meridionali delle Murge le quali a partire da Martina Franca e Mottola da quote anche superiori ai cinquecento metri, tendono progressivamente a discendere sottoforma di due terrazzamenti sia verso il mar Adriatico, sia verso il mar piccolo di Taranto9. Il dislivello tra il gradino di altitudine maggiore rappresentato dall’isoipsa di metri 200 s.m. e quello posto più in basso in corrispondenza dell’isoipsa di metri 100 s.m..10 configura l’inizio della Penisola Salentina. Confine estremo della subregione murgiana è 8

D. Novembre, cit., p.40. C. Colamonico, Aspetti geologici e geografici del Salento, cit., p.13. 10 O. Baldacci, cit., pp.425-428. 9

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espresso idealmente dall’allineamento ideale di Torre Guaceto, Francavilla Fontana e S. Pietro in Bevagna, oltre i quali vi è la prevalenza di un territorio pianeggiante. Gli insediamenti antropici dell’area nord-orientale, collocati sulle gradinate pianeggianti murgiane, sono riconducibili per le loro forme ad una colonizzazione medioevale e si contraddistinguono per una certa consistenza demografica. Essi sono: la tarantina11 Grottaglie (32.375) ed i comuni brindisini12 di San Vito dei Normanni (20.070) e Carovigno (14.960). Nel margine sudoccidentale, ove si sviluppano invece le forme delle Murge Tarantine dette anche Murgette, si sono stanziati numerosi centri a poca distanza uno dall’altro. Costituiti prevalentemente da cittadine di scarsa entità demografica, vanno a configurare per il loro raggruppamento serrato una tipica oasi di insediamento13. E’ da sottolineare che in tale area sono ormai scomparse le caratteristiche del paesaggio premurgiano, il quale meglio connotava il territorio nei pressi di Grottaglie, Francavilla Fontana e Carovigno. La tipologia di insediamento ivi presente trova le sue ragioni nelle forme convesse delle Murgette e nella scarsa reperibilità d’acqua su di esse. Tra le più importanti cittadine, appartenenti alla provincia tarantina e collocate sulle Murgette troviamo: Sava (16.156), Carosino (6.146), Roccaforzata (1.773), S.Marzano di San Giuseppe (8.990), Monteparano (2.376), Lizzano (10.124), Faggiano (3.525) e San Giorgio Ionico (15.709). Più vicine alla costa jonica, collocate su terreni dalle forme pianeggianti, sono: Leporano (6.817), Pulsano (10.452), Torricella (4.092), Maruggio (5.433) e la città portuale di Taranto (199.131). Per quanto riguarda il dialetto parlato in questa subregione, esso è ricollegabile certamente alla tipologia del Salento settentrionale14, nonostante si manifestino in essi notevoli influssi del dialetto pugliese. Per tale ragione è necessario precisare che si possono individuare due varietà del salentino; la prima è quella brindisina, che si attesta più a nord di Brindisi lungo i comuni di S. Michele Salentino, Villa Castelli ed Ostuni. La seconda è costituita invece da alcuni

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I dati demografici relativi alla provincia di Taranto sono tratti dal sito ufficiale della Provincia e sono aggiornati al 31/12/2003. 12 I dati demografici relativi alla provincia di Brindisi sono tratti dal sito ufficiale della Provincia e sono aggiornati al censimento ufficiale dell’anno 2001. 13 O. Baldacci, cit., p.428. 14 G.B. Mancarella, cit., p.9, p.26.

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dialetti della provincia di Taranto, a nord rispetto il confine dell’antica Via Appia, presso le cittadine di: San Giorgio Jonico, Montemesola e Monteiasi. Tale distinzione dialettale è da ricondurre ai tempi della romanizzazione di questi territori, durante la quale il collegamento di Taranto e Brindisi tramite appunto la Via Appia stabilì una sorta di confine tra le popolazioni delle Murge e quelle del Tavoliere Salentino15. Quello che colpisce anche di questa area è la presenza di un’isola alloglotta albanese presso il comune di San Marzano di San Giuseppe. Benché la lingua albanese sia caduta quasi totalmente in disuso anche in questa cittadina, essa testimonia il ricordo della forte presenza albanese in questa terre durante i secoli XV - XVI .16

1.4 Il Tavoliere Salentino. Il Tavoliere Salentino risulta compreso tra il Salento Murgiano ed il confine rappresentato dal collegamento ideale tra Gallipoli ed Otranto. La sue forme sono totalmente pianeggianti ad esclusione di una parte della sua zona mediana, dove un’area collinare, considerabile come estremo lembo delle Murge, raggiunge i 170 metri s.m.17 Tale territorio si caratterizza per la presenza di rocce argillose-calcaree del miocene, chiamate comunemente “pietra leccese” e da calcarei arenacei del pliocene che prendono il nome di “tufi”, entrambi molto utilizzati in ambito edile. Ciò che contraddistingue il Tavoliere Salentino è una certa uniformità non solo dal punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista insediativo. Vi è infatti una prevalenza di centri abitati soprattutto nell’entroterra, i quali testimoniano quell’antica repulsione per le zone costiere paludose all’interno delle quali imperversava la malaria. Una situazione ambientale veramente ostile all’uomo, che durante i secoli ha dovuto necessariamente collocare le proprie abitazioni in siti posti nella sezione intermedia della penisola. Un evento insolito per la storia dell’umanità stessa, la quale ci ha insegnato da sempre che gli approdi di mare hanno il più delle volte rivestito una forte attrattiva per i gruppi umani, sia per i benefici della pesca, sia per quelli dei traffici marittimi. A questo repulsione biologica per le coste, va aggiunto il timore rappresentato dalle incursioni di corsari, provenienti dal mare. Ed proprio a quest’ultimo fenomeno che si ricollega anche la nascita

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G.B. Mancarella, cit., p.5. Ivi, cit., pp.38-39. 17 C. Colamonico, La geografia della Puglia, cit., p.26. 16

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delle torri di avvistamento in prossimità delle coste e l’alta densità di masserie fortificate18, presenti in gran numero nell’entroterra salentino ed oggetto dei capitoli successivi della mia ricerca. Proprio nelle vicinanze della costa jonica, ma comunque sempre ad una distanza di sicurezza dalle aree malariche, figurano i comuni tarantini di Manduria (31.706) ed Avetrana (7.140). Molto più a sud troviamo i centri abitati leccesi di Nardò (31.490) e Galatone (16.143). La spazio che separa questi comuni è notevole ed in questo fenomeno possiamo proprio cogliere gli effetti prodotti dall’impaludamento delle zone costiere; inoltre quello che stupisce di questa area è la mancanza di centri abitati di un certo peso demografico. Solo dalla metà dell’ultimo secolo, in seguito alla bonifica delle aree paludose19 sono nate lungo questa fascia costiera nuove cittadine di mare, le quali si animano soprattutto durante i mesi estivi; tra le più note spicca decisamente quella di Porto Cesareo (4044). Allo stesso tempo è necessario sottolineare la nascita, sin dagli anni ’50, di veri e propri quartieri di villeggiatura, costituiti in prevalenza da ville private utilizzabili esclusivamente durante i mesi più caldi dell’anno, in quanto prive in molti casi dell’allacciamento del gas, della rete fognaria e dell’acqua corrente. Tali realtà, collocate anche a molti chilometri dai centri abitati ai quali fanno riferimento per i servizi indispensabili, nella maggior parte dei casi non costituiscono enti amministrativi a sé stanti, ma dipendono dai comuni collocati nell’entroterra e dei quali si definiscono come le rispettive “marine”. Se lungo i tratti costieri il numero di veri centri abitati risulta essere limitato, non è lo stesso per gli insediamenti urbani del Tavoliere Salentino. Sono difatti molti i comuni presenti nelle campagne dell’asse mediano, i quali godono prevalentemente di una densità demografica non inferiore ai 10.000 abitanti. Centri principali appartenenti alla provincia brindisina sono: Mesagne (27.587), Latiano (15.371), San Pancrazio Salentino (10.551), Torre Santa Susanna (10.614), Francavilla Fontana (36.274), Oria (15.209), Erchie (8.740), San Donaci (7.117), San Pietro Vernotico (15.004) e Cellino San Marco (6.818). Molto dinamici risultano essere anche i centri leccesi di: Guagnano (6.027), Salice Salentino (8.829), Veglie (14.271), Leverano (14.053) e Copertino (24.303). 18

D. Novembre, cit., p.41. A partire dal 1930, per iniziativa dello stato fascista vengono compiute molte opere di sistemazione idraulica al fine di prosciugare e ripopolare le zone malariche, come spiega: O. Bianchi, Economia e società in Puglia negli anni del fascismo, in A. Massafra, B. Salvemini (a cura di), Storia della Puglia. Il Novecento, Editori Laterza, Roma – Bari, 1999, cit., pp.74-84. 19

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Ciò che accomuna queste cittadine è la loro vocazione agricola; infatti nel passato, ma in gran parte ancora oggi, legavano la propria sussistenza a tale settore. Risultano pertanto essere totalmente immerse nelle campagne del Tavoliere Salentino, le quali, circondandole per il loro intero perimetro, le separano una dall’altra anche per decine di chilometri. Se si considerano sia le caratteristiche fisiche del terreno20, più adatte alla lavorazione, sia la scarsa altitudine dell’intera subregione in questione, si comprende il perché in tale area si siano costituiti parecchi insediamenti umani dediti all’agricoltura. Le colture maggiormente presenti in questa area sono rappresentate dalla viticoltura, dagli oliveti e dai seminativi. Dunque questa è la terra del vino e dell’olio.21 Più a nord, affacciata sul mare Adriatico si trova il capoluogo di provincia, Brindisi (89.081), città che con i suoi poli industriali attrae molta manodopera da tutta l’area salentina. La trama della rete insediativa comincia ad infittirsi in modo notevole avvicinandosi alle aree di Lecce, terzo e ultimo capoluogo di provincia del Salento. Lecce (93.529)

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nonostante sia più vicina alla costa adriatica, risulta spostata verso l’interno di circa 15 chilometri, poiché anche il litorale tra Brindisi e Otranto, come quello jonico, presentava problemi legati all’impaludamento ed alla diffusione della malaria. Man mano che ci si addentra nel Salento, si ha la sensazione di essere in un labirinto di centri abitati, un po’ tutti della stessa misura, all’incirca in identica posizione topografica, su una spianata più solida o su un cenno di rilevo, occhieggianti tra boschi di olivo.23 Ciò che non passa inosservato per questa area, è la presenza di due cerchi concentrici di cittadine intorno alla città di Lecce, la quale doveva svolgere una attrazione non indifferente su di loro. Quello che accomuna tali realtà antropiche è il fatto che risultano essere costruite nelle immediate vicinanze del capoluogo ed allo stesso tempo presentano tutte quante delle densità demografiche abbastanza contenute. 24 La prima fascia di queste realtà urbane, posta a circa a sei km da Lecce è rappresentata dalle città di: Merine, Cavallino (11.767), San Cesario di Lecce (8.097), Lequile (8.313),

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C. Colamonico, Aspetti geologici e geografici del Salento, p.17. O. Baldacci, cit., p.431. 22 I dati demografici relativi alla provincia di Lecce sono tratti dal sito ufficiale delle Provincia e sono aggiornati al 31/12/2006. 23 O. Baldacci, cit., p.429. 24 Ivi, cit., pp.429- 433. 21

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San Pietro in Lama (3.696), Monteroni di Lecce (13.715 ), Arnesano (3.572), Novoli (8.324), Trepuzzi (14.553) e Surbo (14.071). Fascia concentrica più esterna, ad una distanza di circa quindici chilometri è rappresentata da: Acaia, Vanze, Acquarica di Lecce, Vernole (7.524), Castri di Lecce (3.059), Caprarica di Lecce (2.620), San Donato di Lecce (5.837), Carmiano (12.297), Galugnano , Campi Salentina (10.964) e Squinzano (14.947). Tra questi due cordoni di città si sono disposte anche altre realtà antropiche, le quali hanno contribuito ad intessere maggiormente la trama insediativa. Tra le più importanti: Strudà, Pisignano 25 e Lizzanello (10.862). Particolarità di questa ragnatela urbana consiste nella incompletezza dei due cordoni concentrici, i quali non trovano ad est di Lecce un’integrazione vera e propria con centri di pari dimensione. Tale fenomeno si ricollega inevitabilmente alla morfologia di queste terre ed in particolare alla repulsività delle aree costiere; a questo deve aggiungersi il timore per il pericolo turco, il quale appariva sicuramente più concreto sulla costa adriatica dopo la presa di Otranto del 1480. Dal punto di vista linguistico, nel Tavoliere Salentino viene parlato quello che i linguisti definiscono come il dialetto del Salento centrale con varietà leccese26. Infatti il dialetto di Lecce è quello maggiormente diffuso in tutta l’area mediana della Penisola Salentina e trova il suo limite settentrionale nella città di San Pancrazio Salentino, oltre la quale prevale invece la variante brindisina. In direzione sud, invece, tale dialetto non va oltre il confine ideale rappresentato dalla linea Otranto-Gallipoli, al di là della quale la presenza consistente dei bizantini costituiva un ostacolo alla diffusione di novità linguistiche. Questi ultimi ebbero un’influenza notevole presso gli insediamenti posti tra il Tavoliere Salentino e la Regione delle Serre, i quali costituivano la cosiddetta isola alloglotta della Grecia Salentina27. Tale entità culturale si mantiene viva presso i 9 comuni leccesi di: Calimera (7.360), Carpignano Salentino (3.843), Castrignano dei Greci (4.121), Corigliano d’Otranto (5.779), Martano (9.565), Martignano (1.777), Melpignano (2.223), Soleto (5.579), Sternatia (2.548) e Zollino (1.028). Presso di essi si parla ancora il griko, un dialetto derivante dalla lingua greca parlata dai bizantini. La tenacia di questi ultimi nel

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E’ necessario precisare che: Merine è frazione di Lizzanello; Acaia, Vanze, Acquarica di Lecce, Strudà e Pisignano sono frazioni di Vernole; Galugnano è frazione di San Donato di Lecce. 26 G.B. Mancarella, cit, p.30. 27 Ivi, cit., p.9, pp.40-42.

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conservare le loro tradizioni ha assicurato una sorta di continuità per questa comunità, nonostante le molteplici influenze culturali che hanno investito il Salento nel corso della sua storia. La Grecia Salentina conobbe la sua massima espansione nel XV secolo, quando ben 25 insediamenti facevano parte di tale realtà; poi a seguito dell’abolizione del rito greco nelle diocesi salentine, tali comunità si restrinsero progressivamente, anche se dopotutto continuano a sopravvivere ancora oggi nel cuore del Salento.

1.5. Il Salento delle Serre. Il Salento delle Serre trova il suo margine superiore nel collegamento tra Otranto e Gallipoli e si estende fino al capo di S.Maria di Leuca e per tale ragione viene anche chiamato Regione del Capo. Ciò che contraddistingue questa area è la presenza di una triplice successione di ondulazioni collinari28 distinguibili in una serie jonica, una adriatica ed una mediana interna, tutte convergenti presso il Capo di Santa Maria di Leuca. Altitudine massima delle Serre è raggiunta presso la Serra dei Cianci con altezza di 201 metri s.m.. Le creste di queste colline sono costituite da rocce calcaree del periodo cretaceo, mentre di tipo tufaceo sono i materiali degli avvallamenti interposti tra esse29. La serie jonica si articola in una parte occidentale ed in una orientale. La prima si estende dal promontorio del Pizzo nelle vicinanze di Gallipoli, fino a Torre S.Giovanni e si sviluppa nella Serra di Castelforte, nel Monte degli Specchi, nella Serra dall’Alto e nella Serra Colaturi. La seconda invece nasce dalla Serra di Nardò e si interna nelle cosiddette Murge di Gallipoli, proseguendo nella Serra di Campolatine, nella Serra di Tuglie, in quella di Matino e di Casarano, giungendo fino al Capo di Leuca. Il collegamento tra la serra orientale e quella occidentale avviene attraverso la Serra di Ugento e configura quella che assomiglia molto ad una H deformata, comprendendo la Serra Fontane, la Serra Casavecchia e la Serra di Pozzo Mauro. La serie adriatica si estende invece tra Otranto e Santa Maria di Leuca, articolandosi in: Monte Sant’Angelo, Monte San Giovanni, Monte Ferrari, Serra di Poggiardo, Monte Mattia, Serra la Motta, Serra le Murge del Rio, Serra del Mito e la Serra di Tricase.

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D. Novembre, cit., pp. 41-42. C. Colamonico, Aspetti geologici e geografici del Salento, pp. 13-14, p.16.

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La serie mediana, si colloca più all’interno rispetto alle precedenti e risulta compresa tra le due. Si compone nella Serra di Celimanna, nella Serra di Ruffano, nel Serrone di Specchia, nella Serra dei Peccatori e nella Serra dei Cianci. Lo studio morfologico del Salento delle Serre si configura come indispensabile per capire le variabili che hanno favorito la scelta di un sito insediativo piuttosto che un altro. In questa subregione, infatti, la popolazione preferendo per le proprie abitazioni dei luoghi collocati nei solchi di minor altitudine30 e posti tra loro ad una distanza di pochi chilometri, ha fatto una scelta mirata ai fini della sussistenza. Infatti, questa tipologia di insediamento è funzionale allo sfruttamento delle uniche risorse di acqua, localizzate proprio in corrispondenza degli avvallamenti collinari. Quindi nel Salento delle Serre è stata l’acqua e la sua reperibilità, l’elemento organizzatore della rete insediativa. Inoltre il terreno degli avvallamenti, risultando più adatto alle coltivazioni ha svolto un’ulteriore funzione attrattiva nella scelta dei siti. Presso questi territori e precisamente lungo le linee delle depressioni collinari, si stanziarono un numero elevato di nuclei di abitazioni, i quali con il tempo crebbero fino a diventare dei centri abitati di dimensioni ridotte31. Caratteristiche di tali villaggi erano quelle di rimanere limitati dal punto di vista demografico e allo stesso tempo di trovarsi allineati uno con l’altro per effetto del loro stanziamento strategico ai fini della reperibilità della risorsa idrica. Disposti in corrispondenza della cosiddetta serie jonica troviamo i comuni32 di: Gallipoli (10.259), Alezio (5.329), Taviano (12.579), Melissano (7.446) Racale (10.696), Alliste (6.611), Ugento (11.941). Lungo la serie jonica orientale: Sannicola (6.034) Tuglie (2.433), Parabita (4.474), Matino (5.593), Casarano (9.762), Taurisano (6.099), Acquarica del Capo (4.956), Presicce (5.669), Salve (4.612), Morciano di Leuca (3.485) e Castrignano del Capo (5.422). Anche nell’area orientale il Salento delle Serre si caratterizza per la prevalenza di numerose cittadine di esigue dimensioni. Lungo la serie adriatica, tra Otranto (2.645) e Capo di Santa Maria di Leuca, si trova un schieramento di centri paralleli alla costa, ma lontani da essa ad una distanza media fra uno e cinque chilometri33. Essi sono: Uggiano la Chiesa (4.311), Minervino di Lecce (3.874), Santa Cesarea Terme (3.110), Castro (2.519),

30

C. Colamonico, Aspetti geologici e geografici del Salento, cit., p. 17. Ibidem, cit. 32 O. Baldacci, cit., pp.433-442. 33 Ivi, cit., p.441. 31

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Diso (3.186), Andrano (5.095), Miggiano (3.662) Tricase (17.889), Tiggiano (2.888), Corsano (5.760), Gagliano del Capo (5.465) e Patù (1.743). Collocati decisamente nell’entroterra otrantino sono: Poggiardo (2.921), Giuggianello (1.229), Sanarica (1.462), Nociglia (2.560), Botrugno (2.954), Maglie (15.099), Cutrofiano (9.190 ) Spongano (3.824) e Surano (1.730). La serie mediana, vede la presenza nei suoi avvallamenti del seguente allineamento di centri: Alessano (6.591), Specchia (4.981), Ruffano (9.654), Supersano (4.452) e Collepasso (6.600). Analizzando i dati demografici dei comuni del Salento delle Serre emerge come la maggior parte di essi non superino una popolazione di 5000 abitanti e questo proprio a seguito della conformazione morfologica di questo territorio. Per quanto riguarda le caratteristiche linguistiche di questa subregione, la parlata locale appartiene alla tipologia dei dialetti del Salento meridionale34. In particolare si distinguono due varietà linguistiche: la principale è rappresentata da quella otrantina che risulta diffusa presso le diocesi di Otranto, Gallipoli e l’area tra Ugento e Santa Maria di Leuca e si differenzia decisamente dal dialetto cosiddetto del Salento centrale per alcuni elementi fonetici; la secondaria è costituita invece da quella gallipolina, la quale contiene in sé elementi che si ricollegano alle varietà del salentino di tipo brindisino e leccese. Per comprendere questa situazione è necessario ricordare che nell’area del Salento delle Serre non penetrarono quelle novità linguistiche, come la metafonia, che investirono al contrario il resto della Puglia tra i secoli VI - XI. Questo va appunto ricondotto all’accentramento in questa area della civiltà bizantina ed in particolare tra quei territori che costituivano la cosiddetta Grecia Salentina. Per tale ragione la linea immaginaria tra Otranto e Gallipoli, collocandosi proprio al di sotto dell’area della Grecia Salentina, costituisce in molti casi un utile strumento per stabilire i confini tra i dialetti del Salento centrale e quelli del Salento meridionale. Il venir meno di tale espediente nell’area di Gallipoli, ove si afferma appunto la varietà gallipolina, è da spiegarsi probabilmente per ragioni di ordine storico35. Dal 1561 infatti, smettono di appartenere alla Grecia Salentina i comuni di: Gallipoli, Casarano, Galatone, Alliste e Seclì. Dal 1800 circa anche altri comuni non appartengono più a questa isola alloglotta e sono: Strudà, Ruffano, Neviano, Galatina, Bagnolo e Aradeo. Questo ha significato necessariamente un indebolimento del 34 35

G.B. Mancarella, cit., p.9, p.33. Ivi, cit., p.41.

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griko nell’area attorno a Gallipoli, il quale fungeva da barriera linguistica tra il Salentino centrale e quello meridionale. Inevitabilmente nuove influenze linguistiche sono penetrate e questo ha portato alla diffusione di quelle novità fonetiche tipiche del salentino brindisino e leccese. Nell’area otrantina invece, dove la Grecia Salentina aveva radici più profonde, non sono filtrate innovazioni fonetiche e quindi la varietà otrantina ha mantenuto le sue peculiarità.

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CAPITOLO II TORRI COSTIERE e MASSERIE FORTIFICATE: ASPETTI STORICI E TIPOLOGICI 2.1. Ragioni storiche dell’edificazione delle torri costiere. La presenza del mare ha rappresentato per tutta la Puglia, così come per il Salento una risorsa indispensabile nel corso della sua storia. Allo stesso tempo però la notevole estensione delle coste, ha costituito un elemento di debolezza per le continue intrusioni di pirati e di corsari36, i quali non avevano alcuno scrupolo a compiere razzie sia nei piccoli centri marittimi, sia nei casali agricoli situati nell’entroterra. Percorrendo le coste della penisola salentina non passano inosservate le numerose torri costiere, le quali contraddistinguono in modo forte il paesaggio litoraneo. Sono esse stesse a conferire una identità ai tratti di costa, sui quali hanno sorvegliato per secoli, proteggendoli dall’arrivo di presenze ostili. La nascita delle torri si ricollega inevitabilmente alle vicende storiche che riguardano il Salento e ai rapporti con le popolazioni che tra i secoli XV - XVIII governarono su questi territori. In particolare la nascita di tali manufatti va ricondotta alle politiche militari degli Aragonesi37, i quali nel 1442 riuscirono a ripristinare il Regno delle due Sicilie dopo una lunga guerra dinastica contro gli Angioini. Il sovrano Alfonso V d’Aragona detto il Magnanimo, che governò tra il 1442 e il 1458, cercò fin da subito di rafforzare le difese delle coste pugliesi, in vista delle sue campagne militari che lo avrebbero portato verso i territori dell’Albania e dei Balcani con lo scopo di arrestare l’avanzata dei turchi ottomani. Quest’ultimi, infatti, avevano conosciuto una rinascita repentina sin dal secolo XIV e costituivano ormai una minaccia concreta per l’integrità dell’Europa. Essi, inoltre, miravano ad affermarsi nel mare Adriatico come prima potenza navale, a discapito dell’egemonia della Repubblica di Venezia; questo indubbiamente costitutiva un pericolo per il futuro di tutte le città costiere e di quelle limitrofe ai litorali.

36

Per una distinzione tra pirati e corsari si veda: M.L. Troccoli Verardi, Le torri di Puglia: costiere ed interne, in R. De Vita (a cura di), Castelli torri ed opere fortificate di Puglia, Editoriale Adda, Bari, 1974, p.223. 37 Ivi, cit, pp.223-227.

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Il rafforzamento delle coste pugliesi non venne attuato immediatamente e sfumò del tutto dopo la morte del Magnanimo. Il suo successore Ferdinando I, regnante dal 1458 al 1494, dovette fronteggiare un momento molto delicato, quando nel 1480 i turchi, dopo la conquista dell’Albania, attaccarono ed occuparono la città di Otranto. L’assedio della durata di oltre un anno, comportò la morte di ottocento cristiani che rifiutarono di convertirsi all’Islam. Questo fu un duro colpo per tutto il Salento, il quale risultava privo di difese idonee a prevenire gli attacchi provenienti dal mare. Tale evento drammatico, unito al timore che le continue scorrerie dei turchi potessero crescere ulteriormente, convinse i regnanti della necessità di porre rimedio ad una situazione così difficoltosa; venne quindi riproposto il progetto di rafforzamento delle strutture difensive, necessarie a rendere sicuri i territori salentini e le sue genti. La realizzazione delle infrastrutture per iniziativa statale procedeva però molto lentamente e proprio per questo le prime vere difese nacquero per impulso dei privati, i quali innalzarono, nei luoghi più elevati delle coste, delle torri di avvistamento38 al fine di poter scorgere con largo anticipo l’arrivo del nemico. Le prime strutture, localizzate soprattutto nelle vicinanze di Otranto, erano molto semplici e questo sia per la carenza di fondi economici, sia per l’urgenza che la loro messa in funzione richiedeva. Fu solo durante gli anni del regno di Carlo V, imperatore di questi territori tra il 1519 ed il 1556, che lo stato cominciò ad interessarsi concretamente alla costruzione di una catena interrotta di torri costiere. Infatti, un’ordinanza del 1532 del Viceré don Pedro di Toledo39, benché non riscontrò un grande successo, costrinse i privati ad erigere ulteriori elementi di avvistamento. Con l’editto del 1563 del viceré don Pedro Afan de Ribera40 venne legittimata ulteriormente l’iniziativa statale nell’edificazione di tali manufatti; quest’ultimi non potevano più essere fabbricati senza l’approvazione della Real Corte, la quale diventava anche legittima proprietaria di ogni fortificazione difensiva già presente lungo le coste. Inoltre, l’ubicazione di ogni torre era decretata da ingegneri statali, i quali sceglievano i siti più idonei a svolgere le attività di avvistamento. Poiché l’intero programma difensivo era considerato di interesse pubblico, l’onere finanziario di ogni edificio era suddiviso tra i

38

M.L. Troccoli Verardi, p.224. Ibidem, cit. 40 Ibidem, cit. 39

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centri compresi in un arco di dodici miglia dalla costa, i quali versavano una percentuale proporzionale al numero degli abitanti. Il progetto di tale sistema di avvistamento prevedeva la realizzazione di un fitto numero di torri lungo la costa, disposte in modo tale che ogni torre fosse visibile alle due più vicine; esse avrebbero comunicato tra loro l’imminente pericolo attraverso segnali di fumo durante il giorno, di fuoco durante la notte e contemporaneamente tramite il suono di campane e corni. Allo stesso tempo tali allarmi venivano rivolti anche alle masserie fortificate dell’entroterra ed agli insediamenti urbani più vicini, per avvisarli dell’arrivo incombente dei nemici. Ad informare i centri abitati più lontani venivano invece inviati messaggeri a cavallo, i quali partivano dalla torre, appena avvistato il pericolo imminente. E’ necessario precisare che le torri non svolgevano nessuna funzione difensiva, ma si limitavano ad adempiere un ruolo d’avvistamento. Per tale ragione esse ebbero delle dimensioni tali da poter ospitare esclusivamente un numero ridotto di uomini, i quali avevano il compito di controllare le coste e segnalare nell’entroterra le eventuali intrusioni, dando così il tempo necessario agli abitanti delle masserie e dei centri urbani di trovare rifugio. Il progetto, iniziato nel 1563, fu completato in un intervallo di tempo molto lungo; esso incontrò numerose difficoltà e molteplici periodi di arresto, anche a causa delle vastità dell’opera, in quanto non riguardava soltanto le coste del Salento, ma tutte quelle del Regno di Napoli. Inoltre la mancanza dei finanziamenti necessari, i costi onerosi delle manutenzioni e le scarse paghe dei torrieri contribuirono in modo rilevante a rallentare il compiersi di tale impresa. La catena di torri costiere venne terminata in modo definitivo nel 1748 ed era composta da un totale di 379 torri in tutto il Regno di Napoli, delle quali 131 in Puglia. Di queste, ben 80 torri41 erano collocate in Terra d’Otranto42, la quale costituisce l’attuale Salento.

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Il numero delle torri è di 88 se si considerano anche quelle cosiddette non identificate, come è riportato nel volume: F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele, Censimento delle torri costiere nella provincia di Terra d’Otranto, Indagine per il ricupero nel territorio, Istituto Italiano dei Castelli, Roma, 1978, p.25, p.97. 42 Per una descrizione completa di tutte le torri di Terra d’Otranto: Ivi, pp.30-38.

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2.2 Le tipologie di torri costiere. Le torri di Terra d’Otranto benché presentino delle caratteristiche diverse a seconda del luogo e dell’epoca in cui furono costruite, si accomunano tra loro per la presenza di elementi strutturali tipici. Tratto fondamentale è la rinuncia ad ogni elemento decorativo43; quello che traspare dalla loro struttura architettonica è la ricerca di un’impostazione che soddisfi le esigenze pratiche per cui sono state pensate e costruite. Ognuna di esse pur rappresentando soltanto l’anello di una catena, è espressione del contesto storico in cui sono state realizzate e soprattutto dell’ambiente geografico in cui sono situate. Infatti il materiale utilizzato per la loro costruzione è ricavato dalle risorse di pietra locale e quindi a seconda delle zone può variare dal carparo al tufo44. Le torri si caratterizzano all’esterno per la presenza di pareti scarpate, le quali insieme alle caditoie conferiscono maggiore solidità all’intera struttura. Queste ultime sono generalmente tre per ogni lato e sono realizzate in controscarpa, con una leggera inclinazione verso l’interno. Tali edifici si contraddistinguono solitamente per la presenza di due piani. Internamente le pareti sono verticali e lo spazio frapposto tra di esse e le mura esterne inclinate, sono riempite di pietrame minuto, malta e pozzolana45, al fine di rendere la struttura più resistente ai colpi di possibili attacchi. Nei locali del piano inferiore nella maggior parte delle torri vi era su di un lato una cisterna d’acqua che raccoglieva le acque piovane, le quali scivolavano lungo il lastrico della parete, mentre sull’altro un camino adibito a scaldare gli interni durante i mesi invernali. Nel caso in cui la base della torre non era piena, la raccolta dell’acqua poteva avvenire anche attraverso un grande pozzo posto direttamente sotto il basamento, scelta tecnica che garantiva la presenza di un vano di ampiezza maggiore. In molte delle strutture l’unico piano fruibile era quello superiore, dove in ogni caso era sempre collocato il suo ingresso. Per accedervi non c’era nessuna scala in pietra, come invece è possibile notare oggigiorno, ma si utilizzavano delle scale in legno, che venivano sollevate in caso di pericolo. Tale artificio aveva lo scopo di configurare la torre come un

43

M.L. Troccoli Verardi, cit., p.227. F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele, cit., p.99. 45 M.L. Troccoli Verardi, cit., p.230. 44

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luogo inattaccabile durante le scorrerie di saccheggiatori, assicurando così l’incolumità dei torrieri. Le torri possono essere raggruppate secondo cinque tipologie. La loro importanza va anche ricercata nell’influenza che esercitarono sulle forme architettoniche delle masserie fortificate dell’entroterra, le quali basavano la propria sicurezza sul sistema di avvistamento costiero.

Figura 2. Le cinque tipologie delle torri costiere di Terra d’Otranto ed il loro rapporto dimensionale: I)Torre a base quadrata tipica del regno; II)Torre a base quadrata grande (della serie di Nardò); III)Torre a base circolare grande e media; IV)Torre a base circolare piccola (della serie d’Otranto); V)Torre a base ottagonale e a cappello di prete. (Fonte: F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele, p.55).

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La prima tipologia46 è rappresentata dalle 27 torri tipiche del Regno di Napoli; sono le più numerose in Salento, ma risultano essere completamenti assenti nel tratto costiero tra Torre Sasso (a sud di Castro) e San Giovanni la Pedata (a sud di Gallipoli). Quest’anomalia si spiega perché esse sono frutto dell’iniziativa statale, la quale si attivò molto tempo dopo rispetto a quella dei privati. Tali torri, inserendosi quindi in quei tratti di costa più indifesi nei quali erano venute meno le possibilità economiche dei privati, miravano a creare una continuità con gli altri organismi di avvistamento costruiti precedentemente. Si caratterizzano per una forma troncopiramidale e si dividono in diverse classi in base alla loro dimensione e alle caratteristiche delle caditoie:

a) Torri a tre caditoie in controscarpa: sono 13 e le più piccole presentano il lato interno inferiore a metri 5, mentre quelle medie inferiore a metri 6,50; b) Torri grandi a tre caditoie in controscarpa: sono 3 e si caratterizzano per il lato interno maggiore di metri 6,50; c) Torri a tre caditoie a filo scarpa: sono due e la loro particolarità consiste nell’allineamento delle caditoie con l’inclinazione delle pareti; d) Torri prive di caditoie: sono 9 e si contraddistinguono per la mancanza delle caditoie. Ciò è spiegato da varie ragioni: la carenza di fondi economici, la necessità immediata che richiedeva la loro costruzione, oppure un restauro effettuato senza un corretto criterio di conservazione.

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F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele, cit., p.97.

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Figura 3. Torre dell’Orso, è un esempio di torre tipica del Regno. (Foto dell’Autore)

La seconda tipologia47 è costituita dalle 14 torri a base quadrata grande non tipiche del Regno; costruite prevalentemente sul finire del secolo XVI, si distinguono per la presenza di un basamento troncopiramidale sul quale si innestano pareti verticali. Tali torri furono erette quasi contemporaneamente alle torri tipiche del Regno, ma spesso per iniziativa dei privati. Si caratterizzano per una pianta quadrata ed una base troncopiramidale, su cui si innesta il corpo parallelepipedo, con caditoie simili a quelle delle torri delle masserie. Il lato di base è compreso tra 11 e 16 metri, mentre l’altezza si aggira tra i 14 e i 18 metri. Nonostante queste caratteristiche comuni si individuano delle classi: a) Torri della serie di Nardò; così chiamate in quanto se ne trovano ben nove nell’area di Nardò, si ritiene che abbiano subito una influenza architettonica fondamentale dalle masserie con torre, poste nell’entroterra neretino48. Rappresentano le torri più grosse e costose di tutto il Salento e sono espressione di una piano strategico mirato a tutelare l’area delle campagne di Nardò cosparse di masserie molto produttive. Costruite con le risorse economiche dei signori locali, non erano pensate esclusivamente per una funzione di avvistamento, ma anche per la gestione dei 47 48

F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele, cit., p.133. Ivi, cit., p.142.

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fondi limitrofi e per una prima difesa delle coste in caso di invasione. In esse, meglio che in ogni altra parte del Salento, si concretizza quel legame inscindibile tra il sistema difensivo costiero ed il sistema delle masserie fortificate e quindi quella connessione tra la necessità di difesa della costa e la difesa della produzione49. b) Torri tipo masseria della costa adriatica (2); c) Torri tipo tirreniche dello stato della chiesa (2); d) Torri anomale (1)50.

Figura 4. Torre dell’Alto, presso l’area protetta di Porto Selvaggio, è un esempio di torre a basa quadrata non tipica del Regno, appartenente alla serie di Nardò. (Foto dell’Autore).

49

F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele, cit., p.25. Le torri delle tipologie b,c,d nonostante risultano essere molto simili nelle forme architettoniche alle torri della serie di Nardò, non hanno una specifica distribuzione nel territorio e ciò manifesta la mancanza di un piano strategico ordinatore. 50

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La terza tipologia51 comprende le torri a pianta circolare; a seconda delle dimensioni delle torri si costituiscono le seguenti classi: a) Torri rotonde grandi: presentano un diametro di base superiore a 16 metri e si ritiene siano legate all’iniziativa di operatori privati, più che all’intervento statale. In terra d’Otranto sono 8. b) Torri rotonde di media grandezza: il diametro di base risulta compreso tra metri 11 e metri 16. Sono 10 e tutte situate nella parte meridionale del Salento, in particolare nei tratti bassi di costa tra Castro, S.Maria di Leuca e Gallipoli;

Figura 5. Torre Vado è un esempio di torre rotonda grande, nonostante il restauro abbia pesantemente modificato le sue forme originali. (Foto dell’Autore)

51

F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele, cit., p.152.

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La quarta tipologia52 è costituita dalle torri a base circolare piccole: il diametro di base risulta inferiore ai 9 metri. Sono 5 e sono tutte localizzate nell’area a sud di Otranto e per questo vengono chiamate della serie di Otranto. La loro forma è molto semplice e le loro dimensioni estremamente ridotte. Vennero costruite in tempi molto brevi a seguito dell’assedio di Otranto e molto prima della messa in opera della catena di torri costiere per iniziativa statale. Presentano una base troncoconica piena con cisterna incorporata, sulla quale poggia un corpo cilindrico, al cui interno vi era uno spazio dalle dimensioni modeste; la loro altezza massima è di 7 metri. Le loro strutture sono ridotte al minimo in quanto l’onere della loro costruzione spettava completamente alle università del feudo di Otranto. Interessante è che il costo della costruzione di tutte queste cinque torri, era equivalente a quello necessario ad edificare una sola torre tipica del Regno.

Figura 6. Torre del Serpe ad Otranto è un esempio di torre a base circolare piccola (Fonte: Comune di Otranto)

52

F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele , cit., p.172.

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La quinta tipologia53 si articola nelle torri a base ottagonale. In terra d’Otranto se ne contano soltanto tre, quella di torre San Giovanni che rievoca le costruzioni difensive di impostazione normanna e quella di Torre S.Pietro in Bevagna e Torre Santa Sabina a forma ottagonale a cappello da prete o a stella. Quest’ultime due richiamano nelle loro forme architettoniche i castelli cinquecenteschi, i quali presentavano tali caratteristiche stellari per ragioni di resistenza strutturale e di contrattacco con tiro radente al muro.

Figura 7. Torre Santa Sabina, è una delle due torri ottagonali a cappello di prete (Fonte: Comune di Carovigno).

53

F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele, cit., pp.179-180.

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2.3. Ragioni storiche dell’edificazione delle masserie fortificate. La masseria era una struttura che nacque per soddisfare le esigenze necessarie che derivavano dal rapporto tra l’uomo, il lavoro agricolo e la produzione54. Essa costituiva il centro organizzativo della attività agricole e zootecniche praticate all’interno di una determinata porzione di territorio. Il contesto geografico e le funzioni svolte da una masseria risultavano determinanti nel plasmare la forma architettonica dei suoi edifici. Nonostante essa si configurasse come una realtà extraurbana, in quanto collocata in aperta campagna anche a molti chilometri da centri abitati, non si contraddistingueva come un mondo chiuso e indipendente. Fondamentale, infatti, per la sopravvivenza stessa di tale struttura agricola, era lo scambio dei propri prodotti con i centri limitrofi. Una masseria, quindi, era un elemento dinamico all’interno del territorio, determinante nella trasformazione stessa della campagna; essa era una struttura capace di pianificare in modo efficiente la fruizione degli spazi agricoli circostanti e perciò poteva considerarsi come l’unico valido strumento nella gestione del suolo e delle sue risorse.55 Ci sono stati alcuni provvedimenti durante il corso della storia che sono risultati determinanti nella organizzazione del territorio del Salento e nella nascita delle masserie. Il primo di questi venne attuato dai normanni, i quali organizzarono queste terre secondo un ordinamento feudale; suddivisero i domini reali in numerosi feudi56 al fine di frazionare il possesso dei territori tra più signori e rafforzare così il ruolo del potere statale. Tale espediente fu fondamentale in quanto rappresentò un tentativo concreto dei regnanti di gestire il territorio in base agli interessi del potere politico. La sua attuazione portò a stabilire che ogni nucleo urbano fosse dotato di sistemi difensivi efficienti ed allo stesso tempo favorì la diffusione di poli fortificati, quali i castra ed i casali57, all’interno delle campagne. Quest’ultimo progetto mirava ad incentivare la costituzione di insediamenti rurali in quei siti dove l’attività agricola sarebbe stata più produttiva e risultò infatti determinante nella formazione dei primi centri dediti al lavoro della terra.

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L. Mongiello, Masserie di Puglia: organismi architettonici ed ambiente territoriale: analisi del fenomeno, studio del repertorio, disegno delle partiture, Mario Adda Editore, Bari, 1989, cit., p.335. 55 Ivi, cit., pp.9-10, p.401. 56 Ivi, cit., p.10. Tra il 1154 e il 1169 la Puglia è un ducato suddiviso in 792 feudi. 57 I castra erano insediamenti fortificati creati per ragioni militari; i casali, invece, si configuravano come nuclei insediativi rurali aperti, dediti alla produzione agricola, come precisa: R.Licinio, Castelli Medievali. Puglia e Basilicata: dai Normanni a Federico II e Carlo I d’Angiò, Edizioni Dedalo, Bari, 1994, p.49, p.57.

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Se la costituzione di tali realtà extraurbane possono spiegare la nascita delle masserie, tuttavia non può essere trascurato il ruolo che ebbero anche i vari ordini religiosi nella formazione di questi organismi. Essi costituirono, infatti, sul territorio pugliese delle proprietà di grandi dimensioni e svolsero una forte attrazione per i pastori ed i contadini. I monasteri si configurarono quindi come il primo embrione di molte comunità rurali ed influirono nella costituzione di strutture idonee alla gestione delle attività agricole e zootecniche58. Secondo provvedimento che può considerarsi determinante nella nascita delle masserie è l’istituzione della “Regia Dogana per la mena delle Pecore” 59. Essa fu fondamentale nello stabilire una netta differenziazione dell’organizzazione agricola nelle campagne pugliesi. Tale sistema, voluto nel 1443 da Alfonso V d’Aragona, avendo come obbiettivo principale quello di assicurare introiti maggiori all’istituto del Regio Fisco60, non distingueva più tra le terre di proprietà privata e quelle di proprietà statale. Ciò andava a discapito degli agricoltori, i quali potevano ormai dedicarsi alle attività agricole esclusivamente su porzioni limitate di superficie coltivabile. La Regia Dogana portò alla creazione delle cosiddette masserie-posta, ossia strutture di ricezione per le pecore ed i suoi pastori, i quali accompagnavano le greggi dalle regioni limitrofe lungo i pascoli pugliesi durante i mesi invernali. Inizialmente tali organismi presentavano caratteristiche molto semplici e venivano collocati in prossimità di masserie o conventi dediti alle attività agricole, affinché potessero fornire acqua e foraggio agli animali. Dal 1500 in poi, cominciarono invece a costruirsi vere e proprie fabbriche per la lavorazione dei prodotti caseari, affiancate ai ricoveri per gli animali ed alle abitazioni per i pastori. La transumanza fu l’elemento determinate nella differenziazione tra le masserie rivolte esclusivamente alla posta delle pecore e le masserie dedite alle attività agricole61. Questa netta distinzione rimase in vigore fino al XIX secolo, quando in seguito all’abolizione della regia Dogana di Foggia tali strutture cominciarono ad assumer funzioni diversificate e ciò determinò un miglioramento stesso dell’agricoltura pugliese. 62 58

L. Mongiello, cit., pp.21-22. Ivi, cit., pp.11-13. 60 R.Licinio, Uomini e terre nelle Puglia Medievale, Dagli Svevi agli Aragonesi, Edizioni dal Sud, Bari, 1983, p.173. 61 L. Mongiello, cit., p.34. 62 Ibidem, cit. Il sistema della Regia Dogana per la mena delle pecore rimase in vigore per oltre quattrocento anni in quanto assicurava delle entrate rilevanti allo stato. A partire dal 1734 grazie alle pressioni degli economisti del 59

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Due ulteriori avvenimenti63 contribuirono ad arricchire il numero delle masserie. Il primo va collocato tra il 1600 ed il 1690, quando la grande diffusione delle colture legnose come la vite, l’olivo ed il mandorlo portò alla diffusione di una tipologia di masserie più adatta alla lavorazione di tali prodotti. Il secondo, invece, tra gli ultimi decenni del Settecento ed i primi del Novecento, coincise con la scelta di una parte della borghesia, in particolare quella dotata di uno spirito più imprenditoriale, di trasferirsi in campagna e dedicarsi in modo attivo all’agricoltura. Tale decisione comportò la creazione di ulteriori masserie contraddistinte rispetto alle altre da fabbricati abitativi più eleganti. La presenza della borghesia imprenditoriale sui luoghi di produzione ebbe delle ripercussioni positive per l’agricoltura pugliese, che vide incrementati i propri redditi.

2.4. Le tipologie di masserie fortificate. Le forme architettoniche delle masserie sono fortemente legate alle funzioni operative per cui sono state pensate ed al contesto territoriale all’interno del quale si trovano. Per le masserie più antiche è emerso però che le loro strutture risultano essere ideate soprattutto per soddisfare bisogni difensivi, prima ancora che produttivi64. Questo aspetto si spiega con l’isolamento di questi organismi architettonici, i quali posti anche a molti chilometri dai centri urbani dovevano offrire delle garanzie di sicurezza ai suoi lavoratori e quindi proprio per tale ragione presentavano elementi difensivi accentuati. Ai fini di una suddivisione tipologica è necessario precisare che non vi è alcuna differenza tra le masserie fortificate e le masserie non fortificate. Le prime possono essere considerate infatti come delle astrazioni concettuali delle seconde65, in quanto queste ultime proprio per definizione dovevano essere dotate di elementi difensivi, essendo collocate in territorio extraurbano. La complessità delle costruzioni difensive ovviamente presentavano delle variazioni a seconda del luogo ove la masseria si trovava e quindi è più facile riscontare dei baluardi Regno di Napoli su Carlo III prima e su Ferdinando IV di Borbone poi, furono riviste le quantità di superfici destinate al pascolo delle Regia Dogana. Dal 1790 vennero abolite alcune masserie-poste e si incentivò un uso diversificato del suolo. Il sistema della Regia Dogana venne abolito definitivamente nel 1806 durante la dominazione francese. 63 L. Mongiello, cit., p.13. 64 Ivi, cit., p.35. 65 Ivi, cit., p.37.

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più attrezzati in prossimità delle fasce costiere, da cui spesso partivano le scorrerie nemiche. Peculiarità di molti di questi organismi è che, in molti casi, si sono costituiti riutilizzando elementi difensivi gia presenti sul territorio, quali resti di antichi casali, mura difensive e torri di avvistamento66. Molteplici sono le masserie nel Salento ed ognuna di esse è portatrice non solo di significati diversi, ma anche di una porzione di storia della realtà umana e del contesto storico-geografico in cui si è sviluppata. Le masserie si sono evolute nel tempo, hanno subito modifiche dei loro elementi durante epoche differenti e secondo gli usi che ne facevano i loro abitanti. Fino agli inizi del XX secolo hanno svolto un ruolo importante nel contesto socio economico di tutta la regione pugliese, rimanendo punti di riferimento all’interno del territorio. Nonostante una classificazione comporti un assottigliamento della peculiarità di queste strutture, si individuano le seguenti casistiche generali67:

I. Masserie con uno o più corpi di fabbrica senza torre e senza recinto; II. Masseria con torre; III. Masseria con recinto senza torre; IV. Masseria con recinto e torre; V. Masseria castello.

Nel Salento tendono a prevale soprattutto due tipologie di masseria, quella con torre e quella con recinto e torre. In alcuni casi sono state proprie delle torri di avvistamento a costituire il nucleo iniziale della masseria, sviluppatasi poi in diversi fabbricati; in altre circostanze invece la torre ha svolto proprio la funzione di corpo principale dell’intero organismo68. Quello che rende unica ogni masseria è la presenza di spazi organizzati in modo differente, funzionali a soddisfare le necessità di tale struttura e gli obbiettivi pratici della produzione.

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L. Mongiello, cit., p.39, p.335. G. Fuzio, Le masserie fortificate di Puglia in R. De Vita (a cura di), Castelli torri ed opere fortificate di Puglia, Editoriale Adda, Bari, 1974, cit., p.335. 68 Ivi, cit., p.342. 67

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Figura 8. Nella masseria Giudice Giorgio in territorio di Porto Cesareo spiccano gli elementi difensivi quali la torre ed il recinto. (Fonte: Comune di Porto Cesareo).

Gli ambienti 69che generalmente si ritrovano all’interno di esse sono però abbastanza simili e si suddividono in: a) spazi residenziali: differenti a seconda che appartengano al proprietario, al massaro, al custode, ai contadini, ai salariati stagionali oppure ai pastori; b) spazi per i servizi generali utili alla sussistenza: cisterne, forno, cucina, cappella; c) spazi per il deposito degli attrezzi da lavoro: aratri, finimenti e bardature, carri agricoli, carrozze; d) spazi per la conservazione delle derrate alimentari prodotte: granai, cisterne per il grano, cisterne per l’olio, foraggiere-fienile e cantina; e) spazi adibiti agli animali: stalle per equini, stalle per bovini, stalle per suini, stalle per ovini, stalle per gallinacei e colombaie;

69

L. Mongiello, cit., p.41.

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f) spazi funzionali alla lavorazione dei prodotti agricoli: trappeto per la macina delle olive, palmento e aia; g) spazi funzionali alla lavorazione dei prodotti dell’allevamento: caseificio ed essiccatoio dei formaggi.

Figura 9. Masseria “La Zanzara” in territorio di Porto Cesareo: scorcio interno (Foto dell’Autore).

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CAPITOLO III TORRI COSTIERE E MASSERIE FORTIFICATE NEL TERRITORIO

3.1. Il ruolo delle torri costiere e delle masserie fortificate nella trama insediativa del Salento. Nel passato torri costiere e masserie fortificate si qualificavano come elementi identitari all’interno del paesaggio salentino. Entrambi erano dei segni evidenti che conferivano una senso ai luoghi dove si trovavano. Nonostante la perdita di tale simbologia, ancora oggi lungo le coste, le torri si innalzano maestose ad intervalli di pochi chilometri e contribuiscono con le loro forme a dotare i tratti litoranei di una propria peculiarità, favorendone, quindi, un’immediata riconoscibilità. Nelle loro architetture, prive di una ricerca di estetismi superflui, è decifrabile la funzione per cui furono pensate. Ogni torre rappresenta un segno70 unico all’interno del paesaggio, il quale può essere letto ed interpretato. Tale interpretazione, però, non può ridursi all’analisi esclusiva di ogni manufatto in sé, ma deve valutare la funzionalità ed il significato che ognuno di essi assume in quanto parte di un insieme complesso, che attribuisce loro una precisa collocazione spaziale71. Per questo la catena di torri costiere va considerata come espressione di un progetto difensivo sull’intero territorio del Salento, frutto di un determinato contesto storico e geografico. Una proposta di tale portata ha svolto una influenza notevole anche sul rafforzamento difensivo delle architetture dell’entroterra salentino, come le masserie, le quali potenziarono ulteriormente gli elementi atti a garantire la sicurezza dei propri lavoratori. Anche queste sono da considerarsi come segni identitari, ma a differenza delle torri che svolgevano esclusivamente un ruolo difensivo, tali strutture vanno interpretate come testimonianze concrete del rapporto secolare instauratosi tra l’uomo ed il territorio. Infatti, esse erano distribuite in modo strategico ed equilibrato all’interno della penisola salentina, per ricavare la massima capacità produttiva dallo sfruttamento delle terre, senza però

70 71

A. Vallega, Geografia culturale: luoghi, spazi, simboli, Utet Libraria, Torino, 2003, p.63. E. Turri, Il paesaggio come teatro, Marsilio Editori, Venezia, 1998, cit., p.162.

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depauperarle72. Ogni masseria si configurava quindi come nodo di una rete complessa appositamente concepita sia per l’utilizzazione agricola del suolo, sia per l’allevamento del bestiame73. La presenza di due reti, quella delle torri costiere e quella delle masserie fortificate, spingono ad indagare delle interazioni avvenute tra di esse e a riflettere sulla loro importanza nell’assetto territoriale del Salento. In particolare, l’organizzazione spaziale odierna può essere spiegata attraverso le scelte politiche ed economiche effettuate durante la dominazione normanna ed aragonese, le quali affidarono alle strutture masserizie e agli elementi difensivi un ruolo primario nella gestione del territorio. I normanni, infatti, gestirono la pianificazione paesistica con il preciso intento di realizzare un accentramento amministrativo, per salvaguardare il potere centrale, a discapito delle influenze baronali locali. E’ in questo quadro che si spiega la scelta della frammentazione del territorio in numerosi feudi e la costruzione di presidi militari sia all’interno dei centri urbani sia nelle campagne. Le principali città vennero dotate di un castello, mentre insediamenti minori vennero potenziati da elementi difensivi, assumendo le sembianze di villaggi fortificati. In essi la forza militare fungeva da rappresentanza della dinastia regnante e quindi aveva il compito di placare eventuali fazioni emergenti. Quello che i normanni costruirono nel Salento fu un vero e proprio reticolo militare, che comprendeva le città74 di: Ostuni, Carovigno, Taranto, Oria, Mesagne, Brindisi, San Vito dei Normanni, Avetrana, Erchie, Otranto, Gallipoli, Soleto, Ugento, Torre S.Susanna, Leverano, Campi Salentina, Lecce, Nardò, Galatina, Galatone, Castro, Acqurica del Capo, Alessano e Santa Maria di Leuca. Tale tipo di operazione incise fortemente nella trasformazione del paesaggio rurale in quanto sconvolse i preesistenti equilibri demografici delle campagne. La presenza di presidi militari sicuri all’interno del territorio costituì una forte attrazione per tutte quelle piccole realtà agricole prive di ogni difesa, soprattutto nel momento in cui le tensioni tra i feudatari si trasformarono in aperti conflitti. I piccoli villaggi preesistenti,

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L. Mongiello, cit., pp.9-10. Ivi, cit., p.51. 74 R. Licinio, Castelli Medievali, pp.307-308. 73

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collocati in aperta campagna, finirono così per spopolarsi ed i suoi residenti trovarono rifugio all’interno dei borghi fortificati o nelle loro immediate vicinanze75. Il processo di accentramento demografico riguardò principalmente l’area nord occidentale del Salento, mentre non portò ad una sostanziale trasformazione nel Salento delle Serre. Codesta zona rimase, infatti, organizzata in piccoli agglomerati rurali funzionali ad uno sfruttamento sostenibile dell’acqua. Questa particolarità fa comprendere che le scelte politiche dei governanti trovarono un vero e proprio limite nella struttura geografica del territorio76. I normanni, sempre nell’ottica dell’accentramento amministrativo, cercarono di consolidare la propria autorità rafforzando le posizioni del clero latino attraverso le assegnazioni di casali, chiese e terre. Tali concessioni contribuirono notevolmente alla crescita della feudalità ecclesiastica, la quale svolse un ruolo notevole nel plasmare l’assetto del territorio77; difatti presso parrocchie e monasteri posti spesso in aperta campagna, finivano per costituirsi insediamenti umani. Questo tipo di organizzazione territoriale venne perseguita anche durante la reggenza della dinastia degli Svevi e degli Angioini. Per comprendere l’importanza che ebbe tale sistema di fortificazioni è necessario considerarlo come espressione di un progetto più ampio di gestione ed uso del suolo, che comportava anche la creazione ed il potenziamento delle strutture produttive. Castelli, villaggi fortificati, ma anche presidi di soldati in aperta campagna, risultarono essere indirettamente funzionali allo valorizzazione del territorio78, in quanto producevano un domanda crescente di prodotti alimentari. I villaggi agricoli ed i complessi rurali diventarono quindi poli produttivi indispensabili a soddisfare le richieste dei centri fortificati e della città. Analizzando la loro disposizione nel territorio, si capisce immediatamente la stretta dipendenza con i nuclei urbani più popolosi, in quanto risultavano predisposti in modo strategico intorno ad essi. Oggi tali realtà, nel passato semplici casali79, hanno assunto la fisionomia di centri urbani di piccole e medie dimensioni. Intorno all’area di Taranto i casali dipendenti erano: Pulsano,

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M.A. Visceglia, Territorio, feudo e potere locale. Terra d’Otranto tra Medioevo ed Età Moderna, Guida Editori, Napoli, 1988, cit., pp.42-52. 76 Ivi, cit., p.50. 77 Ivi, cit., p.37. 78 R. Licinio, Castelli Medievali, cit., p.146. 79 M.A. Visceglia, p.175, p.210.

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Leporano, Fragagnano, Maruggio, Monacizzo, Grottaglie, Lizzano, Carosino, San Marzano, Faggiano, Rocca e Torricella. Gravitanti invece intorno all’area di Brindisi e Lecce erano: San Pancrazio Salentino, Latiano, Torchiarolo, Cellino San Marco, San Pietro Vernotico, Squinzano, Campi Salentina, Trepuzzi, Surbo, S.Maria de Novi, Carmiano, Acquarica, Pisignano, Arnesano, Monteroni, Lequile, San Cesario, San Donato, Galugnano, Cavallino, Merine, Struda, Lizzanello, Vernole, Martignano, Vanze, Melendugno, Caprarica, e Castrì. Nella parte meridionale della penisola vi erano invece 31 micro-villaggi, tra i quali i più popolosi erano: Ruffano, Specchia dei Preti, Misciano, Andrano, Presicce, Salve, Acquarica del Capo, Morciano, Tricase, Alessano, Gagliano, Patù e Castrignano del Capo. A completamento delle trama insediativa, disposte nel territorio tra casali agricoli e centri urbani, vi erano numerose masserie, le quali rappresentavano il centro logistico di tutte le attività rurali, dedite in particolare alla cerealicoltura. Le presenza di masserie sul territorio si spiega soprattutto attraverso l’impegno politico dei regnanti. Infatti, le politiche Sveve durante il regno di Federico II puntarono a rendere lo stato un agente attivo e privilegiato80 nella gestione del settore produttivo e portarono a numerosi provvedimenti mirati a tutelare l’economia regionale. La conduzione statale nell’ambito della produzione agricola venne attuata attraverso la creazione di una rete di masserie regie, dislocate in tutto il territorio pugliese. Il buon funzionamento di queste aziende agricole e la commercializzazione dei loro prodotti richiese un notevole impegno organizzativo, giustificato dal fatto che tali strutture dovevano prefigurarsi come un modello esemplare per tutte le altre masserie. In seguito, durante l’epoca di Carlo I d’Angiò il sistema della masserie statali venne riorganizzato al fine di apportare un miglioramento alle strutture produttive; furono ottimizzati gli strumenti lavorativi, aumentati il numero di capi di bestiame ed inoltre venne avviata una prima diversificazione della produzione attraverso l’introduzione del vigneto81. L’impegno dell’ente statale all’interno del settore produttivo appariva quindi rilevante; le masserie si configurarono come grandi produttrici di beni, quali grano, orzo, legumi, carni, cacio, ricotta e pelli. Tali strutture assunsero quindi un ruolo primario nella creazione di ricchezza per l’intera regione e diventarono motori di sviluppo per tutto il territorio. Gli 80 81

R. Licinio, Uomini e terre nella Puglia Medievale,cit.,p.125. Ivi, cit., p.139.

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introiti derivanti dalla commercializzazione dei prodotti, non sempre venivano reinvestiti per il miglioramento delle strutture agricole e questo costituì l’unico limite delle politiche statali82. Fino al XIV secolo l’agricoltura salentina fu caratterizzata prevalentemente da coltivazioni a cerealicoltura estensiva e da colture specializzate viticole ed olivicole; l’allevamento transumante, benché venisse già praticato in alternanza alle coltivazioni, non conosceva ancora quella diffusione che invece lo avrebbe interessato durante la dominazione aragonese e nei secoli successivi. Furono le scelte politiche ed economiche di Alfonso V di Aragona ad incoraggiare la crescita dell’allevamento ovino in tutta la Puglia, in considerazione anche dello sviluppo che tale settore aveva conosciuto in tutta l’area mediterranea83. Poiché le terre statali, risultavano ormai sottoposte ad una forte privatizzazione da parte dei feudatari locali, l’iniziativa pubblica cercò immediatamente di porre rimedio a tale situazione. Con la riorganizzazione delle Regia Dogana di Foggia per la mena delle pecore si attuò un cambiamento radicale, che rivalutò notevolmente il protagonismo della burocrazia statale in campo economico. Le tasse derivanti dalla regolamentazione della pastorizia costituirono infatti un flusso di denaro costante che andava ad incrementare i fondi del Regio Fisco, i quali poterono essere in parte reinvestiti per il miglioramento delle attività zootecniche. Ed è in questo quadro che si spiega la decisione di istituire, lungo i percorsi per le greggi, delle apposite strutture attrezzate, le masserie-posta84, le quali offrivano tutti i servizi necessari per il pascolo e la lavorazione dei prodotti d’allevamento ovino. L’importanza di questo provvedimento, oltre ad aver sancito una suddivisione tipologica delle strutture masserizie, ci fa comprendere il ruolo trainante svolto da tali complessi rurali, in rapporto anche alla trama insediativa del Salento. Le masserie per le pecore, infatti, grazie a tali scelte politiche diventarono nodi fondamentali all’interno del territorio, contribuendo al suo sviluppo economico. I loro fabbricati accoglievano numerosi capi di bestiame85 i quali muovendosi lungo i tratturi

82

R. Licinio, Uomini e terre nella Puglia Medievale, cit., pp.133-134, p.140. Ivi, cit., p.169. L’incremento dell’allevamento ovino si spiega anche attraverso l’aumento della domanda e dei prezzi delle lane. 84 L. Mongiello,cit., pp.11-13, pp.30-31. 85 Ivi, cit., p.30. I capi di bestiame transumanti erano 1.700.000 nel 1474, 3.000.000 nel 1574; 2.000.000 nel 1610; 950.000 nel 1815. 83

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della Puglia, raggiungevano le terre del Salento meridionale 86. In esse si producevano tutti quei prodotti alimentari che venivano poi introdotti nel mercato locale e costituivano risorse essenziali per il sostentamento dei centri urbani limitrofi. Fino alla abolizione della Regia Dogana di Foggia, avvenuta nei primi decenni dell’Ottocento, ogni masseria di posta diventava un vero e proprio fulcro di sviluppo economico per il territorio in cui era localizzata. E’ necessario comunque precisare che nel Salento, come in altre aree della Puglia, continuavano a sussistere le masserie da campo87 benché il loro numero era stato notevolmente diminuito a causa della restrizione delle superfici coltivabili; anche tali complessi rurali fungevano ancora da centri promotori dell’economia locale. Decaduta la Regia Dogana di Foggia, la cui esistenza non fu priva di contraddizioni88, le masserie cominciarono ad assumere una configurazione polifunzionale, svolgendo contemporaneamente sia attività agricole che zootecniche. Qualificandosi ancora come elementi di riferimento all’interno del paesaggio agrario, fino alla prima metà del Novecento costituirono i motori della produzione rurale del Salento89. Tali strutture, quindi, per oltre quattro secoli sono stati gli apparati funzionali del settore agricolo ed inevitabilmente ciò ha fatto assumere loro una spiccata connotazione simbolica. Costituendo il luogo fisico dove si svolgevano molteplici operazioni pratiche fondamentali per la sussistenza, esse sono diventate espressione di quello stile di vita contadino che ha contraddistinto per centinaia di anni queste terre. Esse sono state per tutto questo tempo degli agglomerati di vita all’interno delle immense campagne salentine, nelle quali intere generazioni di uomini e donne hanno duramente lavorato. La terra stessa è stata un simbolo per i tutti i salentini, in quanto la sopravvivenza giornaliera dipendeva da quei prodotti che da essa si ricavavano.

86

L. Mongiello, cit., p.30, p.336. Attraverso il tratturello del Martinese le greggi giungevano fino Manduria, Avetrana, Salice Salentino, Casarano e Ruffano. 87 R.Licinio, Uomini e terre nella Puglia Medievale, cit., p.170. Lo Stato consentiva la coltivazione nelle terre e nelle masserie di “portata”, in particolare di cereali, secondo una rotazione quadriennale che prevedeva due anni consecutivi di coltivazioni a cerealicoltura e i due successivi di riposo del terreno, con l’obbligo di fare pascolare le greggi della Dogana. 88 Ivi, cit, p.170, p.174, pp.179-180. La Regia Dogana diede un impulso positivo all’intera economia pugliese, ma allo stesso tempo innescò delle forti contraddizioni sociali; essa, infatti, sostenendo esclusivamente la pastorizia, in virtù degli ingenti introiti economici per lo Stato, restrinse notevolmente gli spazi destinati alle coltivazioni, contribuendo così ad un impoverimento della masse di contadini, ad un arretramento del settore agricolo ed ad una modificazione del paesaggio agrario e sociale della regione. 89 L. Mongiello, cit., p. 10. L’autore ritiene che, tra il 1820 ed il 1915, la rete delle masserie abbia funzionato al meglio sia in campo agricolo che zootecnico.

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Le masserie diventano quindi portavoci di quest’ultima simbologia, in relazione alla quale si caricano di molteplici significati. L’attaccamento al proprio territorio, il senso della famiglia, ma anche le fatiche della campagna e l’asperità della vita, sono solo alcuni esempi di quei valori che possono condensarsi all’interno di tali strutture, ma che bastano ad individuare in esse delle componenti fondamentali dell’identità salentina. Valutato il ruolo delle masserie all’interno del territorio, risulta di più facile comprensione la scelta di dotare le coste di una catena di torri di avvistamento. Tale rete di edifici, pensata dallo stesso Alfonso V e poi realizzata nei decenni successivi al suo regno, va analizzata nel quadro del sistema difensivo salentino. Infatti, essa interagiva direttamente con la rete delle masserie ed allo stesso tempo con la trama degli insediamenti urbani. Le torri erano funzionali sia nell’allertare gli abitanti degli aggregati rurali, sia le popolazioni dei centri urbani e quindi il loro buon funzionamento garantiva la sicurezza dell’intera penisola salentina e delle sue genti. Benché numerose torri furono realizzate per iniziativa privata, la maggior parte vennero finanziate attraverso fondi statali, al fine di creare una vera e propria catena ininterrotta. In tale scelta si nota quindi l’emergere di un vero e proprio programma politico ben più ampio, in quanto l’intero progetto non si limitava a tutelare esclusivamente le coste, ma puntava a salvaguardare i siti produttivi dell’entroterra. Anche in questo senso, si spiega il rafforzamento delle masserie con elementi difensivi più adatti a rispondere agli attacchi dei saccheggiatori, a tal punto da far attribuire loro la denominazione di masserie fortificate. Essendo questa la volontà politica dei regnanti, la torri si facevano carico di una nobile funzione e divenivano garanti della sicurezza del Salento. Guardiane protese sul mare, le torri diventarono sicuramente elementi verso le quali indirizzare lo sguardo nei momenti di maggiore incertezza. Attraverso i segnali di allerta, esse salvarono indubbiamente numerose vite umane e proprio per questa ragione non possono considerarsi solo dei semplici manufatti in pietra. Questi edifici si caricarono quindi di forti significati, perché si fecero sostenitori sia del valore della vita, sia di quello della terra, dalla quale i salentini ricavavano i prodotti necessari alla propria sopravvivenza. Le torri, così come le masserie, diventarono quindi un simbolo all’interno del territorio, perché testimonianze concrete del consumarsi dell’esperienza umana, la quale attraverso di esse ha lasciato una traccia del proprio passaggio.

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Figura 10. Torri e masserie nell’area di Taranto (Fonte: http://maps.google.it/).

Figura 11. Torri e masserie nell’area di Brindisi (Fonte: http://maps.google.it/).

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Figura 12. Torri e masserie nell’area di Lecce (Fonte: http://maps.google.it/).

Figura 13. Torri e masserie nell’area di Nardò (Fonte: http://maps.google.it/).

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Figura 14. Torri e masserie nell’area di Gallipoli (Fonte: http://maps.google.it/).

Figura 15. Torri e masserie nell’area di Otranto (Fonte: http://maps.google.it/).

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Figura 17. Torri e masserie nella Regione del Capo (Fonte: http://maps.google.it/).

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3.2. Funzione e significato delle torri costiere e delle masserie fortificate nella società attuale. Torri costiere e masserie fortificate hanno contribuito a definire l’identità salentina, sancendone la sua individualità storica e culturale. Esse sono state nel passato, più che oggigiorno, veri e propri punti di riferimento per tutti i salentini, presentandosi come segni ricchi di significato all’interno del territorio. Purtroppo, benché in epoche diverse, hanno conosciuto un progressivo abbandono, il quale ha sminuito il valore simbolico che la collettività le riconosceva. La maggior parte delle torri costiere caddero in disuso già sul finire del Settecento, quando ormai la minaccia turca e le scorrerie di corsari e pirati non rappresentavano più un reale pericolo. Nell’Ottocento vennero utilizzate per il controllo anticontrabbando delle coste, mentre durante i due conflitti mondiali divennero posti di guardia per i soldati. La maggior parte di esse conobbe quindi un repentino deterioramento, il quale risultò anche accentuato proprio dalle azioni belliche90. Le masserie fortificate e non fortificate, invece, costituivano ancora nella prima metà del Novecento entità produttive molto attive e si configuravano come elementi fondamentali nell’ambito dell’economia locale. Tale connotazione è andata però smarrendosi soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, quando l’Italia visse un forte sviluppo industriale che favorì l’accentramento della popolazione in grossi nuclei urbani. Benché i cambiamenti portati dall’industrializzazione e dal boom economico furono ben diversi nel Mezzogiorno rispetto a molte altre parti di Italia, anche nel Salento se ne percepirono gli effetti. Lo svuotamento delle campagne, che si inserisce nel quadro più ampio di una forte crisi agraria91, portò ingenti masse di lavoratori a migrare nelle realtà urbane del nord o nei poli industriali della propria regione. Ciò favorì inevitabilmente non solo una forte rottura nelle dinamiche produttive locali, ma anche delle ripercussioni di tipo culturale per intere classi

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M.L. Troccoli Verardi, cit., p.229. M.S. Quarta, Recupero delle masserie pugliesi per la valorizzazione culturale dello spazio vissuto, in C. Caldo (a cura di), “AGEI – Geotema, Geografia e beni culturali”, II (1996), n.4, gennaio-aprile, Pàtron Editore, Quarto Inferiore- Bologna, cit., p.131. La Riforma Fondiaria nel decennio 1950-1960 e le bonifiche delle aree paludose favorirono lo smembramento del latifondo, contribuendo al declino del sistema economico e sociale sul quale si basavano le masserie. 91

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sociali92. I tradizionali stili di vita, costruiti sul faticoso rapporto secolare con la terra, vennero in parte soppiantati da nuovi modelli che offrivano apparentemente un futuro migliore, attraverso prospettive lavorative nell’industria. Conseguenze di questo cambiamento socio-culturale furono un indebolimento del legame con il proprio territorio ed uno svuotamento simbolico di quei manufatti che per secoli erano stati centri organizzatori del mondo rurale. Nei decenni successivi l’evoluzione dell’agricoltura grazie alla diffusione crescente di mezzi meccanizzati e di nuove tecnologie, non fece che accentuare la disgregazione dell’antico legame tra la campagna e la città. L’industrializzazione di tale settore, portò inevitabilmente ad organizzare il paesaggio agrario salentino secondo canoni diversi e ciò comportò l’utilizzo di strutture produttive più moderne e funzionali a soddisfare le nuove esigenze. Per tali ragioni le masserie conobbero un progressivo abbandono e con il tempo divennero elementi sempre più estranei al proprio territorio93; la maggior parte cadde in uno stato di avanzato degrado. Quelle che, invece, potevano essere riutilizzate nell’ambito dell’agricoltura moderna vennero sostanzialmente modificate nella loro struttura, perdendo così il loro valore storico ed architettonico. Per spiegare l’abbandono sia delle torri costiere, sia delle masserie è possibile trovare una causa comune: la perdita di funzionalità. In entrambi i casi, infatti, le due tipologie di manufatti diventarono elementi privi di significato nel momento in cui persero la funzione per cui erano state create. Non potendo più adempiere a determinati compiti, esse vennero abbandonate dalla popolazione. La decadenza della funzione corrispose quindi al disuso di questi edifici, i quali lasciati privi di una manutenzione costante, conobbero una lento ed inesorabile deterioramento. Questa situazione ha portato anche ad un loro svuotamento simbolico e ciò è da considerarsi un fatto gravissimo in quanto torri e masserie sono elementi architettonici rappresentativi della cultura contadina passata e costituiscono una testimonianza storica concreta del processo di difesa e di antropizzazione del territorio94. Esse vanno quindi

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V. Persichella, Le trasformazioni della società dal secondo dopoguerra agli anni Novanta, in A. Massafra, B.Salvemini, cit., p.152. 93 M.S. Quarta, Riqualificazione ambientale e conservazione dei beni culturali nel Salento in M. Mautone (a cura di), I Beni culturali: risorse per l’organizzazione del territorio, Pàtron Editore, Bologna, 2001, cit., p.450. 94 M.S. Quarta, Recupero delle masserie pugliesi per la valorizzazione culturale dello spazio vissuto, cit., p.132.

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stimate come beni culturali da valorizzare, in quanto conservano in sé i segni di quello stile di vita contadino, che ha caratterizzato il Salento tra il secolo XI ed il secolo XX. Tali edifici assumono, inoltre, un valore aggiunto se si pensa al ruolo che hanno avuto nella costruzione della rete insediativa salentina, ponendosi come nuclei iniziali di molti centri abitati. Per queste ragioni, enti pubblici e privati perseguono già in parte il loro recupero e riutilizzo95. Durante operazioni di questo tipo è necessario comprendere che le torri e le masserie per tornare ad essere nuovamente forti componenti simboliche all’interno del territorio, devono obbligatoriamente riacquistare una nuova funzione in base al contesto geografico ed economico in cui si trovano. Affinché la collettività ed in particolare la popolazione più giovane, riesca nuovamente a percepire tali luoghi non solo come segni di una civiltà trascorsa, ma anche come simboli del presente su cui costruire la propria identità, questi devono tornare ad essere degli spazi vissuti. Sarà quindi il nuovo uso attribuito ad una masseria o ad una torre a dimostrarsi quale vero fattore determinante nella riappropriazione simbolica dell’edificio da parte della popolazione, contribuendo così ad un rafforzamento del rapporto tra realtà urbana e rurale. A seguito di un’azione di recupero, quello che dovrà emergere è il valore culturale in loro condensato il quale, trascendendo il restauro architettonico in sé, avrà il compito di rinnovare la semanticità del luogo all’interno della rete territoriale. Se questi manufatti riusciranno nuovamente a diventare degli spazi fruibili per l’intera comunità, ponendosi soprattutto come fattori di sviluppo e promozione sia per l’economia locale, sia per il patrimonio ambientale salentino, le persone comprenderanno nuovamente la loro importanza ed il loro significato. Quindi, torri e masserie riacquisteranno la loro simbologia e saranno guardati con orgoglio da tutti i cittadini, i quali in essi vedranno non solo un segno del laborioso passato contadino, ma anche un segno del presente, espressione della volontà politica di valorizzare il territorio salentino, le sue risorse e la sua economia. Tali entità torneranno così ad essere sia elementi dinamici nello spazio, sia testimonianze viventi del rapporto secolare tra l’uomo e la campagna. Solo in questi termini si realizzerà una riappropriazione simbolica, determinante nell’assicurare la riscoperta ed il rafforzamento di quel legame, troppo spesso trascurato, con le proprie radici storiche. Ciò faciliterà un consolidamento dell’identità salentina 95

La Legge Regionale n 34/1985 attraverso la promozione degli “Interventi a favore dell’agriturismo”, ha cercato di incentivare il recupero delle masserie.

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attuale, la quale, guardando al passato, troverà dei punti di riferimento concreti sui quali costruire il presente ed il futuro; così facendo si realizzerà una continuità storica nel rapporto tra il territorio e le sue genti. La scelta della nuova funzione che torri e masserie dovranno acquisire, a seguito di una restaurazione, va perciò ponderata con molta attenzione. Questo perché, se la destinazione d’uso individuata non risulterà idonea a caricare simbolicamente tali strutture, facendole tornare spazi fruibili e vivibili nel territorio, l’intero intervento di restauro si limiterà ad essere soltanto una opera di mera conservazione.96 L’intento del progetto perderà così di significato e difficilmente tali fabbricati saranno percepiti dalla popolazione come beni collettivi. Inoltre, durante queste azioni di recupero è doveroso attenersi a criteri rispettosi, che non modifichino i caratteri originari degli edifici, in quanto ciò danneggerebbe il loro valore storico ed architettonico, compromettendo la qualità dell’intera operazione. Nell’ultimo decennio in particolare, si sono avviati molti interventi di restauro, che hanno riqualificato numerose masserie ed alcune torri. In molti casi le masserie sono state convertite in aziende agrituristiche, le quali come previsto dalla legge97, devono esercitare principalmente le attività di coltivazione, silvicoltura ed allevamento ed allo stesso tempo possono praticare anche attività complementari di ricezione ed ospitalità. La produzione agricola e zootecnica rimangono quindi ancora l’obbiettivo principale di questo tipo di strutture, le quali devono fornire tutti quei prodotti alimentari necessari alla svolgimento delle attività di ristorazione e di vendita, presenti all’interno del complesso. La masseria torna così ad essere un simbolo nel territorio in quanto diventa nuovamente un luogo dinamico ed attrattivo sia per la popolazione sia per i flussi turistici. Questi ultimi contribuendo notevolmente allo sviluppo dell’economia locale, nobilitano il ruolo semantico della masseria, la quale riassume il ruolo di portavoce degli antichi valori contadini. In tali strutture infatti non è raro trovare locali adibiti alla promozione della cultura rurale e del territorio salentino; in essi sono esposti gli antichi strumenti di lavoro, caduti in disuso in seguito alla meccanizzazione e del materiale informativo che illustra gli stili di vita e le usanze del passato.

96

M.S.Quarta, Recupero delle masserie pugliesi per la valorizzazione culturale dello spazio vissuto, cit., p.134. 97 Legge Quadro Nazionale sull’Agriturismo, n.730 del 5 dicembre 1985.

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Inoltre se l’agriturismo si trova collocato in un’area di pregevole valore ambientale, diviene esso stesso un centro promozionale incentivando, attraverso delle visite guidate, una fruizione responsabile del patrimonio naturalistico circostante. Negli ultimi anni anche le torri di avvistamento sono state oggetto di maggior interesse da parte degli enti locali, i quali hanno compreso che la valorizzazione di queste strutture può contribuire a migliorare l’attrazione turistica costiera. Nonostante la maggior parte delle torri risultano essere inagibili, poiché eccessivamente danneggiate o bisognose di costose opere di manutenzione, alcune di esse hanno invece acquisito nuove funzioni che le hanno qualificate come elementi nuovamente attivi all’interno della trama insediativa. In particolare questo è avvenuto con l’assegnazione di destinazioni d’uso diverse a seconda della disposizione della torre nel contesto geografico98. Considerando le preziosissime risorse naturali presenti lungo le coste salentine, in parte già tutelate dalla istituzione di aree protette, le torri potranno assumere un compito determinate in funzione di esse. Infatti tali strutture, essendo disposte in modo sistematico lungo i litoranei, potranno diventare nei prossimi anni centri preposti alla gestione, alla salvaguardia e alla promozione turistica delle aree in cui si trovano. Inoltre i parchi protetti se verranno organizzati all’interno di un reticolo ambientale 99, troveranno proprio nelle torri dei punti di riferimento a cui guardare per la tutela del territorio. Così facendo questi manufatti riacquisteranno quell’antica funzione a loro assegnata e torneranno a vigilare in modo attivo sulle coste e sull’entroterra, qualificandosi nuovamente come simboli per l’intera collettività. In parte questo obbiettivo è già stato raggiunto con la restaurazione di Torre Lapillo, la quale ergendosi a protezione del territorio dell’Area Marina Protetta e della Riserva Naturale Orientata Regionale della Palude del Conte e duna costiera di Porto Cesareo, si configura come nodo principale di una rete di parchi. Ritengo che tale esperienza deve essere considerata come un modello da cui trarre ispirazione e da contestualizzare in altre aree del Salento dotate di beni naturalistici di valore. 98

Ad esempio: Torre Cesarea presso Porto Cesareo è stata adibita come sede della Guardia di Finanza; Torre Fiume (o quattro colonne) presso S.Caterina è diventata un ristorante; Torre dall’Alto presso Nardò costituisce la vedetta del Corpo Forestale a protezione del parco naturale di Porto Selvaggio; Torre Lapillo nella frazione omonima, è la sede del Centro di Educazione Ambientale di Legambiente. 99 Come parzialmente è gia stato fatto nell’ambito di Natura 2000, rete europea delle aree naturali protette. Si rimanda a: A. Trono, Il ruolo dell’ente pubblico nella gestione/salvaguardia del paesaggio. Il “caso” del Salento leccese in M. Mautone (a cura di), I Beni culturali: risorse per l’organizzazione del territorio, Pàtron Editore, Bologna, 2001, pp.507-513.

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CAPITOLO IV ANALISI DEL CASO: TORRE LAPILLO 4.1. La torre ed il percorso della sua ristrutturazione. Torre Lapillo, un tempo conosciuta come Torre di San Tommaso, colpisce il visitatore per la maestosità e la solidità della struttura. La sua forma connota in modo rilevante le coste di Porto Cesareo (Le), a tal punto che il nome della torre identifica tutta l’area insediativa limitrofa. Torre Lapillo compare sulle carte geografiche ed all’interno dei documenti ufficiali soltanto a partire dal XVII secolo, in particolare su uno scritto del 1635. Ciò fa supporre che sia una torre di epoca tarda100, benché non se ne abbia ancora la certezza assoluta. Essa è collocata all’estremità dell’insenatura dell’Uomo Morto e comunica visivamente a sud con Torre Chianca, mentre a nord con Torre Castiglione101.

Figura 14 Torre Lapillo. (Foto dell’Autore)

100 101

F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele, cit., p.149. Chiamata in dialetto “torre scarrata”, in quanto di essa rimangono soltanto pochi ruderi.

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Per le sue forme la torre è riconducibile alla tipologia della serie di Nardò a base quadrata. Costruita con blocchi regolari di carparo, la sua struttura presenta un basamento troncopiramidale senza aperture, sopra il quale si innesta un tronco parallelepipedo dal lato di 16 metri. L’altezza totale è di 17 metri circa. Non passa inosservata la scala esterna in cemento, costituita da tre arcate; un tempo essa non risultava essere direttamente collegata all’ingresso, come oggigiorno, ma si presentava distante di alcuni metri in corrispondenza dello spazio della terza arcata. Per potere accedere alla torre si utilizzava, infatti, una sorta di ponte levatoio in legno, che veniva abbassato dall’ingresso e poggiato sulle scale; tale sistema aveva lo scopo di rendere inespugnabile l’edificio dall’attacco dei saccheggiatori.

Figura 15. La scala che conduce all’ingresso della torre (Foto dell’Autore)

Secondo alcuni rilevamenti, la torre già nel 1825 risultava essere in cattivo stato, e dal 1842 veniva considerata abbandonata. Come emerge dal censimento delle torri costiere di Terra d’Otranto102 effettuato tra il 1972-1975, nonostante lo stato di conservazione della torre fosse buono, si rendeva necessario una opera di manutenzione generale. Unici interventi già effettuati riguardavano la scala esterna in pietra, la quale era stata ripristinata attraverso un intervento di restauro. 102

F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele, cit., p.149.

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Figura 16. Particolare della volta a botte (Foto dell’Autore)

Il progetto di restauro delle torre, che ha come titolo “Potenziamento delle attività del centro visita di Porto Cesareo mediante il completamento del restauro e dell’adeguamento funzionale della Torre Lapillo” viene inserito all’interno del Programma Operativo Regionale (P.O.R)103 della Regione Puglia per gli anni 2000-2006, che prevede nell’ambito degli interventi indirizzati alle Risorse Naturali, la salvaguardia dei beni ambientali e naturali. La sua sistemazione, come quella di molti altri manufatti presi in considerazione dal P.O.R, soddisfa l’obbiettivo di rendere operative le strutture e le infrastrutture finalizzate alla fruizione compatibile e alla conoscenza delle aree naturali protette. Il progetto di recupero, approvato nell’anno 2003 ed inserito nella graduatoria finale104 del P.O.R, è stato ultimato nel luglio 2005. La torre è stata sistemata e dotata di servizi necessari ed inoltre intorno ad essa è stato costruito un muretto a secco con aiuole e fioriere.

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I Programmi Operativi (PO) sono documenti approvati dalla Commissione Europea che servono per ottenere aiuti economi da investire in diversi settori, al fine di soddisfare le prerogative del Quadro Comunitario di Sostegno (QCS). 104 Si veda il Bollettino Ufficiale della Regione Puglia n.126 del 30-10-2003.

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La gestione della torre è stata inizialmente affidata alla società privata “Vie del Mediterraneo”, la quale si occupava di organizzazione visite guidate ed escursioni in mare. Dal 2007, l’Amministrazione Comunale di Porto Cesareo ha scelto però di delegare tale compito alle associazioni ambientaliste locali, al fine di perseguire al meglio, in collaborazione con loro, la valorizzazione e la fruizione delle risorse ambientali.

Figura 17. Cisterna della torre per la raccolta dell’acqua (Foto dell’Autore)

Figura 18. Turisti che salgono sul tetto della torre, attraverso una scala interna (Foto dell’Autore)

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4.2. L’Area Marina Protetta di Porto Cesareo ed il Centro di Educazione Ambientale. La ricchezza degli ambienti naturali lungo le coste del comune di Porto Cesareo sono note da ormai un cinquantennio, in quanto già nel 1966, il Professor Pietro Parenzan, direttore e fondatore della Stazione di Biologia Marina di Porto Cesareo, aveva messo in evidenza l’esigenza di creare una riserva protetta, vista la ricca biodiversità marina presente lungo i fondali. Nel 1972, tale area, grazie agli studi effettuati dai ricercatori locali, è diventata una zona di riposo biologico, al fine di tutelare le differenti biocenosi scoperte. In seguito alla Legge n.979 del 31 dicembre 1982 sulle “Disposizioni per la difesa del Mare”, Porto Cesareo viene inserita in una lista di 20 area da tutelare per la ricchezza dei suoi beni ambientali105. L’Area Marina Protetta (A.M.P) di Porto Cesareo nasce ufficialmente soltanto nel 1997 attraverso un Decreto del Ministero dell’Ambiente106, con lo scopo di proteggere e promuovere l’ambiente marino, le risorse biologiche e geomorfologiche della zona. La sua gestione è affidata ad un consorzio nato nell’ottobre 2001, denominato “Consorzio di gestione dell’Area Marina Protetta - Porto Cesareo”107 e frutto dell’accordo tra i Comuni di Nardò, Porto Cesareo e la Provincia di Lecce. Il Consorzio dell’Area Marina Protetta attraverso le sue azioni persegue i seguenti obbiettivi: 

Conservazione: la gestione, la protezione ed il controllo ambientale dell’area marina si configurano indispensabili per salvaguardare gli habitat naturali e gli organismi che vivono in essi, soprattutto quelli più fragili;

Ricerca scientifica: lo studio della qualità dell’ambiente e le regolari osservazioni sono fondamentali per stabilire eventuali cambiamenti negli equilibri ambientali, che potrebbero essere causati da agenti esogeni. Le analisi costanti del livello di biodiversità e le attività di ricerca vengono svolte in collaborazione con la stazione di biologia marina di Porto Cesareo mirano ad una conoscenza sistemica dell’area;

Educazione Ambientale: ha lo scopo di sensibilizzare le persone al rispetto del territorio e delle sue risorse. Si articola su più livelli, dagli incontri con le scuole locali, sino a corsi di formazione per gli adulti. La divulgazione delle conoscenze

105

Art.31della Legge n.979 del 31 dicembre 1982. Decreto Ministeriale del 12 dicembre 1997, Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 45, del 24 febbraio 1998. 107 Si veda la Convenzione del Consorzio di gestione dell’Area Marina Protetta di Porto Cesareo. 106

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relative agli ecosistemi costieri e marini quivi presenti si pone come punto di partenza per la costruzione di una maggiore consapevolezza ambientale. La collaborazione con le associazioni ambientaliste locali risulta fondamentale per la realizzazione di queste attività. 

Turismo eco-compatibile: la promozione di uno sviluppo socio economico sostenibile vuole essere uno dei punti cardine dell’area protetta. Le proposte di attività turistiche, configurandosi per i villeggianti come un momento di svago diventano, invece, per gli operatori ambientali un’utile occasione per educare al rispetto degli equilibri ecologici108.

Figura 19. Mappa dell’Area Marina Protetta di Porto Cesareo (Fonte: Consorzio Area Marina Protetta)

L’Area Marina Protetta di Porto Cesareo risulta suddivisa in tre zone che servono a tutelare gli habitat presenti e gli organismi che li popolano, a seconda del loro valore biologico e della loro fragilità. Proprio in base quest’ultimo requisito sono vietate attività che potrebbero risultare dannose per l’ecosistema marino. 108

Gli scopi del Consorzio dell’Area Marina Protetta di Porto Cesareo sono precisati nell’art.2 dello Statuto del Consorzio, sul portale dell’Area Marina Protetta e su quello del Comune di Porto Cesareo.

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Figura 20. Attività consentite e non consentite all’interno dell’Area Marina Protetta (Fonte: Consorzio Area Marina Protetta)

Gli elementi di biodiversità che hanno consentito a tale area di diventare una riserva protetta si ritrovano nell’unicità di alcuni habitat presenti lungo i fondali marini. In particolare sono state scoperte 10 biocenosi, la cui esistenza è determinata da una complessa rete di rapporti tra elementi vegetali ed animali in equilibrio dinamico tra loro. Tra le più interessanti, da tutelarsi anche grazie alla ratifica di convenzioni internazionali109, sono: 

Le praterie di Posidonia Oceanica: è una pianta endemica del mar Mediterraneo, e si trova collocata a 20 metri di profondità lungo i fondali sabbiosi a sud della zona B. Tra l’estate e l’autunno producono fiori e frutti, simili per dimensioni a delle

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In particolare le praterie di Posidonia Oceanica sono salvaguardate: dalla Convenzione di Berna come specie rigorosamente protette; dal Protocollo delle Aree Specialmente Protette e dal Piano d’Azione per la Conservazione della Vegetazione Marina nel mar Mediterraneo contenute nella Convenzione di Barcellona; dalla direttiva CEE n.43 del 21 maggio 1992, che definisce i tipi di habitat naturali di interesse comunitario la cui tutela richiede l’istituzione di aree speciali di conservazione.

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olive. Tali organismi svolgono un ruolo importante in quanto producono ossigeno, evitano fenomeni di erosione dei fondali marini e contribuiscono al mantenimento degli equilibri dell’ecosistema marino. 

Il coralligeno: solitamente le formazioni coralligene si originano a profondità molto elevate e con limitate condizioni di luce. Nell’Area Marina Protetta di Porto Cesareo si trovano invece già a 15 metri di profondità. Benché assomiglino molto ad accumuli di roccia, sono costituite, invece, da numerosi organismi viventi tra i quali spiccano alcune concrezioni calcaree formate da alghe rosse. Esse sono molto importanti in quanto forniscono un luogo di rifugio per molte specie di pesci del mar Mediterraneo.

Le grotte sommerse: frutto del carsismo che ha interessato tutta la penisola salentina, presentano al loro interno delle particolari condizioni termiche e di luce. Questo ha favorito l’insediarsi di speci rare quali: spugne, coralli, crostacei ed invertebrati delle acque profonde110.

L’istituzione dell’A.M.P è stata determinante nella tutela di quelli organismi marini, la cui esistenza risultava quasi compromessa a causa dell’uomo. Il più importante tra questi è il dattero di mare (Lithopagha lithopagha), il quale è un mollusco bivalve dalle piccole dimensioni, che ha rischiato l’estinzione a causa della pesca di frodo111. Esso vive in piccole fessure di rocce calcaree, che scava attraverso secrezioni acide. La rimozione di questa specie ha portato ad un grave impoverimento della biodiversità in quanto esso ha una riproduzione molta lenta. Inoltre, la sua raccolta comportava l’estirpazione di porzioni di roccia sulle quali si trovavano alghe ed altri organismi e ciò contribuiva al generale depauperamento dei fondali marini.

110

Le informazioni relative all’ecosistema della A.M.P sono tratte dal portale dell’Area Marina Protetta e da quello del Comune di Porto Cesareo. 111 La pesca al dattero di mare è vietata sin dal 1988, con decreto del Ministero della Marina Mercantile n.401 del 20 agosto 1988.

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LEGENDA Biocenosi a Caulerpa/Cymodocca Biocenosi a Cymodocca nodosa Biocenosi a Posidonia oceanica Biocenosi a Rodoficee calcaree incrostatati a ricci (RCEO) Biocenosi ad alghe fotofile di moda battuta (RIBP) Biocenosi ad alghe fotofile di substrato duro Biocenosi delle sabbie fini ben calibrate (SFBC) Biocenosi delle sabbie grossolane (SGCF) Coralligeno (C) Precoralligeno (PC) Figura 21. Mappa delle Biocenosi dell’AMP di Porto Cesareo da Torre Lapillo a Torre Squillace. (Fonte: Consorzio A.M.P. Porto Cesareo).

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L’Area Marina Protetta di Porto Cesareo trova all’interno di Torre Lapillo un caposaldo ai fini della sicurezza ambientale. Dall’anno 2007, infatti, l’Amministrazione Comunale di Porto Cesareo ha affidato al C.E.A la gestione della torre. Il C.E.A, Centro di Educazione Ambientale per il coordinamento interassociativo delle associazioni ambientaliste, si configura come un ente sotto il quale si raggruppano le varie realtà ambientaliste locali. In particolare il C.E.A è gestito dalla sezione locale di Legambiente, la quale, in collaborazione con le altre associazioni, promuove il patrimonio ambientale dell’area di Porto Cesareo. La torre è diventata un punto informativo per tutte le iniziative di carattere ambientale ed in essa si organizzano e promuovono visite guidate all’interno dell’Area Marina Protetta. Obbiettivo di questa realtà è quello di incoraggiare un rapporto responsabile e sostenibile nei confronti dell’ambiente, sensibilizzando in particolare i turisti, che durante i mesi estivi affollano le spiagge di Porto Cesareo. Il C.E.A e la torre si definiscono quindi come luogo simbolo all’interno dell’Area Marina Protetta, diventando soprattutto per i villeggianti un riferimento indispensabile. Durante i mesi estivi sono promosse, infatti, numerose attività, quali: visite guidate all’interno dell’area protetta, immersioni con personale qualificato lungo i cosiddetti sentieri blu112 ed attività di pesca turismo su imbarcazioni di pescatori locali. Inoltre la visita al C.E.A diventa una scoperta stessa, in quanto si ha la preziosa occasione di poter conoscere l’interno di una torre e rendersi conto dell’imponenza della sua struttura. I responsabili del C.E.A sono volenterosi nell’illustrare le caratteristiche di tale edificio, non tralasciando di spiegare l’importanza storica della catena costiera di torri ed il suo ruolo fondamentale nel garantire la sicurezza per tutto il Salento. Durante i mesi invernali, il C.E.A organizza invece iniziative didattiche rivolte ai più giovani, in particolare alle scolaresche, ma allo stesso tempo non rinuncia a sensibilizzare l’intera cittadinanza sul valore delle proprie coste. Le torre e le associazioni ambientaliste che la animano, diventano quindi l’anello mediatico tra gli enti pubblici volenterosi nel tutelare l’ambiente ed i fruitori stessi di quest’ultimo, ossia i cittadini ed i turisti. L’incarico assunto dal C.E.A non è semplice, considerato che durante i mesi estivi la popolazione di

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In particolare sono promossi tre itinerari: la visita alle 5 colonne greche del sec. II d.C situate di fronte a torre Chianca, l’osservazione del relitto del Neuralia, imbarcazione inglese affondata durante il secondo conflitto mondiale e diventata rifugio per molti organismi ed infine la scoperta delle numerose grotte sommerse.

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Porto Cesareo quadruplica il numero dei propri abitanti, vivendo situazioni d’affollamento sia lungo le coste, sia per le strade della città. Tale scelta è però da considerarsi come espressione di una nuova coscienza ambientale dell’Amministrazione Comunale e dei suoi abitanti ed in essa si coglie la volontà dei salentini di salvaguardare il proprio territorio. Il ruolo della torre assume una connotazione ancora più rilevante se si analizza la sua funzione non solo nell’ambito dell’Area Marina Protetta, ma anche in quadro ambientale più ampio. Essa diventa infatti il nodo principale di una rete naturale, che comprende oltre alla superficie dell’A.M.P quelle porzioni di coste e di entroterra salentino di notevole valore ambientale. Nelle immediate vicinanze di Porto Cesareo, infatti, si osservano gli effetti del carsismo, il quale ha determinato delle conseguenze notevoli per tutta l’idrografia di questa area. In località Torre Castiglione prevale il cosiddetto paesaggio delle “Spunnulate” che sono doline di crollo prodotte dal cedimento delle volte di grotte sotterranee. Il loro interno risulta spesso riempito da pozze di acqua cristallina, se l’acqua è proveniente da falde, o da acqua salmastra, se sono in comunicazione con il mare. Presso tali ambienti, vi è una vegetazione molto interessante dal punto di vista biologico. Nell’entroterra oltre Torre Castiglione, si trova invece una zona di spiccato interesse naturalistico per l’elevata biodiversità presente, chiamata “La Palude del Conte e duna costiera-Porto Cesareo”, divenuta nel 2006 una Riserva Naturale Orientata Regionale113 e adiacente alla quale si trova una superficie boschiva chiamata “Bosco dell’Arneo”. Grazie all’impegno di Legambiente114, nell’ambito del Progetto SalvaItalia, è stato costituito tra queste due aree il cosiddetto bosco didattico. La Palude del Conte, di oltre 1000 ettari, costituisce una fra le più grandi aree umide del Salento. In essa si ritrovano sorgive di acqua dolce, il cui deflusso verso il mare è stato ostacolato dalla presenza di cordoni dunali; tali condizioni hanno creato un habitat ideale per molte speci animali e vegetali. Adiacente, ma in posizione più rialzata, sorge invece il bosco dell’Arneo, con molti esemplari di Leccio e Pino di Aleppo, tra i quali è possibile scorgere una ricca avifauna. All’interno di questi ambienti è stato realizzato un percorso didattico, il quale parte da un piccolo centro informativo, collocato all’inizio del Bosco dell’Arneo. Il

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E’ necessario precisare che l’area protetta “Palude del Conte-Dune di punta Prosciutto” è stata istituita con Legge Regionale n.5 del 15 Marzo 2006. 114 La Palude del Conte-Bosco dell’Arneo, prima del 2005, versava in condizioni di drastico degrado. Soltanto dopo il 2005, grazie alla campagna “SalvaItalia” promossa da Legambiente, in collaborazione con TIM-Telecom Italia Mobile e con le Istituzioni locali, si è riusciti a dar vita al progetto del bosco didattico.

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sentiero si snoda per sette chilometri ed è provvisto di indicazioni segnaletiche che spiegano al visitatore le caratteristiche delle speci faunistiche e floreali presenti. Vista la presenza di risorse ambientali di interesse così rilevante, sono molte le aspettative che il Comune di Porto Cesareo e gli altri enti istituzionali ripongono nel C.E.A.. Quello che si sta intessendo è un reticolo molto significativo, in quanto in esso la torre viene nobilitata nella sua funzione, configurandosi non solo come punto di partenza per molti itinerari naturalistici, ma soprattutto quale vera garante della protezione delle coste e dell’entroterra115.

4.3. La funzione pratico-simbolica della torre: da torre di difesa dai turchi a torre per la difesa dell’ambiente. Nella struttura di Torre Lapillo è leggibile ancora oggi la funzione per cui era stata pensata. Le sue forme imponenti esprimono la volontà dei signori locali, successori del Conte di Conversano, di tutelare la numerose masserie dell’entroterra neretino, considerate tra le più produttive del Salento116. Questa torre, insieme alle altre della serie di Nardò, ha rappresentato un nodo fondamentale nella rete difensiva, la quale garantiva la sicurezza delle numerose realtà agricole salentine. Tale connotazione specifica, che la qualificava come elemento di avvistamento, si è persa progressivamente durante lo scorrere dei secoli. L’edificio, non più utile a soddisfare il compito per cui era stato progettato, ha conosciuto un progressivo abbandono. La restaurazione di Torre Lapillo e l’affidamento della sua gestione al C.E.A ha rivestito invece tale manufatto di una nuova funzione, non molto differente da quella per cui era stata inizialmente progettata. Essa infatti, se un tempo aveva l’obbiettivo di proteggere l’entroterra e le sue produzioni, oggigiorno ha lo scopo di proteggere l’ambiente e le sue risorse. Nel passato, così come nel presente la funzione della torre è la stessa: la protezione del territorio e delle sue coste. La torre quindi ha recuperato la sua funzione e questo è stato un fatto molto positivo per il benessere dell’intera comunità. Essa esplica ancora oggi il suo ruolo di difesa a tutela della collettività, la quale ne trae molteplici vantaggi. Un centro informativo ambientale, 115

Ai fini della mia ricerca è stata molto utile la visita da me effettuata durante l’agosto 2007 presso il Centro di Educazione Ambientale di Torre Lapillo; ciò mi ha portato a conoscere questa realtà e le iniziative da essa organizzate. 116 F. Bruno, V. Faglia, G. Losso, A. Manuele, cit., p.25.

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collocato all’interno di un monumento così visibile, non può che diventare nuovamente un riferimento per tutti gli abitanti ed i turisti. Essa si fa promotrice di nuovi valori ambientali, i quali proprio in queste zone sono stati spesso trascurati a partire dalla seconda metà degli anni cinquanta, quando l’abusivismo edilizio117 si diffondeva senza freno. Dalla torre, le associazioni ambientaliste riescono a promuovere campagne di sensibilizzazione nei confronti del patrimonio ambientale, il quale è una risorsa indispensabile per la crescita del turismo e dell’economia di queste coste. Tornando ad essere un elemento vissuto all’interno dello spazio, Torre Lapillo riacquista la sua funzione simbolica. Per esperienza personale, ritengo che questa simbologia può essere percepita nel momento in cui si sale sopra il terrazzo della torre e da essa ci si ferma ad osservare il paesaggio circostante. Scrutare il mare e le sue splendide coste da un edifico di oltre quattrocento anni, diventano un’occasione unica per cogliere secondo una prospettiva diversa l’organizzazione territoriale. L’immensità e l’uniformità del mare sembrano quasi contrastare con il disordine urbanistico della frazione di Torre Lapillo. Nella abitazioni di villeggiatura, collocate solo a poche decine di metri dal mare cristallino, è possibile ancora leggere le conseguenze dell’abusivismo, espressione di una volontà politica debole, succube degli interessi economici ed incapace di comprendere il valore dell’ambiente. Ed è per questo che la torre ed il suo affidamento al C.E.A, si caricano di un ulteriore valore simbolico molto significativo, in quanto rappresentano la risposta concreta agli errori del passato. In tale scelta si manifesta senza ombra di dubbio il cambiamento di mentalità della Amministrazione Comunale di Porto Cesareo, che ha finalmente compreso l’importanza dell’ambiente e le sue potenzialità nello sviluppo dell’intera economia locale. Questa simbologia però non avrebbe alcun senso senza lo svolgersi di azioni pratiche, finalizzate alla promozione di una nuova cultura ambientale; tale compito è affidato proprio alle associazioni ambientaliste che gestiscono il C.E.A, le quali attraverso molteplici iniziative da loro organizzate cercano di consolidare nuovi valori. Sono proprio quest’ultimi a dover delineare la strada corretta da seguire in tutti quelli interventi di trasformazione del territorio. La torre torna così ad essere un riferimento dinamico nella vita di tutti i cittadini e verso di essa devono indirizzarsi i loro sguardi per comprendere se l’ambiente in cui vivono è in 117

Si trattava di un abusivismo edilizio povero, costituito dalle cosiddette seconde case, spesso realizzate con materiali semplici e prive dei servizi necessari.

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salute o è a rischio. Tuttora infatti, partono dalla sua sommità segnali di allarme, come nel passato, i quali mettono in guardia di quei pericoli che potrebbero danneggiare le risorse naturali e di conseguenza la vita stessa. Quindi, Torre Lapillo riacquista la sua antica simbologia e diventa nuovamente un simbolo a difesa della vita. Ancora oggi, la torre è più viva che mai e con dedizione continua a proteggere il Salento e le sue genti.

Figura 22. Torri e masserie nell’area di Porto Cesareo (Fonte: http://maps.google.it/).

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CONCLUSIONE Torri e masserie esprimono un progetto di pianificazione paesistica; in particolare attraverso di esse si manifesta la volontà politica di sfruttare il territorio e di proteggere le ricchezze che ne derivano. Come è emerso, dalla dominazione normanna in poi ed in particolare durante gli anni del governo aragonese, la rete delle masserie venne sempre più potenziata, diventando una vera e propria fonte di guadagno per lo stato; quindi il rafforzamento delle difese nelle strutture masserizie e la costruzione di un sistema di avvistamento costiero diventarono accorgimenti essenziali per tutelare tale patrimonio. I provvedimenti politici che portarono alla nascita delle torri e delle masserie, nonostante non furono immuni dal causare conseguenze negative, qualificarono tale elementi come poli indispensabili per la salvaguardia e la gestione produttiva dell’intero Salento. Si comprende la potenzialità di tali manufatti, però, soltanto se vengono considerati non alla stregua di singole entità all’interno del territorio, ma come nodi di reti organizzate all’interno dello spazio. E’ in questi termini che si individua la presenza di fitti reticoli, uno che comprende tutte le torri, l’altro la totalità delle masserie. Essi hanno assunto un importanza fondamentale, in quanto componenti dinamiche tra loro interdipendenti; allo stesso tempo, la loro esistenza sarebbe risultata priva di significato se non avessero interagito con un terzo reticolo, quello dei centri abitati, ai quali hanno assicurato per molto tempo protezione e sostentamento. E proprio l’interazione tra i suddetti elementi, ci ha portato a riflettere sull’assetto passato del paesaggio salentino, il quale è risultato determinante nel conferire l’odierna organizzazione territoriale al Salento. Per tale ragione solo un’interpretazione sistemica del territorio può aiutarci a comprendere nelle giuste proporzioni il ruolo avuto dalle torri e dalle masserie, rivalutandone la loro importanza dal punto di vista politico, economico e sociale. Configurandosi quali punti di riferimento e luoghi vissuti nello spazio, tali elementi acquistarono infatti per l’intera popolazione salentina un forte significato simbolico. Nonostante per molto tempo tali edifici abbiano conosciuto uno stato di abbandono, il quale ha contribuito a sminuire tale simbologia, le riqualificazioni degli ultimi decenni testimoniano il diffondersi di una nuova sensibilità, desiderosa di ricostruire quell’antico legame tra di esse e la collettività. Solamente ricucendo questo rapporto e reinventando il 66


ruolo di tali strutture, si riuscirà a farle tornare ad essere elementi dinamici e funzionali al contesto in cui sono localizzate. Torre Lapillo ne è un esempio; essa riacquistando la sua funzione nel territorio è tornata ad essere un luogo vissuto dalla cittadinanza ed è stata progressivamente reinvestita della sua semanticità. L’approccio sistemico è risultato quindi una chiave di lettura indispensabile allo studio da me effettuato e mi ha aiutato a capire meglio il significato di queste strutture all’interno del Salento; questo aspetto nelle fonti esaminate non sempre era ben chiaro e spesso emergeva in modo marginale, senza i dovuti approfondimenti. Ritengo invece che un’analisi di questo tipo risulti indispensabile per una comprensione complessiva del fenomeno, ponendosi anche come un ottimo strumento guida in tutte quelle operazioni di recupero e valorizzazione sul territorio. Infatti soltanto una visione su larga scala può offrire gli indirizzi necessari a perseguire delle riqualificazioni corrette e funzionali. In questo modo torri e masserie non solo potranno tornare ad essere testimonianze vive del passato e della cultura salentina, ma assumeranno nuovamente il ruolo di capisaldi nella costruzione dell’identità salentina.

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Ringraziamenti: Vorrei ringraziare innanzitutto i miei genitori, papà Tranquillo e mamma Giovanna, che mi hanno sostenuto in ogni momento della mia vita. Questa laurea è tutta per voi!!!!! Nonna Giovanna e Nonna Palmira, zio Orlando e zia Simonetta ed i miei cugini Marco e Cristina, zio Pietro e zia Enrica, zia Gina, zia Carmela, zia Luce, zia Maria, zia Mimina, zio Vittorio, zio Fernando, zio Pinuccio, zio Pancrazio e le rispettive famiglie, la famiglia Capizzi, la famiglia Ferrise, la famiglia Fiore per il grande affetto sempre dimostratomi. Tutti i miei amici e compagni di università in particolare: Simone, Marco M., Salvatore, Marco V., Gianluigi, Paolo R., Stefano C., Luca R., Marco P., Luca, Gael, Paolo P., Pia, Lorenzo, Luca M., Roberto, Thierry, Eva, Paolo G., Nadia, Stefania, Lidia, Caterina, Ixchel, Sara F., Marco, Davide, Stefano, Sara, Letizia, Giampy, Anna, Armando, Lele, Michele, Davide R., David, Vincenzo, Andrea, Davide P., Alberto, Ramon, Mauro, Dario, Luca N., Matteo V. e tutti quelli che ho scordato… Il Professor Violante per avermi assistito nella realizzazione di questo elaborato. Tutte le persone care che non ci sono più ed il cui ricordo porto sempre con me. La geografia, che mi insegna che il traguardo raggiunto è soltanto un punto di partenza per nuove mete inesplorate.

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