Ambasciata Teatrale - Aprile 2014 - Anno VI Numero 3

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Francesco e la dicotomia secolare di Stella Rudolph a pagina 6

APRILE 2014 ANNO VI • NUMERO

circo-lo creativo d’intrattenimento culturale s.ambrogio cibrèo città aperta firenze

Governare

Editoriale da Firenze

Dall’orto segue a pag. 2

Editoriale da Pollenzo

di Stefano Pissi

Passione di governo

I segni di buon governo

di Dario Nardella

di Cinzia Scaffidi

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ella sala del Consiglio dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti stupiscono per la forza didascalica con cui raccontano l’allegoria del governo della città. Nella parete in fondo alla sala le scene del buon governo rappresentano una città prospera e una comunità unita e dinamica, nella quale - al contrario dell’affresco sul cattivo governo dove il tiranno troneggia - non si vede chi governa. Dentro quegli affreschi si cela il senso profondo della guida pubblica di una città. La mia esperienza e la mia visione del mondo mi portano a dire che governare non significa comandare, ma guidare una comunità; non significa apparire, ma agire; non significa ostentare il potere, ma esercitarlo per sanare i conflitti della comunità con buone regole e buoni esempi. “Il buon governo - scrive Solone - rende tutto ordinato e perfetto, mette in ceppi gli ingiusti, smussa le asperità, pone fine all’accesso, abbatte la tracotanza, secca i fiori rigogliosi della rovina, raddrizza i giudizi storti, mitiga la superbia e fa cessare la discordia”. È l’idea di armonia di una comunità dentro una città che rende ambizioso, arduo, talvolta perfino visionario il suo governo. In questo senso la sfida del governare richiama subito l’immagine del sindaco e del ruolo che gli è riconosciuto dai suoi concittadini. Il sindaco agisce nella propria città come un direttore d’orchestra con la sua orchestra. Senza una buona guida anche l’orchestra con i migliori solisti rischia di stonare, andare fuori tempo, rompere l’armonia. Ma il direttore, da parte sua, nulla potrebbe e nulla sarebbe senza i suoi musicisti. Il legame profondo che esiste tra un sindaco e i cittadini è il modello più complesso e appassionante di governo. Non basta l’autorità a chi governa. Serve il riconoscimento di una superiorità che non è gerarchica o materiale, bensì etica e civica. Questo riconoscimento si guadagna con la fiducia, dimostrando generosità e dedizione, vivendo immersi nella quotidianità della propria città. Perché la città non lascia respirare, ti assorbe e ti abbraccia, ti mette di fronte problemi e opportunità e ti porta a decidere, sempre. Governare vuol decidere decidere, ovvero esercitare una responsabilità dalla quale non si può scappare. Troppe volte ho visto governanti scegliere di non decidere e altrettante volte ho visto altrettanti fallimenti dietro quelle scelte. I cinque anni che abbiamo vissuto alla guida di Firenze con i cittadini mi hanno insegnato che la decisione, con l’ascolto e la partecipazione, è l’ultimo necessario atto di chi governa di fronte ad ogni problema. Ho imparato che rinviare le soluzioni significa solo tradire la fiducia di chi ti ha scelto. Ho capito che talvolta sia meglio assumersi l’onere di decidere, con coraggio, rischiando di sbagliare, invece di restare immobili per paura di fallire. Non è il momento di avere paura, in Italia come a Firenze. È il momento di osare. Per questo ho scelto Firenze.

Occhio di bue

Sergio Pissi

Editoriale da Alcatraz

Il potere della velocità di Jacopo Fo

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i chiedo di sospendere per un attimo i tuoi giudizi sul Papa e su Renzi per affrontare una questione teorica che credo abbia massima importanza nella definizione della natura del potere. In particolare in questo momento mi affascina la relazione tra potere, il potere di cambiare le cose, e la velocità. Indagare questo settore della realtà mi interessa a prescindere poi dai giudizi storici e etici. Non mi interessa qui discutere se Renzi sia buono o cattivo. Vorrei occuparmi del fatto che sia riuscito a prendere molto potere puntando su due cavalli: la velocità e il cambiamento. Ed è interessante notare che il primo elemento del suo successo è la velocità che gli ha permesso di dar vita al cambiamento. Se non altro è indiscutibile che sia riuscito a rottamare gran parte della nomenclatura del Pd. Poi vediamo se riesce anche a fare le riforme. Ma questo come ho appena scritto, non è l’argomento di questa discussione. Dal punto di vista della velocità Renzi è stato emulo di Papa Francesco, sicuramente un velocista. In pochi giorni Francesco è riuscito a trasmettere a milioni di fedeli la certezza che la Chiesa era cambiata. Un cambiamento istantaneo (o succede subito o non succede più). Improvvisamente, a partire dalla prima parola che ha pronunciato ci siamo trovati di fronte a un Papa che parla in modo semplice e spiritoso, un Papa che dopo essere stato eletto passa a pagare l’albergo, non va a vivere in Vaticano, gira con un’utilitaria e se gli mandi una mail capace che entro poche ore ti telefona per chiederti come stai. Un Papa che dal primo giorno ti parla d’amore, ti chiede cosa fai tu per accogliere nella tua comunità i divorziati, i gay, i diversi. Stiamo parlando del potere che viene dal fare subito. Dal sorprendere. E indiscutibilmente anche Renzi è stato veloce. Veloce e senza limitazioni: entro il 27 maggio avrete 80 euro in più in busta paga o io sono un buffone. Ci dice: non stiamo qui a sottilizzare se si può fare o no. Se si vuole si fa e basta e visto che sono convinto di riuscire a farlo ci metto la faccia. Come i greci che assediarono Troia: brucio le navi così che sia chiaro che o espugneremo Troia oppure moriremo nel tentativo di farlo. Non ci sono grigi: o bianco o nero. O vincente o morto. Questo modo di ragionare, di agire è intrinsecamente veloce. Ed è destabilizzante in un mondo religioso o politico che è una palude dove nessuno fa promesse a breve, nessuno si gioca tutto. Berlusconi vendeva fumo con il suo contratto in 10 punti, troppi da Segue a pag. 2 ricordare, troppo complicati per essere verificati.

overnare è un parolone tonante. Rigovernare è un parolino quieto. Di solito all’ora di rigovernare non ci rimane nessuno. Schizzano via in tutte le direzioni, come se quel che c’è in giro, quel che c’è da pulire, lavare, asciugare, spazzolare, spazzare, aspirapolverare, riporre, lustrare non fosse servito anche a loro. Rigovernare mica si fa solo se quelli prima non han governato bene, anzi. Qualunque lavoro di governo lascia un po’ di rigoverno da fare, se si vuole continuare a lavorare. Si impara tanto rigovernando. Si capisce quali attrezzi sono stati usati per fare che. Se li si guarda bene si capisce anche chi li ha usati, se era un giovane o un vecchio, un uomo o una donna, se era triste o allegro, se era un principiante o un esperto. I taglieri, per esempio, son quelli che parlano di più. Se li usano le donne mostrano tracce sottili e vicinissime, regolari e leggere, se li usano gli uomini hanno segni più profondi, se li usa un cuochino alle prime armi hanno segni netti, a distanze dissimili, si vede che guardava dove tagliava, non affettava fidandosi quasi solo del tatto come fanno i cuochi bravi. Se li usa uno allegro hanno anche segni trasversali, come se alla fine tutta quell’energia da qualche parte doveva andare e allora ha dato qualche colpetto in più, per sentire il suono della lama sul legno. Se li usa uno triste i segni quasi non ci sono: chi sente dolore cerca di non affondare la lama più dello stretto necessario. A rigovernare si è spesso soli, spesso in silenzio, ma son belle lezioni. Poco per volta tutto ritorna in ordine, pulito e pronto all’uso, ci si sente come se si fosse cresciuti un po’. E quando è ora di governare, eccoli che tornano, tutti quanti. Pieni di entusiasmo passione, idee, più o meno realizzabili, progetti, visioni. Chi torna per continuare, chi torna per cambiare. Chi dice che ci vogliono competenze, chi dice che meno se ne capisce e meglio è. Ma c’è cosa che nessuno dice: ed è che chi sa rigovernare spesso è bravo anche a governare. Le donne, per esempio.

Editoriale da casa

Rigovernare di Maria Cassi

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on so cucinare e qualcuno di voi che mi conosce può dire “che te ne importa tanto hai chi lo fa per te...” Rigovernare però credetemi mi piace e da quando ho letto il bel libro di Thich Nath Hanh Il miracolo della presenza mentale il sapiente monaco mi ha fatto capire bene quanto anche un semplice gesto del rigovernare una ciotola può diventare meditazione tempo da dedicare con cura sia all’oggetto che maneggiamo sia a noi stessi compresi nella bella consapevolezza del qui e ora. E, sì, ogni tanto si può provare, oltre a rigovernare i piatti, in assenza di lavastoviglie, ad alleggerire la mente. I pensieri, come si sa non si possono fermare, ma riconoscerli, capire quelli che ci aiutano e ci sanno curare da quelli poco amici come dico io, che ci danneggiano il vivere più di quanto uno possa pensare. Insomma credo che valga la pena, via via che gli anni passano imparare sempre meglio a curarsi con attenzione con passione direi con curiosità e anche divertimento innamorarsi di se stessi sempre di più con tenerezza e amore dolcezza e compassione non nel senso narcisistico per carità, ma come recita il grande Lao-Tzu nell’antico Tao della meditazione. “Considerarsi quali centro del mondo è come consegnarsi al mondo intero. Amare se stessi quasi si fosse tutto è come affidarsi al mondo intero”. E ora corro in cucina perché in questi giorni ho accumulato troppi piatti nel lavello e poi se no mi dicono che non so fare altro che recitare.


Dylan Bob

Governare 1

by James O’Mara

Editoriale da Alcatraz

Il vero Maestro

Il potere della velocità (segue dalla prima)

di Marco Poggilesi

di Jacopo Fo

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ertamente tra le tante, tantissime grandi qualità di Miles Davis c’era la capacità di essere uno straordinario leader, in grado di riunire musicisti unici e dar così vita a formazioni che per il livello dei singoli componenti e l’affiatamento che si creava sono passati alla storia come irripetibili, irraggiungibili. E altrettanto unici erano i modi che Miles aveva per ottenere il miglior risultato, le migliori note, la giusta tensione e il feeling più forte da chiunque dividesse il palco con lui. Si racconta che una volta Bill Evans fosse infastidito dalla quantità di note che John Coltrane suonava quella sera, dal modo eccessivamente aggressivo della sua improvvisazione e per reazione adottò una maniera diametralmente opposta di muoversi sul piano. Ma John continuava. Così Bill si rivolse a Miles, al capitano, chiedendogli di intervenire, di prendere la situazione in mano e il trombettista non ci pensò due volte. Avvicinatosi a Coltrane sussurrò al suo orecchio: “Bill dice che stai suonando davvero benissimo, continua così”. Il risultato? Uno dei più intensi, energici e poetici dischi live di quel quintetto!

0 euro il 27 maggio è una promessa immediata e elementare. Non ci sono dubbi, o ci sono o non ci sono. E se non ci saranno io mi sarò suicidato ma tutti quelli che mi hanno impedito di realizzare la mia promessa saranno con me politicamente morti. Se Pd e Fi impediranno a Renzi di realizzare quel che ha promesso le prossime elezioni le vincerà il M5S. Sicuro al limone. La velocità armata di semplicità e chiarezza diventa una leva di ricatto devastante. Ormai l’ho detto e tutti l’hanno capito bene. E in tutti i bar non si parla d’altro. Una volta che l’annuncio è detto è detto. Ho fatto venire l’acquolina in bocca a 10 milioni di italiani. Non puoi più farci niente. Si tratta di un fenomeno simile alle profezie che si

Palazzo Strozzi Governance as gardening

auto avverano. Ugualmente una volta che il Papa ha decapitato la finanza nera vaticana e spodestato il vescovo tedesco che si era costruito una reggia coi soldi della curia, ha buttato il cuore oltre l’ostacolo e non c’è più niente da fare: milioni di fedeli non tollereranno più i fasti delle gerarchie ecclesiali. Un’azione perfettamente veloce e precisa fa voltare pagina nella testa delle persone. Cambia il mondo in un batter d’occhio. Un attimo prima la Chiesa era grassa autoritaria e conservatrice, un attimo dopo è tutta un turbinio di amore, generosità e cambiamento. A volte basta fare una telefonata, subito, per convincere le acque del Mar Rosso ad aprirsi. Fare i miracoli è difficile. E ci si riesce solo se li si fa alla svelta.

di James Bradburne

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he Dao De Ching says: (zhì dà guó ruò pēng xiaǒ xiān) “ruling a great country is like cooking a small fish.” The measure of successful management is not imposing change, but in nurturing and sustaining growth. The metaphor of the machine – in which worn out and inefficient parts are exchanged for new and better ones – is better replaced by the metaphor of the garden. In a garden, it isn’t that the rose is inefficient, lazy or unproductive – it may just have been planted in the wrong place. Rather than replacing it with a more efficient cactus, a move to the shade allows the rose – and the garden to flourish. The same is true at the level of government. It is not the key task of government to create change directly - but to create the conditions for change. Good governance means creating the context in which citizens can realise their potential to provide lives of decent quality to find new stories that have new meanings and new value systems implicit in them. Good governance does not mean creating the stories - good governance creates the context in which people can create their own stories and reach some level of consensus around them. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

In scena

di Tommaso Chimenti

Grazie, odoro e ti adoro (segue dalla prima)

Il governo della natura selvaggia

di Stefano Pissi

di Caterina Cardia

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a cipolla – allium cepa L. – è una pianta erbacea a ciclo biennale, dal seme si parte, per ritornare al seme infine. Il suo bulbo si coltiva in India, Cina, Brasile, fino dentro ai nostri orti; ed è proprio adesso la stagione per farlo, se alla fine della primavera si vuole godere del prodotto fresco. Adoro la cipolla, quando la coltivo, la odoro poi alla raccolta. Nell’orto, con la zappa, si tracciano dei solchi dritti e profondi, in fondo si adagiano i giovani bulbi, futuri cipollotti freschi, che poi si ritireranno dritti quando li rincalziamo con la terra fine. Come tutte le liliacee, anche per la cipolla, poco governo però! Quello giusto via. Governare significa per me guidare; lo si può fare in tanti modi, io lo sogno come una guida gentile, fatta dall’alto, con un soffio leggero sopra le spalle, che ora ti consiglia a destra e ora lo senti a sinistra, conta la presenza di chi osserva più che la potenza di chi impone. È per questo che ricordandoti dico a te che “non avrei saputo trovare la strada della vita se una mano, talvolta anche incerta, non mi avesse guidato”.

L’

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arrivo della Primavera sembra aver riportato, almeno nei teatri fiorentini, ad una snellezza d’esecuzione, come si ricercasse l’essenzialità del gesto, di parole antiche, senza artifici, senza macchinerie teatrali, senza fumi, raggi laser o quell’affollamento sul palco che troppe volte serve per confondere le acque da una sostanza scialba ed insipida. Lo potremmo definire il mese degli assoli, dei monologhi, di un uomo solo al comando a governare, di storie raccontate piano, guardandosi negli occhi. Sarà per la povertà del teatro contemporaneo ma il cuneo di luce dai molti occhi della platea verso un solo punto, ecco quello mi è sempre sembrato sinonimo di teatro. Riccardo Goretti aprirà l’album di famiglia in forma drammatizzata in Annunziata detta Nancy (all’interessante Spazio Magma il 26), il nome della nonna, della quale prende le vestigia, senza prenderne né gli abiti né il falsetto al femminile (che sarebbe stato insopportabile). Diventerà poi anche suo padre e sua madre dimostrandoci con pochi semplici passaggi che se all’esistenza di ognuno di noi togliamo una qualsiasi tessera del mosaico crolla tutto il panorama. Goretti che ha cominciato a fare teatro spinto dalla visione degli spettacoli di quello che lui ha definito come suo maestro: Alessandro Benvenuti. Per chi non li ha visti o per coloro, e sono molti, che ad ogni occasione non si perdono il gusto di risentire le gesta de L’Atletico Ghiacciaia (1, 2, 3) o di seguire il caso, tra l’ironico e il cronachistico, de Un comico fatto di sangue (4, 5, 6) sempre all’attento Teatro di Rifredi. Riempie la scena anche Fulvio Cauteruccio, uscito definitivamente dai Krypton del fratello Giancarlo, con Il Supermaschio, all’ancora giovane Teatro Studio di Scandicci il 29. Al testo surreale ed esondante di Jarry, l’attore calabrese, famoso per il suo Roccu u stortu, dona forza, potenza, proprie del tema della piece, ma anche una disamina ed un’analisi sull’annosa questione che così divide e così avvicina gli amanti: sesso e sentimento. Che coss’è l’amor, sbrodolava Vinicio Capossela. Per niente facili, uomini così poco allineati, li puoi chiamare ai numeri di ieri, se nella notte non li avranno cambiati.

Erba voglio

L’orto

Disegno di Lucio Diana

embra un controsenso ipotizzare la governabilità di un campo incolto ma nella pratica i campi incolti si possono amministrare ricavandone grandi vantaggi per tutti. La flora spontanea italiana comprende 5600 specie e di queste circa 250 piante tra erbacee, suffruticose e piccoli arbusti, ma i numeri in questo caso non possono essere indicati con precisione scientifica vista la variabilità della natura e delle tradizioni rurali ad essa riferite, sono utilizzate nella cucina tradizionale italiana. Chi ha la fortuna di conoscere le più comuni piante spontanee utilizzate nella propria tradizione gastronomica popolare e si diverte ad andare per erbe allo stesso modo delle persone che vanno per funghi, sa bene quanto seguire delle regole nella raccolta delle piante spontanee sia indispensabile per continuare a raccogliere con profitto negli anni. Come resistere di fronte ad un asparago selvatico o ad un germoglio di rusco (pungitopo)? La tentazione di raccogliere tutti i getti che si trovano è forte ma agire d’istinto spesso è un’iniziativa svantaggiosa. Se una pianta di asparago o di rusco produce tre getti di media ogni anno noi dobbiamo raccoglierne al massimo due. Il getto dell’asparago e del rusco non è altro che la nuova pianta che nasce dalla pianta madre e se lasciamo un getto quest’anno, sperando che gli altri raccoglitori facciano come noi, il prossimo anno avremo due piante di asparago che produrranno i getti anziché una sola e l’anno successivo quelle due piante potranno darci sei asparagi. Se li raccogliamo tutti quest’anno, l’anno successivo ne avremo tre e quello dopo ancora solo tre e mai sei. Insomma la pianta è una perennante e quindi non scomparirà ma non diventerà mai veramente produttiva. Altri accorgimenti servono per le erbacee o malerbe che vanno raccolte tagliandole al colletto senza estirparne la radice perché possano riprodursi di nuovo o per le liliacee (agli e porri selvatici) di cui dovremo reinserire a terra i bulbilli, che inevitabilmente estirperemo insieme alla pianta al momento della raccolta e un’attenzione ancora maggiore serve per quelle piante di cui si utilizza la radice. La radice di raperonzolo (campanula rapunculus), per esempio, è squisita e molto ricercata ma sta rischiando l’estinzione per la raccolta indiscriminata che ha sempre subito. Basta poco per capire che se si trovano venti esemplari di raperonzolo e li raccogliamo tutti, il prossimo anno non ne troveremo neanche uno. È difficile far capire a molti raccoglitori come si vive responsabilmente la natura, come è difficile far capire a molti che non pagare un biglietto di un mezzo pubblico non è una scelta furba e il discorso si estende facilmente a tutti gli ambiti della vita civile. Il buon esempio potrebbe funzionare. Di certo in questo paese finora non c’è stato. Iniziare a darlo è un ottimo punto di partenza per qualunque tipo di governo.


Governare 2

by James O’Mara

Gesti teatrali La governatrice di conigli di Alberto Severi

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itto, vien co’ mméne. Vo giù nel cappanno a governar’e’ cuniglioli.” Io, che avevo sette anni, e una curiosità entusiasta per il mondo, poi presto scemata, mi alzavo di scatto dal logoro divanetto, dove pure mi aveva fin lì ipnotizzato la lettura dei Tre Moschettieri o di Tom Sawyer, e seguivo mia nonna Sestilia fuori di casa, fino al cappanno (lei ci metteva due pi, chissà perché), sul lato settentrionale dell’orto, fra la casa e il borro gracidante di rane. Quello dove abitavano i nonni di san Giovanni, i genitori di mio padre, era un edificio basso e lungo, ad un solo piano, diviso a metà in due modesti appartamenti: uno dei tanti vagoni bifamiliari, tutti uguali, che si allineavano incolonnati di qua è di là dalla strada sterrata, quasi in aperta campagna, sotto due filari di alti pini marittimi. Era stato il duce, pochi decenni prima, a far costruire il Villaggio Minatori di san Giovanni Valdarno nella piccola frazione del Porcellino, sul versante delle miniere di lignite di Cavriglia. Il nonno Gino, da giovane, si era distinto come un valente minatore. Peccato che io l’avessi sempre visto vecchio e infermo, disteso nel letto, col suo gran naso a becco che pareva la pinna di un pescecane.

La nonna, invece, per necessaria compensazione, non si fermava mai. Era una donnina con la pelle del viso scurita dal sole, liscia, morbida e ricoperta da un’impercettibile peluria, come una pesca passata di maturazione, i capelli precocemente candidi tagliati corti, l’occhio destro (o era il sinistro?) completamente bianco, anzi un po’ striato d’azzurrino, accecato da un incidente giovanile con un cugino bischero e una punta di fil di ferro. Come ammaliato da quel suo connotato inquietante, un po’ da strega, la seguivo senza fiatare fino al cappanno. Era una sorta di accrocchio di edilizia spontanea, costituito, a sinistra, da un pollaio fatto con fogli di compensato, vecchi cartelloni pubblicitari, ondulati di eternit, reti metalliche; e a destra, da una specie di abituro in mattoni, senza finestre, forato appena da un paio di feritoie, dal pavimento cosparso di paglia, fieno, trifoglio e palline di cacca, ai cui lati erano addossate le gabbie delle conigliere, col loro muto popolo prigioniero di bestiole orecchiute. La nonna tirava il chiavistello, apriva la porta, io venivo investito da una zaffata di odori indefinibili, e come la luce penetrava nell’antro buio, si udiva un gran tramestìo nelle gabbie; i dorsi marrone-

chiaro, neri, o bianchi dei conigli si accalcavano impauriti nell’angolo più lontano, temendo il peggio, il prelievo del condannato. Ma poi, annusando l’arrivo della fascina di erba medica che la nonna portava per governarli, i più arditi cominciavano ad appropinquarsi balzellon balzelloni alla rete sul davanti della conigliera, e se avvicinavo alla rete un filo d’erba, per brucarlo coi loro incisivi da roditori attraverso le maglie di fil di ferro spingevano contro di esse i musi leporini, arricciando i piccoli nasi rosei in maniera comica, e tenera, sgranando gli occhietti arrossati, come da un pianto antico. La nonna li accudiva amorevolmente, con autentica sollecitudine, chiamandoli spesso per nome, vezzeggiandoli, i suoi cunigliolini. I governati. Eppure... Eppure, quand’era il momento, assumeva senza la minima solennità o pathos o, almeno, consapevolezza, il ruolo fatidico del Tristo Mietitore. Allungava la mano nel mucchio terrorizzato, afferrava per le lunghe orecchie il più grasso e il più lento, con l’altra mano bloccava le muscolose zampe posteriori, e senza rimorsi lo strappava al suo popolo, e alla vita.

Pochi secondi dopo, difatti, tenendolo a testa all’ingiù nell’orto, gli assestava, di taglio, un colpo preciso alla collottola, spezzandogli l’osso del collo. Un gesto di esattezza micidiale. Feroce, brutale, ma suo modo elegante come un movimento di teatro kabuki. E poi, altrettanto rapidamente e senza pathos, con pochi altri gesti precisi, incideva la pelliccia con un coltello e scuoiava la bestia, come se gli sfilasse via una tuta, lasciandolo poi nudo, rosso e scorticato come un feto alieno, mostruoso, appeso ad un gancio, a gocciolar sangue bruno sulle piastrelle della cucina. Strano che la macabra faccenda non mi facesse inorridire. Meno strano che la visione ravvicinata della sollecitudine con la quale la Governatrice governava i suoi amati conigli, e il naturale cinismo con cui pochi istanti dopo rivelava lo scopo ultimo di tanto sollecito governare abbiano funzionato in me da imprinting e monito per il futuro, ispirandomi da sempre la più acuta diffidenza nei confronti di chi, governandoci, esibisce e assicura di farlo nel nostro interesse, per spirito di servizio verso la Conigliera – pardon: il Paese. Sipario.

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FLYFISHCITY


Pieni d’Islam

Gatti

Francesco e la dicotomia secolare

Dio, la Costituzione e l’Imam

Cats in Government

di Stella Rudolph

di Giovanni Curatola

by Kate McBride

Una stella a Firenze

Rigovernare un’istituzione secolare, ovvero privilegiarne i componenti integerrimi. Dal verbo governare discende quello di rigovernare in una varietà di significati, tra cui il riassettare e riformare le istituzioni. Ad un anno dall’elezione del Papa Francesco l’attenzione di tutto il mondo (non solo dei cattolici o comunque credenti) è puntata sul compito che egli si prefigge di rigovernare la Chiesa Romana in modo capillare a partire dalla Curia intrisa di beghe, la gestione finanziaria sotto inchiesta com’anche gli scandali di pedofilia, nonché la presunta influenza di una lobby gay e dei cosiddetti poteri forti. Si tratta di una dicotomia tra autorità spirituale e potere temporale insita da sempre in quel organismo bimillenario che egli intende, sembra, risanare contrapponendo una rigenerata vocazione pastorale al clericalismo inquinato di carrierismo e mondanità forieri peraltro dell’ingerenza indebita nella sfera politica (specie in quella italiana), ove il peso di una reiterata dottrina non risponde più alle esigenze di coloro che vorrebbero mantenere intatta la fede (questioni di eutanasia, comunione ai divorziati, ecc.). Cosicché il senso del rinnovamento tocca ogni prelato, dal pievano al cardinale, e fu già riassunto grosso modo 300 anni or sono in un’immagine incisa a frontespizio di

uno sfrontato volumetto intitolato Histoire politique et amoreuse du cardinal Louis Portocarrero archivèque de Tolede […] Fameux Cardinal, stampato col malizioso pseudonimo Jeune Le Sincere nel 1710. Luis Manuel de Portocarrero (1635-1709) era stato dopo Richelieu e Mazzarino il più potente e controverso king maker del ‘600: nominato cardinale nel ’69, viceré di Sicilia nel ’77-‘78 e dal ’79 arcivescovo di Toledo, egli pilotò la candidatura di Filippo d’Angiò come re di Spagna nel 1700 con la morte dell’ultimo monarca asburgo Carlo II per insediare la dinastia Borbone sul trono. Tuttavia egli venne poi screditato dagli intrallazzi austro-francesi e dalle illazioni sulla sua probità, onde cadette in disgrazia nel 1703. Questa irriverente messa in berlina lo raffigura come emblema della doppiezza nel suo ruolo cardinalizio, così vestito e col pastorale a sinistra mentre a destra sfoggia l’abito di cortigiano colla parrucca stile Luigi XIV e tiene in mano una coda di volpe, simbolo della lussuria. Da allora sono cambiati i costumi indossati, almeno dalla parte destra della figura, eppure le contraddizioni evidenziate in questa effigie di un notevole personaggio nella storia ecclesiastica di quell’epoca rimangono più o meno quelle che l’attuale papa sta affrontando.

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overno. Diciamo pure, governo e Islam. Molto interessante, ma anche imbarazzante; perché non esistendo nella pratica un solo Islam, ma una pluralità di espressioni che si rifanno a quella civiltà oppure si autodefiniscono tali, la declinazione non può essere univoca. Un esempio, che forse fa capire meglio: sono paesi islamici il Marocco, ma anche l’Iran, l’Arabia Saudita e pure l’Egitto e certamente il Pakistan e l’Indonesia, il più popoloso fra tutti. Ma definire una forma di governo e cioè l’espressione di una costituzione (più o meno quella c’è dappertutto, quanto poi ad applicarla e rispettarla è un altro paio di maniche, di nuovo, dappertutto) che possa dirsi islamico è davvero impossibile. Ma lo è, badate bene voi che leggete, specularmente, anche definire come debba essere un governo cristiano, ebreo, buddhista: questo lo sappiamo tutti, pur se c’è voluto non poco tempo per farsene coscienti e non sempre ci si è riusciti. Veniamo, allora, al più solido (inshallah) terreno teorico. L’Islam ha un testo sacro, il Corano, che è – ovviamente solo per i credenti di quella fede – il libro nel quale si è incarnata la parola di Dio. E cioè: per l’ideologia islamica l’autorità in prima e ultima analisi appartiene a Dio e solo a lui: gli ulama (letteralmente: dotti, in senso religioso), i faqih e qadi (esperti in questioni giuridiche), i khalifa (successori di Muhammad e in quanto tali capi della umma, la comunità musulmana), i wazir (ministri), l’amir (governatore), il sultan/malik/shah (sovrano), tutti costoro non sono depositari del potere di interpretare le norme coraniche, bensì di applicarle. Punto. Il potere legittimo non esiste; esiste un potere di fatto da esercitare attraverso quello che prevede la shari’a (legge divina). Islam significa teocrazia: tutti i poteri sono di Dio. Se ragioniamo secondo le nostre categorie (potere legislativo, giudiziario, esecutivo), il primo è solo di Dio (e della sunna, la tradizione accompagnata sempre dal taqlid, l’imitazione dei detti e delle azioni del profeta); il potere giudiziario è, in via teorica, di qualsiasi credente moralmente retto (‘adl, termine che ha anche il senso di testimone); il potere esecutivo si rifà sia in ordine spirituale morale che in quello pratico al dovere imposto da Dio di “invitare al bene e sconsigliare al male”. Dopo la morte di Muhammad (632), questo potere viene dato a un individuo riconosciuto dalla comunità (che a lui giura obbedienza), un vicario (appunto il khalifa, per noi califfo) che è guida (imam) per tutti. Insomma, chi governa? Governa il califfo, un uomo – confermato dalla umma (comunità) – che guida una istituzione delegata da Dio e dal Profeta ad attuare la shari’a e tutelare la sicurezza. Dato il presupposto è evidente che possano anche esservi più khalifa contemporaneamente (esempio storico, classico, intorno all’anno Mille con almeno tre califfati). Non importa, peraltro, come si arrivava al potere e al governo; l’importante era che chi governava applicasse la shari’a. Il governo islamico si potrebbe definire, in via teorica, una monarchia assoluta fondata sull’indispensabile consenso popolare. Abbiamo scritto di storia, sia ben chiaro, ma fra le righe si dovrebbe capire o intuire quanto sia complessa questa materia.

Il popolo del blues Il seme del Governatore di Giulia Nuti

Ri-cercata Governare sole e nubi di Clara Ballerini

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ull’Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia”, questo incipit de L’uomo senza qualità di Robert Musil parla delle previsioni del tempo, quanto di meno scientifico all’epoca ci poteva essere tanto da essere riassunto nella frase: “Insomma, era una bellissima giornata di agosto dell’anno 1913”. Dopo un secolo noi non solo abbiamo fatto dello studio del clima una scienza necessaria, ma siamo determinati nel voler governare, o perlomeno provare a controllare, i cambiamenti climatici. Eppure di scettici ce ne sono ancora; che il riscaldamento globale indotto da attività umane sia un dato di fatto e non più una disputa scientifica non basta a spingere i governi, che devono decidere di fronte all’incertezza, ad agire. Allora si aggiungono altri attori sul palcoscenico del cambiamento climatico: uomini d’affari, amministratori locali, organizzazioni della società civile, che s’impegnano per cambiare l’attuale società basata sul carburante fossile in una futura organizzata in un sistema eco-sostenibile. Ecco, governare un cambiamento come quello climatico richiede il voler affrontare sfide e processi di trasformazione in ogni settore, non solo quello energetico, e soprattutto si fonda su una corretta informazione, oltre lo scetticismo.

E

cco la storia di come un musicista ha conquistato il titolo di governatore. Senza regno né territorio, se non quello della musica folk. Senza regole da seguire, se non quelle del ritmo e dell’armonia. Senza un popolo da guidare, se non quello dei suo fan e ascoltatori. Forse, però, con una missione nella testa da compiere un genere musicale da condurre lungo un percorso che dalle proprie origini l’ha portato alla modernità. Il musicista in questione è Ashley Hutchings, il governatore del folk rock inglese. Detto all’inglese, The Guv’nor. Era il 1967 quando assieme a una manciata di amici, tra cui Richard Thompson e Simon Nicol, fondava in Inghilterra i Fairport Convention, dei quali ha fatto

parte per i primi quattro album. Il gruppo iniziò ispirandosi a Dylan e ai musicisti della West Coast americana, aggiornando le sonorità della musica tradizionale inglese con strumenti e arrangiamenti elettrici. Fu la svolta. Le origini del cosiddetto folkrock inglese risiedono proprio lì, in un percorso senza sosta che vede Ashley attivo ancora oggi. Un itinerario che ha fatto tappa anche a Firenze, dove Hutchings ha registrato con Ernesto De Pascale un album dal titolo My land is your land, dedicato all’incontro tra la cultura britannica e quella italiana. Se vi capita di imbattervi in nomi del folk inglese oggi sulla cresta dell’onda, come Unthanks, Bellowhead o Seth Lakeman, sappiate che qualcosa devono anche al Governatore.

W

ilberforce, as “Chief Mouser Larry on arrival at the cabinet table 10 Downing street to the Cabinet Office of the United Kingdom of Great Britain and Northern Ireland” is the UK government’s longest serving cat. He lived at Number 10 Downing Street, outlasting several prime ministers beginning in 1973 with Edward Heath and ending in 1986 with Margaret Thatcher. Taking a moment away from high Larry being petted by President Obama level talks in Moscow, Thatcher was spotted buying Russian sardines in a grocery store ‘allegedly for Wilberforce the cat,’ was the statement in the KGB report on the activity. The tradition of cats in the government of the UK dates back to Henry the VIII, the 16th century monarch. HUMPHREY who succeeded Cardinal Thomas Wolsey, chaplain to the king, worked with his WILBERFORCE during Thatcher’s reign cat by his side at all times. In 1929, this important civil servant position became a salaried one, a pound per year rising to 100 pounds annually today. The most recent Chief Mousers at 10 Downing Street are Larry and Freya. Staff adopted Larry from the Battersea Dogs & Cats Home in 2011 on the recommendation that he had excellent ratting skills and few inhibitions. Larry’s mild fear of men was set aside when he met President Obama whom he liked, allowing him a few strokes. After more than a year in office, Larry finally accomplished his Let me in first mouse killing on the 28th of August 2012. Few killings followed. The Daily Mail reported in September of 2013 that Larry was in fact “sleeping on the job.” Anonymous sources also revealed Larry possessed “a distinct lack of the killer instinct” and that he was spending more time with his Freya arrives to ‘job share’ girlfriend Maisie than hunting for mice. Freya, a ferocious tabby cat belonging to Chancellor George Osborne, was recruited to ‘job share’ with Larry. Initial cat fights for chief mouser position soon gave way to an agreement to “co-exist.” Freya and Larry are among more than 100,000 cats who ‘mouse’ for the Cat fight for the position of chief mouser before agreement to "co-exist" British government. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com


Governare 3

by James O'Mara

Biodinamica

Cinema

Governatori celesti

Lincoln di Steven Spielberg

di Cristian Giorni

di Juan Pittaluga

E

ccoci ci siamo, finalmente è tornato aprile, carico di forze astrali che penetrano nel vivente, governando la sua innata predisposizione alla forma e alla crescita. Mai nessuna parola fu più adatta da abbinare a questo periodo dell’anno, dove tutto torna a vivere e manifestarsi al di sopra del suolo, nel ventre bramoso di nutrimento. Dalla quiete cristallizzante dell’inverno, dove ogni attività vitale cessa o si rallenta, al fragore delle forme manifeste nel rigoglioso sbocciar di fiori e foglie, di amori ed umori, di fame e appetiti, risvegliati dalle amorevoli carezze del padre, il sole, in seno ad una tenera madre terra che scalda i suoi piccoli appena fecondati. È questo il momento di governare la terra, di stimolare la sua capacità di accogliere le nuove forze cosmiche che imprimeranno il messaggio dei pianeti sulle piante e sugli equilibri legati alla crescita, alla conservazione alla riproduzione del vivente e di tutti gli esseri senzienti. Governare la terra nell’ordine di dirigere le sue attitudini all’accoglienza del seme, della futura pianta del frutto che ne deriverà. Non serve concimare, non serve sporcare la terra con concimi minerali per arrivare al frutto, le piante sono poco soggette alle sostanze minerali, soltanto quando queste si preparano a penetrare la forma nell’elemento cristallino, irradiano forze importanti per la crescita delle piante. Ogni colore espresso nel fiore è l’impronta delle forze del pianeta che agisce sulla pianta nelle sue radici. Nel rosso vigoroso, pallido o cupo di una rosa, agiscono le forze di Marte, così come Giove appoggia le forze cosmiche del Sole per conferire il colore giallo e bianco ad un

girasole, così i fiori blu della cicoria o della borragine sono indissolubilmente legati a Saturno, mentre nelle foglie verdi agisce la forza del Sole, del ritmo e della trasformazione. Sarà il momento di pensare all’orto, alle primizie che ci appagheranno e nutriranno nei mesi a venire. Concepire un legame cosmico delle piante da orto ci fa capire il messaggio che esse portano in sè; ogni verdura ogni frutto - oltre all’analitico e poco interessante valore nutrizionale - porta un messaggio di qualità della sua origine legata alle forze dei pianeti esterni, Marte, Giove e Saturno, che formano l’apparato radicale e lavorano sotto il terreno. I pianeti interni sono Luna, Mercurio e Venere, e sono i diretti responsabili di tutto ciò che avviene al di sopra del suolo. Sono forze che legano la sua efficacia al calore e alle molecole di acqua presenti nei vari strati dell’atmosfera, forze che durante l’inverno raggiungono le profondità del suolo e che d’estate vengono ricondotte verso l’esterno dove agisce una vita governata dal ritmo dei pianeti e l’eterna danza tra Terra e Sole, Luna ed acqua, forma esterna e crescita nel sottosuolo. Ritmi che governano l’origine della sostanza, dove risiede la qualità di un alimento e di ogni essere vivente. Ritmi vicini alle percezioni istintive di ogni uomo libero, un istinto primordiale sopito da una globale semplificazione del sentire e dell’osservare. Innegabile il mirabile spettacolo della volta celeste, il salutare calore del sole, il legame tra la luna e le maree o il volteggiare dei pianeti attorno al Sole. Impensabile credere che il loro essere non si manifesti sui nostri equilibri.

L

’état, qui est le monopole de la violence, selon Max Weber, vie sous la tension des quatre grandes forces contraires, judiciaire, exécutif, législatif et la presse. Gouverner est respecter cette tension démocratique qui se rééquilibre en permanence. Parmi les grands films sur la politique qui explique cette tension, il y a Mr Smith Go to Washington de Franck Capra, ou All The Présidents Men de Alan Pakula, mais c’est le Lincoln de Steven Spielberg qui m’impressionne le plus. Ce film démontre comment on peu tricher avec la logique démocratique et avoir pourtant raison contre les puristes. C’est par la corruption et la ruse que l’abolition de l’esclavage va avoir

lieu. Ce que le film de Spielberg montre bien, c’est qu’on peu contourner les règles, manipuler les valeurs, et avoir raison. Cela n’est possible que par parce qu’il y a quelque chose de concret et de supérieur à la règle rigide. Ce qui oriente le Président Lincoln et qu’il sait bien qu’a tout moment il peu discuter de son but ultime (le 13° amendement) et le poser sous la pression des quatre forces. Autrement dit, tan qu’on n’enlève pas de la légitimité a une des ses forces contraires, tant que chaque décision du pouvoir politique puisse etre discuté dans ce carrefour de tension, la démocratie respire. ■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

Classika Il governo del maestro d’orchestra di Gregorio Moppi

S

i dice che l’orchestra sia, in piccolo, proiezione della società ideale: individui diversi che, al di là delle divergenze di vedute e opinioni, collaborano per un fine comune, condiviso. Al principio le orchestre si governavano da sole. Bastava, a guidarle, il primo violino o chi sedeva al cembalo, primi tra pari. Nell’Ottocento, però, le orchestre lievitano nelle dimensioni mentre i compositori richiedono loro arditezze sempre maggiori. Perciò, per dirimervi le complessità, si rende necessario instaurarvi una forma di governo monocratica, quella del direttore. Guida, dittatore o supervisore poco importa:

da allora la democrazia è uscita di scena. Il grande direttore non può non essere carismatico. C’è chi impugna bacchette lunghissime, chi dei mozziconi di bacchetta, chi ne fa a meno. Arturo Toscanini tiranneggiava i suoi orchestrali. Claudio Abbado si faceva dare del tu, ma restava comunque chiaro a tutti che il capo era lui. Herbert von Karajan dirigeva a occhi chiusi pennellando i suoni con le mani, come su una tela. Giuseppe Sinopoli, psichiatra e archeologo, dal podio teneva conferenze dottissime, ma quel che ai musicisti interessava sapere era soltanto se suonare piano o forte, lento o svelto.

7


Governare 4

by James O’Mara

Perle del Sale

APRILE 2014

Da Tel Aviv Rabin and the Coca Cola, or why Israel is ungovernable di Sefy Hendler

Di line e di lane Il governo dei formaggi di Pietro Jozzelli

U

na inossidabile leggenda giornalistica narra che il presidente De Gaulle, a chi gli chiedeva che cosa significasse governare bene o male la Francia, abbia risposto che la Francia non può essere governata né bene né male, ma che era ingovernabile visto che produce ben 364 formaggi diversi. Lo sterminato plateau de fromages non impedì tuttavia al generale di cambiare la Costituzione, varare la nuova repubblica e mettere fine alla guerra d’Algeria. In aggiunta creò anche una forza atomica nazionale con cui parlare da pari a pari (quasi) con l’alleato americano. Il mondo di oggi a noi sembra infinitamente più complesso e liquefatto dei tardi anni Cinquanta, ma proprio perché i problemi attuali sono più numerosi dei formaggi francesi, viene da chiedersi se populismi, leaderismi e demagogia diffusa a piene mani servano a rimettere in piedi le cose o se invece non siano solo strumenti per illudere cittadini spaesati e talvolta disperati. C’è una ricetta, nient’affatto miracolosa, per avere una risposta precisa: lasciamo fare alla Storia (non a quella passata che tutti trascurano o fanno finta di non conoscere e che una risposta già l’ha data) ma a quella che sarà scritta nel futuro analizzando i nostri anni un po’ folli. Sarà lei a dirci se i maghi dell’illusionismo diventeranno i nuovi demiurghi o se, invece, svaniranno senza lasciar traccia, come neve al sole. l’AMBASCIATA teatrale - Direttore responsabile: Raffaele Palumbo. Segreteria: Giuditta Picchi, Francesco Cury. Illustrazione pagine centrali di Giulio Picchi. Anno VI Numero 3 del 1/4/2014. Autorizzazione n°5720 del 28 Aprile 2009. Sede legale e redazione Via dei Macci, 111/R - 50122, Firenze. Ed. Teatro del Sale info@ambasciatateatrale.com. Stampa Nuova Grafica Fiorentina, via Traversari 76 - Firenze. Progetto grafico: Enrico Agostini, Fabio Picchi. Cura editoriale: Tabloidcoop.it

SI RINGRAZIA

CONTI CAPPONI [conticapponi.it] MARCHESI MAZZEI [mazzei.it] MUKKI [mukki.it] CONSORZIO PER LA TUTELA DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA TOSCANO IGP [oliotoscanoigp.it]

■ Traduzione su ambasciatateatrale.com

La vocazione del Teatro del Sale ad essere incubatore di creatività e fucina di nuovi talenti, si ritrova in due progetti musicali che – tra le altre cose – ritroviamo nel cartellone di aprile. I Rabarbari Trio, per iniziare. Si tratta di un gruppo nato un paio di anni fa, composto da tre fiorentini: Luca Giovanni Frosinini (chitarra e voce), Duccio Bonciani (percussioni) e Fulvio Ponzio (basso). Non l’ennesima cover band, ma finalmente un gruppo di giovani, appassionati, decisi a lavorare sui testi, sulle musiche originali, dando continuità e insieme innovando la grande tradizione cantautoriale italiana. “C’è ancora in giro una tendenza a dare poco importanza ai testi, a fare solo intrattenimento – racconta Duccio – . Per noi invece è fondamentale”. Un trio acustico dal nome singolare, Rabarbari. “Siamo partiti dall’idea di questa pianta che ci sembra sempre di più vedere crescere nella testa delle persone. L’immagine della confusione mentale che caratterizza questi nostri tempi. Inibizioni, dubbi, le nebbie che abbiamo in testa. Noi le vediamo con questa immagine della pianta di rabarbaro che ci spunta dalla testa”. Fonte di ispirazione i grandi nomi italiani, certo, da Paolo Conte a Giorgio Gaber, da Lucio Battisti a Vinicio Capossela. Ma anche Steve Wonder o Billy Joel. Un po’ a sorpresa, se si pensa che tutti e tre i componenti del trio vengono dal jazz. Lo hanno studiato, lo portano in scena in ambiti diversi e comunque se lo ritrovano come patrimonio tra le pieghe di questo progetto dove l’aspetto autoriale è fondamentale. Hanno all’attivo un EP con i loro brani originali, il loro repertorio, naturalmente autoprodotto. “Già, perché è un momento molto difficile per portare in giro musica originale – dice ancora Duccio – . Senza nulla togliere alla difficilissima arte di fare musica di altri, ma da un punto di vista artistico questi gruppi aggiungono poco. Servono idee nuove, la crescita artistica, musicale, ma anche umana sta nella capacità di riuscire a proporre qualcosa di nuovo, di diverso. C’è una mentalità di andare sul sicuro, di attirare il pubblico per fargli sentire quello che conosce. Non c’è arricchimento non c’è accrescimento, ci sono solo eventi che confermano il gusto musicale che già il pubblico possiede. Anche questo è rabarbaro. In questo senso il Teatro del Sale ha rappresentato non una opportunità ma L’opportunità. Hanno ascoltato il nostro EP e ci hanno chiamati. Questo ci ha permesso di far evolvere tutta la parte che sta intorno alla musica. Prima non sapevamo come trasmettere quello che avevamo da dire. Il Tds è stato la fucina. Siamo cresciuti, abbiamo acquisito consapevolezza, abbiamo capito cosa non andava, come stare sul palco. I consigli preziosissimi della direttrice artistica Maria Cassi hanno cambiato la nostra visione della scaletta, vitale per noi e per il nostro progetto musicale. Non succede spesso ad un gruppo emergente di avere un pubblico che non è lì per giudicare ma per ascoltare solo te, è questa per noi è la cosa più sacra”. Altra storia è quella dei Trucupas. Anche in questo caso un trio, ma assortito in tutt’altro modo e incentrato su altre sonorità. Un incontro casuale, ha portato ad un inizio quasi per gioco. Luca Palazzo, venuto a Firenze da Campobasso, incontra i catalani Miquel Martinez (Sant Cugat) e Jaume Parera (Girona), in città per il programma universitario Erasmus che di fatto sta costruendo i cittadini europei. La musica insieme funziona, ma l’anno Erasmus finisce e Miquel e Jaume tornano a Barcellona. Dopo un po’ si rendono conto di avere delle cose da dire – musicalmente parlando – ancora insieme. E tornano da Barcellona a Firenze, apposta per rimettere in piedi il trio. Luca alla chitarra, Miquel al flauto e sassofono, Jaume alla batteria e percussioni. Anche loro hanno all’attivo un EP ed è necessario ascoltarlo per capire dove stanno andando. “Siamo partiti da una mezza rumba flamencata – racconta Luca – . Poi abbiamo iniziato a fare pezzi nostri cercando una nostra originalità, una nostra strada”. Nella loro musica che qualcuno ha definito uno zingaro progressive, c’è il reggee, il gipsy, la rumba. C’è dentro tutto il nostro Mediterraneo, con tutte le sue influenze, dalla musica classica all’hard rock. “Sì, un folk rock acustico. Siamo un trio, ci avvaliamo anche di meccanismi elettronici che ci aiutano a dare colore”. Il primo EP è prevalentemente strumentale, tranne qualche accenno di voce. “Ora stiamo lavorando ai testi, principalmente in spagnolo o in catalano”. Anche i Trucupas sono molto critici rispetto allo scenario che una band emergente si trova ad affrontare. “A Firenze è difficilissimo, molti pensano di farti un piacere solo a lasciarti suonare nel loro locale. Non si rendono conto del lavoro che c’è dietro la scrittura di un pezzo, la preparazione di un concerto. Ultimamente ci siamo per fortuna dovuti ricredere, perché molti locali stanno riscoprendo il valore che c’è dietro il nostro fare musica, ma resta comunque difficilissimo. Oggi – racconta Luca – se uno vuole vivere di musica deve veramente suonare a destra e a manca, noi ad esempio siamo prontissimi a cambiare dall’elettrico all’acustico, flessibili per ogni opportunità. Ma una cosa che mi fa sperare è vedere come molti ragazzi ventenni come noi stanno provando ad aprire locali per promuovere la musica indipendente di qualità”. Anche per Trucupas la presenza al Teatro del Sale “è stata una occasione didattica. Perché suonare in un teatro è veramente impegnativo. Tutti sono seduti, hanno occhi e orecchie solo per te e tu devi dare il massimo. E poi, il Tds è un grande crocevia di cultura. Incontri altri musicisti, organizzatori, giornalisti. Non abbiamo solo avuto il grande piacere di suonare in un teatro, ma abbiamo avuto anche l’occasione di farci vedere, di farci conoscere e di conoscere a nostra volta altre realtà per noi interessantissime. Una grande occasione di crescita”.


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