Il Corvo e altre poesie

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edgar allan poe

disegni di galex


Copyright © Federico Galeotti 2018 Tutti i diritti riservati © Reflusso - Amianto Comics Prima edizione settembre 2018 Le traduzioni de Il corvo, Spiriti dei morti, Il lago, Imitazione, La valle dell’inquietudine, Eldorado, La stella della sera e Al fiume sono tratte per gentile concessione dall’editore Newton Compton Editori srl dal volume Edgar Allan Poe, Tutti i racconti, le poesie e «Gordon Pym», trad. di T. Pisanti, © 2009 Newton Compton Editori srl. Stampa: Press Up - RM ISBN : 9788894254945


Ai pazzi...


“Gli uomini mi hanno definito pazzo, ma non è ancora ben chiaro se la pazzia sia o non sia la più alta forma di intelligenza e se le manifestazioni più meravigliose e più profonde dell’ingegno umano non nascano da una deformazione morbosa del pensiero, da aspetti mentali esaltati a spese dell’intelletto normale”

Edgar Allan Poe Racconti del terrore, 1841


Poeta maledetto e artista tormentato. Questi sono i classici nomignoli affibbiati ad Edgar Allan Poe. Visse una vita ai margini e non venne mai apprezzato dalla critica del suo tempo. I contemporanei lo definirono pazzo. D’altra parte, come già sottolineato da Shakespeare, genio e follia vanno spesso di pari passo. Il gruppo di ricerca di Kari Stefansson (neurologo e insegnante all’Università di Harvard) sostiene che il materiale genetico predisposto per l’arte e la creatività ha a che fare con alcuni disturbi mentali. I ricercatori del gruppo hanno analizzato soggetti affetti da disturbo bipolare e schizofrenia e sono arrivati alla conclusione che chi è affetto da questi disturbi ha una maggiore probabilità di sviluppare un talento creativo. E. A. Poe soffriva di alterazione psichica dovuta a un trauma infantile: perse entrambi i genitori in tenera età. Con il passare del tempo, a questo sostrato tormentato si aggiunse una dissociazione mentale dovuta all’uso di sostanze stupefacenti (Laudano); la malattia della moglie, infine, lo spinse a rifugiarsi nella scrittura visionaria. La fama di Poe crebbe dopo la sua morte. Aveva lottato invano per tutta la sua vita contro un mancato riconoscimento artistico. Oggi è considerato uno degli scrittori più importanti e influenti del genere gotico.



IL CORVO



Una volta, in una tetra mezzanotte, mentre meditavo, stanco e sconsolato, su molti strani e astrusi volumi d’obliata sapienza, mentre, sonnecchiando, già il capo mi si chinava...

...mi riscosse d’improvviso un battito leggero, come d’uno che bussasse sommesso alla porta della mia stanza.

“È un visitatore”, borbottai, “che bussa alla porta della mia stanza. solo questo e nulla più.”


Ah, distintamente ricordo che si era in un desolato dicembre, e che ogni stizzo morente disegnava, dal camino, un suo spettro sul mio pavimento.

Sospiravo ansioso il mattino; giacchĂŠ invano avevo chiesto ai miei libri di lenire il mio dolore. il dolore per la perduta Lenora. per la rara e radiosa fanciulla cui gli angeli dan nome Lenora.

ma che qui non avrĂ un nome mai piĂš.


il serico, triste fruscio dei drappeggi purpurei mi suscitava un brivido m’accendeva d’immaginari terrori mai prima avvertiti;

sicché infine, per placare il pulsare del cuore, m’alzai ripetendo: “È un visitatore che insiste alla porta della mia stanza.

qualcuno che s’attarda e insiste alla mia porta; solo questo e nulla più.”

Allora ripresi coraggio; e senza più esitare, “Signore”, dissi, “o signora, umilmente vi chiedo perdono; ma è ch’io sonnecchiavo,

e così sommesso fu il vostro bussare, così fu leggero quel vostro battito, battito alla mia porta, che appena ero certo d’averlo io inteso”. e tutta apersi la mia porta; solo tenebre e nulla più.


Scrutai a lungo in quelle tenebre, sostai a lungo con stupore e timore, dubbioso, sognando sogni che mai un mortale osò prima sognare; ma il silenzio era assoluto, e la muta aria, non dava alcun segno, e una sola parola fu detta, fu bisbigliata: “Lenora!”.

Fui io stesso a pronunciarla, e un’eco mi rimandò quella parola: “Lenora!”. Solo questo e nulla più.


Rientrai nella mia stanza, col cuore infiammato. e di nuovo udii bussare, un po’ più forte udii bussare.”Certo”, mi dissi, “c’è qualcosa alla finestra;

m’accerterò, dunque, esplorerò questo mistero;

con cautela esplorerò questo mistero sarà il vento e nulla più!”


Aprii la finestra: ed allora con strepito d’ali entrò nella stanza un maestoso corvo dei sacrali giorni d’un tempo; non fece alcun cenno d’ossequio, non un attimo s’arrestò o indugiò;

ma con portamento d’un gran signore o di dama si posò sulla mia porta. si posò sul busto d’una Minerva, sopra la porta della mia stanza. lassù si posò e nulla più.

inducendo allora quest’uccello d’ebano un po’ al sorriso i miei tristi pensieri...

...con il grave e severo contegno che si dava, “Per quanto”, io dissi, “la tua cresta sia rasa e tagliata, tu non sei certo né vile né spregevole, orrido, cupo e antico corvo, qui giunto dalle rive della Notte; dimmi qual nobile nome è il tuo sulle plutonie rive della Notte!

Disse il corvo: “Mai più”.


Molto fui stupito a udir parlare così distintamente quel goffo uccello, quantunque non avesse molto senso, scarsa attinenza avesse anzi la sua risposta;

poiché certo ognuno converrà che a nessuna vivente persona toccò mai di vedere un uccello sulla porta della sua stanza. uccello o altro animale posato sul busto scultoreo sopra la porta della sua stanza...

...e con un tale nome, “Mai più”.


Ma il corvo, solitario sedendo sul placido busto, altro non disse che quella sola parola, quasi che tutta la sua anima in quella sola parola avesse profuso. Né altro più aggiunse...

...né piuma più scosse. finché non diss’io in un soffio: “Altri amici già volaron via. e domani anch’egli andrà via, come le speranze che già tutte volaron via”.

Disse allora l’uccello: “Mai più”.


Attonito per quell’appropriata risposta che così infrangeva il silenzio...

...“Senza dubbio”, io ripresi, “è quel che dice tutto quel che sa, appreso da un qualche infelice padrone che la Sventura strinse dappresso, sempre più, e più, finché ogni suo canto non si ridusse che a quel ritornello...

...finché gli inni della sua mesta speranza non si ridussero che a quell’unico malinconico...

...“Mai. mai più”.


E mentre il corvo ancora m’induceva al sorriso i tristi pensieri, io sospinsi la mia poltrona fino alla porta, innanzi al busto e innanzi a quell’uccello; quindi, affondato nel velluto, mi diedi a collegare pensiero a pensiero, domandandomi che cosa mai quel sinistro uccello d’altri tempi.

che cosa mai questo cupo, goffo, avido, infausto e sinistro uccello d’altri tempi volesse dire, gracchiando “Mai più”.


Così io sedevo, immerso in congetture, e non più mi volgevo all’uccello, i cui fieri occhi ora nel petto mi bruciavano;

così io sedevo, su questo e su altro ancora pronosticando, chinata la testa sul velluto del cuscino, su cui la lampada fissava il suo occhio di luce, sul tessuto di viola che la lampada fissava col suo occhio di luce, e che lei non toccherà mai più!


Poi, così mi parve, diventò l’aria più densa, quasi fosse profumata da un invisibile incensiere da serafini agitato, col tintinnio dei loro passi che sfioravano il tappeto.

“Ah, misero”, gridai, “t’offre iddio per mano di questi angeli, ti offre iddio un sollievo. sollievo e nepente per il ricordo della tua Lenora; sorseggia, oh sorseggia questo dolce nepente e dimentica questa tua perduta Lenora!”

Disse il corvo: “Mai più”.


“Profeta!”, io dissi, “mostro del male! profeta pur sempre, uccello o demonio! sia che il Maligno stesso t’abbia mandato o la tempesta qui gettato sulla riva...

...afflitto ma non domato, su questa deserta terra stregata. su questa casa visitata dall’Orrore. dimmi ora, io t’imploro. vi è. vi è un balsamo in Gilead? Dimmelo. dimmelo, io t’imploro!”

Disse il corvo: “Mai più”.


“Profeta”, io dissi, “mostro del male! profeta pur sempre, uccello o demonio! Per quel cielo che su noi s’incurva. per quel Dio che entrambi adoriamo...

...di’ a quest’anima oppressa se mai nel remoto Eden abbraccerà più mai una fanciulla beata che gli angeli chiaman Lenora. abbraccerà più mai quella rara e radiosa fanciulla che gli angeli chiaman Lenora”.

Disse il corvo: “Mai più”.


“E sia questa tua parola per noi ora segno d’addio, uccello o demonio!” gridai e balzai in piedi. Ritorna alle tue tempeste e alle plutonie rive della Notte!

Non lasciarmi nessuna tua nera piuma a significar la tua menzogna! La mia solitudine lascia a me intoccata, e tu lascia il busto sopra la mia porta!

Porta via il tuo becco, dal mio cuore, porta via la tua figura da quella mia porta!

Disse il corvo: “Mai più”.


E mai più volando via di lì, il corvo ancora lì posa, ancora lì siede, sul pallido busto di Pallade, sopra la porta della mia stanza; e sembrano i suoi gli occhi d’un demonio che sogni...

...e la luce della lampada che l’investe ne getta l’ombra sul pavimento; e la mia anima da quell’ombra che fluttua e tremola sul pavimento non sarà sollevata.

mai più!


SPIRITI DEI MORTI



Starà la tua anima disperata e sola fra i bui pensieri d’una grigia lapide.

Non uno, in tanta folla, verrà a spiarti in quella tua più segreta ora.


Non dir nulla in quella solitudine che non è però desolazione

perchĂŠ, allora, gli spiriti di quelli che in vita ti precedettero incontrerai, nella morte, di nuovo intorno a te.

ed il loro volere porrĂ in ombra il tuo: ma tu, non dir parola.


La notte t’apparirà accigliata e greve.

e le stelle non più occhieggeranno dai loro alti troni celesti, con luce di vaghe speranze offerte ai mortali.

ma le loro rosse sfere, prive d’ogni raggio, al tuo languente occhio si mostreranno come incendio e ardore che per sempre t’investiranno.


Avrai pensieri che non potrai bandire.

visioni che mai piĂš svaniranno.

che mai piĂš da te saran disgiunte.

come le gocce di rugiada dall’erba.


La brezza.

l’alito di Dio.

è caduta.


e la nebbia sulla collina.

un’ombra.

un’ombra che non si squarcia, è un simbolo, è un segno.

già per come incombe sugli alberi, mistero dei misteri!


IL LAGO



Nel fiorir di giovinezza, ebbi in sorte d’abitar del vasto mondo un luogo che non poteva ch’essermi caro e diletto.


tanto m’era dolce d’un ermo lago la selvaggia bellezza, cinto di nere rocce,

con alti pini torreggianti intorno.


Ma poi che Notte, come su tutto, aveva lĂŹ disteso il suo manto,

e il mistico vento e melodioso passava sussurrando.

oh, allora, con un sussulto io mi destavo al terror di quel solitario lago.


Pure, non mi dava spavento quel terrore, ma anzi un trepido diletto.

un diletto che né miniere di gemme né lusinghe o donativi mai potrebbero indurmi a definir qual era.

e neanche Amore.

foss’anche l’Amor tuo.


Morte abitava in quelle acque attossicate,

e una tomba nel profondo gorgo era disposta per chi sapesse ricavarne un sollievo al suo immaginare:

il cui solingo spirito sapesse fare un Eden di quell’oscuro lago.



IMITAZIONE



Un cupo insondabile mare di sconfinato orgoglio.

mistero e sogno m’appare quella mia prima età ;


un sogno, dico, che un estroso pensiero popolò di strani esseri mai vissuti, che il mio spirito non ha mai veduto.

Oh, li avessi lasciati passare, col mio occhio sognante!


Nessuno al mondo erediti quella mia visione d’allora;

quei pensieri io controllerei, come per magia, nella sua mente: giacchĂŠ quella fulgente speranza e quel lieto tempo sono svaniti,


e per me ogni umano conforto con essi andò via con un sospiro: ma non m’importa che siano periti,

benché così cari li avessi allora.


LA VALLE DELL'INQUIETUDINE



Un tempo sorrideva silenziosa una piccola valle dove piĂš nessuno abitava:

la gente era partita per le guerre, affidando ai miti occhi delle stelle, a notte, dalle alte torri azzurre,

la custodia di quei fiori, sopra i quali, per tutto il giorno, pigramente indugiava la rossa luce del sole.


Ora invece al viandante che di lì passasse si mostrerebbe il triste stato di quella valle.

Nulla è ora lì che stia senza un moto: nulla, tranne l’aria che immobile sovrasta su quella magica solitudine.


Oh, non un soffio più sommuove quelle fronde, che ora palpitano come gelide onde d’intorno alle nebbiose, lontane Ebridi!

Oh, non un vento sospinge quelle nuvole, che con gravezza si spostano nel cielo inquieto, dal chiaro mattino fino a sera, sui fitti campi delle viole non còlte.

miriadi d’occhi umani d’ogni foggia.

e sui gigli che ondeggiano e gemono sopra una tomba che non ha nome!


Ondeggiano: dalle cime profumate rugiade cadono in gocciole immortali.

Gemono: dagli steli delicati discendono gemme d’eterne lacrime.


ELDORADO



Col suo gaio cimiero, un ardito cavaliere, sotto il sole e in fitta ombra, giĂ da tempo andava errando.


e cantava una canzone.

ricercando l’Eldorado


Ma diventò vecchio intanto.

questo prode cavaliere.


e gli calò sul cuore un’ombra, che non trovava mai terra o luogo somigliante all’Eldorado.


E quando le forze l’abbandonarono infine,

incontrò un’ombra pellegrina.


“Ombra”, egli chiese,

“dove mai si troverà questa terra d’Eldorado?”»


“Oltre ai Monti della Luna, giù nella Valle delle Tenebre, cavalca, cavalca intrepido”, così l’ombra gli rispose.


“se vai in cerca d’eldorado!”.


LA STELLA DELLA SERA



L’estate era al suo meriggio,

e la notte al suo colmo;


e ogni stella, nella sua propria orbita, brillava pallida, pur nella luce della luna, che piĂš lucente e piĂš fredda,

dominava tra gli schiavi pianeti, nei cieli signora assoluta.

e, col suo raggio, sulle onde.

Per un poco io fissai il suo freddo sorriso;


oh, troppo freddo. troppo freddo per me!

Passò, come un sudario, una nuvola lanuginosa, e io allora mi volsi a te,

orgogliosa stella della sera, alla tua remota fiamma, piĂš caro avendo il tuo raggio;


giacché più m’allieta l’orgogliosa parte che in cielo svolgi a notte,

e di più io ammiro il tuo fuoco distante che non quella più fredda,

consueta luce.


AL FIUME



Bel fiume! Nel tuo limpido flutto di lucido cristallo, acqua errabonda,

tu sei emblema d’una fulgente beltà .

cuore non disvelato.


piacevole intrico dell’arte nella figlia del vecchio Alberto;

ma quando la tua onda ella contempla. che scintilla allora e tremola,


oh, allora il piÚ leggiadro rivo si fa simile a colui che l’adora:

che nel cuore di lui, come nel tuo scorrere,


l’immagine di colei è radicata:

in quel cuore che tremola al raggio di occhi che gli cercano l’anima.



Reflusso è un’iniziativa editoriale dell’Associazione Culturale Amianto Comics. Questo spazio ospiterà storie e progetti dall’impronta personale, realizzate in piena libertà creativa dagli autori del collettivo. www.reflussofumetti.wordpress.com www.amiantocomics.com

Galex - Federico Galeotti Nato nel 1989, ha da sempre la passione per il fumetto e la pittura. Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti e la Scuola Internazionale di Comics, scrive e disegna per Amianto Comics (co-fondatore). Ha collaborato con Novel comix, Ronin, e due riviste estere: U-Comix (Germania) e Seriemix (Svezia). Di ultima realizzazione, due Graphic Poetry: “I Fiori Del Male: Tedio”, di Charles Baudelaire & “Il Corvo e altre poesie” di E.A.Poe.

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