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TRIVELLAZIONI E DIRITTO ALLA SALUTE /Responsabilità d'impresa
TRIVELLAZIONI E DIRITTO ALLA SALUTE
L’AFFERMAZIONE DEL DIRITTO COLLETTIVO ALLA SALUBRITA’ AMBIENTALE CONTRO GLI INTERESSI ECONOMICI RISTRETTI IN VISTA DEL PROSSIMO REFERENDUM “ANTI-TRIV” DEL 17 APRILE
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di Marta D’Alia
L’articolo 32 della Costituzione Italiana recita al primo comma che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Tale disposto, oltre ad inquadrare la Salute come diritto fondamentale senza il quale non sarebbe possibile il godimento di altri diritti, comporta anche il diritto alla salubrità dell’ambiente. Infatti, seppure il richiamo alla definizione di “ambiente” non sia esplicitamente presente nella Costituzione, questo è considerato un principio basilare visto che la Corte Costituzionale (1) ha stabilito che la protezione dell’ambiente è fissata da precetti costituzionali di cui agli articoli 9 e 32, assumendo quindi valore di diritto fondamentale. D’altronde, nel mondo contemporaneo, il godimento dei diritti fondamentali non è solo o soltanto minacciato dagli attacchi diretti alla libertà individuale quanto anche (se non soprattutto) dallo sviluppo economico “insostenibile”.
La Cassazione in Italia ha pertanto riconosciuto il diritto all’ambiente salubre come un diritto che, nonostante non sia oggetto immediato di tutela, diviene indirettamente rilevante come mezzo essenziale per assicurare diritti inviolabili dell’uomo espressamente riconosciuti. Allo stesso modo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, anche se non prevede esplicitamente il diritto all’ambiente tra i diritti fondamentali della Carta, ha interpretato l’ambiente come un valore della società, che non solo giustifica limitazioni di altri diritti fondamentali riconosciuti dalla Carta ma implica interventi positivi dello Stato volti alla sua salvaguardia.
All’articolo 41 la Costituzione Italiana riconosce poi la libera iniziativa economica, ponendo però un limite quando questa sia svolta in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza [..], che comprende anche il diritto alla salute di cui all’articolo 32 (2). Tale precetto definisce il rapporto tra iniziativa economica e intervento dei poteri pubblici in una sorta di compromesso tra due esigenze o interessi entrambi meritevoli di tutela ma che possono essere contrapposti. Questo è sicuramente il caso per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas naturale nella terra ferma o off shore entro i limiti delle acque territoriali nazionali. Infatti l’interesse economico dello sfruttamento deve considerare l’impatto ambientale che una tale attività comporta sia per la fauna e la flora, sia per l’aria, sia infine per la popolazione ivi residente.
Sia la giurisprudenza nazionale sia quella sovranazionale sono comuni nell’affermare il principio di bilanciamento tra interessi: da un lato il diritto individuale o collettivo all’ambiente salubre, dall’altro l’interesse per la collettività che una data attività economica ad impatto ambientale può avere. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha però condannato uno Stato per non aver preso le misure necessarie alla tutela dei propri cittadini nelle situazioni in cui alcune attività produttive ad elevato impatto ambientale (come nel caso di un impianto di smaltimento dei rifiuti) abbiano causato disturbi ai propri cittadini coinvolti perché risiedenti nei pressi di tale attività economica inquinante, seppure quest’ultima avesse un fine collettivo importante come quello di risolvere gravi problemi di inquinamento di una città. (3)
La questione dell’impatto ambientale che la politica energetica degli Stati comporta, è un tema sensibile a livello internazionale. A Novembre 2015, l’amministrazione Obama ha negato il consenso per la realizzazione di una mega opera ingegneristica, il cosiddetto Oleodotto Keystone XL, che avrebbe dovuto collegare l’Alberta in Canada con il Golfo del Messico negli Stati Uniti e trasportare il petrolio estratto nel primo paese. La motivazione di questo rifiuto, come emerge dalle dichiarazioni del Segretario di Stato Kerry e dello stesso Presidente Obama, è stato proprio un problema di leadership degli Stati Uniti nella lotta al cambiamento climatico, che altrimenti non avrebbero potuto più rivendicare all’interno della comunità internazionale qualora avessero approvato quel controverso progetto energetico.
Nonostante l’orientamento giurisprudenziale della Corte Europea dei Diritti Umani, il comportamento dello Stato Italiano e della Regione Sicilia riguardo la questione dei permessi allo sfruttamento dei giacimenti di gas e petrolio a terra e off shore nelle acque territoriali italiane appare in controtendenza.
Nonostante l’articolo 117 comma 2 lettera S della Costituzione Italiana stabilisca che lo Stato abbia legislazione esclusiva in materia di ambiente, spettando allo Stato il compito di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, la Corte Costituzionale (4) ha riconosciuto che su tale valore costituzionalmente protetto si possano manifestare degli interessi diversi, come regionali, accettando quindi l’intervento del legislatore regionale.
Sul tema in questione, a livello statale, appena prima dell’approvazione definitiva della legge di stabilità 2016 che vietava le attività di ricerca e di estrazione entro le 12 miglia dalle coste italiane, il Ministero dello Sviluppo Economico ha autorizzato tali attività lungo le coste di Pantelleria. Se da una lato lo Stato interviene a salvaguardia del benessere della collettività affermando un principio di tutela ambientale nella manovra finanziaria di governo, dall’altro concede, appena due giorni prima dalla legge che include tale principio, un atto di concessione che va nel senso opposto.
A livello regionale, nonostante il forte impatto ambientale che attività di questo tipo creano, già nel 2014 il governo regionale siciliano aveva tagliato le royalties che le compagnie petrolifere avrebbero dovuto riconoscere al governo regionale e ai Comuni nei cui territori ricadevano attività estrattive passando dal 20% al 13%, giustificando una tale misura con l’obiettivo di incentivare in questo modo l’economia della Regione incentivando gli investimenti delle compagnie petrolifere. Così come recentemente si è parlato della concessione di due nuove autorizzazioni di perforazione a Gela all’Enimed da parte dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, giustificata come compromesso necessario per salvaguardare i posti di lavoro del petrolchimico della città. Quella stessa città in cui si sta attualmente svolgendo il processo per disastro ambientale contro l’ENI “Raffineria di Gela” e quello stesso petrolchimico i cui dirigenti devono rispondere dell’accusa di omessa bonifica, di getto pericoloso di cose e di violazione dei codici ambientali per le attività svolte negli ultimi dieci anni.
Diversamente dalla posizione adottata dalla Regione Sicilia, nove regioni d’Italia si sono opposte a nuove trivellazioni nel loro territorio o lungo le loro coste, muovendosi affinché venisse indetto il referendum popolare che si terrà il prossimo 17 aprile in cui si chiede alla popolazione italiana se si voglia fermare lo sfruttamento di giacimenti off shore in attività una volta scaduta la relativa concessione. Nonostante il referendum non analizzi il problema nella sua ampiezza (non dice niente rispetto alle trivellazioni sulla terra ferma né rispetto all’attività di estrazione delle piattaforme oltre i 22 km dalle coste italiane), esso rappresenta un segno politico importante portato avanti da quegli enti locali che, interessati allo sviluppo economico del proprio territorio, vedono nelle energie rinnovabili, nel turismo, nella pesca e nelle attività a queste legate i “nuovi” e migliori strumenti sostenibili di occupazione e sviluppo.
Questa posizione è in contrasto con quella dei sostenitori del no al referendum che invece pongono l’accento sulla possibile perdita degli investimenti delle grandi compagnie petrolifere e della perdita di posti di lavoro, qualora, vincendo il fronte del si, tali concessioni estrattive non fossero rinnovate.
Il dibattito attuale è dunque tutto incentrato sull’equilibrio tra l’interesse economico collettivo che tali attività estrattive comportano e i danni ambientali che tali attività causano. Certo è che a fronte di molte realtà locali in cui il territorio e la sua gente appaiono impoverite, ferite e irreversibilmente deturpate, è difficile sostenere il compromesso tra i due interessi sia equilibrato.
(1) - Corte Costituzionale, sentenza del 30-12-1987 n°641
(2) - http://www.brocardi.it/costituzione/parte-i/titolo-iii/art41.html
(3) - CEDU, Lopez Ostra v. Spagna, 16798/90, 09/12/1994
(4) - Corte costituzionale, sentenza n°8 del 22-7-04