B U I L D I N G
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M A N A G E M E N T
ANACI LECCO
Laboratorio di idee, progetti e pareri in materia di condominio
Balconi in condominio Riscaldamento e ripartizione dei costi Convocazione dell’assemblea
Numero SPECIALE 2017
Scarico in facciata Stress da lavoro per l’Amministratore Il bonus per la manutenzione del verde privato
Anno II | n. 8-9 Ago-Dic 2017
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Con oltre cinquemila lettori, questa rivista raccoglie saggi, pareri e relazioni legali, tecnici e fiscali curati dal nostro Centro Studi lecchese e da professionisti esperti in materia condominiale
Marco Bandini Presidente di ANACI LECCO
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SOMMARIO IL PARERE LEGALE
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I balconi in condominio e la ripartizione delle spese
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L'interruttore differenziale per l'incolumità casalinga - Seconda Parte
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La convocazione dell'assemblea condominiale
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Rischio lavori in copertura: da Inail il manuale per la sicurezza
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La figura del revisore condominiale per la contabilità
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Effetti dello stress lavoro-correlato nell’Amministratore condominiale
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Riscaldamento centralizzato: diagnosi e ripartizione dei costi
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Una soluzione per le infiltrazioni negli interrati condominiali
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Vademecum per la redazione del verbale di assemblea
Avv. Laura Torri
Avv. Alberto Sangregorio
Avv. Fabrizio Goretti
Dott. Eugenio Sangregorio Avv. Davide Longhi
IL PARERE TECNICO
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Sì del TAR della Lombardia allo scarico a parete Prof. Arch. Annalisa Galante
Ing. Pierluigi Scarcelli
Geom. Simona Frigerio
Dott. Silvano Sala
Geom. Stefano Faita
IL PARERE FISCALE
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Il nuovo (annunciato) bonus verde anche per i giardini condominiali Dott.ssa Raffaella Figini
Hanno collaborato a questo numero: Stefano Faita, Raffaella Figini, Simona Frigerio, Fabrizio Goretti, Davide Longhi, Silvano Sala, Alberto Sangregorio, Eugenio Sangregorio, PIerluigi Scarcelli, Laura Torri Anno 2 | n.8-9 | Agosto - Dicembre 2017
www.anacilecco.it Direttore editoriale Marco Bandini - presidenza@anacilecco.it Direttore responsabile Annalisa Galante - consulentetecnico@anacilecco.it Marketing e diffusione: Periodico bimestrale on-line 5 numeri all’anno - marketing@anacilecco.it
Foto di copertina: ©Paolo Ciardi Progetto grafico: AGC s.r.l. - Milano © ANACI Provinciale di LECCO via F.lli Cernuschi, 23 - Merate (LC) - tel. 039 9160551 segreteria.presidenza@anacilecco.it Periodico on line non sottoposto a registrazione come previsto dall’Art. 3-bis del D.L. 18 maggio 2012, n. 63 Tutti i diritti sono riservati - È vietata la riproduzione anche parziale senza autorizzazione di ANACI LECCO
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Avv. Laura Torri
IL PARERE LEGALE
Membro del Centro Studi di ANACI LECCO
I balconi in condominio e la ripartizione delle spese La recente ordinanza Cass. 15 marzo 2017 n. 6652 offre spunti di riflessione su un argomento molto dibattuto e sempre attuale: gli interventi di sistemazione relativi ai balconi in condominio e la relativa ripartizione delle spese. In particolare la Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a esprimersi in merito a una delibera condominiale, che disponeva l’esecuzione dei lavori di rifacimento dei frontalini e dei sottobalconi. Una condomina aveva impugnato la delibera, ritenendo che fosse nulla laddove prevedeva che tali costi fossero posti anche a suo carico, pur non essendo proprietaria dei balconi. Le opere necessarie per la sistemazione dei balconi e i relativi oneri avrebbero invece dovuto gravare unicamente sui proprietari dei balconi stessi. Il Tribunale aveva respinto l’impugnazione, ritenendo che i frontalini e i sottobalconi si inserivano nel prospetto dell’edificio, avevano una chiara funzione decorativa e artistica e dovevano, quindi, essere considerati parti comuni dell’edificio medesimo, contribuendo a renderlo esteticamente gradevole. Conseguentemente la delibera aveva correttamente posto gli oneri a carico di tutti i condomini. La condomina aveva, quindi, proposto appello, deducendo che l’intervento deliberato dall’assemblea comprendeva lavori riguardanti principalmente ed essenzialmente l’impermeabilizzazione dei balconi mediante la demolizione della preesistente pavimentazione, degli stangoni e dei sottostanti massetti, opere che nulla avevano a che vedere con l’estetica e l’aspetto architettonico dell’edificio. La Corte di Appello aveva però dichiarato inammissibile l’appello, perché la condomina nel giudizio di primo grado non aveva citato i lavori di impermeabilizzazione e rifacimento della pavimentazione, ma solo i lavori relativi ai frontalini e ai sottobalconi, introducendo così un inammissibile ampliamento del tema su cui la Corte d’Appello era chiamata a decidere. La condomina era ricorsa in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello. La Corte di Cassazione innanzitutto ha escluso l’inammissibilità dell'appello, ritenendo che la condomina non avesse formulato una domanda nuova, laddove aveva fatto riferimento anche ai lavori inerenti all'impermeabilizzazione e pavimenta-
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La Suprema Corte di Cassazione è stata chiamata a esprimersi in merito a una delibera condominiale che disponeva l’esecuzione dei lavori di rifacimento dei frontalini e dei sottobalconi. Chi deve pagare? Come si ripartiscono le spese?
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IL PARERE LEGALE
zione dei balconi, in quanto si trattava di domanda comunque connessa alla vicenda sostanziale già dedotta in giudizio (Cass. S.U. n. 12310 del 15.06.2015). Ciò precisato, la Suprema Corte ha evidenziato che l’assemblea condominiale non può validamente assumere decisioni che riguardino i singoli condomini nell’ambito dei beni di loro proprietà esclusiva, salvo che non si riflettano sull’adeguato uso delle cose comuni. Nel caso di lavori di manutenzione di balconi di proprietà esclusiva degli appartamenti che vi accedono: • è valida la deliberazione assembleare che provveda al rifacimento degli eventuali elementi decorativi o cromatici, che si armonizzano con il prospetto del fabbricato; • è nulla la delibera che dispon-
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ga in ordine al rifacimento della pavimentazione o della soletta dei balconi, che rimangono a carico dei titolari degli appartamenti che vi accedono (Cass. n. 14576 del 30.07.2004; Cass. n. 6624 del 30.04.2012; Cass. n. 7603 del 30.08.1994). Il ricorso proposto dalla condomina è quindi stato accolto. La Corte di Cassazione ha ribadito il proprio orientamento relativo alla proprietà esclusiva dei balconi in capo ai titolari degli appartamenti che vi accedono, mentre ha ritenuto che eventuali elementi decorativi o cromatici, che si armonizzano con il prospetto del fabbricato devono invece essere considerati di proprietà comune. Ciò che maggiormente rileva è che la Cassazione abbia ritenuto NULLA la delibera oggetto di esame, poiché l’assemblea condominiale non può validamente assumere decisioni riguardanti beni di proprietà esclusiva dei condomini. L’assemblea non può validamente deliberare in ordine al rifacimento della pavimentazione o della soletta dei balconi, perché si tratta di beni di proprietà esclusiva. La decisione spetta unicamente ai titolari degli appartamenti che vi accedono, che dovranno farsi carico anche delle relative spese.
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IL PARERE LEGALE
Quindi le spese relative al rifacimento della pavimentazione o della soletta dei balconi (proprietà esclusive) sono a carico dei proprietari degli appartamenti che vi accedono, mentre le spese relative agli elementi decorativi o cromatici (parti comuni) sono a carico di tutti i condomini, anche quelli privi di balcone. Solo per le parti comuni (elementi decorativi o cromatici) l'assemblea può validamente deliberare, mentre è nulla la delibera che dispone relativamente alle proprietà esclusive dei singoli condomini. Nella decisione richiamata si fa riferimento ai frontalini e ai sottobalconi, dando lo spunto per un’ulteriore riflessione in ordine ai vari componenti dei balconi e alla ripartizione delle spese. Con il termine sottobalcone normalmente si intende quella parte del balcone che serve da copertura per il balcone inferiore. Tale termine sottobalcone si usa in relazione ai balconi aggettanti, mentre per i balconi incassati si usa più propriamente il termine solaio interpiano.
Distinzione tra balconi aggettanti e balconi incassati I balconi si distinguono principalmente in due categorie : • Balconi aggettanti cioè sporgenti dalla facciata dell'edificio condominiale “I balconi aggettanti, sporgenti cioè
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dalla facciata dell’edificio, costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono, con la conseguenza che, non svolgendo una funzione di sostegno né di necessaria copertura dell’edificio, non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi di proprietà comune dei proprietari di tali piani. Ad essi non può, perciò, applicarsi il disposto dell’art. 1125 c.c. dovendosi ritenere i balconi “aggettanti” di proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono (Cass. n. 15913/2007; Cass. n. 14576/2004; Cass. n. 5541/1986)" Cass. 30.04.2012 n. 6621; • Balconi incassati che invece non sporgono rispetto alla facciata del condominio, rimanendo incassati nell'interno. Possono
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IL PARERE LEGALE
essere considerati alla stregua dei solai e pertanto svolgono contemporaneamente funzioni di sostegno del piano superiore e di copertura del piano inferiore. Criteri diversi regolamentano la ripartizione delle spese relative alla manutenzione delle parti strutturali dei balconi, a seconda che si tratti di balconi aggettanti o di balconi incassati. Come precisato dalla Cassazione i balconi aggettanti devono ritenersi di proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti che vi accedono e conseguentemente anche le spese relative alla loro manutenzione saranno a loro esclusivo carico, non potendo trovare applicazione il disposto dell’art. 1125 c.c. Diverso è invece il caso dei balconi incassati, rispetto ai quali può trovare applicazione l’art. 1125 c.c. L'art. 1125 c.c. prevede: "Le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco,la tinta e la decorazione del soffitto".
Ripartizione spese del sottobalcone Piuttosto controversa è la questione inerente la ripartizione delle spese relative al sottobalcone, che si è detto essere quella parte del balcone aggettante, che serve da copertura per il balcone inferiore. Il sottobalcone viene denominato anche “cielino”.
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Secondo un primo orientamento le spese dovrebbero porsi a carico del titolare del balcone inferiore. Secondo un altro orientamento invece, trattandosi di un elemento visibile, il suo restauro dovrebbe porsi a carico di tutti i condomini. In tal senso la sentenza Tribunale di Novara del 29.04.2000 ritiene che la spesa relativa a essi debba porsi a carico di tutti i condomini, trattandosi di una parte condominiale visibile dall'esterno dell'edificio e quindi con funzione decorativa ed estetica per l'intero fabbricato Secondo l’indirizzo più recente, invece, si è ritenuto che il sottobalcone appartenga al proprietario del balcone soprastante, che pertanto si farà carico anche delle spese di manutenzione. Dall'esclusiva proprietà del sottobalcone in capo al titolare dell'appartamento a cui accede, consegue che il proprietario dell'appartamento sito al piano inferiore non può agganciare le tende alla soletta del balcone aggettante, se non con il consenso del proprietario dell'appartamento sovrastante.
Ripartizione delle spese relative agli elementi decorativi o cromatici Non sempre è facile comprendere a cosa ci si riferisca in concreto quando si parla di elementi decorativi o cromatici in riferimento ai balconi. "Devono considerarsi beni comuni a tutti,i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole" ( Ex multis Cass. 30.07.2004 n. 14576; Cass. 30.04.2012 n.6624; Cass. 19.05.2015 n. 10209). Vengono considerati elementi decorativi, ad esempio: fregi, stucchi, cordoli, fasce di coronamento, frontali e pilastrini, cimase , basamenti, copertine in pietra, statue, ecc. La Cassazione ha specificato che devono essere considerati di proprietà comune le parti decorative della parte frontale e di quella inferiore, facendo riferimento alle sole parti decorative che si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole, ma non alle parti strutturali che rimangono in capo al titolare del balcone. La ripartizione delle spese per la sistemazione di tali elementi decorativi, in difetto di una diversa disposizione del regolamento condominiale, sarà quindi a carico di tutti i condomini, in base alle tabelle millesimali, a prescindere se si tratti di balconi aggettanti o di balconi incassati.
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Avv. Alberto Sangregorio
IL PARERE LEGALE
Membro del Centro Studi di ANACI LECCO
La convocazione dell'assemblea condominiale La novella del 2012 ha introdotto importanti novità anche in tema di convocazione dell’assemblea condominiale. La precedente normativa prevedeva che l’avviso di convocazione, secondo quanto disposto dall’articolo 66 comma III disp. att. c.c., doveva essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza senza nulla specificare in ordine alla forma che detta comunicazione dovesse rivestire. Con la nuova formulazione dell’articolo 66 il legislatore sì è distaccato dal dominante orientamento giurisprudenziale che assumeva come la comunicazione di convocazione non richiedesse alcuna forma particolare potendo essere effettuata anche oralmente o telefonicamente, salvo poi le difficoltà connesse con la prova dell’avvenuta comunicazione e della tempestività della stessa. Il legislatore, con la novella del 2012, ha dunque optato per la forma vincolata espressamente prevedendo che “l’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione”. Posta dunque la necessità della forma scritta, non sarà necessario, ai fini della validità della convocazione, che la stessa sia stata effettivamente conosciuta da ogni singolo condomino essendo invece sufficiente che la comunicazione sia giunta nella sfera di conoscibilità dei singoli condomini, in applicazione dell’art. 1335 c.c. da cui discende la presunzione di conoscenza dell’avviso stesso. Stante quanto sopra, per effetto del disposto del richiamato articolo 1335 c.c., una volta che l’amministratore avrà inviato lettera raccomandata all’indirizzo dei condomini, saranno questi ultimi che, per vincere la richiamata presunzione, dovranno dare in concreto la prova della incolpevole mancata conoscenza dell’avviso di convocazione. Come espressamente previsto per legge, l’avviso deve pervenire ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per la riunione condominiale, dovendosi con ciò intendere la prima convocazione. Il termine di cinque giorni non potrà essere derogato se non con previsione, contenuta in un regolamento, di un termine superiore. Come evidenziato dalla Supre-
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Dal 2012 il legislatore sì è distaccato dal dominante orientamento giurisprudenziale che assumeva come la comunicazione di convocazione non richiedesse alcuna forma particolare potendo essere effettuata anche oralmente o al telefono, imponendo alcune regole che andiamo a ricordare
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ma Corte di Cassazione (13/11/09 n. 24132) l’onere di provare la regolarità della convocazione, ove un condomino ne eccepisca l’irregolarità, grava sul condominio, non potendo essere posto a carico del condomino impugnante l’onere di fornire, in negativo, la prova della irregolarità stessa. Quanto al contenuto, l’articolo 66 disp. att. c.c. richiede che nella convocazione venga riportata una “specifica indicazione dell’ordine del giorno" e che vi sia una esposizione degli argomenti da trattare, cosicché i condomini convocati possano percepirne il contenuto e l’importanza, e conseguentemente valutare l’opportunità della propria partecipazione e potersi predisporre ad affrontare in modo adeguato le tematiche che dovranno essere discusse o, in alternativa, adeguatamente istruire colui che dovesse partecipare in qualità di delegato al loro posto. Sarà necessario che, nell’avviso ANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
di convocazione, i temi che saranno oggetto di trattazione di deliberazione siano esposti con chiarezza, seppur sommariamente. La mancata indicazione nell’avviso di convocazione di un argomento che venisse poi trattato in assemblea e oggetto di deliberazione, determinerebbe l’annullabilità della deliberazione stessa. È bene tuttavia precisare che, come espresso dalla corte di cassazione nella sentenza 19. 11. 2009 numero 24456, l’omessa indicazione di un argomento, poi deliberato, nell’ordine del giorno di un’assemblea condominiale, non potrà essere rilevata dal condomino dissenziente nel merito, se questi non abbia preliminarmente eccepito in sede assembleare l’irregolarità della convocazione stessa. Appare inoltre interessante segnalare come, secondo una giurisprudenza di merito (tribunale Monza 05/07/16 n. 1905), la mancata allegazione alla lettera di convocazione del bilancio preventivo e del bilancio consuntivo, non costituisca vizio della deliberazione di approvazione dei bilanci suddetti, poiché non esiste alcuna norma positiva dalla quale arguire detto obbligo di allegazione. Il più volte citato art. 66 disp. att. c.c. (nuova formulazione) prevede inoltre che l’avviso di convocazione debba specificare anche quale sia il “luogo“in cui dovrà tenersi l’assemblea dei condomini, con la specificazione dell’ora in cui la riunione si terrà e, pur mancando esplicito richiamo nel citato articolo, della data in cui la
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riunione stessa dovrà attenersi. La mancanza di uno degli elementi sopra indicati e cioè: 1. la forma, 2. la specificità dell’ordine del giorno, 3. l’indicazione del luogo, 4. l’indicazione del giorno e dell’ora, determinerà l’annullabilità della delibera così adottata e, dunque, sarà necessaria l’iniziativa dei condomini dissenzienti o assenti per ottenere una pronuncia con cui venga dichiarata l’annullabilità suddetta. Quanto alla qualificazione del vizio suddetto quale di annullabilità e non di nullità della deliberazione assunta a fronte di una mancata o irregolare convocazione, il contrasto esistente in giurisprudenza è stato ormai da parecchio tempo risolto con una pronuncia della corte di cassazione a sezioni unite in data 07/03/05 n. 4809 con la quale è stato definitivamente chiarito come la mancata comunicazione a taluno dei condomini
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dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale comporti non certamente nullità ma la sola annullabilità della deliberazione così assunta. Si tenga presente, tuttavia, che non tutte le volte che vi sia stata omissione nella convocazione il condomino pretermesso potrà impugnare la relativa deliberazione: infatti necessita che il condomino impugnante abbia un effettivo interesse ad agire, che non potrebbe essere individuato nella mera volontà di rimozione dell’atto, necessitando invece la volontà di ottenere l’eliminazione di una obiettiva situazione di incertezza che avrebbe ad oggetto l’esistenza o meno di diritti e obblighi in capo al condominio medesimo. Resta inteso che il termine per impugnare la deliberazione ai sensi dell’articolo 1137 c.c. è di 30 giorni che decorrono dalla data della deliberazione per i condomini presenti, che votarono contrario o che si astennero mentre, per i condomini assenti, il termine decorrerà dalla data di comunicazione della deliberazione. Così come per l’avviso di convocazione, anche per la consegna del verbale di assemblea, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, si dovrà fare ricorso alle presunzioni di cui all’articolo 1335 c.c., cosicché il termine medesimo decorrerà da quando il verbale d’assemblea sia giunto all’indirizzo del condomino. Nell’ipotesi in cui, per assenza del destinatario, la lettera raccomandata contenente il verbale d’assemblea, sia stato depositato presso l’ufficio postale, lo stesso si considera conosciuto dal destinatario una volta compiutasi la giacenza e cioè decorsi inutilmente 10 giorni dalla data di deposito presso il predetto ufficio postale. Vi è da ANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
IL PARERE LEGALE
aggiungere che la conoscenza del verbale, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, non può intervenire “aliunde”, così come statuito da una sentenza della Corte di Cassazione (02/08/16 n. 16081), la quale ha escluso che la produzione della delibera assembleare nel fascicolo di un decreto ingiuntivo possa sopperire, nei confronti del soggetto ingiunto, alla mancata regolare spedizione - a mezzo lettera raccomandata o per mezzo equipollente - del relativo verbale. Quanto ai soggetti che debbono essere convocati, la nuova normativa introdotta dalla novella del 2012, ha esteso il novero dei medesimi, occorrendo ora fare riferimento, secondo il nuovo dato normativo, agli “aventi diritto”, concetto certamente più ampio di quello che pareva comprendere la
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precedente terminologia che individuava quali destinatari i soli “condomini”: gli aventi diritto dunque, oltre ai pieni proprietari delle unità immobiliari facenti parte del condominio, dovranno essere individuati anche negli usufruttari, nei nudi proprietari. Gli inquilini dovranno, invece, essere convocati e potranno votare (al posto del proprietario) in merito a decisioni sui servizi di riscaldamento e condizionamento dell’aria di cui beneficiano, se le spese sono poste a loro carico nel contratto di locazione. Il conduttore potrà anche intervenire, ma senza diritto di voto, sulle decisioni riguardanti modifiche di altri servizi comuni. Infine e non meno importante, anche tecnici e consulenti, quindi estranei al condominio, potranno partecipare all’assemblea condominiale. Il Garante per la protezione dei dati personali, nel vademecum predisposto in materia di privacy, ha tuttavia chiarito che tecnici, consulenti e avvocati, il cui intervento all’assemblea può essere richiesto anche da un singolo condomino, possono partecipare per il solo tempo necessario all’espletamento di quanto richiesto, se i partecipanti all’assemblea ritengono l’intervento necessario per specifici punti all’ordine del giorno. In caso di mancato consenso unanime, tali estranei non potranno partecipare all’assemblea (salvo delega conferita da un condomino).
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Avv. Fabrizio Goretti
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La figura del revisore condominiale per la contabilità La legge di riforma del condominio, come noto, ha attribuito all'assemblea dei condomini la facoltà di nominare “un revisore condominiale che verifichi la contabilità del condominio”, anche per più annualità specificamente indicate. Più precisamente tale figura è prevista dall'art. 1130-bis c.c.: lo scopo perseguito dovrebbe essere quello di tutelare i condomini sia in termini di trasparenza e correttezza dei bilanci, sia anche in termini di maggiore coinvolgimento nella verifica dei conti condominiali. Come detto, il revisore contabile ha lo scopo di verificare la contabilità del condominio: sul punto occorre ricordare che, fino all’entrata della riforma, il legislatore non aveva previsto alcuna formalità da rispettare nella stesura della rendicontazione condominiale considerando il rendiconto condominiale quale documento con cui l’amministratore alla fine di ogni anno amministrativo doveva rendere il conto della gestione ai partecipanti al condominio, e ciò per “giustificare in che modo abbia svolto la sua opera, mediante la prova di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito e di stabilire se il suo operato sia stato conforme ai criteri di buona amministrazione” (Cass. Civ., sez. III sent. n. 4480 del 20 agosto 1985). Con la legge n. 220/2012 il legislatore ha introdotto l’art. 1130 bis c.c. rubricato proprio “rendiconto condominiale” e per la prima volta ha indicato cosa deve contenere il rendiconto; il primo comma infatti statuisce che “Il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentire l’immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti”. Il legislatore, quindi, senza entrare nello specifico e lasciando, quindi, agli amministratori un certo margine di “azione”, ha ritenuto comunque opportuno fissare alcuni elementi essenziali per redigere la rendicontazione condominiale; è proprio in questa prospettiva che si inserisce la figura del revisore. Altro aspetto da evidenziare è che il legislatore, giustamente, non ha imposto alcun obbligo all’assemblea: la nomina del revisore rimane una mera facoltà che, peraltro, l'assemblea può esercitare in maniera piuttosto discrezionale; infatti, la nomina non deve necessariamente presupporre il dubbio di una
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Nel momento in cui l’assemblea delibera di sottoporre a revisione la rendicontazione condominiale viene imposto da parte del legislatore l’obbligo di specificare a quale periodo o periodi essa debba riferirsi
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qualche irregolarità contabile: la motivazione potrebbe essere di qualsiasi natura, anche una semplice verifica della gestione. Occorre evidenziare che il legislatore si è limitato a prevedere la nuova figura del revisore condominiale senza tuttavia chiarire chi possa svolgere l'incarico e quali requisiti debba possedere. È logico pensare comunque, a parere di chi scrive, che il revisore debba essere un figura professionale specializzata nella materia condominiale. Nel momento in cui l’assemblea delibera di sottoporre a revisione la rendicontazione condominiale viene imposto da parte del legislatore l’obbligo di specificare a quale periodo o periodi essa debba riferirsi: “[…] in qualsiasi momento o per più annualità specificamente identificate”. Da un punto di vista puramente formale è abbastanza semplice definire l’arco temporale che dovrà essere revisionato; potrebbe però capitare che le “irregolarità” presenti in una gestione siano il ANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
frutto di errori o imprecisioni di gestioni passate: ci si domanda, pertanto, come ci si debba comportare in questi casi: è opportuno convocare una nuova assemblea riformulando il periodo di indagine? Il revisore dovrà procedere ugualmente all’esame anche degli esercizi passati? L’assemblea e il professionista in sede di attribuzione dell’incarico potranno pattuire una maggiorazione del compenso qualora risultasse necessario analizzare altre annualità? Tutti interrogativi che troveranno sicuramente risposte nell’evoluzione giurisprudenziale. Stante la volontà condominiale di avvalersi di un revisore, una questione importante da affrontare è la ripartizione della fattura del professionista: l’art. 1130 bis c.c., sul punto, ha stabilito che “[…] La deliberazione è assunta con la maggioranza prevista per la nomina dell’amministratore e la relativa spesa è ripartita fra tutti i condomini sulla base dei millesimi di proprietà. […]”. Tale norma è chiara e non dovrebbe ammettere interpretazioni differenti e ciò consentirebbe di evitare (speriamo!) contenziosi sul punto. In conclusione, quando se ne dovesse ravvisare la necessità, l’amministratore potrà inserire all’ordine del giorno della convocazione di assemblea il punto relativo alla “nomina revisore contabile: determinazione degli esercizi finanziari da revisionare e determinazione del suo compenso”; in tal modo i condomini potranno conoscere l’oggetto della delibera e valutare le competenze offerte dai vari consulenti contabili al fine di affidarsi ad un professionista serio ed in grado di soddisfare l’incarico della revisione contabile condominiale.
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Dott. Eugenio Sangregorio
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Membro del Centro Studi di ANACI LECCO
Riscaldamento centralizzato: diagnosi e ripartizione dei costi Lo scopo di addivenire entro l’anno 2020 a ottenere rilevanti risparmi energetici sulla base delle prescrizioni provenienti dalla Comunità Europea hanno portato il Legislatore Regionale e Nazionale a emettere una serie di normative in materia di impianti di riscaldamento condominiali centralizzati che hanno portato prima all’obbligo di installazione degli impianti di termoregolazione e contabilizzazione e poi alla redazione della diagnosi energetica come da Norma UNI 10200 sulla base della quale procedere alla ripartizione dei costi di riscaldamento, pena applicazione delle sanzioni previste. In particolare l’obbligo di installazione dei sistemi di termoregolazione è stato introdotto dalla Regione Lombardia con la L.R. 24/2006 a cui è stata data attuazione con le D.G.R. 2601/2011 e 1118/2013 che hanno stabilito il termine ultimo di installazione per il 01/08/2014 con proroga nell’applicazione delle sanzioni fino al 31/12/2016, anche in conformità con la legge nazionale e in particolare con il d.lgs.102/2014, a cui la norma regionale si è allineata con la L.R. 20/2015 per quanto riguarda scadenza e sanzioni e con il D.G.R. 3965 del 31/07/2015 per le restanti obbligazioni. Successivamente con il Decreto n. 11785 del 23/12/15 sono state approvate le disposizioni operative in sostituzione del D.D.U.O. 2027 dell’11/06/2014 in coerenza con la DGR 3965/15 e con la DGR 4427 del 30/11/2015 mentre con l’art. 3 della serie ordinaria n. 53 del 30/12/2015 sono stati chiariti alcuni dettagli. Infine (per ora) è entrato in vigore a livello nazionale il d.lgs. 18/07/2016 n. 141 che ha apportato alcune significative modifiche al precedente d.lgs. 102/2014. Le predette norme impongono, innanzitutto, l’obbligo di installare impianti di termoregolazione e contabilizzazione, per i costi di riscaldamento e acqua calda sanitaria, in tutti gli impianti condominiali centralizzati, indipendente dal numero di proprietari e di unità immobiliari (bastano due inquilini che sussiste l’obbligo). L’installazione può essere derogata solamente nel caso di impossibilità tecnica o di valutazione antieconomica che può sussistere solamente laddove il termotecnico, a mezzo relazione secondo la Norma UNI 15459, preceduta dalla diagnosi energetica, attesti che il rientro dei costi sostenuti per l’installazione dell’impianto avverrebbe in un lasso di
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In tutti i condomini con impianto di riscaldamento centralizzato deve essere redatta la diagnosi energetica, necessaria per ricevere indicazioni su possibili interventi e anche per la ripartizione delle spese di riscaldamento
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tempo superiore a 8 anni. Quindi alla data odierna i tempi sono scaduti, anche relativi alla proroga dell’applicazione delle sanzioni, che peraltro ex d.lgs. 141/2016 sono a carico direttamente del proprietario dell’unità immobiliare che non ha installato l’impianto di termoregolazione, e quindi dobbiamo dare per scontato che in tutti i condomini siano già stati installati i predetti impianti. Si ricorda infine, per quanto riguarda la suddetta installazione, che è obbligatoria la progettazione a firma di tecnico abilitato come previsto sia dalla Legge 10/1991 che dal D.M. 37/2008. Solo nel caso (assolutamente raro) in cui l’intervento venga eseguito senza modificare o sostituire componenti del sistema di distribuzione, ma intervenendo solo sui terminali scaldanti con l’installazione dei detentori idonei e dei ripartitori, la relativa installazione può avvenire anche senza la preventiva progettazione, mentre evidentemente rimane l’obbliANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
go, come oltre specificheremo, della redazione della diagnosi energetica.
Ripartizione costi di riscaldamento sulla base della diagnosi energetica In tutti i condomini con impianto di riscaldamento centralizzato, sulla base della Norma UNI 10200, deve essere redatta la diagnosi energetica, necessaria non solo per ricevere indicazioni su possibili interventi diretti a un ulteriore miglioramento in termini di dispersioni energetiche, ma anche per la ripartizione delle spese di riscaldamento, e tale obbligo sussiste anche nei casi, come quelli precedentemente esaminati, in cui sia possibile ottenere l’esenzione dalla relativa installazione laddove comunque il termotecnico, prima di accertare la sussistenza delle condizioni di antieconomicità, deve necessariamente redigere la diagnosi energetica che serve anche come supporto per la successiva relazione tecnica di antieconomicità dell’intervento con conseguente facoltà di esenzione dall’obbligo di installazione dell’impianto. La predetta diagnosi determina la metodologia di ripartizione dei costi inerenti il riscaldamento (e l’A.C.S. ove centralizzata) che deve necessariamente essere applicata in quanto altrimenti possono essere irrogate le sanzioni previste dalla normativa. Con l’ultimo aggiornamento legislativo rappresentato dal d.lgs. 141/2016 è stata concessa una deroga, applicabile solamente
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laddove l’unità immobiliare più sfavorita abbia una dispersione al m2 superiore di almeno il 50% rispetto alla medesima dispersione dell’appartamento meno sfavorito, che consente di ripartire il consumo involontario (precedentemente chiamato quota fissa) con una tabella millesimale anche diversa da quella contenuta nella diagnosi energetica (i precedenti millesimi di riscaldamento, la cubatura degli immobili, le superfici radianti, le potenze degli elementi riscaldanti, i millesimi di proprietà o altri eventuali criteri purché coerenti) e di utilizzare una percentuale di consumo volontario/involontario determinata dall’assemblea in sostituzione di quella contenuta nella diagnosi purché la quota di consumo volontario non venga determinata in misura inferiore al 70%. Naturalmente nella fattispecie trattasi di una facoltà e non di un obbligo.
Ripartizione dei costi di riscaldamento nel consuntivo dell'Amministratore. La difficoltà di estrapolare dalla corposa diagnosi energetica gli elementi e “i numeri” necessari per procedere in pratica alla redazione della ripartizione dei costi del riscaldamento nonché il fatto che ogni termotecnico utilizza un software e una metodologia diversa per la redazione della diagnosi, fanno sì che molti Amministratori non sono in grado di redigere la ripartizione dei costi di riscaldamento e ACS e devono conseguente rivolgersi al tecnico che ha redatto la diagnosi per fare eseguire al predetto, evidentemente e logicamente con costi aggiuntivi per l’Amministratore o per i condomini), la relativa ripartizione. Vogliamo in questa sede dare alcuni suggerimenti pratici e concreti, frutto esclusivamente della nostra personale esperienza e della ripartizione che abbiamo dovuto predisporre nei vari condomini da noi amministrati, perché anche gli altri Amministratori, se lo vorranno o lo riterranno opportuno, possano procedere in via autonoma alla ripartizione dei costi del riscaldamento. Innanzitutto evidenziamo come i dati relativi ai consumi possono essere, nelle letture dei contatori generali ed individuali, espressi a volte in m3. a volte in kWht, mentre nelle bollette sono generalmente espressi in m3. Non potendo confrontare, come ci è stato insegnato sin dalle elementari, pere con mele, dobbiamo essere in grado di trasformare i m3 in kWht sia per il riscaldamento che per l’ACS, mentre per quanto concerne l’energia elettrica avremo sempre kWh. Nel caso di riscaldamento troverete nella diagnosi o potrete richiedere al termotecnico redattore della stessa i due dati che vi necessitano e precisamente il potere calorifico del metano
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(circa 9,50) e il rendimento della caldaia (normalmente da 0,70 a 1,00). Per trasformare quindi i m3 di riscaldamento consumati in kWht è necessario moltiplicare i m3 esposti in bolletta (o la percentuale di m3 laddove come oltre specificato sia necessario distinguere riscaldamento da ACS se centralizzata) per il potere calorifico del metano e per il rendimento della caldaia ottenendo così il consumo riscaldamento esposto in kWht. Per trasformare, invece, laddove necessario i m3. di acqua calda sanitaria in kWht, vi è una differente formula, anche in tal caso i cui dati devono essere forniti da termotecnico: m3. consumati x potere calorifico (differente da quello per il riscaldamento : 1,15 o similare) per il salto termico (circa 37°C). Ricordando che i costi di manutenzione, delle letture e del consumo involontario devono essere ripartiti sulla base dei millesimi (trattasi di due distinte tabelle di cui una per il riscaldamento e una per l’ACS se presente), mentre il consumo volontario deve essere ripartito sulla base dei rispettivi consumi, il primo conteggio da effettuare, solo nei casi di ACS centralizzata, è quella di determinare il consumo (e quindi il costo) da imputare a riscaldamento e quello da imputare ad ACS. Per eseguire tale operazione vi sono due soluzioni: se in caldaia vi sono i contatori che registrano il consumo per il riscaldamento e per l’ACS deve essere fatta la lettura dei predetti consumi che dà la proporzione della quota da imputare ad ACS e quella da imputare a riscaldamento. In tal caso trattasi di dato certo. In difetto nella diagnosi dovrete trovare la percentuale da imputare a riscaldamento e ANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
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ad ACS (dato evidentemente presunto). Una volta ottenuto, tramite trasformazione dei m3 in kWht, il consumo imputabile globalmente a riscaldamento, dallo stesso si deduce la somma dei consumi individuali e la differenza si riferisce al consumo involontario mentre quello volontario è rappresentato dalla somma dei consumi dei singoli condomini. In alternativa, in particolare laddove la determinazione della quota relativa al riscaldamento dovesse avvenire in misura forfettaria (ovviamente nel caso in cui vi sia anche ACS) e in mancanza di contatori generale in Centrale Termica, fatto che potrebbe portare a dati puramente presuntivi e quindi con possibili discrepanze o anomalie ovvero allorché le unità di misura dei consumi involontari dovessero essere diverse, nella diagnosi rinverrete la presunta entità delle dispersioni espressa in kWht e, quindi, determinerete il consumo involontario con una proporzione tra le predette dispersioni (che rimangono sostanzialmente fisse negli anni non essendo ipotizzabile un aggiornamento annuo della diagnosi) e la quota complessiva del consumo imputabile a riscaldamento espressa pure in kWht. Analogo procedimento va fatto per l’ACS con la sola avvertenza che, qualora i consumi individuali vengono espressi in kWht, la metodologia da seguire è identica, mentre nel più probabile caso in cui è espressa in mc. non serve eseguire alcuna trasformazione. Anche in tal caso la quota di consumo involontario può essere ottenuta per differenza o a mezzo proporzione utilizzando le presunte dispersioni risultanti dalla diagnosi nelle ipotesi sopra ANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
descritte. Infine, per quanto riguarda la forza motrice nel caso in cui il Condominio dovesse avere una bolletta dedicata esclusivamente alla predetta, il relativo costo verrà aggiunto a riscaldamento e ACS utilizzando le medesime percentuali determinate come sopra, mentre nel caso in cui la bolletta condominiale sia unica comprendendo anche la forza motrice potrete installare un contatore che determina il consumo annuo della forza motrice oppure rinverrete nella diagnosi energetica il presunto fabbisogno di forza motrice per riscaldamento (e ACS) e quindi determinato il costo unitario (totale bollette diviso per kWh consumati) moltiplicherete il predetto costo unitario per il presunto fabbisogno e otterrete la quota energia elettrica destinata a forza motrice che ripartirete, utilizzando le medesime percentuali del consumo metano, prima tra riscaldamento e ACS e poi tra consumo volontario e involontario.
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Avv. Davide Longhi
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Formatore di ANACI LECCO
Vademecum per la redazione del verbale di assemblea Lo scopo dell’articolo è quello di facilitare l’amministratore di condominio a ottenere e conservare nell’apposito registro (previsto ai sensi dell’art. 1130 n. 7 c.c.) il verbale dell’assemblea, ricordando che in detto registro devono essere annotate, oltre le decisioni dell'assemblea, anche le eventuali “mancate” costituzioni e le brevi dichiarazioni rese dai singoli condomini che ne hanno fatto richiesta; l'inosservanza del suddetto obbligo, da parte dell'amministratore, legittima l'istanza di revoca giudiziaria ai sensi dell’art. art. 1129 comma 12 n. 7 c.c. Il dato normativo da analizzare è l’ultimo comma dell’art. 1136 c.c. che cosi recita: “[...] delle riunioni dell'assemblea si redige processo verbale da trascrivere nel registro tenuto dall'amministratore”. La riforma del condominio L. 220/12 (entrata in vigore il 18/06/2013) ha modificato il testo normativo nel senso che oggi la verbalizzazione deve avere per oggetto le riunioni e non deve riguardare più le deliberazioni (in passato ante riforma: delle deliberazioni dell’assemblea si redige processo verbale), quindi si è superato il precedente orientamento giurisprudenziale secondo il quale (avendo il verbale la sola funzione di documentare la valida costituzione dell’assemblea, la formazione e il contenuto della volontà condominiale) non sussisteva alcun obbligo normativo (e di conseguenza non sussisteva alcun diritto dei condomini) di vedere riprodotta nel verbale ogni osservazione, richiesta o dichiarazione dei singoli condomini che esulasse dai contenuti deliberativi. Pertanto ora è necessario/obbligatorio redigere il processo verbale di ciò che accade nella riunione, documento che per analogia può essere equiparato al verbale dell’udienza del processo civile di cui agli artt. 126 e 130 c.p.c.. Preliminarmente ci si deve porre l’interrogativo sulla natura giuridica del verbale e, stante il nuovo dato normativo sopra indicato (forma scritta del verbale), ci si chiede se la forma scritta sia obbligatoria ad substantiam o ad probationem, senza dimenticare che, in ogni caso, il verbale fornisce una prova presuntiva dei fatti che afferma essersi in essa verificati, con inversione dell’onere della prova in capo a colui che contesta il contenuto dello stesso. Tale prova, ai sensi dell’art. 2727 c.c. e seguenti, può essere fornita con ogni mezzo e quindi “[...] spetta al condomino il quale impugna la deliberazione assembleare, contestando la rispondenza a verità di quanto riferito nel relativo verbale, di provare il suo assun-
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Dalla riforma del condominio la verbalizzazione deve avere per oggetto le riunioni e non deve riguardare più le deliberazioni, superando il precedente orientamento giurisprudenziale per il quale non sussisteva alcun obbligo normativo di riprodurre nel verbale ogni osservazione, richiesta o dichiarazione dei singoli condomini che esulasse dai contenuti deliberativi
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to" (Cass. Civ. 12119/1992 - Cass. Civ. 11526/1999). La risposta alla domanda (sulla natura giuridica del verbale) viene fornita dalla dottrina e dalla giurisprudenza che la individuano principalmente, e di volta in volta, sulla base dell'oggetto della deliberazione stessa. Il criterio distintivo è nella “materia” della delibera: se incide sui diritti reali o su altre situazioni giuridiche soggettive (forma scritta per l’esistenza/validità), allora sarà ad substantiam, se invece la materia della delibera non lo richieda la forma scritta sarà ad probationem (ai soli fini della prova e non per la sua esistenza/validità). Occorre anche sottolineare il legame (mai totalmente confutato) che c’è tra, diritto reale esclusivo-condominio-manifestazione di volontà dell'assemblea condominiale, caratterizzato dalla natura reale del suo presupposto. L'origine reale del condominio è indiscussa, essendo ricollegabile ai concetti di communio pro diviso, e di comunione forzosa di tutti i condomini sulle parti comuni, pertanto le manifestazioni di volontà di tale ente di gestione (il condominio secondo la giurisprudenza) si atteggiano, tra la natura reale di accertamento/ ricognitivo e la natura meramente contrattuale. Di seguito alcuni esempi che possono aiutare la comprensione: a) nomina dell'amministratore: in tale ipotesi la natura contrattuale/negoziale del verbale si riferisce alla natura negoziale dell'atto di nomina, parte integrante nella fattispecie del mandato amministrativo (nomina + accettazione); b) riparto spese: qui il verbale assume valore di atto meramente ricognitivo/accertativo (cioè atto giuridico in senso stretto) senza avere valore negoziale in quanto riferibile al diritto reale e alle obbligazioni propter rem. ANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
Il confezionamento del verbale assembleare si determina in tre fasi: 1. fase preliminare che attiene alla fase della costituzione dell’assemblea: presenza, deleghe etc.; 2. fase centrale quella che attiene alla discussione e votazione; 3. fase finale o di chiusura che attiene al c.d. scioglimento dell’assemblea. Ora passando ad analizzare le tre fasi si cercherà di analizzare quali sono i requisiti formali che lo stesso verbale deve rispettare per essere valido, anche se in merito a ciò la disciplina del condominio è lacunosa per cui si deve far ricorso alla giurisprudenza (funzione integrativa) che si è formata sin dagli anni 2000 per evitare tutti quei vizi che possono invalidare la riunione assembleare (tra tutte Cass. sez. unite 4806/2005). Occorre, altresì, tenere in considerazione che qualora il regolamento di condominio preveda nel suo contenuto delle clausole di natura regolamentare che disciplinino aspetti circa le modalità di tenuta/ svolgimento dell’assemblea condominiale, diventa obbligatorio da parte dell’amministratore di condominio il rispetto delle stesse.
Prima fase - Preliminare Il verbale dovrà contenere: 1. luogo dell’adunanza, 2. la data di convocazione, 3. l’ora di inizio, 4. l'ordine del giorno, 5. l'accertamento dell'invio dell'avviso a tutti i condomini, 6. il numero degli intervenuti (di persona o per delega) con i rispettivi millesimi, 7. la nomina del presidente (nominato tra i presenti) e del segretario (il quale ha il compito di redigere fisicamente il verbale sotto indicazione o dettatura del presidente).
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Si ricorda che alcuni degli elementi sopra indicati (cfr n. 1-2-3-4) devono essere già contenuti nell’avviso di convocazione che deve essere comunicato agli aventi diritto nelle forme e nei termini di cui agli artt. 1136 c.c. e 66) disp att c.c.. (cfr. articolo a pagina 6) Ora occorre focalizzare l’attenzione in merito a seguenti aspetti: a) Luogo e giorno dell’adunanza. Circa il luogo è fatta una specifica indicazione da parte del regolamento di condominio l’art. 66 c. 3 disp. att c.c. prevede che “[...] l’avviso di convocazione [...] deve contenere l’indicazione del luogo di riunione”. Il dato legislativo è l’unico riferimento relativo al luogo di celebrazione dell’assemblea la cui omissione rende invalida l’assemblea e più precisamente la rende annullabile (Cass. sez. unite 4806/2005). Quindi nel silenzio della legge del regolamento di condominio, all’amministratore è riconosciuta ampia discrezionalità nella scelta delle sede della riunione con i seguenti limiti, e precisamente il luogo dovrà: a) essere ubicato entro i confini del Comune ove sorge il Condominio; b) essere idoneo (per ragioni fisiche e morali) a consentire la presenza di tutti i condomini e dovrà garantire l’ordinato svolgimento dell’assemblea; c) dovrà essere garantita la riservatezza (sono esclusi luoghi ove siano presenti soggetti estranei); d) dovrà essere garantita la salubrità e la comodità dei locali tenuto conto del numero dei partecipanti. In relazione al giorno dell’adunanza stando alle pronunce giurisprudenziali ed alle indicazioni dottrinarie sull’argomento, allo stato attuale è possibile affermare che un amministratore può convocare l’assemblea anche il 24 dicembre alle ore 19, oppure il 15 agosto alle 15. Secondo la dottrina, infatti, “[...] le assemblee possono essere convocate in qualunque giorno dell’anno, si esso feriale che festivo”. Si legge in una sentenza della Corte di Cassazione che “[...] l'amministratore è libero di fissare l'ora di convocazione dell'assemblea e che la convocazione in ora notturna non rende impossibile la partecipazione alla stessa. Chi, pertanto, diserta l'assemblea condominiale in prima convocazione perché, data l'ora fissata, ritiene che l'assemblea sarà tenuta in seconda convocazione, opera a suo rischio” (Cass. Civ. 697/2000). b) Tenuta dell’assemblea in 1a convocazione. È bene subito evidenziare come la mancanza del verbale d’assemblea condominiale in prima convocazione renda invalida l’assemblea in 2a convocazione. La Suprema Corte (Cass. Civ. 697/2000) ha affermato che nessun condomino possa pretendere “[...] fino a quando una diversa disciplina non sia recepita dal regolamento condominiale, che l'assemblea di prima convocazione abbia effettivo svolgimento, sia pure al solo fine della verifica della mancanza del numero legale, e che per il suo inizio venga fissata una de-
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terminata ora anziché un'altra". Tale principio è stato nuovamente confermato dalla circostanza che “[...] la necessità della verifica del negativo esperimento della prima convocazione, non comporta la necessità di redigere un verbale negativo, ma attiene alla validità della seconda convocazione la quale è condizionata dall'inutile e negativo esperimento della prima” (Cass. Civ. 2265/2014). Quindi si può affermare che se l'assemblea si costituisce regolarmente in 2a convocazione, è la conseguenza che la 1a non ha avuto esito positivo ai fini costitutivi. Quindi nel caso di quorum costitutivo inferiore a quello legale, diventa necessario redigere verbale negativo cioè di mancata costituzione, mentre nel caso di completa assenza dei condomini “[...] la verifica di tale condizione va espletata nella seconda convocazione, sulla base delle informazioni orali rese dall'amministratore, il cui controllo può essere svolto dagli stessi condomini i quali o sono stati assenti alla prima convocazione, o, essendo stati presenti, sono in grado di contestare tali informazioni; pertanto, una volta accertata la regolare convocazione dell'assemblea, l'omessa redazione del verbale che consacra la mancata riunione dell'assemblea in prima convocazione non impedisce che si tenga l'assemblea in seconda convocazione, né la rende invalida” (Cass. Civ. 24/4/1996 n. 3862; Cass. Civ. 13/11/2009 n. 24132). In conclusione si consiglia di inserire nel verbale la formula di rito “[...] l'assemblea si svolge in seconda convocazione essendo la prima andata deserta” indicando altresì il motivo per il quale la 1a convocazione non si sia correttamente tenuta ANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
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(Cass. Civ. 21886/2012). L’assenza di una tale indicazione potrebbe far ritenere al giudice che l’assemblea svoltasi sia stata in realtà una 1a convocazione, con tutte le conseguenze del caso stante proprio la diversità di quorum costitutivo e deliberativo. c) Il numero degli intervenuti. È necessario fare l’appello e conteggiare i condomini presenti personalmente o per delega con i rispettivi millesimi, al fine di verificare la sufficienza del doppio quorum (per teste e per millesimi) per la stessa costituzione dell’assemblea e per la verifica di eventuali condomini in conflitto di interesse (Cass. Civ. 810/1999 – Cass. Civ. 24132/2009 - Cass. Civ. 10754/2011; Tribunale di Roma, sentenza 8 novembre 2016 n. 20744 e sentenza n. 229 del 10 gennaio 2017. Trib. Napoli sentenza del 12/10/1989). Il conflitto di interessi, per il cui approfondimento si rinvia ad altra sede, è quella situazione caratterizzata dalla divergenza concreta ed inconciliabile di posizioni in capo a un condomino rispetto al condominio, contrasto tanto evidente che il raggiungimento di un determinato obiettivo impedisce il raggiungimento dell’altro con il primo confliggente. La conseguenza del conflitto di interessi è che la delibera assunta con il voto determinante di chi è in conflitto può essere impugnata e annullata; infatti, stante l’attuale dato normativo, la delibera assembleare viziata da un conflitto di interessi è annullabile e non nulla tout court, perché deve esistere un interesse dei condomini a far dichiarare invalida detta delibera, non sussistendo, in astratto, un interesse generale da tutelare. In sintesi: il condomino in conflitto di interessi ha ANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
diritto di essere presente, di essere conteggiato ai fini del quorum costitutivo/deliberativo ed ha diritto ad esprimere il voto in quanto può (non deve) astenersi dalla votazione. Detto principio (trattasi dell’orientamento attualmente dominante) è sancito dalla Corte Suprema (Cass. Civ. 19131/2015) che ha affermato che anche in caso di astensione dal voto dei condomini in conflitto di interessi, le maggioranze necessarie per approvare la delibera vanno comunque riferite al numero totale dei condomini ed al valore dell'intero edificio, non potendo essere detratte le quote (personali e reali) dei condomini in posizione di conflitto. Per completezza in passato è stata sostenuta la tesi (Cass. Civ. 10683/2002) che il condomino in conflitto di interessi dovesse essere escluso dal calcolo dei millesimi delle relative carature attribuite al condomino confliggente: veniva così estensivamente interpretata la norma dettata dall’art. 2373 cod. civ. in tema di società per azioni (che inibisce il diritto di voto al socio in conflitto di interessi con la società), ricorrendo in entrambe le fattispecie la medesima ratio consistente nell’attribuire carattere di priorità all’interesse collettivo rispetto a quello individuale. d) La partecipazione degli estranei (non delegati). Si pensi, ad esempio, a tecnici o consulenti chiamati a relazionare su specifici lavori da svolgere. Il garante della privacy si è occupato della tematica ed ha affermato che "…in determinati casi possono partecipare anche soggetti diversi dai condòmini...” (cfr. “Il condominio e la privacy, Garante per la protezione dei dati personali”, Ottobre 2013). In caso di contestazione da parte di alcuni condomini è consigliabile fare deliberare all’assemblea la partecipazione degli stessi. e) Nomina del presidente e del segretario. Il presidente viene nominato tra i presenti in assemblea ed in caso di mancata unanimità a maggioranza. L'omissione di questa indicazione non è causa di invalidità ove risulti comunque una firma sul verbale chiaramente riconducibile ad uno dei condòmini. Compito del presidente è quello di verificare che tutti i condòmini siano stati regolarmente invitati, ossia che sia stato inviato loro l'avviso di convocazione nei modi e nei termini di legge. Di tale verifica deve restare traccia nel verbale a dimostrazione del fatto che la stessa sia stata compiuta. La verifica deve riguardare anche la regolarità formale delle deleghe. Il presidente dirige la discussione in assemblea e potrà consentire la discussione dei punti all'ordine del giorno, seguendo l'ordine ivi indicato, oppure in base a quello deciso al momento dall'assemblea. È opportuno (non obbligatorio), nel caso di inversione, che se ne spieghi brevemente a verbale la ragione. Mentre il compito di redigere il verbale spetta ad uno dei condòmini: tuttavia la giurisprudenza ha chiarito che, salvo diversa indicazione del regolamento di condominio, non vi
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sono ragioni che escludano la possibilità di nominare segretario l'amministratore, anche se esterno, cioè non condomino (Trib. Roma 14 gennaio 2016 n. 734). Il presidente, pur in mancanza di una espressa disposizione del regolamento condominiale che lo abiliti in tal senso, può stabilire: a) la durata di ciascun intervento, purché la relativa misura sia tale da assicurare ad ogni condomino la possibilità di esprimere le proprie ragioni su tutti i punti posti in discussione (Cass. Civ. 24132/2009); b) la modalità di voto, ferma restando la necessità del voto palese con alzata di mano/appello (al fine di poter regolamentare conteggiare le maggioranze richieste rispetto alla specifica deliberazione, nonché in relazione alla verificazione di eventuali conflitti d'interessi).
Seconda fase - Discussione e votazione In questa fase ci si trova nella centralità dell’attività deliberativa dell’assemblea essendo stata assolta la fase preliminare. a) Allontanamento dei condomini e loro ingresso. Durante la discussione (e quindi prima della messa ai voti) è fondamentale annotare nel verbale l’allontanamento temporaneo di un condomino, il suo definitivo abbandono dell’assemblea, il suo eventuale rientro, il rilascio della delega ad altro condominio prima dell’abbandono definitivo: ciò è indispensabile in quanto questi comportamenti possono incide sui quorum deliberativi e quindi determinate l’esito positivo/negativo di una decisione. L’eventuale allontanamento di un condomino durante la riunione non riportato nel verbale non costituisce di per sé solo causa di annullamento della decisione: occorre, infatti, verificare se i quorum per legge previsti permangano anche sottraendo il voto di quel condomino (cd. prova di resistenza App. Roma n. 4322
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del 15.10.2003). Inoltre, dovranno essere trascritti nel verbale in forma sintetica gli interventi dei condomini che richiedano espressamente tale menzione, quindi non tutte le dichiarazione rilasciate dai condomini devono essere trascritte nel verbale in quanto la loro volontà sarà espressa nella fase deliberativa attraverso l’espressione di voto. b) Contenuto del verbale – deliberazione. In passato (Cass Civ. 10329/1198 ass. 810/1999 – Cass. Civ. 697/2000 – Cass. Civ. 4306/2005) si è affermata la necessità, ogni qual volta l’assemblea condominiale assuma una delibera con la maggioranza dei voti favorevoli (e dunque non all’unanimità), di indicare il nominativo ed il numero di millesimi rappresentati di ciascun voto nonché gli astenuti. Questa puntigliosa operazione serve a tutelare coloro i quali vogliano impugnare la delibera assembleare, perché l’assenza di indicazione nominativa renderebbe per loro impossibile adire il giudice ai sensi dell’articolo 1137 c.c., norma che prevede che la delibera possa essere impugnata solo da chi abbia votato sfavorevolmente all’assunzione della stessa o si sia astenuto o sia stato assente. Va ricordato che non c’è un rigido schematismo nella redazione dei verbali/verbalizzazione anche se la maggior precisione possibile non è mai troppa. (orientamento prevalente) La Suprema Corte con una recentissima sentenza (Cass. 4677/2017) ha nuovamente confermato il proprio orientamento secondo cui “[...] non è annullabile la delibera il cui verbale, ancorché non riporti l'indicazioANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
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ne nominativa dei condòmini che hanno votato a favore, tuttavia contenga, tra l'altro, l'elenco di tutti i condòmini presenti, personalmente o per delega, con i relativi millesimi, e nel contempo rechi l'indicazione, nominativa, dei condòmini che si sono astenuti e che hanno votato contro e del valore complessivo delle quote millesimali di cui gli uni e gli altri sono portatori, perché tali dati consentono di stabilire con sicurezza, per differenza, (quanti e) quali condomini hanno espresso voto favorevole ed il valore dell'edificio da essi rappresentato”. Così operando la Corte Suprema ha consolidato il proprio orientamento già più volte ribadito nella giurisprudenza di merito (si vedano Cass. Civ. 23903/16 – Cass. Civ. 6552/2015 - Cass. Civ. 18192/09 - Cass. Civ. 24456/09 - Cass. Civ. 21298/2007 - Tribunale di Verona del 22/06/2004 – Tribunale di Bari del 23/05/2005 - Tribunale di Padova del 15/10/2006 - Tribunale di Milano del 17/11/2011 - Tribunale di Treviso del 10/07/2013). Fermo restando che, con una sorta di meccanismo di conservazione della validità degli atti, la delibera non può considerarsi invalida se, dall'esame complessivo della stessa, risulta comunque possibile stabilire con sicurezza quanti e quali condomini hanno espresso voto favorevole, nonché di verificare le maggioranze richieste (Cass. Civ. 24132/2009 - Cass. Civ. 18192/2009). In conclusione: si potrà riportare validamente nel verbale la seguente dizione “[...] si approva all’unanimità dei presenti contrari tranne i sigg. Tizio per millesimi x e Caio astenuto per millessimi y” dove vengono identificati solo gli opponenti/ astenuti. Una volta rispettati tali requisiti, il resto della verbalizzazione può anche essere sintetica. Si ricorda che qualsiasi decisione presa al di fuori dell’assemblea anANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
che a mezzo referendum sottoscritto da tutti i condomini non ha alcun potere vincolante atteso che le delibere possono essere prese solo in assemblea (Trib. Napoli 25.11.1992), del pari è da considerarsi nulla una deliberazione assunta oralmente o qualora il verbale scritto risulti completamente illeggibile a tal punto da non consentire alcuna possibilità di comprensione.
Terza fase - Finale c.d. scioglimento dell’assemblea Terminata la fase decisionale si passa alla fase della chiusura/scioglimento dell’adunanza. a) Sottoscrizione del presidente e del segretario. Questa fase prevede la sottoscrizione del verbale da parte del presidente e del segretario ed è fondamentale che le deliberazioni siano verbalizzate con chiarezza e precisione. In merito alla sottoscrizione del verbale, la giurisprudenza ritiene valide le sottoscrizioni del solo segretario e del presidente, in applicazione analogia dell’art. 2375 c.c. che però se ne occupa a proposito delle società. Qualora però questi due soggetti non possano o non vogliano sottoscrivere il verbale, potrà efficacemente supplire la sottoscrizione degli altri condomini oppure la loro sostituzione con altri condomini (Cass. Civ. 2812/1973). Qualora invece il verbale non venisse sottoscritto, il Tribunale di Benevento sentenza n. 1595/2014 ha annullato una delibera con la quale erano stati approvati alcuni rendiconti ritenendola completamente nulla per carenza dei requisiti previsti dalla legge. Tuttavia sul punto occorre ricordare che la Suprema Corte (Cass. Civ. 23687/2009) pronunciandosi al riguardo, ha fatto rientrare il verbale dell’assemblea, pur privo delle sottoscrizioni del presidente e del segretario, nell’ambito delle dichiarazioni di scienza con efficacia di confessione stragiudiziale solo nei confronti dei condomini consenzienti. Se invece mancasse la sottoscrizione del Presidente, poi sostituito con altro condominio, la Corte di Cassazione con decisione non recenti ha ritenuto che trattasi di irregolarità formale che pertanto deve essere dedotta nel termine perentorio di cui all’art. 1137 c.c. (Cass. Civ. n. 212/1972 e 2812/1973). Per contro il Tribunale di Genova sentenza del 08/02/2012 ha ritenuto che la firma del Presidente non sia necessaria essendo sufficiente quella del solo segretario, perché solo quest’ultima è ritenuta essenziale per l’esistenza dell’atto, mentre quella del Presidente no, in quanto essa attiene al solo controllo della fedeltà e completezza della verbalizzazione. b) Correzione del verbale. Occorre distinguere tra il verbale, che viene formato in assemblea e la sua trascrizione nell'apposito registro, che deve avvenire a cura dell'amministratore. La fun-
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zione del registro dei verbali, nei fatti esistito da sempre (la norma è rimasta invariata), è quella di consentire la ricostruzione nel tempo della volontà assembleare, chiaramente nulla vieta (stante l’assenza di una specifica norma): 1) di scrivere direttamente il verbale nell'apposito registro; 2) di dattiloscriverlo, stamparlo e poi incollarne una copia nel suindicato registro. L’importante è che avvenga la trascrizione del verbale e ciò non vieta che esso, in sede assembleare, possa essere manoscritto. In merito alla correzione dello stesso verbale in passato è stato ritenuto che “[...] se vi è un errore nel verbale o nella sua trascrizione, la correzione compete alla successiva assemblea oppure al Presidente con successiva manifestazione di volontà" (App. Milano 01/03/1982). Ora la Suprema Corte, sulla scorta del fatto che non esiste norma che imponga l'approvazione dello stesso verbale in assemblea, statuisce la legittimità della correzione dello stesso, anche dopo la conclusione dell'adunanza condominiale. Tuttavia, occorre considerare che l'anzidetto principio di diritto è stato espresso in una fattispecie relativa a un mero errore materiale e, pertanto, a un semplice errore dovuto a svista o disattenzione; al riguardo v.si la pronuncia Cass. Civ. 6552/2015 secondo cui: “[...] neppur infici l'adottata delibera la correzione del verbale, effettuata dopo la conclusione dell'assemblea, allo scopo di eliminare gli errori relativi al computo dei millesimi ed ai condomini effettivamente presenti all'adunanza”. La detta sentenza è importante perché evidenzia entro quali limiti e a quali condizioni il verbale di assemblea condominiale possa essere modificato a seguito dell’esaurimento delle operazioni assembleari, statuendo, in concreto, che la correzione apportata nella copia del verbale assembleare consegnata poi ai condomini non inficiava la validità della deliberazione assunta per la quale, eliminato l’errore materiale del computo dei millesimi e tenuto conto dell’effettiva partecipazione dei condomini presenti (anche per delega), era stato raggiunto il quorum necessario. c) Appunti e successiva redazione del verbale. Il verbale in quanto documento, o per meglio dire nella sua formulazione, non deve essere approvato dall’assemblea, non essendo oggetto di deliberazione e costituendo solo la narrazione scritta degli accadimenti avvenuti in assemblea. La prassi amministrativa molto diffusa è rappresentata dalla circostanza di prendere degli appunti (brogliaccio) durante la discussione per poi redigere il verbale nei giorni successivi alla riunione o in alcuni casi convalidarlo in una successiva seduta. Il verbale deve essere compilato/ redatto seduta stante e non successivamente perché una sua redazione successiva potrebbe far sorgere dubbi sulla data stessa, proprio per lo spostamento del giorno della redazione. Agli
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effetti dell’attuale normativa il termine per l’impugnativa decorre sempre dalla data della riunione per i condomini presenti. Va segnalato che è da ritenersi valida la deliberazione di un’assemblea condominiale, anche se il risultato della relativa operazione di voto sia stato riportato poi in un separato foglio allegato al verbale a patto che, però, il predetto allegato faccia parte integrante del verbale stesso. Allo stesso modo la mancata indicazione degli intervenuti e dei millesimi da essi rappresentati può essere sanata (e quindi la delibera non è impugnabile) quando lo stesso verbale sia integrato da un foglio allegato nel quale sia stata debitamente presa nota degli intervenuti e dei rispettivi millesimi, tuttavia, detto allegato deve essere sottoscritto dal Presidente e dal Segretario, al pari del verbale. In conclusione si consiglia di redigere il verbale seduta stante. d) Contenuto delle deliberazioni assembleari – delibere programmatiche. Soltanto con la verbalizzazione delle c.d. deliberazioni assembleari può essere acquisita certezza giuridica, con l’obbligo di esecuzione delle stesse a carico dell’amministratore, consentendo agli assenti in un breve termine di decadenza di impugnarle nel caso di eventuali invalidità, e prevenendo possibili contrasti tra i singoli partecipanti in ordine alla gestione condominiale. Laddove la decisione assembleare: a) non si sostanzi quale fonte di obbligazione e b) non sia quindi suscettibile di esecuzione, non può essere impugnata perché svolge solo una funzione propedeutica per intraprendere decisioni future, quindi si tratta di una decisione assemANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
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bleare programmatica incapace di generare i c.d. rapporti giuridici, e come tale, per le motivazioni sopra esposte, si differenza dalla delibera c.d. decisoria con la quale i condòmini assumono, invece, una decisione avente effetti giuridici obbligatori tra di essi e verso l'esterno. Tipico esempio di delibera programmatica è la decisione con la quale viene rinviata ad altra assemblea la decisione che deve effettivamente essere assunta. Al fine di individuare se trattasi di una delibera programmatica o decisoria, è necessario dare una corretta interpretazione al verbale assembleare. La stessa Corte di Cassazione ha, infatti, ripreso ed approfondito la regola secondo la quale l’interpretazione delle delibere assembleari di condominio deve es-
sere compiuta seguendo gli stessi canoni legali stabiliti per l'ermeneutica contrattuale dagli artt. 1362 c.c. e segg.. Quindi secondo la Suprema Corte (Cass. Civ. 23903/2016) in presenza di una decisione programmatica, l’assemblea non decide “nulla”, per questa semplice ragione la delibera non può essere impugnata per ottenere l'invalidazione della stessa perché l'effetto reale dell'esito dell'impugnazione sarebbe inesistente così come è inesistente la decisione dell’assemblea condominiale. La Suprema Corte con la sentenza che qui si commenta ha confermato l’orientamento già espresso dalla giurisprudenza di merito, che quindi può considerarsi consolidato, rinviando sul punto alle sentenze della Corte d'Appello Trento sentenza n. 285/2008, Trib. di Palermo del 4 aprile 2014 e Trib. Di Palermo del 4/04/14 e Tribunale di Genova sentenza del 15/03/10. e) Deliberazioni assunte dopo la chiusura. Le deliberazioni che siano state adottate dopo lo scioglimento dell’assemblea stessa e l’allontanamento di alcuni condomini, a seguito di riapertura del verbale non preceduta da una nuova rituale convocazione a norma dell’art. 66) disp att c.c., sono nulle per violazione sia delle disposizioni sulla convocazione dell’assemblea che del principio della collegialità della deliberazione.
Per 17 anni Presidente della Provinciale di Lecco, scomparso il 9 settembre 2017, ha riscosso nel tempo stima e profonda ammirazione in tutti gli associati, ben oltre i confini territoriali, per l'impegno e l'abnegaione profusi nel corso del suo lungo mandato
Grazie Pres! ANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
in ricordo di Pierluigi Dell'Oro 25
Prof. Arch. Annalisa Galante
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Membro del Centro Studi e Consulente Tecnico ANACI LECCO
Sì del TAR della Lombardia allo scarico a parete Ormai all’ordine del giorno tra i problemi più frequenti per chi si occupa di consulenza e progettazione in ambito di impiantistica termica condominiale, è l’installazione di una nuova caldaia (autonoma) a condensazione con innesto nella canna fumaria collettiva che, nella quasi totalità dei casi, non è idonea a questo tipo di impianti. E allora il condomino come fa? Deve costringere tutti gli altri a cambiare le proprie caldaie e adeguare la canna fumaria? Oppure può trovare un modo per scaricare i fumi autonomamente, magari in facciata, in contrasto apparente con i Regolamenti d'Igiene comunali? È un dilemma che attanaglia gli addetti ai lavori negli ultimi anni e a cui il TAR della Lombardia ha recentemente dato una risposta.
Premessa normativa La difficoltà odierna di installazione di caldaie “tradizionali” (quella da 3 a 5 stelle), con la relativa problematica dei condomini che si trovano a dover cambiare la caldaia, ha origini nella legislazione europea. Infatti, a partire dal 26 settembre 2015, sono entrati in vigore gli obblighi emanati dall'Ue per i produttori di caldaie con potenza inferiore o uguale a 400kW, che vietano di fabbricare apparecchi non a condensazione. L’Italia ha recepito la direttiva europea 2009/125/Ce Energy Related Products (detta "EcoDesign") che fissa requisiti più stringenti per l'efficienza energetica e un tetto massimo alle emissioni inquinanti.
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Lo scarico in facciata per le caldaie a condensazione autonome è un dilemma che attanaglia gli addetti ai lavori negli ultimi anni e a cui il TAR della Lombardia ha recentemente dato una risposta
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©Foto SICURCOND
Non esiste l'obbligo esplicito di montare esclusivamente caldaie a condensazione, ma di non immetterle più sul mercato. Potranno essere ancora installate caldaie non a condensazione purché la data di fabbricazione risulti antecedente al 26 settembre 2015, considerando però che andranno esaurendosi anche i pezzi di ricambio per la manutenzione. Continuerà, invece, a essere prodotta fino a 26 settembre 2018 la caldaia “a camera aperta” da installare quando non sia possibile andare a sostituire una vecchia caldaia con una caldaia a condensazione per problemi legati alla canna fumaria collettiva di alcuni edifici multifamiliari. Per il caso in questione, si ricorda anche che, in base all'art. 14 del d.lgs. 4 luglio 2014, n. 102, tutti gli impianti termici di nuova installazione, a partire dal 31 agosto 2013, dovranno convogliare i prodotti della combustione ad appositi camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione con sbocco sopra il
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tetto dell'edificio alla quota prescritta dalla regolamentazione tecnica vigente. In taluni casi però, è ammessa la deroga allo scarico a tetto, e in particolare quando: • si procede, nell'ambito di una riqualificazione energetica dell'impianto termico, alla sostituzione di generatori di calore individuali che risultano installati precedentemente al 31 agosto 2013 e che sono dotati di scarico a parete o in canna collettiva ramificata; • la dotazione di un sistema di scarico a tetto risulta incompatibile con norme di tutela degli edifici oggetto dell'intervento (adottate a livello nazionale, regionale o comunale); • il progettista attesta e assevera l'impossibilità tecnica a realizzare lo sbocco sopra il colmo del tetto; • si procede alle ristrutturazioni di impianti termici individuali già esistenti allocati in edifici plurifamiliari, laddove non dispongano in origine di camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti della combustione con sbocco sopra il tetto, funzionali e idonei o comunque adeguabili ai nuovi apparecchi a condensazione; • vengono installati uno o più generatori ibridi compatti, composti almeno da una caldaia a condensazione a gas e da una pompa di calore e dotati di specifica certificazione di prodotto.
Il caso e la sentenza Un condomino proprietario di un monolocale ristrutturato sito nel Comune di Gallarate, decide di sostituire la vecchia caldaia di tipo
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partamento al piano superiore, che lamentava l'emissione di fumi dannosi, e l'ordinanza comunale che richiedeva la messa a norma dello scarico a parete del singolo proprietario perché ritenuto non conforme all'art. 3.4.46 del Regolamento comunale d'igiene, il TAR Lombardia ha annullato tale provvedimento, dando ragione al condomino che altro non poteva fare e comunque in regola con la normativa tecnica nazionale. Il TAR Lombardia con la Sentenza n. 1808/2017 pubblicata il 13 settembre accogliendo il ricorso per “Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del DPR n. 412 del 26 agosto 1993”, ha condannato il
B (a camera aperta e tiraggio naturale), con una caldaia di tipo C a condensazione (a basse emissioni di NOx, ovvero ossidi di azoto), così come stabilito dalla normativa tecnica nazionale in materia di sicurezza d'impianti a gas per uso domestico(1) che ne vieta l'installazione in monolocale. Prima di procedere alla sua installazione e collegare l'impianto di scarico fumi alla canna fumaria collettiva condominiale, l'Amministratore ha affidato a una società di risanamento e installazione canne fumarie, l'incarico di eseguire video ispezioni per verificarne lo stato e le condizioni di esercizio e approntare una relazione tecnica. A seguito di questa, si evidenziano diverse irregolarità: alla canna fumaria collettiva ramificata(2), sono collegati gli impianti di scarico di caldaie di tipo B e di tipo C, normativamente incompatibili fra loro per convogliare le immissioni nella medesima canna; dunque si conclude che la canna collettiva non è a norma e andrebbero eseguiti interventi di risanamento, che non vengono effettuati. A questo punto il condomino decide di installare una caldaia di tipo C a condensazione con scarico a parete, così come consentito dalla norma in materia sopra citata. Nonostante le rimostranze del condomino proprietario dell'ap-
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condominio a provvedere all'adeguamento della canna fumaria e il Comune per “eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e di diritto e per motivazione illogica, carente e contraddittoria”. Si legge, infatti nella Sentenza che annulla l’Ordinanza comunale: “Il Comune non è legittimato a richiedere la rimozione della caldaia con scarico a parete, poiché trattasi di una caldaia a condensazione (a basso NOx) installata dal proprietario nel rispetto delle distanze di scarico dei fumi e costretto al distacco dalla canna fumaria collettiva perché risultata non a norma”.
NOTE (1) UNI 7129:2015 - “Impianti a gas per uso domestico e similare alimentati da rete di distribuzione Progettazione, installazione e messa in servizio”. (2) Consente di smaltire i fumi provenienti da più apparecchi posti su piani diversi direttamente a tetto, il D.L. 63/2013 però ha fissato l'obbligo di realizzare camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti di combustione direttamente sopra il tetto degli edifici per tutti gli impianti termici di nuova installazione a partire dal 31 agosto 2013.
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Ing. Pierluigi Scarcelli
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Responsabile Tecnico Divisione Impianti Elettrici di Messa a Terra di ICT Genesia
L'interruttore differenziale SECONDA per l'incolumità casalinga P A R T E
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Nello scorso numero abbiamo parlato di interruttore differenziale e contatti pericolosi, ma come proteggerci dalle situazioni di pericolo?
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Come possiamo allora proteggerci da situazioni di pericolo imprevedibili e “invisibili” a occhio nudo? Le protezioni contro i contatti indiretti dipendono dal tipo di sistema elettrico. Analizzeremo il metodo di protezione principale per impianti residenziali e non, in bassa tensione (fino a 1000 V in c.a.) in un sistema di distribuzione TT (cioè dove ENEL consegna un contatore con le fasi e il neutro). In questi casi analizziamo l’utilizzo di protezioni attive (con interruzione automatica dei circuiti), ovvero il famoso “salvavita”. Ma cos'è il "salvavita"? Quel miracoloso congegno che, installato con modica spesa subito a valle del contatore ENEL, ci hanno fatto credere sarebbe bastato da solo a render sicuro il nostro vecchio impianto elettrico, per quanto fatiscente, senza "terra" né altro tipo di accorgimento. Ma purtroppo non è cosi, il “salvavita” da solo non basta: è assolutamente necessaria anche la presenza dell’impianto di messa a terra. L'interruttore automatico salvavita è un interruttore differenziale a bassa corrente di intervento. In particolare si è visto che una corrente di 0,03 A (30 milliampere) o inferiore non produce danni permanenti al corpo umano e se vi chiedete come e chi ha ottenuto questi risultati e cioè chi si è permesso di verificare l'effetto del passaggio della corrente su un corpo umano, osservandone gli effetti e ripetendo l'esperimento un numero statisticamente probante di volte, la risposta è: i medici nazisti durante la seconda guerra mondiale. Pertanto un circuito protetto con un interruttore differenziale salvavita è "sicuro" anche nel caso che qualcuno venga a contatto diretto
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con un conduttore in tensione (uno solo, se li toccasse contemporaneamente tutti e due il salvavita non servirebbe più). In realtà l'impianto elettrico può e deve essere realizzato in modo che anche in caso di guasto una persona non possa venire in contatto con parti in tensione. Come già dicevamo poco fa, questo tipo di protezione prende il nome di "protezione dai contatti indiretti", cioè dalla possibilità che l'involucro metallico di un'apparecchiatura elettrica, a causa del guasto del suo isolante interno, venga in contatto con una parte in tensione e che quindi una persona, toccando questo involucro, possa "prendere la scossa". In un impianto realizzato correttamente quando l'apparecchiatura elettrica va in "dispersione", cioè l'involucro viene in contatto con una parte interna in tensione, il conduttore di terra "chiude" il circuito elettrico verso terra e fa scattare l'interruttore differenziale. In queste condizioni all'insorgere del guasto il circuito viene disalimentato, l'incidente viene evitato e non vi è alcun pericolo per le persone. In un impianto ove non sia stato realizzato il collegamento "a terra" quando l'involucro viene in contatto con una parte interna in tensione, il circuito non si chiude e quindi non può scattare l'interruttore differenziale. Quando però una persona tocca accidentalmente l'involucro esterno dell'apparecchiatura difettosa, il circuito si chiude attraverso il suo corpo. A questo punto interviene l'interruttore differenziale che quindi impedisce l'incidente grave (se è un salvavita da 0.03A) ma si ha comunque un passaggio di corrente attraverso il corpo umano. Questa situazione è potenzialmente pericolosa, in quanto l'intervento della protezione avviene durante l'incidente. Da ciò si capisce come il circuito in caso di guasto si deve chiudere sull’impianto di terra (che deve essere sempre presente) e la corrente di dispersione (quella cioè che dal conduttore attivo passa al conduttore di protezione) deve far intervenire l’interruttore differenziale senza che nessun essere umano debba subire un passaggio di corrente, seppure bassa.
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La corrente di intervento del dispositivo differenziale deve essere tale da garantire che la “tensione di contatto” residua su un elemento guasto non superi i 50 Volt (25 nel caso di ambienti particolari quali locali a uso medico, ambienti umidi, cantieri edili, ecc.). Il salvavita dovrà essere installato a protezione dei circuiti dove non è esclusa la possibilità di contatti diretti (ad esempio le prese a spina). In pratica: • non si può rinunciare alla protezione dai contatti indiretti; • è bene proteggere con il “salvavita” da 0.03 A solo i circuiti che alimentino prese a spina o elementi le cui parti attive possano venire effettivamente in contatto con il corpo umano; • tranne in casi particolari (e per le prese a spina), la protezione realizzata con differenziali meno sensibili di 0.03A è più che sufficiente; • è sempre necessario verificare l’impianto di terra, perché anche se fosse lecito che il valore di terra fosse molto alto, a volte l’impianto non è affatto presente ovvero può non essere correttamente collegato a tutte le utenze. Un ultimo suggerimento è che anche in piccoli impianti come ad esempio gli appartamenti di civile abitazione, può essere conveniente realizzare l'impianto con più protezioni in cascata. In questo caso è bene assicurare una certa selettività di intervento degli interruttori, in modo che un guasto su un circuito faccia intervenire solo la protezione di quel circuito specifico e non l'interruttore generale; ricordando che la selettività di intervento tra le protezioni differenziali si ottiene solo installando apparecchiature costruite specificamente allo scopo. ANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
Geom. Simona Frigerio
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Titolare Impresa Frigerio
Rischio lavori in copertura: da Inail il manuale per la sicurezza
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Dall’Inail le misure di prevenzione e protezione per l’accesso, il transito e l’esecuzione dei lavori in quota in condizioni di sicurezza
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Il lavoro sulle coperture è un’attività ad alto rischio di infortunio che rende necessaria l’adozione di elevati standard di sicurezza indipendentemente dalla tipologia e dalla durata della lavorazione da svolgere. Il principale rischio è quello relativo alla caduta dall’alto che deve essere eliminato e/o ridotto prima di eseguire qualsiasi attività. Vanno, inoltre, considerati gli altri rischi, come quelli legati all’accesso, il transito e l’esecuzione dei lavori in quota.
Manuale Inail La recente pubblicazione Inail "Esecuzione in sicurezza dei lavori in copertura. Misure di prevenzione e protezione" ha lo scopo di individuare e divulgare le principali misure di sicurezza da adottare per l’esecuzione delle attività sulle coperture. In particolare, il documento riporta: • la definizione dei principali termini utilizzati, • i principali riferimenti normativi, • la valutazione del rischio, • gli elementi caratteristici della copertura, • le misure per l’accesso e/o lo sbarco, • le misure per il transito e l’esecuzione. Per quanto riguarda il transito e l’esecuzione le misure sono: • parapetti di sommità, provvisori, permanenti • reti di sicurezza • ancoraggi e sistemi di ancoraggio • tirante d’aria su ancoraggio puntuale e su ancoraggio lineare • dispositivi di protezione individuale contro le cadute dall’alto • sistemi di trattenuta • sistemi di posizionamento sul lavoro • sistemi di arresto caduta • sistemi di salvataggio Per le diverse misure vengono fornite generalità, classificazione, adeguata valutazione dei rischi, tipologie, posizionamento; particolare riguardo viene dato ai requisiti che i prodotti debbono soddisfare. Infine, la guida segnala che spesso il rischio legato alle attività in copertura non è unicamente associato alla mancata osservanza delle misure di protezione, ma è dovuto anche al non corretto utilizzo derivante da una mancata o insufficiente informazione, formazione e addestramento del lavoratore.
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Dott. Silvano Sala
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Psicologo e membro del Centro Studi di ANACI LECCO
Effetti dello stress lavoro-correlato nell’Amministratore condominiale Una condizione psicofisica importante e connessa all’attività svolta dall’Amministratore condominiale, è la percezione di se stesso in riferimento al senso del suo benessere o malessere nello svolgimento di tale professione. Ad esempio: un’inadeguata capacità di gestire i conflitti in ambito condominiale potrebbe alimentare nell’Amministratore una fonte di stress. Alimentare benessere e gestire il malessere non è sempre facile, specialmente se si è sottoposti a “forti pressioni esterne”. Infatti, può succedere che alcune volte, in risposta a eventi stressanti, ci si “destabilizza” involontariamente, sviluppando così dei meccanismi psicopatologici che potrebbero essere, in determinate circostanze, non percepiti immediatamente. In realtà, esiste un legame complesso tra la nostra dimensione biologica e le nostre emozioni, inoltre, sappiamo che la nostra personalità, i nostri sentimenti, i nostri pensieri, influenzano e sono a loro volta influenzati da ciò che avviene a livello fisico. Anche se non conosciamo con precisione perché ciò avviene, sappiamo che gravi disturbi emotivi possono avere effetti negativi sulla nostra vita. Poi, diciamo sempre più spesso: “sono stressato, ho troppa pressione, non ce la faccio più, sono scoraggiato” e così via, con il pericolo di attivare nel nostro organismo una reazione psicofisica compensativa. Essere sottoposti alla pressione di stimoli stressanti o stressor (fisici, psicologici e sociali) prolungati nel tempo, può condurre l’organismo umano a una reazione chiamata “Sindrome ge-
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Alimentare benessere e gestire il malessere non è sempre facile, specialmente se si è sottoposti a “forti pressioni esterne”. In risposta a eventi stressanti, ci si “destabilizza” involontariamente, sviluppando dei meccanismi psicopatologici
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nerale di adattamento e di supercompensazione”, cioè, a quello che comunemente chiamiamo stress. Lo stress lavoro-correlato viene definito (Accordo Europeo sullo Stress Lavoro-correlato, Bruxelles, 8 ottobre 2004) come una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale, derivante dal fatto che le persone non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o alle aspettative riposte in loro. Potenzialmente lo stress può colpire in qualunque luogo di lavoro e qualunque lavoratore, a prescindere della dimensione dell’azienda, del campo di attività, dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro. È sempre più d’uso al giorno d’oggi identificare tale Sindrome (Stress) con quella denominata
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Sindrome del burn-out (letteralmente = bruciato), che colpisce gli operatori delle professioni di aiuto (operatori sanitari, assistenti sociali, insegnanti). Questi professionisti, dopo anni di attività lavorativa svolta con impegno e passione, entrano in una fase di stanchezza, demotivazione e distacco dalla loro attività. Pertanto, vi è in questi lavoratori, un primo momento di esaurimento emozionale, poi avviene una spersonalizzazione e per ultimo una ridotta realizzazione personale, facendoli sentire inutili e professionalmente falliti. Le teorie sviluppate e inerenti a questa sindrome, fanno riferimento al fatto che c’è stato un periodo lavorativo antecedente il burn-out, caratterizzato da un’eccessiva dedizione al lavoro, che successivamente, a causa del carico eccessivo o della qualità negativa dello stesso, il lavoratore va in crisi manifestando tali disagi. In entrambi i casi, sindrome da stress lavoro-correlato o da burn-out, vi è un fattore percepito di stressor, che può essere definito come qualunque evento in grado di incidere sull’equilibrio omeostatico di un organismo: ad esempio una malattia o l’esposizione a una quantità eccessiva di caldo o di freddo, così pure la percezione di particolari sensazioni psicofisiche. Pertan-
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to, la risposta allo stress è il modo con cui il nostro corpo tenta di ristabilire l’equilibrio omeostatico. Questa risposta allo stress può essere attivata non solo da eventi fisici o psicologici, ma anche dalla loro anticipazione. Uno stressor può anche essere l’anticipazione di ciò che accadrà: quando con la nostra intelligenza riusciamo a far fronte a quello che sta per succedere, producendo una risposta allo stress sulla base della semplice previsione, o pensando a probabili eventi stressanti che potrebbero capitarci. Attenzione, perché se la risposta allo stress viene ripetutamente attivata e non si riesce a disattivarla quando lo stress è superato, la “risposta allo stress” può diventare quasi altrettanto dannosa degli stressor.
Fonti e fattori di stress Le caratteristiche cliniche di un soggetto affetto dallo stress o dal burn-out, possono essere inquadrate nei disturbi dell’adattamento, le cui peculiarità sono lo sviluppo di sintomi e comportamenti clinicamente significativi in risposta a uno o più fattori psico-sociali stressanti identificabili. In entrambi i casi si tratta
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di stimoli stressanti legati alla vita lavorativa. Va precisato che lo stress non è in sé una malattia, tuttavia una prolungata esposizione a situazioni di stress può ridurre l’efficienza sul lavoro e causare problemi di salute. Gli ambiti e le condizioni che potenzialmente possono essere fonti di stress nell’Amministratore, sono: • organizzazione e processi di lavoro (orario di lavoro, carico di lavoro, esigenze imposte dal lavoro in relazione alle capacità e conoscenze dell’Amministratore condominiale, grado di autonomia, ecc.); • qualità e ambiente di lavoro (calore, rumore, ecc.); • presupposti professionali (incertezze circa le aspettative riANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017
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guardanti il lavoro, prospettive future, novità, cambiamenti, imprevedibilità, informazioni vaghe, ecc.); fattori soggettivi (pressioni emotive e sociali, sensazioni di non poter far fronte alla situazione, percezione di mancanza di collaborazione, insuccesso, ecc.).
Gli Amministratori condominiali, così come altri professionisti, sono pertanto potenzialmente soggetti allo stress lavorativo, che può raggiungere livelli di esposizione patogeni nei seguenti casi: • in situazioni di scarso controllo sulle procedure amministrative; • in presenza di risorse inadeguate a fronte di sovraccarico lavorativo, sia qualitativo che quantitativo; • in caso di scarso sostegno o con-
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flitti interpersonali da parte dei colleghi, collaboratori, condòmini, ecc.; da situazioni di ambiguità circa il proprio ruolo o mansioni; per disfunzioni organizzative; in presenza di disagio psico-sociale legato al “clima” e all’organizzazione del lavoro, ecc.
È utile ricordare che un fattore predittivo di malattia è la tendenza a reprimere i vissuti di tensione, ma anche l’aperta aggressività e le frequenti manifestazioni d’ira. Esistono delle condizioni dove le risposte allo stress, attivate dall’Amministratore condominiale, possono essere modulate o persino causate da fattori psicologici individuali, che spiegano perché alcuni di loro sviluppano malattie collegate allo stress. I fattori psicologici individuali che possono influenzare le valutazioni e i comportamenti nell’Amministratore (che se ben gestiti prevengono lo sviluppo di comportamenti disfunzionali) sono: • la propria concezione circa l’amministrare; • gli obiettivi a cui mira; • le aspettative che nutre; • il senso di autoefficacia; • le motivazioni, i valori, ecc.; • le modalità con cui gestisce le emozioni;
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• il livello di autostima; • l’età cronologica; • l’esperienza acquisita. La consapevolezza e la capacità di sapere gestire questi fattori psicologici, quando vi sono rischi da stress in ambito occupazionale, predispone l’Amministratore condominiale ad adottare delle contromisure che riguarderanno tutti quegli accorgimenti e provvedimenti atti a ristabilire l’equilibrio organizzativo-lavorativo.
La gestione dello stress Gli accorgimenti utili per un’efficace gestione nell’ottenere i risultati desiderati attraverso la professione esercitata di Amministratore condominiale, e senza alimentare lo stress, sono i seguenti: • comunicazione chiara su obiettivi e ruoli; • miglioramento nell’organizzazione e nei processi di lavoro; • formazione e informazione mirata; • lavorare sulla situazione, per quanto è modificabile; • lavorare su se stessi, per interagire meglio con quegli aspetti della situazione che non sono modificabili; • considerare il ricorso a risorse esterne. Occorre, quindi, sviluppare le cosiddette abilità di fronteggiamento, note anche come abilità di coping: un insieme di capacità che un soggetto può apprendere (alcuni hanno la fortuna di svilupparle spontaneamente) per far fronte più efficacemente alle situazioni stressanti. Riassumendo, si può lavorare sulla situazione, per quanto
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questa è modificabile, lavorando contemporaneamente anche su se stessi, al fine di percepire e interagire meglio con quegli aspetti della situazione che non sono modificabili. Se non si dispone di competenze adeguate si potrà ricorrere a soggetti esterni (colleghi con maggiore esperienza, esperti in gestione e sviluppo delle risorse umane, consulenti organizzativi, psicologi del lavoro, coach, ecc.). Gli indicatori soggettivi di stress sono: • conflitti interpersonali (irritabilità, ansia, tensione, malumore, pensieri ricorrenti, ostilità, ira, aggressività, ecc.); • lamentele frequenti (inerenti il lavoro, incomprensione con i condòmini, incertezza alle prestazioni, ecc.); • disturbi psicosomatici (mal di schiena, dolori muscolari, dermatiti, difficoltà gastrointestinali, mal di testa, insonnia, frequenti risvegli notturni, difficoltà sessuali, inappetenza, ecc.). Il comportamento da adottare in caso di sintomi da stress deve essere indirizzato a tutte quelle iniziative necessarie a ritrovare la salute, intesa come uno stato completo di benessere fisico, mentale e sociale, non consistente nella sola assenza di malattia o di infermità. Se sarà il caso, occorrerà attivare tutte quelle risorse indispensabili a ristabilire questo benessere psicofisico (professionisti della salute, ecc.) per ottimizzare l’attività professionale di Amministratore condominiale e immobiliare, ma anche le proprie perfomances individuali e sociali.
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Geom. Stefano Faita
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Titolare di SICURCOND
Una soluzione per le infiltrazioni negli interrati condominiali
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La tecnologia innovativa delle resine poliuretaniche idroreattive e idroespansive come soluzione definitiva per le infiltrazioni di acqua nei locali interrati del condominio
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Le infiltrazioni d’acqua rappresentano un problema significativo e da non sottovalutare per le costruzioni. Tali inconvenienti possono verificarsi per molteplici cause (imprecisioni esecutive, eventi accidentali, cambiamenti del livello della falda freatica, ecc.) e compromettere anche i materiali più solidi che, come il cemento armato, compongono qualunque grande o piccola opera edilizia, compresi i complessi abitativi. Il cemento armato, infatti, ingloba tondini di ferro o in acciaio che inumidendosi finiranno per ossidarsi. Ciò si traduce in un aumento di volume degli stessi, ossia in un innalzamento della pressione nella struttura, che provocherà rotture. Inizialmente le parti interessate saranno marginali ma con il tempo verrebbe meno l’integrità dell’intero blocco, tanto da determinarne il crollo. Le infiltrazioni d’acqua, che colpiscono un po’ ovunque, sono perciò problematiche serie da prendere in debita considerazione. Entrando nel dettaglio dell’ambito condominiale, le aree più interessate riguardano i piani interrati, quali garage (o box), cantine, fosse ascensori, locali spazzatura e caldaia, scalinate. Quando l’acqua fa breccia nella muratura, specialmente se in maniera perdurante, diventa regolarmente fonte di danni: le aree compromesse dalle infiltrazioni possono essere dichiarate inagibili, i veicoli o le macchine operatrici posizionate al loro interno possono subire danneggiamenti, così come gli arredi, attrezzi e strumentazioni. Si pensi, a titolo esemplificativo, alla carrozzeria di un’automobile che
Valutazione e analisi della situazione attraverso un sopralluogo che evidenza problemi di infiltrazione
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a lungo andare, in un ambiente umido - quindi anche insalubre per l’uomo - viene intaccata dalla ruggine. Oltre al danno materiale si va dunque a determinare un conseguente valore negativo dell’immobile. Nasce allora l’esigenza imprescindibile di intervenire in maniera tempestiva con soluzioni definitive. La grande opportunità del momento riguarda l’impiego della tecnologia ideata inizialmente per le infiltrazioni nelle gallerie sotterranee della metropolitana, tunnel, dighe e che adesso, grazie ai prezzi maggiormente calmierati, è possibile sfruttare in qualsiasi edificio civile. Si tratta di interventi con resine poliuretaniche idroreattive e idroespansive, in grado di colmare e sigillare ermeticamente quelle fenditure, crepe, fessure, giunti e cavità che spianano la strada all’acqua. La tecnologia impiegata prevede l’utilizzo di una resina poliuretanica idrofila (componente A), con un basso livello di viscosità, a cui viene aggiunto uno specifico catalizzatore (componente B), nella misura del 10%, che funge da attivatore e accelerante del composto. Iniettata nel muro con una pompa professionale a una pressione di 200 bar, secondo procedure testate e sicure, la resina poliuretanica idroreattiva e idroespansiva sale a ritroso il percorso coperto dall’acqua, chiudendo le capillarità e le lesioni che incontra. Dallo stato liquido la sostanza, reagendo a contatto con l’acqua o con l’umidità e aumentando fino a 40 volte il suo volume, passa a quello solido (nel dettaglio, si tratta di un processo di reazione e vulcanizzazione del prodotto che restituisce una schiuma densa di poliuretano flessibile, a struttura cellulare), impermeabilizzando il muro. I pregi: • risulta facilmente applicabile sulle strutture in calcestruzzo pie-
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no, lastre predalles, solettoni in laterocemento, pietre naturali, mattoni, mediante pompe professionali e appositi iniettori a testa piatta (o a vite) in acciaio o gomma; è esente da solventi; la reazione con l’acqua o l’umidità è pressoché immediata (15-30 minuti) non necessità di alcun tipo di scavo o demolizione; non prevede l’allestimento di cantieri temporanei esterni; arresta immediatamente l’infiltrazione attraverso la sua elevata attività capillare; dal punto di vista economico è vantaggiosa rispetto ai tradizionali interventi di rifacimento delle guaine impermeabilizzanti; se le condizioni sono idonee, sigilla tagli, rotture e abrasioni delle guaine bituminose.
Oltre 500 interventi, a dimostrazione di quanto siano efficaci le resine poliuretaniche idroreattive e idroespansive, accumulando una grandissima esperienza in materia.
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Dott.ssa Raffaella Figini
IL PARERE FISCALE
Dottore Commercialista e Consulente fiscale di ANACI LECCO
Il nuovo (annunciato) bonus verde anche per i giardini condominiali
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Annunciati con Un nuovo bonus fiscale si annuncia per il 2018 nel disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri, in attesa dell'approla prossima vazione della nuova legge di bilancio ancora al vaglio del Parlamento, che prevederebbe un incentivo per la manutenzione del approvazione verde, anche condominiale. della nuova legge Ovvero una detrazione Irpef che incentiva lavori per la cura di bilancio 2018, del verde privato: dai terrazzi, ai balconi fino ai giardini, anche condominiali. i bonus fiscali per Di sicuro una novità assoluta che dovrebbe essere contenuta la manutenzione nella legge di bilancio 2018, con un annuncio "informale" su Twitter il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina. di terrazzi, balconi e giardini Bonus per le aree scoperte L’agevolazione è introdotta sarebbe in favore delle aree scoanche in perte di pertinenza delle unità immobiliari private di qualsiasi condominio generem e riguarda anche gli annessi impianti di irrigazione,
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pozzi e lavori di recupero di giardini di interesse storico. Il meccanismo di incentivazione dovrebbe seguire quello attuato sgravi per le ristrutturazioni edili: dal 1° gennaio 2018 sarà detraibile il 36% delle spese sostenute per il verde fino a 5.000 euro per ciascuna unità immobiliare. Il tetto vale per ogni appartamento anche in caso di lavori sul verde condominiale, in cui ovviamente il tetto massimo è dato dalla somma delle unità immobiliari formanti il condominio stesso. Come per gli ecobonus, i pagamenti dovranno essere effettuati tramite bonifici parlanti, ovvero quelli che specificano tutte le informazioni necessarie imposte dalla legge. Il valore della detrazione fiscale in 10 anni, sarà indicata nella dichiarazione dei redditi sulla base della fattura del professionista o dell'impresa che ha realizzato l’intervento.
Spese agevolate Il bonus coprirebbe i servizi di progettazione, costruzione e manutenzione del verde: potranno dunque essere incentivate le prestazioni di vivaisti, floricoltori, tecnici, impiantisti oltre che giardinieri. Tra le spese agevolate ci sarebbero gli oneri per la sostituzione di siepi, le grandi potature, la messa a dimora di piante e ar-
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busti, la riqualificazione di tappeti erbosi, esclusi quelli utilizzati per uso sportivo con fini di lucro. E ancora: gli interventi per coperture a verde e sui giardini pensili, in pertinenze o recinzioni, comunque per tutte le tipologie di edifici dalle ville, ai condomini e seconde case. L’agevolazione è concessa in relazione all’unità immobiliare e non alla persona fisica: si può, dunque, ottenere un incentivo distinto per ciascuna proprietà. Ma un quadro completo della misura si potrà avere soltanto con l’approvazione definitiva della legge di bilancio e il successivo decreto attuativo.
Previsioni di spesa Con questo tipo di incentivazione, il costo dell’intervento per lo Stato dovrebbe essere di 43,2 milioni di euro ogni anno, sui 10 anni nei quali è spalmata la detrazione. Per il 2018 la spesa prevista è 150 milioni di euro. In Italia si contano circa 2,3 milioni di abitazioni in ville, villini, castelli e palazzi di pregio artistico: circa il 15% degli interventi realizzati è di sistemazione a verde, più un altro 10% per singole unità immobiliari private. Il Governo ipotizza poi che il 5% dei condomini aderirà alla misura, spendendo in media 5 mila euro. Aggiungendo un esborso di 2.500 euro per le altre abitazioni, si arriva a un totale di
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investimenti attorno a 1,2 miliardi di euro, di cui la metà sarebbe effettuata anche senza incentivo. Di sicuro il bonus verde non aiuta solo a ridurre l’inquinamento, ma è anche il settore florovivaistico: con un valore della produzione attorno ai 2,5 miliardi di euro, calcola Coldiretti, è uno dei comparti di punta dell’economia agricola, che contribuisce con 753,6 milioni di euro di esportazioni e un saldo attivo negli scambi pari a circa 230 milioni di euro nel 2016. Il settore, riferisce Agrinsieme, conta oltre centomila addetti, che rappresentano più del 10% degli occupati agricoli complessivi. Si apre "una fase di nuove opportunità e sperimentazioni per l’abitare efficiente e sostenibile" dichiara il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, secondo cui "il privato è attore irrinunciabile della riqualificazione urbana". ANACI LECCO n.8-9 | Ago-Dic 2017