EST EDILIZIA SVILUPPO TERRITORIO N° 10

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Lug / Ago 2010

Anno II

Poste Italiane spa - spedizione in abbonamento postale - D.L.353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n.46) art.1, comma 1, CNS VI

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Un futuro senza giovani? Il Teatro

Una buona istruzione. Come è cambiato il metodo educativo e scolastico globale

Il Labirinto Federalismo demaniale. Nuove possibilità per lo sviluppo del territorio

Il Mercato

L’Asia conquista il mercato delle costruzioni


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Efficienza energetica e risparmio energetico secondo Schneider Electric Il reale significato dell’efficienza energetica e le modalità per una sua attuazione non sono ancora una conoscenza diffusa. Cominciamo col fare chiarezza sui due approcci che in Schneider Electric vengono definiti rispettivamente di Efficienza Energetica Passiva (Passive Energy Efficiency) e Efficienza Energetica Attiva (Active Energy Efficiency). Per molti il concetto di controllo dei consumi energetici ruota intorno ai fattori termici dell’edificio, con interventi quali l’isolamento, la posa di doppi vetri e altre misure contro la dispersione di calore. Per altri la parola chiave è invece l’illuminazione, spesso limitando il tutto all’installazione di sistemi a basso consumo. Infine, per chi ha bisogni importanti in termini di riscaldamento la soluzione consiste nella scelta di caldaie efficienti. Quelle elencate sono tutte contromisure passive perchè non intervengono sull’effettivo risparmio dell’energia consumata. Diversamente l’Efficienza Energetica Attiva (Active Energy Efficiency) si ottiene non solo installando dispositivi e strumenti a basso impatto energetico, ma anche con un controllo degli stessi, che permetta di ottimizzare il consumo energetico; il controllo e monitoraggio è fondamentale per ottenere il massimo livello di efficienza energetica, ad esempio, per quel che riguarda l’illuminazione, questo può avvenire tramite temporizzatori, crepuscolari, rilevatori di movimento, presenza e/o luminosità. È facile comprendere come interventi per automatizzare impianti che permettano di misurare, controllare e analizzare l’utilizzo dell’energia, offrano risultati concreti nel tempo ad un costo relativamente modesto, se comparati anche ai costi ed investimenti in competenze tecniche necessarie a gestire in sicurezza soluzioni nel solo perimetro termico. La maggior parte delle soluzioni di controllo possono essere ammortizzate in pochissimi anni, dati i costi sempre crescenti dell’energia. Un ulteriore elemento che spinge ad implementare piani di Active Energy Efficiency è il rispetto, sempre più pressante, degli obiettivi fissati dal protocollo di Kyoto: nel settore dell’edilizia ad esempio è certo che, se non si interverrà energeticamente anche sugli edifici esistenti, oltre che sui nuovi, sarà impossibile raggiungere gli obiettivi entro il 2020.

www.schneider-electric.it

L’Unione Europea ha ratificato il Protocollo di Kyoto nel 2002 e si è impegnata a ridurre le emissioni di gas effetto serra dell’8% riducendo le emissioni di CO2 del 20% entro il 2020. La domanda crescente di energia, l’inquinamento del pianeta e il riscaldamento derivante dalla produzione e dall’uso della stessa energia impongono a tutti di affrontare la sfida energetica. Grazie alla sua esperienza e competenza Schneider Electric è in grado di offrire ai propri clienti un approccio veramente integrato all’Efficienza Energetica attiva, mediante prodotti, servizi e soluzioni per i settori industria, infrastrutture, terziario, residenziale e data center, che consentono di ridurre fino al 30% i consumi di energia elettrica. Non si può fermare la crescita del fabbisogno di energia della popolazione mondiale, ma si può cambiare il modo di utilizzarla. Affrontiamo insieme la sfida energetica.

Trasporti 27 %

Residenziale 16 %

Commerciale 8%

Industria 49 %

49 % Riscaldamento locali 16 % Riscaldamento acqua 7 % Illuminazione 7 % Raffreddamento 5 % Refrigerazione 5 % Cottura Combustibile 4 % Elettronica 62 % 4 % Lavaggio/Asciugatura 3 % Altro Elettricità 38 %

23 % Riscaldamento locali 17 % Illuminazione 10 % Riscaldamento acqua 8 % Raffreddamento 6 % Elettronica 5 % Refrigerazione Combustibile 4 % Ventilazione 50 % 4 % Cottura 23 % Altro Elettricità 50 %

40 % Calore Processo 27 % Caldaie 13 % Sistemi a motore 5 % Riscaldamento edifici 4 % Illuminazione e altro 4 % CHP Combustibile 2 % Raffreddamento processo 9 % Altro 85 % Elettricità 17 %

Percentuali di consumi energetici che mostrano le aree chiave dell’utilizzo di energia divise per tipo.


EST

indica un territorio reale come il Veneto di oggi e ideale come il Veneto che vogliamo

EST

segnala una direzione, verso oriente, verso un’area destinata allo sviluppo e a cui l’economia del Veneto da sempre guarda e che si va allargando a Nord come a Sud

EST

vuol dire essere, esserci per essere protagonista

EST

afferma il ruolo dell’edilizia quale motore dell’economia

EST

è la rivista del mondo delle costruzioni promossa da ANCE Veneto e dalle Associazioni Provinciali

Edilizia Sviluppo Territorio UN TERRITORIO DA ESPLORARE EST è un progetto culturale che si declina in un percorso guidato e che ha come riferimento un’idea, o meglio un’idealità. Un territorio ideale che ha nelle sue città la sua forza. Un percorso che vuole richiamarsi al Rinascimento e che trova in luoghi simbolici la propria sostanza. Così si entra da una Porta (Editoriale) e si arriva in un Teatro (In primo piano), dove ci si rappresenta e ci si confronta attraverso un tema (In scena), Gli attori (la politica) e il Dietro le quinte (i commenti dei tecnici). In coda l’anticipazione sul tema in scena nel prossimo numero: In cartellone e, a volte, la possibilità di approfondire temi trattati nei numeri scorsi ne La replica Si attraversano un Labirinto (L’inchiesta), il Palazzo comunale (l’indagine sui comuni del Veneto) e La torre (osservatorio). Si attraversa La Piazza (Gli articoli di approfondimento): luogo del confronto e delle idee per nuove tematiche. Ci si ferma a riflettere sul Mercato (focus economico) e ad ammirare da un Belvedere (inserto architettura) le opere che verranno, siano esse case, viadotti, scuole, ospedali. Si riparte dalla complessità del Cantiere con i suoi materiali, le macchine, la tecnologia e le innovazioni. Il percorso si chiude con nuove notizie, strumenti per approfondire le conoscenze attingendo alla Biblioteca e si conclude con l’informazione “locale” scandita dai rintocchi del Campanile (ANCE news), in attesa del prossimo viaggio…


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ADRIATICA COMMERCIALE MACCHINE

Massima sicurezza nelle condizioni estreme

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La collaborazione pluriennale con marchi leader del settore quali Liebherr e Neuson, fa sì che ACM offra un’ampia gamma di macchine movimento terra personalizzabili secondo le specifiche necessità. Ma ACM è molto di più: dalla consulenza alla vendita, dall’assistenza al noleggio, è un gruppo di persone che punta a costruire un rapporto unico con il cliente per dare sempre una mano nel migliorare l’attività dell’impresa.

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Editoriale Titolo

di Stefano Pelliciari Presidente ANCE Veneto

Le ultime carte dei progetti per l’expo 2015, diffuse recentemente dai rappresentanti del Comitato Tecnico Scientifico durante un recente convegno nella sede della Camera di Commercio italo-tedesca a Milano, dicono che il Veneto non avrà ricadute dal punto di vista degli investimenti. Piuttosto saranno sul basso Friuli costiero e nelle direttrici verso Lugano. Nel versante della nostra Regione nemmeno l’ombra. Ho ricordato, nel corso delle Assise del 3 maggio, che il Veneto presenta livelli produttivi tra i più alti in Europa ed elevati standard di contribuzione erariale con ricadute sul territorio proporzionalmente inaccettabili. Lo Stato sta strozzando con le sue mani una delle aree più competitive del Paese e dell’Unione Europea. Qualcuno mi dovrà dire, quando il delitto sarà compiuto, come andrà avanti questo Stato, come andranno avanti quelle Regioni meno produttive oggi trainate da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna in particolar modo. Il ministro Sacconi ha parlato del Nordest italiano come una piastra logistica fondamentale per lo sviluppo commerciale di tutta l’Europa. Alla domanda su qual è la sfida principale da vincere per valorizzare una simile posizione strategica ha risposto su questa rivista che «bisogna assolutamente rendere Venezia una città metropolitana che sappia addensare funzioni direzionali. Attorno ad essa va poi creata una rete di infrastrutture. Per completare un simile percorso è però necessario rendere più rapidi i processi attuativi delle grandi opere». Di certo i piani d’investimento per l’expo 2015, che tagliano fuori la nostra Regione, la mancata assegnazione della candidatura per le olimpiadi del 2020, i fondi per le infrastrutture ferroviarie che non ci sono non contribuiscono a dare al Veneto quel ruolo di centro logistico che ci si augura e le giuste compensazioni al suo peso contributivo. Se non vogliamo disperdere il patrimonio di risorse umane e di know how delle nostre piccole e medie imprese, occorre agire subito. Nei nostri proclami insistiamo spesso su riforma dello Statuto Regionale e della burocrazia. Il primo requisito per essere competitivi è quello di saper decidere in fretta. In secondo luogo, scegliere la strategia di sviluppo più lungimirante. Certo contrasta con qualsiasi logica di interesse generale relegare il Veneto a un ruolo economico secondario. Proprio nel contesto delle assise di Ance Veneto del 3 maggio, il ministro Renato Brunetta si è lasciato andare a un’amara constatazione: «Le riforme che non costano niente sono le più difficili da fare. Proprio perché se non costano nessuno ci può guadagnare». L’analisi è molto indicativa di come vanno le cose in Italia. Se a dirla è poi un ministro, c’è da chiedersi se la situazione non sia più grave di quanto cronache (e apparenti luoghi comuni) non dicano. Gli imprenditori edili non chiedono incentivi. La nostra esigenza è solo quella di poter lavorare. Al ministro Brunetta va senz’altro il merito di aver “destabilizzato” un sistema, quello della pubblica amministrazione, caratterizzato da inefficienza e immobilismo. Nuove riforme sono state annunciate o confermate nel corse delle assise: una procedura on-line per la partecipazioni a bandi di gara, lo sportello unico, la scadenza a 30 giorni per i pagamenti della pubblica amministrazione ai fornitori privati. Sono tutte decisioni che miglioreranno radicalmente il sistema dei lavori pubblici. Il problema, però, sono sempre i tempi. Quelli della politica non possono continuare a essere così diversi da quelli delle imprese e dell’economia. Dobbiamo plaudire certamente ad alcune iniziative concrete che la Regione sta portando avanti, mi sembra con determinazione, e, in particolare, alla volontà degli assessori Giorgetti e Chisso di arrivare velocemente all’approvazione della legge obiettivo regionale, di riservare alle Pmi una quota del 30% nei bandi di project financing, di alzare la soglia della procedura negoziata da 500 mila a un milione di euro. Ma attendiamo con impazienza di sapere quali saranno i tempi di approvazione del nuovo Statuto e di sapere chi e con quale determinazione intende rappresentare gli interessi della nostra Regione nel contesto nazionale. L’indicazione, forte e chiara, i cittadini veneti l’hanno data già all’inizio della primavera. Adesso è già arrivata l’estate.

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Lug / Ago 2010 Anno II Numero

10

Edilizia Sviluppo Territorio

Un futuro senza giovani?

Il tema del momento sul palcoscenico di EST

IL FARO

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Giunta regionale sotto la lente

In Scena

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Una buona istruzione. Come è cambiato il metodo educativo e scolastico globale • Imparare a lavorare: il modello educativo tedesco • Gli svizzeri preferiscono il metodo dell’apprendistato • Dall’università al freezer. L’esempio del distretto veneto del condizionamento e della refrigerazione industriale

Gli Attori

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Il Federalismo scolastico non è un’utopia. • Intervista a Elena Donazzan, Assessore alla Formazione della Regione Veneto

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Accorciare i tempi della formazione e puntare sull’eccellenza della quotidianità • A colloquio con Enzo Siviero, Docente allo IUAV

30

Le fondazioni bancarie puntano sugli atenei veneti • Intervista a Dino De Poli, Presidente della Fondazione Cassamarca e a Mario Carraro, Presidente della Fondazione Antonveneta

34

L'università italiana vista dall'interno: quale destino per la fabbrica del futuro?

38

Selettività e poli di eccellenza, la ricetta per un’istruzione che funziona A confronto l’opinione di due economisti di diverso colore politico

41

Gioventù sprecata A colloquio con gli autori del libro che fotografa la situazione attuale della “generazione mille euro”

IL TEATRO

Dietro le quinte

16 Una buona istruzione


46 L’importanza della luce

IL LABIRINTO

44 Federalismo demaniale

Nuove possibilità per lo sviluppo del territorio

Interrogativi, polemiche... troviamo l’uscita

IL BELVEDERE Il Focus dedicato all’architettura

46 L’importanza della luce

Parco pubblico a san Donà di Piave Cino Zucchi Architetti con Gueltrini e Stignani Associati

52 Il parco “atmosferico”

• Intervista a Cino Zucchi di Zucchi Architetti

LE MURA

Esperienze di federalismo all’estero

54 Perchè gli americani dell’Ohio investono in Baviera 54 Barça perde la battaglia della lingua a Madrid ma anche a Hollywood!

ANCE VENETO ASSOCIAZIONE REGIONALE COSTRUTTORI EDILI

EST Edilizia Sviluppo Territorio Proprietà Editoriale

ANCE Veneto Piazza De Gasperi Alcide, 45/A 35131 Padova (PD) info@anceveneto.it

IL PALAZZO COMUNALE

IL MERCATO Le soluzioni per essere competitivi

Editore

Zelio Pirani

Direttore Editoriale

nel nuovo mercato al di là della crisi

L’inchiesta che interessa le amministrazioni comunali e non solo

58 L’Asia conquista il mercato delle costruzioni

I risultati dello studio sul mercato mondiale commissionato da Federcostruzioni insieme al MADE e realizzato dal CRESME

64 Le imprese cercano giovani talenti, ma non assumono

S.I.C.E.T.A. S.r.l. Via Bonifacio, 8 31100 Treviso

Direttore Responsabile

56 Insieme è meglio. Aggregazione d’impresa per emergere

La fotografia di un'indagine su domanda-offerta del mondo del lavoro in Veneto

IL CANTIERE L’innovazione e i materiali

Alfredo Martini

69 Premio Inail: riduzione sino al 30% per le Pmi che migliorano la sicurezza

72 La regolarità e la tutela in edilizia non risentono della crisi 1,5 milioni di DURC nei primi 5 mesi del 2010 t A colloquio con Mauro Miracapillo, Direttore CNCE

Redazione

A cura di Strategie & Comunicazione est@strategiecomunicazione.com

77 Ediltrophy 2010: l’edilizia si (ri)mette in gioco

Al via la terza edizione di Ediltrophy, la gara di arte muraria promossa dal sistema FORMEDIL e da BOLOGNAFIERE

Progetto Grafico e impaginazione Aurora Milazzo

Stampa

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Concessionaria per la pubblicità

O.E.P.I. s.n.c. - Piazza Cittadella, 9 37122 Verona Tel. 045 59 60 36 r.a. Fax 045 80 01 490

LA BIBLIOTECA Recensioni, segnalazioni, news

IL CAMPANILE ANCE Informa

83 Leone d'Oro alla Carriera all'architetto olandese Rem ,PPMIBBT t 7FOF[JB TBMWB HSB[JF BMM BDRVB TBMBUB

84 ANCE Belluno, ANCE Padova, ANCE Treviso, ANCE Venezia, ANCE Verona, ANCE Vicenza


PANNELLI RETTI COIBENTATI REXCOP Dall’esperienza e dall’ingegno dello staff REXPOLgroup, nascono i nuovi pannelli retti coibentati Rexcop, unici e distintivi anche grazie alle particolarità costruttive del giunto di accoppiamento. I pannelli retti coibentati, adattabili a molteplici applicazioni nell’ambito delle coperture civili, industriali, commerciali e pubbliche si presentano come elementi compositi costituiti da una lastra metallica grecata piana, accoppiata all’intradosso ad un materiale isolante con spessori da 40 a 200 mm. Questo può essere Polistirene Espanso Sinterizzato (EPS) tradizionale, New Rexpol o lana di roccia inorganica idrosolubile. In particolare, New Rexpol, lastra termoisolante di ultima generazione realizzata con l’impiego di additivi atermani, rappresenta un prodotto rivoluzionario per l’isolamento termico negli edifici fin’ora impensabile per qualsiasi pol i s t i re n e

espanso. Gli additivi atermani, infatti, intervengono sul calore che si propaga per irraggiamento e riducono la filtrazione grazie alle loro proprietà di assorbimento e riflessione: in un EPS “tradizionale”, per raggiungere la stessa conduttività termica occorre impiegare molto materiale in più. La lana di roccia, prodotto completamente naturale che combina la forza della roccia con le caratteristiche di isolamento termico tipiche della lana, riesce a coniugare in sé cinque doti fondamentali: isolante termico, fonoassorbenza, ottimo comportamento al fuoco (fonde a temperature superiori ai 1000 °C), stabilità all’umidità (non assorbe né acqua né umidità) e stabilità dimensionale. L’estradosso del pannello può essere formato da una lamiera di acciaio zincato preverniciato con profilo a 5 greche di colore bianco e spessori da 5 a 8/10 mm oppure lamiera di aluzink con profilo a 5 greche di colore naturale metallizzato con spessori da 5 a 8/10 mm ed infine, in lamiera in alluminio con profilo a 5 greche di colore naturale e con spessori da 6 a 8/10 mm. L’intradosso può essere costituito da EPS a vista con o senza effetto “a muro” oppure presentare una lamiera goffrata e micro ner-

vata in acciaio zincato preverniciato di colore bianco con spessore 4/10 mm. La battentatura laterale ad “L” in tutto lo sviluppo del pannello impedisce la formazione di qualsiasi ponte termico sulle giunzioni e l’apposita canalina ricavata sull’isolante in corrispondenza del battente impedisce la ricaduta all’interno del capannone di eventuali condense che si potrebbero formare tra i giunti di sovrapposizione delle lamiere, convogliando la rugiada all’esterno della copertura sul canale di gronda. Il profilo in PVC colorato posto sul bordo sporgente della lamiera inferiore di finitura del pannello Rexcop funziona come protezione antiurto del profilo della lamiera, prevenzione antinfortunistica da taglio, guarnizione anticondensa nei giunti di accoppiamento, elemento di compensazione dei sormonti della lamiera. Rexcop è una azienda integrata e nei suoi stabilimenti lavora e produce il Polistirene Espanso Sinterizzato e la lana di roccia, lamiere grecate metalliche piane e, a completamento del sistema, realizza tutta una serie di pannelli isolanti preformati su misura già preaccoppiati con guaine di tipo bituminoso per la coibentazione e l’impermeabilizzazione di travi e canali, il tutto per dare una completezza ed affidabilità al sistema. PER INFORMAZIONI: Rexpolgroup Via Enrico Fermi 30036 Santa Maria di Sala (VE) Telefono +39 041 486822 vendite@rexpolgroup.it


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Clicca su www.estmagazine.it Un nuovo spazio di confronto sul web della rivista EST – Edilizia, Sviluppo e Territorio Il primo Social Network, promosso dai Costruttori Edili, che ti rende partecipe! Social perché è la piattaforma di dibattito interattiva, aperta ai temi attuali e futuri di EST. Sul sito troverai tutte le anticipazioni dei numeri in uscita della rivista! Network perché è la rete che ti mette in collegamento con tutti coloro che partecipano alla discussione e che si aggiornano sugli argomenti che coinvolgono il territorio. Con il Social Network, EST vuole rendere ancora più concreti i principi su cui la rivista poggia le fondamenta e da dove continua la sua messa in opera. EST è una rivista dove far maturare idee e proposte, sviluppata per orientare, per discutere, per riallacciare fili e con questi intrecciare un tessuto in cui imprese, istituzioni e società civile possano recuperare una capacità forte di trovare soluzioni e di “fare” sviluppo. E proprio dall’intreccio tra queste linee guida e l’apertura verso l’innovazione, uno dei principi di cui Ance Veneto si fa promotrice, nasce questo Social Network dedicato, sfruttando le potenzialità che oggi ci offre il Web. I costruttori veneti, tramite la voce di EST e del Social Network ad essa collegato, si presentano come soggetto collettivo in grado di assumere un ruolo propositivo, di essere interlocutore privilegiato di ogni pensiero, di ogni invenzione, di ogni progetto che abbia a cuore la crescita economica e sociale della nostra Regione.

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Il Faro: uno sguardo costante sulle attività del Governo Regionale di cui monitorare gli impegni presi rispetto alle principali questioni di interesse dell'industria delle costruzioni. Ogni numero illuminerà i lettori sui progressi fatti e sui punti ancora da sviluppare. Luca Zaia ha stravinto le elezioni con quasi mezzo milione di voti in più del suo predecessore Galan, ha messo insieme il nuovo governo del Veneto a tempo di record, parte con un tasso di gradimento stellare, l’80 per cento, secondo un sondaggio da lui stesso citato nel discorso programmatico di insediamento davanti al parlamento regionale. Un discorso ricco di citazioni alte, di richiami ai valori, di “orgoglio veneto” e di aperture a tutte le forze, politiche, economiche e della società civile, per fare insieme le molte cose che ci sono da fare. La visione è chiara e condivisa: la crisi greca ci ha ricordato in modo drammatico quali siano le conseguenze di una sussidiarietà irresponsabilmente generosa: comportamenti viziosi non sanzionati portano alla rovina tutti e distruggono la ricchezza creata con fatica dai comportamenti virtuosi. Per dirla come il ministro Renato Brunetta, abbiamo inventato un sistema che premia le cicale e punisce le formiche. E ora dobbiamo rapidamente cambiare registro. Stabilito una volta per tutte che su questo la pensiamo esattamente come Zaia, proviamo a entrare nel merito degli impegni presi dal nuovo governatore per fare del Veneto uno dei motori dell’Europa che marcia sulla strada della crescita e del federalismo. Con una raccomandazione che speriamo il governatore voglia accogliere con la concretezza e la cultura del fare che ha mostrato di possedere da ministro: per qualche anno, diciamo almeno un paio, metta nel cassetto i sondaggi e metta dei paletti alla ricerca del consenso di tutti, che va giustamente ricercato, ma poi bisogna decidere anche contro l’interesse di qualcuno per fare quello di tutti. Abbiamo gli stessi obiettivi. ANCE Veneto ha scritto nel “Patto per il Veneto del futuro”, un documento pubblicato subito prima delle elezioni, di un Veneto “modello globale di sviluppo e sostenibilità” e ha messo ai primi punti delle cose da fare per conseguire questo obiettivo la riforma dello Statuto regionale. Esattamente come Zaia nel suo discorso programmatico. Proviamo in questa pagina ad entrare nel dettaglio impegnandoci a una verifica puntuale e costruttiva dell’azione del nuovo governo regionale proprio nella visione di un sistema di imprese – quello delle costruzioni – che si propone come “consulente tecnico” che può affiancare l’amministrazione per aiutarla a raggiungere i suoi obiettivi di crescita e sviluppo. 12


Statuto e patto di stabilità

IL FARO

Un nuovo Statuto regionale è uno degli obiettivi di questa legislatura il cui conseguimento misurerà la capacità del Veneto di fare efficacemente “lobby” a livello nazionale e internazionale. Uno degli obiettivi condivisi che si vogliono conseguire con il nuovo Statuto è una riformulazione del patto di stabilità interno fondato sul principio di responsabilità e capace di declinare l’autonomia federale fino al livello delle amministrazioni comunali. Su un punto sono tutti d’accordo, la maggioranza che governa l’Italia e molti esponenti delle opposizioni, bisogna inventare un sistema che premi gli amministratori locali virtuosi, consentendogli di continuare a “spendere bene” come hanno mostrato di saper fare e punire quelli viziosi, che hanno speso male – cioè hanno distrutto ricchezza – togliendogli le risorse. è sul come si raggiunge questo obiettivo che si misurerà la politica regionale. Magari accogliendo la proposta di ANCE Veneto di legittimare la figura del costruttore/promotore, vale a dire imprese radicate, che conoscono il territorio e che possono interloquire e collaborare con le amministrazioni avanzando proposte di riqualificazione e sviluppo delle città e del territorio. Vediamo invece un rischio nella ricerca del consenso e dell’unanimismo a tutti i costi e nel coinvolgimento di tutti gli enti territoriali in tutte le scelte generali della Regione. Francamente, almeno in questa fase, il pericolo di un nuovo “centralismo regionale” evocato da Zaia ci sembra abbastanza remoto. Sarà un happy problem una volta costruita una regione forte, padrona delle sue scelte economiche e finanziarie. Zaia aveva chiesto nel discorso di insediamento un nuovo regolamento d’aula entro i primi cento giorni. Ma la materia è di esclusiva competenza del Consiglio regionale e la proposta di revisione non ha ancora iniziato l’esame in Commissione. Per lo statuto invece la scadenza di Zaia per averne uno nuovo è fine anno.

Efficienza energetica è questo il vero test della sensibilità ambientale del nuovo governo del Veneto, una sensibilità da declinare con il verbo fare e non con il non fare della Val di Susa. è l’opportunità di dimostrare concretamente come l’impegno ambientale può essere un potente motore di crescita. Il Veneto parte avvantaggiato. Tra le regioni italiane è uno dei casi avanzati nell’introduzione delle certificazioni energetiche degli edifici pubblici e privati. Ha i numeri per diventare una case history europea, un modello simile a quelli scandinavi e nord europei a cui guardano i governi di tutto il mondo. Serve una spinta in più a un sistema di imprese che è probabilmente in Italia già il più sensibile e orientato all’efficienza energetica. Cosa serve? Incentivi al risparmio energetico che si inseriscano nel Piano Casa, normativa regionale per la certificazione, incentivi e linee di credito dedicate alla riqualificazione energetica degli edifici pubblici, premialità. Non ci sono aggiornamenti.

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Sburocratizzazione è il grande obiettivo “interno” della riforma dello Statuto. Così come è il grande obiettivo del governo nazionale annunciato pochi giorni fa agli imprenditori riuniti a Santa Margherita Ligure dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Un disboscamento che deve iniziare dalla stessa Regione per proseguire sfoltendo tutti i rami della pubblica amministrazione locale. La burocrazia non viene eletta, ma fa comunque parte del territorio, può svolgere un ruolo positivo non solo ritirandosi, ma anche mettendo la sua esperienza e la sua conoscenza dell’ostruzionismo al servizio di un governo che voglia fare invece di frenare. Nella lotta alla burocratizzazione occorre un po’ di ”astuzia della ragione”. Non si può immaginare la burocrazia locale (e quella nazionale) solo come una specie di parassita da eliminare con il DDT. Bisogna individuare le risorse migliori, le competenze e portarle dalla propria parte premiando, anche qui, i virtuosi - stessa logica che si intende applicare agli amministratori - e punendo i viziosi. E soprattutto eliminare il sistema delle convenienze che alimenta l’ostruzionismo burocratico, iniziando magari anche dalle imprese: chi vive di contenziosi, di ricorsi, di quella che il ministro Maurizio Sacconi chiama la litigiosità temeraria deve essere individuato, emarginato e possibilmente sanzionato. Il vicepresidente Marino Zorzato sta lavorando alla cura dimagrante della burocrazia regionale.

Infrastrutture e competitività Sono due voci che non si possono separare. La competitività di un territorio è fatta di tutti quei fattori di efficienza e di risparmio sui costi che sono esterne all’impresa, infrastrutture quindi, materiali e immateriali. Alta velocità ferroviaria, sistema ferroviario metropolitano regionale, viabilità primaria ma, nel Veneto, anche se non soprattutto, secondaria. Ma anche ricerca, sistema universitario raccordato con quello delle imprese. Capacità di confrontarsi non solo con il governo centrale, ma anche a livello internazionale, sulla realizzazione dei Corridoi Europei 1 e 5. Il tutto deve essere funzionale a una crescita ordinata e efficace allo sviluppo delle città – innanzitutto la grande area metropolitana di Venezia – e delle aree industriali. è vero che in passato la crescita è stata disordinata e priva di un disegno organico, però è anche fondamentale sottolineare che di crescita stiamo parlando, non di ritorni a immaginarie bucoliche età dell’oro. Il Veneto ha come benchmark la Baviera, non la Carinzia. In questa ottica, in un’ottica di crescita economica – ordinata, rispettosa dell’ambiente e del territorio ma sempre crescita – si colloca il problema della riqualificazione di Porto Marghera. C’è un grande tema di recupero ambientale legato al disinquinamento del territorio veneziano e della laguna. Ma nella cornice di un disegno più ampio che miri alla trasformazione di Porto Marghera in una piattaforma logistica, anzi “della” piattaforma logistica che connette il Mediterraneo all’Europa Nord Orientale. Non ci sono aggiornamenti.

Expo 2015 è una data simbolica. L’Expò di Milano coincide con la conclusione della legislatura appena avviata in Veneto. Tutti sono d’accordo sul fatto che il Nord Est può giocarsi un ruolo da protagonista in questo importante evento internazionale, d’altra parte il Nord Est inizia a Bergamo e, invece, Milano tende a guardare più verso Torino. Oltretutto il tema dell’alimentazione e dell’eccellenza agro alimentare è molto più facile da declinare nel Nord Est che nel vecchio triangolo industriale, a meno che non immaginiamo l’Expò come una versione allargata della sagra del tartufo di Alba. Eppure nessuno per ora riesce a uscire dalla suggestione degli slogan e dei richiami storici e geografici e ad avanzare proposte concrete realizzabili nei 5 anni che ancora mancano. Qui ci vuole un colpo d’ala. Qui Zaia ha l’occasione per volare. Non ci sono aggiornamenti. 14



Una buona istruzione

Come è cambiato il metodo educativo e scolastico globale


N

di Stefano Caratelli

egli ultimi 100 anni l’istruzione, almeno nei paesi sviluppati, è stato di gran lunga l’investimento con il più elevato ritorno economico nel lungo periodo tra i tanti possibili. Per i singoli individui, per gli Stati, per i privati, per l’economia e la società nel suo complesso. Soprattutto nel caso dell’educazione secondaria superiore e universitaria. Al singolo è tornato in termini di reddito e di pensione nell’arco di tutta la vita un multiplo di decine di volte rispetto a quanto investito da lui o dalla sua famiglia in istruzione. Allo Stato un multiplo altrettanto elevato in termini di gettito fiscale: sia da parte del singolo lavoratore o professionista ben pagato grazie all’istruzione, sia da parte della crescita dell’economia nel suo complesso ottenuta grazie alla competitività a sua volta prodotta da una forza lavoro ben preparata. I grandi investitori privati in istruzione sono stati premiati attraverso una molteplicità di canali, sia diretti che indiretti. Questo è il passato. Il futuro gli somiglierà? Certamente l’investimento in educazione resterà sempre più cruciale per l’accesso al mercato del lavoro, ma anche il suo rendimento è destinato a restare così elevato? O diventerà semplicemente il prezzo da pagare per non restare totalmente o parzialmente disoccupati? Quello che è certo è che la corsa all’istruzione nell’ultimo decennio ha accelerato. Ormai la grande maggioranza della popolazione giovanile nell’area Ocse va oltre la scuola dell’obbligo mentre la quota di studenti che si sono spinti fino all’università è cresciuta di quasi il 5% l’anno nel decennio. Dal 1995 al 2007 la popolazione giovanile (2534 anni) con formazione universitaria è salita dal 18% al 35% del totale. E così aumenta fortemente il gap formativo tra la nuova generazione che si affaccia sul mercato del lavoro e la vecchia che si prepara a uscirne. Il quadro tuttavia non è omogeneo. La spinta al prolungamento della vita studentesca viene soprattutto da alcuni paesi asiatici (come Giappone e Corea, mentre Cina e India non fanno parte, ancora, dell’Ocse) e da paesi come Messico, Russia e Brasile da poco entrati in una fase di sviluppo più maturo. 17


Nelle economie di punta del pianeta, dove la competitività non si è mai basata sul basso costo del lavoro, il rapporto si è invece da tempo consolidato. In Stati Uniti e Germania la generazione che sta per uscire dal mercato del lavoro (55-64 anni) ha esattamente la stessa proporzione di persone con formazione universitaria di quella che vi sta entrando (25-34 anni). La quota è più alta (40%) negli Stati Uniti, dove i titoli universitari hanno una gamma e un peso molto diversificati, e stabilmente molto più bassa in Germania (intorno al 20%) dove l’accesso all’università è molto selettivo. Vale forse la pena di notare che in questi due paesi storicamente la disoccupazione è un fenomeno sempre congiunturale – aumenta quando l’economia entra in recessione e cala visibilmente quando è in espansione – e mai strutturale. Evidentemente la macchina dell’istruzione pro-

duce il tipo di capitale umano di cui il sistema produttivo ha bisogno e che riesce a utilizzare al massimo nelle fasi di crescita. Mercato dell’istruzione e mercato del lavoro funzionano in sintonia. Su scala ridotta, l’Italia del Nord ha una dinamica simile alla Germania, ma a livello di sistema paese deve fare I conti con il fenomeno della disoccupazione strutturale del Centro-Sud che è insensibile al ciclo economico. La crisi finanziaria degenerata in recessione globale del 2008 avrà un impatto sulla corsa globale all’istruzione, ma nessuno sa ancora dire quale. Barbara Ischinger, Direttore del dipartimento Educazione dell’OCSE, l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo dei 30 paesi più avanzati che ogni anno pubblica un rapporto sullo stato dell’istruzione, ha osservato che la difficoltà attuale a trovare lavoro dovrebbe ridurre il costo/opportunità di investire in istruzione. In altre parole, dopo la

Imparare a lavorare: il modello educativo tedesco Forte integrazione tra scuola e aziende insieme a un governo quasi totalmente affidato ai Laender. Sono i due assi su cui è costruito il sistema educativo tedesco, che una serie di riforme negli ultimi anni ha ritoccato e migliorato, ma non intaccato nella struttura. Diversamente da molti paesi avanzati, in Germania la scuola è concepita come un percorso di avviamento al lavoro più che come la costruzione di una piattaforma di cultura generale su cui innestare successivamente conoscenze specifiche utili all’inserimento nel mondo del lavoro. Con tutti gli inconvenienti, oltre agli ovvi pregi, del caso. Ad esempio nei test del PISA (il Programma per la valutazione internazionale degli studenti avviato nel 2000 dall’OCSE e basato su test a studenti di 15 anni che si ripetono ogni 3 anni) la Germania nel 2006 è risultata solo 18ma nella capacità di comprensione di testi scritti e 20ma in matematica tra i paesi più avanzati. Nel 2000 era andata ancora peggio e un vivace dibattito è aperto sul tema. La scuola tedesca non è sicuramente un percorso di avviamento all’università. La strada maestra per l’università resta il Gymnasium a cui si accede intorno agli 11-12 anni e si esce a 18 o 19 dopo aver superato l’esame Abitur. In molti Gymnasium la prima lingua straniera obbligatoria è ancora il latino e l’inglese solo la seconda. Una serie di riforme negli ultimi anni ha allargato le porte delle università prevedendo test di ingresso o altre modalità, ma ancora oggi oltre il 50% degli studenti tedeschi entra in università con l’Abitur. In Baviera, che è la roccaforte della difesa di questo sistema, la percentuale è del 60. Oltre al Gymnasium, lo scolaro tedesco che esce dalle elementari ha altre 4 opzioni. La meno impegnativa è la Hauptschule che dura fino a 15 anni ed equivale a una prosecuzione delle elementari. In alcuni Stati tedeschi non esiste e gli scolari che escono dalle elementari hanno l’opzione (la seconda della quattro) di una vera scuola media che non fornisce alcuna preparazione propedeutica all’università, oppure (opzione 3) Realschule fino a 16 anni o infine la Gesamtschule. Alla fine di ciascuno di questi 4 percorsi (non tutti hanno un esame conclusivo) a circa 16 anni, assolto l’obbligo scolastico, lo studente tedesco può entrare in una Berufsschule. E qui si denota una


In scena

scuola dell’obbligo è più difficile di tre anni fa trovare lavoro, quindi tanto vale continuare a studiare e tentare l’ingresso più tardi a un livello più alto. Il discorso non vale negli Stati Uniti dove l’istruzione di qualità non ha solo il costo immediato di una mancata possibilità di guadagno ma anche un costo economico reale abbastanza elevato. Sembra un modo di ragionare abbastanza pericoloso, anche perchè l’attesa dell’opportunità da cogliere potrebbe durare molto a lungo. Della crisi forse bisogna invece approfittare per accorciare la distanza tra sfera dell’istruzione e sfera produttiva, non per allungarla temporalmente.Al riguardo gli esperti hanno in mente diversi scenari possibili. La crisi ha investito prima la finanza e poi l’economia reale, costringendo i governi di tutto il mondo a salvataggi molto onerosi, prima finan-

ziari e poi industriali e occupazionali. Nei tentativi di far ripartire l’economia globale sono state spese somme enormi, sacrificate agli investimenti di lungo termine, come l’istruzione. Tutto questo è accaduto mentre nel mondo il dibattito sul futuro dell’istruzione, soprattutto quella universitaria, era già acceso. Che tipo di università serve per l’economia globale? Anche l’’istruzione deve entrare negli accordi commerciali internazionali del WTO? Si va verso il protezionismo e quindi il localismo anche nell’università, per cui ogni paese pensa solo al proprio fabbisogno educativo? O si va verso network universitari globali che sfornino manodopera qualificata spendibile indifferentemente in tutti i paesi del pianeta come i McDonald? Si può immaginare un’agenzia internazionale come il Fondo Monetario che coordini l’investimento più a lungo termine di tutti, cioè

differenza radicale rispetto a sistemi scolastici come quello italiano (ma anche francese o inglese). Lo studente della Berufsschule a scuola – ma di fatto non è una scuola, solo in alcuni limitati casi dà luogo a un titolo di studio legalmente valido -- ci va solo 2 giorni la settimana e gli altri tre li passa in apprendistato, con una retribuzione minima di part time, presso un’azienda. Le aziende tedesche sono obbligate ad accogliere gli apprendisti e devono avere un proprio programma di apprendistato. Dopo un periodo di due-tre anni di studio e lavoro l’apprendista viene iscritto in una speciale lista alla Camera di Commercio e Industria della sua zona e si avvia a una carriera lavorativa di profilo medio basso ma quasi certa. Alla fine della Berufsschule c’è un esame, che in alcuni specifici casi (lavori in banca, studi legali) e in alcuni Stati può avere valore legale. Ovviamente il panorama è più variegato, ci sono molte scuole private confessionali e non e una parte di queste prepara anche all’università. Una fotografia recente della popolazione tedesca occupata vede circa la metà dei lavoratori in possesso della sola istruzione dell’obbligo, oltre il 35% è uscito dalla Realschule e solo poco più del 10% ha la laurea.

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Gli svizzeri preferiscono il metodo dell’apprendistato è il federalismo, ovviamente, l’asse portante del sistema svizzero dell’istruzione. Il governo di Berna si limita a fissare alcuni paletti, come l’obbligo scolastico fino alla secondaria di primo grado e il bilinguismo, e poi tocca ai singoli Cantoni definire organizzazione e obiettivi dell’offerta formativa, anche se sono in corso tentativi di standardizzazione che non snaturino l’autonomia. Alla fine però il modello tedesco che concepisce la scuola come avviamento al lavoro è prevalente. Nella scuola secondaria di secondo grado, infatti, la stragrande maggioranza degli studenti della fascia tra 16 e 19 anni confluisce nel modello duale studio-apprendistato. Parliamo di almeno il 70% della popolazione studentesca! Un restante 17-20% sceglie la Maturitätsschulen, che come il Ginnasio tedesco prepara all’università, mentre un 4% opta per scuole che offrono il diploma tecnico e un 3% sceglie le scuole che formano I futuri insegnanti (più o meno le vecchie magistrali italiane). Esattamente come in Germania, gli studenti che scelgono il sistema duale passano a scuola due giorni a settimana e gli altri tre in azienda o comunque in ufficio. Oltre il 90% completa il ciclo di apprendistato e studio e ottiene un certificato che consente di essere assunti nell’industria, nel commercio e nel terziario con 260 diverse qualifiche professionali. Anche per il settore agricolo e forestale (siamo in Svizzera) esiste un ciclo di tre-quattro anni di studio e apprendistato e anche qui si esce con un certificato o diploma valido in tutta la Federazione. In questi cicli confluisce circa l’un per cento della popolazione studentesca. Il Gymnasium è selettivo e riceve finanziamenti pubblici. C’è da osservare che alla quota di circa il 20% di studenti che scelgono la strada che li porterà all’università si è arrivati solo recentemente. Fino alla fine del secolo scorso sceglieva la Maturitätsschulen solo il 9-10% degli studenti. Anche dal percorso duale si può arrivare a un livello terziario di educazione, ma separato da quello universitario vero e proprio. In pratica si passa a un livello superiore di apprendistato e studio che conduce a posizioni lavorative medio-alte. Quanto all’università, in Svizzera ce ne sono undici principali di cui otto cantonali e tre federali. Oltre alle università, a livello locale ci sono istituti specializzati che non richiedono per l’accesso la maturità riconosciuta a livello federale ma basta il Berufsmatura, un diploma che si consegue con un anno di studio intensivo alla fine del ciclo duale studio-apprendistato. Questi istituti si chiamano Fachhochschulen e sono la risposta alle richieste di lavoro di una società sempre più terziarizzata che richiede professionalità specializzate dal settore del turismo a quello dei servizi sociali e dei servizi alla persona. Sono una realtà relativamente recente e in espansione. Oggi ce ne sono una sessantina distribuite secondo le aree linguistiche (40 nella svizzera tedesca, 20 in quella francofona e 1 in Ticino). 20


In scena

Nei tentativi di far ripartire l’economia globale sono state spese somme enormi, sacrificate agli investimenti di lungo termine, come l’istruzione.

l’educazione, secondo obiettivi di crescita globale equilibrata? Domande senza risposta per ora su cui si esercitano gli scenaristi del mondo. Intanto chi ha un modello che funziona va avanti per la sua strada. Germania e Svizzera, ad esempio, percorrono da sempre un sistema educativo che punta a portare sul mercato del lavoro persone molto giovani – 18-20 anni – con una vocazione professionale già molto ben definita. Così probabilmente si rinuncia precocemente a delle opportunità, ma non si rimane senza lavoro. E soprattutto l’economia è alimentata da capitale umano immediatamente utilizzabile, e non da formare in azienda per fornire le professionalità che la scuola non ha dato. In Germania solo il 40% degli studenti che escono dalla scuola secondaria superiore entra all’università. È tra i dati più bassi dei paesi OCSE, uguale al Messico (l’Italia ad esempio registra un 60%). La differenza tra Germania e Messico è che il 100% degli studenti porta a termine il corso di scuola secondaria superiore, mentre il tasso messicano di abbandono prima della conclusione è del 60%. Probabilmente non è un modello adottabile da tutto il resto d’Europa, il cui problema resta quello di non avere una politica e men che meno una vocazione educativa paragonabile alle altre grandi potenze economiche, a cominciare dagli Stati Uniti. Oggi il problema dell’istruzione non sembra tanto quello delle risorse economiche, i paesi OCSE spendono circa il 6% del Pil in istruzione e non ci sono scostamenti molto significativi rispetto alla media. Il problema è come spenderli. La principale voce di spesa sono gli stipendi degli insegnanti: i soldi sono quelli, si possono usare per pagarne molti con un basso salario o pagarne pochi con un salario molto alto. è un problema che in Italia e in Europa nessuno si pone, ma la Corea del Sud lo ha fatto e ha scelto di pagare molto bene ottimi insegnanti con classi molto numerose.

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Dall’università al freezer L’esempio del distretto veneto del condizionamento e della refrigerazione industriale Un esempio virtuoso di integrazione tra tessuto universitario e ambito lavorativo. Un investimento costante sul capitale umano che ha determinato una progressiva crescita del fatturato e un inarrestabile aumento dei posti di lavoro. Si tratta del Distretto veneto del condizionamento e della refrigerazione industriale, un’area composta da 117 aziende (il 55% a carattere artigianale e il 45 industriale) con sede nelle province di Belluno, Padova, Rovigo, Treviso e Verona. La nascita del distretto deriva dalla Legge regionale 8/2003, che consente ad aggregazioni produttive radicate sul territorio di ottenere un riconoscimento giuridico. Sin dalla sua costituzione è stato strutturato lungo la filiera del freddo e integra produttori di grandi impianti e di sistemi per i comparti del condizionamento dell’aria, della refrigerazione commerciale, industriale e domestica, del trasporto refrigerato. Grazie al Distretto, il Veneto rappresenta la regione italiana a maggior concentrazione di imprese nel settore del freddo e il polo di riferimento su scala europea, con una capacità produttiva pari a quasi il 60% del totale. Il fatturato del 2010 ha toccato quota 1,50 mld, denotando una robusta crescita rispetta agli 1,34 mld del 2003. Il 2010 è stato anche il boom delle assunzioni, in controtendenza con la generale erosione di posti di lavoro. Il Distretto è arrivato, infatti, a contare 9.758 addetti, quasi tremila in più rispetto allo scorso anno. La maggior parte delle imprese è di piccole dimensioni: sono 43 le realtà che presentano meno di dieci lavoratori. Un trend positivo reso possibile soprattutto grazie alla stretta collaborazione con l’Università di Padova e la Ca’ Foscari di Venezia. Il Distretto si rivolge in primis ai due atenei per effettuare nuove assunzioni, anche perché nelle varie facoltà sono organizzati costantemente corsi e seminari propedeutici all’ambito lavorativo del condizionamento e della refrigerazione industriale. In questo modo vengono create competenze specifiche provenienti dal mondo accademico e si crea un rapporto di interscambio costante tra formazione e lavoro. Un esempio di investimento reale sul capitale umano.

di Marco Rambaldi

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In scena

L’unico scostamento sensibile rispetto a Francia e Germania è nella capacità di attrarre studenti dall’estero, molto più debole da parte dell’Italia.

Guardando ai parametri di base dell’educazione dei paesi industrializzati l’Italia non si discosta dalle medie o dai dati dei principali paesi europei come Germania e Francia: spesa pro capite, spesa in percentuale del totale spesa pubblica, durata media di non occupazione dopo il conseguimento del diploma o della laurea, etc. L’unico scostamento sensibile rispetto a Francia e Germania è nella capacità di attrarre studenti dall’estero, molto più debole da parte dell’Italia. Questo può indicare che l’Italia non ha ancora saputo sviluppare una propria specifica vocazione educativa a livello universitario, né come risposta alle esigenze professionali del sistema paese né tantomeno come richiamo internazionale.

L’università è oggi il cuore del problema educativo italiano, soprattutto dal punto di vista della sostenibilità finanziaria dell’attuale sistema. Inoltre, come dimostra il fenomeno della fuga dei cervelli all’estero, l’università italiana è perfettamente in grado di produrre eccellenze, ma non sa utilizzarle, né per se stessa né per il sistema paese. Le casse dello Stato sono esauste e non più in grado di finanziare l’attuale sistema. Occorrono risorse fresche a livello privato e locale ma nessuno nella situazione attuale investirebbe in un’università italiana, come in nessun altra attività in cui chi mette i fondi non ha voce in capitolo su come spenderli. 23


Il federalismo scolastico

non è un’utopia

L’istruzione è in tutto il mondo anche una risorsa economica. Dalle analisi OCSE però emergono dati molto deludenti per quanto riguarda il futuro delle giovani generazioni, soprattutto in Italia. Per capire meglio quali sono i problemi del nostro sistema formativo e come risolverli abbiamo cercato di dare voce a diverse figure della politica, dell’università e del mondo imprenditoriale. Abbiamo contattato per la Regione l’Assessore Elena Donazzan, per il mondo universitario Enzo Siviero, vicepresidente del CUN e per il settore privato due direttori di fondazioni bancarie: Dino De Poli e Mario Carraro. Purtroppo il Ministro Gelmini non è riuscito a fornirci un contributo, così come i rappresentanti di Confindustria che abbiamo interpellato. Cercheremo di tornare sul tema per ottenere anche le loro opinioni. di G.B.

Intervista all’Assessore alla Formazione della Regione Veneto, Elena Donazzan

N

ei paesi europei dove il federalismo è una realtà consolidata, come Svizzera e Germania, in materia di educazione il governo centrale stabilisce solo pochi criteri generali, come la durata della scuola

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dell’obbligo, e lascia il resto ai governi locali, cantoni e laender. Il Veneto come può cercare di accelerare, con gli strumenti disponibili oggi, un percorso in questa direzione? Già oggi, a Costituzione vigente, il Titolo V preve-


de all’art. 116 la possibilità di attuare diverse ed ulteriori forme di autonomia. Tra queste vi è anche l’istruzione, essendo già la formazione competenza esclusiva delle Regioni. Dalla scorsa legislatura abbiamo iniziato questo percorso all’interno della Commissione degli Assessori Regionali facendo approvare il Master Plan delle Regioni d’intesa con il Ministero dell’Istruzione che porterà le diverse Regioni a dotarsi di una legge regionale che potrà così dare forma al federalismo scolastico. Questo per il Veneto significherà mettere a sistema le straordinarie esperienze di contaminazione tra scuola e lavoro, della tradizione cristiana del progetto educativo che ha dato vita, nel principio di sussidiarietà, ai percorsi nella scuola dell’infanzia, della formazione professionale, delle scuole paritarie.

cilia come in Veneto. Oggi questo non accade e a parità di regole, peraltro in un sistema rigidamente organizzato dal centro vi sono risultati diametralmente opposti. è il risultato delle valutazioni del sistema internazionale OCSE PISA che ci fornisce questo quadro: in Veneto, nei pieno rispetto delle normative e delle direttive centrali i risultati ottenuti dagli studenti e anche quelli dell’organizzazione del sistema sono decisamente più elevati con risultati eccellenti nell’abbattimento della dispersione scolastica, dei minori costi dovuti alla razionalizzazione dell’organizzazione.

Le grandi università degli Stati Uniti spesso esprimono una specifica “vocazione” del territorio o, viceversa, imprimono al territorio una specifica vocazione produttiva ed economica, pensiamo a Stanford La sanità è stato il in California o all’MIT settore dal quale è di Boston. Quale è a partita la pratica fedesuo avviso la vocazioralista in Italia e i risulne universitaria di ectati sono stati quelli cellenza del Veneto e di un “evidenziatore” come questa potrebdelle efficienze e delle be tradursi in vocazioinefficienze nel paese. ne produttiva? Il Veneto ha fatto molLe università del Veneto bene, coniugando to stanno dimostrando qualità e sostenibilità grande voglia di modereconomica. nizzazione con la propoQuali lezioni virtuose Elena Donazzan sta di costituirsi in una si possono prendere Assessore alla Formazione della Regione Veneto unica Fondazione, prindalla sanità veneta per provare ad applicipalmente per mettere a carle nell’educazione e nella formazione? fattore comune le eccellenze presenti in ciascuno Innanzitutto che il principio della spesa storica va dei 4 atenei veneti, per razionalizzare in un modefinitivamente superato e che il federalismo si mento di tagli di spese e per affrontare l’ innovadeve coniugare con la responsabilità. Nella scuola zione dei percorsi con una maggiore capacità di come nella sanità, una prestazione, il servizio erocoinvolgimento del mondo economico oltre che gato devono costare allo Stato ugualmente in Sidi quello universitario. 25


Accorciare i tempi della formazione e puntare sull’eccellenza della quotidianità di Alfredo Martini

A colloquio con Enzo Siviero, docente allo IUAV Enzo Siviero è docente allo IUAV, progettista, socio di una società di progettazione specializzata in ponti, ma soprattutto è vicepresidente del CUN, il Consiglio Universitario Nazionale, l’organo di governo del nostro sistema di più alta formazione. Da questo osservatorio il suo punto di vista assume una valenza particolare, intrecciando visione generale con le specificità proprie di un settore come quello che fa capo all’ingegneria e all’architettura, attento alle esigenze del mondo economico e produttivo.

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Siamo entrati subito nel vivo del tema oggetto dell’incontro: esiste una visione di insieme, un disegno che dia il giusto peso, una corretta valutazione del ruolo strategico delle nuove generazioni nei processi di sviluppo economico e sociale e del futuro del nostro Paese? Ritengo di no, anche se qualche segnale di maggiore attenzione alla questione si registra. Credo che, seppure troppo lentamente e con colpevole ritardo, stia maturando in segmenti dell’attuale classe dirigente la consapevolezza che si debba lavorare in questo senso. Ci vuole un patto generazionale. Vanno create le condizioni affinché nel giro di qualche anno, pochi, le nuove generazioni possano trovare immediato e sistematico riconoscimento delle competenze acquisite. In Italia, a differenza che negli altri Paesi europei, ma anche in quelli emergenti, l’inserimento ai massimi livelli decisionali delle giovani generazioni è nettamente più rapido. All’estero oggi a 35 anni si guidano aziende multinazionali, si rivestono ruoli di massima responsabilità, il passaggio dalla fase di formazione a quella di gestione avviene nel giro di 10 anni. Da noi, in Italia, tutto risulta dilatato, quando va bene, di almeno altri dieci anni. Il nostro sistema formativo dovrebbe essere commisurato sugli obiettivi di un inserimento lavorativo non oltre i 23 anni e l’affermazione a livello dirigenziale subito oltre i 30. è una questione determinante. Bisogna cambiare, bisogna assolutamente accorciare i tempi di inserimento perché altrimenti si logora l’investimento. In molti casi sembra che il nostro sistema non risponda per nulla a logiche economiche e di valorizzazione, ma a meccanismi di autoreferenzialità, burocratico – amministrativi. Con il risultato che in molti casi si erigono barriere, si mortifica il merito, come dicevo, non si riconoscono le competenze acquisite, si seleziona al contrario, non il meglio, ma altro. La conseguenza è la fuga all’estero dei migliori.

lorizzare le competenze esistono già, solo che servono a formare talenti, personalità, tecnici e dirigenti di eccellenza che poi non trovano le condizioni, nel nostro Paese, per emergere, per affermarsi proprio a causa di meccanismi che si trasformano in ostacoli insormontabili. Per questo ci vuole un patto generazionale. Va perseguita la definizione di un accordo che veda uniti su questi obiettivi tutti i soggetti interessati, le amministrazioni pubbliche, oggi esautorate di competenze tecniche fondamentali, il sistema delle imprese che reclama e ha bisogno di eccellenze, soggetti come le fondazioni bancarie che possono sostenere progetti strategici, il mondo delle professioni e il sistema delle università e dei centri di ricerca. Un accordo che deve trasformarsi in un progetto condiviso che sappia coinvolgere la politica e i decisori.

Per il vicepresidente del CUN è un problema soprattutto di volontà perché gli strumenti per accorciare i tempi e per va-

Cosa può fare l’Università per contribuire ad invertire questo processo? Da sola ben poco, ma all’interno di un accordo

Spostiamo ora l’analisi dal generale al mondo dell’ingegneria, della progettazione e delle costruzioni. Al primo posto, come un’urgenza imprescindibile, metto la qualificazione dell’apparato tecnico dello Stato. Molti dei problemi che oggi caratterizzano il nostro sistema degli appalti pubblici e del costruire in generale va imputato alla perdita di competenze tecniche all’interno delle amministrazioni pubbliche. Queste carenze sono la causa principale della dequalificazione e di molti fenomeni critici. Il processo di delega in materia di progettazione, ma anche di gestione e di controllo ha prodotto effetti nefasti. Da un lato lo Stato ha perso ruolo e competenze, dall’altro sul fronte dei privati si è favorita una competizione esasperata che in assenza di controlli e valutazioni tecnicamente validi ha determinato una dequalificazione anche del sistema imprenditoriale, spesso anche in questo caso favorendo forme di selezione al contrario.

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tra i soggetti interessati il sistema universitario può giocare un ruolo importante. Come dicevo prima, gli strumenti ci sono, quel che bisogna fare è lavorare su una volontà al cambiamento che abbia come punti di riferimento la concretezza, il reale miglioramento di efficienza, la sostanza delle cose e non soltanto gli aspetti legali, amministrativi e procedurali. Costruire vuol dire competenze tecniche, capacità progettuali, organizzazione, gestione. Oggi invece nel nostro Paese i parametri di valutazione sono legislativi e procedurali. Siamo tutti all’interno di un’anomalia pericolosa, che invece di puntare alla qualificazione dei diversi attori e dei processi, di fatto finisce per penalizzare chi la persegue. Per interrompere questa deriva bisogna restituire al pubblico le competenze essenziali per guidare sul piano tecnico e gestionale. Le università debbono contribuire a ricreare percorsi di formazione tecnica funzionali a questa esigenza. è solo un problema di pubblica amministrazione? Certamente no. L’altro corno del problema riguarda il delta tra l’attuale sistema di formazione post diploma e le esigenze del mondo produttivo, delle imprese. Va assolutamente fatto un salto logico, passare dal valore del titolo di studio a quello delle competenze reali. I percorsi formativi debbono assicurare che dopo il triennio di base il laureato sia assolutamente in grado di svolgere un ruolo all’interno di un’azienda o di un ente pubblico, disponga cioè sia di competenze teoriche e culturali che pratiche, tecniche, gestionali ed organizzative. Ciò che oggi assolutamente non avviene. Il nostro sistema è stato pensato affinché il triennio sia un primo step rispetto al biennio successivo con il risultato che chi acquisisce la laurea triennale non è in grado di rispondere alle richieste del sistema produttivo. Egualmente, la specializzazione deve essere tale, non un completamento di un percorso standard, ma risposte mirate ad esigenze che emergono dal sistema economico e pertanto va

assolutamente gestita insieme al mondo delle imprese. è in questo ambito che va perseguito un coinvolgimento ampio e di eccellenza del management imprenditoriale e aziendale, non solo per garantire una crescita degli studenti, ma anche per facilitare un processo di osmosi con i docenti, troppo spesso chiusi nelle proprie torri dorate e troppo lontani dai problemi concreti e dall’evoluzione ormai straordinariamente rapida che caratterizza i processi gestionali e tecnologici a livello di impresa. L’Università deve svolgere un ruolo integrato, anche se ovviamente diverso, con il sistema produttivo. Ma non dovrebbe essere questa la funzione del livello successivo, dei master? Così torniamo alla prima questione. Si fa di tutto per ritardare al massimo l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. L’obiettivo deve essere accorciare i tempi non dilatarli. E poi i master sono spesso un approfondimento di tipo teorico – conoscitivo, ben poco pratico – sperimentale. A questo sembrano rispondere di più i dottorati, ma che considerati i mecanismi di riproduzione delle docenze universitarie finiscono soprattutto per offrire opportunità ai nostri migliori cervelli di trovare una collocazione prestigiosa all’estero, grazie agli incontri e agli scambi che nell’ambito dei dottorati si determinano. Io ritengo che i dottorati, ma soprattutto una capillare promozione di borse di studio potrebbero essere i momenti in cui le aziende possono usufruire di risorse umane di eccellenza da far crescere ad un costo molto contenuto, circa 20.000€ all’anno, affidando alle università il ruolo di tutor in integrazione con l’attività in azienda, costruendosi in casa il management del futuro. Del resto nel mondo anglosassone è estremamente difficile acquisire un livello dirigenziale senza aver ottenuto un PHD, ovvero un livello di formazione di eccellenza. Un’eccellenza che è soprattutto eccellenza della quotidianità, del saper gestire, dove si incrocia la cultura tecnica con quella del mercato. 29


Le Fondazioni bancarie

puntano sugli atenei veneti Intervista a Dino De Poli, Presidente della Fondazione Cassamarca e a Mario Carraro, Presidente della Fondazione Antonveneta di Giuseppe Bucca

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Dall'analisi descritta nell’articolo di apertura di questo numero emerge come oggi più che mai l’Italia per competere con gli altri paesi debba puntare su istruzione, cultura e innovazione. Esiste però nel nostro paese un problema di risorse pubbliche. Diventa a questo punto fondamentale il ruolo degli investitori privati, di chi può e vuole sostenere la ricerca. Abbiamo chiesto a due esponenti di importanti fondazioni bancarie del territorio cosa fanno per agevolare i processi di ricerca e cosa pensano del sistema dell’istruzione in Italia e in particolare nella nostra regione. Diamo la parola a Dino De Poli, Presidente della Fondazione Cassamarca e a Mario Carraro, Presidente della Fondazione Antonveneta.

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Il sistema centralistico non sembra più in grado di rispondere ai problemi delle singole università, che sono o dovrebbero essere parte integrante del territorio e del sistema produttivo delle diverse aree. Dopo la sanità, l’educazione potrebbe essere il prossimo importante banco di prova del federalismo. Oggi le fondazioni bancarie, che come le università sono espressione delle istituzioni e delle organizzazioni del territorio, hanno nei loro statuti solo l’aiuto alla ricerca, non l’investimento diretto nelle università. Sarebbe favorevole a indicare esplicitamente la mission universitaria? Con quali implicazioni per il Veneto e più in generale il Nord Est? DE POLI: «Come Fondazione Cassamarca abbiamo scelto l’istruzione come uno dei settori rilevanti della nostra attività. Per questo abbiamo sostenuto volentieri prima il Consorzio Universitario Trevigiano, in collaborazione con altri Enti, poi abbiamo lavorato per portare a Treviso alcuni corsi di laurea delle Università di Padova e Venezia. Sostenere l’insegnamento universitario significa nell’immediato cambiare il volto di una città rivitalizzando, come è stato per Treviso, una zona che fino a poco tempo fa era poco frequentata, rendendola più viva e al centro di molte attività sociali, culturali, ma anche economiche. Portare l’Università in città ha voluto dire anche aiutare nel concreto molte famiglie che non possono mandare i figli all’Università in altre città per via anche

Come Fondazione Cassamarca abbiamo scelto l’istruzione come uno dei settori rilevanti della nostra attività. Dino De Poli, Pres. Fondazione Cassamarca 32

dei costi degli affitti. Ma nel medio-lungo periodo questo è un investimento sulle nuove generazioni e sul nostro futuro». CARRARO: «Intanto dobbiamo realizzare il federalismo. Ad ogni modo, penso che le funzioni più importanti dell’università debbano essere garantite dal pubblico, dalla politica, che dispone di mezzi maggiori. La Regione può fare senza dubbio di più di una fondazione bancaria. Il pubblico, inoltre, ha il dovere di assicurare le stesse possibilità a tutti i cittadini sul territorio nazionale creando meccanismi di perequazione. Del resto non ci sono fondazioni bancarie ovunque. Né sembra ipotizzabile un sistema universitario totalmente imperniato sul privato. È la politica che deve prendersi carico della necessità di maggiori investimenti nell’università. Oggi scontiamo un grosso limite: l’incapacità di mantenere e sostenere le eccellenze. In alcuni casi per mancanza di meritocrazia, ma anche a causa della scarsezza di mezzi che spinge i ricercatori italiani ad andare all’estero per trovare strutture e condizioni di lavoro migliori». La parola magica di ogni politica per l’università è autonomia. Ma giustamente molti osservano che non può essere declinata come autonomia di spesa senza responsabilità di rendiconto e soprattutto di confronto con il mercato. Anche perché in questi termini nessun investitore sarà mai disponibile a finanziare le università. Tuttavia ci sono università


La ricetta per una buona università sono proprio specializzazione, con un’attenzione al fabbisogno del territorio, e selezione. Mario Carraro, Pres. Fondazione Antonveneta

e università, e le eccellenze del Veneto hanno già una lunga tradizione di integrazione e di scambio con il sistema produttivo. Secondo lei cosa c’è da cambiare e cosa da valorizzare e se potesse investire in un’università veneta, ne sceglierebbe una esistente o penserebbe a una nuova iniziativa? DE POLI: «L’esempio di Fondazione Cassamarca è stato quello di lavorare in collaborazione con gli Atenei già presenti nel territorio. Per questo abbiamo sottoscritto una Convenzione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia e con l’Università di Padova. Non dimentichiamo che nel Veneto ci sono anche lo IUAV a Venezia e l’Ateneo di Verona. Tutte insieme queste Università si sono sempre espresse su alti livelli in diversi settori da quello umanistico a quello scientifico e tecnologico. Le eccellenze non mancano e vanno incoraggiate e sostenute». CARRARO: «Se potessi la ripenserei ma senza rinunciare ai princìpi e ai valori che l’università italiana ha accumulato negli anni, possiamo dire, anzi, nei secoli. Ci sono comunque degli esempi molto positivi, come la facoltà di Economia di Padova, che sta raccogliendo molti primati nelle classifiche nazionali. Le ragioni dipendono dalla bravura dei docenti, molti dei quali giovani, e da un’organizzazione più snella con un numero di studenti adeguato alle dimensioni della facoltà. Il problema di molti atenei è il sovraffollamento. Un altro orgoglio italiano è la Bocconi, che è molto specializzata nei suoi insegnamenti. La ricetta per una buona uni-

versità sono proprio specializzazione, con un’attenzione al fabbisogno del territorio, e selezione». Oltre all’università ci sono i licei e gli istituti professionali che danno sbocco immediato al mondo del lavoro e per i quali l’amministrazione regionale ha già sperimentato con successo percorsi di avvicinamento e integrazione tra scuola e azienda. Che ruolo potrebbero avere le fondazioni bancarie per proseguire con maggiore intensità nell’avvicinamento tra mondo della scuola e mondo del lavoro? DE POLI: «Avere attenzione alla realtà che ci circonda valutando le necessità espresse dal territorio e dal mondo della scuola per poter coniugare al meglio ogni utile iniziativa in favore delle nuove generazioni». CARRARO: «Le fondazioni bancarie potrebbero finanziare dei progetti specifici, ammesso che questa esigenza provenga effettivamente dal territorio. Il nostro tessuto imprenditoriale fa fatica, in quanto costituito da piccole imprese prive, molto spesso, di un centro di ricerca e che tradizionalmente non assorbono laureati. Bisognerebbe costituire piuttosto dei centri di ricerca o sensibilizzare gli imprenditori alle potenzialità di una partnership con le università. Da tempo si parla poi di distretti o consorzi fra imprese, ma con scarsi esiti. La crisi che viviamo dovrebbe essere un’occasione per riconsiderare in termini nuovi il problema». 33


L'università italiana vista dall'interno: quale destino per la fabbrica del futuro? di Giorgio Soffiato

L

a fabbrica del futuro. è in questa forma che probabilmente molti vorrebbero vedere e vivere l’università italiana: una fucina di talenti pronti a divenire i manager e i tecnici di domani, in un contesto magari già ibridato negli ultimi anni di università, con scambi di competenze e momenti anche operativi oltre che formativi nell’ultimo periodo del percorso che porta al diploma di laurea. Non è interesse di chi scrive entrare nel vortice

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dei numeri o nella lotta politica e di classe tra pubblico e privato, o peggio di perdersi nel giudicare gli effetti delle varie riforme che si susseguono da qualche anno a questa parte. L’obiettivo dell’approfondimento di EST sul rapporto tra università e mondo del lavoro è quello di comprendere se la forza lavoro e la classe dirigente di domani sono oggi pronte a raccogliere l’eredità di chi ha fatto impresa in Italia e soprattutto cosa pensano stu-


denti e docenti dell’università italiana. Un articolo di Giancarlo Corò1, docente presso l’università Cà Foscari di Venezia, ben fotografa la situazione italiana in termini di rapporto tra occupazione e istruzione. Dice Corò: La crescita della disoccupazione giovanile è uno degli effetti più evidenti e drammatici dell’attuale crisi economica. Nel suo ultimo rapporto, l’Istat ha acceso i riflettori su tale fenomeno, rilevando che nel 2009 l’occupazione giovanile (fino a 29 anni) si è ridotta di 300mila unità, che corrisponde a quasi l’80% dell’intero calo occupazionale del Paese. Una prima preoccupante considerazione alla quale aggiunge un secondo dato: Dal 2008 al 2009 i giovani usciti dal sistema di istruzione e non entrati nel mercato del lavoro sono cresciuti di 142 mila unità. Questo significa che i giovani non costituiscono più la forza lavoro del paese ma che, tragicamente, sono i primi ad essere tagliati fuori. Tutto ciò innesca un circolo vizioso che scoraggia anche gli studenti più motivati sin dai primi anni delle superiori: perchè affrontare tanti anni sui libri se poi il lavoro non c’è? Le vie di uscita per i giovani a questo punto sono diventate due, opposte. La prima è quella di iniziare da subito a lavorare per battere sul tempo gli altri e costruirsi delle esperienze, un curriculum. Da qui il successo dei mini corsi di laurea e delle scuole (private) di specializzazione per tecnici, informatici, creativi che in uno, due anni assicurano competenze su misura per le nuove figure richieste dalle aziende. L’altra soluzione, per chi invece sceglie l’università, è quella di specializzarsi il più possibile attraverso i master, gli stage all’estero, i dottorati e cercare di “battere” i semplici laureati. Tutto si trasforma in una gara, una corsa contro il tempo, una competizione continua che lascia a terra ogni anno 300mila giovani sotto i 29 anni. Le cause? Prima di tutto avviene una selezione di tipo “economico”: non tutti possono permettersi di pagare un master di 4000 euro o di affrontare la spesa di

sei mesi di stage in un altro paese, così come la scuola privata per diventare un grafico pubblicitario o un infermiere specializzato. Poi, in Italia, come sottolineato anche da alcuni studenti, c’è poca meritocrazia: spesso il lavoro si trova attraverso conoscenze, raccomandazioni, i concorsi pubblici scarseggiano e i favoritismi proliferano. In questo modo nessuno è più incoraggiato a laurearsi a pieni voti, basta finire il proprio corso di studi nel più breve tempo possibile e trovare qualcuno che ti dia una mano.

Il parere dei docenti Per rintracciare segnali e opinioni è sensato indagare proprio tra le discussioni che emergono all’ombra dei contributi come quello di Corò sopra citato. Il dibattito è forte, colpisce un primo contributo di un ricercatore con esperienze anche all’estero che dice “In Italia sembra che l’unica categoria sociale a non avere il proprio sindacato di riferimento siano le nuove generazioni”, proseguono altri docenti che lamentano una situazione complessa che coinvolge non solo gli studenti che l’università offre al mercato del lavoro ma anche quelli che scelgono di rimanere all’interno degli atenei con progetti di dottorato. Le due considerazioni principali sono tanto fredde quanto pungenti: il lavoro manca e all’estero si vive meglio. Non si sta parlando, è bene ricordarlo, di un’università che non trasmette informazioni e cultura o di giovani non in grado di apprendere, la problematica è in questo momento storico legata ad un mercato non in grado di recepire e integrare nuove figure lavorative, soprattutto nel breve termine. Il paradosso è il seguente: le aziende hanno bisogno di giovani laureati e spesso sono gli “stagisti” a portare avanti gran parte del lavoro operativo ma nessuno di questi ha un futuro in azienda. La motivazione è semplice: la sostituibilità tra i giovani è elevatissima e per uno che non accetta l’ennesimo rinnovo a 500 euro al mese ci sono due neolaureati pronti ad ottenere “esperienza e visibilità” e “a provare davvero quello che succede nel mondo del lavoro” 35


Gli studenti universitari Paesi

Immatricolati ogni 100 giovani (a.a. 2004/05)

Iscritti di 22 anni (per 100 22enni) (a.a. 2004/05)

Italia Francia Germania Regno Unito Spagna Media UE (19)

56,0 39,0 36,0 51,0 43,0 53,0

30,6 29,6 24,0 17,8 30,6 29,0

Laureati sul totale in età corrispondente

41,0 26,0 19,9 39,4 32,7 34,9

Laureati in materie scientifiche* per 100 laureati

22,3 29,9 25,9 27,3 26,8 24,4

Studenti stranieri (per 100 iscritti del paese di destinazione)

2,2 10,5 11,5 17,3 2,5 3,1

* Corsi di matematica, scienze e tecnologie Fonte: OCSE

La voce degli studenti Se i docenti si dichiarano preoccupati ma indicano come via d’uscita non tanto l’aumento dello spazio in impresa quanto l’imprenditorialità dei giovani stessi (quasi a dire “diventate consulenti, non dipendenti”), gli studenti stessi sono amareggiati, delusi, arrabbiati. Stuzzicati su cinque temi hanno risposto: Serve più selezione all’entrata, non solo all’università ma anche alla scuola superiore, perché se la laurea ora la danno a cani e porci il diploma è proprio regalato a pioggia a tutti come la licenza elementare. (Giulia) Soluzioni per l’Italia? Meritocrazia, ma quella vera. (Silvia) Mi aspettavo molta più pratica e molta meno teoria come succede nelle università estere. Sceglierei di nuovo la mia facoltà magari con un ramo diverso ma cambierei la scuola superiore perché quella che ho frequentato io non mi ha dato le basi necessarie a capire le materie più importanti per il mio corso di laurea. Le facoltà tecniche sono più “in auge” rispetto a quelle umanistiche ma comunque la formazione che l’università dà non è completa neanche nelle facoltà cosiddette tecniche. Ci sono troppe aule di lezione e pochi laboratori che non vengono comunque usati con assiduità. Master e / o dottorato sono entrambe ottime soluzioni anche se il master è riservato ad una categoria di nicchia: quelli che se lo posso36

no permettere visto che costa un bel pò di soldi. Il dottorato va bene se pagassero i laureati cosa che non avviene in tutte le facoltà. In Italia si dovrebbe per l’ennesima volta riformare tutto da capo: avere molte aule laboratorio dove fare cose pratiche per il lavoro futuro. Non ha senso imparare tante nozioni a memoria se poi devono cadere nel dimenticatoio. (Margherita) Gli studenti sono quindi ben consci della situazione, sfiduciati da un futuro incerto ma anche pronti a proporre nuove soluzioni, è ormai palese che il problema non è legato alla sistemazione nel breve periodo ma probabilmente ad un futuro che molti chiedono meno incerto e più lineare. Il problema si ammorbidisce e attutisce in quelle facoltà tecniche, probabilmente più affini al campo d’indagine di EST, che si presentano però come “ultimo baluardo” della formazione italiana, inserite in un contesto in cui anche i laureati stranieri si affacciano come potenziali “competitor” per i nostri giovani ed in cui la formazione italiana deve mantenere quel giusto mix tra competenza tecnica e basi culturali che da sempre viene riconosciuto come principale driver per l’eccellenza nel pensiero strategico e creativo che i nostri giovani ancora riescono a far valere, anche a livello internazionale. La fuga di cervelli ne è la prova. Come a dire che non mancano i velocisti, probabilmente abbiamo cattive biciclette.


Quale università scegliere? Per quanto risulti ad oggi assodato che facoltà tecniche ed economiche garantiscono un’occupazione con maggiore facilità rispetto a formazioni umanistiche o creative, è probabilmente la passione ciò che deve guidare un giovane alla scelta. L’inclinazione personale deve ancora oggi essere messa sopra tutto, al momento di valutare però la propria scelta in base a parametri, per usare un termine economico, di “marketability” del proprio futuro titolo, è chiaro che non si può ignorare come alcuni percorsi formativi garantiscano miglior futuro rispetto ad altri. Non è però la sola tematica oggetto di studio a fare la differenza, ad oggi emergono argomenti come il “personal branding”, attività che impone ad ognuno di lavorare sulla propria immagine e competenza professionale, promuovendola, come se la persona fosse un marchio od un prodotto. Paragone duro, ma di certo efficace in un contesto di massima competitività. E di certo è in questo ambito che la tecnologia può aiutare di più i giovani che vogliono e devono emergere agli occhi del mercato del lavoro.

Le domande poste agli studenti: 1. Cosa ti aspetti dalla tua università o cosa ti aspettavi? 2. Sceglieresti nuovamente la stessa facoltà o ritieni la tua formazione “errata o incompleta” o non rispondente alle richieste del mercato? 3. Il problema della formazione è un problema italiano o limitato ad alcune specifiche facoltà? Le facoltà tecniche sono più “in auge” rispetto a quelle umanistiche? 4. Master e / o dottorato: vie possibili per migliorare il proprio bagaglio formativo? 5. Quali soluzioni al problema della formazione in Italia? Cosa faresti?

Opportunità e vie d’uscita La questione è complessa. Come uscirne? Da un lato c’è la necessità di aggiornare il nostro sistema educativo rendendolo più simile ai modelli esteri che funzionano, ovvero creando corsi di studio più operativi e in grado di avviare i ragazzi verso un’occupazione già dai 18-19 anni e allo stesso tempo stabilendo, per chi desidera affrontare l’università, dei percorsi più selettivi. D’altra parte tutto ciò richiede uno sforzo economico che la politica italiana, sia a livello nazionale che territoriale, non è mai stata in grado di (o non ha mai voluto?) affrontare, oggi più che mai dato il momento critico. Una soluzione per questo secondo punto potrebbe, anzi dovrebbe, essere il contributo da parte degli enti privati come le fondazioni, le associazioni di categoria o le stesse aziende che tanto lamentano una preparazione troppo distante dalle reali necessità operative. Ciò che serve, è un patto tra stato, aziende e università. Urge una riforma dei fatti, non delle parole. Giancarlo Corò nel suo articolo sopra citato indica tre vie d’uscita potenziali per migliorare questa situazione già complessa, che rischia di degenerare: l’aumento della flessibilità, gli incentivi all’entrata dei giovani nel mercato del lavoro ed il finanziamento di start up giovanili e quindi dell’imprenditorialità. Si tratta di questioni centrali, sicuramente, ma forse non sarebbero sufficienti a creare nuova occupazione: il nodo da sciogliere rimane ancora il sistema educativo italiano, da un lato troppo debole e lontano dalle esigenze del mercato del lavoro, dall’altro poco valorizzato nei suoi punti forti: la preparazione degli insegnanti e la motivazione degli studenti. In un contesto che tenga presente questi fattori l’università ne uscirebbe a testa alta e probabilmente sarebbe il Paese stesso il primo a giovare di una ritrovata sinergia tra le varie componenti della fabbrica del futuro.

1 “I giovani e il lavoro che manca” http://www.firstdraft. it/2010/06/19/i-giovani-e-il-lavoro-che-manca

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Selettività e poli di eccellenza, la ricetta per un’istruzione che funziona A confronto l’opinione di due economisti di diverso colore politico La formazione costituisce un investimento dal ritorno garantito e quindi uno strumento imprescindibile per uscire dalla difficile congiuntura. In Italia si assiste, invece, ad un progressivo abbassamento qualitativo del sistema scolastico ed universitario. Nel World University Rankings, pubblicato da The Times nel 2009, sono presenti soltanto sei atenei italiani che ricoprono posizioni assai basse. Per trovare la prima università nostrana bisogna scorrere la lista fino alla posizione 174, ricoperta da Bologna. Per cercare di individuare le ragioni che stanno alla base di questo decadimento abbiamo affrontato la questione con Marcello De Cecco, ordinario di storia della finanza e della moneta presso la Normale di Pisa nonché membro del comitato promotore del Partito Democratico, e con Giuliano Cazzola, deputato del Pdl e vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera. 38

di Marco Rambaldi


Q

ual è la strada da percorrere per restituire centralità alla formazione nella nostra società?

CAZZOLA: Bisogna innanzitutto costruire un legame saldo tra le università e il mondo del lavoro. Negli atenei gli studenti non possono limitarsi ad affrontare le questioni teoriche, ma devono saggiare le dinamiche tipiche di un mestiere. Per esempio, sarebbe utile organizzare dei corsi che formino in modo specifico quei soggetti che sono intenzionati a diventare dei docenti. è importante che ogni facoltà sia dotata di una fitta rete di stage e tirocini che consentano agli studenti di affrontare le situazioni che li attendono in ambito professionale. Credo che siano ancora troppo pochi i corsi di laurea che prevedono dei periodi formativi in azienda. Succede frequentemente che i neoassunti scontino un iniziale spaesamento sul posto di lavoro, poiché le università non forniscono loro quegli strumenti indispensabili a rendersi immediatamente operativi. Sotto questo aspetto, le maggiori realtà del mondo occidentale sono più avanti di noi. Anche in Italia bisogna capire che la formazione non può essere scissa dal lavoro. DE CECCO: Innanzitutto ritengo fondamentale evidenziare la differenza sostanziale che intercorre tra il concetto di educazione e quello di formazione. Il primo dovrebbe essere totalmente ad appannaggio della scuola e dell’università, luoghi in cui lo studente deve apprendere dei modelli teorici ed acquisire degli strumenti universali che gli consentano di ragionare in maniera versatile e mai meccanica. La formazione è invece un concetto che dovrebbe interessare esclusivamente le imprese, perché è soltanto sul posto di lavoro che si può imparare un mestiere. Purtroppo oggi si sta, invece, affermando l’idea distorta secondo cui i docenti dovrebbero formare gli studenti in funzione del lavoro. Questo è un enorme paradosso, perché le aziende ricevono fondi, sia dallo Stato che dalle istituzioni europee, per investire sulla formazione e poi

pretendono che siano invece le università ad insegnare un mestiere. L’esempio da assumere come riferimento è quello tedesco. In Germania le imprese organizzano validissimi corsi di apprendistato, senza ricevere finanziamenti statali. In Italia questo non avviene e quindi andrebbe verificato più approfonditamente in che modo le imprese utilizzano i soldi destinati alla formazione. Le università italiane sono caratterizzate da svariati problemi che stanno abbassando significativamente il livello qualitativo degli atenei. Quali sono le priorità da affrontare per arginare questa deriva? CAZZOLA: Innanzitutto è necessario che nel dibattito pubblico si affermi l’idea che il nuovo ordinamento, basato sul 3+2, ha fallito. Sicuramente l’applicazione non ha rispettato gli intenti originari della riforma, ma il risultato è che l’organizzazione didattica ha subito un’enorme frammentazione e una proliferazione di corsi di laurea privi di qualsiasi fondamento culturale. Sin dal principio si era affermata l’illusione che la laurea triennale di primo livello potesse costituire un gradino utile per affacciarsi nel mondo del lavoro. I fatti hanno invece dimostrato esattamente il contrario. A parte rarissime eccezioni, gli studenti sono sostanzialmente obbligati a conseguire anche la specialistica per nutrire qualche speranza di trovare un impiego. Il senso complessivo del 3+2 è stato quindi sostanzialmente disatteso. La formazione universitaria prodotta dal vecchio ordinamento garantiva un livello qualitativo nettamente superiore, poiché forniva una preparazione di gran lunga più solida ed omogenea. DE CECCO: Il problema principale che attanaglia gli atenei italiani è rappresentato indubbiamente dal proliferare dei corsi di studio. È necessario ridurli radicalmente, tornando ad un’organizzazione su base annuale invece che semestrale o trimestrale. 39


In secondo luogo, propongo un’autentica terapia d’urto. Non è accettabile che ci siano studenti fuori corso da svariati anni che ripetono gli esami all’infinito finché non vengono promossi. Per migliorare la qualità bisogna incrementare la selettività. Deve essere quindi fissato un limite al numero di bocciature che ogni studente può totalizzare durante il suo percorso. Una volta oltrepassata la soglia, si è fuori dall’università. Capisco che una misura così drastica penalizzerebbe chi si divide tra studio e lavoro. È per questo che propongo di rivedere integralmente il modello organizzativo, dividendo le strutture in due ambiti completamente separati. Da una parte gli studenti a tempo pieno, a cui va richiesto di laurearsi in breve tempo e di raggiungere dei parametri qualitativi assai elevati. Dall’altra gli studenti-lavoratori e i non frequentanti, plasmando la didattica in funzione dei loro ritmi. Ritiene opportuno che gli atenei si aprano ai finanziamenti dei privati? Per esempio le fondazioni bancarie possono intervenire nei progetti di ricerca, ma non direttamente negli atenei. Come giudica l’idea che esse finanzino la ricerca, diventando in cambio proprietarie degli atenei? E la proposta di abolire il valore legale delle lauree per costruire autentici poli d’eccellenza? CAZZOLA: La contrazione dei fondi pubblici destinabili alla scuola e all’università è un’amara realtà. Se lo Stato può fornire poche risorse, credo che sia naturale un intervento dei privati. E non è solo una questione finanziaria. Le università italiane sono troppo autoreferenziali, chiuse ai contributi culturali dell’esterno, ripiegate su loro stesse. Si è quindi determinato un impoverimento che ha pesato nell’abbassamento del livello qualitativo. In quest’ottica, le fondazioni bancarie potrebbero esercitare un ruolo fondamentale in quanto garantirebbero quel legame col terri-

torio che manca ai nostri atenei. Per quanto riguarda l’abolizione del valore legale della laurea, propongo una variante sul tema: interveniamo in maniera drastica sui concorsi pubblici. Essi rappresentano una vera e propria sacca di degrado, poiché non consentono una selezione su base meritocratica. Il rimedio sarebbe quindi quello di mettere in relazione la valutazione delle università con il titolo di studio nell’ambito dei concorsi. In questo modo, i candidati che provengono da università virtuose si presenterebbero con un punteggio di partenza più elevato rispetto a chi si è laureato in atenei meno validi. Bisogna infatti riconoscere che un trenta conseguito in alcune realtà equivale ad un ventisei ottenuto altrove. Questo meccanismo perverso sta distruggendo il nostro sistema universitario. DE CECCO: I soggetti privati stanno progressivamente entrando nelle università, come dimostra il punto della riforma Gelmini che permette loro di avere fino ad un 40% di rappresentanza nei consigli d’amministrazione degli atenei. Tuttavia dovrebbero pesare nei meccanismi decisionali in proporzione alla quantità di fondi che immettono nelle università. Se per esempio un privato ha il 40% dei membri in un cda, deve corrispondere il 40% del flusso finanziario totale destinato a quell’ateneo. In una simile ottica, l’ipotesi di un intervento delle fondazioni bancarie sarebbe assolutamente auspicabile. Per quanto riguarda l’abolizione del valore legale delle lauree, ritengo che non siamo ancora pronti. Quando potremo garantire l’esistenza di poli con una qualità realmente superiore alla media, allora sarà un’ipotesi plausibile. Porto un esempio. Bisogna che soltanto poche università ospitino i corsi di laurea specialistica e che l’accesso ad esse sia regolato da test d’ingresso ad altissima difficoltà. I corsi di laurea biennale devono essere presenti in pochi atenei, molto attrezzati e con un numero esiguo di studenti. Questa è la priorità per iniziare a creare veri poli d’eccellenza.


Gioventù sprecata L’

A colloquio con gli autori del libro che fotografa la situazione attuale della “generazione mille euro” di Gennaro Barbieri

11 ottobre 2007 l’allora ministro dell’Economia, Tommaso Padoa Schioppa, utilizzò il termine “bamboccioni” per definire quei giovani che allungano notevolmente la propria permanenza a casa con i genitori. Si scatenò immediatamente un acceso dibattito, caratterizzato da due tendenze interpretative nella lettura del fenomeno. Alcuni individuarono delle ragioni di carattere culturale e psicologico: i ragazzi italiani faticano ad elaborare il distacco dal nucleo familiare e sono poco propensi a costruire percorsi autonomi. Altri riscontrarono delle cause di tipo prettamente socio-culturale: le massicce difficoltà che attanagliano il mondo del lavoro e la progressiva diminuzione dei contratti a tempo indeterminato privano le nuove generazioni della possibilità di definire il proprio futuro. è partendo da questi spunti di riflessione che Marco Iezzi e Tonia Mastrobuoni hanno scritto “Gioventù sprecata”, un pamphlet che analizza l’universo dei giovani scandagliando ogni aspetto della loro vita. «Le parole di Padoa-Schioppa hanno rappresentato la scintilla per l’inizio di questo lavoro. Ci è sembrata una definizione poco calzante e quindi abbiamo iniziato ad approfondire la questione» spiega Iezzi, economista e direttore della rivista “Giustizia insieme”. «Le categorie del familismo morale all’italiana non sono sufficienti per spiegare le complesse dinamiche in atto tra le nuove generazioni. Ci sono infatti molteplici aspetti socio-economici che rappresentano una chiave di lettura imprescindibile» è l’osservazione di Tonia Mastrobuoni, giornalista parlamentare de “Il Riformista”. 41


La scuola, l’università, i contratti di lavoro, l’operato delle banche, le politiche abitative, il sistema previdenziale e la condizione femminile costituiscono degli autentici nervi scoperti per i ventenni ed i trentenni di oggi: il libro utilizza un ampio ventaglio di dati per focalizzare i motivi strutturali che stanno producendo una vera paralisi sociale. I problemi iniziano sin dal principio, dalla formazione scolastica. Secondo i rilevamenti dell’Ocse, il 22,5% dei quindicenni italiani non raggiunge un livello di preparazione sufficiente nel caso delle scienze, il 28,7% in matematica e il 26,2% in lettura e comprensione dei testi. «Le riforme della scuola non possono essere dettate dalle esigenze di risparmio e di diminuzione del debito pubblico statale. I nostri istituti necessitano di maggiori risorse, che vanno però razionalizzate evitando di alimentare le sacche di inefficienza» spiega Mastrobuoni. In effetti la scuola italiana vive una sorta di paradosso. Sempre in base agli studi dell’Ocse, gli stipendi dei nostri insegnanti si collocano al terzultimo posto tra i paesi industrializzati, ma le retribuzioni di

In base agli studi dell’Ocse, gli stipendi dei nostri insegnanti si collocano al terzultimo posto tra i paesi industrializzati, ma le retribuzioni di tutto il personale scolastico assorbono comunque il 97% dei fondi destinati all’istruzione

tutto il personale scolastico assorbono comunque il 97% dei fondi destinati all’istruzione. «Per invertire una simile tendenza, la soluzione sarebbe quella di diminuire il numero delle cattedre, aumentando il compenso dei professori. In questo modo avremmo meno docenti e un più elevato tasso qualitativo» propone Iezzi. Anche lo stato di salute dei nostri atenei appare piuttosto malandato. Sembra definitivamente tramontata l’era dell’università di massa, con un ritorno ad una formazione accademica appannaggio soprattutto degli strati sociali benestanti. Durante il 2006-2007, secondo i dati del Cnvsu, dei circa 308.000 immatricolati nelle università statali, hanno proseguito gli studi 230.000 studenti, con una percentuale di abbandono pari al 18,5%. In Gran Bretagna si arriva all’8,6%, in Olanda al 7% e in Francia al 6%. Inoltre è in corso un decremento progressivo del numero di iscritti all’università: -1,8% nel 2004-2005, -2,3% nel 2005/2006 e -5% nel 2006/2007. «Il sistema nel suo complesso mostra una chiara connotazione elitaria.


L’Italia è uno dei paesi che investe di meno in ricerca, addirittura sotto realtà come Corea del Sud, Islanda e Taiwan Infatti soltanto chi proviene da una famiglia agiata può permettersi di lavorare gratuitamente o sottopagato come ricercatore: di conseguenza questo tipo di scelta è ormai animata esclusivamente dalla vocazione» osserva Tonia Mastrobuoni. Nel frattempo però proliferano i corsi di studio con pochi iscritti (il 10,1% presenta meno di dieci immatricolati) e s’impenna il numero delle cattedre, con un incremento dei professori ordinari che tra il 2000 e il 2008 è stato del 32,6%. «Ormai nei nostri atenei si è radicato un senso di scoramento diffuso, poiché gli studenti sono sempre più convinti che l’università non fornisca alcuna garanzia a livello di sbocchi lavorativi. è sempre più evidente che le risorse disponibili vengono utilizzate per sostenere un sistema baronale e pieno di nepotismo invece che sulla qualità degli studi e della ricerca» aggiunge Marco Iezzi. In questo senso, le cifre fornite dall’Ocse sono ancora una volta eloquenti: l’Italia è uno dei paesi che investe di meno in ricerca, addirittura sotto realtà come Corea del Sud, Islanda e Taiwan. Il mondo del lavoro è diventato una vera e propria giungla per le nuove generazioni, a causa di magri compensi e di un’eterna precarietà. Come fotografato dai dati Istat, oggi un lavora-

tore flessibile sotto i 30 anni guadagna un terzo in meno dei colleghi più anziani e un quarto in meno rispetto a chi ha un contratto stabile. Inoltre il 56,7% di coloro che lavorano con un contratto atipico ha tra i 15 e i 34 anni, mentre un altro 28,2% dei lavoratori di quella fascia d’età ha un lavoro part time. In pratica, quasi l’85% degli under 35 percepisce mediamente 1.000 euro al mese. Secondo Iezzi, per contrastare la proliferazione degli atipici «bisognerebbe concedere ingenti sgravi fiscali alle aziende che assumono a tempo indeterminato. Ormai si è affermato un abuso sconcertante dei contratti a tempo, che inizialmente erano stati concepiti soltanto per le imprese che necessitavano di lavoratori stagionali». Un’altra soluzione potrebbe essere quella «di affidarsi ad un contratto unico che inquadri tutte le categorie di lavoratori, secondo il modello indicato da Tito Boeri e da Pietro Garibaldi. Anche gli autonomi, che troppo spesso sono dei parasubordinati mascherati, dovrebbero essere inseriti in questo schema» è la ricetta proposta da Tonia Mastrobuoni. Queste criticità di carattere lavorativo impediscono ai giovani di acquistare un’abitazione su cui organizzare il proprio futuro, rendendoli sempre più dipendenti dalle famiglie. Il Censis ha rilevato che soltanto il 35,2% delle persone tra i 26 e i 35 anni ha una casa di proprietà e molto spesso si tratta di appartamenti ereditati dai genitori. Chi ha un contratto a termine e si reca in banca per accendere un mutuo, si trova preventivi che si attestano sui 1.700 euro mensili. Una cifra evidentemente fuori portata per la generazione dei “mille euro”. In un quadro simile è difficile nutrire aspettative ottimistiche per un’inversione di rotta. Marco Iezzi e Tonia Mastrobuoni ne sono consapevoli, come dimostra una frase del loro libro che sintetizza con efficacia la situazione attuale. «I giovani possono contribuire enormemente a rimettere in moto il sistema Italia. Ma ci vuole il contributo di imprese disposte a investire su di loro, di un sistema finanziario più propenso a rischiare, a credere nelle loro iniziative, di sindacati meno tesi alla difesa corporativa degli iscritti più anziani, di una politica finalmente con l’orecchio teso verso i giovani. Al momento, un’utopia». 43


Massim Torre iliana t’Er di San asmo

Federalismo demaniale Nuove possibilità per lo sviluppo del territorio

di Gennaro Barbieri

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iumi, laghi, coste e miniere, ma anche caserme in disuso, musei e persino storici mercati. Si tratta dei beni che, con l’attuazione del federalismo demaniale, lo Stato cederà agli enti territoriali. Il trasferimento avverrà a titolo non oneroso e perseguirà come scopo primario la valorizzazione di beni che, secondo le stime della Ragioneria generale dello Stato, dovrebbero rendere 3,2 miliardi di euro all’anno mentre sino a questo momento hanno fruttato soltanto 189 milioni. Per esempio il demanio marittimo procura 97 milioni, cioè 190 euro per ogni 100 metri di spiaggia, le miniere 347mila euro all’anno e dai canoni di concessione per l’utilizzo delle acque pubbliche si ottengono 2,7 milioni. Le potenzialità di numerosi immobili e di strutture naturali sono state quindi sfruttate soltanto parzialmente. Per esempio, nel caso delle spiagge, i governi locali hanno la competenza legislativa sul turismo ma i canoni demaniali vengono riscossi dallo Stato.

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Di conseguenza è emerso un autentico corto circuito rispetto alla gestione delle competenze ed è diventata sempre più impellente l’esigenza di modificare lo status quo. Un primo passo per un radicale cambiamento nella gestione del demanio è stato compiuto lo scorso 20 maggio, quando la Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale e la Commissione Bilancio della Camera e del Senato hanno espresso parere favorevole sul primo provvedimento di attuazione della legge delega n.42 del 2009, costituito dallo schema di decreto concernente il federalismo demaniale. In base ad esso, i beni che gli enti ricevono dallo Stato devono essere gestiti nell’interesse della collettività e secondo il principio della “massima valorizzazione funzionale”. La ripartizione dei patrimoni coinvolgerà 8.101 comuni, 107 province, 15 aree metropolitane (10 previste dal Parlamento e 5 dalle regioni a Statuto speciale) e 20 regioni. Una volta ottenuto il bene, se l’ente


deciderà di venderlo dovrà utilizzare il 75% del ricavato per ridurre il suo debito (in caso di attivo dovrà reinvestire), mentre il restante 25% sarà utilizzato per il debito statale. Il 27 luglio l’Agenzia del Demanio ha iniziato a compilare gli elenchi dei beni che potranno essere trasferiti agli enti locali. Sono presenti circa 12.000 voci per un valore inventariale di 3,6 miliardi di euro. Una cifra che è però destinata a crescere, in quanto ancora non sono stati inseriti i beni di Roma e delle regioni a Statuto Speciale che, come previsto dalla legge delega, necessitano di accordi ad hoc. Nella lista non sono inoltre inclusi né i beni storico-artistici, poiché andranno valorizzati con il coinvolgimento del ministero dei Beni culturali, né i parchi sui quali la competenza è stata assegnata al ministero per l’Ambiente. L’elenco sarà comunque aggiornato ogni 15 giorni sino al 22 dicembre, quando la lista definitiva verrà inserita nei decreti della Presidenza del Consiglio, emanati a fine anno. Da quel momento comuni, province e regioni potranno richiedere entro 60 giorni un bene con l’obiettivo di valorizzarlo oppure di venderlo. Poiché il valore dei beni è soltanto inventariale, a dicembre andrà adeguato secondo nuovi parametri di mercato. C’è tuttavia ancora un passaggio delicato che necessita di chiarezza. Si tratta del metodo secondo cui i beni dovranno essere trasferiti. A riguardo sono due i possibili criteri. Un’opzione prevede un’iniziale cessione del demanio alle Regioni che poi stabilirebbero cosa assegnare alle loro province e comuni. Un’altra possibilità, di tipo municipalista, implica che il primo trasferimento sia rivolto ai comuni. Il nodo non è stato ancora sciolto, ma nel frattempo i comuni si stanno organizzando per affrontare le sfide che scaturiranno dall’applicazione del federalismo demaniale. Il 29 luglio, infatti, l’Ance ha proposto il varo di un Fondo immobiliare che consenta ai comuni “di valorizzare il proprio patrimonio mediante lo strumento di un fondo d’investimento”. Secondo l’Ance il problema principale deriva dal fatto che ai comuni potrebbe arrivare una grossa quantità di beni da valorizzare, la cui gestione sarebbe però resa assai complessa soprattutto

dagli imponenti costi di manutenzione e della vetustà di molte strutture. Da qui nasce l’idea di creare un sistema integrato di fondi immobiliari su scala nazionale, costituito da una serie di fondi territoriali. “Il fondo nazionale, partecipato da investitori e soggetti istituzionali (come la Cassa Depositi e Prestiti), si troverebbe di fronte – ha spiegato l’Ance – a due opzioni: da un lato potrebbe sottoscrivere parte delle quote dei fondi territoriali, in modo da dotare il fondo territoriale di liquidità utili alle operazioni di valorizzazione; dall’altro acquistare le stesse quote dai comuni, che le avrebbero ricevute a fronte dell’apporto del proprio patrimonio immobiliare nei fondi territoriali”. Per quanto riguarda la situazione del Veneto, gli ultimi riscontri della Corte dei Conti indicano che i beni trasferibili alla regione sono 1.798, per un valore di quasi 186 milioni in fabbricati e di oltre 178 milioni in terreni, per un totale di 364.606.000 euro. Tuttavia i comuni veneti che saranno coinvolti nel trasferimento demaniale sono soltanto 73 sui 580 totali. A metà luglio il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, con il supporto dell’assessorato al Patrimonio, ha stilato una lista di beni trasferibili al suo comune così da fornire una base di partenza all’Agenzia del Demanio. Nell’elenco ci sono le Tese della Novissima e quelle di San Cristoforo, che nei piani comunali dovrebbero diventare uno spazio incentrato sull’arte contemporanea e gestito dalla Fondazione Musei Civici. Presenti anche l’ex monastero di Sant’Anna, destinato poi a svolgere funzioni abitative, la Torre Massimiliana di Sant’Erasmo, l’isola del Lazzaretto Nuovo, la cinquecentesca ex Caserma Pepe situata sul Lido e l’isola di Sant’Andrea. Discorso diverso, invece, per l’Arsenale. La struttura non sarà inserita nella lista dei beni nazionali cedibili agli enti per la sua valenza storica e architettonica, ma anche perché è attualmente ad appannaggio del ministero della Difesa che ha istituito un’apposita società per valorizzarne tutte le componenti. In ogni caso per avere un’idea definitiva dei beni trasferibili bisognerà necessariamente attendere il mese di dicembre, quando l’Agenzia del Demanio avrà terminato di aggiornare l’elenco. 45


L'importanza della luce

di Mimosa Martini

Parco pubblico a San DonĂ di Piave

Cino Zucchi Architetti con Gueltrini e Stignani Associati

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o studio Zucchi, capitanato da Cino Zucchi, è all’attivo già da diversi anni. Il gruppo ha progettato e realizzato nel tempo molti edifici pubblici, residenziali e commerciali, spazi pubblici, piani urbanistici e progetti per il ridisegno di aree agricole, industriali o storiche; ha partecipato a numerosi concorsi a inviti nazionali e internazionali ed è attivo nel campo del disegno di interni e dell'allestimento. I lavori dello studio sono stati più volte esposti in mostre e pubblicati in riviste italiane e internazionali. Il parco ideato dallo studio Zucchi per la città di San Donà di Piave stupisce per la particolare attenzione data all’uso della luce, sia quella naturale che quella artificiale. Il progetto prevede infatti una cura del dettaglio dell’illuminazione in modo tale che, ad ogni ora del giorno e della notte vengano messi in risalto alcuni punti rispetto ad altri nel rispetto delle diverse stagioni

dell’anno. Il riflesso del sole ottenuto dalla pavimentazione bianca si trasforma nelle diverse ore della giornata e nelle diverse stagioni in tonalità di ombre colorate, amplificando la percezione dei cambiamenti metereologici come un grande orologio solare, unendo la dimensione naturale alla quotidianità della vita di quartiere. L’illuminazione notturna amplifica il carattere delle diverse aree: una serie di sottili lampioni segue la dolce curva dei percorsi, alcuni punti luce nel terreno esagerano la rugosità della pavimentazione, e la luce alta dell’area giochi segnala il parco dal perimetro della strada. In questo modo Il parco assume perfettamente il ruolo per cui è stato ideato: a tutte le ore un luogo ospitale per lettori rilassati, ragazzi in mountain bike, giovani skaters e signore che chiacchierano. L’insieme del progetto vuole rappresentare un luogo rilassante, senza barriere e il più possibile

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San DonĂ Piave, parco pubblico


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immerso nel verde, rispettando i ruoli dei diversi spazi alleggerendoli e circondandoli di arbusti e fiori. La forma del lotto, circondato da case di due-quattro piani, è stata ridisegnata aprendola verso sud sulla strada principale. Accanto all’accesso il parcheggio previsto è stato ruotato di 90 gradi ed ha assunto la forma di un fagiolo pavimentato con asfalto colorato e nascosto da una duna di terra. Una superficie di ciottoli di fiume gettati in un impasto di cemento bianco unifica il percorso pedonale, deformandosi nella sua larghezza, nella sua forma e nei suoi livelli per trasformarsi in una seduta, in un auditorium, in una fontana, in un punto d’incontro per giovani, in una pista ciclabile e in un’area picnic. Uno steccato in legno avvolge con una spirale e protegge un parco giochi per bambini illuminato da un alto lampione assomigliante a un germoglio; la fontana è concepita come una serie di zampilli che scendono in un ruscello meandriforme lungo la pendenza del terreno. L’acqua è raccolta a quota pavimento in un tranquillo

specchio d’acqua a mezzaluna. Il bianco è il colore che, con il verde della vegetazione, predomina su tutti creando una piacevole oasi di pace anche nelle calde ore delle giornate estive, contribuendo inoltre a creare giochi di luce con il sole di giorno e con la luna e i lampioni di notte. Alberi, elementi di illuminazione e panchine in pietra bianca trafitte dai tronchi degli alberi contribuiscono a definire lo spazio e a creare microclimi differenti nelle diverse stagioni. A sud della fontana una serie di un gruppo di alberi scherma alcune panchine, offrendo un fresco riparo; una panca in cemento si flette attorno a una quercia diventando una sede informale per una chiacchierata o un pic-nic. I movimenti di terra che bordano il parco verso ovest e verso nord costituiscono una sorta di racconto continuo che determina il senso di protezione del grande prato e lo scherma a nord dal rumore del traffico pur senza appesantirlo. Un’isola serena e lussureggiante per una cittadina a misura d’uomo che cercava il suo polmone verde.

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Il parco “atmosferico” Intervista a Cino Zucchi di Zucchi Architetti

I

l vostro studio si occupa molto di spazi aperti, parchi, luoghi pubblici di incontro e aggregazione. Come nasce la predilezione per questo tipo di progetti? Un architetto non sceglie in genere i progetti che è chiamato a fare. Ma il tema dello spazio aperto è oggi cruciale; in una città diffusa sempre più fatta di oggetti separati, specializzati e autosufficienti, lo spazio aperto si comporta come il “legante” che li tiene insieme. Se le strategie, le tecniche e i materiali che costruiscono il progetto degli spazi aperti hanno una loro specificità, il loro fine è quello di trovare nuove forme di spazio condiviso in una città-territorio sempre più povera di luoghi di socialità. Il progetto per il parco di San Donà punta molto sulle aree comuni. Quali sono le caratteristiche di questi spazi e come si conciliano con l’area in cui sorge il parco? L’intorno del parco di San Donà è costituito da un intervento residenziale di media densità che potrebbe stare in qualsiasi luogo dell’Italia di oggi, costituito dai tipi edilizi ormai stabilizzati dal “mercato”. Il tentativo è quello di trovare in questo spazio uniforme una serie di condizioni specifiche

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che possano essere amplificate dal progetto e diventare la base per creare un “luogo”: un percorso, un luogo in cui sedersi, un angolo ombreggiato, un grande prato.

Quali materiali avete utilizzato e come avete pensato di organizzare gli spazi verdi? Invece di rispondere in maniera specifica a una


PROGETTO Giardino pubblico San Donà di Piave Cino Zucchi Architetti con Gueltrini e Stignani Associati ANNO 2004-2007 committente Consorzio Borgo Vecchio superficie 20.000 mq Credits Cino Zucchi Architetti, Cino Zucchi, Pietro Bagnoli con Francesco Cazzola, Filippo Facchinetto Modello Filippo Carcano Consulenza paesaggistica Gueltrini e Stignani Associati Paolo Gueltrini e Antonio Stignani COORDINAMENTO Proteco Srl

serie di bisogni con oggetti “specializzati” di arredo urbano, abbiamo pensato di tenere insieme le cose attraverso un gesto unico, un grande “fiore” di ciottoli bianchi che connette le parti tra loro diventando di volta in volta percorso, panca, fontana, auditorium all’aperto, protezione acustica. Questo nastro bianco abbraccia poi un grande prato centrale ed è schermato da una serie di essenze arboree di diverso tipo. La luce, sia quella naturale che quella artificiale conta molto nella definizione di questo vostro progetto. Come avete pensato di sfruttarla? La forma continua del nastro bianco, il carattere scabro della sua superficie e la geometria complessa delle sue superfici sono estremamente reattivi alle ore e alle stagioni, amplificando come una grande meridiana il corso del sole e cambiando tonalità all’alba e al tramonto, quando la luce artificiale crea una sorta di “glissando” al scemare di quella naturale. Come ci mostrano i magnifici quadri di Claude Monet della cattedrale di Rouen alle varie ore del giorno, l’architettura può rimanere acromatica perché è il ciclo del giorno e della notte a colorarla. Si potrebbe dire che il progetto per il parco di S. Donà sia animato da un atteggiamento “at-

mosferico”, dove le figure degli oggetti cercano di sparire a favore di un tentativo di creare “ambienti”. I corpi illuminanti e la loro curva fotometrica sono stati scelti in quest’ottica, per sparire come figure fisiche per riapparire come eventi luminosi. La riqualificazione urbana è un altro tema a voi molto caro. Ritenete che in Veneto ci sia attenzione verso questo tipo di approccio? Il Veneto è un luogo complesso, dove le testimonianze estese di una storia secolare - i portici di un centro antico, gli argini piantumati di un canale, una villa del Palladio - convivono in maniera talvolta surreale con il paesaggio di villette, fabbriche, rotonde autostradali, centri commerciali creati dallo sviluppo economico degli ultimi decenni e dagli stili di vita ad esso collegati. Fare convivere insieme questi due mondi è lo scopo principale del progetto urbano contemporaneo. Esso abbisogna di grande sensibilità interpretativa, di una cultura stratificata come il territorio in cui viviamo, e di una continua ridiscussione degli strumenti operativi del progetto. Per noi progettisti non è certo la strada più economica, ma è l’unica che può conservare quel che rimane del “Bel Paese” che tutto il mondo ci invidia, e che costituisce oggi il nostro principale patrimonio collettivo. 53


Le Mura Cosa succede all’estero? Esperienze di federalismo straniero: Catalogna e Baviera

Perchè gli americani dell’Ohio investono in Baviera

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ello stato dell’Ohio esiste da tempo un sistema di incentivazione noto con il nome di Terza Frontiera, che finanzia in varie modalità iniziative industriali nel settore high-tech. Imprenditori e soprattutto consulenti d’impresa dello stato, avendo già dimestichezza con questo tipo di aiuti, da qualche tempo si sono messi a caccia di incentivi governativi simili, però in Europa. E in Baviera hanno trovato qualcosa di molto simile, anzi forse un po’ meglio, di quello che hanno a casa. Il primo affare bavarese lo ha fatto la RPM Building Solutions Group Inc., un produttore di

di Virgilio Chelli

Barça perde la battaglia della lingua a Madrid ma anche a Hollywood! di V. C.

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osse successo un mese prima o un mese dopo, è probabile che domenica 11 luglio nelle piazze di Barcellona al posto del milione di tifosi impazziti per la vittoria al mondiale ben altri cortei avrebbero sfilato. Un paio di giorni

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prima infatti la Corte Costituzionale spagnola si era finalmente espressa sul nuovo contestato statuto della Catalogna, con una bocciatura. La retorica dell’unità della Spagna nel segno del pallone, tra l’altro con la squadra campione del mondo che era praticamente una fotocopia del Barcellona, ha fatto passare sotto quasi silenzio la sentenza e le manifestazioni di protesta che pure ci sono state nella capitale catalana sono finite dopo poche ore sommerse dalle immagini che arrivavano dal Sudafrica.La Corte spagnola, che doveva esprimersi su un ricorso presentato contro il nuovo statuto catalano dal Partito Popolare, in particolare aveva dichiarato illegittime sopratutto due punti: la definizione di Catalogna come “nazione” e la formalizzazione che il catalano ha la precedenza


incentivi governativi in Europa. Un'altra società di consulenza di Cleveland, la Silverlode Consulting Corp, ha invece preferito formare una partnership con PM & Partner Marketing Consulting GmbH di Francoforte: obiettivo, trovare finanziamenti o altre agevolazioni pubbliche per clienti americani. Ma in Europa c’è solo la Germania che attrae alta tecnologia made in USA? No, c’è anche la Svizzera: nel 2008 la Parker Hannifin Corp, sempre Ohio, ha ottenuto incentivi fiscali dal cantone di Vaud per la realizzazione del nuovo quartier generale europeo a Etoy sul lago di Ginevra.

rispetto allo spagnolo come lingua. Quest’ultima parte della sentenza è destinata ovviamente a restare totalmente disattesa in una regione dove si parla praticamente solo catalano. Ma proprio sul tema della lingua il governo della Catalogna deve incassare in questi giorni un’altra sconfitta, questa volta nientemeno che da Hollywood! Nella recente legge sul cinema approvata dal parlamento di Barcellona infatti si

stabilisce che per essere distribuiti in Catalogna I film debbano essere doppiati o sottotolati in catalano e non più in spagnolo come avveniva finora. Una legge che corregge una “ineguaglianza linguistica” ha spiegato il ministro della cultura della Catalogna Joan Manuel Tresserras.Purtroppo la Motion Picture Association di Hollywod, da cui vengono la gran parte dei film distribuiti in Spagna come nel resto del mondo, non ne vuole sapere, non perché preferisca il castigliano ma per ragioni molto americane che si contano in dollari. Vale a dire, quanto costa doppiare due volte I film destinati al mercato Spagnolo? A conti fatti 3,6 milioni di dollari in più per la produzione di un anno. Decisamente troppo, anche perché sarebbe un investimento senza ritorno, cioè un puro costo. La sottotitolatura verrebbe molto meno, ma anche molta meno gente andrebbe a vedere i film. Allo stesso modo la pensa l’associazione spagnola dei distributori, Fedicine, che rappresenta il 90% del mercato spagnolo e dice che la legge avrebbe l’unico effetto di mandare meno gente al cinema e distruggere posti di lavoro. Creando un precedente pericoloso: cosa rispondere ai Baschi se i Catalani dovessero spuntarla?

LE MURA

vernici e rivestimenti per il settore delle costruzioni, che ha ottenuto dal governo di Monaco un significativo contributo in denaro per l’aumento della capacità produttiva di un impianto già attivo nel Land tedesco, uno dei cinque già operativi in Europa (il secondo è in Germania, gli altri tre sono rispettivamente in Inghilterra, Francia e Olanda). La somiglianza degli incentivi trovati in Baviera con la Terza Frontiera dell’Ohio ha convinto il gruppo di consulenza di Cleveland LNE Group ad aprire un ufficio a Berlino. Un cliente c’è già, si chiama Ferro Corp, produce materiali speciali e prodotti chimici e cerca

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Insieme è meglio

di Giulia De Rita

Aggregazione d’impresa per emergere nel nuovo mercato al di là della crisi

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l cuore dello sviluppo economico del Veneto è rappresentato dalla piccola impresa, che si trova oggi ad affrontare la grande prova messa in campo dalla crisi che ha colpito l’intero paese. Come uscirne? Dove trovare gli strumenti adatti ad affrontare un mercato ostile? Dove trovare le risorse necessarie a ridare vitalità al sistema imprenditoriale? Una soluzione su tutte: aggregarsi ed unire le proprie forze in vista di un progetto di più ampio respiro e larghe vedute. Ne è convinto Diego Caron - Presidente del Comitato Piccola Impresa di Confindustria Vicenza - che sostiene che “per poter superare questa crisi non possiamo agire da soli, servono le aggregazioni lungo la filiera o come ponte tra settori affini, e serve un sistema paese che ci supporti. Non basta più lo sforzo del singolo imprenditore: per fare innovazione, per aggredire mercati lontani, per raggiungere dimensioni che garantiscono la massima efficienza, occorre aumentare l’integrazione tra le nostre imprese. In uno slogan: meno competizione tra noi e più collaborazione”. Questo è vero in particolar modo in Veneto, una regione che – secondo i dati della Fondazione NordEst – raccoglie l’11% delle imprese manifatturiere di tutta Italia e il 18% delle medie imprese nazionali: è veneta un’impresa manifatturiera su dieci e lo è una media impresa su cinque. E sono proprio le piccole imprese, che operano in maniera decisa e importante su tutto il territorio, ad avere una grande responsabilità nel mantenere un tessuto economico importante e un livello occupazionale elevato all’interno del mercato veneto. Un obiettivo raggiungibile oggi solo attraverso le aggregazioni ed un grande gioco di squadra: unico modo per crescere e competere in un mondo altamente difficile. Quello che il “nuovo” mercato richiede alle imprese è un passaggio culturale, un salto evolutivo; si tratta di acquisire una mentalità nuova, più aperta ed elastica, che consenta di affrontare le sfide e i

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cambiamenti imposti dalla crisi che stiamo vivendo. Siamo infatti in un momento di transizione, in cui i mercati stanno cambiando e stanno diventando sempre più globali e differenziati. Le imprese sono dunque chiamate a rispondere a questo cambiamento, modificando il proprio sistema di offerta e di produzione, e di conseguenza la propria organizzazione interna. Per uscire dalla crisi bisogna aprirsi all’estero, puntare sui mercati emergenti, che sono più avanzati dei nostri e presentano esigenze diverse in termini di differenziazione di stili di vita, di culture, di canali distributivi e aree geografiche. Le imprese devono diventare competitive sui costi e differenziare i prodotti rendendoli compatibili con i mercati sui quali si affacciano, ma soprattutto generare prodotti innovativi dal punto di vista tecnologico e con soluzioni sempre più differenziate. Questo però è particolarmente difficile per un’impresa che viene da un proprio percorso storico basato su tecnologie consolidate, e che deve necessariamente andare a cercare know how innovativi che possano arricchire il proprio. Per far questo, la singola azienda non può operare da sola, ma deve entrare a far parte di nuove reti, di business network che le consentano di investire strettamente in ciò che le serve, specializzando e mettendo a valore quello che è il suo punto di forza all’interno della rete stessa. Tante aziende ancora non hanno la capacità di inserirsi in queste reti e gestirle. è necessario, per questo, aumentare le proprie capacità di dialogo, avere nel proprio staff persone dedicate esclusivamente a queste relazioni; servono quindi vere e proprie riconfigurazioni complessive dei sistemi di produzione, che devono organizzarsi in un modo nuovo. A spiegarlo è il professor Andrea Lionzo, della facoltà di Economia Aziendale dell’Università di Verona, che nell’illustrare i risultati di una ricerca fatta dal Comitato Piccola Industria di Confindustria Vicenza


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• Perdere la convinzione che da soli si fa meglio che insieme agli altri • Non restare fermi, aprirsi e sviluppare capacità relazionali, intessendo relazioni con gli altri imprenditori • Essere in grado di fare e condividere un business plan, sviluppando chiaramente il progetto di sviluppo che si vuole porre in essere. “Oggi - spiega il professor Lionzo - per sopravvivere occorre raggiungere dimensioni diverse, non solo in termini di investimenti, di produzione, di dipendenti o di fatturato: crescere significa oggi andarsi a prendere le competenze, le risorse, il know how che serve per costruire qualcosa che vale nelle filiere, nelle reti, nei business network che si vanno formando”. Le aggregazioni consentono di mettere in piedi questo processo, permettendo alle imprese di mettere in rete una parte della produzione che si vuole condividere, mantenendo però ampia libertà su tutti gli altri fronti. “Le aggregazioni - come afferma con convinzione Diego Caron - non devono essere considerate delle camicie di forza, ma degli abiti sartoriali che vanno scelti a seconda delle proprie esigenze e propensioni”. Il nostro laboratorio interno, esegue anche analisi e campionature per la fornitura ad hoc secondo le vostre esigenze. La qualità costante dei materiali, tutti provenienti da cave di nostra proprietà, sono una garanzia per la buona riuscita dei vostri lavori. Da oltre 60 anni lavoriamo nei nostri stabilimenti, sabbia, ghiaie e basalto per la produzione di aggregati per costruzioni e conglomerati bituminosi a caldo e a freddo per pavimentazioni stradali, con una gamma completa di prodotti di base, drenanti, fonoassorbenti e modificati.

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in collaborazione con Risorse in Crescita, ha mostrato come il 49% delle aziende campione a cui è stato sottoposto un questionario sulle aggregazioni, è molto interessato a farle ma non le ha ancora realmente messe in piedi. Probabilmente per quella difficoltà di compiere un salto culturale ancora non molto facile per il tessuto imprenditoriale nostrano.Sono però il 37%, e quindi un numero importante, le imprese, su un campione rappresentativo del quadro economico settoriale e dimensionale della provincia di Vicenza, che hanno avviato processi aggregativi, mosse da motivazioni principalmente legate alla condivisione di risorse commerciali e delle reti di vendita, quindi con l’obiettivo di unirsi agli altri per competere in mercati stranieri, entrare in nuovi paesi e condividere risorse produttive. Dalla ricerca emerge anche che i principali ostacoli emersi nell’affrontare questo nuovo modello strategico sono legati alla preoccupazione di perdere autonomia rispetto alla rete di cui si entra a far parte e alla difficoltà a dar fiducia “all’esterno”. Tre sono dunque le basi da cui partire per fare il salto:


L’Asia conquista il mercato delle costruzioni di Franco Meazza

I risultati dello studio sul mercato mondiale commissionato da Federcostruzioni insieme al MADE e realizzato dal CRESME

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o stato di salute dell’ industria globale delle costruzioni a due anni dalla deflagrazione dei mutui subprime americani è il disegno di un mappamondo con molte aree verdi, che segnalano una ripresa sostenuta dell’attività, qualche sfumatura più pallida ma sempre indicativa di recupero in Europa (Germania soprattutto) e qualche chiazza rosso cupo. Tra queste purtroppo c’è l’Italia. è la fotografia che emerge da uno studio sul mercato mondiale commissionato da Federcostruzioni insieme al MADE da cui emerge, come ha sottolineato il presidente della rappresentanza dei costruttori Paolo Buzzetti, che i Paesi che hanno puntato su una consistente politica di incentivi alle costruzioni guideranno la ripresa, mentre chi ha esitato o ha scelto altre priorità è destinato a restare indietro e a prolungare l’agonia della crisi. Tra i secondi, è lo sconfortato commento di Buzzetti, cioè quelli che rimanderanno i tempi della ripresa, purtroppo vi è anche l’Italia. Federcostruzioni aveva auspicato fin dalle prime avvisaglie della crisi una serie di interventi urgenti, di emergenza, che privilegiassero le piccole opere, mentre la politica ha scelto di concentrare la stragrande maggioranza delle risorse su opere i cui tempi di incidenza sull’economia saranno inevitabilmente lunghi. La rappresentanza delle imprese aveva anche chiesto di privilegiare l’obiettivo dell’efficienza energetica per inserirsi con decisione nel gruppo dei Paesi del Nord Europa, ma per ora la scelta italiana è stata opposta, con la decisione di non rinnovare gli incentivi del 55%.

Il caso veneto C’è da dire che la nuova crisi innescata dalla Grecia e che ha visto nel mirino dei mercati i Paesi dell’area euro a rischio debito non ha incoraggiato il ministro Tremonti ad allargare i cordoni

della borsa. La scelta di puntare su poche grandi opere dai tempi lunghi ha sicuramente motivazioni di cassa. Ma se a livello nazionale è tutto bloccato, a livello regionale – e qui parliamo del Veneto – qualcosa almeno si tenta, mentre gli anticorpi da sempre presenti in un tessuto imprenditoriale tra i più vivaci d’Europa cercano di aggredire il morbo della crisi e dell’assenza di programmi pubblici. In questo quadro la visione del ministro Sacconi – fare dell’area veneziana una piastra logistica attrezzata per il raccordo delle economie in via di sviluppo dell’Est europeo con quelle più mature dell’Ovest con un occhio a Cina e India – resta uno slogan molto efficace destinato sicuramente a diventare un piano operativo, ma in un futuro non immediato. Più tempestiva è stata l’azione della Regione Veneto, che poco più di un anno fa ha deciso di creare una corsia preferenziale per le opere minori a livello comunale. Regione e comuni hanno lavorato molto, presentato progetti, selezionato, individuato priorità e rese disponibili le risorse. Ma le pastoie burocratiche hanno fatto il loro perverso mestiere e ad oggi non un solo cantiere è stato aperto. E così le imprese di costruzioni del Veneto stanno facendo da sole, con coraggio e intelligenza, individuando nuovi filoni innovativi, come l’edilizia residenziale destinata alla terza (quarta?) età o la conversione dei capannoni industriali dismessi causa crisi alla produzione di energia pulita fotovoltaica. Ovviamente non basta, il sistema non può fare affidamento esclusivo sull’intraprendenza e la capacità di rischiare delle aziende.

Visione globale Ma vediamo a livello globale a che punto siamo a 24 mesi di distanza dall’esplosione della crisi nella fotografia scattata dal Cresme nel suo studio. 59


La prima carta fotografa l’industria mondiale delle costruzioni in termini di investimenti nel 2009, nel pieno della burrasca: gli Stati Uniti e i paesi europei che si erano esposti di più nella bolla immobiliare, come Regno Unito e Spagna, sperimentano una caduta drammatica. Il resto d’Europa soffre, la Germania molto meno degli altri. Soffre anche il Brasile. L’India rallenta ma non drammaticamente e la Cina continua a correre. La seconda è la fotografia dell’anno in corso, il 2010. In Nord America gli investimenti sono tornati al segno più. Il meccanismo spietato del mercato ha funzionato, i prezzi sono caduti fino a toccare livelli ai quali non aveva senso non comprare e non investire. Sul terreno morti e feriti, ma la macchina è ripartita. In Europa occidentale solo la Germania mostra un ritorno al segno più. Italia, Francia e Gran Bretagna continuano a calare rispetto ai livelli già drammatici del 2009. In Spagna la catastrofe continua. Il Giappone che nel 2009 si era salvato prende la botta l’anno dopo. Insomma, il mondo è diviso in due, chi sta girando pagina e chi continua a prolungare, come dice il presidente di Ance e Federcostruzioni Paolo Buzzetti “l’agonia della crisi”. Nel 2009 il valore globale degli investimenti in costruzioni è sceso a livello pianeta del 3,3% a 4,7 trilioni di

euro. Il peso delle costruzioni sul Pil mondiale è sceso all’11,5% dal 12,2% del 2006. L’anno in corso sembra quello della svolta, grazie soprattutto all’aumento degli investimenti in infrastrutture specialmente in Asia e continente americano: la crescita attesa è del 2,6% a livello globale. Una crescita ancora modesta, che cifra in un dato di sintesi Carta 1. – Variazioni degli investimenti in costruzioni nel 2009 le performance diverse dei tre (variazione % rispetto all’anno prima) grandi componenti delle costruzioni, che pesano per cir-35% / -10% -10% / 0 0 / 5% 10% / 40% 5% / 10% ca un terzo ciascuna nel mix complessivo degli investimenti: residenziale, non residenziale e genio civile. Il primo è stato il protagonista assoluto della crisi, soprattutto per quanto riguarda le cause scatenanti negli Stati Uniti: dopo una caduta durata tre anni gli investimenti sono attesi in aumento dell’1,6% per riportarsi ai livelli del 2008 (che tuttavia ricordiamo è stato l’anno peggiore con un crollo globale del 6,6%). Fa Fonte: Cresme SIMCO 2010 60


un po’ meglio il non residenziale, con una crescita attesa quest’anno intorno al 2,1%. Questo mercato era stato colpito molto meno duramente dalla crisi e aveva conosciuto un solo anno di contrazione, il 2009 a seguito del contagio del settore residenziale, pari al 5,7%. Un calo che veniva da tre anni di crescita molto sostenuta, soprattutto il 2006 e il 2007. Infine gli investimenti nel mercato del genio civile, che sono quelli che nel 2010 dovrebbero aiutare a tirare su la media e che ovviamente dipendono più direttamente dalle decisioni della mano pubblica. È il settore che ha sofferto di meno (una caduta del 2,3% ma solo nel 2008 mentre dal 2005 ad oggi segna un solido +21%) e che sta trainando la ripresa del 2010 con una crescita attesa attorno al 4,5%. La crisi ha anche cambiato la geografia globale dell’industria delle costruzioni: per la prima volta nel 2009 l’Asia ha superato l’Europa mettendo insieme più di un terzo degli investimenti di tutto il pianeta e ponendo fine a un inseguimento durato tutto il decennio. L’Europa mantiene il primato degli investimenti pro-capite 2.156 euro contro i 432 euro dell’edilizia asiatica. Un dato che dà l’idea plastica degli enormi margini di crescita ancora inespressi dal continente asiatico, ovviamente soprattutto di India e Cina (ma non del Giappone, come vedremo poi).

Il primato asiatico Se il 2009 è stato l’anno del sorpasso dell’Asia sull’Europa non stupisce che nello stesso anno il campione asiatico, la Cina, abbia sorpassato gli Stati Uniti e sia diventato il primo mercato nazionale delle costruzioni a livello mondiale con 674 miliardi di euro contro i 624 miliardi degli USA. Un primato che si aggiunge a molti altri. Come tutte le economie emergenti in fase di rapida infrastrutturazione e urbanizzazione la

quota del Pil cinese che finisce in costruzioni è molto alta, circa il 20% contro il 6% degli USA e il 10-12% dei maggiori paesi europei. I dati cinesi somigliano infatti a quelli indiani e delle altre economie in rapida crescita, come ad esempio l’Indonesia che destina alle costruzioni oltre il 40% del suo reddito annuale. Una tendenza che investe in pieno il continente africano, che pur nel suo piccolo (in termini di peso relativo sul reddito globale) destina alle costruzioni il 17% del prodotto lordo. Se si astrae per un attimo dai dati assoluti e ci si concentra sulla dinamica di crescita degli investimenti, si può parlare per l’Africa di un vero e proprio boom delle costruzioni trainato dai grandi progetti infrastrutturali, la cui corsa è stata appena rallentata dalla crisi globale. Non a caso l’Africa non vede un segno meno negli investimenti in costruzioni almeno dall’inizio del decennio e nel 2010 avrà la palma del continente con il tasso di crescita più sostenuto, intorno al 7,5%. Se la Germania è un esempio parzialmente virtuoso (o meno vizioso) in Europa, il Giappone continua anche nel campo delle costruzioni a vivere una crisi di identità che penalizza da un ventennio quella che era l’economia più dinami-

Carta 2. – Variazioni degli investimenti in costruzioni nel 2010

(variazione % rispetto all’anno prima)

-35% / -10%

-10% / 0

0 / 5%

5% / 10%

10% / 27%

Fonte: Cresme SIMCO 2010

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Se la Germania è un esempio parzialmente virtuoso (o meno vizioso) in Europa, il Giappone continua anche nel campo delle costruzioni a vivere una crisi di identità che penalizza da un ventennio quella che era l’economia più dinamica del pianeta. ca del pianeta. Dopo un 2008 e un 2009 sostanzialmente stagnanti il paese del Sol Levante si avvia ad accusare quest’anno un calo di oltre il 5% degli investimenti. Parliamo di un paese dove il settore immobiliare non si è ancora ripreso dall’esplosione della bolla alla fine degli anni 80 del secolo scorso e dove i valori di alcune aree non hanno mai più rivisto le valutazioni di ormai più di venti anni fa. Insomma, il termometro globale dell’industria delle costruzioni ci dice che il 2010 è un anno di recupero rispetto alle sbandate del 2008 e 62

del 2009 nei paesi più avanzati. Un recupero che taglia fuori buona parte dell’Europa e che a livello globale è sostenuto dai programmi infrastrutturali e dalla spesa pubblica. India e soprattutto Cina continuano a correre con rischio addirittura di bolla immobiliare nelle aree metropolitane cinesi a fortissimo tasso di urbanizzazione. Per quanto riguarda un ritorno consistente dei grandi capitali privati al settore, soprattutto nell’immobiliare abitativo, dopo le scottature del 2008 e del 2009 ci vorrà ancora un po’ di tempo.


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Le imprese cercano giovani talenti, ma non assumono La fotografia di un'indagine su domanda-offerta del mondo del lavoro in Veneto di Francesco Deloni

N

egli ultimi anni in Italia il mondo del lavoro si è progressivamente chiuso all’apporto dei giovani. Il Veneto non si discosta dal trend negativo che caratterizza il resto del Paese, come fotografato dai dati che emergono dall’indagine Excelsior-Unioncamere. Dal 2004 al 2009, infatti, le assunzioni di under 29 mostrano una continua diminuzione: si è passati dal 44, 2% al 35,9% (da 28.520 a 16.263 unità). Questa contrazione dell’offerta di lavoro per i giovani è stata accompagnata da una crescente richiesta di figure appartenenti al gruppo delle professioni qualificate. In particolare, nel 2009 le assunzioni hanno riguardato prevalentemente le attività commerciali e i servizi (12.760 unità, 28,2% del totale), le professioni tecniche (8.100 unità, 17,9%) e gli operai specializzati (8.200 unità, 18,1%). Di rilievo anche l’incremento della quota di richieste di figure ‘high skill’, cioè dirigenti, professionisti ad elevata spe-

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cializzazione e tecnici (22,8% contro il 20,4% del 2008). Sono rimaste stabili le assunzioni di impiegati (12,1% nel 2009 e 12,7% nel 2008), mentre si registra una marcata diminuzione per quanto concerne i conduttori di impianti e di macchinari (10,5% nel 2009 contro il 15,6% del 2008). Un’analisi più dettagliata del quadro dimostra come la possibilità di trovare un impiego sia sempre più legata al titolo di studio. La assunzioni di soggetti in possesso di qualifiche universitarie sono scese dalle 7.000 unità del 2009 alle 5.150 unità del 2008. Il calo è però direttamente connesso alla contrazione generale che ha riguardato tutte le categorie professionali. Se si considera la percentuale di assunzioni per titolo di studio calcolata sul totale degli impieghi non stagionali, risulta infatti che la quota di nuovi lavoratori con qualifica universitaria raggiunge l’11,4% nel 2009, rispetto al 9,1% del 2008.


Inoltre salgono le assunzioni di personale di livello secondario e post-secondario (dal 43,8% del 2008 al 45% del 2009) e quelle di lavoratori con qualifica professionale (15,2% nel 2008 e 17% nel 2009). Diminuiscono invece le assunzioni di soggetti con la scuola dell’obbligo, poiché passano dal 31,8% del 2008 al 26,6% del 2009. Le aree disciplinari più richieste, a livello universitario, nel 2009 sono state quelle di indirizzo economico (33,6% del totale), seguite da quelle di tipo sanitario e paramedico (10,1%), ingegneria elettronica e dell’informazione (8,9%) e ingegneria industriale (8,3%). A livello secondario e post-secondario i neoassunti provengono prevalentemente dall’ambito amministrativo-commerciale (36,7% del totale), poi quello turistico alberghiero (6,4%) e meccanico (5,4%). Nel contesto dell’istruzione professionale trovano più facilmente lavoro coloro

Gli ultimi rilevamenti effettuati dal ministero dell’Istruzione mostrano come nel Veneto si registri un notevole incremento delle iscrizioni ai licei.

che hanno studiato materie di indirizzo meccanico (25,8% del totale), a seguire l’amministrativo-commerciale (19,4%) e il turistico-alberghiero (12,9%). Infine, chi ha seguito corsi regionali di formazione professionale trova un impiego soprattutto se ha scelto l’indirizzo socio-sanitario (35% del totale), poi il turistico alberghiero (13,8%) e il meccanico (10,6%). Il 2009 è stato inoltre caratterizzato da una diminuzione della quota di assunzioni di profili professionali considerati di difficile reperimento: esse hanno rappresentato il 26,9% del totale, contro il 29,5% del 2008 e il 35,1% del 2007. Le imprese hanno lamentato soprattutto (35,8% dei casi) la mancanza di candidati con adeguata qualifica ed esperienza. A livello di settori, le difficoltà riscontrate nel reperimento di personale riguardano nel 27,2% dei casi i servizi, mentre nel 26,3% l’industria. Nel secondario, i maggiori problemi sono relativi al tessile (30,3% dei casi), a seguire il settore meccanico (29,8%) e quello delle costruzioni (28,5%). Nel terziario i principali ostacoli si riscontrano nella sanità (54,8%) e nel commercio (41,7%). In relazione alla dimensione di impresa, sono le microimprese (meno di 9 addetti) e le piccole imprese (rispettivamente 32,6% e 22,2%) a mostrare i maggiori problemi nella ricerca del personale. Per queste aziende l’individuazione del candidato ritenuto adeguato può richiedere sino a 4-5 mesi, rispetto ad una media di circa 3 mesi per le grandi imprese. Per comprendere come va delineandosi il rapporto tra domanda ed offerta nel mondo del lavoro, è utile esaminare gli orientamenti dei giovani nella scelta del proprio percorso scolastico. Gli ultimi rilevamenti effettuati dal ministero dell’Istruzione mostrano come nel Veneto si registri un notevole incremento delle iscrizioni ai licei: per l’anno scolastico 2010/2011 questa scelta è stata adottata dal 43,9% dei ragazzi, mentre l’anno precedente si era al 38,6%. Allo stesso tempo hanno subito una lieve diminuzione le iscrizioni per gli istituti tecnici (37% contro il 37,7% dell’anno precedente) e un forte decremento quelle per gli istituti professionali (19,1% rispetto al 23,7%). Questo dato testimonia la tendenza dei giovani ad assecondare la richieste di figure altamente specializzate e dotate di una qualifica universitaria. 65



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Premio Inail: riduzione sino al 30% per le Pmi che migliorano la sicurezza

La riduzione della tariffa ha effetto per l’anno in corso in cui è stata presentata la domanda

di Daniele Verdesca

L

e aziende virtuose che abbiano effettuato interventi per il miglioramento delle condizioni di sicurezza e di igiene nei luoghi di lavoro possono oggi usufruire di una riduzione sino al 30% del tasso medio del premio assicurativo annualmente dovuto all’INAIL. A stabilirlo è l’articolo 24 del DM del 12/12/2000 (Modalità per l’applicazione delle tariffe), ulteriormente modificato dalla Delibera 79/10 dell’ente assicurativo nazionale che ha innalzato i tassi dello “sconto” annuale per le aziende virtuose sul versante della sicurezza sul lavoro. Dal 2000 le imprese che sono già operative da due anni e che eseguono degli interventi specifici per il miglioramento delle condizioni di sicurezza nei luoghi e/o nei cantieri di lavoro, sono premiati attraverso uno “sconto” sui tassi tariffari, tecnicamente denominato “oscillazione per prevenzione”. Al momento del pagamento del premio assicurativo dovuto all’ente nazionale, infatti, nel

caso in cui un’impresa abbia operato con azioni di prevenzione e protezione che siano andate oltre quello che viene già stabilito dalla normativa vigente, si opera una riduzione del tasso di premio applicabile all’azienda e che quest’ultima paga in rapporto al numero di lavoratori regolarmente assunti. Modalità e requisiti per ottenere la riduzione L’impresa deve presentare all’INAIL, entro il 28 febbraio dell’anno successivo a quello in cui ha effettuato gli interventi (inizialmente la scadenza era fissata per il 31 gennaio), la specifica domanda predisposta dall’INAIL, anche in versione telematica (vedi “Punto Cliente” del sito dell'istituto). L’impresa che ha presentato la domanda, come pre-condizione per l’accettazione, deve essere in possesso di tutti i requisiti di legge per il rila69


scio della regolarità contributiva ed assicurativa (DURC), oltre che in regola con le disposizioni normative in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene di lavoro. Nel caso in cui l’impresa sia a norma, per ottenere la riduzione del tasso del premio assicurativo deve aver attuato azioni di miglioramento classificate dall’istituto nazionale in 9 specifiche aree: 1. Interventi particolarmente rilevanti (certificazione sicurezza SGSL1). 2. Prevenzione e protezione. 3. Attrezzature, macchine ed impianti. 4. Sorveglianza sanitaria. 5. Formazione. 6. Stabilimenti a rischio di incidente rilevante. 7. Cantieri temporanei o mobili. 8. Attività di trasporto. 9. Altro. Per ottenere la riduzione percentuale del tasso medio di tariffa, in particolare, è necessario aver effettuato, in alternativa2 almeno uno degli interventi indicati nella sezione “Interventi particolarmente rilevanti”; almeno tre interventi nelle sezioni diverse da quella “Interventi particolarmente rilevanti” e comunque almeno uno nella sezione “Formazione”. 70

LAVORATORI-ANNO

RIDUZIONI

Fino a 10

30%

Da 11 a 50

23%

Da 51 a 100

18%

Da 101 a 200

15%

Da 201 a 500

12%

Oltre 500

7%


I contenuti delle azioni di miglioramento è di particolare interesse sottolineare come l’impresa che abbia adottato o mantenga un sistema di gestione della salute e della sicurezza sul lavoro (SGSL), sia sulla base delle indicazioni del modello predisposto dall’UNI-INAIL, che degli standard internazionali di riferimento (BS OHSAS 18000) possa ottenere automaticamente lo sgravio assicurativo. Se il modello di SGSL è quello certificabile (ossia OHSAS 18000), il rilascio della certificazione da parte dell’ente nazionale accreditato (ACCREDIA nel caso italiano) equivale all’ammissione allo “scontoâ€? senza necessitĂ di ulteriori verifiche da parte dei tecnici dell’INAIL. Va ricordato, inoltre, come tra gli interventi considerati come “particolarmente rilevantiâ€? possano essere ricomprese anche specifiche azioni che riguardino: 1 procedure per la selezione dei fornitori che tenga conto dell’applicazione della normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro; 2 interventi di miglioramento che facciano riferimento o comunque siano svolti in attuazione di ac-

cordi tra INAIL ed Organizzazioni delle Parti Sociali (ad esempio, Confindustria CNA, Confartigianato, CGIL, CISL e UIL, ecc.) o Organismi del Sistema della Bilateralità (ad esempio, nel settore dell’edilizia, i CPT, ossia i Comitati Paritetici Territoriali). Va segnalato, infine, come possano essere ricondotti ad interventi migliorativi tutti quelli svolti con azioni formative, ovviamente ulteriori rispetto a quelle già previste dalla normativa, ed in particolare: • Formazione realizzata tramite apposita procedura per la rilevazione dei fabbisogni formativi; • Adozione di metodologie per la verifica nel tempo dell’efficacia della formazione; • Formazione per i lavoratori stranieri integrata con corsi di lingua italiana; Il datore di lavoro, e/o i dirigenti ed il management aziendale frequentino annualmente un corso di aggiornamento in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro. Il provvedimento di accoglimento o di rigetto della domanda, debitamente motivato, sarà comunicato al Datore di lavoro con lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro 120 giorni dalla data di ricezione della domanda.

1 Con l'acronimo SGSL si fa riferimento ai “Sistemi di Gestione della Sicurezzaâ€?, cosĂŹ come previsti dall'articolo 30 del Testo Unico sulla Sicurezza, ed in particolare con riferimento ai modelli attualmente considerati come “esimentiâ€? dalle responsabilitĂ de D.Lgs. 231/2001, e cioè: UNI INAIL e OHSAS 18000. 2 Per alternativa si intende la possibilitĂ di scegliere tra l'opzione di un solo intervento nella categoria “particolarmente rilevantiâ€? od, al contrario, almeno 3 nelle altre categorie. Uno solo degli interventi rilevanti, cioè, è sufficiente per accedere allo sgravio percentuale.

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colloquio con La regolarità AMauro Miracapillo, Direttore CNCE e la tutela in edilizia I non risentono della crisi

1,5 milioni di DURC nei primi 5 mesi del 2010. di Luigia Taderi 72

l DURC, Documento Unico di Regolarità Contributiva rilasciato da INPS, INAIL e CASSE EDILI per attestare la regolarità dei versamenti dovuti dalle imprese, si rivela oggi come uno strumento pienamente a regime nel sistema delle costruzioni che, nonostante la crisi in atto, prosegue il suo percorso verso l’affermazione della regolarità e la disincentivazione del lavoro sommerso all’interno dei cantieri. Si pensi che dal 2006 ad oggi sono stati rilasciati oltre 8,5 milioni di DURC, di cui circa 1,5 milioni solo nei primi cinque mesi del 2010, che si stima supereranno ampiamente i 3 milioni entro la fine dell’anno. Di fronte alla necessità di trasparenza, di sicurezza e tutela dei lavoratori, non


c’è dunque crisi che tenga, in particolare in un settore come quello dell’edilizia, in cui il lavoro irregolare è fortemente legato ad una maggiore fragilità del lavoratori stessi, spesso privi degli strumenti che ne garantiscano in primis la sicurezza e le garanzie retributive e contributive. Un primo obbligo a carico delle imprese impegnate in appalti pubblici di presentare un documento che ne attestasse la regolarità contributiva, risale al 2002 ed è stato successivamente esteso oltre che a tutti i lavori edili, pubblici e privati, anche agli appalti di servizi e forniture. Il Testo Unico della Sicurezza sul lavoro (DLgs 9 aprile 2008, n.81), ha poi stabilito che, in caso di mancanza del DURC, venga assolutamente sospesa l’abilitazione allo svolgimento dei lavori, attraverso comunicazione da parte dell’organo di vigilanza all’amministrazione concedente. Il nuovo CCNL stipulato nel 2010 apporta un’ul-

teriore modifica al DURC introducendo la nuova sfida della congruità, attraverso la verifica dell’incidenza del costo della manodopera. Per l’impresa comporterà l’obbligo di dichiarare, al momento della richiesta del DURC, anche il numero dei cantieri aperti e, per ciascuno di essi, il numero dei lavoratori impegnati, garantendo così uno sforzo maggiore nella lotta al lavoro nero. Il mancato rispetto degli indici minimi del numero di operai impegnati non permetterà di ottenere la congruità. In relazione a quest’ultimo aspetto, però, è prevista una soglia di valore dei lavori (franchigia), al di sotto della quale non viene richiesta la valutazione della congruità. Chiediamo al Direttore della CNCE, Mauro Miracapillo, di spiegarci di cosa si tratta.

La parola al territorio La Regione Veneto Antonio Traficante - Direttore Regionale Reggente INAIL Veneto Il DURC introdotto dal 1 gennaio 2006 si è rivelato un ottimo strumento per contrastare il lavoro sommerso. Il suo utilizzo contribuisce, infatti, a migliorare la prevenzione e la sicurezza nei luoghi di lavoro e consente di rilevare le dinamiche del lavoro, attraverso la banca dati ed il costante monitoraggio degli appalti. I dati regionali evidenziano un numero di richieste di DURC in costante aumento. Tra il 2006 ed oggi, sono stati emessi dall’INAIL Regione veneto 389.104 DURC. Le aziende irregolari ai fini INAIL, smascherate grazie a questo sistema, sono state oltre 36.000. Mediamente, le sedi territoriali dell’INAIL evadono le richieste pervenute in poco meno di 7 giorni, con punte di tre giorni per la sede di Venezia Centro Storico. Questi dati evidenziano l’impegno notevole dell’Istituto nel garantire verifiche e tempi di emissione dei documenti particolarmente contenuti e tali da soddisfare le esigenze dell’utenza. Essi attestano anche una progressiva affermazione della cultura della regolarità, nonostante la grave crisi in atto che ha colpito, in maniera pesante, anche le aziende del nostro territorio. Oggi si impone con forza un salto di qualità e la sfida è rappresentata dalla introduzione, accanto alla regolarità contributiva, anche della valutazione della congruità, attraverso la verifica dell’incidenza del costo della manodopera. Se e quando questa innovazione verrà introdotta, le aziende dovranno dichiarare, all’atto della richiesta, il numero dei cantieri aperti ed il numero dei lavoratori occupati, in ognuno di tali cantieri. Con appositi indicatori, si valuterà la congruità di tali parametri. Naturalmente il sistema potrà acquisire ulteriore forza e peso se sarà adeguatamente supportato sul piano legislativo, attraverso la concessione di benefici ed incentivi esclusivamente a favore delle aziende che presentano un DURC regolare e congruo.

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Si tratta di lavori di piccola entità, ad esempio nel settore della manutenzione, eseguiti spesso da piccole imprese artigiane. In ogni caso è opportuno sottolineare che la norma contrattuale, che prevede di collegare il rilascio del DURC alla verifica della congruità della manodopera dichiarata dalla impresa, non si applicherà soltanto ai grandi appalti pubblici ma anche a tutti i lavori edili privati. A tal fine è richiesto un intervento legislativo che introduca l’obbligo della presentazione del DURC, da parte del Committente privato, anche alla fine dell’esecuzione dei lavori.

Treviso Silvano Armellin Presidente Cassa Edile di Treviso Il DURC è entrato nell’uso quotidiano degli imprenditori edili della provincia di Treviso ed anche se a volte evidenzia le difficoltà del momento, con inadempienze non volute, con l’attestazione di regolarità contributiva svolge pienamente la funzione per cui è stato posto in essere. Le Stazioni appaltanti normalmente richiedono il DURC nei modi e nei termini previsti dalla legge e dalle circolari degli Enti preposti e la Cassa Edile è costantemente impegnata , assieme ad INPS ed INAIL, a fornire il documento nel più breve tempo possibile, in media in quindici giorni. Lo stesso dicasi per le imprese. Rispetto ai tempi immediatamente seguenti l’entrata in vigore, le imprese sono particolarmente attente ad avere un documento di regolarità contributiva e solo in casi estremi, complice anche la crisi di questi tempi, si rassegnano alla presenza di un DURC negativo. Nel 2009 su oltre 5.500 DURC emessi dalla Cassa Edile di Treviso l’inadempienza dichiarata ( da INPS o INAIL o Cassa Edile ) non raggiungeva il 7% di quelli emessi . L’inadempienza verso la Cassa Edile era del 3,5% del totale DURC emessi.

Grazie al grande sforzo organizzativo messo in atto, dal 2008 ad oggi sono state portate alla luce 30.000 imprese irregolari, corrispondenti ad un’occupazione di oltre 160.000 dipendenti. Come valuta questo risultato e quali sono secondo lei le prospettive future? Il DURC è l’unico esempio in Italia di contrasto al lavoro sommerso che ha ottenuto risultati concreti non solo nei confronti delle Casse Edili ma anche di INPS e INAIL e quindi a favore complessivamente delle entrate pubbliche. è un esempio unico anche in Europa ed, infatti, il prossimo mese di ottobre, a Bucarest, le Fede74


razioni europee dei costruttori e dei sindacati edili terranno una conferenza finalizzata anche ad illustrare l’esperienza del DURC agli altri Paesi europei. Il DURC è uno strumento prezioso per garantire maggiore controllo sulla tutela e la regolarità del lavoro in edilizia, laddove vengano rispettate tutte le procedure stabilite dalla legge. In che modo è possibile monitorare il processo ed eventualmente far emergere casi di omessa richiesta del documento da parte di Pubbliche Amministrazioni o Enti Locali? Premesso che il comma 10 dell’articolo 16/bis della legge 2/2009 ha introdotto l’obbligo della richiesta diretta del DURC da parte di tutte le pubbliche amministrazioni, la CNCE intende monitorare e segnalare i casi di inadempienza delle Stazioni appaltanti nella omessa richiesta e ricezione del DURC, nell’ accettazione di DURC non corretti o, addirittura, di certificazioni alternative al DURC e prive di valore. Da parte nostra aumenteremo i controlli sulle richieste di

DURC per lavori privati troppo spesso avanzate da imprese edili che, per evadere i contributi alle Casse e farsi rilasciare il DURC solo da INPS e INAIL, dichiarano di applicare il contratto di lavoro di un altro settore merceologico. La CNCE ha auspicato forme di premialità per le imprese regolari, che permettano di favorire i comportamenti virtuosi rispetto alle forme di irregolarità e concorrenza sleale. Quali risposte vi aspettate dal Governo? Le Associazioni nazionali del settore edile hanno ben presenti i positivi risultati ottenuti con l’introduzione dell’articolo 29 della legge 341/95 che, a fronte di un recupero di evasione contributiva, ha previsto una significativa riduzione di contributi per le imprese di costruzione. Un primo segnale positivo in questa direzione, da parte del Governo, potrebbe essere rappresentato dalla riduzione del contributo per la Cassa integrazione del settore edile, a fronte di un intervento integrativo degli enti paritetici della categoria nei casi di disoccupazione.

Padova Luigi Ometto Presidente Cassa Edile di Padova La qualificazione, la regolarità del settore edile e il contrasto al lavoro sommerso e irregolare sono stati tra i principali obiettivi che hanno portato nel 2006 all’introduzione del Documento Unico di regolarità contributiva. Dal 2008 pur in presenza di una crisi che ha colpito profondamente il paese e in particolare il settore edile, sì e registrato un incremento dei D.U.R.C. emessi a dimostrazione dell’ormai generale utilizzo del documento sia negli appalti pubblici che nei lavori privati. Nel 2009 sono stati emessi dalla Cassa Edile di Padova 7.525 D.U.R.C. con una crescita del 9,36 % rispetto al 2008. I D.U.R.C. rilasciati per lavori pubblici sono stati 4.216 con una percentuale di D.U.R.C. non regolari pari al 3,84% del totale dei documenti emessi, contro un’incidenza media nazionale dell’11,24%. Più alta la rilevanza dei D.U.R.C. per lavori privati non regolari emessi dalla Cassa Edile di Padova, a fronte dei 2980 D.U.R.C. rilasciati, l’incidenza dei certificati non regolari è stata nel 2009 del 9,25%, contro un percentuale media nazionale del 16,64%.

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FRANZONI prefabbricati e manufatti in cemento Via dei Mille, 14 - 25086 Rezzato (Brescia) - Tel. 030 2591621 (3 linee r.a.) - Fax 030 2791871 www.sfrfranzoni.it - info@sfrfranzoni.it 3URGRWWL 3UHIDEEULFDWL GL FDOFHVWUX]]R ´ (/(0(17, 6&$72/$5, µ E’ entrata in vigore la NORMA EN 14844:2006+A1:2008, che trova applicazione nell’ambito della produzione di “ Elementi Scatolari Prefabbricati ”. In conformità alla Direttiva 89/106/CEE del Consiglio della Comunità Europea, a decorrere da tale data gli Elementi Scatolari Prefabbricati non potranno più essere venduti se non marcati CE e calcolati secondo le nuove Norme Tecniche per le costruzioni ed Azioni Sismiche D.M. 14 Gennaio 2008, di conseguenza i manufatti che dovessero risultare non muniti del marchio di conformità CE o ne siano comunque privi, devono essere immediatamente ritirati dal commercio e non possono essere installati o incorporati in costruzioni di opere civili. Al fine di verificare la conformità dei prodotti da costruzione alle prescrizioni di cui al regolamento medesimo, i dicasteri competenti (Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, il Ministero dell’interno ed il Ministero dei lavori pubblici), ciascuno nell’ambito delle rispettive competenze, hanno “ facoltà ” di disporre “ verifiche e controlli ”, presso il produttore dopo aver acquisito tutte le informazioni necessarie all’accertamento, avere l’accesso presso i luoghi di fabbricazione, immagazzinamento o di uso dei prodotti (cantieri)

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ed il conseguente prelievo di campioni per l’esecuzione di esami e prove. Acquisisce responsabilità anche la figura del Direttore dei Lavori, che in cantiere ha compiti di controllo e vigilanza che gli derivano dalla funzione che svolge: egli, infatti, ha l’obbligo di verificate i materiali accertandosi che gli stessi siano conformi alla normativa tecnica vigente. “ Il Direttore Lavori ha la specifica responsabilità dell’accettazione dei materiali ”. In altre parole, il suddetto professionista deve verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa che siano osservate le norme e che ci sia corrispondenza dei materiale impiegati con le caratteristiche indicate nei contratti stipulati. Si precisa altresì che sia il produttore che l’acquirente, agendo nel mancato rispetto di quanto sopra esposto, potranno ricadere in sanzioni amministrative e penali sino al sequestro dei manufatti ed al fermo cantiere. Al fine di poter fornire un prodotto che rispetti tutte le normative richieste, la ns. azienda seguita dall’Ente Certificante ICMQ, ha ottenuto a decorrere dal 27 Luglio 2009, “ IL CERTIFICATO DI CONTROLLO DELLA PRODUZIONE IN FABBRICA - NR. 1305-CPD-0922 ” di cui alleghiamo copia. A disposizione per ulteriori chiarimenti in merito, cogliamo l’occasione per porgere distinti saluti.


EDILTROPHY 2010 L’edilizia si (ri)mette in gioco Al via la terza edizione di Ediltrophy, la gara di arte muraria promossa dal sistema FORMEDIL e da BOLOGNAFIERE di Federica Paoli

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opo il successo di pubblico e stampa ottenuto lo scorso anno – con 5.000 spettatori e 20 network televisivi coinvolti –, anche per il 2010 il sistema bilaterale che fa capo al FORMEDIL ha scelto di riproporre il progetto Ediltrophy, la gara di arte muraria tra squadre di mastri e apprendisti muratori.

Anche quest’anno la gara si articolerà in due fasi: • una prima fase dedicata alla selezioni regionali delle squadre che si svolgeranno in 15 città sabato, 2 Ottobre 2010 (con l’eccezione della Lombardia, le cui selezioni avverranno in concomitanza con la fiera Ediltec a Busto Arsizio (Va), sabato 25 settembre); 77


• una seconda fase, a Bologna in occasione del SAIE, con la finale nazionale in cui si sfideranno i vincitori delle selezioni regionali (sabato, 30 Ottobre 2010). Anche quest’anno le selezioni regionali si svolgeranno a conclusione delle Giornate della Formazione in Edilizia, previste dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di settore ed organizzate a Roma dal FORMEDIL il 27 e il 28 Settembre 2010.Con questa manifestazione, giunta alla terza edizione, il sistema FORMEDIL intende testimoniare l’importanza della formazione professionale nelle costruzioni, valorizzando un patrimonio umano essenziale per garantire la qualità del costruire. Il ricorso ad un tipo di competizione che richiama il mondo dello sport ha la finalità di premiare chi lavora bene e ad alti livelli, sottolineando l’importanza di realizzare strutture solide secondo le regole di sicurezza e qualità e promuovendo un’immagine positiva del settore edile, troppo spesso fatto oggetto di attenzione da parte dei media solo in caso di incidenti sul lavoro e sfruttamento della manodopera. Alla gara potranno partecipare una o più squadre in rappresentanza delle diverse Scuole Edili d’Italia e ciascuna squadra dovrà essere composta da due muratori. La squadra potrà competere per la categoria

• Chiusini

Apprendisti o Mastri, a seconda del grado di esperienza e del livello contrattuale dei suoi membri. La performance si baserà su un disegno tecnico predisposto dal FORMEDIL che sarà uguale su tutto il territorio nazionale. Le squadre di ogni territorio si affronteranno in una sede regionale, o in alcuni casi interregionale e i vincitori della prima tornata di selezioni parteciperanno alla manifestazione finale in occasione del SAIE per il titolo nazionale. Ogni regione potrà scegliere di candidare per la finale una squadra di Apprendisti o di Mastri, a sua discrezione. Sia per le gare regionali che per la finale verranno messi in palio due primi premi, per la categoria Mastri e per la categoria Apprendisti, mentre secondo e terzo premio saranno destinati indifferentemente a una squadra di Apprendisti o a una di Mastri. Quest’anno, per valorizzare il lavoro delle squadre in gara e per intrecciare relazioni ancor più profonde con i Comuni che ospiteranno le manifestazioni, i manufatti realizzati durante le gare saranno delle fioriere che verranno messe a disposizione gratuitamente delle Pubbliche Amministrazioni per contribuire ad arricchire gli arredi urbani cittadini. Per ulteriori informazioni sulla manifestazione è possibile consultare il sito: www.formedil.it/ediltrophy

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Serenissima domotica

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na coppia di affermati professionisti: architetto lui ed interior designer lei; un vecchio fontego veneziano che un tempo fungeva da magazzino per materiali edili e che oggi è un’abitazione raffinata situata nel cuore della Serenissima. Attraverso un antico cancello in legno disegnato ad arco si accede alla residenza: un involucro candido inserito in un contesto d’epoca che si specchia davanti allo studio dove ha sede l’attività del proprietario. Quella che racconta il padrone di casa è la storia di un edificio completamente inagibile e lasciato inutilizzato, un destino comune a molti stabili veneziani che in passato erano la sede di attività poi trasferitesi sulla terra ferma. Nella ricostruzione, la minuziosa attenzione verso un restauro il più possibile rispettoso dell’ambiente e della storia del luogo si è unita al gusto raffinato della coppia che è riuscita ad ottenere una dimora moderna senza allontanarsi però dallo stile di una città unica. La residenza è un perfet-

to connubio fra lavoro, vita domestica, cultura e passione: l’amore per i viaggi, per il design, per una professione capace, come in questo caso, di scrivere il progetto di una rinascita. è un’abitazione da ammirare ed osservare, i muri bianchi svelano a tratti particolari di prestigio come vecchi fregi di marmo e la sagoma di una scala in pietra d’Istria che modella un angolo del soffitto. Prima della ristrutturazione la sala principale era adibita al trasporto dei materiali che,attraverso uno scivolo, venivano caricati direttamente sui barconi in attesa fuori dalla porta d’acqua. Oggi, al centro della stanza, è stato posizionato il famoso tavolo Doge firmato da Carlo Scarpa e dall’ampia vetrata che guarda il canale è possibile vedere abili gondolieri che guidano una giovane coppia di amanti o turisti estasiati alla scoperta romantica della città. Bianco e oro sono i colori predominanti che si alternano creando un avvicendamento splendidamente riuscito fra l’essenziale modernità del primo e la classicità di grande effetto del secondo. Un armonioso connubio fra antico e nuovo, estetica e funzionalità, all’interno del quale il sistema domotico By-me di Vimar è la scelta che chiude il cerchio attorno ad una residenza che appare quasi un museo. I proprietari hanno voluto Vimar per assicurarsi un prodotto di alta tecnologia ma di facile utilizzo, che consentisse di automatizzare e controllare tramite pochi e semplici gesti tutta l’abitazione ma, parallelamente, in grado di inserirsi nello stile della casa. Il gioco di ricercate alternanze che caratterizza il racconto della residenza si conferma anche nella scelta degli apparecchi elettrici che mostrano un accostamento inusuale ma dal risultato estremamente apprezzabile: le forme morbide e tondeggianti di Plana in tecnopolimero, infatti, si accompagnano al design rigoroso e definito di Eikon Classic, realizzate in metallo lucido. La concordanza cromatica, invece, è perfettamente


rispettata: oro per le placche e bianco per tasti e comandi. Le centrali By-me sono installate in diversi punti della casa e assecondano le esigenze della quotidianità familiare: utilizzate per gestire il funzionamento degli elettrodomestici e controllare i carichi; per visualizzare chi suona alla porta oppure attivare e disattivare il sistema di allarme. La programmazione di diversi scenari, ovvero combinazioni d’uso degli apparecchi elettrici a seconda delle ambientazioni che si vogliono ricreare, raccontano di rituali e abitudini raffinate, al servizio dell’atmosfera signorile e dello stile particolarmente ricercato della residenza e dei suoi abitanti. Per il relax ad esempio, sorseggiando un Bellini, lo scenario cocktail attiva i faretti collocati alla base delle colonne in pietra ereditate dal vecchio magazzino, evidenziandone la sagoma con particolari effetti di luce e ombra; simultaneamente, l’alcova posizionata all’estremità ovest della stanza è messa in risalto con un’illuminazione discreta e soffusa che rendono lo spazio estremamente accogliente. Scegliendo lo scenario cena, invece, si accende il lampadario di Venini che padroneggia nella sala principale, accompagnato solamente dalla luce delle candele bianche disposte armoniosamente accanto ad un mazzo di calle o un vaso ricolmo di candide viole ciocche. Piccoli cimeli abitano in diversi punti le pareti di casa: poggiati su rientranze scavate nel muro, possono essere rischiarati tramite l’uso di semplici comandi on/off oppure messi in evidenza attraverso un’illuminazione temporizzata gestita attraverso il

sistema By-me. Nel bagno padronale la domotica governa in maniera coordinata l’illuminazione, la temperatura e l’accensione della televisione. Sulle pareti in pelle sky, tasti bianchi con rilevatori ad infrarossi ricevono i comandi e attivano a distanza lo scenario prestabilito, per il massimo grado di comfort. La temperatura è amministrata mediante termostati presenti in ogni stanza e la sua gestione può essere integrata a By-me e quindi coordinata con il funzionamento degli altri apparecchi oppure regolata manualmente con possibilità di diversificare il clima in ciascuno degli ambienti. Per quanto riguarda la sicurezza, numerosi sensori di presenza posizionati in modo tale da non disturbare l’impatto visivo estremamente curato, monitorano eventuali presenze estranee; la loro funzione, combinata alle sirene da interni, offre un controllo costante e assicura un valido sistema di antintrusione controllato tramite By-me. Ciascuno dei dispositivi pensati da Vimar ha trovato la sua giusta collocazione funzionale, parte integrante della quotidianità domestica e anche lavorativa. Nello studio adiacente all’abitazione, infatti, il sistema domotico con design della serie Plana color bianco, è assoluto protagonista: accende e spegne le stanze comandandone i dispositivi elettrici, arreda e accompagna l’opera di ideazione, studio e progettazione che prende forma all’interno di cinque stanze lasciate semispoglie e illuminate da gigantesche vetrate. Qui dove trova perfetta realizzazione la frase di Le Corbusier: l’Architettura è il gioco sapiente, rigoroso e magnifico dei volumi sotto la luce.


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Leone d'Oro alla Carriera all'architetto olandese Rem Koolhaas Il leone d'oro alla carriera della 12ma Mostra Internazionale di Archittettura è stato attribuito all'architetto olandese Rem Koolhaas che, come scrive il Direttore della Mostra, Kazuyo Sejima, ha ampliato le possibilità dell'architettura focalizzandosi sulle relazioni tra persone e spazio, creando edifici che stimolano l'interazione tra le persone. Nel 2000 Koolhaas vince il Premio Pritzker. Citato da "Time" nel 2008 tra le 100 personalità più influenti del mondo, nel 1975, insieme con Elia e Zoe Zenghelis e Madelon Vriesendorp fonda l'OMA (Office for Metropolitan Architecture). Le opere più importanti di Koolhaas e OMA includono il Netherlands Dance Theatre a L'Aia, il Nexus Housing a Fukuoka in Giappone, il Kunsthal a Rotterdam, il Grand Palais di Euralille e di Lille, La Villa dall'Ava, la Très Grand Bibliothèque e la Seattle Public Library.

Venezia salva grazie all’acqua salata

a cura di Anita Angelini

Una strada per garantire a Venezia di salvarsi dalla minaccia del mare potrebbe essere quella di iniettare acqua salata nelle sacche del sottosuolo della città a 600-700 metri di profondità con il conseguente rialzo di una trentina di centimetri. Questa ipotesi non è nuova visto che già se ne parlava negli anni 80 ed è tornata d'attualità inseguito ad una riunione del CORILA, consorzio per le ricerche sulla laguna veneziana. Lo studio, con simulazioni dinamiche ed elaborazioni matematiche, è stato realizzato da un gruppo di ricercatori del Cnr di Venezia, dell’Università di Padova e dell’istituto di oceanografia di Trieste. I ricercatori di fatto hanno ipotizzato di iniettare acqua, attraverso appositi pozzi, nel sottosuolo cittadino per una decina d’anni cercando di far sì che l’intervento si mantenga invariato nel tempo.

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di ANCE BELLUNO

La Sezione Edile visita il cantiere della nuova Scuola Edile a Sedico

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a nuova sede del Centro di Formazione Maestranze Edili a Sedico, è già una realtà. In poco più di un anno siamo passati dal progetto ad un’avanzata fase di realizzazione, in attesa che dall’autunno 2011 la struttura sia pienamente efficiente, pronta per accogliere gli allievi. Nei giorni scorsi il Direttivo della Sezione Costruttori Edili ha potuto visitare il cantiere della nuova scuola, condotti dal direttore dei lavori Walter Mazzoran e dall’ assistente di cantiere Armando Bertuol, per prendere visione di un immobile che seppur al grezzo è già pienamente identificabile per le sue forme e l’uso degli spazi. L’immobile, che si sviluppa su una superficie coperta di oltre 3.300 m/quadri e per un totale di 23.975 m/cubi, rappresenta un grosso sforzo per il settore soprattutto in una fase

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congiunturale come quella attuale. Ezio De Pra, presidente della Sezione Costruttori evidenzia che “Un investimento di questa portata assume una duplice valenza: da un lato rileva l’impegno del settore sui temi della sicurezza e della formazione considerati come prioritari e dall’altro rappresenta una possibilità in più per favorire la ripresa del settore potendo contare su maestranze aggiornate e preparate”. Oltre alle diverse aule didattiche, interviene il presidente della Scuola, Loris De Nardin sono stati previsti “un laboratorio informatico, laboratori tecnici per simulare quanto si realizza in un normale cantiere, l’officina di falegnameria, un laboratorio sicurezza, un magazzino dei materiali. Inoltre è prevista una zona attrezzata per la formazione nel montaggio/smontaggio dei ponteggi e per i lavori in quota, un campo manovre per l’addestramento all’uso di piccole macchine movimento terra, una mensa per gli allievi ed una auditorium di circa 100 posti. Il tutto per un giro di allievi/lavoratori che potrebbe superare i 180 allievi annui”. Per Italo Tonet, Presidente della Cassa Edile “Il cantiere dell’impresa DEON, vincitrice lo scorso giugno del bando promosso dalla nostra Cassa Edile è in pieno regime e rappresenta un esempio anche dal punto di vista organizzativo e se non ci saranno intoppi ad inizio 2011 dovrebbe avvenire la consegna, in tempo dopo i lavori di arredo, prima di poter avviare i corsi con l’anno scolastico 2011-2012”.


di ANCE PADOVA

Ance Padova incita a ripartire

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illa Borromeo (Sarmeola di Rubano) è stata, ancora una volta, la sede dell'Assemblea annuale degli imprenditori aderenti ad Ance Padova – Collegio Costruttori Edili, nella giornata di venerdì 9 luglio scorso. La parte interna, riservata agli associati, è stata caratterizzata dall'intervento del Presidente Tiziano Nicolini con cui è stato fatto il punto sull'andamento del settore, sulle attese della categoria e sui programmi futuri di Ance Padova. Il Presidente Nicolini, a compimento del suo primo anno di mandato, pur manifestando la consapevolezza delle difficoltà che il comparto delle costruzioni sta attraversando, ha voluto trasmettere il messaggio della necessità, oggi più che mai, di fare squadra “consapevole che l'impervio cammino che le imprese stanno percorrendo – mettendo a dura prova le nostre migliori capacità – richiede fermezza, coraggio, ma anche e soprattutto una fondamentale funzione di indirizzo da parte del Collegio quale risposta alla fiducia che le imprese stesse ripongono in esso”. In questo scenario - ha ribadito Nicolini - Ance Padova dovrà assumere il ruolo di indicare ai propri associati la rotta per uscire dalle difficoltà e gli obbiettivi da perseguire per rilanciare l’attività imprenditoriale. La parte conclusiva dell'intervento è stata dedicata ad una sintesi dell'attività associativa svolta durante l’anno e alle iniziative in programma. Infine, sono seguiti gli interventi del Presidente Luigi Ometto per la Cassa Edile, del Presidente

Carlo Favaro per la Scuola Edile CPIPE e del Presidente Angelo Marcon per il Comitato Paritetico Territoriale CPT, con le rispettive relazioni annuali. La prima parte dell'Assemblea si è poi conclusa con la premiazione da parte del Presidente Tiziano Nicolini dell’Impresa S.V.E.C. spa, dell’Impresa Ometto Costruzioni srl, dell’Impresa Vettorazzo Costruzioni srl e dell’Impresa Salima srl, tutte per aver raggiunto i trentacinque anni di vita associativa. Coerentemente allo spirito ed a una logica di rilancio immediato del settore, la successiva parte pubblica dell’Assemblea si è aperta con un titolo "Ripartiamo! Strategie e strumenti per la ripresa" con cui il Presidente ha voluto infondere un po’ di coraggio a tutti gli associati ed agli operatori del settore, presenti in sala. Al dibattito, moderato dal Caporedattore news Radio24-IlSole24Ore, Sebastiano Barisoni, hanno partecipato l'Onorevole Antonio De Poli, l'Assessore Regionale alle Politiche per l'Ambiente Maurizio Conte, il Vice Presidente dell'Ance Piero Torretta, il Direttore Generale della Cassa di Risparmio del Veneto Fabio Innocenzi e il Direttore Generale della Banca Antonveneta Giuseppe Menzi. Il Presidente Nicolini, dopo aver dato voce ad alcuni imprenditori associati attraverso delle video interviste, ha affrontato nella sua relazione temi fondamentali per il futuro della città di Padova. Ha concluso i lavori il Presidente dell'Ance Paolo Buzzetti, con un applauditissimo intervento. 85


Alleanza tra pubblico e privato per affrontare i temi della crisi

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n grido d'allarme ma anche di fiducia e di speranza quello lanciato da Claudio Cunial, presidente di Ance Treviso nel corso dell'annuale assemblea generale delle imprese associate, secondo il quale “è necessario un ringraziamento a tutti i colleghi che, a fronte di una situazione di forte crisi del comparto dell'edilizia, non si sono sottratti alle loro responsabilità e che si stanno impegnando a fondo, con costi anche pesantissimi, per mantenere la propria struttura, ed è proprio questo che mi porta a pensare che usciremo anche da questa crisi, certamente diverse ma sicuramente più forti”. Un'assemblea come sempre particolarmente partecipata, incentrata sul tema “Pubblico-Privato, un'alleanza per il territorio ”, che è servita per fare il punto della situazione in un momento decisamente particolare e difficile per la categoria, dato che, come sottolineato dal presidente Cunial nella parte introduttiva della sua relazione “contemporaneamente sono andati in blocco il mercato delle opere pubbliche e il mercato privato, ovvero un sovrapporsi di cause e di effetti con un risultato devastante, una vera e propria tempesta perfetta”. Cunial ha poi “snocciolato” una serie di dati per inquadrare

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la gravità del momento ricordando che a livello regionale, alla fine del triennio 2008 – 2010, sarà perso il 18% in termini di investimenti, che il settore immobiliare negli ultimi tre anni è calato del 30% e che i posti di lavoro persi sono 49 mila, che diventano 70 mila se si considera l'indotto. A tutto ciò si deve poi aggiungere che l'importo dei lavori pubblici è calato del 24%, il numero dei bandi si è ridotto del 55% e i mutui concessi alle famiglie sono calati del 18%. “Nella provincia di Treviso, dove lavorano circa 33 mila persone nel settore delle costruzioni, il calo – ha evidenziato il presidente dei costruttori – registrato su base annua pari al 12,5% è stato superiore alla media regionale. Sul fronte del mercato immobiliare, in provincia nel primo trimestre di quest'anno le transazioni su immobili residenziali hanno registrato un aumento pari al 5,1%, a fronte di un calo del 38% tra il 2006 e il 2009, anche se i livelli continuano a rimanere bassi, paragonabili a quelli di fine anni '90, con una sostanziale tenuta dei prezzi di vendita. Elementi questi che confermano quello che Ance sta dicendo ormai dalla fine del 2008, ovvero che la domanda immobiliare esiste ma le famiglie sono bloccate dalle incertezze economico-finanziarie legate alla crisi e alla restrizione del credito. E uno degli ostacoli al rilancio dell'attività del settore – ha aggiunto Cunial – continua ad essere rappresentato dal mercato del credito che si rivela ancora particolarmente stringente nei confronti delle imprese e delle famiglie. Basti pensare che i finanziamenti per investimenti in edilizia residenziale nel 2009 in Veneto sono diminuiti del 22,4%, anche se a Treviso hanno subito una flessione più contenuta, pari al 12,4%. Il flusso di mutui per l'acquisto di abitazioni, invece, nella nostra provincia è rimasto stabile rispetto al 2008, con un incremento dello 0,7%, mentre in Veneto si è ridotto del 6,6% e in Italia del 10% “. Che fare dunque a fronte di tutto ciò e di una crisi che


di ANCE TREVISO presenta un quadro estremamente complesso e, a volte, anche di non facile lettura? “ In particolare – ha affermato il leader dell'Ance trevigiana – bisogna intervenire nel settore degli appalti e, pur consapevoli di partecipare ad un gioco sbagliato dove spesso si è costretti comunque ad esserci, bisogna cambiare le regole di questo gioco, E non serve scrivere nuove leggi ma basterebbe utilizzare quelle che ci sono. Si deve ripartire dalla centralità del progetto, che sia esecutivo, cantierabile, e che sia garantito da una procedura di validazione sviluppata da un 'advisor'. Eliminando alla base qualsiasi possibilità di variante, dovuta ad incompletezze progettuali, si eliminano alla radice i tentativi di recuperare con procedure anomale le perdite causate da offerte altrettanto anomale, oggi assolutamente molto spesso fuori mercato, dove si registrano ribassi che raggiungono anche il 50%. Per dirla con chiarezza, bisogna impedire che siano posti in gara progetti carenti e, nello stesso tempo, bisogna che sia più attenzione da parte dei committenti sulle offerte laddove i confronti tra le imprese producono effetti disastrosi”. Un appello è stato poi fatto da Cunial alle istituzioni, affinchè il patto di stabilità non diventi, come può succedere, una sorta di alibi per non fare, “Non è semplice – ha ribadito – cercare di fare sintesi della situazione che le imprese stanno vivendo. Non si tratta di essere pessimisti od ottimisti, di vedere il bichiere mezzo pieno o mezzo vuoto, perchè corriamo il rischio di vedere più nemmeno il bicchiere. Bisogna essere realisti e capire le piene potenzialità del territorio, lavorare per far convergere le responsabilità di una alleanza tra l'economia e le istituzioni, in primis la Regione e le Province, enti che rappresentano il territorio e sui quali sono basate le aspettative della nostra categoria”. Non a caso l'assemblea è stata pure caratterizzata da una successiva “conversazione”, moderata dal prof. Paolo Feltrin, con il vicepresidente e assessore della Regione Veneto al Territorio Marino Zorzato, l'assessore regionale ai lavori pubblici, energia ed edilizia sociale Massimo Giorgetti e il presidente dell'Unione Regionale delle Province del Veneto, nonché Presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro. In tale contesto, Zorzato ha deline-

ato le priorità della neonata giunta regionale in materia di pianificazione, ribadendo, tra l'altro, la decisione di delegare la decisione sui Pat alle Province; Giorgetti ha invece indicato i provvedimenti presi e da prendere a favore del comparto dell'edilizia da parte della Regione (in particolare elevare ad 1 milione di € l’importo limite entro cui i Comuni possono assegnare lavori ad imprese locali di loro fiducia, dismissione del patrimonio immobiliare delle Ater per ricavare risorse da reinvestire nella realizzazione di nuovi alloggi o nell’acquisto di quelli già realizzati, ma invenduti a causa della crisi economica, semplificazione delle procedure burocratiche per rendere più incisivi gli incentivi pubblici) ricordando anche il recentissimo provvedimento adottato dalla giunta con il quale vengono approvate le linee di indirizzo per la definizione dei bandi regionali per gli appalti pubblici e dove, in particolare, viene prevista la presenza di almeno un 30% di imprese locali di minori dimensioni nella definizione della compagine concorrente all’appalto per la realizzazioni di grandi opere e in Project financing; Muraro, da parte sua, ha rimarcato il ruolo importante delle Province nel settore della pianificazione, auspicando uno snellimento della burocrazia e della tempistica per il varo dei provvedimenti necessari al rilancio del settore, sottolineando nello stesso tempo la necessità di rivedere il patto di stabilità, in considerazione del fatto che ciò non riguarda i comuni al di sotto dei 5 mila abitanti che rappresentano la maggioranza dei comuni del nostro Paese. L'assemblea, cui hanno partecipato, tra gli altri, anche il prosindaco di Treviso Gianfranco Gentilini, l'assessore regionale Remo Sernagiotto, il consigliere regionale Diego Bottacin, gli assessori provinciali Noal e Conte, nonché altre autorità istituzionali, è stata conclusa dall'intervento del presidente regionale dell'Ance Stefano Pelliciari che, nel sottolineare la fattiva collaborazione da tempo instaurata con la Regione, ha esortato il nuovo esecutivo a fare presto quegli interventi che oggi sono indispensabili e fondamentali per un settore che rappresenta uno degli assi portanti dell'economia veneta e che necessita di attenzioni forti e concrete per affrontare una delle crisi peggiori di questi ultimi anni. 87


Nuova legge speciale per Venezia: incontro con il ministro Brunetta

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seguito della delega recentemente conferita dal Governo al Ministro Brunetta per la “riscrittura” della legge speciale per Venezia, il Ministro stesso ha invitato gli enti pubblici e le categorie economiche della città a fornire il proprio contributo di idee e di proposte. A tal fine l’Associazione ha presentato un proprio documento che è stato illustrato al Ministro in occasione della riunione svoltasi il 27 luglio scorso presso la sede del Magistrato alle Acque. I punti centrali sui quali si articolano le proposte di ANCE Venezia sono: • la valorizzazione del ruolo delle piccole e medie imprese nell’ambito delle opere e dei lavori di salvaguardia di

ANCE VENEZIA INCONTRA NEAFIDI

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Venezia e della sua laguna; • la previsione – concordata con l’Unione Europea – di un sistema di agevolazioni e incentivi a favore delle imprese locali a copertura dei maggiori costi legati all’operare in ambito lagunare; • lo sviluppo di un progetto di residenzialità che garantisca livelli minimi di accessibilità al mercato immobiliare, nonché un’offerta di locazioni a condizioni sostenibili; • un forte processo di semplificazione nelle procedure autorizzatorie degli interventi. Sulla base dei contributi ricevuti il Ministro Brunetta si è impegnato a predisporre già per la metà del mese di settembre una prima ipotesi di articolato da sottoporre alla discussione pubblica.

In

considerazione dell’attuale momento di grave crisi finanziaria che colpisce le imprese di costruzione in particolare, e quindi al fine di offrire alle imprese associate le necessarie informazioni operative per utilizzare al meglio gli strumenti finanziari attualmente a loro disposizione, ANCE Venezia ha organizzato uno specifico incontro di informazione con Neafidi che gestisce il Fondo di Garanzia fidi per il settore industria, ivi comprese le costruzioni.


di ANCE VENEZIA

ANCE VENEZIA OFFRE GRATUITAMENTE AI SOCI LA PEC

Per

consentire ai propri Soci di conformarsi per tempo alle richieste delle pubbliche amministrazioni di utilizzo della posta elettronica certificata (PEC) quale sistema di comunicazione ed invio telematico di documenti, l’Associazione ha attivato un’apposita convenzione con INFOCERT S.p.A. (società privata di emanazione delle Camere di Commercio), finalizzata ad offrire alle imprese associate la possibilità di disporre gratuitamente per un anno (più un ulteriore anno di rinnovo) di un proprio indirizzo di posta elettronica certificata. A seguito dell’accordo stipulato, ANCE Venezia si fa carico sia dei costi di gestione della casella di posta elettronica certificata sia degli adempimenti formali per la richiesta del dominio di posta elettronica e le password di accesso che saranno attive ed utilizzabili dall’impresa nelle ventiquattro ore successive. Come noto, la PEC consente di inviare documenti informatici per via telematica in assoluta sicurezza da violazioni e manipolazioni ed è diventata obbligatoria, a partire dal 29 novembre 2009, per le società di nuova costituzione che si iscrivono al registro delle imprese mentre, per quelle già costituite, lo diverrà entro il 29 novembre 2011. Oltre a ciò, sempre più amministrazioni, istituzioni pubbliche e private, società e professionisti, risultano dotate, ad oggi, di questo fondamentale strumento, che offre le stesse garanzie di certezza e sicurezza della notifica di una raccomandata. Le imprese interessate possono richiedere agli uffici dell’Associazione l’attivazione di una casella di posta elettronica certificata (della capienza di 1Gb), consultabile in qualsiasi momento della giornata collegandosi al sito www.legalmail.it, attraverso username e password. Una volta attivato il servizio, ogni messaggio ricevuto nella casella di PEC potrà venire segnalato da INFOCERT tramite SMS al numero di cellulare indicato dall’impresa. Gli Uffici dell’Associazione sono a disposizione dei Soci per fornire tutte le informazioni necessarie all’attivazione ed alla gestione delle caselle di posta elettronica certificata.

L’incontro, tenutosi il 22 giugno scorso, presso l’Hotel Laguna Palace a Mestre, è stata l’occasione per presentare un servizio che Neafidi mette a disposizione delle imprese associate, a seguito di un accordo definito a livello regionale con Ance Veneto. Il programma dei lavori ha visto la presenza di alcuni rappresentanti di Neafidi che – anche attraverso la presentazione di casi tipo – hanno spiegato le caratteristiche della consulenza gratuita a disposizione delle imprese. Le spiegazioni offerte sono state finalizzate all’illustrazione delle possibilità di accedere ai finanziamenti garantiti da Neafidi, tra i quali in particolare il fondo specificatamente messo a disposizione delle imprese di costruzione da parte della Regione Veneto.

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di ANCE VERONA

Edilizia “anticrisi”:

sburocratizzazione, un passo importante Marani e Montagna sottolineano l’importanza delle “misure anticrisi” varate dal Comune di Verona

A

circa un anno dalla decisione della Giunta di apportare specifiche e mirate misure per far fronte alla crisi del settore edilizio, cominciano a vedersi i primi risultati. Le soluzioni proposte, che ora possono essere definite positive, non hanno ancora portato alla completa risoluzione degli annosi problemi che attanagliano il comparto, ma stanno dando un benefico e necessario apporto. Tali manovre arrivano dalla costante collaborazione e sinergia creatasi tra l’Amministrazione scaligera e l’Ance, promotrice di uno degli interventi più chiacchierati ma anche più importanti del momento, la proroga dei termini di inizio e fine lavori relativamente ai permessi di costruire. Alla difficoltà di acceso al credito e di riscossione si aggiunge, infatti, il peso non indifferente della burocrazia, da anni denunciata come una delle principali cause dei ritardi nell’esecuzione dei lavori e dell’aumento dei costi. Chiaro, a proposito, risulta l’intervento del Presidente Ance Andrea Marani: “La definizione dei tempi di attuazione di tale manovra e l’impegno del Comune di Verona nel tradurre in realtà quello che come associazione chiedevamo da qualche tempo, credo siano due fattori di notevole importanza. è questo il modo per spronare i costruttori a tenere duro e ad andare avanti, mantenendo un occhio di riguardo alla progettualità, condizione che permette, al posto di far rimanere l’intero comparto in una situazione di stand-by nociva sia per noi che per l’intera economia italiana, di volgersi verso il futuro con fiducia e motivazioni. Era importante definire con certezza le scadenze e i termini per l’avvio dei lavori in cantiere – conclude Marani – cosi come è stato importante concedere al settore

e alla programmazione dei lavori un lasso di tempo maggiore.” Nell’ambito delle misure anticrisi adottate dal Comune nel giugno 2009 e considerata la proporzione che ha assunto l’attuale crisi economica, è assolutamente giustificato Alessandro Montagna Ass. all’Edilizia Privata di Verona il rilascio di provvedimenti di proroga dei termini di inizio e fine lavori oggetto dei permessi di costruire, ai sensi della normativa vigente (art. 15 D.P.R. 380/01). Proroga che secondo il comunicato: dovrà essere richiesta prima della scadenza del termine stesso; in cui dovrà essere espressamente indicata, come motivazione, l’attuale “crisi economica” e a cui è stata riconosciuta validità fino al 31 dicembre 2011. Data ultima per la presentazione di una proroga della durata anche di 24 mesi. Alla luce di tali dati l’Assessore all’Edilizia Privata del Comune di Verona, Alessandro Montagna, è intervenuto per chiarire alcuni fondamentali aspetti: “Il modulo per la richiesta di tale proroga non comprende alcun limite massimo se non quello dei 24 mesi successivi alla data di decisione presa dal dirigente competente. In altri termini il richiedente potrà decidere autonomamente lo spazio temporale della proroga, relativa al termine dei lavori stessi, a patto che venga presentata entro la scadenza prefissata e non oltre il limite di due annualità. Inoltre tale richiesta potrà essere presentata unicamente nel caso in cui non sia ancora scaduto il termine del permesso di costruire. Montagna conclude il suo discorso augurandosi che il settore possa riprendersi: ”Speriamo che tale crisi non si prolunghi oltre la fine del 2011. Nel caso in cui questo accada l’amministrazione comunale è aperta al prolungamento o alla modifica di tale progetto e anche all’introduzione di nuove misure che possano facilitare la ripresa.”


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di ANCE VICENZA

Agostini a capo del CPT di Vicenza

C

ambio della guardia al vertice del CPT di Vicenza, il Comitato Paritetico Territoriale che promuove e gestisce, con interventi mirati, gli aspetti di prevenzione legati alla sicurezza dei cantieri edili. Franco Agostini è stato di recente nominato nuovo Presidente del CPT. Già consigliere del CPT provinciale, Franco Agostini succede a Luciano Vescovi, vicepresidente di Confindustria Vicenza. “Il CPT di Vicenza - ha sottolineato il neoPresidente - si conferma tra i primi in Italia per l’attività di formazione delle maestranze e consulenza diretta nei cantieri. Siamo dunque una struttura forte, ben collaudata ed efficiente, come è stato osservato anche al recente meeting nazionale dei CPT a Lecce. Il merito di questo primato, non è certo casuale ma rappresenta la sintesi del dialogo costruttivo instaurato tra esponenti delle imprese e sindacati locali. Il mio primo obiettivo, a partire da questo contesto già ben consolidato, sarà dunque quello di continuare a gestire una struttura funzionale ed efficiente, che intende essere punto di riferimento per il miglioramento della sicurezza nei nostri cantieri". Le visite dirette nei cantieri rappresentano una parte importante e sostanziale dell'attività del CPT. L’obiettivo è quello di raggiungere

nell'anno 2010 la quota delle 1100 visite nei cantieri entro il mese di settembre: "Si tratta di un traguardo raggiungibile - ha osservato Agostini - considerando il fatto che nei primi sei mesi dell’anno le visite in cantiere effettuate dal nostro staff sono state 738 (così distribuite: 500 a livello di prima visita, 220 in seconda battuta, 18 come terza visita)”. Tra le attività più significative del CPT vicentino vi è l’iniziativa “Adotta un cantiere”, che costituisce un vero e proprio affiancamento dei tecnici del CPT ai tecnici e agli operai operanti nei cantieri particolarmente complessi della provincia. "Dopo le esperienze, estremamente positive del nuovo Tribunale di Vicenza, del Teatro comunale di Vicenza e del rifacimento della copertura della Basilica Palladiana, ora le nostre competenze in materia di sicurezza sono rivolte ai cantieri del "Dal Molin" e del nuovo polo ospedaliero Franco Agostini di Thiene-Schio. In queste due realtà, i nostri tecnici vigilano pressoché quotidianamente per migliorarne la sicurezza. Particolarmente importante, poi, è l’esperienza che si sta facendo al "Dal Molin", in quanto su questo grande cantiere vengono coniugati due riferimenti normativi sulla sicurezza: quello vigente in Italia e quello statunitense, particolarmente severo e restrittivo”. 93



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